Summary

This document explores the life and works of Caravaggio, a significant figure in 17th-century Italian Baroque art. It discusses his early artistic development in Lombardy, his move to Rome, and his unique style characterized by naturalism and dramatic use of light. The text also touches on the controversies surrounding Caravaggio's life and work.

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CARAVAGGIO L'ESORDIO DEL XVII SECOLO ========================= **CENTRI CULTURALI E ARTISTICI IN ITALIA** Il Seicento fu certamente un\'età assai controversa, irta di contraddizioni, segnata da luci brillanti e ombre marcate; fu secolo di guerre e di pestilenze, di inaudite violenze e atti pietos...

CARAVAGGIO L'ESORDIO DEL XVII SECOLO ========================= **CENTRI CULTURALI E ARTISTICI IN ITALIA** Il Seicento fu certamente un\'età assai controversa, irta di contraddizioni, segnata da luci brillanti e ombre marcate; fu secolo di guerre e di pestilenze, di inaudite violenze e atti pietosi, di straordinarie ricchezze e povertà drammatiche, attraversato da sensi di morte angosciosi cui si oppose il trionfo di una religione ostentata, magnificata e teatralizzata. - La Chiesa cattolica, più ancora che nel secolo precedente, cercò di sostituirsi ai grandi potentati rinascimentali ormai decaduti, ambi a dominare in ogni ambito, incluso quello artistico, di fatto proponendosi come la più importante committente d\'Europa. E tutto questo pure a costo di svuotare le proprie casse. Il quadro politico dell\'Italia seicentesca, infatti, si presentava forse stabile ma certo non brillante. Milano, ad esempio, appariva come una città florida e prospera, piena di botteghe che producevano oggetti di lusso, ma gravitava nell\'orbita un po\' ottusa della Spagna e mancava di una corte principesca che assumesse un ruolo guida nel campo della cultura. Non a caso, tale ruolo fu assunto a titolo personale da due cardinali, san Carlo Borromeo (1560-84) e suo cugino Federico Borromeo (1595-1631), che posero tutta la loro raffinata preparazione e la loro consumata abilità politica al servizio della propaganda cattolica controriformistica. Genova, città di banchieri schivi che tuttavia avevano accumulato enormi fortune, fu apparentemente poco partecipe delle controverse vicende italiane e, proiettata com\'era sui mercati internazionali, privilegio il talento di due grandi artisti fiamminghi, ossia Rubens, presente in città nel 1607, e Van Dyck, attivo a Genova negli anni 1621-22 e 1625-27. Venezia era quasi l\'unica re-pubblica, nel quadro degli stati italiani, a godere di una reale condizione di indipendenza politica; tuttavia, era gravata da una situazione economica poco incoraggiante, che la spinse a chiudersi in una politica conservatrice e isolazionista, di cui anche la produzione artistica risenti pesantemente. Il Granducato di Toscana, dopo la morte nel 1609 del granduca Ferdinando I dei Medici, influente protettore di uomini di cultura (fra cui Galilei), precipitò in una condizione di marginalità artistica del tutto irrecuperabile. - Roma, con i territori dello Stato Pontificio, segui una strada diversa, anche se i pontefici del primo Seicento non si dimostrarono mecenati dotati di grande apertura mentale. Clemente VIII Aldobrandini, papa dal 1592 al 1605, era troppo impegnato a fronteggiare possibili eretici, tanto da mandare al rogo filosofi come Giordano Bruno (1548-1600). Paolo V Borghese, suo successore dal 1605 al 1621, condannò invece, nel 1616, le teorie di Copernico (1473-1543) e diffidò Galileo Galilei (1564-1642) dal sostenerle. **DUE TENDENZE PER LA PITTURA ITALIANA.** Nonostante il clima inquisitorio, fu proprio nel primo Seicento, sotto Clemente VII e Paolo V. che Roma divenne ciò che Firenze era stata nel Quattrocento: il cuore della creatività artistica italiana. Fu nella città papale che gli indiscussi protagonisti dell\'arte seicentesca si trasferirono cercando la propria fortuna: Caravaggio da Mila-no, Carracci da Bologna, il giovanissimo Bernini, al seguito del padre, da Napoli. - Caravaggio e Annibale Carracci, pur affrontando strade diverse, condivisero la volontà di opporsi alla stagnazione artistica del Tardomanierismo, assumendo il ruolo di autentici capiscuola. Questi due pittori, infatti, segnarono il primo Seicento con l\'affermazione di due importantissime tendenze pittoriche. - Caravaggio, giunto a Roma da Milano, importò nella città papale un nuovo linguaggio figurativo improntato al più radicale naturalismo. Egli fu un personaggio molto controverso che scelse di non tenere conto delle ferree indicazioni del Concilio di Trento e animò i suoi quadri di Madonne considerate troppo carnali (come nel caso della Madonna dei Palafrenieri) e di santi apparentemente miseri e sciatti che agivano in ambienti spogli e bui. La sua pittura originalissima ebbe un successo internazionale senza precedenti e nel primo trentennio del Seicento molte scuole caravaggiste sorsero spontaneamente in Italia e in Europa. Anche i più grandi artisti europei, tra cui Rembrandt in Olanda e Velazquez in Spagna, subirono fortemente la sua influenza. - Annibale Carracci, bolognese e quasi coetaneo di Caravaggio, esordi con opere di schietta impostazione naturalista ma dopo il suo trasferimento a Roma adottò senza riserve il linguaggio della più pura tradizione classicista, privo degli eccessi, delle bizzarrie e delle deviazioni dalla regola che avevano segnato l\'esperienza del Manierismo. Pur essendo uno straordinario interprete di storia sacra, Carracci privilegio i soggetti mitologici e dipinse divinità pagane. La sua pittura fu composta, equilibrata, elegante e rigorosa e si propose, in sostanza, come una forte alternativa sia all\'esausto intellettualismo tardomanierista sia al prepotente naturalismo caravaggista. Gli allievi di Carracci, e sopra tutti Guido Reni, sostennero questo recupero del classicismo, assicurando a tale orientamento artistico una grande fortuna per tutto il XVII secolo. - Già a partire dagli anni Venti del secolo, tuttavia, prese avvio anche la grande stagione del Barocco, grazie al genio di Gian Lorenzo Bernini. VITA ==== Michelangelo Merisi (1571-1610) nacque a Milano suo padre, Permo Merisi, era il capomastro di fiducia dei marchesi Sforza, che si erano trasferiti pochi anni prima a Milano dal paesino di Caravaggio, nel bergamasco. Probabilmente Fermo era partito con i suoi datori di lavoro. Proprio dal borgo di origine del padre, Caravaggio appunto, Michelangelo prese il soprannome con il quale è ancora oggi universalmente conosciuto. - Caravaggio è uno dei pittori più controversi della storia dell\'arte occidentale. Preceduto e seguito da una fama sinistra, per secoli è stato identificato con la trasgressione stessa, con l\'idea per antonomasia del genio abbinato alla sregolatezza. Soprattutto, fu ricordato nei secoli per la sua pervicace volontà di annullare tutte le gloriose conquiste del classicismo, con un\'arte spietatamente e a volte rozzamente realista. Tutto questo è vero solo in parte. Quando giunse a Roma da Milano, Caravaggio importò un nuovo linguaggio figurativo che entusiasmò chi si intendeva di pittura e lasciò sconcertati tutti gli altri. Però, oggi possiamo affermare che egli fu anche vittima di un clamoroso caso di diffamazione. Protagonista, il primo biografo di Caravaggio, il pittore Giovanni Baglione. Questi era stato un dichiarato avversario professionale del lombardo che, a sua volta, lo aveva ridicolizzato facendo circolare per tutta Roma alcune poesie scurrili (in realtà anonime), in cui lo offendeva con una serie di insulti. Baglione prima lo querelò, poi infangò la memoria del rivale quando pubblicò, nel 1642, le sue Vite. Caravaggio, senza dubbio, alimento questa fama indecorosa con il suo carattere al tempo stesso schietto, gradasso e rissoso e una vita molto sregolata. Ma nonostante questa indole così turbolenta, volle farsi anche interprete di una parte ristretta dell\'ambiente culturale cattolico, che sollecitava per la Chiesa un recupero della semplicità delle origini: solo che lo fece ignorando platealmente le drastiche prescrizioni del Concilio di Trento in materia d\'arte. Popolò le sue tele di santi dall\'aspetto umile e dimesso, spettinati e con i piedi sporchi, giudicati poco dignitosi; inoltre, dipinse sante e Madonne con il volto, e soprattutto il corpo, di certe famose e formose prostitute di Roma, da lui assunte come modelle. Figurarsi la reazione del clero e dei fedeli che si ritrovarono quelle \"donnacce\" sugli altari. Sebbene adorato dai collezionisti più illuminati, i quali ben compresero la portata del suo messaggio culturale, Caravaggio fini con irritare le più alte gerarchie ecclesiastiche, che reputarono a dir poco pericolosa la scarsa ortodossia delle sue immagini. Alla fine, l\'artista fu costretto a scappare da Roma. OPERE ===== **LA FORMAZIONE LOMBARDA E IL TRASFERIMENTO A ROMA** Dei primi anni di vita di Caravaggio conosciamo ben poco; sappiamo che a Milano, nel 1584, appena tredicenne, il giovane artista entrò a bottega da Simone Peterzano (di cui abbiamo notizie tra il 1573 e il 1596), un pittore bergamasco. Questi non era un grande artista e sappiamo che il rapporto tra i due non fu disteso. Sicuramente, Peterzano insegnò al suo allievo i primi rudimenti, i canoni e le nozioni tecniche, a dipingere modelli, tipi di teste e loro possibili varianti stilistiche; forse lo indirizzò vero lo studio dei grandi maestri che avevano decorato le chiese e i palazzi lombardi con le loro opere. È difficile stabilirlo perché del soggiorno milanese di Caravaggio non rimangono \"tracce\" riconosciute. - Oggi la critica è concorde nel giudicare la formazione lombarda di Caravaggio fondamentale per lo sviluppo della sua pittura; guardando alla pittura del Cinquecento lombardo si può comprendere attraverso quale percorso l\'artista maturò il suo stile rivoluzionario, così attento allo studio della natura e della luce. Il suo primo modello di riferimento, come per tutti gli artisti del Nord Italia, fu senza dubbio Leonardo da Vinci, che certamente amò per il suo spiccato naturalismo, i morbidi chiaroscuri, l\'assenza di intellettualismo filosofeggiante. Dai pittori bresciani, operanti nell\'area orientale della regione, come Moretto e Moroni, Caravaggio trasse l\'attenzione per la realtà quotidiana, la religiosità priva di enfasi, l\'attenzione per gli effetti luministici e cromatici, quella sensibilità naturalistica tesa a cogliere la realtà delle cose che segnò tutta la sua opera successiva. In particolare, di Moretto dovette apprezzare la capacità di rendere le sacre rappresentazioni come scene immediate e spontanee; di Savoldo, invece, Caravaggio studiò la definizione della luce negli interni e i suggestivi esperimenti sul notturno. Non è escluso che, negli anni della sua formazione, Merisi abbia intrapreso alcuni viaggi di istruzione fuori dell\'area ristretta di Milano, per recarsi a Mantova, dove si trovavano i capolavori di Mantegna e di Giulio Romano, maestri negli scorci e nelle prospettive, e forse a Venezia, città di Giorgione e di Tiziano. Sicuramente, il giovane artista guardò anche al cremonese Vincenzo Campi, dal quale trasse il gusto per le nature morte e per i quadri di genere. - [IL BACCHINO MALATO:] Caravaggio rimase a Milano almeno fino al 1592 e, secondo alcuni documenti appena scoperti, si trasferì a Roma nel 1595, all\'età di 24 anni: dunque da uomo adulto e da artista già formato. A Roma, fu subito notato: piuttosto bello, di corporatura robusta, occhi e capelli scuri, aria strafottente e accento marcatamente lombardo. Iniziò a frequentare lo studio del collega siciliano Lorenzo Carli. Poi approdò alla bottega del coetaneo Cavalier d\'Arpino, l\'erudito pittore così apprezzato da Clemente VII, con il quale litigò quasi subito. Risale a questi mesi la realizzazione di una delle primissime opere romane di Caravaggio, il cosiddetto Bacchino malato. Il titolo del dipinto è stato attribuito dalla critica, a causa del colorito verdastro del volto di Bacco, che non sembra affatto godere di buona salute, e del suo sorriso tirato e malinconico, quasi una smorfia di dolore fisico. Il giovane dio tiene un grappolo d\'uva in mano e ha il capo coronato di edera. Accanto a lui, sul tavolo di pietra, notiamo due pesche e altra uva, dipinte con invidiabile precisione. Uva e edera sono simboli cristologi-ci. È dunque possibile riconoscere in questo triste ragazzo anche un giovane Cristo. Secondo la tradizione storiografica, inoltre, Caravaggio si sarebbe autoritratto nelle vesti di questo Bacco, subito prima di essere ricoverato presso l\'ospedale della Consolazione (l\'ospedale dei poveri) per una ferita alla gamba. Ciò spiegherebbe l\'aspetto emaciato. Il Bacchino malato, quindi, testimonia che l\'artista amò da subito nascondere significati complessi dentro immagini fedelmente ispirate dalla realtà, scrutata con occhio lucido e riproposta per quello che è (il cosiddetto \"realismo caravaggesco\"). È chiaro infatti che, nel dipingere questo Bacco-Cristo, Caravaggio ritrasse il modello, o sé stesso allo specchio, senza alterare ciò che vedeva. Il Bacchino malato, in conclusione, presenta più livelli interpretativi e in questo sta il suo fascino: è insieme un ritratto, un dipinto mitologico e un\'allegoria sacra - [IL RAGAZZO CON CANESTRO DI FRUTTA]: Il protagonista del Ragazzo con canestro di frutta, realizzato (come il precedente) nella bottega di Arpino, è un anonimo ragazzo di strada. Il soggetto è ancora più difficilmente classificabile del Bacchino malato. Non è un ritratto vero e proprio, sebbene certamente Caravaggio si sia servito di un modello, e non è una vera e propria scena di genere, perché il giovane non sta effettivamente compiendo un\'azione. Egli si limita a guardare verso l\'osservatore, con la testa leggermente reclinata, lo sguardo un po\' perso, la bocca appena dischiusa, i capelli neri scompigliati, mentre la candida camicia scivola da una parte lasciando scoperta una spalla. Già all\'epoca, l\'atteggiamento apparentemente ambiguo dell\'adolescente fu oggetto di maldicenze e il quadro fu liquidato come il ritratto di uno dei tanti \"ragazzi di piacere\", dediti alla prostituzione, che secondo i pettegoli frequentavano l\'artista. Oggi alcuni storici dell\'arte non concordano con questa interpretazione. C\'è chi intravede una seconda possibilità: il ragazzo potrebbe essere, come il Bacchino malato, una allegoria di Cristo che ci offre \"i frutti\" della grazia divina, rappresentati, concretamente, sotto forma di rigogliosa natura morta. L\'espressione soave del giovane (che probabilmente sta cantando) pare infatti evocare la tematica dell\'Amore, in relazione al Cantico dei Cantici, un libro del Vecchio Testamento che recita: «Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille. Il suo capo è oro, oro puro, i suoi riccioli grappoli di palma, neri come il corvo. I suoi occhi, come colombe, su ruscelli d\'acqua». Il \"diletto\" del Cantico dei Cantici è proprio identificato con Gesù. E questo spiegherebbe perché il cardinale Ottavio Pallavicino, nel 1603, avesse definito quadri come questo «a mezzo tra il devoto e il profano». - Lasciata la bottega di Arpino, il giovane artista si dette un gran da fare per cercar lavoro e soprattutto acquirenti. Trovò protezione presso il colto e illuminato cardinale Francesco Maria Del Monte (1549-1627), che nel 1596 volle persino ospitarlo per alcuni mesi a casa sua. Fu proprio il cardinale Del Monte a metterlo in contatto con i primi collezionisti, i Crescenzi, i Mattei, i Giustiniani. Per loro Caravaggio dipinse nature morte, scenette tratte dalla vita quotidiana e soprattutto ritratti di giovani presi dal vero, mostrati in posa o impegnati a suonare strumenti musicali. Si dice che per dipingere questi ragazzi di florida bellezza, languidi e spavaldi a un tempo, Caravaggio abbia chiesto ai suoi giovani amici di posare per lui. Per Del Monte, invece, l\'artista dipinse il suo celebre Bacco -\> [IL RAGAZZO MORSO DAL RAMARRO:] ci mostra lo stesso modello del Ragazzo con canestro di frutta, stavolta nelle vesti di un giovane incauto, morso dal piccolo rettile che si nascondeva in un mucchietto di ciliegie. Come in un\'istantanea fotografica, il ragazzo è colto mentre ritrae la mano, con espressione di spavento misto a disgusto e sofferenza. È piuttosto evidente che l\'animale simboleggia l\'insidia che si nasconde nella bellezza della vita e della natura, il dolore che è sempre in agguato. Il dipinto fu straordinariamente apprezzato, per la resa del movimento repentino e soprattutto per il virtuosismo con cui Merisi seppe rappresentare la rugiada sui fiori e la boccia d\'acqua in cui si riflette una finestra e al cui interno affondano i gambi delle rose. Non a caso, a conferma del grande successo incontrato, di quest\'opera si conoscono varie repliche (una delle quali, autografa dell\'artista, è a Londra, alla National Gallery). L\'aspetto effeminato del ragazzo, il suo sbigottimento un po\' affettato, il movimento della sua spalla scoperta e il fiore tra i capelli hanno spinto alcuni biografi seicenteschi a ritenere che questo modello, come altri ritratti da Caravaggio, fosse un amante dell\'artista. Ma come scrive lo storico dell\'arte Maurizio Calvesi, «la presunta omosessualità del Caravaggio, utile ad aggiungere un tocco al quadro del suo \"maledettismo\", è probabilmente solo un abbaglio; e questo discende da una discutibile esegesi di alcuni dipinti del primo periodo romano, che presentano figure effeminate o ritenute provocanti». Gli splendidi inserti di fiori e frutta che si possono ammirare in questi primi dipinti divennero subito connotativi della pittura caravaggesca. D\'altro canto, Caravaggio sosteneva il principio secondo il quale un artista deve saper imitare bene ogni soggetto naturale, che «tanta manifattura gli è a fare un quadro buono di fiori come di figure». Uomini e oggetti, e dunque tutti i generi pittorici, avevano pari dignità ai suoi occhi. - Proprio del genere della natura morta, Caravaggio fu un convinto sostenitore. Molti suoi dipinti giovanili furono grandemente apprezzati dai collezionisti per i particolari con fiori, frutta, oggetti, strumenti musicali riprodotti con straordinario virtuosismo. -\> [LA CANESTRA DI FRUTTA], dipinta da Caravaggio nel 1599 (secondo alcuni, un paio d\'anni prima), fu acquistata dal cardinale Federico Borromeo forse direttamente a Roma, quando andò in visita dal cardinale Del Monte. In quest\'opera, ogni frutto è riprodotto con fedeltà assoluta. I chicchi d\'uva hanno la loro caratteristica patina opaca, i fichi mostrano una buccia spessa e rugosa, la mela, sebbene già bacata, presenta una superficie lucida e compatta. Alcune foglie sono turgide, altre avvizzite. Tutta l\'immagine, inoltre, suggerisce un effetto marcatamente tridimensionale, esaltato dallo sfondo uniforme: si noti come Caravaggio fa sporgere appena il canestro dalla superficie del tavolo, in modo da lasciargli proiettare un\'ombra; sicché l\'osservatore percepisce il suo spazio invaso e ha come la sensazione che il cestino gli stia cadendo addosso. È possibile cogliere in questa immagine un significato allegorico. Il tema affrontato da Caravaggio sarebbe quello del memento mori, cioè dell\'esortazione a ricordare che tutto passa e che la morte incombe: come denunciano la mela bacata e la foglia avvizzita, infatti, la vita si corrompe in fretta e il tempo, fatalmente, la consumerà. - [IL BACCO DI CARAVAGGIO:] nel 1597, il cardinale Francesco Maria Del Monte, grande estimatore del talento di Caravaggio, commissionò all\'artista un quadro da inviare a Ferdinando I dei Medici, in occasione del matrimonio di suo figlio, Cosimo II. L\'opera, che oggi si può ammirare agli Uffizi, è una rappresentazione tanto bella quanto originale di Bacco, il dio romano del vino e dell\'ebbrezza. Il Bacco di Caravaggio presenta il dio sdraiato su un letto a triclinio posto accanto a un tavolo, dove trionfa un cestino di ceramica pieno di frutta: una mela, fichi, pere, una pesca, una mela cotogna, un grappolo d\'uva che sporge e si adagia sul piano e un melagrana. Bacco rivolge lo sguardo all\'osservatore e gli mostra un delicato calice di vetro colmo di vino rosso, appena versato da una bottiglia di vetro posta li a fianco. Nel dipingere il Bacco, Caravaggio avrebbe dovuto affrontare il tipico soggetto mitologico secondo la buona tradizione rinascimentale. Guardando il dipinto con maggiore attenzione, invece, è facile identificare particolari che non hanno alcuna relazione con l\'antica iconografia del dio. Ad esempio, un vecchio materasso a righe è stato ripiegato per simulare l\'antico triclinio. Il giova-ne, che appare ben lontano dall\'essere una classica figura idealizzata, ha le unghie sporche; le sue guance arrossate e la presa malferma del calice (che genera pericolose increspature sulla superficie del vino) sembrano tradire un certo stato di ebbrezza. Anche la frutta non eccelle per qualità: la mela è bacata, la mela cotogna è ammaccata, la pesca è mezza marcia. Verrebbe da dire che Caravaggio non volle raffigurare Bacco ma un normale ragazzo di strada travestito da Bacco, un trasgressivo adolescente, con la chioma bruna coronata da tralci rosseggianti di vite e grappoli d\'uva, che si è buttato addosso un vecchio lenzuolo bianco a imitazione delle vesti antiche. Il vero soggetto del dipinto sarebbe, insomma, la semplice rappresentazione di una carnevalata. Caravaggio, prendendosi gioco della gloriosa tradizione classica e rinascimentale, facendosi beffa del pubblico, avrebbe ritratto un suo amico mezzo brillo, chiedendogli di tenere in mano un bicchiere di vino e posando davanti a lui della frutta un po\' ammuffita. A quell\'epoca, almeno, in molti la pensarono così. Anche oggi questa lettura dell\'opera mantiene molti sostenitori. Tuttavia, ci sono studiosi che hanno proposto una interpretazione ben differente. La chiave di lettura per comprendere il vero significato dell\'opera sarebbe da individuare nel fiocco nero che il ragazzo tiene in mano, il quale non ha alcun legame con la tradizionale iconografia del dio. Perché mai Caravaggio avrebbe dovuto dipingere in questo quadro un simbolo di morte, l\'annuncio di un evento luttuoso? E la frutta decomposta con le foglie secche non allude forse, a sua volta, al potere corruttore del tempo, alla vita che finisce? In altre parole, forse quel giovane non dev\'essere identificato in Bacco e probabilmente neppure in un qualunque ragazzo di strada. Il dipinto potrebbe essere, come già il Ragazzo con canestro di frutta, la coltissima metamorfosi poetica di un tema sacro, e alludere, ancora una volta, proprio alla figura di Cristo. Anche la presenza del melagrana, tradizionale simbolo della Passione e resurrezione di Gesù, avvalorerebbe questa ipotesi. Ecco allora quale potrebbe essere il segreto che per secoli il pregiudizio avrebbe tenuto nascosto: il calice di vino rosso che il ragazzo ci sta porgendo (e non semplicemente mostrando) non è un invito a far baldoria ma l\'evocazione del mistero eucaristico. **I DIPINTI ETICI** Alla fine del 1596, Caravaggio espose nella vetrina di qualche bottega romana due quadri da cavalletto, la Buona ventura e I bari, che attirarono l\'attenzion del cardinale del Monte. Il prelato li acquistò immediatamente, iniziando il suo lungo e fortunato rapporto con il pittore, come già accennato. Si tratta di due scene di genere, prese dalla strada, in cui si coglie un intento morale di condanna dell\'inganno amoroso e del vizio del gioco. - Il soggetto della [BUONA VENTURA] è quello di uno sprovveduto giovane ben abbigliato, cui una zingara furba e seducente sta leggendo la mano e nel frattempo sfilando l\'anello dal dito. Lei lo guarda maliziosamente sorniona; lui la osserva spavaldo e pavoneggiante, convinto di aver fatto colpo. Questo gioco di sguardi lega i due personaggi, sospesi in un momento di muta e sensuale immobilità. Mai si era visto nulla di simile in Europa, e difatti il quadro avrebbe esercitato una influenza immensa, ancora nell\'Ottocento. Caravaggio stesso, che aveva venduto il dipinto per pochi soldi, decise di produrne una seconda versione, oggi al Louvre. - Altrettanta fortuna ebbe il dipinto con [I BARI], un soggetto che sarebbe stato riproposto da molti altri pittori, negli anni a seguire, e in decine di ver-sioni. L\'opera mette in scena una truffa: esercita dunque una funzione morale, esortando alla virtù (bisogna vigilare, perché l\'inganno è sempre in agguato). Un ingenuo e benestante ragazzino, elegantemente vestito di nero, gioca a carte con un suo coetaneo dagli abiti sgargianti: un poco di buono, come testimonia il pugnale alla cintura. Questi, seguendo le indicazioni del compare, sfila da dietro la schiena una carta che gli servirà per vin-cere. Caravaggio, nonostante la giovane età, sa rivelare come pochi le personalità dei suoi personaggi, facendo ricorso a una semplice alzata di sopracciglio, al movimento di una mano, alla sospensione di un gesto. Inoltre, non si può che ammirarne lo straordinario talento: la qualità pittorica di questo capolavoro è frutto di una tecnica eccellente, già padroneggiata con assoluta sicurezza. **I PRIMI DIPINTI SACRI** - Durante i primi anni della sua carriera romana, Caravaggio non solo produsse nature morte e quadri \"profani\", ma affrontò anche temi religiosi, pur interpretando le tradizionali iconografie in modo del tutto personale. Infatti, anche i suoi soggetti di storia sacra furono concepiti come scene di genere. Gesù, la Madonna e i santi vennero presentati come persone normali, raffigurati mentre compivano azioni che apparivano semplici, ordinarie, quotidiane. Era un modo per calare la religione in una dimensione di realtà, per accorciare le distanze che ci separano da questi personaggi divini, nella consapevolezza che prima di diventare santi essi furono uomini come noi. -\> IL [RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO], del 1597, è in questo senso già rivoluzionario. Il tema della fuga in Egitto faceva parte della tradizione pittorica italiana ma normalmente prevedeva che la Sacra Famiglia fosse mostrata in cammino, con la Madonna e il Bambino sull\'asino e san Giuseppe a piedi. Qui invece Caravaggio immaginò Maria, Giuseppe e Gesù che, stremati dal viaggio, si fermano a riposare accanto a un fiume, presso un bosco di querce e pioppi, uno dei pochi paesaggi dipinti da Caravaggio. Tutta la scena è pervasa da una estrema dolcezza. La Madonna si è addormentata con il bambino in braccio, un po\' inclinata in avanti, in una posa instabile ma naturalissima. Giuseppe invece veglia, a protezione della sua famiglia. Si capisce benissimo che gli fanno male i piedi e che sta cascando dal sonno. Eppure, rinuncia al riposo ristoratore per vegliare sulla sposa e sul bambino: custode della loro incolumità, si comporta come solo un vero padre può fare. D\'altro canto, secondo sant\'Agostino, «Giuseppe è padre non per virtù della carne ma della carità. Così, dunque, egli è padre e lo è realmente». Un angelo esile e bellissimo, dalla carnagione candida e dalle grandi ali di rondine (e dai profili singolarmente femminili), suona il violino per tenergli compagnia. Giuseppe, con un gesto di cortesia, gli tiene lo spartito e lo guarda, con espressione umile e stupita, non meno dell\'asino alle sue spalle che sembra chiedersi da dove sia sbucato quel curioso giovanotto. Mirabili i particolari della scena, come i sassi in primo piano, il fiasco tappato con uno straccio o ancora il lucente occhio scuro dell\'asino e le piante che circondano Maria (l\'alloro, la canna, il rovo, il cardo e il tasso barbasso), le quali richiamano simbolicamente l\'azione salvifica dell\'incarnazione, morte e resurrezione di Cristo. Alcuni musicologi hanno riconosciuto nello spartito musicale un mottetto dedicato alla Vergine, composto nel 1519 dal musicista franco-fiammingo Noel Baulduin sul tema del Cantico dei Cantici. Al Libro veterotestamentario rimandano altri elementi del dipinto come i capelli della Madonna, che sono rossi («Le chiome del tuo capo sono come la porpora del re»), e il suo sonno, che richiama un versetto recitato dalla Sposa: «io dormo, ma il mio cuore veglia». Una piccola nota: l\'angelo di Caravaggio ricorda molto un\'altra figura di spalle, dipinta due anni prima dal classicista (e rivale) Annibale Carracci nel suo Ercole al bivio. Un\'attestazione di stima, da parte di Merisi, che merita di essere ricordata. - [LA MADDALENA:] Nello stesso anno del Riposo, Caravaggio affrontò anche il soggetto della Maddalena, proponendolo, ancora una volta, secondo una nuova iconografia. Una secolare tradizione voleva che la santa fosse rappresentata o disperata ai piedi della croce oppure penitente e macilenta nel deserto. Qui invece vediamo una piacente ragazza del popolo, chiaramente una prostituta, che si è accasciata su una piccola sedia, posta al centro di una povera stanza. Indossa vestiti fastosi e assai contrastanti con l\'umile ambiente in cui è ritratta, e sappiamo che nel XVI secolo le prostitute portavano abiti vistosi per attirare i loro clienti. La donna si è strappata i gioielli dal collo, gettandoli sul pavimento, accanto alla sua ampolla di olio profumato, e sembra essersi addormentata: invece, rimasta sola dopo aver svolto il suo triste lavoro, sta piangendo, come testimonia una piccola lacrima che le brilla sulla guancia destra. Caravaggio non volle nascondere che la Maddalena, prima di convertirsi, era stata una prostituta (così vuole la tradizione cristiana) e, coerentemente, decise di rappresentarla come tale. Anzi, per essere più credibile scelse come modella una prostituta vera: Anna Bianchini, detta Annuccia. Ovviamente, una simile decisione non poteva che scandalizzare i benpensanti, che accusavano Caravaggio di essere blasfemo: ma l\'artista, che sicuramente amava sfidare ogni convenzione clericale, concepì una immagine profondamente intima e discreta, di una valenza poetica altissima, con la quale espresse una religiosità davvero intensa. La Maddalena di Caravaggio, infatti, non è una \"santa\", ma una \"peccatrice\" che divenne santa, perché seppe pentirsi ed ebbe fede: e in ciò possiamo cogliere una provocatoria volontà di riportare il sacro a misura d\'uomo. L\'artista, che ben conosceva il Vangelo, sembra voler ricordare una celebre frase di Gesù: «Ebbene, vi assicuro che ladri e prostitute vi passano avanti ed entrano nel regno di Dio» (Mt., 21, 31. Nel 1672, l\'opera fu descritta da Giovanni Pietro Bellori (1613-1696), uno storico dell\'arte e biografo di Caravaggio, con queste parole: l\'artista «dipinse una fanciulla a sedere sopra una seggiola con le mani in seno, in atto di asciugarsi i capelli, la ritrasse in una camera, et aggiungendovi un vasetto d\'unguenti, con monili e gemme, la finse per Maddalena». Bellori, insomma, sostiene che il quadro non nacque programmaticamente come rappresentazione del personaggio evangelico. A Caravaggio, sembra dirci il letterato, interessava dipingere la realtà quotidiana; solo in seguito l\'artista attribuiva alle sue opere un significato allegorico di natura religiosa, magari per venderle più facilmente. A lungo gli studiosi hanno dato credito a questa interpretazione dell\'arte caravaggesca, che oggi, però, è stata del tutto superata. - [IL SACRIFICIO DI ISACCO:] Tra il 1598 e il 1601, il cardinale Maffeo Barberini (futuro papa Urbano VIII e grande committente di Bernini) commissionò a Caravaggio una tela con il Sacrificio di Isacco. L\'opera, come già il Riposo durante la fuga in Egitto, è una delle rare tele dell\'artista in cui sia presente un paesaggio sullo sfondo. Il vecchio Abramo tiene la testa del figlio schiacciata contro un masso, premendogli la guancia con il pollice. Sta per affondargli la lama di un coltello nella gola, con la stessa decisione con cui era so lito uccidere i suoi agnelli. Un angelo gli afferra saldamente il polso, impedendogli di eseguire l\'ordine divino, e indica il montone che dovrà sostituire il ragazzo. Isacco (che qui ha il volto di Cecco Boneri, il modello preferito di Caravaggio), nel frattempo cerca di divincolarsi, tende la testa e grida terrorizzato. Si noti come l\'animale sembri interrogare Abramo con lo sguardo, nel vano tentativo di comprendere il senso di quella violenza. Inoltre, la contiguità fra esso e il ragazzo determina un\'associazione diretta fra le due vittime. - [LA DECAPITAZIONE DI OLOFERNE:] Risale al 1599 la Decapitazione di Oloferne, una tela di straordinaria potenza espressiva. Il tema dell\'opera non era nuovo, anzi era stato già affrontato nel Rinascimento, e da artisti del calibro di Donatello, Mantegna, Giorgione, Botticelli e Michelangelo; nessuno di questi, tuttavia, si era mai spinto a rappresentare l\'episodio biblico per quello che era, cioè un brutale assassinio compiuto a sangue freddo, sia pure per amor di patria. Caravaggio vi dipinse Giuditta intenta a staccare la testa dal collo della sua vittima: lentamente, maldestramente ma con decisione. L\'uomo, colto di sorpresa, contrae il corpo nudo, cerca di divincolarsi, afferra convulsamente il lenzuolo, strabuzza gli occhi e apre la bocca in un rantolo, mentre un fiotto di sangue sprizza violento dalla sua giugulare recisa. La vecchia serva, che assiste impietrita alla scena, tiene aperto il sacco, destinato a nascondere il macabro trofeo, cioè la testa del generale. Il quadro lasciò sbigottito il pubblico dell\'epoca e molti rimasero inorriditi: in pittura, e soprattutto nell\'arte sacra, rappresentare la morte nella sua più bieca crudeltà non era considerato decoroso. Un\'altra fonte di scandalo fu l\'aspetto della bella e seducente Giuditta, per dipingere la quale Caravaggio scelse a modella una famosa prostituta di Roma, Fillide Melandroni, che aveva già ritratto due anni prima nelle vesti di santa Caterina d\'Alessandria. **LE TELE PER LA CAPPELLA CONTARELLI** Nel 1599, il cardinale Del Monte procurò a Caravaggio il suo primo impegno ufficiale: la decorazione della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma. Il francese Mathieu Cointrel, italianizzato in Matteo Contarelli, aveva acquistato nel 1565 questa piccola cappella e aveva progettato di decorarla con Storie di san Matteo, l\'apostolo di cui portava il nome. Alla sua morte, però, 1 lavori dovevano ancora iniziare. Consigliati da Del Monte, gli esecutori testamentari di Contarelli si rivolsero a Caravaggio e gli commissionarono due grandi tele, con la Vocazione di San Matteo e il Martirio di San Matteo. L\'impresa si rivelò subito tutt\'altro che semplice: sino ad allora Caravaggio aveva dipinto quadri con due, tre, quattro personaggi al massimo: non si era mai cimentato con scene complesse come queste, così piene di figure che agiscono, esprimendo stupore, paura o sdegno. Inoltre, le tele, ampie oltre 10 metri quadrati, erano oggettivamente assai più grandi di quelle che l\'artista aveva sino ad allora affrontato. Ciò nonostante, Caravaggio fu all\'altezza della sua fama. - [LA VOCAZIONE DI SAN MATTEO] ricorda il momento in cui Gesù convinse Matteo, un ebreo che faceva l\'esattore delle tasse per conto dei Romani, a lasciar tutto e a seguirlo, per diventare suo apostolo. Caravaggio immagina l\'episodio all\'interno di un ambiente seicentesco, probabilmente una taverna, dove cinque uomini vestiti secondo la moda dell\'epoca sono seduti attorno a un tavolo e contano del denaro. Da destra, irrompono improvvisamente due estranei abbigliati all\'antica, facilmente identificabili con Gesù e Pietro. O forse erano già dentro e stanno uscendo dal locale, come sembra suggerire la posizione dei piedi di Cristo. Entrambi indicano l\'uomo seduto al centro, chiaramente Matteo, che stupito porta una mano al petto come a voler rispondere: \"Dici a me?\". È giusto un attimo cruciale, quello che Caravaggio riesce a cogliere: l\'attimo dell\'esitazione, del dubbio, in cui l\'uomo deve decidere se rispondere sì o no. Pietro, che riproduce il gesto di Cristo, ma più debolmente, con atteggiamento più incerto, non è citato dai Vangeli: per quanto ne sappiamo, non era neppure presente. Eppure, l\'artista volle inserirlo nella scena, come a dire che la Chiesa deve avere un ruolo fondamentale nell\'azione salvifica di conversione. Altri pittori, prima di Caravaggio, avevano ambientato episodi del Nuovo Testamento nella propria città e nella propria epoca: pensiamo solo a Masaccio della Cappella Brancacci o a Veronese delle grandi tele con i banchetti. Ma nessuno, come Caravaggio, seppe raffigurare l\'episodio sacro trasferendolo così bene in un quotidiano che i suoi contemporanei avrebbero potuto perfettamente riconoscere, grazie agli abiti, ai cappelli piumati, agli oggetti (le monete, la penna, il calamaio, il libro aperto\], allo stesso locale. Attualizzandolo, egli seppe rendere universalmente valido l\'evento biblico. Apparentemente, a Caravaggio non interessava tanto dipingere Cristo che chiamò con sé un gabelliere di Cafarnao ai tempi dell'Impero Romano, quanto riflettere sul fatto che Dio, in qualunque momento, in qualunque posto, può chiamare a sé un uomo qualsiasi, anche un peccatore, anzi proprio un peccatore. Osserviamo, ancora, che altri due personaggi, il giovane gagliardo dalle maniche a strisce visto di spalle e il signorino dalla giubba gialla e rossa, si voltano verso il Redentore: forse anche loro sono pronti ad accogliere l\'offerta di salvezza. Gli altri due, all\'estrema sinistra, restano invece sordi e indifferenti alla voce di Gesù. Dio chiama, sta poi all\'uomo rispondere: questo sembra volerci dire l\'artista. Il profondo significato dell\'opera, il valore provvidenziale della parola di Cristo, sono svelati dal fascio di luce che squarcia il buio della stanza, dirigendosi al volto di Matteo e diventando il vero motore della scena. Anche volendo immaginare che alle spalle di Gesù si trovi una finestra aperta, ci appare chiaro che quella luce è di origine divina, è il simbolo della Grazia che redime gli uomini. Di grande interesse è infine la composizione dell\'opera. Si noti come i due gruppi di protagonisti (gli uomini seduti a sinistra, Cristo e Pietro in piedi a destra) sono chiaramente distinti ma raccordati dal braccio di Gesù, collocato nello spazio vuoto. Il gesto di Cristo deriva da un notissimo archetipo del Rinascimento: lo ritroviamo infatti nel Tributo, dipinto da Masaccio nella Cappella Brancacci a Firenze, e soprattutto nella scena della Creazione di Adamo, realizzato da Michelangelo per la volta della Cappella Sistina. È questa una dimostrazione che Caravaggio non ignorava completamente i modelli dei grandi artisti del passato. Anzi, le sue figure e le sue composizioni sottintendono una profonda conoscenza della scultura classica e della pittura cinquecentesca: una conoscenza che l\'artista, tuttavia, amò sempre dissimulare. - [IL MARTIRIO DI SAN MATTEO:] La scena del Martirio di San Matteo è più complessa della Vocazione: ha infatti un carattere brutale che la rende più simile a un assassinio che a un martirio. Gli esami radiografici hanno rivelato che il quadro conteneva ben due versioni precedenti a quella finale, poi cancellate nella ricerca di una composizione più soddisfacente. Tale scoperta ha in parte confermato le notizie delle fonti, secondo le quali Caravaggio dipingeva direttamente sulla tela, senza cartoni preparatori, se si escludono schizzi e bozzetti con cui l\'artista usava presentare il progetto ai suoi committenti, poi disgraziatamente perduti. La prima versione presentava una composizione piuttosto classica, con il fondo dominato da un tempio e il soldato che, assumendo la stessa posa dell\'angelo del Riposo durante la fuga in Egitto, irrompeva al centro della scena quasi sovrapponendosi a san Matteo. Già la seconda versione si presentava più articolata e i gesti dei personaggi acquistavano maggior vigore. Nella versione definitiva, quella che oggi vediamo, l\'esecuzione del santo è presentata quasi come un delitto di strada ed è ambientata all\'interno di una struttura architettonica che ricorda quella di una chiesa, come attesta la presenza di un altare con la croce. Caravaggio, dunque, decise di attenersi alla Leggenda Aurea secondo la quale san Matteo sarebbe stato assassinato dopo una celebrazione eucaristica. Tutti i personaggi sembrano disposti sopra il palcoscenico di un teatro, un espediente che Caravaggio amava adottare per aumentare il páthos della raffigurazione e coinvolgere maggiormente gli spettatori. Al centro della scena il vecchio santo, sorpreso mentre battezzava alcuni uomini sul bordo di una grande vasca, è già stato colpito e ferito dal suo carnefice, un robusto giovane mezzo nudo che sicuramente si era introdotto nel gruppo fingendosi cristiano. Matteo, caduto per terra, alza una mano in cerca di difesa: la stessa mano nella quale un elegantissimo angelo adolescente si precipita a porre la palma del martirio. Lo sguardo della vittima e quello del suo assassino, che gli sta sferrando il colpo mortale, s\'incontrano in un istantaneo, muto colloquio. Come già nella Vocazione, un fascio di luce colpisce violentemente uno dei protagonisti, in questo caso l\'aguzzino, che per certi versi è presentato dall\'artista come il vero protagonista dell\'opera: è infatti soprattutto sui peccatori che si posa lo sguardo misericordioso di Dio. Tutto intorno, i testimoni dell\'omicidio si ritraggono spaventati, i loro movimenti denunciano apertamente il terrore e l\'orrore, un ragazzino fugge in preda al panico. Sono i \"moti dell\'anima\", cui tanta importanza aveva dato Leonardo. E in effetti, c\'è qualcosa, nella concitazione dei gesti e nella multiforme varietà delle espressioni, che rimanda alla Battaglia di Anghiari. Riconosciamo nel gruppo anche Caravaggio, ritrattosi sul fondo a sinistra; lo sguardo sconfortato dell\'artista è la più efficace testimonianza del suo profondo pessimismo esistenziale. - [SAN MATTEO E L\'ANGELO:] Nel 1602, stipulando un nuovo contratto, Caravaggio si impegnò a dipingere un terzo quadro, destinato stavolta all\'altare della Cappella. Il soggetto concordato era quello di San Matteo e l\'angelo, in cui l\'evangelista doveva mostrarsi intento a scrivere il proprio Vangelo. Caravaggio rispettò i tempi ma i frati, vista l\'opera ultimata, la rifiutarono. Matteo, infatti, vi appariva come un vecchio impacciato, imbarazzato, persino un po\' stupido, vestito come il ricoverato di un ospizio e seduto con le gambe e i piedi nudi in primo piano: piedi che sarebbero risultati sbattuti in faccia allo spettatore e soprattutto al prete che a quell\'altare celebrava messa. Per di più, un giovane angelo, piuttosto sensuale, e molto effeminato, si accostava all\'apostolo per guidargli la mano in-certa, aiutandolo materialmente nelle operazioni di scrittura. Troppo, per la mentalità dell\'epoca. Il dipinto fu dunque rispedito al mittente, con grande scandalo e con profondo disappunto dell\'artista (che tuttavia lo rivendette subito al marchese Vincenzo Giustiniani, un altro dei suoi autorevoli mecenati). Questo quadro, un tempo conservato a Berlino, è stato purtroppo distrutto durante la Seconda guerra mondiale: ne resta solo una foto in bianco e nero. Caravaggio dovette ridipingere il san Matteo. Nella seconda versione, che invece fu accettata e che si trova ancora oggi al suo posto, l\'artista si adeguò alla norma. L\'evangelista è infatti rappresentato come un vecchio filosofo vestito da capo a piedi, mentre il messaggero divino, che volteggia sopra di lui, gli ricorda quali sono i concetti principali da tenere a mente. Certo, la posa del santo, mostrato inginocchiato sopra una panchetta come uno studente maleducato, non è propriamente ortodossa, ma forse i frati non ne furono troppo turbati. All\'osservatore attento non sfugge però un particolare: il sedile su cui si appoggia il ginocchio di Matteo ha una gamba fuori dal pavimento. Questo dettaglio suggerisce l\'irriverente possibilità che il vecchio apostolo stia capitombolando per terra. **LE TELE PER LA CAPPELLA CERASI** Nel luglio del 1600, monsignor Cerasi, tesoriere di Clemente VIII e amico del cardinale Borromeo, acquistò una piccola cappella nella Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma, destinandola alla sua sepoltura. Affidò la ristrutturazione architettonica del vano a Carlo Maderno, in quegli anni il miglior architetto di Roma; per la sua decorazione, invece, contattò i due pittori più famosi della città: Annibale Carracci e Caravaggio. Ad Annibale commissionò la pala d\'altare con l\'Assunta, mentre a Caravaggio richiese i due quadri su tavola per le pareti laterali, con la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo. Caravaggio fu come sempre assai rapido nell\'eseguire il lavoro: fin troppo, giacché al momento della consegna i lavori di ristrutturazione della cappella erano ancora in corso. Cosicché, gli fu chiesto di tenere le due tavole nel suo studio ancora per un po\'. Intorno a questi due dipinti si è creato una sorta di giallo: siamo infatti certi che non furono mai appesi alle pareti cui erano destinati. Al loro posto si trovano due tele con il medesimo soggetto, che Caravaggio realizzò in sostituzione delle prime. Probabilmente, il pittore chiese alla famiglia Cerasi il permesso di ridipingere i quadri, approfittando del tempo guadagnato. La prima Conversione di San Paolo è conservata a Roma, presso la Collezione Odescalchi Balbi; la prima versione del dipinto con san Pietro è invece andata dispersa. - [LA CONVERSIONE ODESCALCHI:] La prima Conversione di San Paolo presenta il celebre episodio, tratto dagli Atti degli Apostoli, attraverso una composizione molto affollata e tumultuosa. Sappiamo che Paolo non conobbe Gesù, anzi, come tanti altri ebrei, avversò il nascente cristianesimo. Mentre era in viaggio per la città di Damasco, all\'improvviso vide una luce dal cielo e cadendo a terra udì la voce di Cristo che gli dice-va: «perché mi perseguiti?». Fu così che credette e si fece battezzare. Nella tavola di Caravaggio, in un gran turbinio di figure, Cristo, a stento trattenuto da un angelo adolescente, piomba dall\'alto sulla scena, confondendo il vecchio armigero che, disorientato, si difende puntando istintivamente la sua lancia contro un nemico per lui invisibile. Paolo, scalzato dal cavallo imbizzarrito, precipita a terra e con le mani si scherma gli occhi feriti dalla luce divina. Caravaggio aveva adottato un modello di riferimento assai autorevole: la Conversione di San Paolo di Michelangelo, affrescata nella Cappella Paolina. Le due opere hanno infatti in comune la posizione e anche la fisionomia del santo, così come la figura di Cristo che piomba dall\'alto. Caravaggio, tutta-via, volle enfatizzare questa presenza divina, trasformandola in uno scontro quasi fisico. Baglione scrisse che l\'opera fu rifiutata dalla famiglia Ce-rasi, ma davvero non si comprende cosa potesse offendere i committenti: forse la figura di Paolo, mostrato avanti negli anni ma con il corpo seminudo di un giovane atleta; forse il Cristo irruente e aggressivo, troppo fisico, anzi cosi tangibile da spezzare il ramo di un albero mentre si fionda sulla scena; o forse quell\'angelo ragazzino che lo abbraccia stretto stretto, colpevole di avere le sembianze di Cecco Boneri, il modello dell\'artista che le malelingue volevano fosse diventato anche il suo amante. Queste ipotesi sono tutte molto deboli. È assai più facile che sia stato Caravaggio medesimo a decidere di ridipingere la scena. Baglione, dal canto suo, non aveva perso occasione per gettare discredito sul rivale. - [LA CONVERSIONE DI SAN PAOLO:] La seconda versione della Conversione di San Paolo si concentra sull\'esatto momento in cui Paolo si converte, prima di diventare apostolo di Cristo. Attenendosi al testo evangelico e differenziandosi dagli esempi precedenti (incluso il suo, quello della prima versione), Caravaggio decise di eliminare dalla scena la figura di Cristo (in fondo gli Atti parlano di una luce e di una voce). L\'assenza di azione e il silenzio di questa scena caravaggesca riescono a rendere persino con più forza l\'idea della folgorazione. Dio è assente solo in apparenza; sono gli occhi sigillati del futuro apostolo a contemplarne la visione, in un rapporto intimo ed esclusivo. Disarcionato e vulnerabile, ma quasi pacificato, Paolo tiene le braccia spalancate al cielo, come se volesse abbracciare qualcosa o qualcuno, ed è illuminato da una luce che proviene dall\'alto e che sembra accarezzare il cavallo prima di arrivare a lui: una luce sopranna-turale, per nulla violenta, a differenza di quanto il testo evangelico lascerebbe intendere. E proprio il grande cavallo assume, in questo quadro, un ruolo inedito da protagonista: ancora ansimante dopo la lunga corsa, si pone di traverso, quasi volesse sbarrare il cammino al futuro apostolo, impedirgli di perseverare nel suo errore, e solleva dolcemente la zampa per non ferirlo. Un tempo, chi cavalcava, guardando gli altri uomini dall\'alto, deteneva il potere, aveva una dignità superiore; qui, invece, Paolo è disarcionato, nella polvere, vulnerabile, in balia del suo stesso animale. Ma, sembra volerci dire l\'artista, è solo da questa prospettiva apparentemente così sfavorevole che egli è davvero pronto ad incontrare Dio. - [LA CROCIFISSIONE DI SAN PIETRO]: Sulla parete sinistra della Cappella Cerasi si può ammirare la Crocifissione di San Pietro. L\'episodio, pur seguendo l\'iconografia tradizionale dell\'apostolo crocifisso a testa in giù, è interpretata da Caravaggio con una sensibilità realistica quasi estrema. Il dipinto mostra soltanto Pietro e i tre aguzzini racchiusi nello spazio ridotto della tela, senza paesaggio. Sconcerta, di quest\'opera, la lentezza e la concretezza dell\'operazione, che l\'osservatore contempla comprendendo quanto fosse complicato, e soprattutto faticoso, uccidere un uomo in quel modo. 1 carnefici, che probabilmente avrebbero preferito trovarsi altro-ve, sono concentrati sul da farsi, professionali come qualunque falegname o muratore, indifferenti al destino del vecchio. Uno afferra il palo della croce con le gambe di Pietro per stabilizzarla, il secondo tira la fune per issarla, il terzo, inginocchiato, la sorregge con la spalla, offrendo in primo piano al pubblico la parte posteriore della sua figura e la pianta sporca dei suoi piedi. L\'anziano apostolo, un vecchio rugoso e dalla pelle cascante, già inchiodato al patibolo, ha un\'espressione sofferente e sembra risentire di un certo disorientamento fisico, certamente provocato dalla posizione innaturale. Ancora una volta, Caravaggio rappresenta un supplizio che il piano divino non sembra nobilitare e che ci appare come un assassinio e basta: una morte apparentemente fine a sé stessa, crudele, spietata, inutile, che spegne un\'altra vittima innocente della crudeltà umana. Ma la luce, simbolo della Grazia divina, piove nuovamente dall\'alto e investe Pietro e la sua croce, bagnando con il suo potere salvifico anche i sicari. **GLI UMILI COME PROTAGONISTI** Per secoli, agli occhi della critica, Caravaggio è rimasto un artista maledetto, povero, incolto, delinquente incallito, mezzo matto e persino ateo, a dispetto delle tante opere religiose dipinte. I suoi contemporanei davvero credevano che l\'artista si divertisse a irridere le dottrine religiose, a trasgredire le regole della Chiesa. La supposta mancanza di decoro delle sue figure sacre, considerate volgari e blasfeme perché troppo umili, dimesse e rozze, e soprattutto le sue drammatiche vicende biografiche furono portate come la migliore prova di questa tesi. Ma critici e committenti non avevano compreso che, allontanandosi dalle iconografie ufficiali, l\'artista volle soltanto aderire al significato più profondo del racconto biblico o evangelico. Egli volle prima di tutto raccontare una storia di uomini. A questo proposito Ernst Gombrich scrive: «Il Caravaggio aveva letto certamente la Bibbia più volte, e ne aveva meditato le parole. Era uno di quei grandi artisti, come Giotto e Dürer prima di lui, che volevano avere davanti agli occhi gli episodi sacri come se si fossero svolti in casa del vicino». Gli apostoli, prima di diventare santi, furono dei semplici pescatori, Maria e Maddalena povere donne del popolo, anche Gesù si era \"fatto uomo\" e aveva vissuto in povertà. Nulla ci dice che questi uomini e queste donne fossero di bell\'aspetto, che vestissero elegantemente, che fossero nobili nei modi. Non c\'è dunque niente di osceno o di offensivo nelle mani e nei piedi sporchi dei suoi santi: per Caravaggio la pittura sacra fu la presentazione di un dramma che aveva come protagonisti gli umili, i soli a cui Dio decide di manifestarsi. La religiosità del pittore, insomma, fu profonda e sofferta. I documenti ci rivelano che l\'artista faceva la comunione, che non era affatto un povero barbone, che vestiva sempre di nero e mangiava su un cartone perché seguace di un modello pauperistico allora seguito persino da alcuni cardinali. Caravaggio fu insomma fautore di una Chiesa povera e sostenne l\'ala socialmente progressista della Controriforma, che aveva nel cardinale Federico Borromeo uno dei maggiori e più rigorosi esponenti. D\'altro canto, non è certo un caso che a Caravaggio non mancarono mai le commissioni pubbliche: segno evidente che l\'ambiente ecclesiastico romano non era poi così ottuso e retrivo. Il problema era un altro: nel mescolare il divino e l\'umano, Caravaggio si spingeva talvolta oltre il lecito, cogliendo impreparate le mentalità più chiuse. - [LA DEPOSIZIONE:] Non tutte le opere di Caravaggio, a dire il vero, destarono scandalo: alcune furono apprezzate e lodate da molti critici, e non solo dagli estimatori più fedeli dell\'artista. Ad esempio, la Deposizione fu accolta con esplicito apprezzamento dall\'intero ambiente ecclesiastico. Si tratta di una splendida tela dipinta nel 1603 per una cappella della Chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma. Questa chiesa era la sede degli Oratoriani di San Filippo Neri, cui Caravaggio fu sempre legato. Il tema è più che tradizionale, quello di Cristo deposto nel suo sepolcro, ma come sempre l\'artista fu capace di affrontarlo in modo originale, trasformandolo in una scena di sepoltura privata, intima e silenziosa. Quello di Gesù è un cadavere vero, le cui labbra iniziano a farsi bluastre. Il suo corpo muscoloso, reso pesante dall\'abbandono della morte, è retto a fatica da Giovanni che lo tiene per il busto, sotto le ascelle, e da Nicodemo che lo afferra, abbracciandogli le ginocchia. Quest\'ultimo, le cui gambe sono attraversate da grosse vene in rilievo, volge verso il fedele il suo volto, scavato da orbite profonde, come per stabilire un legame psicologico con lui e renderlo partecipe dell\'evento. Il contrasto fra la luce e l\'ombra è drammatico. I personaggi sono composti in un assemblaggio scandito in un ritmo scalare dall\'alto verso il basso, verso la tomba oscura toccata dal braccio senza vita di Cristo. La Madonna è segnata dalle rughe, distrutta da un dolore devastante ma contenuto; con le braccia aperte sembra voler contenere il corpo del figlio morto e allo stesso tempo accompagnarlo nella tomba dove sta per sparire: un gesto di accoglienza e di separazione insieme. La Maddalena piange, e d\'altro canto le lacrime sono un suo specifico attributo teologico e iconografico. Maria di Cleo-fa, secondo i Vangeli una delle donne presenti alla crocifissione di Gesù, spalanca le braccia al cielo, in un gesto di orante (caro agli Oratoriani) che appare più come una dolorosa meditazione che un urlo di dolore. Il suo atteggiamento di apertura verso l\'alto è un chiaro riferimento alla futura resurrezione del Cristo e non è l\'unico: si noti come la mano abbandonata di Gesù indica con le dita il numero tre (terzo giorno della resurrezione); si notino ancora la pianta del fico (le cui foglie si intravedono appena nel buio dello sfondo), che tradizionalmente è simbolo di salvezza e di redenzione, e, in basso a sinistra accanto al cadavere, la pianta di tasso barbasso, simbolo di resurrezione. Non sfugge, osservando la posizione di Cristo con il braccio abbandonato, l\'omaggio che Caravaggio ha voluto rendere al grande Michelangelo, di cui aveva certamente studiato a lungo la Pietà Vaticana. L\'artista volle dare a Nicodemo proprio le sembianze di Buonarroti. Scegliendo di porre idealmente il grande scultore a fianco dell\'evangelista, Caravaggio sembra indicare che l\'arte sacra è in grado di testimoniare la verità, al pari dei Vangeli. L\'artista, con la sua opera, può dunque rivestire una funzione di servizio importantissima per la Chiesa ed è per questo che Nicodemo (nella realtà colto, ricco e influente) è qui mostrato umilmente a piedi nudi e con abiti da lavoro. - [LA MORTE DELLA VERGINE:] La Morte della Vergine, l'ultima pala d\'altare eseguita da Caravaggio a Roma, fu dipinta dall\'artista lombardo fra il 1604 e il 1606. Si trattava del suo quadro più gran-de, a quella data. L\'opera gli era stata commissionata nel 1601 da Laerzio Cherubini per l\'altare della sua cappella nella chiesa di Santa Maria della Scala in Trastevere, a Roma. Questa cappella, dedicata dai Carmelitani Scalzi proprio alla morte di Maria, era particolarmente prestigiosa perché vi si celebravano le messe per i defunti. Non sappiamo esattamente quando l\'artista terminò il dipinto; è certo però che lavorò a questo soggetto ben oltre la scadenza del contratto. Il tema della Morte della Vergine era antichissimo, molto amato dagli artisti medievali e ancora affrontato da quelli rinascimentali. Tuttavia, Caravaggio, sempre più duramente polemico nei confronti dell\'iconografia tradizionale, ne fece uno dei suoi quadri più contro-versi. Nel dipinto, Maria, vestita di rosso e non di nero (come voleva la tradizione), appare del tutto priva della sua regale divinità: malamente composta su un povero tavolo sorretto da cavalletti di ferro, ha i piedi nudi e le caviglie gonfie, il volto livido, un corpo gonfio e segnato che sembra appena recuperato da un obitorio. Non ci sono angeli dolenti. Manca in alto la rappresentazione di Cristo che accoglie l\'anima della madre. Gli apostoli, ritratti vecchi, calvi e scalzi, piangono disperatamente, al pari della Maddalena, che seduta sulla sua seggiola si copre il volto con la mano. Pietro guarda silenzioso e a braccia conserte, consapevole del suo nuovo ruolo di capo in seno al gruppo. Giovanni porta la mano sinistra alla guancia, nel gesto tradizionale del do-lente. A terra, un catino di rame e la garza penzolante ci dicono che il cadavere è stato da poco lavato. Un grande drappo scarlatto, sospeso ad una trave del soffitto, e che poco prima aveva impedito la vista della donna in agonia, viene ora sollevato, accentuando la teatralità di una scena pure così intima e familiare, così umana e drammaticamente quotidiana. Prima di dipingere la sua Morte della Vergine, Caravaggio aveva firmato un contratto che gli imponeva di rappresentare «cum omni diligentia et cura» il «misterium mors sine transitus Beatae Mariae Verginis", ossia il miracolo di una morte a cui non segui la corruzione corporale, perché Maria fu direttamente assunta alla gloria del Paradiso. Il pittore sembrò del tutto ignorare queste indicazioni. Certo è che la sua interpretazione di un tema così delicato non piacque. I committenti furono disturbati dalla povertà dell\'ambiente, umile e buio, dall\'atteggiamento così poco decoroso degli apostoli e soprattutto dall\'aspetto della Vergine, che non sembrava affatto la Madre di Dio ma una donna qualunque, per di più a gambe quasi scoperte. Poi, cominciò a circolare la voce che Caravaggio avesse usato, come modello per la Madonna, il cadavere di una prostituta morta annegata nel Tevere. Di tutto questo ci parlano i primi biografi. Secondo Baglione, la tela fu ritenuta oltraggiosa «perchè havea fatto con troppo poco decoro la Madonna gonfia, e con gambe scoperte»; anche per Bellori, «per havervi troppo imitato una donna morta gonfia»; Mancini invece sottolinea che «havea ritratto una cortigiana». Era decisamente troppo per i Carmelitani, che in tutta fretta decisero, per evitare uno scandalo, di restituire il quadro all\'artista, senza peraltro offrirgli un nuovo incarico. Di contro, il dipinto fu immediatamente acquistato dal Duca di Mantova, su consiglio di Pieter Paul Rubens che lo giudicò un assoluto capolavoro. Una buona parte della critica, oggi, ha proposto una nuova lettura dell\'opera, sostenendo che questa particolare rappresentazione del corpo della Madonna non è affatto irrispettosa della sua figura. I piedi nudi sono da sempre espressione di umiltà. La pancia che tanto scandalizzò pubblico e committenti potrebbe non essere di annegata ma di donna incinta, e poco importa che al momento della sua morte Maria fosse anziana e certamente non gravida. È possibile che qui Caravaggio volesse rappresentare la morte di una madre, anzi della madre per eccellenza, l\'emblema di tutte le madri per la nostra cultura occidentale. Il ventre gonfio sarebbe, insomma, un devoto omaggio a quella maternità carica di mistero. Se questa è la chiave di lettura per comprendere il senso dell\'intero dipinto, è anche possibile interpretare l\'inconsueta posizione di Maria: il braccio disteso potrebbe infatti richiamare la crocifissione di Cristo, che ella vide morire e alla cui Passione partecipò: quello stesso figlio miracoloso che aveva portato in grembo, come la mano destra poggiata sul ventre ci vuole ricordare. **LA FUGA DA ROMA E L'ESILIO** Il carattere passionale, aggressivo e violento di Caravaggio non è solo una leggenda creata ad arte dai suoi detrattori. Sappiamo dai documenti che nel 1600 l\'artista fu querelato per percosse, che nel 1601 feri di spada un sergente di Castel Sant\'Angelo, nel 1603 fu nuovamente querelato per diffamazione. Nel 1604 venne coinvolto in una rissa col garzone dell\'Osteria del Moro e subì un arresto per aver preso a sassate delle guardie; del 1605 sono altri disordini e fermi. È bene precisare, tuttavia, che queste turbolenze erano piuttosto normali nella società di allora, così come era comune il duello. E proprio in un duello a otto (quattro contro quattro), disputatosi, come ci raccontano le fonti, dopo una partita a racchetta (il tennis dell\'epoca), nel 1606 il pittore ebbe la sventura di uccidere un tale Ranuccio Tomassoni, che le sue biografie ricordano come un giovane perbene ma che i documenti d\'archivio presentano come noto provocatore di risse e sfruttatore della prostituzione. Oggi riteniamo che Tomassoni aggredì l\'artista per una questione di debiti non pagati e che questi si difese. Ma papa Paolo V era stufo di questo pittore così poco ortodosso, presuntuoso e piantagrane. Voleva per lui una pena esemplare. E così, accusato di omicidio, condannato a morte, con una taglia sulla sua testa, Caravaggio fu costretto a scappare da Roma. Trasferitosi a Napoli, capitale del Vice Regno spagnolo e metropoli vivacissima, l\'artista fu accolto con tutti gli onori e nel corso del 1606 dipinse alcuni capolavori, imponendo una svolta naturalista alla pittura locale e stimolando la formazione di una \"scuola\" napoletana di marcato stampo \"caravaggista\". A Napoli, per la Chiesa del Pio Monte della Misericordia, dipinse una grande tela con le Sette opere di misericordia. Ambientò questo difficile soggetto di notte, in un vicolo angusto dei quartieri popolari di Napoli. I personaggi, gente del popolo e della borghesia, impersonano, o meglio recitano, una o più opere di misericordia oggetto del quadro: da destra, \"Visitare i carcerati\" e \"Nutrire gli affamati\" (sintetizzati nell\'immagine di Pero che allatta il padre Cimone in carcere). \"Seppellire i morti\", poi ancora \"Vestire gli ignudi\" e \"Curare gli ammalati\" (attraverso la figura di san Martino che dona il suo mantello a un povero). \"Ospitare i pellegrini" (l\'oste e san Giacomo di Compostela) e infine \"Dare da bere agli assetati\" (Sansone che beve dalla mascella d\'asino). - All\'inizio del 1608, Caravaggio parti per Malta, nella speranza di essere nominato Cavaliere dell\'Ordine di Malta. In verità, l\'artista non aveva alcuna vocazione per la vita militare, ma sperava che l\'ingresso nel prestigioso ordine, ispirato ad austeri principi religiosi, lo potesse aiutare a ottenere il perdono papale e a tornare nella sua Roma. A tal fine, dipinse [LA DECOLLAZIONE DEL BATTISTA:] L\'artista immagina l\'esecuzione di san Giovanni per strada, davanti alla porta del carcere, sotto gli occhi di due detenuti che assistono dalla finestra a sbarre, di un servo e di due ancelle. Il carnefice, seminudo, ha già reciso con la spada la gola del profeta, che giace morto ai suoi piedi, e si accinge a estrarre un coltello dal fodero dietro la schiena, per finire il lavoro. Caravaggio blocca la scena a questo istante, cosicché il boia non ha ancora compiuto il gesto spietato di mozzare di netto la testa del Battista e depositarla sul vassoio d\'argento che la ragazza gli sta porgendo. L\'artista firmò l\'opera utilizzando illusionisticamente il sangue che fuoriesce dal capo del Battista: «\[fecit o forse frates) Michela.»; le ultime lettere sono andate perdute per una caduta del colore. Dopo un anno di \"noviziato\" presso l\'Ordine, Caravaggio ricevette effettivamente il cavalierato. Purtroppo, però, commise un nuovo crimine, che i documenti non specificano ma che dovette essere considerato davvero grave, giacché il pittore fini in carcere e perse il titolo. Riuscì tuttavia a fuggire e a rifugiarsi in Sicilia, dove vagò da una città all\'altra, lasciando diversi magnifici quadri. - A Messina lasciò una splendida [RESURREZIONE DI LAZZARO:] In questo dipinto il protagonista, ancora bloccato nel suo rigor mortis, è presentato al centro con le braccia aperte, in una posizione cruciforme che prefigura il destino di Cristo. La rappresentazione del cadavere è assolutamente magistrale e cattura ipnoticamente lo sguardo dello spettatore. Le irregolarità sotto la pelle di Lazzaro, rese più evidenti dalla luce che colpisce il suo corpo secondo una direzione inclinata, lasciano intuire la presenza di un\'avanzata decomposizione, che il miracolo sta interrompendo e cancellando. Gesù, di fronte a lui, punta il dito con gesto solenne, intimandogli di alzarsi. Marta e Maria, le due sorelle, si accostano teneramente al cadavere e gli tengono la testa tra le mani, come per aiutarlo e confortarlo nel faticoso risveglio. Si intravede, in alto a sinistra, un autoritratto dell\'artista, che si rappresenta tra la folla, come fosse in punta di piedi, mentre cerca di assistere al miracolo. - Tornato a Napoli nel 1609, dipinse alcune tele che si possono considerare come una sorta di suo testamento spirituale. Fra queste, IL [DAVID CON LA TESTA DI GOLIA] è certamente l\'opera più intima, personale e toccante di tutta la sua carriera. La testa del gigante, abbrutita dal dolore, spaventosamente umana nella sua sofferenza, è l\'ultimo angosciato autoritratto dell\'artista, sopravvissuto all\'agguato di un sicario maltese ma rimasto sfregiato. Notiamo la crudele, impietosa rappresentazione della fronte ferita, sulla quale si raggruma il sangue, dell\'occhio sinistro in cui si coglie una fugace scintilla di vita, della bocca aperta che congela l\'ultimo respiro mostrando i denti ingialliti. Il volto di David è quello turbato e malinconico di Cecco, il fedele amico con cui Caravaggio aveva condiviso il successo degli ultimi anni romani, che molto probabilmente per qualche tempo volle seguirlo nel suo esilio, prima di iniziare una carriera in proprio come pittore. Gli ultimi giorni di vita del pittore sono ancora oggi avvolti nel mistero. Venuto a conoscenza che i suoi amici romani avevano quasi convinto il papa a concedergli la grazia, Caravaggio si imbarcò per Porto Ercole, un presidio spagnolo ai confini dello Stato Pontificio, portando con sé i dipinti che avrebbe dovuto donare al cardinale Scipione Borghese in cambio del suo interessamento. Il piano, probabilmente, era quello di fermarsi a Palo, piccolo porto fra Roma e Civitavecchia, per poi entrare nella città papale in sordina, in attesa di ottenere la grazia ormai imminente. Appena sbarcato a Palo, tuttavia, Caravaggio fu arrestato, forse per errore; al suo rilascio, l\'artista scopri che la piccola imbarcazione sulla quale stava viaggiando era ripartita per Porto Ercole, con il suo bagaglio e soprattutto con i dipinti che erano rimasti a bordo. Dispera-to, decise di raggiungere la cittadina nel tentativo di recuperarli ma, stremato nel corpo come nello spirito, si ammalò e mori nel locale ospedale. Fu così che uno dei più grandi artisti di tutti i tempi venne malamente seppellito in una fossa comune. Pochi giorni dopo arrivò, fatalmente tardiva, la grazia papale. IL CARAVAGGISMO L'INFLUENZA DI CARAVAGGIO ========================= Caravaggio non ebbe eredi diretti e non formò mai una scuola. Anzi, fu parecchio geloso dei suoi segreti e si mostrò di norma ostile nei confronti di chiunque osasse imitarlo. Dopo la sua morte, tuttavia, il ritorno al dato \"naturale\", sviluppatosi sul suo esempio, segnò la pittura seicentesca, almeno per i primi vent\'anni del secolo. Furono molti i pittori che tentarono di copiarne lo stile; infatti, una vera folla di ammiratori dell\'artista accorse a Roma da tutta Italia, e persino dalle Fiandre e dalla Francia, per studiare i suoi quadri. Erano così in tanti che Mancini, medico personale di papa Urbano VIII, collezionista e noto conoscitore della pittura barocca, si dichiarò incapace di fornirne un decoroso censimento: «molti francesi e fiammenghi che vanno e vengono, non li si puol dar regola». Tornati in patria, essi avrebbero poi divulgato il linguaggio caravaggesco appena appreso. Allo stesso modo, a Napoli e in Sicilia, dove Caravaggio visse e lavorò, molti pittori locali rividero radicalmente le proprie posizioni artistiche, ispirandosi alle opere che il lombardo fuggiasco aveva lasciato nelle loro città. Questo fenomeno è oggi ricordato come Caravaggismo. Si trattò di un vero e proprio movimento spontaneo, alimentato da quell\'insieme di artisti che dipinsero imitando il pittore lombardo, adottandone il caratteristico chiaroscuro, scegliendo i suoi stessi soggetti plebei: giovani che suonano strumenti o giocano a carte, zingari, cafoni e soldati, scene ambientate in taverne e vicoli oscuri, episodi del Vangelo calati nella realtà popolare. Certo, ed è bene evidenziarlo, la capacità di penetrazione psicologica di Caravaggio, l\'umanità dei suoi personaggi, la complessità culturale delle sue scelte iconografiche erano ben al di là della comprensione di molti suoi seguaci. Tanti caravaggisti finirono, il più delle volte, con imitare solo i tratti più evidenti dell\'opera del maestro, trasformando l\'originalità della sua pittura in pura convenzione. In Italia, emersero Orazio Gentileschi e la figlia Artemisia, Bartolomeo Manfredi (che influenzò a sua volta fiamminghi e olandesi), Battistello, Mattia Preti, lo spagnolo Giuseppe de Ribera. In Francia si affermarono Valentin de Boulogne, Simon Vouet, Georges de La Tour, i fratelli Le Nain. Tra gli olandesi che volgarizzarono l\'opera di Caravaggio si distinsero Matthias Stomer e Gerrit Van Honthorst. Al \"pittore maledetto\" guardarono anche grandissimi maestri della pittura, come Velázquez, Rembrandt e, a suo modo, Rubens. ORAZIO E ARTEMISIA GENTILESCHI ============================== - La città in cui il Caravaggismo si espresse con maggior vigore fu ovviamente Roma, che aveva visto da vicino esplodere il fenomeno Caravaggio. Tra i caravaggisti di prima generazione si distinse, per la qualità dei suoi dipinti e per le sue vicende biografiche, il pisano Orazio Gentileschi (1563-1639). Orazio, infatti, conobbe Caravaggio intorno al 1596, poco dopo l\'arrivo del lombardo nella città papale, e nonostante la differenza di età (Caravaggio aveva 25 anni, Gentileschi 33 ed era già padre di una bimba) i due divennero amici, anzi, per quello che ci dicono i documenti, compagni di scorribande. Orazio pagò cara questa amicizia, almeno agli occhi dei posteri. Pare infatti che egli sia stato autore, con Caravaggio, delle poesie diffamatorie rivolte contro Giovanni Baglione, il quale non gradi né perdonò la bravata. A distanza di anni, nelle sue Vite, il pitto-re-trattatista scrisse male di Gentileschi, oramai defunto, dicendo di lui che sarebbe potuto diventare un discreto artista, se solo avesse avuto un carattere decente e se avesse pensato più a dipingere che ad offendere la gente. Insomma, anche Orazio fu coperto dalla stessa ombra nefasta calata su Caravaggio, tanto che del pisano, a poco a poco, gli storici finirono col dimenticarsi quasi del tutto. Eppure, Gentileschi era stato un pittore eccellente, molto apprezzato ai suoi tempi da collezionisti e intenditori, e aveva fatto una carriera di prim\'ordine, prima a Roma, poi a Genova e a Torino, e ancora in Francia e infine in Inghilterra, dove nel 1626 si trasferì per entrare al servizio di re Carlo I. Gentileschi non pervenne subito al Caravaggismo; egli infatti si era formato, in Toscana, alla scuola del Manierismo, cui sarebbe rimasto fedele per molti anni. Quando, alla soglia dei quarant\'anni, egli decise di mutare stile per aderire al naturalismo, non volle rinnegare del tutto la sua esperienza precedente; così, scelse di crearsi uno stile personale, di mitigare la sua aderenza alla poetica caravaggesca, attraverso una costante ricerca di eleganza e di grazia. Egli fu, in altre parole, un caravaggista moderato; mai troveremmo, nei quadri di Gentileschi, piedi sporchi, denti ingialliti e ferite sanguinolente. Invece, come si vede nel capolavoro del 1610, [DAVIDE CON LA TESTA DI GOLIA], Orazio mantenne il gusto per la nitidezza della linea, predilesse la purezza delle forme, non disdegnò i toni chiari, i colori preziosi, gli effetti di luce trasparenti. - Ben più caravaggista di Orazio fu la figlia, Artemisia Gentile-schi (1593-1652), una delle più interessanti figure di pittrice di tutta la storia dell\'arte occidentale. Artemisia apprese il mestiere ancora giovanissima, presso la bottega paterna, e inizio a dipingere in casa. Nel 1611 fu violentata da Agostino Tas-si, un pittore fiorentino collaboratore del padre, e questa vicenda cambiò profondamente la sua vita e forse anche la sua arte. È bene chiarire che la nozione di stupro era a quell\'epoca un po\' diversa da quella di oggi: si parlava di violenza anche quando una ragazza vergine aveva rapporti con un uomo fuori dal matrimonio. Ora, sembra che Tassi abbia sedotto la giovane Artemisia lasciandole intendere che l\'avrebbe sposata (e omettendo di dire che aveva già moglie). Quando Orazio scopri la tresca denunciò l\'ex amico, mandandolo sotto processo. Questa mossa, però, si ritorse contro la famiglia Gentileschi: Artemisia, da vittima, divenne la vera imputata. Alla fine, Tassi fu condannato ma se la cavò con cinque anni di esilio da Roma (poi di fatto ridotti a tre). La reputazione di Artemisia, invece, rimase compromessa. La ragazza fu co-stretta, dopo la sentenza, a subire un matrimonio riparatore, organizzato dal padre Orazio (che, in fretta e furia, trovò un uomo disposto a sposare la figlia e lo pagò). Alla fine del 1612, inoltre, dovette seguire il marito a Firenze. Tutta questa vicenda non fermò la giovane donna: Artemisia riuscì ugualmente a coronare il suo sogno di diventare pittrice. Orgogliosamente consapevole del proprio talento di donna-artista, Artemisia privilegio sempre i soggetti femminili, dipingendo molte sante ed eroine, nelle cui vesti amò spesso ritrar-si; privilegio anche i temi drammatici e violenti, rendendoli crudi e perfino efferati con l\'adozione di un luminismo tagliente. Lo dimostra [GIUDITTA E OLOFERNE], sicuramente il suo quadro più famoso. Il dipinto fu realizzato in due versioni: la prima risale al 1612, l\'anno del processo per stupro. La seconda versione fu invece dipinta verso il 1620, a Firenze, per Cosimo II dei Medici. Artemisia prese a modello l\'omonimo capolavoro di Caravaggio: rappresentò, infatti, l\'eroina biblica nel momento in cui sta per recidere la testa di Oloferne. Come nel prototipo caravaggesco, il generale assiro è riverso sul letto, con gli occhi sbarrati, la bocca contratta in un rantolo, il sangue che sprizza copioso dal collo reciso e impregna le lenzuola, colando in rivoli fino a terra. La scena è concepita con brutale sensibilità realistica. La tradizione vuole che Artemisia si sia ritratta nelle vesti di Giuditta e che Oloferne abbia il volto dell\'odiato Agostino Tassi. Per certi versi, quest\'opera è sconcertante: non esiste dipinto, nella storia dell\'arte occidentale, che manifesti un\'espressione così potente ed energica della fisicità femminile. Giuditta aveva sempre evocato una femminilità casta e virginale: per questo gli artisti precedenti, e in fondo lo stesso Caravaggio, l\'avevano ritratta mentre ucci deva suo malgrado, rispettando la volontà di Dio ma provando repulsione o estraneità per quell\'azione omicida. La Giuditta di Artemisia è invece simbolo di una femminilità fiera e indomabile, davvero controtendenza per l\'arte di quell\'epoca. Non possiamo non rimanere colpiti dalla determinazione con la quale la donna blocca il generale nemico: il sopracciglio alzato e le labbra serrate in una espressione di vendetta non denunciano la minima esitazione o pietà per la vittima. Anche la fedele ancella Abra, in genere mostrata di lato a guardare, più o meno inorridita, si prodiga per aiutare la sua padrona: china sul corpo di Oloferne lo immobilizza, mentre egli tenta inutilmente di respingerla. Il normale rapporto gerarchico tra serva e padrona è come annullato: le due donne compaiono prima di tutto come complici. Non a caso, fino al 1774, la versione fiorentina dell\'opera fu relegata in un angolo buio di Palazzo Pitti, per volere della granduchessa Maria Luisa, che non sopportava la vista di tanto orrore. Artemisia fu molto apprezzata per il vivissimo senso del colore e la capacità di analisi delle superfici (stoffe, oggetti), magistralmente espressi da opere come la [MADDALENA PENITENTE] di Palazzo Pitti, dipinta dopo il 1613. Artemisia rappresenta la santa con indosso un abito moderno di seta gialla, che, investito da una luce frontale, crea effetti di suggestivo cangiantismo. Appassionata e sensuale, la Maddalena ha una spalla scoperta, la testa leggermente in avanti e reclinata su un lato e solo apparentemente volge lo sguardo allo spettatore. In realtà, è concentrata nella sua preghiera: il braccio sinistro teso pare voler allontanare qualunque pretesto di distrazione e la mano sul petto (un gesto tipicamente femminile che definisce un atteggiamento riflessivo, di sottomissione o di pentimento) indica l\'intensità emotiva con cui la santa vive questo momento di raccoglimento. Nel 1621, Artemisia decise di separarsi da quel marito impostole dalle convenzioni sociali; si trasferì prima a Genova, poi a Roma, poi a Venezia, dove portò anche la figlia. Successivamente approdò a Napoli, e li trascorse il resto della sua vita (ad eccezione di una breve permanenza a Londra, dove lavorò a fianco del padre). IL CARAVAGGISMO A ROMA E NAPOLI =============================== - **BARTOLOMEO MANFREDI**: dimostrò efficacemente il fervore con cui si diffuse, in pochi anni, il metodo caravaggesco a Roma: «Tanto che li pittori all\'hora erano in Roma presi dalla novità, e particolarmente li giovini concorrevano a lui \[Caravaggio\], e celebravano lui solo, come unico imitatore della natura, e come miracoli mirando l\'opere sue, lo seguitavano a gara, spogliando modelli, et alzando lumi; e senza più attendere a studio, et insegnamenti, ciascuno trovava facilmente in piazza, e per via il maestro e gli esempi nel copiare il naturale». Giulio Mancini parla persino di una vera e propria \"schola\" caravaggesca: «Proprio di questa schola è di lumeggiar con lume unito che venghi d\'alto senza reflessi, come sarebbe in una stanza da una fenestra con le pariete colorite di negro, che cosi, havendo i chiari e l\'ombre molto chiare e molto oscure, vengono a dar rilievo alla pittura, ma però con modo non naturale, né fatto, né pensato da altro secolo o pittori più antichi, come Raffello, Titiano, Correggio et altri». Appartenne alla prima generazione di seguaci di Caravaggio (la cosiddetta \"schola\" evocata da Mancini) il pittore Bartolomeo Manfredi (1580-1620), il quale esercitò una profonda influenza sui caravaggisti toscani e fiamminghi. Fu autore di una fortunatissima serie di soggetti conviviali a mezze figure (scene di osteria, concerti, giocatori, gruppi di soldati) ma anche i soggetti sacri, come nel caso della [NEGAZIONE DI SAN PIETRO] del 1615-20, si potrebbero facilmente confondere con scene di genere. Manfredi interpretò lo stile del Merisi dimostrando di non saper cogliere, al di là dei singoli motivi, le qualità spirituali dell\'arte caravaggesca; tuttavia, il suo stile ebbe larghissima fortuna e costitui un vero e proprio filone pittorico, battezzato dall\'artista tedesco Joachim von Sandrart, in quegli anni a Roma, «Manfrediana methodus». - **I BAMBOCCIANTI**: Tra i \"pittori della realtà\", vanno ricordati anche i Bamboccianti, artisti attivi a Roma fra il 1625 e il 1660, che produssero una particolare pittura di genere, la \"Bambocciata\", caratterizzata da temi curiosi o tratti dalla vita quotidiana del popolo e da una certa piacevolezza di racconto. L\'artista più importante di questo gruppo fu Pieter van Laer detto Bamboccio, che diede il nome all\'intero filone artistico. Pittore olandese, egli visse a Roma tra il 1625 e il 1638, producendo numerose scene di costume popolare, come il [VENDITORE DI CIAMBELLE], un quadro dipinto intorno al 1630, che mostra un ciambellaro circondato da tre clienti. In questa celebre opera sono presentati un semplice banchetto da venditore ambulante, costituito da un cesto sostenuto da sottili gambe di legno, un gruppo di giocatori di morra seminascosti nell\'ombra, un cavallo che, pacifico, attende di muoversi con il suo carico: la scena racconta, in modo immediato e spontaneo, la vita quotidiana di pastori, contadini e vagabondi. B ben lontana dai fasti e dagli agi dell\'aristocrazia romana di primo Seicento. I Bamboccianti, molti dei quali fiamminghi, rimasero sempre piuttosto isolati, a causa dell\'ostilità incontrata da parte dell\'ambiente artistico barocco, ma in compenso ebbero un vasto pubblico e furono ben pagati. - **RIBERA E CARACCIOLO**: Grande influenza ebbe la pittura di Caravaggio a Napoli. Qui il più importante seguace del suo stile fu Giuseppe Ribera (Jusepe de Ribera, 1591-1652), detto lo Spagnoletto per le sue origini spagnole. Ribera arrivò a Napoli nel 1616 e aderì subito al Caravaggismo. Il suo stile è violentemente naturalistico, crudo e diretto, e soprattutto incline a sollecitare una forte reazione emotiva, con particolari molto veristici e volutamente sgradevoli. Si pensi solo al suo celeberrimo giovane mendicante, noto come [LO STORPIO], del 1642: un ragazzo deforme che, sorridente nonostante tutto, mostra allo spettatore un foglietto con la scritta «Da mihi elimosinam propter amorem Dei» (\'dammi l\'elemosina per l\'amor di Dio\'). Sappiamo che nel Seicento i bambini malformati venivano spesso abbandonati o sfruttati per lavorare come accattoni. In altri quadri (Sileno ebbro, 1626, Apollo e Marsia, 1637) si percepisce un'esaltazione di componenti cupe e macabre, un certo compiacimento nella rappresentazione delle carni macerate dal digiuno e dalla sofferenza, dei volti devastati dalle rughe della vecchiaia, rese con pennellate dense e vigorose. Negli anni napoletani, Merisi ebbe diretta familiarità con Battistello Caracciolo (1570-1637), il quale tuttavia aderì in modo abbastanza superficiale al Caravaggismo. Caracciolo non sembrò tanto interessato all\'etica del maestro quanto piuttosto al suo stile; tradusse la pittura di Caravaggio soprattutto in una contrastata vicenda di luci e di ombre, che incidono sulle forme di personaggi saldi e scultorei: come accade nel suo [BATTESIMO DI CRISTO], del 1610 circa. Battistello, del resto, abbandonò presto i modi caravaggeschi per aderire ad uno stile più accademico e classicistico. LA SCUOLA DI CARAVAGGIO IN EUROPA ================================= - **IN FRANCIA:** Fuor dai confini italiani il più grande e noto dei caravaggisti fu Georges de La Tour (1593-1652), senz\'altro uno dei pittori più interessanti in Francia. Il suo apprendistato ci è del tutto sconosciuto; riteniamo, tuttavia, che abbia soggiornato a Roma fra il 1610 e il 1616. Di lui si conoscono non più di quaranta opere, due sole delle quali datate: davvero poche, se si considera che La Tour fu \"pittore del Re\" (titolo attribuitogli da Luigi XIII nel 1639) e che visse per sessant\'anni. La sua fama è legata a una sequenza di magnifici notturni che, ai suoi tempi, conquistarono anche il sovrano francese. La Tour amava ridurre le scene ai loro elementi essenziali, affidando a semplici effetti di luce la traduzione della psicologia più sottile e dell\'emozione più raccolta. Sappiamo che il re, entusiasmatosi per un San Sebastiano agonizzante al lume delle torce, volle collocarlo nella sua camera, allontanando ogni altro dipinto: solo quel \"notturno\" di Georges de La Tour doveva colmare il vuoto delle pareti. Vi sono grandi capolavori, come il [SAN GIUSEPPE FALEGNAME], del 1640-45, o il San Sebastiano curato da Santa Irene (1649 ca.). dove una calda illuminazione artificiale, ottenuta con torce e candele, arrotonda e addolcisce le forme, rende i gesti lenti, conferisce alle scene quotidiane una profonda sacralità. Ma è soprattutto nelle diverse versioni della sua Maddalena penitente che l\'artista riesce a proporre un universo spirituale di rara intensità espressiva. La donna, modestamente vestita, è sempre mostrata raccolta in solitudine, mentre prega o medita sulla caducità dell\'esistenza terrena, facendosi luce per mezzo di una candela o di una lampada a olio (allegorie del tempo che si consuma). L\'ambientazione notturna, magistrale negli effetti d\'illuminazione artificiale, isola la figura della santa contro le tenebre e la blocca nell\'immobilità della contemplazione. I pochissimi oggetti di cui ella si circonda, una croce, un libro, un teschio (emblema della caducità della vita) testimoniano il rigore della sua vita eremitica. [LA MADDALENA] di New York, in particolare, volge lo sguardo verso uno specchio. Lo specchio, utilizzato scorrettamente, alimenta la vanita ma se, come in questo caso, diventa uno \"specchio dell\'anima\", serve per indagare dentro sé stessi, aiuta a riflettere sulla propria vita e sulla propria condizione esistenziale. - I fratelli Antoine, Louis e Mathieu Le Nain, nella loro appartata regione francese della Piccardia, e in totale indipendenza dalla grande stagione romana, rivolsero nelle loro opere una rispettosa e tenera attenzione alla vita dei più umili. Louis (1593-1648), durante il suo soggiorno a Roma, prima del 1629, fece parte del gruppo dei Bamboccianti; fu dunque lui a importare il genere nella sua terra. Tuttavia, si devono al maggiore, Antoine (1588-1648), le scene di vita quotidiana più intime e toccanti, dove personaggi poveri e laceri (contadini, fabbri, mendicanti) si muovono in ambienti umili e spogli. [FAMIGLIA DI CONTADINI], del 1640-45, è considerata il suo più alto capolavoro, nonostante l\'attribuzione di quest\'opera ad Antoine non sia suffragata da testimonianze documentarie. La tela rappresenta un gruppo di miseri contadini riuniti attorno a un tavolo. Riconosciamo il capofamiglia che tiene in mano una grande forma di pane scuro, base dell\'alimentazione in campagna, e l\'anziana madre con la brocca del vino. Notiamo per terra la grande marmitta usata per cucinare e sul tavolo un solo piatto di portata, giacché nelle famiglie povere non era in uso l\'apparecchiatura individuale. È la prima volta che un gruppo di contadini viene dipinto così, senza finzioni, senza ricorrere al filtro dell\'aneddoto e dell\'effetto pittoresco. Gli umili di Le Nain non sono altro che loro stessi: e con la toccante dignità del loro atteggiamento e la tranquilla severità del loro sguardo non intendono denunciare la miseria del loro viver quotidiano; al contrario, essi intendono mostrarci le tranquille certezze di una vita semplice. - **IN OLANDA**: Tra il secondo e il terzo decennio del secolo, alcuni artisti olandesi portarono a Utrecht l\'esperienza maturata in Italia a diretto contatto con l\'opera di Caravaggio. Dal grande maestro italiano, essi avevano imparato a usare la luce come mezzo espressivo ma soprattutto avevano adottato i temi delle \"scene di taverna\", dei \"giocatori\", dei \"musicanti\". Parti colare fortuna riscosse il soggetto caravaggesco della Vocazione di San Matteo, fortunatissimo in Olanda e proposto attraverso numerose riletture. Fra questi artisti della cosiddetta scuola di Utrecht si distinse particolarmente Gerard Van Honthorst (1590-1656), italianizzato in Gherardo delle Notti. Questo pittore soggiornò a Roma per dieci anni (dal 1610 al 1620), durante i quali si accostò alla corrente caravaggista. Tuttavia, l\'artista non ignorò il percorso che, parallelamente, stavano compiendo i pittori legati alla cerchia di Carracci, soprattutto Guido Reni; per certi versi, egli tentò di rileggere il Caravaggismo in chiave più classicheggiante. Grande specialista del notturno, trattò soggetti di genere e religiosi, come [L\'INCORONAZIONE DI SPINE], del 1622 circa. La sua morte segnò, in Olanda, l\'esaurimento del filone caravaggesco. - **IN SPAGNA**: A differenza di quanto avvenne in Italia, in Francia e in Olanda, in Spagna non si affermò un vero e proprio Caravaggismo. Quasi nessun pittore spagnolo, a eccezione di Ribera, soggiornò a Roma o a Napoli; i pochi originali di Caravaggio presenti in quel paese furono gelosamente conservati nelle collezioni reali o nobiliari e risultarono poco accessibili agli artisti; mancò una committenza borghese amante delle scene di genere, allora in gran voga negli altri paesi europei. La lezione di Caravaggio, insomma, si dimostrò più teorica che pratica. Tuttavia, già a partire dai primi decenni del secolo, la sensibilità naturalista in pittura divenne assai diffusa. I maggiori artisti della prima generazione seicentesca, soprattutto quelli di ambiente sivigliano, mostrarono una profonda attenzione alla realtà e privilegiarono composizioni con vivaci effetti di luce e di ombra. Francisco Zurbarán (1598-1664), attivo fra l\'inizio del terzo decennio e l\'anno della sua morte, elaborò un linguaggio pittorico piuttosto arcaicizzante, dove i personaggi, immobili e quasi stilizzati, vengono illuminati da una luce ferma e tagliente, carica di profondi significati spirituali. Opere ispirate come il [SAN FRANCESCO DI MONACO], del 1660 circa, esprimono con grande efficacia il fervore devozionale della Spagna seicentesca. LA NATURA MORTA =============== Il termine seicentesco natura morta, comparso per la prima volta in alcuni inventari di quadri olandesi, trovò la sua definizione a Parigi, dove, sotto la guida del pittore Charles Le Brun (1619-1690). massimo esponente della cultura pittorica e decorativa dell\'età di Luigi XIV, furono ordinati gerarchicamente tutti i generi pittorici allora prodotti. Il genere cui i francesi riconobbero maggiore importanza fu ovviamente quello \"di storia\" (biblica, mitologica e relativa alle gesta di uomini famo-si); seguivano il ritratto, la pittura di paesaggio, la pittura di animali e, per ultimo, proprio quello della natura morta, considerato con disprezzo dall\'Accademia perché si limitava alla rappresentazione di fiori, cibarie e oggetti. L\'uso di introdurre nei quadri alcune immagini di oggetti tratti dal vero non era nato nel Seicento: già nella seconda metà del Cinquecento, il diffuso interesse per gli studi naturalistici aveva spinto alcuni artisti a produrre dipinti che destinavano gran parte della composizione ai fiori, alla frutta o alle tavole imbandite. Nelle Fiandre, per esempio, le scene evangeliche furono talvolta relegate in secondo piano per lasciare spazio a descrizioni di mercati o di interni di cucina. Negli ultimi decenni del secolo, il nuovo filone cominciò ad incontrare il favore del pubblico: così, fiori, frutta, ortaggi, carne salata, cacciagione, dolci, formaggi, vasi, gioielli, libri conquistarono una loro completa autonomia all\'interno del dipinto, trasformandosi in soggetti autonomi dell\'arte. - Il fiammingo Jan Bruegel il Vecchio (1568-1625), detto anche dei Velluti per la finezza esecutiva dei dettagli, dipinse quadri di fiori con la competenza di un botanico, ricercatissimi dai collezionisti e come tali costosissimi; in alcuni suoi dipinti con mazzi di fiori recisi si possono contare oltre 100 specie diverse. In Olanda le nature morte mirarono a esprimere l\'amore per l\'intimità familiare: quello stesso che connotava così profondamente la società borghese del tempo. In questo paese il genere della natura morta ebbe grandissima fortuna; a partire dagli anni Venti alcuni pittori di Haarlem, tra cui Pieter Claesz (1596/98-1661), divennero autentici specialisti nella rappresentazione di tavole apparecchiate. Claesz produsse molte opere di grande fascino e suggestione, nelle quali il virtuosismo realistico (apprezzabile nella trasparenza dei bicchieri e nella lucentezza del vasellame d\'argento) si accompagna a un taglio assai semplificato delle composizioni. Nella sua straordinaria [NATURA MORTA] del 1645 alcune stoviglie abbandonate su un buffet testimoniano la conclusione di un festeggiamento: forse un\'allusione alla caducità della vita. In Spagna furono prodotti i cosiddetti bodegones, piccoli quadri che raffigurano ortaggi o comuni oggetti di terra-cotta, disposti entro semplici scaffali o in modesti ambienti domestici. - In Italia, il contributo fondamentale per lo sviluppo della natura morta si deve a Caravaggio, la cui eredità venne raccolta, negli anni Venti e Trenta del secolo, da molti pittori specializzati nel genere. La più importante scuola di natura morta italiana si affermò a Na-poli: gli artisti napoletani, tra cui Giuseppe Recco, produssero infatti capolavori di livello eccelso. Nel Nord Italia, invece, si distinse il sacerdote bergamasco Evaristo Baschenis (1617-1677) con le sue nature morte di strumenti musicali. Gli acquirenti di nature morte furono normalmente borghesi, che amavano con queste opere decorare le sale da pranzo delle proprie case o delle ville di campagna. Il cibo che i pittori dipingevano costituiva la gioia della tavola dei ricchi; la rappresentazione del morbido, del lucido o del brillante si faceva elogio dei beni artificiali. - Nelle nature morte con le tavole apparecchiate è spesso possibile riscontrare un qualche significato allegorico. Un grappolo d\'uva

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