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This document provides a detailed overview of biological units of measurement, along with explanations of viruses, prokaryotic, and eukaryotic cells with emphasis on their structure, function, and replication. It's well-structured, and includes diagrams of cellular components and structures.

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Unità di misura di biologia Il potere di risoluzione dell’occhio umano è la minima distanza che viene percepita tra due punti perché questi siano ancora due punti e non convergano in un unico punto. - Il potere di risoluzione dell’occhio umano è di 0,2 mm(millimetri). Se la distanza che si inte...

Unità di misura di biologia Il potere di risoluzione dell’occhio umano è la minima distanza che viene percepita tra due punti perché questi siano ancora due punti e non convergano in un unico punto. - Il potere di risoluzione dell’occhio umano è di 0,2 mm(millimetri). Se la distanza che si interpone tra due strutture è inferiore a tale valenza(0,2 millimetri), allora non è visibile all’occhio umano. - Il potere di risoluzione del microscopio ottico è di 0,2 µ (micron) Il micron è un millesimo di millimetro. - Il potere di risoluzione del microscopio elettronico 0,2 nm (nanometri) Serve per studiare l’ultrastruttura (tutto ciò che c’è dentro la cellula). La membrana plasmatica è osservabile al microscopio elettronico Il nanometro è la millessima parte del micron, quindi è una millionesima parte del millimetro. Le dimensione biologhiche dunque richiedono per il loro studio l’ausilio degli strumenti didattici quali i microscopi, in base al loro potere di risoluzione. Virus I virus sono la prima forma di vita non cellulare. Non hanno una membrana plasmatica, mancano delle informazioni genetiche necessarie all’assorbimento di tutte le funzioni che sono indispensabili per l’autonomia vitale. Organizzazione non cellulare: non sono cellule, non sono costituiti da cellule; sono parassiti intracellulare obbligati significa che un virus deve trasferire il proprio acido nucleico all’interno di una cellula (che sia essa procariotica o eucariotica) perché lui manca di tutti gli apparati di trascrizione, di sintesi, quindi è necessario che trasferisca le sue informazioni in una cellula e sfrutterà gli apparati di sintesi della cellula per duplicarsi, quindi è incapace di riprodursi autonomamente. I virus infettano le cellule eucariotiche quanto quelle procariotiche, purchè siano cellule, quindi che siano in grado di duplicare l’informazione genetica, trascriverla e sintetizzare proteine Presenza di un unico tipo di acido nucleico: la struttura comune a tutti i virus è il corredo genomico che prevede esclusivamente uno dei due acidi nucleici ( o dna o rna), motivo per cui si sente parlare di virus a RNA e virus a DNA. Moltiplicazione: per dividersi sfruttano gli apparati di sintesi delle cellule e quindi moltiplicano il loro numero, questo vuol dire che quando una cellula viene infettata da un virus, da questa cellula usciranno centinaia e centinaia di particelle virali, quindi è una moltiplicazione esponenziale perché tutte quelle centinaia di particelle viraliche escono da un’unica cellula, andranno ad infettare altre cellule, quindi le infezioni virali si espandono molto rapidamente proprio per questa moltiplicazione. Morfologia virus: virus elicoidali: ricordano delle eliche virus icosaedrici: forma sferica virus rivestiti e virus complessi: dipende dalla presenza o meno di un involucro di natura proteica per proteggere questo acido nucleico e della presenza di un eventuale parete all’esterno dell’involucro (si parlerà di capside). Dimensione virus: 10-300 nanometri. Presentano il capside, il quale è un rivestimento proteico che va a circoscrivere l’acido nucleico, quindi ‘’simula’’ quella che noi possiamo pensare come membrana plasmatica in una cellula. Delimita la particella virale e quindi contiene al suo interno l’unico acido nucleico che presenta. I virus complessi possiedono un ulteriore involucrio lipoproteico più esterno, chiamato envelope (o pericapside). Virus con morfologia complessa: batteriofagi. I batteriofagi sono in grado di attaccare le cellule batteriche, quindi prediligono infettare cellule procariotiche. Hanno una morfologia complessa perché assumono una struttura, definita a fago, dove noi possiamo individuare 3 porzioni della particella virale: testa, colletto con lo stiletto e le fibre caudali. Ciò vuol dire che la particella virale è in grado di prendere contatto con la cellula batterica, con quelle che sono le sue fibre caudali, una volta che prende contatto con la membrana plasmatica della cellula batterica, tira su le fibre caudali e quindi avvicina il suo stiletto alla membrana. Al centro dello stiletto ci sono delle proiezioni proteiche che prendono il nome di spine caudali; con queste spine caudali vanno a perforare la membrana plasmatica della cellula batterica, la devono perforare perchè attraverso questo varco devono trasferire il proprio acido nucleico che si troverà nella testa. Dunque le fibre caudali prendono contatto, si retraggono, le spine caudali vanno a perforare per cui l’acido nucleico può essere trasferito nella cellula, mentre il capside rimarrà all’esterno della cellula. Nel momento in cui l’acido nucleico viene trasferito nella cellula procariotica o eucariotica: se il virus è a DNA, allora il DNA verrà duplicato dal DNA polimerasi , comincia a duplicare, fa tante copie. Questo DNA virale verrà intanto utilizzato per ricostruire quello che è l’acido nucleico della nostra particella virale, ma servirà anche a trascrivere l’informazione nell’RNA e a sintetizzare le proteine del capside perché affinchè la particella virale sia integra e possa fuoriuscire dalla cellula che ha infettato e andare ad infettare altre cellule. Si deve riorganizzare, nel caso del batteriofago dovrà riformare la testa, lo stiletto e li fibre caudali. Se il nostro virus è a DNA, tutto fila liscio: il virus inietta il proprio DNA all’interno della cellula dove c’è la DNA polimerasi, la quale vede questo pezzo di DNA e lo duplica facendo tante copie. L’apparato di trascrizione lo riconosce e lo trascrive in tante copie di RNA messaggero, i ribosomi lo traducono e cominciano a sintetizzare proteine. Una volta che ci sono tutte le proteine, il capside si riassembla, le copie di dna sono state già duplicate quindi vengono rincapsulate all’interno della tesa, la particella virale è pronta infettare la cellula. Se il virus è a RNA, in una qualunque cellula sia essa procariotica o eucariotica, non esiste un enzima che fa tante copie di RNA. I virus a RNA possiedono insieme al suo RNA un enzima che si chiama trascrittasi inversa. Questo enzima viene trasferito nella cellula che viene infettata insieme all’RNA virale, questa trascrittasi inversa si lega all’RNA e lo utilizza come stampo per formare un filamento complementare, quindi si viene a formare una molecola di CDNA, la quale è una molecola di DNA perché formata da due filamenti complementari e antiparalleli, però questi due filamenti sono il risultato di un processo di trascrizione inversa, cioè si parte dall’RNA per formare un filamento complementare. Quindi il risultato è sì una molecola a due filamenti che noi chiamiamo generalmente DNA, ma per differirlo dal DNA genomico e per far capire che è un DNA virale che l’ho ottenuto a partire da una molecola di RNA, lo chiameremo CDNA. Momenti: contatto con le fibre, contrazione, perforazione, iniezione acido nucleico, Fasi della moltiplicazione dei batteriofagi: o assorbimento→il contatto tra particella virale e la cellula, una volta avvenuto il contatto o iniezione→ trasferimento del materiale genetico, quindi iniezione dell’acido nucleico virale all’interno o fase replicativa precoce→ in cui inizia la fase di duplicazione o replicazione del genoma virale→ si avrà una moltiplicazione delle copie del genoma virale, questo verrà utilizzato per trascrivere l’rna necessario per la sintesi delle proteine o sintesi delle proteine capsidiche→ o assemblaggio del capside e impacchettamento del genoma virale→ rilascio dei virus maturi Cellule procariotiche Esempio cellule batteriche. È considerata più semplice dal punto di vista organizzativo, è meno complessa in termini di organuli, però di fatto sono in grado di adattarsi, quindi sono molto avanti anche rispetto alla stesse cellule eucariotiche. Mancano: i sistemi membranosi interni al citoplasma→ involucro nucleare, apparato del Golgi, il reticolo endoplasmatico, mitocondri, lisosomi. Possiede: Acidi nucleici (entrambi): il DNA è immerso nel citoplasma in quella regione chiamata nucleoide e questo DNA differisce da quello della cellula eucariotica (è lineare e organizzato in cromosomi quando si dovrà dividere altrimenti sottoforma di cromatina) perché sarà circolare. Ribosomi: pertanto è in grado di duplicare la sua informazione genetica, è in grado di trascriverla, è in grado di sintetizzare enzimi e le proteine che le servono per svolgere tutte le sue attività metaboliche; dunque manca dei sistemi membranosi interni alla cellula, ma è in grado di vita autonoma, questa autonomia le è conferita dalla presenza di entrambi gli acidi nucleici e dalla presenza dei ribosomi.I ribosomi però li hanno perché dal punto di vista chimico sono costituita da RNA ribosomiale e proteine, ma non c’è una membrana che li delimita, è solo dato dalla cooperazione di RNA ribosomiale e proteine. membrana plasmatica che li delimita una parete cellulare I batteri si diviono per scissione binaria. Hanno una molecola di DNA circolare, dunque la divisione è molto più semplice rispetto alla divisione negli eucarioti. Al termine della duplicazione avremo due molecole di DNA circolari, contestualmente la cellula si accresce e a questo punto avverrà la scissione binaria: le due molecole di DNA circolare si sposteranno verso i poli opposti della cellula batteria e al centro si divideranno, originando due cellule figlie, che differiscono in termine di corredo plasmidico (nel senso una cellula può essere resistente e l’altra no). Plasmidi: i batteri sviluppano resistenza agli antibiotici con i plasmidi. Il plasmide è una molecola di dna circolare ed è indispensabile perché porta informazioni legate alla resistenza agli antibiotici, viene trascritta con la coniugazione o riproduzione parasessuale. Due cellule batteriche possono prendere contatto fisicamente l’una con l’altra attraverso un prolungamento citoplasmatico, che parte da una cellula batterica che si estende fino all’altra, creando un canale, attraverso questo canale vengono trasferite le molecole plasmidiche. Quando viene trasferito il plasmide ad un’altra cellula, io gli sto dando la mia informazione di resistenza. Cellule eucariotiche Esempio: piante, animali e uomo. Hanno dimensioni maggiori rispetto a quelle procariotiche. Presentano: organuli e sistemi membranosi: nucleo: si trova in una posizione centrale, delimitato da una membrana. nucleolo: si trova all’interno del nucleo, è in questa zona che vengono sintetizzati i ribosomi reticolo endoplasmatico: sistema di membrane interno alla cellula, si trova in continuità col nucleo. reticolo endoplasmatico granulare: biosintesi glicoproteine. Ha un aspetto punteggiato dovuto alla presenza dei ribosomi. Ribosomi Reticolo endoplasmatico liscio: sintesi prodotti steroidei (esempio ormoni). I prodotti derivanti arrivano all’apparato del Golgi. apparato del Golgi: smista i prodotti di secrezione, è per questo che si trova a seguire del RE. Lisosomi: sono enzimi litici. Essi intervengono nel regolare la morte cellulare. Mitocondri: fungono da centrale produttiva della cellula. Sono capaci di dividersi autonomamente perché hanno DNA e ribosomi. Cellula eucariotica vegetale: presenta la parete cellulare che dà forma, il vacuolo, i plastidi, cloroplasti, leucoplasti, cromoplasti. Popolazioni cellulari: le popolazioni cellulari possono essere: 1. Cellule labili (soggetti a rinnovamenti) sono quelle cellule che hanno vita breve (perché non possiedono il nucleo) per cui devono rinnovarsi, quindi andare incontro a divisione cellulare. Tipico esempio sono le cellule degli epiteli, elementi figurati del sangue, spermatozoi. 2. Cellule stabili (in espansione, rinnovabili condizionali): sono quelle cellule che normalmente non proliferano ma che possono farlo se il tessuto di cui fanno parte viene danneggiato, ad esempio gli epatociti. 3. Cellule perenni (statiche, non rinnovabili): sono cellule che hanno perso la capacità di replicare una volta specializzate. Esse appunto accompagnano l’accrescimento, quando quest’ultimo è completo e quindi si sono specializzate, perdono la capacità di replicarsi. Esempio: neuroni celebrali. Allestimento dei preparati per la microscopia ottica e elettronica I microscopi da osservare al microscopio devono essere prima processati attraverso una serie di passaggi che servono ad arrestare le funzioni biologiche. La fissazione permette di bloccare l’autolisi cellulare, preservando così nel tempo la morfologia del tessuto OTTICA Per esaminare una parte di tessuto, devo prelevarlo, sciaquarlo e metterlo in una provetta aggiungendo sostanze. La fissazione può essere: Chimica: mediante sostanze chimiche. Tra i fissativi chimici si possono distinguere i fissativi che coagulano le proteine e i fissativi che non coagulano le proteine. Il campione deve essere ridotto per facilitare la penetrazione del fissativo e garantire una fissazione omogenea. Il fissativo dà i suoi risultati dopo molto tempo8 dalle 4 alle 24 ore); le ore variano in base alla consistenza del campione, ad esempio una parte di muscolo impiegherà più ore. Fisica: mediante congelamento. Si usa un congelatore a -80° in azoto liquido. Non si usa il congelatore normale poiché una volta scongelato rilascerebbe acqua che comprometterebbe la sua reale visione. Disidratazione e diafanizzazione Dopo aver aggiunto il solvente, bisogna disidratare il tessuto eliminando acqua (disidratazione). Si toglie il fissativo e si procede a immergere il tessuto in una soluzione alcolica a concentrazione crescente (si parte da alcool al 50%... fino ad arrivare ad alcool a 100%). Questo processo deve essere graduale per non provocare il raggrinzimento delle cellule. Il tessuto non lo si può lasciare nell’acqua poiché si creerebbero batteri che andrebbero a mangiare il tessuto. La rimozione dell’acqua è necessaria per una buana osservazione del campione al microscopio ottico e per poter infiltrare il tessuto con la paraffina (idrofoba). A questo punto togliamo l’alcool al 100% e aggiungiamo lo xilene (che serve a capire se il campione è pronto all’inclusione). Poiché lo xilene è un solvente diafanizzante (diventa trasparente con la disidratazione), a fine infiltrazione i tessuto risulterà trasparente (diafanizzazione). Preparazione all’Inclusione - inclusione Per la microscopia ottica il mezzo d’inclusione è la paraffina (fusa). È una miscela di idrocarburi saturi che diventa fluida se riscaldata(50-60°) mentre solidifica a temperatura ambiente. Dunque togliamo un po’ di xilene e lo immergiamo nella paraffina, poi togliamo lo xilene e lasciamo solo paraffina. Se il campione è pronto avrà un colore lucido e trasparente. Se il campione è scuro significa che contiene ancora acqua per cui bisogna disidratarlo ancora. Una volta pronto il campione, siamo pronti all’inclusione e quindi a lasciarlo nella paraffina. La paraffina si andrà ad indurrire intorno al campione, dando vita ad un blocchetto indurrito di paraffina. Si fa raffreddare e dopodichè si procede al taglio. Taglio Il taglio viene fatto con il microtomo (a slitta o rotativo). Il microtomo permette di fare sezioni sottili, permette di dare un taglio con cui avremo un giusto poter di risoluzione al microscopio. Ottenute le sezioni in paraffina, si mettono in bagnomaria per far distendere la sezione e poterla poggiare sul vetrino. Dopo si poggiano le sezioni su una stufa al fine di far assorbire l’acqua senza che la paraffina si sciolga(a meno di 50°). Dopodichè i vetrini vanno in istoteca, cioè cassettini in cui si conserveranno in modo duraturo fino all’osservazione. Sparaffinatura e idratazione Una volta pronto il vetrino si procede alla colorazione, dunque si dovrà eliminare la paraffina (sparaffinatura) poiché essa serve solo ad ottenere un blocco da poter tagliare. Per poter tagliare la paraffina si userà lo xilene: questa volta però si dovrà reidratare il campione (dunque si farà il processo inverso della disidratazione, ovvero si immergerà il campione prima in alcool a concetrazione al 100%, poi 70%.. ecc fino ad arrivare all’acqua). Colorazione I coloranti sfruttano le interazioni chimiche. Il campione è pronto alla colorazione: ematossilina: è un colorante basico, colora in violetto i nuclei, i ribosomi. I coloranti basici si legano a componenti acidie del tessuto. Eosina: è una colorante acido, colora in rosa il citoplasma. I coloranti acidi si legano a componenti basici del tessuto. Terminata la colorazione, il vetrino non è pronto: disidratazione, xilene. Ultimo passaggio: montaggio vetrino coprioggetto (per conservare il vetrino si usa il copriogetto). ELETTRONICA La fissazione microscopia elettronica si fa in due step: 1. Prefissazione: si fa in gluteraldeide. Quindi facciamo il prelievo del nostro tessuto , lo mettiamo in provetta con gluteraldeide, togliamo la gluteraldeide che serve per la prefissazione e mettiamo il vero fissativo che è il tetrossido di osmio 2. Fissazione: tetrossido di osmio. Il tetrossido di osmio nella membrana plasmatica influenza la struttura della membrana. La disidratazione è uguale a quella ottica→ si sostituisce acqua con alcool a concentrazione via via crescente fino ad arrivare ad alcool a 100% Preparazione all’inclusione: sostituiamo l’alcool con ossido di propilene o acetone. Inclusione: viene fatta in resine sintetiche (non viene fatta in paraffina come in quella ottica). Queste resine danno al campione resistenza e un aspetto cristallino che non gli consente di essere tagliato al microtomo con la lamina metallica. Una volta conclusa l’inclusione aspettiamo che polimerizzino le resine (nella microscopia ottica aspettavamo che la paraffina si solidificasse). Taglio: a questo punto il taglio dovrà essere fatto con uno strumento che prenderà il nome di ultramicrotomo, ultramicrotomo perché questa processazione la facciamo per andare a studiare l’ultrastruttura della cellula, questa volta avremo delle sezioni con uno spessore di 40-50 nanometri (microscopio ottico spessore 4-5 micron). Non esiste un ingranaggio talmente preciso da consentire alla nostra lama di avanzare di 40 nanometri, per cui vedremo che l’ultramicrotomo ci consente di fare tagli di questo spessore così piccolo, così sottile perché l’avanzamento della lama (che non è una lama di metallo) è garantita dall’espansione termica di un metallo. Anzichè esserci un ingranaggio meccanico, all’interno dello strumento c’è posizionata una barra di metallo, quando i metalli vengono riscaldati si espandono, ma l’espansione è contenuta, quindi sarà un’espansione sufficiente a garantire l’avanzamento di dimensioni talmente precise dell’ordine dei nanometri. Le resine sono dure sono dure e cristalline, quindi se proviamo a tagliarle con la lama di metallo o si graffia o si sbriciola il campione, quindi c’è uno strumento che fa dei tagli precisi e netti, ovvero il diamante o il vetro. In questo caso nell’ultramicrotomo, avremo o le punte di diamante o una lama di vetro. Nella microscopia ottica le sezioni che tagliavamo e quindi i nostri nastrini di paraffina con all’interno il nostro tessuto, li mettevamo nel bagnomaria perché si distendesse la paraffina dopodichè le recuperavamo sul vetrino e il vetrino veniva conservato nell’istoteca finchè non doveva essere colorato). Dato che qui parliamo di dimensioni piccole, non è possibile mettere le sezioni sul vetrino, dunque le sezioni che otteniamo all’ultramicrotomo vengono raccolte su delle mensch piuttosto che vetrini e hanno la grandezza di una capocchia di uno spillo… su queste mensch (sono delle reticelle) si recuperano le sezioni e quindi si conservano in dei cofanetti, al cui interno c’è una struttura a nido d’ape dove dentro ad ogni piccola fessurina si posiziona ognuna di queste reticelle. Man mano che le sezioni vengono fatte, finiscono in una piccola ciotolina dove c’è dell’acqua in modo che sul fil dell’acqua e da lì verranno recuperate su queste reticelle. Colorazione: Una volta fatto il taglio e raccolte le nostre sezioni sulle reticelle, dobbiamo colorare i preparati, ma nella microscopia elettronica è più corretto parlare di contrasto perché una volta che un fascio di elettroni colpisce il campione biologico, noi vediamo qualcosa in bianco e qualcosa in nero perché dipende da come è fatto il campione: ciò che si lascia attraversare dagli elettroni apparirà bianco, ciò che invece è elettrondenso, non si lascia quindi attraversare dagli elettroni, sulla nostra lastra lasceranno l’ombra, quindi appare nero… Per preparare un buon campione da osservare al microscopio elettronico, possiamo operare un contrasto, cioè utilizzare sostanze elettrondense, metalliche (acetato di uranile e citrato di piombo) perlopiù che vanno a legare la componente che a livello cellulare è già di suo elettrondensa, ma anziché vederla un grigio chiaro chiaro, lo si contrasta di più in modo da avere una bella immagine. La processazione dei lipidi Se vogliamo studiare un campione di tessuto adiposo (ricco di lipidi), non possiamo utilizzare la stessa processazione preveista per il microscopio o elettronico che sia. Il tessuto adiposo non lo si può trattare con l’alcool, poiché i lipidi che compongono il tessuto adiposo ci scioglierebbero a causa dell’alcool, non rimarrebbe nulla. Prefissazione: agente chimico → Formal-Calcio Fissazione: Calcio bicromato. Disidratazione: gelatina. Dato che in questo caso gli alcool non si possono utilizzare, si utilizza la gelatina, capace di assorbire acqua. I passaggi quindi (lavaggi, preparazione all’inclusione, inclusione) sono tutti passaggi in gelatina. Quindi si utilizza gelatina a percentuali diverse, per cui il nostro campione lo mettiamo a contatto con gelatina all’1%, quindi tira via un po’ d’acqua, tolgo e la metto al 5%, tira via ancora più acqua, tolgo e la metto al 10%, quindi lo mettiamo a contatto con gelatina che arriva fino ad una concentrazione massima del 20%. Dunque non sostituiamo l’acqua con l’alcool, ma proprio tiriamo fuori quel po’ di acqua che ci può essere nel campione a base lipidica con dei passaggi in gelatine. Inclusione: si include il campione in gelatina al 20%. Però la gelatina non è solida, poiché il blocchetto da poter tagliare deve essere solido, per solidificare la gelatina con dentro il nostro campione biologico, lo mettiamo nel congelatore. Taglio: dato che abbiamo congelato il blocchetto, non lo possiamo tirare fuori e metterlo a temperatura ambiente e tagliarlo al microtomo, quindi vi è un terzo tipo di microtomo→ Il criostato, non è altro che un microtomo rotativo, posizionato all’interno di una camera fredda. Si imposta una temperatura bassa all’interno di questa camera fredda, la manopola è messa all’esterno per cui si fanno i tagli dall’esterno, dopodichè si alza il coperchietto (è tipo un congelatore a pozzetto, con il coperchio però fatto di vetro per poter vedere dentro e questa manopola messa fuori) e recuperiamo le nostre sezioni sul vetrino. Le sezioni ottenute al criostato le andremo a conservare nelle scatole ad hoc, fino all’osservazione. Microscopi luce (ottici, 0,2 micron) Microscopio composto. Un microscopio dal punto di vista strutturale è formato da: oculari, tubo (dove c’è il sistema di lenti), revolver porta obiettivi, tavolino porta oggetti, un diaframma e un condensatore. - oculari: è laddove dove l’osservatore appoggia gli occhi per osservare il suo preparato - Il tubo dove c’è il sistema di lenti che porta al revolver porta obiettivi - revolver porta obbiettivi: monta più obbiettivi che vanno da 4x al 100x. gli obbiettivi insieme agli oculari rappresentano i sistemi viventi che determinano l’ingrandimento del microscopio. Con il microscopio ci aiutiamo per migliorare il potere di risoluzione, quindi ci aiuta a vedere come è fatta una cellula superando il limite di risoluzione, però per far questo deve ingrandire, ingrandisce grazie a questa combinazione di lenti. Le lenti che determinano l’ingrandimento del microscopio ottico sono le lenti dell’oculare e le lenti dell’obiettivo. Come facciamo noi a sapere di quante volte il nostro preparato è ingrandito? Sulla viera dell’oculare ci sarà scritto 10x (o 2x dipende dall’oculare che si monta) significa che già da solo l’oculare ingrandisce di 10 volte. Il revolver è un revolver che monta più obbiettivi che vanno da 4x al 100x. Quindi noi useremo il 4x per dare un’occhiata all’insieme al vetrino; se lo voglio vedere meglio ruoto il revolver e metterò l’obiettivo 10x, aumenta l’ingrandimento… con il 10x non vedrò più tutta la sezione, vedrò una sezione più piccola ma più grande. Se voglio guardare meglio, ruotiamo il revolver e passiamo al 40x… quindi vedrò una porzione di preparato ancora più piccola ma più ingrandita. Alla fine metterà una goccina di olio e userò l’obiettivo 100x. L’olio serve perché l’obiettivo 100x non lavora a secco come tutti gli altri, ma lavora ad immersione in olio, un olio per microscopia che abbatte il potere di rifrazione della luce; quindi c’è un contatto diretto tra il nostro obbiettivo e il nostro preparato. Quella goccina d’olio crea un continuità tra il vetro del nostro preparato e la lente del nostro obiettivo. Quindi se sto utilizzando un oculare che ingrandisce 10x di suo e un obbiettivo che è al 4x, di quante volte sto vedendo il mio preparato ingrandito rispetto alla sua dimensione reale? 40. Perché l’ingrandimento totale è dato dalla moltiplicazione tra il fattore di ingrandimento dell’oculare per il fattore di ingrandimento dell’obbiettivo. …Se uso un revolver porta obbiettivo al 10x e l’oculare che è gia al 10x… 10 x 10→100x. Quando arrivo ad utilizzare l’obiettivo 100x… 10 x 100→1000, sto ingrandendo di 1000 volte. Decade il limite di risoluzione del microscopio ottico. Oltre quell’ingrandimento non possiamo spingerci, ecco perché se dobbiamo vedere dentro la cellula abbandoniamo il microscopio ottico e prendiamo il microscopio elettronico. tavolino porta oggetti: si trova sotto gli obbiettivi. Su questo tavolino ci sarà una linguetta metallica che si utilizza per fissare il vetrino, dunque lo si blocca con la linguetta in modo che sia fermo lì. Il preparato che c’è sul vetrino si osserva grazie ad una sorgente luminosa che illumina il preparato, lo restituisce all’obbiettivo, l’obbiettivo lo riflette in un percorso di lenti e lo ridà all’osservatore. Dunque il nostro preparato verrà colpito da una fonte luminosa: un fascio di luce bianca (perché stiamo parlando di microscopio ottico). Dunque non sarà altro che una semplice lampadina, che appena accendiamo il nostro microscopio, vedremo questo fascio di luce che passa attraverso un condensatore e un diaframma che avranno il compito di regolare l’ampiezza del fascio di luce che deve andare a colpire dritto il campione; illuminato il campione, questo verrà restituito all’oculare. Per mettere a fuoco il campione: si deve trovare la giusta distanza focale per l’obiettivo che stiamo utilizzando, al cambiare dell’obbiettivo, cambia la distanza focale. Quindi si deve avvicinare o allontanare il preparato dall’obbiettivo in modo da permettergli la messa a fuoco, cioè la visualizzazione. Questo viene fatto con delle manopole: - la vita macrometrica: consente di fare movimenti più ampi, per cui il tavolo si muove più rapidamente. Permette di cercare il punto focale, il preparato - la vita micrometrica: serve per fare piccoli movimenti di messa a fuoco. Mettiamo a fuoco in maniera fine. Quando il nostro campione viene colpito dal fascio di luce, l’immagine che dà all’oculare è piatta e capovolta, per cui ciò che è a destra noi la vediamo a sinistra e viceversa. Dunque non è un lavoro immediato. Un solo obiettivo, un solo punto di vista. Nel caso in cui dovessimo prelevare un campione biologico, non è utile utilizzare un microscopio ottico (composto), che mi dà un immagine capovolta. Si utilizzerà quindi in questo caso un microscopio stereoscopico. Microscopio stereoscopio (microscopio da lavoro) È conosciuto come microscopio da lavoro (quando devo fare lavori di precisione, quando devo dissezionare). È stato nominato nel caso dell’ultramicrotomo, è montato sull’ultramicrotomo. Permette di vedere in 3D e in maniera dritta le sezioni che sto facendo all’ultramicrotomo. - Presenta un piano fisso dove si appoggia il campione da osservare. Non presenta un tavolino che si alza e si abbassa. - oculare (10x, 5x dipende dagli oculari acquistati) - una coppia di obbiettivi (non c’è un revolver portaobiettivi) che contemporaneamente osservano il nostro campione, dunque fornisce una doppia angolazione di visione, un doppio punto di vista. L’immagine che restituisce sarà tridimensionale. - Prisma a riflessione totale: si trova tra l’obiettivo e l’oculare. Al prisma arriva l’immagine capovolta, e il prisma non fa altro che ribaltarla nuovamente, quindi la restituisce dritta e tridimensionale all’osservatore. - Fonte luminosa: fascio di fotoni, luce bianca. In questo caso possiamo avere la luce che parte da giù o due fibre ottiche che partono da dietro, che possiamo portare davanti e direzionarle sul campione aggiustando la direzione della luce. In ogni caso è sempre e comunque un fascio di luce. Microscopio da ricerca Consentono non solo di osservare ma anche di acquisire le immagini di quello che si guarda. Quello che si vede all’oculare viene trasferita al pc e noi acquisiamo le immagini di interesse, che sono poi quelle che vengono utilizzate per pubblicare i libi di testo, articoli scientifici. Vi è una porzione in più rispetto al microscopio precedente: - Filtri per la fluorescenza. Questo microscopio oltre ad essere un microscopio ottico composto, è un microscopio ad epifluorescenza, quindi potremmo guardare anche i preparati che vengono marcati con dei marcatori fluoriscenti. - Fonte luminosa: si utilizza una lampada a fluorescenza (FluArc) la quale eccita il campione. (Non si usa il fascio di fotoni altrimenti la fluorescenza decade) Nel momento in cui la lampada va ad eccitare il campione, questo non raccoglie tutte le fluorescenze, solo quelle di nostro interesse. - Simula la funzionalità di un microscopio confocale, il quale fa una scansione a diversi piani focali del nostro preparato, tanto le sezioni da osservare al microscopio confocale sono spesse 30-50 micron; mentre quelle per l’ottico 4-5 micron. Dunque è evidente che le sezioni del microscopio confocale siano più spesse, questo perché utilizza un fascio laser per andare ad osservare il campione, quindi va delle scansioni, riesce ad attraversare più stradi del campione e quindi ci dà un immagine tridimensionale perché osserva tutto ciò che c’è nella profondità delle nostre sezioni. Questo motorino motorizzato gli permette. - È completamente motorizzato, possiede un tavolino motorizzato quindi se si guarda un preparato dove c’è ad esempio un neurone si vede la parte iniziale ma non si vede il tipo di cellula che va ad innervare… con questo microscopio si imposta la profondità (si imposta start e stop), si imposta il punto di partenza e il punto di fine e tutte, e tutte le foto che si fanno si devono distanziare ad esempio di 0,5 micron. Dunque si fa la prima foto e si alza il tavolino di 0,5, e cosi via... alla fine non è un confocale, quindi dopo aver eseguito gli ordini, le immagini risultano sfocate con un solo dettaglio a fuoco, ma grazie alla funzionalità Z-STACK, la quale permette di prendere queste immagini e vengono rimontate una sull’altra, l’immagine risultante prenderà il pezzetto a fuoco di tutte le foto, ci darà un immagine 3D. La z-stack permette di muovere non solo sull’asse x e y, ma anche in profondità. Quindi questo microscopio permette di fare diverse foto sfocate che mettendole assieme crea un’immagine tridimensionale. - È un microscopio che fa da microscopio ottico, ad epifluorescenza e motorizzato, quindi simula anche se non lo è un microscopio confocale Microscopio invertito L’obiettivo guarda il campione da sotto, anzi che da sopra. Si usa quando si lavora con le piastre, con la piastra pepi, con le cellule di cottura, con gli embrioni. Invertito perché è appunto invertita la posizione tra tavolino e percorso ottico, quindi la fonte luminosa sarà da sopra, gli obiettivi con il sistema di lenti e oculari, partono da sotto. Microscopio elettronico (0,2 nanometri) Lo useremo per osservare sezioni ultrasottili che abbiamo raccolto sulle resinelle che avevano quella struttura a mensch, che le avevamo ottenute con l’ultramicrotomo. - Per osservare il campione sia nel caso del microscopio a trasmissione che a scansione, utilizziamo un fascio di elettroni (non fotoni). Ci sarà un cannone che va a sparare questo fascio di elettroni dentro tutto il percorso ottico che c’è contenuto all’interno del microscopio elettronico. Le parti sono sempre le stesse: - filamento di emissione del nostro fascio di elettroni - gli elettroni passano dentro ad un condensatore che regola la direzione del fascio di elettroni che deve andare a colpire il nostro campione Condensatore→regola il fascio di elettroni che devono passare per andare a colpire il Microscopio a trasmissione - guarda dentro la cellula, l’ultrastruttura, studia gli organuli e i sistemi membranosi - condensatore - c’è uno sportellino che si apre, dove c’è l’alloggiamento per la nostra reticella, sopra di essa c’è il campione da guardare, e passerà il fascio di elettroni. - A questo punto ci sarà un proiettore che proietta sullo schermo, che può impressionare una lastra fotografica oppure può restituire l’immagine all’oblò dello schermatore. Microscopio a scansione - guarda la superficie della cellula, guarda dall’esterno, fa una scansione della superficie - c’è un condensatore, ma siccome fa delle scansioni, ci sarà anche lo scanner che ha il compito di shioccare questo fascio di elettroni, in modo da andare a fare diversi scansioni, diversi livelli. - Immagine tridimensionale CRIOFRATTURA Serve principalmente per studiare la membrana plasmatica. La membrana plasmatica ha uno spessore di 7-7,5 nanometri per cui non è osservabile nella sua organizzazione strutturale al microscopio ottico il quale ha un potere di risoluzione di 0.2 micron. La membrana va studiata al microscopio elettronico. Il preparato nel microscopio elettronico viene fissato in due step: - Prefissazione in gluteraldeide - Fissazione in tetrossido di osmio (il tetrossido di osmio ha però un difetto→ cioè DENATURA LE PROTEINE.) La membrana è costituita da fosfolipidi e proteine.. se il passaggio in tetrossido di osmio denatura le proteine, ciò che andremo a vedere non è una copia fedele alla membrana originale, motivo per cui studieremo modelli di membrana. - Modello a mosaico fluido, che è quello oggi considerato valido. - Modello a sandwich, dove ci diranno che i primi osservatori che osservavano la membrana plasmatica al microscopio elettronico vedevano i fosfolipidi e le proteine disposte sopra le teste dei fosfolipidi come se fossero delle proteine lineari, ciò però non è compatibile perché la membrana plasmatica deve creare una continuità con l’ambiente circostante, deve poter scambiarsi le informazioni. Utilizzarono così un’altra tecnica che gli permettesse di osservare l’organizzazione della membrana plasmatica preparata al microscopio elettronico senza però utilizzare il tetrossido di osmio→ criofrattura: per cui viene utilizzata come tecnica quella del congelamento mediante la criofrattura, cioè congelo la cellula e poi la fratturo nel punto di minore resistenza, cioè in questo caso il punto in cui i due strati fosfolipidici si guardano, perché non c’è contatto ma sono solo accostati. Si procede al congelamento, e una volta congelata si taglia con una lama nel punto di minore resistenza e si separano le due metà del doppio strato fosfolipidico. Ciascuna metà del doppio strato viene utilizzata come stampo e gli si stratifica sopra una parte lamina metallica (metalli fusi). (Esempio: dentista che prende l’impronta, idem fa la criofrattura). Una volta solidificato tolgo via la lamina metallica, ottenendo l’impronta. L’impronta che troveremo è formata da una parte di membrana non piatta, vedremo le impronte lasciate dalle proteine. Nell’altra metà, troverò l’abballamento perché le proteine di membrana sono proteine globulari. Questa osservazione della natura delle proteine associata alle membrana non può essere osservata al microscopio elettronico trattando la cellula con il tetrossido di osmio, perché tutte queste proteine globulari, il tetrossido di osmio le denatura e diventano proteine fibrillari, per cui si distribuiscono in modo uniforme sulle teste fosfolipidi, per cui perdono la loro struttura e la loro posizione del doppio strato lipidico. La criofrattura ha permesso di studiare la vera struttura delle proteine associate ai fosfolipidi di membrana. Viene utilizzata questa tecnica perché l’unico fissativo utilizzato per la microscopia elettronica è il tetrossido di osmio. Ciò che vediamo nel modello a sandwich è una struttura alterata della reale visualizzazione di membrana a causa del tetrossido di osmio. Questa tecnica ha inoltre messo in evidenza in nucleo, l’involucro nucleare e i pori nucleari. FRAZIONAMENTO CELLULARE Come si fa a parlare con tanta sicurezza della composizione chimica dei vari organuli, dei vari sistemi membranosi? Come si fa partendo dalla cellula ad avere la singola frazione che ci interessa? Si fa con la tecnica del frazionamento cellulare - per centrifugazione - per ultracentrifugazione Partiamo da un campione in cui viene messa tutta la componente cellulare del tessuto che vogliamo studiare, dopodichè questo viene messo in una centrifuga, grazie alla quale riusciremo a separare tutto ciò che c’è all’interno del citoplasma cellulare secondo un gradiente: -Tutto ciò che è pesante si va a depositare sul fondo -Tutto ciò che è leggero va su. Questa tecnica prevede che: in base ai giri (RTM) che noi fissiamo nel nostro giro di centrifuga riusciamo a separare le nostre componenti. Quindi ad esempio: - Tra 800/1000 giri riusciamo a separare i nuclei dal resto della cellula. - Per vedere i ribosomi,cloroplasti, i lisosomi e tutti gli altri organuli bisogna aumentare il numero di giri fino a 35.000 - Se arriviamo fino a 80.000 riesce a far depositare sul fondo i sistemi membranosi come il Reticolo Endoplasmatico. Più è leggera la sezione che si vuole separare, maggiore deve essere la potenza da dare alla centrifuga. In base alla potenza data (al numero di giri) si passa da centrifugazione ad ultracentrifugazione. Aumentando i giri (RTM), porto a sedimentare porzioni sempre più minute di tutto ciò che trovo nel citoplasma. Man mano che si manda giù, devo cambiare provetta. Ad esempio dopo aver fatto sedimentare i nuclei, si recupera il surnatante(cioè tutta la parte che resta su) la mettiamo in una provetta pulita, quindi in questo mi rimarranno i nuclei. Macromolecole Una cellula eucariotica animale presenterà una membrana che la delimita, all’interno troveremo una serie di sistemi membranosi: nucleo, reticolo endoplasmatico, apparato del golgi e tutti gli organuli (ribosomi, lisosomi..) Nella cellula il suo interno è definito con il nome di citoplasma. Al microscopio vedremo in blu il nucleo e in rosa il citoplasma. Il citoplasma è composto dal citosol che è la componente acquosa del citoplasma, ed è la sede (nel citoplasma) in cui avverranno tutte le attività metaboliche della cellula. Nel citoplasma quindi troviamo: il citosol, i ribosomi , i sistemi membranosi (reticolo endoplasmatico, apparato di Golgi, derivati dal reticolo endoplasmatico e quindi i lisosomi, vacuoli di varie categorie), gli organuli(mitocondri, plastidi, centrioli); accumuli di glicogeno-lipidi. Componenti chimici di una cellula - Organica: le macromolecole, cioè proteine , lipidi, carboidrati e acidi nucleici che sono le quattro classi delle macromolecole - Inorganica : l’acqua (85%), i Sali (1.25%), e i metalli pesanti (al livello del funzionamento cellulare sono indispensabili anche se in piccola quantità perché funzionano da cofattori di enzimi attivanti.) Le proteine sono la classe di macromolecole in maggiore percentuale (20%) perché le proteine le troviamo un po' dappertutto con molteplice funzione; i lipidi si presentano sotto forma di strutture in membrane biologiche(2-3%); i carboidrati (1%); acidi Nucleici (1%) perché abbiamo una percentuale fissa di DNA, mentre gli RNA vengono trascritti ma hanno una vita breve, per cui vengono degradati per poi essere nuovamente trascritti, per cui non si accumulano. Nel parlare della composizione chimica della cellula possiamo fare una distinzione fra: - Costituenti intrinseci (lipidi) vanno a formare il 40% rispetto al 100% della struttura organica. - Costituenti estrinseci (proteine) che presentano una percentuale certamente maggiore. Lipidi Sono insolubili in acqua, comprendono i gliceridi (glicerolo + 1, 2 ,3 molecole di acidi grassi). Gli acidi grassi sono saturi se il legame è singolo ed è lineare, sono insaturi quando il legame è doppio e c’è una ripiegatura della struttura. Possiamo distinguere lipidi: Semplici: - monogliceridi (glicerolo + una molecola di acidi grassi) - digliceridi (glicerolo + 2 molecole di acidi grassi) - trigliceridi (glicerolo + 3 molecole di acidi grassi) Composti: - fosfolipidi, i quali sono simili ai trigliceridi dal punto di vista strutturale, ma il glicerolo lega 2 molecole di acidi grassi e il terzo carbonio si lega al gruppo fosfato). Essi hanno una testa idrofila (polare) e 2 code idrofabe (apolari), sono dunque definiti anfipatici. - glicolipidi - sfingolipidi - steroidi - steroli - caratenoidi Carboidrati Monosaccaridi : 5 atomi→ - ribosio 6 atomi→ - glucosio e destrosio - galattosio - fruttosio o levulosio Oligosaccaridi: disaccaridi→ - saccarosio (glucosio + fruttosio) - Maltosio (2 di glucosio) - Lattosio (glucosio + galattosio) trisaccaridi→ unione di 3 monosaccaridi tetrasaccaridi→ unione di 4 monosaccaridi Polisaccaridi: omopolissacaridi→ - cellulosa ( glucosio) - glicogeno (glucosio) eteropolisaccaridi→ - amido (amillosio, amillopectina) i carboidrati più semplici sono, più solubili saranno: monosaccaridi e oligosaccaridi sono solubili, i polissaccaridi sono insolubili. I monosaccaridi sono l’unità più piccole. I polisaccaridi hanno la funzione di: riserva energetica o strutturale, nel caso della cellulosa. Acidi nucleici Sono cellule autonome sia nelle cellule eucariote e sia nelle cellule procariote. Contengono l’informazione genetica, cioè l’insieme delle istruzioni necessarie alla sintesi delle proteine. Eucarioti→ DNA e RNA Procarioti→ DNA e RNA Virus→ DNA o RNA Biomolecola Struttura Dov’è nella Composizione Funzione cellula DNA: acido 2 filamenti Nel nucleo Nucleotidi: Contenerele desossi-ribo- complementari -baseazotata informazione nucleico (doppia elica) e -deossiribosio genetiche antiparalleli che -fosfato ereditarie. si associano per (basi formare la azotate:adenina, struttura ad citosina, elica. guanina, timina) RNA messaggero Singolo Nel nucleo -base Tradurre le filamento e nel azotata informazioni citoplasma -ribosio contenute nel DNA -fosfato sotto forma di (basi proteine. azotate: adenina, citosina, guanina, uracile) RNA: RNA di trasporto Singolo Nel acido filamento citoplasma ribo- nucleico RNA ribosomiale Singolo Nel filamento citoplasma Proteine Le proteine possono essere classificate in vari modi: 1. in base alla struttura possiamo avere proteine semplici cioè costituite da una semplice sequenza amminoacidica oppure proteine coniugate. Si parla di proteine coniugate quando oltre alla sequenza amminoacidica abbiamo un gruppo che non è di natura proteica, questo gruppo prende il nome di gruppo prostetico (come l’emoglobina fatta da 4 catene proteiche ma ognuna di queste lega un gruppo EME, nel caso dell’emoglobina, mentre in generale si parla appunto di gruppo prostetico) 2. in base alla funzione possiamo avere proteine strutturali che sono proteine che entrano come proteine globulari nella composizione chimica della membrana plasmatica, ma abbiamo anche prodotti di secrezione (cioè tutti quei prodotti di natura proteica che la cellula sintetizza ma va ad esocitarli cioè va all’esterno della cellula perché è lì che devono svolgere le loro funzioni) - in base alla funzione enzimatica, sono proteine specializzate nell’accellerare le reazioni. - anticorpi, vengono prodotti in maniera mirata contro un antigene ben preciso, per cui si innesca una reazione antigene-anticorpo. Quando si parla di anticorpo si intendono proteine specializzate nel riconoscimento di qualcosa che è non-self, cioè non ci appartiene, ci è estraneo ed è da attaccare. - recettori di superficie: le cellule riescono a captare un segnale da un’altra cellula perché le cellule presentano delle “antenne”. Le antenne della cellula sono residui di glicoproteine con funzione recettoriale. Sono quindi proteine coniugate con parti formate da amminoacidi ma anche da carboidrati. 3. in base alla conformazione possiamo avere: - proteine globulari: quando si organizzano con una struttura globulare - proteine fibrillari: quando hanno un andamento lineare (come accadrà per i componenti del citoscheltro.) L’actina nasce come actina globulare, cioè sono monomeri di actina che si defisce G. Nella cellula però l’actina si trova sottoforma globulare (Actina G), quando è come deposito, nel momento in cui serve l’actina, è necessario che essa polimerizzi, cioè i monomeri di actina si devono unire tra loro e formare una catena lineare, per cui diventa fibrillare (Actina F). Accade anche per la tubulina. Composizione chimica Le proteine sono strutture complesse che si vengono a creare da un legame covalente tra monomeri. Partiamo con il definire la differenza tra legame ionico e legame covalente. Il legame ionico è un legame debole, cioè mi serve poca energia per creare e libera poca energia quando si spezza. Al contrario, il legame covalente è un legame forte, cioè è necessaria tanta energia per formarlo e libera molta energia quando si spezza. Quindi se io devo formare una proteina formata da più amminoacidi, il legame che si instaura tra gli amminoacidi deve essere un legame covalente perché si deve instaurare un legame forte. Ad esempio i DNA come RNA è fatto da nucleotidi. Tra i nucleotidi che devono andare a formare il filamento di acido nucleico ci saranno legami covalenti, ma la molecola di DNA è formata da due filamenti complementari e antiparelleli. Il legame che si viene a formare tra due i filamenti sono deboli legami a idrogeno ,questo perché deve avere una struttura ‘’malleabile’’, perché ogni volta che la cellula ha bisogno di trascrivere un’informazione i due filamenti si devono allontanare e far entrare la dna polimerasi, mentre quando la cellula si deve dividere i due filamenti si devono proprio staccare per far avvenire l’intervento della dna polimerasi. Il legame che si viene a formare tra due filamenti che formano la molecola saranno deboli perché deve assecondare le attività che il DNA deve svolgere, ma i legami tra i monomeri della macromolecola devono essere forti. Ritornando alle proteine, la loro formazione avviene mediante l’unione di amminoacidi mediante legame peptidico che è un legame covalente. Amminoacidi Gli amminoacidi sono formati da un atomo di C (carbonio) centrale, il quale legherà sempre un gruppo carbossilico -COOH, un gruppo amminico -NH2, un H (idrogeno e un gruppo –R). Il gruppo R(radicalico) è l’unico gruppo che determina la differenza tra i vari amminoacidi, il resto della struttura è uguale per tutti gli amminoacidi, il resto della struttura rimane costante perché mi deve garantire e mantere l’uniformità di legame ad ogni In base alla natura del gruppo R si potranno classificare i vari amminoacidi. Le proteine posso assumere diverse strutture: - Struttura Primaria: fa riferimento alla semplice sequenza amminoacidica; Indica l’ordine degli amminoacidi che la compongono. Dalla sequenza degli amminoacidi dipenderà la specificità e l’attività biologica; Una volta ottenuto l’ordine degli amminoacidi i gruppi radicalici potranno interagire fra loro, creando legami. Le interazioni che si instaurano fra gli amminoacidi vicini porteranno alla Struttura secondaria. - Struttura Secondaria: Le interazioni fra amminoacidi vicini creano la struttura secondaria; Si possono ottenere due strutture o ad a-elica oppure a B-foglietto pieghettato. Nel momenti in cui si creano avvolgimenti e interazioni fra amminoacidi che prima non erano affiancati ecco che si assume la conformazione che questa proteina assume nello spazio dando vita alla struttura terziaria. - Struttura Terziaria: si viene a formare quando si creano interazione tra amminoacidi che inizialmente non erano vicini fra loro; La proteina assume una forma globulare per cui si accorcia ma diventa piu’ larga. - Strutta Quaternaria: si parla di struttura quaternaria quando ogni volta che una proteina tende ad essere funzionale necessità dell’associazione di due o piu’ subunità proteiche. Nel caso dell’emoglobina è costituita da 4 subunità proteiche(ma è un caso.. perché molte altre sono formate da 2-3 o 5 subunità.) due a e due b, ognuna con il gruppo EME. Ma se dovessimo togliere una subunità la proteina non sarebbe piu’ funzionale. - Struttura Quinaria: fa riferimento alla capacità della proteina di conservarsi nel tempo, cioè se la proteina ha la tendenza o meno a mantenere la sua organizzazione amminoacidica oppure se risponde alle variazioni ambientali modificando l’organizzazione amminoacidica; Membrana plasmatica È di natura lipoproteica. È costituita da fosfolipidi che creano lo scheletro (bylayer) e poi si possono trovare anche colesterolo e glicolipidi. Fosfolipidi: molecole anfipatiche formati da una molecola di glicerolo che lega due catene di acidi grassi ed un gruppo fosfato con la funzione di fare da tramite con la testa polare idrofile, che contiene un alcol organico (serina, colina, ecc.). La testa è polare idrofila e la coda è apolare idrofaba grazia alla struttura degli acidi grassi, i quali conferiscono apolarità alla coda. Sfingolipidi: la molecola portante non è più il glicerolo, ma la sfingosina che lega l’acido grasso (idrofaba) e una FOSFORILCOLINA (idrofila). Colesterolo: è una molecola piccola, presenta un piccolo gruppo idrofilo (-OH). Si posiziona tra i fosfolipidi, posizionando il gruppo idrofilo tra le teste dei fosfolipidi, il resto della molecola tra le code, infatti il ruolo principale del colesterolo è moderatore della fluidità perché la sua presenza fa sì che la membrana rimanga sempre al suo stesso stato di fluidità, evita gli sbalzi di temperatura (liquefazione e congelamento della membrana). Si trova negli eucarioti animali, mentre nei funghi troviamo l’erbosterolo. Glicolipidi: sfingosina + acido grasso + oligosaccaride. Sono lipidi con residui glucidici, con funzione recettoriale nei confronti dei messaggeri, ormoni ecc→ riconoscimento. Funzioni membrana plasmatica - Dà un’identità alla cellula, separandola dall’ambiente esterno (la membrana è appunto semipermeabile grazie ad una membrana che la separa dall’esterno, ma resta comunque in rapporto con l’ambiente esterno, perché attraverso la M.P avverranno scambi. - Regola gli scambi di sostanze nutritive, ioni e molecole tra la cellula e l’ambiente esterno e viceversa. - Risponde agli stimoli esterni (permette di ricevere input ai quali si risponde. Le cellule che per eccellenza ricevono input e rispondono sono quelle del tessuto nervoso e quello muscolare. Si fa riferimento ai muscoli volontari scheletrici e muscoli involontari cardiaci). - Risposta ormonale (presenza di recettori glucidici) - Interazioni con cellule vicine (inibizioni da contatto, attraverso i recettori) - Proprietà antigeniche (recettori) - Reazioni immunitarie. Gli ultimi 4 punti sono regolate dalla membrana plasmatica tramite le proteine di superficie (glicoproteine) e i glicolipidi. Trasporti mediati per mezzo di estroflessioni della membrana: - Trasporto passivo - Trasporto attivo - Trasporto attivo di vescicole - Esocitosi→ via secretoria - Endocitosi→ via endocitoria Composizione chimica della membrana plasmatica Costituenti intrinseci: lipidi e proteine Costituenti periferici: alcune proteine o glicolipidi Costituenti esterni: glicocalice Proteine Glicoproteine: proteine di membrana associate a residui glucidici con funzione recettoriale. Funzioni: riconoscimento cellulare, risposta ad ormoni, proprietà antigeniche o stimolazione alla risposta immunitaria. Proteine di trasporto (carriers): funzione: garantiscono la permeabilità della membrana, aiutano molecole molto grandi ad es. glucosio a passare attraverso la m.p→ diffusione facilitata. Proteine enzimatiche: funzione: attività metabolica, ATPasi, pompa Na+/k+→ trasporto attivo (idrolizzazione ATP); altre proteine enzimatichr che si trovano nelle creste mitocondriali che invece, sintetizzano ATP. Proteine: lipoproteine (proteine associate alla porzione lipidica) Costituenti lipidi: fosfolipidi, sfingolipidi, glicolipidi e colesterolo. Carboidrati: glicolipidi e glicoproteine Acido sialico: mantiene il potenziale di membrana MODELLO A SANDWICH (DAVSON E DANIELLI) Fu il primo modello proposto, prospettava una membrana costituita da un bilayer lipidico con proteine filamentose disposte sulle teste dei fosfolipidi. Grazie alla criofrattura però si è riuscì a riconoscere che alla base del modello della membrana plasmatica ci stavano proteine globulari, non filamentose. MODELLO A MOSAICO FLUIDO (SINGER E NICOLSON) Studiato grazie all’avvento della tecnica criofattura, la quale ha permesso di baipassare il trattamento delle membrane con il tetrossido di osmio, il quale denatura la M.P, per cui quello che si vedeva al M.E era un artefatto tecnico, legato alla capacità del tetrossido di osmio di denaturare le proteine globulari, per cui le proteine si andavano a posizionare sulle teste dei fosfolipidi come fossero delle proteine lineari, mentre di fatto così non è. Per cui il modello a mosaico fluido, il quale oggi è ritenuto valido, presenta l’ossatura lipidica della membrana plasmatica e ci fa vedere come i fosfolipidi si organizzano a formare il bilayer fosfolipidico, c’è un accostamento testa-coda code-teste, in modo che le teste idrofile stiano a contatto con l’ambiente exstracellulare e intracitoplasmatico, in entrambi i casi con teste a basa acquosa, mentre le code idrofobe sono affrontate le une alle altre a formare il core, la parte centrale di questo bilayer; questa disposizione dello scheletro lipidico, regola la permeabilità della membrana, perché la membrana plasmatica è una membrana semipermeabile, ’’semipermeabile’’ perché si lascerà attraversare liberamente esclusivamente dalle molecole che sono affini alla parte centrale di questo bilayer, quindi che sono molecole idrofobe. Tutto ciò invece a carica elettrica, cioè tutto ciò che è idrofilo, non può liberamente attraversare la membrana, per cui si dice che la membrana ha una permeabilità selettiva: sa chi e chi non deve lasciar passare. Però tutto ciò che resta fuori per affinità chimica, di fatto la cellula può lasciarlo entrare o uscire dalla cellula mediante i trasportatori. Oltre alla struttura fosfolipidica, oltre al colesterolo, bisogna fare riferimento anche ad una buona parte di proteine, delle quali abbiamo scoperto grazie alla criofrattura essere proteine globulari. Queste proteine di membrana a cosa serviranno? Come si posizioneranno lungo il nostro bilayer? Che tipo di nomenclatura possiamo utilizzare per queste proteine? Proteine estrinseche o periferiche: sono proteine che prendono contatto esclusivamente con le teste idrofile, sia che si trovino sul comparto exstracellulare, sia che si trovino sul comparto citoplasmatico (intracellulare). Proteine intrinseche o integrali: sono proteine che interrompono in parte o in tutto il doppio strato fosfolipidico. Ci sono quelle che lo interrompono in parte e quelle che lo interrompono per tutto il suo spessore, ma in tutti i casi c’è un rapporto intimo con le code idrofobe del doppio strato lipidico. Proteine unipasso: se attraversano una sola volta il doppio strato. Proteine multipasso: sa la proteina attraversa più volte il doppio strato. Proteine transmembrana: una proteina intrinseca che attraversa il doppio strato(glicoproteina), hanno funzione di regolare il trasporto. Le proteine di membrana sono in parte glicoproteine, ogni cellula necessita di glicoproteine perché i residui glucidici che sporgeranno all’esterno della membrana plasmatica hanno un ruolo recettoriale. I carboidrati a differenza di lipidi e proteine, non entrano come tali nella composizione della membrana, ma li troveremo sempre ed esclusivamente associati ai lipidi o alle proteine. Quindi le glicoproteine sporgono nell’ambiente extracellulare come delle antenne con il compito di captare i segnali che vengono dall’esterno. Tutta questa struttura che si sfiocca all’esterno della membrana si chiama glicocalice, ovvero la struttura esterna alla membrana formata da residui glucidici, i quali non sono altro che i carboidrati che accentuano ulteriormente l’asimmetria della membrana, presentandosi in maniera esclusiva sul versante esterno a formare il glicocalice. Si trova in diversi tipi cellulari: Nella parete cellulare delle cellule vegetali, costituita perlopiù da cellulosa, la quale non è altro che una manifestazione visibile del glicocalice (cioè di queste strutture zuccherine che sono depositate all’esterno della membrana plasmatica stessa). Nella zona pellucida della cellula uovo, che è un rivestimento di queste cellula uovo che sarà indispensabile per il riconoscimento e il legame dello spermatozoo al momento della fecondazione. Al variare del tessuto che si prende in esame, varierà la struttura del GLICOCALICE. lo possiamo trovare come cuticola di alcune cellule epiteliali. lo troveremo come lamine basali in tutte le cellule degli epiteli di rivestimento, perché tutti gli epiteli poggeranno sul connettivo sottostante, ma per non collassare in questo connettivo, ci sarà una trama che li sorregge che prenderà il nome di lamina basale, la quale non è altro che glicocalice. rivestimenti glicoproteici e mucopolissaccaridi sulla superficie libera delle membrane mucose di tutte le cellule che producono muco e che devono mantenere lubrificato l’ambiente stesso. Funzioni glicocalice: Protezione legata al riconoscimento, quindi legato all’istocompatibilità, legato alle risposte o reazioni immunitarie, perché se i nostri glicocalici sono costituiti da questi residui glucidici che sporgono dalla membrana e il loro ruolo è recettoriale, è di riconoscimento, questi riescono a capire se un qualcosa con cui prendono contatto è self (tipico dell’individuo stesso) o non-self. È alla base dei rigetti, quando ci sono i trapianti). Come viene fatto il riconoscimento selettivo? Come fa un tessuto a capire che il pezzetto che gli sto innescando deve essere accattato o rigettato? Perché si crea un rapporto di compatibilità tra recettori e qualcosa che che viene riconosciuta dalla cellula che arriva; se c’è un riconoscimento specifico, allora lo riconosce come self e viene accettato, se questo riconoscimento non avviene, avviene il cosiddetto rigetto perché si innescano tutte le reazioni contro un qualcosa estraneo. partecipano all’idrolisi terminale di proteine e carboidrati, soprattutto a carico di enzimi che troviamo nella mucosa intestinale. hanno proprietà filtrante: filtrano laddove noi abbiamo la capacità di recuperare acqua che viene trasudata dai vasi sanguigni, quindi ad esempio a livello delle cellule endoteliali (cellule che rivestono i vasi sanguigni). regolazione degli scambi, soprattutto a carico delle lamine basali (dove diciamo che il nostro epitelio poggia sul connettivo sottostante.) trasporto di ioni pinocitosi riconoscimenti (cellulare, riconoscimento del contatto tra cellule e verifiche di compatibilità) catalisi enzimatica nei casi in cui questa si deve verificare l’assorbimento (nel caso degli endoteli) il mantenimento delle cariche elettriche (vedremo che questo accadrà su tutte le cellule, tutte le membrane plasmatiche, tutte le cellule avranno un loro potenziale di membrana) funzione di barriera sempre legata al riconoscimento funzione di adesione, vuol dire che tramite il glicocalice le cellule sono in grado di prendere contatto con le cellule vicine. Questo tipo di interazione è fondamentale nel regolare quella che è la corretta divisione delle cellule. Normalmente una cellula segue un suo ciclo cellulare: i momenti tipici sono l’interfase (in cui la cellula si accresce), fase M (durante la quale la cellula si divide e ne derivano due nuove cellule, ognuna delle quali riprende interfase e di nuovo divisione). Chi dice alla cellula che è pronta a dividersi o che non si deve dividere più? Cosa accade quando questo controllo non regola più? Quando il controllo della divisione non c’è più, le cellule si dividono all’impazzata e abbiamo i problemi legati alle neuplasie e quindi alle masse tumorali. Invece generalmente che cosa dice a una cellula che si può dividere oppure di rimanere ferma? È il rapporto che vige tra nucleo e citoplasma, quindi è lo spazio che la cellula occupa. Se la cellula subisce il cosiddetto fenomeno dell’inibizione da contatto, cioè le cellule son troppo vicine, quindi aderiscono al glicocalice in maniera stretta, le dicono che non ha spazio e che è inutile che si accresca poiché non si può dividere, la cellula dunque si ferma in stand-bike, si mantiene in interfase, non entra in fase M. Quando invece questa inibizione da contatto non c’è, la cellula può accrescersi in Interfase, si altera il rapporto che vige tra il nucleo e il citoplasma perché il nucleo mantiene sempre le sue dimensioni, mentre se la cellula si sta accrescendo, il citoplasma l’asseconda e si accresce il volume quindi si altera il rapporto definito nucleo-plasmatico e la cellula sa che deve dividersi per ripristinare il corretto rapporto tra nucleo e citoplasma… tutto questo è regolato dalla presenza del glicocalice e dal concetto di spazio che alla cellula arriva grazie ad inibizione da contatto che è mediata dal glicocalice. Dunque il glicocalice assorbe ruoli fondamentali per il corretto funzionamento e la corretta vitalità della cellula stessa. Il glicocalice NON è fuliggine esterna alla membrana, MA invece è qualcosa di inconsistente proprio perché sono solo questi residui glucidici che sporgono con funzioni fondamentali, quindi non formano una struttura lassa (almeno questo nelle cellule arenali) Funzioni proteine di membrana: proteine con le catene di carboidrati: hanno il compito di fungere da recettori, quindi riconoscimento cellulare, istocompatibilità, inibizione da contatto. proteine che si sporgono da una parte e dall’altra, sono principalmente legati ai trasporti di membrana, sono quelle che garantiscono alle molecole che liberamente non riescono a muoversi lungo il doppio strato lipidico, di poter essere portate all’esterno della cellula se è la cellula stessa che le sta sintetizzando o al contrario di poter essere internalizzate se la cellula ne ha bisogno. (qui vi fa vedere queste proteine che fungono da PROTEINE CANALI, DA PROTEINE TRASPORTATRICI, quindi comunque proteine di membrana associate alla funzione di COMUNICAZIONE CELLULARE, QUINDI DI TRASPORTI A CARICO DELLA MEMBRANA). Tipi di trasporto: Trasporti passivi: quando il trasferimento avviene senza dispendio di energia, quindi a guidare questo spostamento di sostanze è un gradiente di concentrazione. esempio: se questa aula fosse potenzialmente piena, qualcuno si affaccia e dice che va a prendere un po’ d’aria, quindi la tendenza sarebbe quella di andare fuori e non di fare entrare altra gente, quindi secondo gradiente di concentrazione vi portereste dalla stanza che è piena e manca l’aria, verso il corridoio dove invece c’è spazio ed è più libero. Quindi è un trasporto passivo perché avviene spontaneamente da un ambiente dove c’è una concentrazione più alta ad un ambiente dove c’è una concentrazione più bassa. Generalmente quando si parla di trasporti, si fa riferimento all’utilità di soluti, molecole, ioni che devono attraversa la membrana e portarsi da un comparto all’altro, però quando le membrane sono semipermeabili, possiamo avere il movimento NON solo di soluti, ma anche di solventi. Osmosi: a muoversi lungo una membrana non è un soluto ma è un solvente, quindi è l’acqua che va ad equilibrare le concentrazioni tra i due comparti. Il solvente si sposta dal comparto in cui la concentrazione è maggiore a quella minore. Esempio: globuli rossi se messi in: - soluzione ipertonica, cedono acqua e quindi si raggrinziscono - in soluzione ipotonica, accettano acqua e quindi possono rigonfiarsi fino a lisarsi, a spaccarsi. Questo accade quando la membrana risulta impermeabile al soluto, non lascia passare il soluto e quindi è il solvente che cerca di bilanciare le concentrazioni ioniche. Se mettiamo a confronto due sostanze liquide miscibili, la concentrazione del soluto che abbiamo in una delle due sostanze si va a redistribuire uniformemente in tutto il volume che ha a disposizione. La situazione cambia se i due comparti vengono isolati da una membrana: se è il soluto che si può muovere, il soluto tenderà a passare dal comparto dove è più concentrato al comparto dove è meno, fino a cercare di equilibrare le cariche elettriche. Esistono due tipi di trasporti passivi, in entrambi i casi avviene sempre secondo gradiente di concentrazione, senza dispendio di energia, però nella: Diffusione semplice: si parla di sostanza che possono liberamente attraversare il doppio strato lipidico, non hanno bisogno di nulla, da una parte più concentrazione e dall’altra meno. Diffusione facilitata: si parla di molecole che per affinità chimica o per le dimensioni non riescono liberamente ad attraversare la membrana. La diffusione facilitata presente dei limiti: - presenza di proteine carriers: compito di legare e trasferire una molecola nell’altro lato, ma il trasferimento avviene comunque secondo gradiente di concentrazione. Un esempio di diffusione facilitata è: il trasferimento attraverso le membrane plasmatiche della molecola di glucosio (es. quando noi mangiamo, avvenuta la digestione, assorbiamo i principi nutritivi, primo fra tutti il glucosio, che è la fonte di energia per tutte le nostre cellule). Il glucosio per la sua conformazione non riesce ad attraversare liberamente le membrane plasmatiche, per poterlo fare necessita di un trasportatore, quest’ultimo lo trasporta secondo gradiente di concentrazione. Sfrutta il rientro con il sodio che rientra secondo gradiente di concentrazione, ma per il sodio si tratta di un trasporto attivo secondario, vuol dire che è un trasporto attivo che avviene secondo gradiente di concentrazione. Differenza tra diffusione semplice e facilitata: I trasportatori che troviamo lungo la membrana, sono in numero indefinito, quindi se una molecola assume più zuccheri rispetto a quelli che i trasportatori possono trasportare, non si accelera il trasporto, ma si saturano i trasportatori, quindi la velocità di trasporto non dipende dalla concentrazione della molecola da trasportare (come invece accade nella diffusione semplice: perché più è alta la concentrazione della sostanza da internalizzare, più velocemente passa); Se abbiamo la necessità di utilizzare un trasportatore, al crescere della concentrazione della sostanza da trasportare, non cresce la velocità di trasporto, ma cresce fino a raggiungere una velocità standard che è legata al concetto di saturazione. Nel momento in cui tutti i trasportatori hanno legato la molecola e la stanno trasportando, anche se fuori c’è altro che aspetta, aspetterà. Quindi se già hanno legato una molecola di glucosio, l’altra aspetterà. Avviene secondo gradiente di concentrazione, ma i trasportatori sono specifici quindi si va incontro al concetto di saturazione. Essendo specifico il trasportatore, ci deve essere l’interazione con la proteina ligando, questa interazione sarà breve, il tempo del legame che permette di trasportare il ligando dall’altra parte della membrana e avvenuto il trasporto viene liberato. Ci saranno quindi due diversi stadi conformazionali: stato legato e stato libero. Le proteine coinvolte nella diffusione facilitata sono proteine trasportatrici (proteine carriers) o proteine canale: - Proteine canali: proteine fisse lungo la membrana che hanno il compito di far attraversare principalmente ioni, infatti sono spesso chiamati canali ionici. L’acqua è una molecola neutra, però di fatto presenta un dipolo interno, fra i due atomi di idrogeno si forma un angolo di 180°, ma forma una regione in cui avremo l’ossigeno con la sua forte carica negativa e due protoni con la loro carica positiva, tant’è vero che abbiamo parlato di potere di solvatazione dell’acqua, cioè l’acqua riesce a sciogliere i sali perché va a formare una sorta di mantello attorno a ioni con carica elettrica positiva, andandogli a mettere tutto attorno l’ossigeno; quelli invece con carica elettrica negativa, posizionandogli attorno i protoni. La stessa acqua quindi non si muove liberamente attraverso la membrana, che invece è formata dalle code idrofobe, per poter passare dall’esterno all’interno e viceversa, e quindi bilanciare i volumi, è necessario che ci siano dei canali, che sono definite acquaporine (canali proteici che lasciano passare l’acqua). L’acquaporina ha una struttura quadernaria, perché abbiamo la presenza di più subunità proteiche per formare la proteina canale funzionale. - Proteine trasportatrici: sono in grado di legare la molecola da trasportare, muoversi all’interno della membrana per liberarla dall’altro lato, questo è il classico movimento definito flip-flop. Può alternare 2 conformazioni: una con il sito di legame esposto verso l’esterno della cellula; una con il sito di legame esposto verso l’interno della cellula. Ci sono proteine che sono in grado di trasportare contemporaneamente più sostanze, più molecole, più ioni: o uniporto: lega e trasferisce dall’altra parte una sola molecola alla volta o co-tra-sporto: trasportano contemporaneamente due molecole o co-tra-sporto per simporto: se le due molecole vengono trasferite nella stessa direzione o co-tra-sporto per antiporto: se una molecola viene portata in una direzione e l’altra nella direzione opposta (esempio pompa ionica sodio-potassio). Trasporti attivi: Si fa riferimento a tutti quei trasporti che avvengono con dispendio di energia, dunque ciò significa che è necessario l’intervento di trasportatori, cioè di proteine che possono avere la capacità enzimatica, ATPasi, cioè la capacità di scindere atp; se un trasporto è attivo, deve avvenire contro gradiente di concentrazione, quindi deve essere mediato da proteine che sono in grado di ricavare energia che serve per il trasporto, bruciando atp. Anche nel trasporto attivo si va incontro a saturazione dei trasportatori e specificità, interazione proteine-ligando per brevi periodi, stati conformazionali e diversa affinità. Tra la diffusione facilitata e il trasporto attivo, la differenza risiede solamente nella necessità di spendere o meno energia per il trasporto. Esistono due tipi di trasporti attivi: trasporti attivi primari: richiedono la scissione di energia perché il trasporto avvenga. trasporti attivi secondari: dipendono dal traporto attivo primario, una volta che il gradiente c’è, lo si sfrutta per far entrare qualcos’altro. Un esempio è il passaggio sodio-glucosio: Na+ viene trasportato all’interno secondo gradiente; questo trasporto produce un’energia che viene sfruttata dal glucosio per essere co-tra- sportato per simporto contro gradiente. Si parla di trasporti attivi ogni qualvolta c’è un trasporto contro gradiente di concentrazione, con dispendio di energia e questo porta al trasporto attivo primario, ma questo trasporto attivo creerà un gradiente di concentrazione, che verrà utilizzato per internalizzare altre sostanze, ma questo rientro secondo gradiente, di fatto èun trasporto attivo secondario perché il gradiente è stato creato con dispendio di energia. Esempio di trasporto attivo: pompa ionica sodio-potassio (Na+/K+ ) È un co-tra-sporto per antiporto. La pompa ionica è una proteina di trasporto che è presente a livello di tutte le membrane biologiche, ha il compito di legare contemporaneamente ioni Na+ e ioni K+. Opera in antiporto: è vero che lega due diverse tipologie ioniche, ma le trasporta una verso l’esterno della cellula, una verso l’interno. Pomperà 3Na+ all’esterno della membrana plasmatica, 2K+ all’interno della membrana, il tutto mediato dall’atp. L’attività continua di questa pompa ionica cosa genera una differenza di potenziale e quindi un gradiente di concentrazione (o creato con un trasporto attivo primario, quindi con dispendio di energia però il gradiente di concentrazione di suo permette di attraversare la membrana secondo gradiente di concentrazione, chi sfrutta questo? Il glucosio), perché noi avremo tanti ioni sodio fuori e tanti potassio dentro, ma la pompa ionica sodio-potassio continuerà a lavorare imperterrita nonostante si sia venuto a creare il gradiente di concentrazione, quindi è costretto ad operare un trasporto contro gradiente di concentrazione e con dispendio energia. La pompa ionica sodio-potassio opera quindi un trasporto attivo, quindi scinde ATP per spingere ioni sodio all’esterno della cellula dove sono già altamente concentrati e ioni potassio all’interno della cellula dove sono già altamente concentrati, quindi opero un trasporto contro gradiente di concentrazione che necessita di dispendio di energia. È vero che entrambi gli ioni sono con carica positiva, però 3 li portiamo all’esterno e 2 che portiamo all’interno, quindi a cavallo della membrana si verrà a instaurare una differenza di cariche elettriche che vede un accumulo di cariche elettriche positive fuori e un accumulo di cariche negative dentro, prenderà il nome di potenziale di membrana, il cui valore è -70/-90 Mv. Se con un elettrodo si calcola questo potenziale che vige a cavallo della membrana, oscilla tra i -70/-90 Mv, al variare della tipologia cellulare (è alla base della trasmissione dell’impulso nervoso, quando noi diciamo che il tessuto nervoso, manda inpulsi nervosi, manda dei segnali che viaggiano lungo la M.P., sarà questo potenziale di membrana che verrà alterato e si parlerà in quel caso di potenziale d’azione, ma la base è la potenziale di membrana). Lungo le membrane plasmatiche di ciascuna delle nostre cellule vige questo disequilibrio di cariche elettriche tra l’interno e l’esterno della cellula con carica elettriche p. fuori per accumulo di ioni sodio che pompa fuori la pompa ionica sodio-potassio e accumulo di cariche n. all’interno. Questo disequilibrio lo chiameremo potenziale di membrana ed è mantenuto da un trasporto attivo operato dalla pompa ionica sodio-potassio che lavora contro gradiente di concentrazione con dispendio di energia. Esempio trasporto attivo con coinvolgimento delle vescicole: esocitosi: quando la cellula sintetizza e rilascia all’esterno endocitosi: quando la cellula deve internalizzare verso il citoplasma Esocitosi: molto spesso quando la cellula quando sintetizza prodotti di secrezione (ormoni), non li lascia fuoriuscire dalla membrana liberamente, ma li trattiene all’interno di vescicole, le quali stazionano nel citoplasma fino a quando non arriva un input che dice che li può rilasciare. Questo traffico vescicolare parte già dal RER, dove avverrà la sintesi delle glicoproteine. Quando una cellula sintetizza qualcosa da portare all’esterno, questo qualcosa il più delle volte è complesso (glicoproteine, glicolipidi), quindi passa necessariamente dal reticolo endoplasmatico e dall’apparato del Golgi. Questi trasferimenti avvengono all’interno di vescicole. L’apparato del golgi viene considerato il centro di smistamento cellulare, tutto ciò che arriva nel golgi può poi essere smistato ed andare in tre posti: all’esterno della cellula, alla membrana plasmatica o rimanere nel citoplasma come lisosomi. Tutto ciò che deve essere portato all’esterno della cellula viene portato con le vescicole che si portano in prossimità della membrana e si fondono con la membrana stessa, quindi le membrane si fondono, e il prodotto che era contenuto nella vescicola viene liberato all’esterno. Endocitosi: la cellula che riceve questi segnali, che riceve queste molecole, che deve internalizzare, invece farà il contrario: presenterà dei recettori di membrana che captano la presenza di queste sostanze, quindi si devono endocitare le cose; quindi si formano delle vescicole per endocitosi, cioè si staccano le vescicole dalla membrana plasmatica e verso il citoplasma. Ciò che ha internalizzato la cellula lo deve digerire, dunque saranno i lisosomi (i quali si occupano della digestione nella cellula) a farlo con i loro enzimi litici. La vescicola che si forma per endocitosi andrà a fondersi con un lisosoma in modo da digerire quello che è stato internalizzato. Questo continuo processo di esocitosi ed endocitosi mantiene la membrana plasmatica in equilibrio. La dimensione della membrana rimarrà costante perché quello che riceve da esocitosi, perde per endocitosi, quindi il pezzetto di membrana che arriva con le vescicole, viene poi riutilizzato per formare nuove vescicole, quindi c’è un rapporto di equilibrio definito dinamico, cioè c’è movimento a cavallo di questa membrana ma il tutto è in equilibrio, ciò che perdo poi recupero. - gemmazione: nel caso in cui i pezzetti di membrana vengono proprio ceduti all’esterno. In questo caso abbiamo prodotti che vengono allontanati dalla cellula non per esocitosi, si vengono proprio a formare delle vescicole che si staccano dalla membrana plasmatica e si portano all’esterno della cellula. Il prodotto che deve essere portato all’esterno viene eliminato con un pezzo di membrana della cellula stessa, quindi si forma questa gemma che lascia la cellula stessa. Tipi di endocitosi: pinocitosi: quando internalizza sostanze disciolte nell’acqua. L’obiettivo non è l’acqua, ma è il soluto e quello che c’è disciolto nell’acqua, è il micronutriente che mi serve dall’esterno; nel formare la vescicola da portare dentro, non sono in grado di discriminare, le dimensioni sono piccole e quindi internalizza le sostanze insieme all’acqua. diacitosi: avviene a carico degli endoteli, negli endoteli i vasi sanguigni e i capillari da un lato ricevono il glucosio e dall’altro lato lo devono cedere, da un lato ricevono gas respiratori e dall’altro li devono lasciare. Quindi sono le stesse cellule a fare endocitosi ed esocitosi, quindi in questo caso si parla di cellule in grado di fare diacitosi, cioè operano entrambi le tipolgie di trasporto, internalizzano e cedono. fagocitosi: quando la cellula internalizza sostanze parti di cellule, qualcosa di grosse dimensioni. Questo avviene ad esempio nei globuli bianchi, quindi primi fra tutti i macrofagi, i quali sono le cellule spazzine perché devono digerire i batteri (cellule intere) e sostanze che vengono conosciute come antigeni e quindi come tali vengono oxonizati, ovvero vengono completamente rivestititi dagli anticorpi. Tutto ciò che di estraneo (antigene) viene inglobato e viene riconosciuto come estraneo e quindi fagocitato dai macrofagi. endocitosi mediata da recettore: avviene quando la sostanza da internalizzare è presente con concentrazioni bassissime, ma la sua presenza all’interno del citoplasma cellulare è indispensabile per il corretto funzionamento e per la corretta vitalità della cellula. La cellula deve necessariamente utilizzare dei recettori di membrana che siano in grado di captare anche le concentrazioni più basse di quella sostanza per poterla legare con certezza e internalizzare. Quindi è sempre un endocitosi perché sta internalizzando, ma con l’ausilio dei recettori di membrana, i quali sporgono verso l’ambiente exstracellulare, captano la presenza del ligando, una volta avvenuto il legame tra il ligando-recettore, ecco che si viene a formare una vescicola. Oltre ad esserci i recettori per il ligando specifico, c’è una proteina che prende il nome di clatrina che si trova a ridosso della membrana plasmatica, sul versante citoplasmatico; il compito dalla clatrina sarà quello di accellerare il processo di invaginazione (formazione della vescicola). - La clatrina è una proteina formata da tre bracci, quindi assume un aspetto triscele, proprio perché ricorda il simbolo della trinacria. Ogni triscele (o trischelion) è formato da polimeri di clatrina, dove i tre bracci prendono la presenza di tre catene lunghe e tre catene corte. Nel momento in cui si deve venire a formare la vescicola ammantata da clatrina, questi trisceli polimerizzano tra loro andando a formare un cestello di clatrina che forma un mantello intorno alla nostra vescicola. Quindi il compito è di, polemiralizzando, di tirare più rapidamente giù la vescicola, informazione, quindi accellelare la velocità di endocitosi. Ci sono diversi passaggi nell’endocitosi mediata da recettore: tutto ciò che la cellula internalizza per endocitosi, va poi a fondersi con il lisosoma in modo che avvenga la digestione e venga liberata la sostanza internalizzata. Ma nell’endocitosi mediata da recettori c’è un passaggio in più. Situazione di partenza: la membrana plasmatica che presenta i recettori specifici e la clatrina, nel momento in cui è avvenuto il riconoscimento ligando-recettore ecco che si comincia a invaginare (la membrana plasmatica). Questa invaginazione è accellerata dalla presenza di questa clatrina che sul versante citoplasmatico polimerizza, lega tra loro andando a formare una sorta di struttura a canestro che tira verso l’interno la vescicola; nel momento in cui questa vescicola si è formata, vedremo all’esterno della vescicola stessa un manto proteico di clatrina che lo avvolge fino a far chiudere la vescicola, all’interno vedremo il ligando che è ancora legato al recettore. Una volta che si forma la vescicola, la clatrina viene eliminata. Conoscendo la politica della cellula che non consuma niente e non butta via niente, questa vescicola non può andare incontro così com’è alla lisi, non si può fondere con un lisosoma, la cellula non si permette il lusso di lisare e quindi perdere i recettori. Infatti una volta all’esterno della cellula, si viene a formare una vescicola particolare che prende il nome di Curl (è l’acronimo inglese di comparto, di dissociazione del ligando dal recettore). Avviene una scissione di questa vescicola in due metà: - la porzione che contiene i recettori torna alla membrana, si fonde con la membrana e quindi i recettori di membrana (cioè ripristina questa situazione) vengono di nuovo esposti e nuovamente legare il ligando. - La componente che presente il ligando può andare incontro a fusione con il lisosoma, quindi può andare incontro a digestione. La clatrina una volta finito il suo compito di accellelare il processo di formazione della vescicola, la clatrina torna a dissociarsi nelle subunità e torna a ridosso della membrana. Anche il recettore viene recuperato e torna alla membrana, mentre il ligando si fonde con il lisosoma e verrà digerito, cioè liberato nel citoplasma per essere utilizzato. Esempi di ligandi che necessitano di questo tipo di internalizzazione e che sono presenti in basse ma sono indispensabili per il funzionamento cellulare tanto da richiedere la presenza di recettori specifici e da richiedere la presenza della clatrina e quindi la dissociazione del ligando dal recettore per il recupero dei recettori, sono: - Ferro: senza il Fe l’emoglobina non è in grado di legare l’ossigeno e i nostri globuli rossi non funzionerebbero, quindi il ferro necessita di essere captato dalla cellula e recuperato, non può essere eliminato, è un oligoelemento indispensabile - Colesterolo: quello buono deve essere reinternalizzato, deve essere recuperato dalla cellula, serve per il corretto funzionamento in tutte le membrane biologiche. Presenta una struttura chiamata Apo B, (ovvero la porzione che viene riconosciuta dal recettore specifico della membrana per il colesterolo), per questo Apo B la membrana presenterà dei recettori specifici; una volta che si ha questo riconoscimento Apo B-recettore si avvierà l’endocitosi mediata da recettore. Specializzazioni della membrana La membrana plasmatica può dar vita a delle specializzazioni che si hanno o a carico delle membrane laterali, della membrana basale o a carico della superfice libera. Questo accade nelle cellule che presenteranno una polarità, le cellule epiteliali, poiché quest’ultime poggeranno sul connettivo sottostante e rivestono sia l’interno che l’esterno di organi. La porzione apicale guarda l’esterno, guarda le cavità corporee, le superfici libere. Le parti invece laterali della membrana prendono contatto con le cellule adiacenti. 1. Specializzazioni della porzione libera della membrana: villi, i quali aumentano la superficie per l’assorbimento si sostanze nel tratto intesinale insieme ai microvilli, all’orletto striato o orletto a spazzola (quello più comune). Sono sorretti dai microfilamenti actimi. Esse sono evaginazioni ed estroflessioni della membrana plasmatica. 2. Specializzazione della superificie basale della membrana: lamina basale, la quale è una specializzazione del glicocalice. 3. Specializzazioni della porzione laterale della membrana: giunzioni cellulari La membrana basale è costituita da 3 strati: - Lamina lucida: è quella a ridosso della cellula, di natura proteica. Composta da tre proteine: laminina, entactina e integrine. - Lamina densa: si trova al di sotto della lamina lucida, composta da un reta di fibre collagene di tipo IV rivestita da proteoglicani. La porzione a contatto con la lamina reticolare possiede fibronectina. - Lamina reticolare: composta da fibre collagene di tipo I e III. Giunzione tipica della porzione basale: Emidesmosomi: sistemi giunzionali che connettono la cellula epiteliale alla membrana basale. È la metà speculare di un desmosoma, mezza giunzione aderente. Giunzioni lungo la porzione laterale della membrana: le cellule epiteliali non sono solo aderenti le une alle altre, ma tra le loro membrane delle regioni cellulari a stretto contatto, si stabiliscono giunzioni cellulari. Giunzioni occludenti: vedono il coinvolgimento delle proteine (vengono sintetizzate da ciascuna cellula coinvolta) che fanno aderire le due membrane delle cellule adiacenti, in questo modo occludono lo spazio intermembrana, quindi impediscono a sostanze perlopiù liquide di scendere tra le cellule. Questo tipo di giunzioni diventono di fondamentale importanza nello stomaco, nel qual accade la digestione a opera di succhi gastrici che rendono il ph dello stomaco pari a 2, fortemente acido; mentre lo stomaco è in grado di proteggersi perché ci sarà uno strato di cellule mucose in grado di produrre muco che formano proprio un film vischioso, le cellule sottostanti non sono in grado di vivere a contatto con un ph cosi acido, quindi a livello dell’epitelio dello stomaco, la presenza delle giunzioni occludenti è di fondamentale importanza perché i succhi che portano la digestione nello stomaco non scendano negli strati cellulari sottostanti, qualora questo dovesse acccadere si forma l’ulcera ( in questo caso si prendono quelle bustine che sono proprio vischiose, perché hanno il compito di formare questo film che faccia scivolare i succhi e che vada a impermealizzare l’epitelio.) giunzioni aderenti: hanno il compito di resistere alle sollecitazioni meccaniche, grazie alla sintesi di proteine che formano le cosiddete placche di adesione. Coloro che aderiranno a queste placche citoplasmatiche sono i filamenti intermedi (sono stabili, ci sono sempre in qualunque momento della vita cellulare, sono di natura filamentosa, non sonosoggetti a polemerizzazioni e depolemerizzazioni, sono corde robuste). Se una cellula vuole aderire saldamente alla sua vicina, il miglior sistema è quello di creare una continuità tra i filamenti intermedi di una cellula e i quelli della cellula adiacente in modo da creare una struttura continua che saldamente trattiene unite le cellule. I principali rappresentanti delle giunzioni aderenti sono i desmosomi: in essi ciascuna cellula sintentizza la propria placca di adesione. giunzioni comunicanti: il loro ruolo è quello di consentire il fluire diretto di informazioni da una cellula ad una cellula vicina. Questo è possibile grazie a delle proteine canale, i connessoni. Questi canali garantiscono il passaggio di piccoli ioni da una cellula all’altra senza interruzione, senza intervalli temporali. Esempio: il cuore riesce a contrarsi e si lassa tutto assieme grazie ai dischi intercalari, che sono delle aree di giunzione di contatto lungo le quali l’informazione che dice al cuore che si deve contrarre viaggia come se fosse un’unica grande cellula, perché l’inpulso parte dal punto di insorgenza e si propaga per tutto il cuore grazie a questo tipo di giunzioni che non creano impedimento. La cellula Nelle cellule eucariote troviamo: - nucleo: che è una piccola area di citoplasma circoscritta dall’involucro nucleare; gestisce tutte le funzioni cellulari, perché è qui che troviamo gli acidi nucleici quindi è qui che vengono prese le decisioni di duplicazione, di trascrizione e quindi di avvio di sintesi proteica. - citoplasma: avvengono tutte le attività metaboliche e sintetiche, le decisioni vengono prese nel nucleo, ma il lavoro viene svilppato nel citoplasma. È nel citoplasma che troveremo tutti gli organuli e tutti i sistemi membranosi. Citoplasma: - Ialoplasma o citoplasma fondamentale→ citosol (fase otticamente vuota al M.O) Ribosomi Reticolo endoplasmatico Apparato del Golgi Lisosomi Vacuoli - Organuli → mitocondri Cloroplasti Centrioli - Inclusioni→ granuli di glicogeno Lipidi pigmenti SISTEMI MEMBRANOSI Sono tutti quei sistemi di membrane interne al citoplasma: - Reticolo endoplasmatico - Involucro nucleare: è una cisterna espansa del reticolo endoplasmatico granulare, quindi è ovvio che lo stesso Involucro nucleare rientri nei sistemi membranosi. - Apparato del Golgi Organuli che originano del sistemi membranosi sono: - lisosomi: digeriscono perché consentono enzimi litici, si staccano da quella che è la faccia cis dell’apparato del Golgi - Perossisomi: intervengono a detossificare il perossido di idrogeno. Reticolo endoplasmatico È una rete tridimensionale di cavità intercomunicanti delimitata dalla membrana unitaria. Le strutture che si vengono ad organizzare sono: Fase interna: - cisterne - tubuli - vescicole Ciascuna cisterna, ciascun sistema tubulare, ciascuna vescicola delimita: Fase esterna o matriciale, cioè la porzione della matrice. Funzioni reticolo endoplasmatico granulare (RER) - Scambi di sostanze che possono avvenire per trasporto attivo o per diffusione. - Processi di glicosilazione: processo che porta alla sintesi di glicoproteine avviene a carico dei ribosomi adesi al RER, quindi sarà il RER ad essere adibito alla sintesi di glicoproteine. Queste ultime non sono semplici proteine, non sono solo formati solo da amminoacidi, a queste proteine vengono aggiunte delle porzioni glucidiche. Questo di rimaneggiamento e di folling strutturale termina nell’apparato del Golgi, però il processo di aggregazioni di porzioni non proteiche avviene nelle cisterne del RER. I ribosomi liberi nel citoplasma non lo possono fare perché il loro compito è leggere i codoni e agganciare l’amminoacido corrispondente, quindi operano la sintesi della proteina. I ribosomi in una cellula si possono trovare sia adesi al RER (sintetizzano prodotti che devono essere glicosilati) sia liberi nel citoplasma (sintetizzano proteine, enzimi tutto ciò che è esclusivamente in forma proteica e deve rimanere nella cellula), la loro funzione in entrambi i casi è la di sintesi proteica. Differenza tra le proteine sintetizzate dai ribosomi liberi nel citoplasma e quelle proteine sintetizzate dai ribosomi adesi al reticolo è la destinazione delle proteine. L’apparato del Golgi smista in tre diverse direzioni: verso l’esterno della cellula e quindi sono prodotti di secrezione(ormoni), o li

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