Sociologia: Comte, Spencer e Durkheim (PDF)

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Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano (UCSC MI)

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sociologia comte durkheim filosofia sociale

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This document provides an overview of the sociological theories of Comte, Spencer, and Durkheim. It discusses their perspectives on social order, social change, and the nature of societal forces, from which sociology emerged as a formal discipline. It explores concepts like the 'static' and 'dynamic' aspects of society according to Comte and Durkheim's ideas on social facts and different types of societies.

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Sociologia 1 Comte (1798-1857) è stato il primo a parlare di sociologia de nendola “ sica sociale”. Questa espressione ci suggerisce che la sua idea era quella di seguire il modello delle scienze naturali. Lui distingue tra statica sociale e dinamica sociale. La statica sociale r...

Sociologia 1 Comte (1798-1857) è stato il primo a parlare di sociologia de nendola “ sica sociale”. Questa espressione ci suggerisce che la sua idea era quella di seguire il modello delle scienze naturali. Lui distingue tra statica sociale e dinamica sociale. La statica sociale rappresentava tutto ciò che era un’istituzione sociale, un pilastro. La dinamica sociale era il cambiamento. Secondo Comte questa scienza doveva occuparsi di individuare gli elementi costanti e ricorrenti sia della statica sociale che della dinamica sociale. Avendo vissuto e osservato cosa era accaduto con la Rivoluzione francese, Comte si concentra di più sulla dinamica sociale, sul cambiamento. Individua 3 stadi attraverso l’osservazione di quello che stava accadendo. Questi stadi rappresentano le fasi culturali di trasformazione storica della società dagli albori no a quel momento. 1. Stadio teologico: dall’inizio della storia no al 1300. Il mondo viene de nito come dominato da delle forze divine; 2. Stadio meta sico: dal 1300 al 1800. L’ordine del mondo veniva organizzato da forze astratte (Illuminismo); Secondo Comte però ammettere che la verità dipende dal soggetto (da chi ricerca) piuttosto che dalla realtà oggettiva (che si impone oggettivamente dall’esterno) porta il caos. Comte sostiene che lo scienziato sociale deve osservare la realtà che si impone oggettivamente dall’esterno. La realtà è oggettivamente determinata dall’esterno. Solo con questa ottica tutto è ordinato. La realtà si impone e lo scienziato sociale osserva. Se invece lo scienziato sociale osservasse la realtà con le sue lenti soggettive, si creerebbe caos e squilibrio. Questo stadio meta sico è però uno stadio di passaggio, che ha un grande difetto: non è in grado di costruire una nuova società. Lo stadio più importante è lo stadio positivo. 3. Stadio positivo: dal 1800 in avanti. È lo stadio che permette di costruire un nuovo ordine sociale, dove si attinge ad ogni tipo di conoscenza. Lo stadio teologico e quello meta sico sono solo delle fasi preparatorie per arrivare allo stadio positivo. Se nello stadio positivo si può attingere ad ogni conoscenza, vuol dire che gli uomini non di 13 94 si riferiscono più a Dio o alla natura, ma cercano di formulare delle leggi che regolano il mondo sociale attraverso questo accesso alla conoscenza. La sociologia secondo Comte potrà raggiungere delle certezze, delle leggi indiscutibili, soltanto in questo stadio caratterizzato dall’ordine sociale. Se c’è ordine sociale si possono infatti osservare degli elementi costanti che permettono poi di formulare delle leggi generali per costruire la società del progresso. Comte riteneva poi che ci fosse bisogno di una condivisione di valori, credeva molto nell’integrazione morale. Come? attraverso la religione. Riteneva che la religione avesse la funzione positiva di garantire la disciplina. L’ordine sociale è mantenuto quindi dalla scienza e dalla religione. La teoria di Comte è stata molto criticata, perché Comte vuole dare la stessa immutabilità che hanno le scienze naturali alle scienze sociali, ma la società è mutevole. Nonostante ciò, viene riconosciuto a Comte un grande valore perché è stato il primo a riconoscere l’esistenza della sociologia. Harriet Martineau è stata una sociologa e metodologa che ha contribuito al successo di Comte traducendo alcune sue opere. A questi due ha fatto seguito Herbert Spencer con la sua teoria evoluzionistica. Spencer da un lato è d’accordo con Comte per quanto riguarda l’importanza della religione nell’integrazione sociale; non è però d’accordo sul fatto che la scienza sia immutabile e che si esaurisca. La scienza secondo Spencer non riuscirà mai a conoscere tutta la realtà (cosa che invece Comte riteneva possibile). di 14 94 ÉMILE DURKHEIM E IL PROBLEMA DELL’ORDINE SOCIALE (capitolo 4) La sociologia come scienza; l’importanza dell’integrazione e della coesione sociale Durkheim, di origine francese, è vissuto tra il 1858 e il 1917. fi fi fi fi fi fi fi fi Durkheim come tutti gli autori “classici” si è occupato di più questioni. Nel suo saggio “Il suicidio” si è occupato di un metodo, di metodologia delle scienze sociali e del legame sociale, inteso come una differenziazione di categorie della società (differenziazione sociale). In particolare, ha distinto tra la società meccanica e la società organica (caratterizzate rispettivamente da solidarietà meccanica e solidarietà organica). Durkheim si è occupato anche di religione e di educazione e ha notato le trasformazioni della società (in particolare da società premoderna a moderna, quando si è affermata la divisione del lavoro). Cominciano ad esserci diversi ruoli sempre più speci ci. Uno dei concetti più importanti di Durkheim è il fatto sociale. Durkheim dice che è la società che fa l’individuo. La società, questo ente collettivo dentro il quale si trovano gli individui, li determina e non il contrario. Il fatto sociale sono tutte quelle forme di agire, sentire e pensare esterne (in questo assimiglia un po’ a Comte). Il fatto sociale sono quindi quelle forme di agire e pensare che restano esterne all’individuo e che si pongono in modo coercitivo. Sono esterne perché non vengono né create né modi cate dagli individui. Si impongono attraverso la socializzazione e l’educazione. Il fatto sociale è l’oggetto su cui la sociologia si basa come scienza empirica. Se io studio i fatti sociali posso determinare diverse leggi. Proprio grazie ai fatti sociali la sociologia per Durkheim può arrivare a formulare delle leggi generali simili a quelle delle scienze naturali che esprimono dei legami di causa ed effetto. Come? Innanzitutto Durkheim ci tiene a distinguere la sociologia dalla loso a e dalla Psicologia. La loso a è una conoscenza, ma non è empirica. La Psicologia è la conoscenza dell’individuo ed è “intrapsichica”. La sociologia è diversa perché è empirica e per essere empirica indaga delle cause e cerca di trovare delle spiegazioni di tipo sociale e non individuale, delle spiegazioni che possano tracciare degli elementi ricorrenti e generali della società (spiegazioni quindi che non siano soggettive e psicologiche). La sociologia è una scienza empirica che indaga tutto ciò che avviene a livello di società, come ente collettivo. di 15 94 2. Come alcuni della sua epoca, Durkheim difende molto tutto ciò che è unità sociale, coesione sociale e integrazione sociale. Se c’è coesione allora c’è anche ordine sociale. La sociologia può quindi dare il suo contributo per mantenere l’ordine sociale. Durkheim è discepolo di Comte e rientra nella corrente loso ca del Positivismo (la Scienza è considerata l’unica vera forma di conoscenza della realtà). Durkheim fonda la sociologia come scienza perché le dà un metodo scienti co ed empirico (in questo modo la distingue dalla loso a sociale e dalla psicologia). Durkheim cerca le leggi della società come se fossero leggi della natura. Cerca di mettere alla pari scienze naturali e scienze sociali (naturalismo sociologico; “Fisica sociale”). La sociologia, in quanto scienza, deve essere in grado di creare delle connessioni di causa e effetto. Durkheim crede molto nelle “cause sociali” di un fenomeno. Per poter individuare delle cause è necessaria la “misurazione” ( = quanti cazione). Attraverso la misurazione si possono rilevare e conoscere i fatti sociali (e le loro connessioni). Grazie alla statistica si riesce a quanti care un fenomeno e a capire se è un fatto sociale oppure no: si tratta di un fatto sociale se è generale. La società ci parla, ed è bene ascoltarla. La scienza è lo “strumento” che ci consente di ascoltarne la voce. I fatti sociali precedono il nostro ingresso in società (sono lì da prima che nascessimo). Esempi di fatti sociali sono il lavoro, la famiglia, la lingua, la religione, l’educazione, la politica. Sono elementi e costruzioni che esistevano prima che noi nascessimo e sono l’oggetto di studio della sociologia secondo Durkheim. Attraverso la misurazione si analizzano i fatti sociali. Si devono mettere insieme dei numeri per trovare lo strumento di lettura della società. I fatti sociali (“Le regole del metodo sociologico”) Un fatto sociale A può essere prodotto (e quindi spiegato) solo da un altro fatto sociale B, di modo che tra B e A esiste un rapporto di causa ed effetto. B a sua volta potrà essere «causa» di un altro fatto sociale C. Compito del sociologo è scoprire questi nessi ed esprimerli attraverso leggi generali. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi Il fatto sociale si presenta sempre con tre caratteristiche che lo rendono riconoscibile (si noti l’antipsicologismo): 1. E’ esterno agli individui, quindi collocato «là fuori» nel mondo sociale; è una «cosa» e come tale deve essere studiata. In quanto tale è anche oggettivo; E’ coercitivo, cioè si impone alla volontà individuale. Non è l’individuo che lo determina, ma si impone alla volontà dell’individuo. È la società che fa l’individuo e non il contrario; di 16 94 3. E’ generale (cioè vale grosso modo per un’intera società) [la statistica ci aiuta a «trovarli», a identi carli meglio e a misurarli]; I fatti sociali devono essere de niti oggettivamente in modo tale da poter essere misurati/ quanti cati. Possono essere materiali (strutture) o immateriali (norme, valori, istituzioni). Se vuole essere scienza, anche la sociologia deve poter formulare leggi come quelle delle scienze naturali. Il problema di Durkheim non è quello di dimostrare che queste leggi esistono, è piuttosto quello di spiegare perché sono possibili. La spiegazione è l’esistenza dei “fatti sociali” (grazie alle loro tre proprietà: esteriorità, coercizione, generalità). Leggi sociali e “fatti sociali” Esistono leggi sociali perché nei comportamenti soggettivi esistono delle regolarità. Perché i comportamenti soggettivi sono regolari? Perché dietro di essi si «nasconde» un fatto sociale, cioè una «struttura sociale» che impone una particolare direzione o inerzia ai comportamenti dei singoli individui. Queste strutture non sono quindi create dall’agire individuale, ma vengono prima e lo condizionano. Se quindi voglio capire da dove viene un fatto sociale, devo cercare la sua origine solo in un altro fatto sociale (SOCIOLOGISMO). Come faccio a trovare i «fatti sociali»? Cercando ciò che è «grande», per questo la statistica ci dà una mano. Se un comportamento vale per una ampia collettività (è statisticamente rilevante) allora posso dire che dietro di esso esiste un «fatto sociale». Fatti sociali Aspetti «istituzionali» o «strutturali» della società (il sistema politico, il linguaggio, un valore, una rappresentazione collettiva, l’educazione, la situazione demogra ca); Valgono per un ampio numero di persone e non sono modi cabili dalla volontà del singolo individuo; L’analisi sociologica parte quindi dal riscontrare che nella società X si danno alcune caratteristiche molto generali o «collettive» (benessere, livello di istruzione, integrazione culturale); La quanti cazione ci aiuta a capire se si tratta in effetti di proprietà collettive; Che differenza c’è tra coscienza collettiva e fatto sociale? Il fatto sociale secondo Durkheim è una ragione profonda che sta dietro a un evento che si veri ca con una frequenza molto elevata. Dietro al fatto sociale c’è una spiegazione che deriva dalla società. Il fatto sociale è una emanazione della coscienza collettiva. Quando Durkheim pensa alla coscienza collettiva pensa alla società nella sua totalità. Potremmo dire che i pensieri e i modi di fare individuali stanno alla coscienza individuale nello stesso modo in cui pensieri, rappresentazioni, valori e modi di fare collettivi stanno alla coscienza collettiva. La coscienza collettiva esprime l’idea della società di Durkheim come un grande essere. La coscienza collettiva impone pensieri, modi di fare, emozioni e valori collettivi a tutti noi individui. Proprio per questo la vita sociale può avere delle sue regolarità. La vita sociale ha delle regolarità perché esistono i fatti sociali, perché la coscienza collettiva ci impone (con una forza soprattutto morale) i fatti sociali e quindi ci fa agire come vuole lei. di 17 94 Questa immagine (“modello autobus”) ci fa capire come Durkheim vede la dinamica sociale. Quando si sale sull’autobus si segue la sua direzione. La stessa cosa è la società per Durkheim: noi siamo dentro alla società che, attraverso i fatti sociali, ci imprime un’inerzia, cioè ci porta a seguire una direzione, e noi, in maniera abbastanza automatica, seguiamo questa direzione. Dietro all’impostazione di Durkheim (pur essendosi egli impegnato a fare in modo che la sociologia diventasse una scienza e col Suicidio lo riesce a far vedere) rimangono delle idee che fi fi fi fi fi fi fi sono un po’ loso che. I fatti sociali sono esterni ma soprattutto coercitivi. Ci sentiamo a disagio di fronte a certi modi di fare che trasgrediamo e questo è la prova del fatto che qualcuno ci impone determinati modi di fare. La coscienza collettiva penetra dentro di noi. Per Durkheim la società è tanto fuori quanto dentro di noi. Dentro di noi c’è un pezzo di società che pensa per noi. Il problema di Durkheim è fare in modo che la scienza sociale assomigli alle scienze naturali e quindi ha bisogno di dire che la nostra vita ha delle regolarità e quindi forza molto questa idea del fatto sociale che è coercitivo. Per Durkheim il massimo rischio che potrebbe succedere è che la società perda la sua unità e coesione. Durkheim fa quindi una sociologia che è sì empirica, ma che ha anche uno scopo morale e valoriale, ossia quello di difendere l’unità della società. Quanto questo sia importante lo capiamo studiando Il Suicidio. Durkheim vuole una società in cui ci siano delle regolarità che si possano spiegare secondo meccanismi di causa ed effetto proprio come nelle scienze naturali. Per Durkheim la vita sociale assomiglia ad un carillon: siamo mossi tutti da un magnete che ci trascina e che ci fa fare le stesse cose senza accorgercene. Per Durkheim noi più che agire “siamo agiti”. De nizione di Suicidio secondo Durkheim: “Si chiama suicidio ogni caso di morte che risulti direttamente o indirettamente da un atto positivo o negativo, compiuto dalla vittima stessa consapevole di produrre questo risultato» (Durkheim, 1994, p. 168. Ed. or. 1897)”. Durkheim studia il fenomeno del suicidio perché è un fenomeno consistente e distingue 4 tipi di suicidio: 1. 2. 3. Suicidio altruistico: la coscienza collettiva prevale su quella individuale; Suicidio egoistico: la coscienza individuale prevale su quella collettiva; Suicidio anomico: è dovuto alla mancanza di regole e aspettative sociali (a-nomia), legata a una diffusa carenza di integrazione sociale (per questo è diverso da quello egoistico; qui la condizione di non-integrazione è più diffusa). Laddove non c’è ordine e non ci sono norme che regolano la società il suicidio è un rischio; 4. Suicidio fatalistico: viene commesso per togliersi da condizioni esistenziali prostranti (ad esempio come gli schiavi). Gli hikikomori si ritirano dalla società per la stessa ragione (non riescono a reggere la pressione sociale), ma non arrivano a suicidarsi; Durkheim dà molta importanza all’integrazione sociale e ritiene che l’anomia (la mancanza di norme) porti al caos e al disordine. L’anomia si produce nei periodi di trasformazione sociale. Questo è un problema perché crea disordine sociale. L’individuo può vivere solamente in una società dove si sente integrato e dove a sua volta la società lo integra e gli dà dei modelli di valori e di comportamenti condivisi. Durkheim studia il suicidio utilizzando la statistica, guardando i numeri. È interessato ai tassi di suicidio, non al suicidio come fatto singolo. È interessato a capire quante persone si tolgono la vita in un certo periodo di tempo e in un certo luogo. Arriva quindi a costruire delle percentuali. (Questo è il classico modo di lavorare del sociologo olista). Una volta determinate le percentuali Durkheim mette in relazione i numeri (il variare del numero dei suicidi) con delle altre caratteristiche generali della società, mette in relazione il suicidio con altri fatti sociali (ad es. il suicidio con la religiosità). Facendo questi confronti Durkheim arriva a trovare una correlazione tra il tipo di religione che esiste all’interno di un contesto sociale e geogra co preciso e il numero dei suicidi. di 18 94 Durkheim scopre che i tassi di suicidio sono più diffusi tra i protestanti che tra i cattolici. Perché diverse forme di religiosità possono in uire sul numero dei suicidi? La differenza sta nel fatto che la religione protestante, contrariamente a quella cattolica, considera poco rilevante l’appartenenza a una Chiesa. Il protestantesimo favorisce la libera individuale espressione della propria fede davanti a Cristo, privatamente. La religione per i protestanti è più una cosa interiore. Il cattolico invece vive la sua fede nell’appartenere ad una Chiesa. Le persone secondo Durkheim hanno più risorse per sentirsi unite in una società in cui vige una religione come quella cattolica. I cittadini hanno una possibilità in più per sentirsi appartenenti a una stessa realtà. Secondo Durkheim se queste religioni differiscono per il livello di integrazione sociale e per il numero di suicidi c’è una correlazione tra questi due elementi. fi fi fi fl fi Durkheim arriva alla conclusione che laddove l’integrazione sociale è più bassa i suicidi sono maggiori e laddove l’integrazione sociale è più alta i suicidi sono minori. Il suicidio secondo Durkheim non dipende da fattori individuali (queste sono concause), ma dalla debole integrazione all'interno della società. Le società sono poco integrate nei momenti di mutamento sociale. Dall’analisi dei tassi di suicidio e delle serie storiche che li caratterizzano Durkheim scopre che: - I suicidi aumentano nei momenti di trasformazione della società, sia negativi (crisi) sia positivi (sviluppo e soprattutto crescita economica). Le crisi positive sono legate secondo Durkheim all’andamento dell’economia. Secondo Durkheim in un periodo di crisi positiva la società non è più in grado di dare delle regole e dei limiti che impediscano alle nostre passioni e ai nostri istinti di espandersi. La società per Durkheim ha un importante ruolo morale. Durkheim spiega questo attraverso la teoria dell’homo duplex. Homo Duplex: Tutto ciò che di positivo c’è nell’individuo deriva dalla sua partecipazione alla vita della società. Ciò che è sociale è morale. L’anomia o la mancata integrazione sociale portano quindi l’individuo verso la sua natura individualista e qui iniziano i “rischi”. Noi in quanto esseri umani se stiamo alla nostra natura di individui siamo delle bestie. Però c’è la società, che ci tira fuori da questa condizione di barbarie, perché con le sue regole collettive ci costringe a fare delle cose che vanno nell’interesse di tutti. Stare dietro alla società ci rende buoni e ci dà dei limiti. La società è capace di tenere ognuno al suo posto. La società quando è bene integrata riesce ad avere questo ruolo regolatore rispetto all’individuo, riesce a tenere a freno le nostre pulsioni egoiste. Se usciamo dalla società rischiamo quindi di regredire alla condizione di barbarie. di 19 94 Oltre a questo ci sono però dei momenti in cui la società stessa perde la bussola e non sa darci dei criteri di regolazione. Durante il boom economico, dice Durkheim, noi tutti pensiamo che possiamo arricchirci con poco sforzo e quindi la nostra cupidigia tende a prevaricare sugli altri aspetti della vita sociale. La forte crescita economica secondo Durkheim produce anomia perché è come se ci invitasse a non stare più dentro ai limiti che ci dà la società. Nel momento in cui la società perde la sua capacità di disciplinare i suoi individui si ha l’anomia. Si crea quindi una competizione di tutti contro tutti, una febbre dell’oro sulla riuscita della quale non abbiamo garanzie. Secondo Durkheim le principali vittime del suicidio anomico avvengono tra gli imprenditori. La anomia (assenza di regole) è sostanzialmente una delle forme del suicidio. I suicidi che si veri cano durante i periodi di grandi trasformazioni sociali secondo Durkheim sono perlopiù suicidi di tipo anomico. Il caso del protestante che si suicida di più rispetto al cattolico è un caso di suicidio egoistico: le regole ci sono, ma sono troppo poche. Il protestantesimo lascia troppa libertà all’individuo e in questa troppa libertà è facile che il protestante si smarrisca e abbia la tentazione di contare solo su se stesso. Di conseguenza, in quanto socialmente meno integrato, è più esposto al suicidio. Quando l’integrazione sociale è più debole e la coscienza individuale diventa più di 20 94 forte della coscienza collettiva cadiamo nel caso del suicidio egoistico. Il suicidio egoistico è particolarmente diffuso (oltre che tra i protestanti) tra gli intellettuali. Gli intellettuali a volte si sentono incompresi e quindi sviluppano una sorta di complesso di superiorità nei confronti della società, dalla quale si vogliono distaccare. Questo li dis-integra e li espone al rischio del suicidio. Esiste poi il suicidio altruistico: io posso suicidarmi per eccesso di integrazione nella società. Per esempio gli Inuit (eschimesi) arrivati a un certo punto della loro età per non pesare sulla vita della collettività decidono di andare a morire lontano dal gruppo. Si arriva al punto di far sparire la propria coscienza individuale dentro la coscienza collettiva. Ai piedi del monte Fuji, in Giappone, esiste un luogo chiamato “la foresta dei suicidi”. I giapponesi vanno a suicidarsi lì proprio perché una volta andavano in quel bosco gli anziani dei villaggi a lasciarsi morire per non essere un peso per il resto della collettività. Il suicidio altruistico accade quando la coscienza individuale è quasi inesistente rispetto alla coscienza collettiva. Il Suicidio è un’opera molto s dante perché va “a casa” della psicologia a far vedere che in realtà fi fi dietro al suicidio dobbiamo considerare soprattutto le cause sociali di questo fenomeno. Lo studio del suicidio è stato una sorta di pretesto intellettuale nei confronti della loso a e della psicologia per mostrare il potere della sociologia. di 21 94 Durkheim ha una concezione salvi ca, quasi teologica, della società. Per Durkheim la società è ciò che salva l’individuo. Dietro alla divinità che celebrano le diverse religioni alla ne invece c’è la società. Le divinità sono una metafora per dire la società. La società ha questo ruolo salvi co perché (1) da soli non riusciamo a dare senso alle nostre vite, niamo preda delle nostre azioni individuali. Vivere all’interno della collettività invece dà senso alla nostra vita perché abbiamo un compito, un ruolo. La nostra vita, inoltre (2), è un soffio, mentre la società dura tanto, è una sorta di incarnazione di un tempo quasi eterno e standoci dentro noi partecipiamo dell’eternità della società, troviamo un senso al nostro tempo che scorre. La società ci dà delle regole che ci permettono di tirare fuori il meglio di noi (3). Proprio per questo allontanandosi dalla società si rischia di esporsi al suicidio. Allo stesso tempo però non bisogna annullare la propria coscienza individuale. La teoria durkheimiana del mutamento sociale Durkheim è intimorito dal mutamento sociale perché per lui è più importante che la società sia ordinata e regolata. Se c’è qualcosa che sconvolge l’ordine iniziano i problemi. Il mutamento Durkheim vorrebbe evitarlo. Durkheim è un sociologo tendenzialmente conservatore (solo debolmente riformista). (Si dice che abbia costruito la sua sociologia per legittimare la Terza repubblica francese). Estratto del lm “The Village” L’estratto racconta di un topos, un elemento, che torna sempre nello studio della sociologia, ossia il concetto di comunità. Viene mostrata la vita isolata, rurale e campestre di un villaggio. Quali sono le caratteristiche di questa forma di vita che chiamiamo comunitaria? Il lm inizia con un rito funebre, che ha quindi a che fare con la religione. Si vede anche la scena di un matrimonio, che è sempre un rito religioso. Nell’estratto si vede che dopo il rito funebre la comunità si trova allo stesso tavolo per consumare lo stesso pasto. C’è il consiglio degli anziani: un modo di amministrare la comunità. Gli anziani della comunità prendono le decisioni secondo la tradizione. In aula c’è il maestro (che fa parte del consiglio degli anziani e che ha tenuto il discorso a tavola) che interroga i bambini. La scuola trasmette e riproduce la cultura della comunità (socializzazione): la scuola insegna i valori di riferimento della società. Il tema delle creature rappresenta la superstizione. In qualche modo si tratta della loro religione. In ne, c’è il tema della recinzione che torna spesso durante il lm. Esiste un con ne, che è un elemento fondamentale. di 22 94 Si tratta di una forma di vita poco diffusa attualmente. Tönnies la chiamerà proprio “comunità". Durkheim preferiva adoperare un altro termine: lui le chiamava società meccaniche, o meglio società a solidarietà meccanica. Per solidarietà Durkheim intende il legame sociale, il modo in cui stiamo insieme. Secondo Durkheim inizialmente la società assomigliava molto a una forma di vita comunitaria -che lui chiama società caratterizzata da solidarietà meccanica- in cui la coscienza collettiva è molto forte ed è presente una legge di tipo repressivo. Solidarietà meccanica vuol dire che in questa determinata forma di vita tutti più o meno fanno le stesse cose e le fanno insieme, in base alle priorità della comunità. Durkheim direbbe che c’è una bassa divisione del lavoro, c’è una bassa differenziazione di ruoli. La legge repressiva o diritto repressivo consiste nella punizione (corporale). Se si turba la giustizia collettiva si viene puniti corporalmente, con la violenza. La coscienza collettiva per Durkheim è la società stessa, è quell’insieme di comportamenti, di pensieri, di rappresentazioni e di valori che stanno all’interno della società. Nella solidarietà di tipo meccanico c’è una coscienza collettiva molto forte: tutto sommato si è tendenzialmente conformisti. L’individuo è molto integrato nel tutto sociale, non si pone problemi legati alla sua individualità, c’è un alto livello di coesione e di solidarietà sociale. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi Questa questione è data per scontato: tutti conoscono tutti e quindi la società risulta essere maggiormente coesa. Durkheim la chiama solidarietà meccanica perché funziona come se fosse un meccanismo perfetto. D’altra parte Durkheim è consapevole del fatto che la società si trasforma e trasformandosi cambia rispetto a questi parametri. Secondo Durkheim il processo di mutamento ha come unico grande effetto la modernizzazione. Le società si trasformano modernizzandosi (qui si vede quanto sia discepolo di Comte). Per lui trasformarsi signi ca modernizzarsi. Modernizzarsi ha un signi cato preciso: signi ca passare da un collettivo caratterizzato da una solidarietà di tipo meccanico a un collettivo caratterizzato da una solidarietà di tipo organico. Questo avviene perché nella società aumenta la cosiddetta densità dinamica. Le società crescono in parte numericamente, ma soprattutto cresce il numero delle possibili interazioni che noi svolgiamo nella nostra vita quotidiana. L’aumento della densità dinamica, cioè l’aumento del numero delle interazioni possibili che noi abbiamo, fa sì che si passi da una società meccanica a una società organica. Per far fronte a questa trasformazione, cioè al fatto che le persone tendono a differenziarsi e a rompere il dogma della comunità, la società trasforma la forma della sua solidarietà. La solidarietà passa da meccanica a organica. Nella società modernizzata, quindi da un certo punto di vista più progredita, gli individui stanno insieme non perché sono simili, ma perché sono diversi e quindi hanno bisogno gli uni degli altri. La differenza paradossalmente può creare unità nella complementarietà. La divisione del lavoro nella società organica è molto più elevata. Se io mi concentro a fare un determinato tipo di professione ho contemporaneamente bisogno di un’altra persona che faccia qualcos’altro. La solidarietà si crea anche attraverso il mercato. Si rimane in una situazione di coesione sociale, ma molto più debole. È una solidarietà molto più fragile quella che si fonda sulla complementarietà (spesso è fondata infatti più sui bisogni e sulle esigenze che non sulla forte condivisione di valori che ci rendono tutti simili e conformisti). Nella società di tipo organico siamo tutti più differenziati e meno disposti a essere conformisti. L’integrazione e la coesione diventano problematiche e la società è molto più esposta all’anomia. Non solo la trasformazione crea anomia, ma è come se lasciasse dell’anomia. Bauman quando parla di società liquida intende dire una società che è tendenzialmente anomica, una società che non ha più basi solide (come poteva avere la comunità o la società meccanica). di 23 94 La teoria del mutamento sociale durkheimiana è questa: la società si trasforma mutando la forma della sua solidarietà, che da meccanica passa a organica. La società rimane coesa, ma questa coesione è più fragile, è più esposta all’anomia perché è più esposta all’individualismo. L’individualismo è secondo Durkheim il male sociale per de nizione. Tra la società meccanica e la società organica cambia la divisione del lavoro sociale. Durkheim è un sociologo olista (la società è più grande della somma degli individui e in quanto tale soverchia gli individui) di tipo strutturalista. La società è strutturata, ha delle strutture: è organizzata in gruppi, ha delle leggi, dei costumi, una lingua (che sono i fatti sociali che si impongono a noi e quindi strutturano il nostro comportamento). Durkheim è inoltre un sociologo integrazionista. Il contrario di un integrazionista è un con ittualista. Essere integrazionista signi ca avere una visione a favore dell’unità sociale. Per Durkheim occorre fare di tutto per far sì che la società rimanga unita. La società deve restare unita e deve quindi sviluppare una serie di apparati come la scuola, la famiglia e le corporazioni (in ambito lavorativo), per fare in modo che l’individuo si senta dentro la società. Durkheim è francese (la Francia è un Paese molto integrazionista). I con itti vanno spenti il prima possibile. L’individuo deve sentirsi integrato nella società. Durkheim è anche un po’ un conservatore, è un nostalgico della società coesa. Le riforme che propone servono solo a preservare l’integrazione e l’integrità sociale, è solo in parte un riformista. di 24 94 MAX(IMILIAN KARL EMIL) WEBER (1864 - 1920) fl fi fi fi fi fl fi Introduciamo l’altro paradigma della sociologia con Weber. Weber anzitutto non parla di sociologia (prima differenza rispetto al modo di ragionare di Durkheim). Weber preferisce parlare di scienze storico sociali. Dal suo punto di vista occuparsi delle faccende umane richiede un lavoro interdisciplinare. Da un lato c’è la sociologia, ma dall’altro c’è la storia, la politologia, gli studi religiosi. Il sapere relativo all’essere umano e al suo vivere all’interno della società è un sapere che deve essere necessariamente interdisciplinare. Leggere Weber è più complicato per questo motivo. Se di Weber ci sono arrivate molte opere lo si deve al paziente lavoro di sua moglie, Marianne Weber. Weber, come tutti gli “autori classici”, si è occupato di molte questioni, non si è specializzato solo su un tema speci co. I “classici” parlavano di tutto, toccavano molti temi. Weber si è occupato di religione, economia, politica (tema del potere). Weber è stato il grande sociologo della razionalità. È stato un metodologo delle scienze storico sociali. Weber è con ittualista non perché sosteneva che fosse necessaria una rivoluzione per ricostruire un nuovo mondo (Marx), ma perché riconosce che dentro società c’è del con itto, non è lui che ce lo vuole mettere, lo dice da osservatore. Secondo Weber nella società esistono gruppi diversi che seguono orientamenti diversi in termini di valori, di ideologie o di politica e che quindi competono all’interno della società. Il con itto non è una cosa cattiva, è una cosa siologica, che deriva dal fatto che la società è plurale. Per Weber le differenze sono siologiche. Proprio perché siamo diversi ci raggruppiamo secondo criteri di affinità e dentro il nostro gruppo (ceto) siamo in con itto con gli altri perché abbiamo interessi diversi. Ignorare il con itto è un male. Dalla sua visione epistemologica si riesce a capire perché per Weber c’è più spazio al pluralismo. È un autore molto articolato e sfumato. Con Weber inizia un modo di fare sociologia che dà molta importanza alla cultura, agli aspetti culturali della vita sociale. Per cultura non si intende soltanto quella aulica. Cultura nel senso che la nostra vita sociale è anche uno scambio culturale. Di che cosa si occupa la sociologia secondo Weber? La sociologia secondo Durkheim è lo studio dei fatti sociali. La sociologia secondo Weber è invece lo studio dell’azione sociale. Se io dico che l’oggetto della sociologia è l’azione sociale e non i fatti sociali cambia molto. Per Weber protagonista dello studio della sociologia è l’individuo, non la società nella sua interezza e nei fatti sociali in cui si articola. Il paradigma di Weber è infatti quello “individualista”, anche se soltanto come punto di partenza. di 25 94 Cos’è l’azione sociale? Weber ne dà una de nizione abbastanza ristretta. Non tutto quello che facciamo è sociale. L’azione sociale secondo Weber si de nisce in base a due caratteristiche. 1. 2. È azione sociale solo quel tipo di azione che è dotata di senso = caratteristica fondamentale dell'azione sociale; L’azione sociale deve poi tenere conto dell’altrui agire; L’azione sociale in realtà è quindi un’interazione. È un’azione dotata di senso, ma che avviene attraverso l’interazione con altri individui. La prima conseguenza è che per Weber l’azione sociale è diversa dal comportamento. Il comportamento è proprio ciò che non è dotato di senso. I comportamenti puramente meccanici non sono azione sociale. Se agisco meccanicamente e se non c’è senso intenzionato dal soggetto allora si tratta di un comportamento, non di azione sociale. Per Weber il fatto di aprire l’ombrello perché piove non è un’azione dotata di senso, è una reazione meccanica a un fattore esterno a noi, non è un’azione sociale, è un mero comportamento. Quando un’azione è dotata di senso? Durkheim sosteneva che noi individui non siamo attori, ma siamo agiti dalla società. Un animale posto di fronte al cibo, cioè ad una stimolazione, o mangia direttamente il cibo, oppure inizia a preparare la sua reazione siologica per reagire a questo cibo. L’animale deterministicamente si muove verso il cibo. È un reagire siologico. Durkheim si immaginava così il modo di reagire degli individui ai fatti sociali (in maniera automatica). A un essere umano però in una situazione dello stesso tipo non succede la stessa cosa. Le fl fl fi fi fi fl fi fi fi fi fl fl persone di fronte a questa stimolazione come reagiscono? Tra lo stimolo e la reazione si frappongono altri elementi. Dire che l’azione sociale è dotata di senso signi ca dire che la nostra azione, il nostro rispondere a uno stimolo per quanto esso possa essere forte, non è mai immediato, ma è sempre mediato da un elemento simbolico, cioè dal senso che noi diamo a quella determinata cosa. Il senso spesso è invisibile, sta dentro di noi, nelle nostre emozioni, nei nostri pensieri, nella nostra storia, nel modo in cui noi vediamo la vita. Questo secondo Weber è quell’elemento che guida il nostro agire, il nostro muoverci all’interno della società. Questo è anche uno dei motivi per cui tendenzialmente noi esseri umani abbiamo alcuni gradi di libertà. di 26 94 Il fatto che noi abbiamo un rapporto interpretativo con la realtà che ci circonda è sinonimo del fatto che tutto sommato noi siamo liberi, possiamo sottrarci ad un condizionamento molto forte in base al senso. Secondo Weber noi esseri umani siamo animali simbolici: il nostro modo di rapportarci al mondo è di tipo interpretativo. È attraverso il senso che diamo una direzione alla nostra azione. Questo signi ca che la nostra azione è dotata di senso, signi ca che l’azione ha una sua intenzione, un suo obiettivo e un suo signi cato. Questo dipende da come noi leggiamo la realtà che ci sta intorno. Weber vuole esplorare diversi punti di vista, vuole entrare nelle diverse realtà soggettive. A posteriori poi si può fare un ragionamento. Partendo dall’ascolto dei soggetti si può arrivare a costruire dei tipi ideali, delle categorie di soggetti che agiscono in un determinato modo, seguendo determinati criteri che però sono sensati per loro. Non c’è una spiegazione dall’esterno, io devo sempre, come scienziato sociale, partire da ciò che il soggetto mi dice rispetto alle motivazioni delle sue azioni. Se ognuno agisce in base alle sue intenzioni, come facciamo a parlare di società? Weber ci dice che tutto sommato le persone si ritrovano all’interno di gruppi tendenzialmente omogenei. Posto che ognuno di noi può dare un senso diverso alla sua azione, come mai alla ne ci capiamo? Come mai alla ne ci sono, nonostante tutto, delle regolarità nella vita della nostra società? È una domanda aperta. La risposta di Weber è che i signi cati che noi possiamo attribuire alle cose sono tanti, ma non sono in niti. Non sono in niti perché i signi cati vivono nella cultura. Gli strumenti e le risorse cognitive che noi usiamo quando andiamo a interpretare la realtà dipendono dalla cultura nella quale ci troviamo. La cultura nasce proprio dall’interazione. L’azione sociale è dotata di senso, ma è anche importante che esista questa componente di interazione perché il nostro interagire sociale è proprio questo scambiarci i signi cati che di 27 94 possiamo attribuire alle cose che ci circondano. Scambiandoci i signi cati in qualche modo li negoziamo e ci ritroviamo su alcune cose. Durkheim diceva che noi viviamo in un mondo che è già fatto. Anche Weber è in un certo senso consapevole del fatto che noi viviamo in una cultura che ci precede. Nella cultura si cristallizzano dei signi cati che noi utilizziamo per dare senso alla nostra azione. La novità di Weber è che questi signi cati nelle interazioni si possono trasformare. Weber è più disposto a vedere un ruolo attivo da parte dei soggetti quando si scambiano tra di loro i signi cati; c’è quindi anche la possibilità che ne sorgano anche di nuovi. La sociologia di Weber diventa più potente nello spiegare le trasformazioni sociali rispetto a quella di Durkheim. C’è più spazio per la diversità, ma c’è più spazio anche per l’innovazione. A Weber interessano anche i fenomeni più piccoli, secondo Weber il sociologo deve indagare anche dove nascono nuovi fenomeni, perché lì potrebbe esserci il germe di un cambiamento. Molto spesso le trasformazioni sociali avvengono per contagio dal micro al macro. Per Durkheim si passa solo dal macro al macro, da un fatto sociale a un altro fatto sociale. A Durkheim non interessava il pensiero degli individui, perché gli individui secondo Durkheim seguono semplicemente un fatto sociale e quindi è sufficiente intercettare il fatto sociale. Secondo Weber vale il contrario: per sapere della società devo sapere degli individui, devo sapere di come interagendo si scambiano i signi cati che di volta in volta possono divenire sempre più centrali per la società in cui viviamo. Weber riesce a inserirsi meglio dentro il processo di cambiamento, proprio perché è possibile fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi passare, nel suo modo di vedere, dal micro al macro. Il micro va però conosciuto: bisogna entrare a vedere com’è la vita sociale degli attori sociali. C’è questa fondamentale differenza tra Durkheim e Weber: per Durkheim la società è data, è già formata, e noi ci stiamo dentro. Per Weber la società si costruisce, la società è il risultato delle interazioni tra individui che agiscono e interagiscono in maniera dotata di senso istigandosi a signi cati in parte già condivisi all’interno della nostra cultura, in parte modi cati o rinnovati proprio attraverso le interazioni sociali. Anche secondo Weber la sociologia deve generalizzare, a Weber interessa il micro per arrivare al macro. Ma il valore delle sue generalizzazioni è molto diverso da quello delle generalizzazioni alle quali Durkheim riteneva potesse arrivare la sociologia. di 28 94 In che cosa consiste per Weber il metodo della sociologia o come preferisce lui delle scienze storico sociali? Possiamo usare due parole chiave: Comprendere e spiegare. La sociologia deve fare queste due cose necessariamente. Anzitutto la comprensione, ossia risalire al senso che gli attori sociali hanno messo nelle loro azioni; qualcuno utilizza un po’ a sproposito la parola “empatia”, anche se noi oggi le conferiamo un signi cato diverso. Per Weber bisogna cercare di mettersi in contatto con l’altro e riuscire a capire quali sono i signi cati che stanno dietro alla sua azione. Dopo aver cercato di capire che cosa passa nella soggettività dell’individuo, è necessario provare a vedere se tra le risposte che si raccolgono si possono fare dei raggruppamenti diversi. Weber dopo aver trovato la ricorrenza di alcuni modi di agire più frequenti, li tipizza, fa dei tipi. Weber non parla solo di soggetti, ma anche di capitalismo, di religione protestante. Weber dedica diversi studi alla nascita del capitalismo, ma quando ne parla non intende una forza sociale che esiste di per sé e che ci soverchia, non è un fatto sociale come diceva Durkheim. Il capitalismo è un’etichetta che viene applicata al fatto che all’interno della società le persone tendono ad agire in un determinato modo, secondo una determinata logica, che è quella della razionalità mezzi- ni. Il cosiddetto capitalismo è solo un’etichetta che serve a raggruppare tanti comportamenti individuali accomunati da un certo modo di agire. Per Weber esistono degli idealtipi, delle tipizzazioni, delle caricature della realtà. Io considero l’agire di tante persone e esagero alcuni aspetti del loro modo di agire così da ritrovarlo più frequentemente in più persone. È una generalizzazione forzata e Weber ne è consapevole. Il tipo ideale o idealtipo è quindi una sorta di caricatura della realtà che nasce da ciò che il ricercatore sociale trova di simile in tanti modi diversi di comportarsi. di 29 94 Quindi, l’idealtipo secondo Weber è una caricatura, una descrizione forzata della realtà. “Forzata” perché si parte dalla premessa che la realtà è composta da individui. Se si generalizza e al posto di singoli individui si parla di capitalismo o di religione protestante è chiaro che si sta facendo una generalizzazione, è chiaro che si sta astraendo, cioè che si sta passando ad un livello di generalità maggiore. Questo si può fare perché tra gli attori sociali esistono delle analogie nei modi in cui concretamente danno senso alla loro azione. Secondo Weber questi idealtipi non esistono veramente, sono solo delle caricature. Per descrivere un gruppo di individui simili si esagerano alcuni caratteri (cioè quelli che li rendono simili) tralasciando quelli che invece li rendono degli individui speci ci. L’idealtipo che ottengo è proprio per questo motivo un po’ deformato: esiste nella mente del ricercatore sociale, ma ha una sua utilità. La nostra conoscenza non può non essere una riduzione della complessità della realtà. C’è una fi fi fi fi fi fi sintesi, ma questa sintesi è utile. Per Weber le generalizzazioni sono diverse rispetto a quelle che aveva in mente Durkheim. La prima distinzione fondamentale con Durkheim è che secondo Durkheim lo scienziato sociale è più competente dell’attore sociale: secondo Durkheim quando si parla della società non tutti hanno la stessa competenza per dire cose giuste rispetto a ciò che accade nella società. Il sociologo sa come vanno veramente le cose e le insegna agli attori sociali. Durkheim dice che il compito della sociologia è proprio quello di correggere le visioni parziali, i pregiudizi, le convinzioni e le idee confuse degli attori sociali. Durkheim ritiene che la scienza abbia più ragione rispetto ad altri modi di conoscere la realtà sociale (retrogusto illuminista e positivista). Non sempre però gli individui compiono le loro scelte sulla base della scienti cità (es. fumo). Se si vuole capire da che parte va la società è più utile descriverla oggettivamente o capire in base a quali ragioni gli attori sociali si muovono nel mondo? Entrambi gli approcci sono sicuramente utili, ma il passo avanti che ci permette di fare Weber è quello di capire che quando gli attori sociali decidono e si comportano in un determinato modo, lo fanno in base alle loro motivazioni, che non è detto siano coerenti con la visione che ha per esempio lo scienziato sociale. Secondo Weber proprio per questo motivo bisogna chiedere a chi si muove nella società come dà senso alle proprie azioni. Lo scienziato sociale, secondo Weber, è un ricercatore interessato a capire come funziona la società, ma è disposto ad ascoltare gli attori sociali. Il ricercatore sociale è per Weber colui che ascolta attivamente, cercando la comprensione dietro alle azioni degli attori sociali (non vuol dire giusti care, ma semplicemente ascoltare). Il sociologo non si deve fermare alla super cie delle cose, ma deve indagare le ragioni profonde di un determinato comportamento. Lo scienziato sociale ascolta le motivazioni dei soggetti e solo a posteriori, dopo averle analizzate e confrontate, può arrivare a delle generalizzazioni. Nel mondo di Weber c’è sempre spazio per la sorpresa: si potrà sempre trovare un individuo che non sta dietro alle generalizzazioni, contrariamente a Durkheim che riteneva che i fatti sociali comportassero un conformismo sociale. Weber è per questo più capace di pensare a come la società cambia. Secondo Weber la società la costruiamo noi, non a partire da zero, ma c’è pur sempre la possibilità di un cambiamento. di 30 94 Una prima famosa tipologia costruita da Weber è quella del potere. (Durkheim parlava del potere della società sopra gli individui). Weber si occupa di potere perché secondo lui la società è plurale e gruppi sociali diversi tra loro possono entrare in con itto, quindi il potere è un elemento fondamentale della vita sociale, è una delle ragioni per cui i ceti sociali competono tra di loro all’interno della società. Il potere, una volta ottenuto, consente di dominare all’interno della società. Prima di parlare dei diversi tipi di potere Weber speci ca che è necessario distinguere tra potere e potenza: il potere è sempre legittimo, colui che lo esercita ha la possibilità di farlo, non lo fa in maniera arbitraria. La potenza invece è un potere non legittimo, perché viene esercitata al di fuori di quella che lui de nisce legittimazione. La potenza è simile a quello che noi oggi de niamo abuso di potere. Nella nostra vita sociale è vero che esiste il potere, ma è vero anche che esiste la violenza, che è spesso legata all’esercizio del potere. di 31 94 Weber riteneva che anche la violenza può rientrare nelle forme legittime del potere solo se la esercita lo Stato: lo Stato ha il monopolio del potere violento. Lo Stato è l’unico attore sociale legittimato ad usare la violenza. Parlando di tipologia del potere ci si riferisce a una tipologia di poteri riconosciuti, legittimati. Chi riceve gli ordini riconosce a chi li dà il diritto di darli. Potere per Weber signi ca essere riconosciuti nella propria leadership, esercitare una certa in uenza. Un calciatore sicuramente non ha lo stesso potere del Presidente degli USA, però esercita comunque una certa in uenza (sui tifosi soprattutto). Tra il potere di un calciatore, di un monarca e di un presidente è diverso il criterio della loro legittimazione. Tutti e tre hanno titolo per esercitare un potere, ma sono diversi i principi in base ai quali noi riconosciamo a questi individui la loro legittimità a comandare. - Weber chiama il potere di un calciatore potere carismatico: un potere perlopiù simbolico di cui però è pur sempre investito. Gli individui riconoscono a gure come personaggi famosi il diritto di esercitare un certo tipo di potere perché riconosciamo loro delle qualità straordinarie. Weber quando si riferisce al potere carismatico ha in mente gure storiche come Gesù Cristo. fl fi fi fl fi fl fi fi fi fi fi fi - Weber chiama poi quel potere ereditato per tradizione potere tradizionale. Si tratta del potere di un re, di un monarca. - L’ultima forma di potere è quella del potere razionale-legale. Nelle nostre democrazie alcune gure hanno legittimità a esigere alcune cose da noi e noi riconosciamo questo potere, accettiamo la doverosità di questo potere (ad esempio pagando le tasse). La legittimazione a comandare in questo caso non sta (solo) nelle qualità personali o nella tradizione, ma nel fatto che esita un sistema di leggi e diritti che sanciscono che all’interno di di 32 94 uno Stato debbano esistere delle gure di vertice che hanno il compito di governare. È dalla Costituzione che queste persone traggono il loro potere (in una democrazia rappresentativa). Queste persone sono legittimate a comandare perché dietro c’è un sistema impersonale di norme. È un sistema spersonalizzato, un sistema in cui le componenti elettive (= che dipendono da scelte) prevalgono su quelle ascritte (= che dipendono da condizionamenti precedenti). Mentre il carisma è una qualità personale in questo caso non entrano in gioco qualità personali (in primis), è il sistema; in linea di principio chiunque potrebbe arrivare lì. Nelle monarchie il sistema è ereditario e quindi sale al potere chi c’è. Secondo Weber l’evoluzione delle società moderne tende a sostituire progressivamente forme di potere carismatico e tradizionali con forme di potere razionale-legale. È vero che le società modernizzandosi passano sempre più verso il potere razionale-legale, però anche il carisma oggigiorno sta tornando ad essere un elemento centrale. Il potere carismatico, contrariamente a quello razionale-legale, tende a coinvolgerci emotivamente. Un’altra tipologia costruita da Weber, forse più nota, è la tipologia dell’azione sociale. L’azione sociale è un’azione che è dotata di senso e che tiene conto dell’altrui agire. È diversa dal comportamento (gesti meccanici). Oltre ad aver dato questa de nizione, Weber vuole anche farne una tipologia. Secondo Weber i tipi di azione sono sostanzialmente 4. Quando un attore sociale compie un’azione può svolgere: 1. 2. 3. Un’azione razionale secondo lo scopo; Un’azione razionale secondo il valore; Un’azione guidata dai nostri affetti; 4. Un’azione guidata dalla tradizione; Solo due forme di azione sono per Weber propriamente sociali e si tratta delle prime due, che sono anche le due azioni che possiamo de nire a tutti gli effetti razionali, anche se la loro razionalità è differente. - L’azione razionale secondo lo scopo (o azione mezzi- ni) coincide con la nostra capacità di calcolo razionale. Calcolo signi ca sapere stabilire il rapporto necessario tra i ni che vogliamo raggiungere e i mezzi che dobbiamo utilizzare per arrivare al nostro obiettivo. Questa, secondo Weber, è la forma più alta di razionalità. - Quando decidiamo di intraprendere un’azione razionale secondo il valore non siamo guidati da un obiettivo speci co, ma la nostra azione serve a conformarci a un valore che riteniamo molto importante. Ad esempio un comandante che decide di morire non abbandonando la sua nave dal punto di vista dell’azione razionale secondo lo scopo sembrerebbe un comportamento non razionale, ma dal punto di vista dell’azione razionale secondo il valore Weber conferisce molta importanza ai valori, che possono essere così forti da farci fare delle cose che potrebbero sembrare non razionali, ma che diventano razionali nella misura in cui si capisce quanto è importante un determinato valore per un individuo. Ci sono valori che possono anche mettere in gioco la propria vita. Nelle prime due forme di azione sono molto forti la consapevolezza e la volontà dell’attore sociale che le compie. - Quando si agisce secondo gli affetti si è vittima di stati emotivi alterati. Sono però azioni delle quali si possono ricostruire le ragioni e i processi che hanno portato ad agire in un determinato modo. - Le azioni che non hanno nessun tipo di razionalità sono le azioni secondo la tradizione. Si tratta di tutte le azioni che noi quotidianamente facciamo in maniera ordinaria, senza nemmeno accorgerci. Da un lato sono azioni utili, che costituiscono gran parte della nostra vita quotidiana, ma dall’altro l’abitudine ci rende ciechi rispetto agli imprevisti. Le abitudini possono essere pericolose perché ci spengono il cervello. di 33 94 Per Weber è molto importante la razionalità perché se noi agiamo razionalmente è più facile fi fi fi fi fi fi fi fi che le nostre azioni si assomiglino. La razionalità mezzi- ni è molto simile alla logica ferrea, non c’è tanto margine alla creatività. La razionalità di tipo strumentale può essere ricondotta all’unico modo migliore per fare una determinata cosa. Se tutti noi agiamo secondo la razionalità le nostre azioni si assomiglieranno di più. Questa è una grande fortuna per i sociologi, perché sembra che la società diventi più regolare nel suo modo di funzionare. Weber dice che le nostre società si evolvono diventando più razionali perché sempre più individui scelgono di comportarsi in maniera razionale. Perché ad un certo punto della storia gli individui hanno scelto di comportarsi in maniera razionale? Weber in un suo famoso libro (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo) mette a confronto una forma di religione con un’attività di tipo economico. Sembrerebbe esistere secondo Weber una sorta di relazione tra la religione protestante (che lui conosce soprattutto nella versione calvinista) e lo spirito del capitalismo, cioè il comportamento degli imprenditori. Quali possono essere le analogie tra un fedele cristiano protestante e un imprenditore? La radice del perché la società si razionalizza secondo Weber sta qui. Per i “classici” la religione era ancora una forza in grado di spiegare perché nella società accadevano determinati fenomeni. La religione protestante (soprattutto nella sua versione calvinista) non aveva una visione molto ottimista della vita. Secondo questa inclinazione del protestantesimo Dio aveva già fatto “le di 34 94 squadre” dividendo coloro che avrebbero ricevuto la vita eterna e che si sarebbero salvati da coloro che sarebbero andati all’inferno. Rispetto a questa decisione divina gli essere umani non potevano cambiare nulla. Secondo Weber se una persona si ritrova ad essere immersa in una cultura intrisa di valori deterministici forse ha il desiderio di provare a capire, di provare a cogliere qualche segno del suo destino. Secondo la religione protestante questi segnali si trovavano nel successo di tipo lavorativo: se le cose nel lavoro vanno bene secondo la visiona calvinista signi ca che Dio ti ha salvato, ha dato un giudizio positivo su di te. La salvezza divina si chiama “grazia” e quando qualcuno svolge bene una cosa si dice proprio che la fa in maniera aggraziata, con grazia. Anche questa analogia terminologica ha fatto incontrare le due cose: se si fanno le cose con grazia vuol dire che si è ricevuta la grazia di Dio. Secondo Weber succede che le persone si impegnano al massimo nella loro attività lavorativa. La mentalità religiosa, che parte da questa predestinazione, spinge le persone a una forte attività. L’imprenditore capitalista, secondo Weber, è colui che dal guadagno del suo lavoro investe nuovamente nel suo lavoro per espandere e migliorare la sua attività, è il prototipo della persona che agisce in maniera razionale, cercando di far funzionare al meglio la sua attività. La cultura legata alla religione protestante avrebbe portato le persone ad agire nella maniera razionale secondo i mezzi- ni. L’imprenditore ragiona nella logica mezzi- ni. Questo è secondo Weber il movimento che avrebbe reso sempre più soggetti individui razionali, individui che agiscono calcolando il modo migliore in cui i mezzi si collegano ai ni. di 35 94 Come si trasformano le società (occidentali)? L’evoluzione non è un percorso troppo lineare, non è una legge scritta nel DNA della nostra storia, è qualcosa che accade perché sempre più persone scelgono di comportarsi razionalmente, è un percorso probabile, accidentato, che per adesso, dice Weber, sta andando in questa direzione. Le società si evolvono modernizzandosi, cioè razionalizzandosi (in buona sostanza). La razionalizzazione produce quello che Weber chiamava il disincanto del mondo. La società modernizzandosi diventa una società più scienti ca, si sviluppa sempre di più il capitalismo, le forme di potere diventano più razionali-legali, la società diventa più burocratica e perde la tradizione, la religione e si spersonalizza. La religione protestante ha messo in moto il processo di razionalizzazione e alla ne ha praticamente eliminato se stessa, si è sorpassata e si è autodistrutta perché ha portato la razionalità a diventare capillare nella nostra organizzazione sociale. Disincanto del mondo signi ca che nelle società modernizzate le persone spiegano le cose in modo razionale, in modo scienti co. Questa è la forma del divenire delle società occidentali in corso di modernizzazione. di 36 94 Quando Weber parla di burocrazia intende solo in parte quello che oggi noi, a livello di senso comune, siamo soliti intendere con questa parola. Burocrazia vuol dire alla lettera “il potere degli fi fi fi fi fi fi fi fi fi uffici”. Weber si accorge che modernizzandosi le società tendono a darsi una struttura sempre più organizzata, razionale e legata al rispetto di regole che sono scritte anche nel diritto. Le società diventano più razionali anche perché diventano più burocratiche: la burocrazia ci impone delle procedure, dei modi di fare standard che noi dobbiamo necessariamente rispettare. Il vantaggio di un mondo burocratico, dove la burocrazia è al servizio della società, è che si limitano tutte quelle forme di potere arbitrario che erano caratteristiche delle società precedenti. La burocrazia tiene a freno l’arbitrio. Lo stesso Weber era convinto che uno dei rischi delle società che seguono questo percorso, cioè che vanno verso la loro razionalizzazione, era proprio quello di diventare eccessivamente ossessive per le regole, cioè di chiudere gli esseri umani dentro una gabbia d’acciaio. Weber intuiva che la burocrazia, se esasperata e portata alle sue estreme conseguenze, sarebbe diventata una sorta di gabbia troppo rigida dentro la quale gli esseri umani si sarebbero sentiti sempre più a disagio. La Scuola di Francoforte riprenderà l’idea del potere comprimente della burocrazia. KARL MARX Pochi autori come Marx sono diventati un’icona. Marx è stato per tante generazioni un’icona. Un conto è parlare di Marx e un conto è parlare di marxismo. La ri essione di Marx, che si dichiara socialismo scienti co, va in tutt’altra direzione rispetto al positivismo. Marx è un pensatore che vuole che il pensiero sia al servizio della trasformazione del mondo. Per capire Marx dobbiamo cercare di immergerci nella fuliggine della società in cui Marx è vissuto, in cui c’era lo sfruttamento della classe operaia e in cui le condizioni lavorative erano pessime. Marx lo si capisce se si colloca nelle condizioni storico-materiali della società che lo ha visto nascere, crescere e pensare. Marx non lo possiamo capire no in fondo se non lo collochiamo dentro la visione materiale della rivoluzione industriale. Marx in senso stretto non è considerato un sociologo, molti lo considerano un losofo. Marx è stato anche e soprattutto un grande losofo, che tra l’altro prende posizione contro l’eredità di Kant e dell’Idealismo tedesco. Oggi de niremmo Marx un attivista, dal momento che scrisse nelle tesi su Feuerbach “I loso hanno sempre interpretato il mondo e ora è il momento di cambiarlo”. L’espressione “è ora di cambiarlo” ci fa capire che Marx è un sociologo critico. Marx è un sociologo critico perché non accetta la società così come lui l’ha trovata, ritiene che le cose così come ci vengono presentate non sono mai la verità, non sono mai la realtà di per sé, sono delle rappresentazioni ingannevoli. Essere critici signi ca mettere in discussione ciò che è dato, ciò che ci appare come dato. È esattamente il concetto opposto al Positivismo. Essere critici signi ca cercare di problematizzare ciò che esiste, quello che sembra esistere (partendo dal presupposto che ciò che è magari è solo ciò che sembra e dietro c’è qualche cosa di più vero). Questo atteggiamento del “più vero” è proprio ciò che marchia un intellettuale marxista. Per Durkheim la società è quasi sacra e deve stare il più coesa possibile. Weber, più disincantato e cinico, riconosce l’esistenza del con itto all’interno della società come qualcosa di siologico. di 37 94 Per Marx invece il con itto è necessario e auspicabile. Durkheim è un sociologo integrazionista, Weber è un sociologo con ittualista (moderato) e Marx è con ittualista. Per Marx la società va ribaltata, va stravolta. Occorre una rivoluzione per ribaltare la società. Perché occorre non solo accettare il con itto, ma anche portarlo no alle sue estreme conseguenze? Perché la società fondamentalmente è ingiusta. La società capitalista è una società profondamente ingiusta, contraddittoria, che quindi prima o poi si ribalterà da sola. Marx, come in parte farà Weber, introduce il tema del lavoro nell’analisi della sociologia. Lo studio scienti co della società non può secondo Marx non occuparsi di lavoro, perché lo studio scienti co della società non può non occuparsi di economia. Marx ha dato un grande impulso a quella che oggi abbiamo de nito sociologia economica e sociologia del lavoro. Marx non voleva fondare una sotto-disciplina: per lui fare sociologia signi ca studiare l’economia e studiare il lavoro, non è una branca speci ca, è proprio la sociologia in quanto tale che si fl fi fi fi fi fi fl fi fi fl fi fi fi fl fi fi fl fl fi fi fi fi occupa di queste questioni perché sono quelle centrali. Se noi vogliamo comprendere la società dobbiamo guardare alla sua sfera economica, a quelli che Marx chiama “rapporti sociali di produzione”. Con l’espressione “rapporti sociali di produzione” Marx vuole ricordare a tutti che l’economia non funziona secondo leggi eterne e inviolabili, funziona così perché c’è qualcuno che vuole farla andare così. L’economia è profondamente radicata nei processi sociali. Non esistono le leggi dell’economia in sé, esistono le leggi di economia dentro una particolare con gurazione della società e dei rapporti sociali che esistono all’interno di quella società. È un’espressione particolarmente densa di signi cato. Per Marx studiare la società partendo dai rapporti sociali di produzione, dal lavoro, dalla sfera economica, signi ca partire dalla base materiale, dalla struttura. Qual è la differenza tra il concetto di struttura in Durkheim e in Marx? Per Durkheim la società è strutturata perché esistono i fatti sociali, che danno alla società la sua particolare organizzazione. Per Marx invece la struttura è la base economica di una società, è il suo sistema industriale e produttivo. Il pensiero di Marx è spesso de nito “materialismo storico”: la sua convinzione è che per capire il mondo non bisogna studiare le idee o il pensiero ne a se stesso, ma bisogna studiare le condizioni di vita materiali che secondo Marx determinano anche il pensiero. Nella visione di Marx non sono le idee a trasformare il mondo, ma è la base materiale del mondo che ci impone di pensare in una determina maniera. Questa è la struttura, la base materiale, ovvero in questo caso il sistema di produzione industriale capitalista. Marx può essere de nito un sociologo strutturalista (come Durkheim) e allo stesso tempo con ittualista. Durkheim è un sociologo strutturalista integrazionista perché secondo lui grazie alla struttura sociale ci sono più possibilità che la società stia insieme, secondo Marx invece la struttura è proprio quello che bisogna ribaltare all’interno della società capitalista. Tutto ciò che non riguarda la dimensione materiale ed economica della vita sociale secondo Marx è ideologia. Cultura, arte e religione appartengono a una sfera che Marx chiama sovrastruttura, evidentemente meno importante della struttura. La religione, la loso a e la cultura hanno il vizio di mettere una sorta di velo tra la nostra coscienza e la realtà delle cose. L’ideologia fa da ltro e camuffa la realtà delle cose. di 38 94 Per Marx la società è fondamentalmente ingiusta. Se noi facessimo la storia delle società in cui l’essere umano è sempre vissuto scopriremmo una costante. La costante è che il potenziale umano ha sempre trovato dei grandi ostacoli alla sua piena espressione. Il potenziale umano indica il fatto che l’essere umano è un essere che tende a realizzarsi (non è nato nito, ma si realizza vivendo) e in questo percorso di realizzazione deve esprimere il maggior potenziale possibile che ha. L’essere umano è sempre stato morti cato nell’esercizio del suo potenziale. Nelle società precedenti era comprensibile ciò, perché erano le condizioni materiali di vita naturale ad opprimere l’uomo (es.: le carestie). La durezza della vita materiale derivava dal fatto che la società era tendenzialmente di natura di sussistenza. La contraddizione è che con il progresso tecnico, cioè con l’industrializzazione, il potenziale dell’essere umano non viene liberato, perché la società industriale è organizzata male, è organizzata dal capitalismo. L’economia capitalista opprime il potenziale dell’essere umano nella società per Marx contemporanea. Per Marx l’essere umano è un soggetto in divenire. Fino alla società industriale il potenziale umano era soverchiato e oppresso dalla vita dura. Quando si arriva alla rivoluzione industriale e quando nalmente sembreremmo avere a disposizione gli strumenti che ci emancipano da questa vita dura e difficile il potenziale umano ancora non si realizza. Non si realizza proprio per causa dell’essere umano stesso, non è più la natura che ci opprime, ma l’essere umano è la causa dell’impossibilità di altri esseri umani ad esprimere il loro potenziale. Quali sono secondo Marx le radici di questa ingiustizia (che per lui è intrinseca al modo stesso di operare del capitalismo)? Bisogna partire da una premessa loso ca: l’idea che dobbiamo assumere per capire quello che Marx dirà su come il lavoro si organizza in capitalismo è che dal punto di vista di Marx il lavoro nobilita l’essere umano. Il lavoro è un’attività che non è indifferente alla parte migliore dell’essere umano. Il lavoro è un’attività di trasformazione del mondo che abbiamo intorno attraverso cui l’essere umano si realizza. Il lavoro ha una valenza “spirituale” nel senso che mette in gioco fi fl fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi l’identità dell’essere umano. Il lavoro è un modo attraverso il quale conosciamo meglio noi stessi, attraverso il quale cresciamo. Ci dovrebbe essere un rapporto circolare tra il soggetto e ciò che produce attraverso il suo lavoro. Gli artisti e gli artigiani quando lavorano producono qualcosa in cui davvero mettono un pezzo di sé. L’artista quando produce una sua opera si espone: dentro la sua opera c’è un po’ anche di se stesso. Perché il lavoro sia veramente virtuoso è necessario riappropriarsi della parte di sé che si mette nel lavoro. Se questa circolarità non si chiude non si cresce attraverso il lavoro. Bisognerebbe disporre del prodotto che si è realizzato come si vuole. Il fatto di avere pieno possesso della gestione di ciò che si è prodotto per Marx va bene, ma le cose iniziano a cambiare quando arriva il capitalismo. di 39 94 Il capitalismo blocca questo tipo di circolarità virtuosa e lascia il soggetto che produce in una situazione di non ricongiungimento con quella parte di sé che ha messo nel suo lavoro. Questa è la radice antropologica ed etimologica di quello che Marx intende per alienazione del lavoro nella società capitalista. Alienazione signi ca espropriazione. Alienare signi ca dar via. Quando questa circolarità non viene rispettata si veri ca l’alienazione. È una condizione profondamente antropologica. Esistono 4 tipi di alienazione. Nel sistema capitalistico i mezzi di produzione sono in mano al capitalista e il lavoratore entra nel gioco del capitalista mettendo a disposizione la sua forza lavoro. È però il capitalista che decide che cosa e quanto si produce. Si viene a creare un sistema in cui da un lato ci sono poche persone che hanno il possesso dei mezzi di produzione e molte altre persone che non hanno altra possibilità che andare a vendere al capitalista la propria attività lavorativa. Come funziona la macchina capitalista? Nel “Capitale” Marx diventa più scienti co e meno loso co, lui stesso diceva che era necessario portare il socialismo nella sua fase scienti ca. La legge fondamentale del capitalismo è massimizzare il pro tto. Per Marx il capitalista è una persona meramente cinica. L’oggetto della produzione capitalista si chiama merce e porta ad un ricavo. Massimizzare il pro tto signi ca fare in modo che il delta sia sempre maggiore. di 40 94 Come fa il capitalista a massimizzare il pro tto? Sostanzialmente con lo sfruttamento. Il capitalista tende a sfruttare gli operai, riconosce loro un salario inferiore rispetto a quello che dovrebbero ricevere per il tempo che lavorano realmente. Il salario è sempre inferiore alla quantità di lavoro che effettivamente l’operaio svolge. Il gioco del capitalista diventa quello di fare in modo che il tempo non retribuito tenda ad essere sempre di più rispetto al tempo effettivamente pagato. Questo scarto tra quello che io in teoria dovrei all’operaio se lo pagassi correttamente e quello che gli do realmente secondo Marx si chiama plusvalore ed è quello che in buona sostanza va in tasca al capitalista. Il capitalista per riuscire a massimizzare il pro tto tenderà sempre di più a ridurre il salario ai livelli di sussistenza (o sotto di essi). Il salario che il capitalista concede all’operaio gli permette di riprodurre la sua forza lavoro, di rimanere in vita e tornare a lavorare il giorno dopo. Perché il capitalista è costretto a fare questo tipo di lavoro? Bisogna partire dal fatto che il valore della merce dipende dalla quantità di tempo che viene impiegata per la sua produzione. La tecnologia rispetto a questo non ha la capacità di raddoppiare il valore, ma addirittura lo dimezza. Se la tecnologia dimezza i tempi di produzione di un certo bene, non è che con questo bene io ottengo il doppio del ricavo che ottenevo prima, ne ottengo la metà, perché ho dimezzato i tempi di produzione. Per ricavare quello che prima ricavavo con una sola quantità di un certo bene adesso mi occorrono due quantità di quel bene. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi La tecnologia non gioca a favore dell’incremento del valore, ma anzi lo dimezza. La tecnologia è un fattore che gioca contro la capacità di ricavare plusvalore. Il capitalista ricava quindi il plusvalore rosicchiandolo al reddito dell’operaio. È un gioco destinato a nire secondo Marx. Il problema è che l’operaio accetta queste regole del gioco. Secondo Marx l’operaio accetta queste condizioni perché al di sotto della classe operaia del proletariato ci sta il cosiddetto sottoproletariato, una sottoclasse, una classe inferiore alla classe operaia che in qualche modo accetterebbe di lavorare in quella maniera. È una sorta di guerra tra poveri. All’operaio che lavora in pessime condizioni non conviene smettere di lavorare perché ci sarebbe comunque qualcuno che prenderebbe il suo posto. di 41 94 L’economia tra le scienze sociali è quella che riesce maggiormente a formalizzare le leggi di Marx. Marx ci parla anche attraverso una legge scritta sotto forma di equazione. Questa equazione permette di calcolare il cosiddetto saggio di pro tto. Il saggio di pro tto è un indice, un coefficiente, che ci consente di capire in maniera molto sintetica come stanno andando le cose. Se il saggio di pro tto va bene signi ca che le cose stanno andando bene al capitalista, se invece non va bene vuol dire che le cose stanno andando male. Se andiamo a vedere le variabili che entrano in gioco nel de nire questa equazione capiamo che il capitalismo sostanzialmente è destinato a autodistruggersi. Marx è convinto che il capitalismo sia un sistema che si sabota da solo. È meglio prendere subito coscienza di questo fatto per accelerare la ne del capitalismo, è per questo che Marx invita alla rivoluzione. Questo ragionamento formalizzato e scienti co serve a Marx per dire che il saggio di pro tto prima o poi inizierà a calare no a portare il capitalismo a una sua necessaria reazione, che però sarà l’inizio delle ne. Questo saggio di pro tto è dato dal plusvalore diviso V e C. V è il capitale variabile (lo stipendio che il capitalista dà ai suoi operai) e C è il cosiddetto capitale costante (quello che il capitalista deve investire in tecnologie e macchinari che aiutano la produzione). Per far sì che il saggio di pro tto sia positivo bisogna aumentare il numeratore (il plusvalore) o diminuire il denominatore. Il plusvalore però non si può aumentare più di tanto, perché le giornate lavorative non sono in nite e il capitalista sta già chiedendo troppe ore non retribuite all’operaio. Anche V (cioè il capitale variabile) non si può diminuire più di tanto, perché è già a livello di sussistenza. A volte potrebbe risultare utile aumentare il capitale costante, il capitalista spesso si trova costretto ad aumentare C per la concorrenza o perché l’unico modo per aumentare la produzione è ridurre il tempo dedicato a produrre merce attraverso una tecnologia più so sticata. Marx ci dice che l’unico modo che i capitalisti avranno per cercare di tenere alto il saggio del pro tto è quello di aumentare a dismisura la produzione. Per mantenere il saggio di pro tto in positivo il capitalismo dovrà aumentare la produzione no ad arrivare alle crisi di sovrapproduzione, dalle quali solo poche imprese si salveranno. La matematica ha quasi il senso di un destino, è un calcolo che fa capire che le cose andranno verso una spontanea crisi. di 42 94 Rendersi conto che il capitalismo è un gioco che non vale più la pena giocare aiuta ad accelerare questo processo di ribaltamento del sistema capitalistico. Finché non avviene questo la società non può cambiare. Secondo Marx la società è composta fondamentalmente solo da due classi, che si distinguono tra di loro su base meramente economica. Per Weber la società è plurale e ci sono almeno 3 variabili che differenziano i gruppi all’interno della società, invece secondo Marx la società è organizzata e divisa solo su base economica. L’economia è l’unico fattore che strati ca la società e la divide in gruppi. O sei un borghese o sei un operaio. Borghesia e proletariato sono le due classi che compongono la società. Per classe si intende un raggruppamento sociale individuato sulla base del reddito. Per Marx la società si strati ca solo su base economica producendo una divisione in due gruppi, uno elitario (capitalisti) e l’altro maggioritario (dei proletari). Il sottoproletariato non viene nemmeno de nito una classe perché sono sostanzialmente nullatenenti. La società capitalista è una società fortemente segnata dalla diseguaglianza. Marx è forse il primo autore che inaugura lo studio scienti co e sociologico delle diseguaglianze. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi Secondo Marx nché ci sarà il capitalismo ci saranno anche ingiustizie e disuguaglianze, ci sarà questa divisione molto spinta tra due sole classi sociali. Anche oggi le società occidentali tendono a polarizzarsi tra persone molto ricche (poche) e persone molto povere (tante). di 43 94 Secondo Marx gli operai non si ribellano anche a causa dell’ideologia: la cultura, la religione e la loso a secondo Marx funzionano come una sorta di ltro che non ci permette di vedere le cose come stanno realmente. Una frase che si è soliti attribuire a Marx è “La religione è l’oppio dei poveri”. L’ideologia è come la religione: è un sistema di valori che fa accettare le cose anche se non sono giuste. L’ideologia sono anche i valori borghesi. L’ideologia è proprio ciò che camuffa la realtà cercando di rendercela accettabile e distogliendoci dal nostro desiderio di impegnarci a cambiarla. di 44 94 Per Marx la ri essione sulle contraddizioni della società capitalista deve arrivare a una rivoluzione, cioè a un movimento che parta dalla classe oppressa (il proletariato) per ribaltare le cose, quindi in buona sostanza per distruggere l’ordine vigente e costruirne uno nuovo. Che cosa vuol dire fare questo tipo di operazione nei termini marxiani? Non vuol dire semplicemente devastare per il puro gusto di devastare. La rivoluzione anzitutto è il passaggio necessario per la società che lui ha de nito comunista. Come ci dicono gli interpreti che hanno più a lungo studiato il pensiero di Marx, su questa parte sembra che lui ci abbia raccontato poco. Non ci ha detto molto riguardo a come questa società capitalista potrebbe essere. Di una cosa però siamo certi: il comunismo sarà diverso dal capitalismo. Se il capitalismo nasce e ha tutta una serie di conseguenze perché una piccola parte della società possiede i mezzi sociali di produzione e gli altri ne devono in qualche modo subire le conseguenze, il senso di questa rivoluzione sarà fare in modo che i mezzi di produzione appartengano alla collettività, cioè siano proprietà del proletariato e non ci sia più una parte della società che controlli i mezzi sociali di produzione in maniera esclusiva. In buona sostanza si tratta di abolire la proprietà privata dei mezzi sociali di produzione, che in quanto sociali devono stare in mano alla collettività. La questione centrale del pensiero di Marx è che alla base della nostra vita sociale ci siano le strutture di produzione economiche e quindi è trasformando quelle che possiamo trasformare anche la società con le sue disuguaglianze e la forte polarizzazione che si è venuta a creare tra i pochi capitalisti ricchi e i tanti proletari poveri (e il sottoproletariato). L’altra cosa che entrando nel tecnicismo del discorso marxiano sul lavoro (sfruttamento, plusvalore, alienazione) risulta essere rilevante è che secondo Marx con il passaggio al capitalismo e quindi con la nascita del lavoro (che molto spesso è un lavoro di fatica, un lavoro che rende l’operaio, che dipende completamente dal padrone, l’assistente delle macchine) si perde la dimensione realizzativa del lavoro. Questa è la componente che forse ancora oggi teniamo come particolarmente signi cativa e forte del lavoro marxiano. È importante che il lavoro permetta di mettere a frutto il tempo che si dedica a quell’attività. Il grande dramma dell’operaio marxiano è che la sua attività da un lato gli porta via buona parte del suo tempo e dall’altra non gli permette di elevarsi un minimo anche come persona. La questione che Marx ci pone è quella del valore del lavoro come attività che realizza e costruisce la nostra identità ed essenza di esseri umani. di 45 94 GEORG SIMMEL Simmel è un autore molto particolare, curioso, eclettico, non perché gli altri autori non lo siano stati, ma perché è un autore che va addirittura oltre la tendenza dei classici ad occuparsi di più questioni, seguendo una serie di argomenti apparentemente più leggeri di quelli che hanno affrontato gli altri classici, ma non per questo si tratta di un sociologo privo di profondità. Riuscire a rendere oggetto di attenzione culturale e intellettuale aspetti della vita sociale che sembrerebbero marginali richiede molto sforzo. Simmel è soprattutto un autore eclettico e inattuale, non oggi, ma nel senso che è arrivato troppo presto per la sua epoca e di conseguenza non è stato colto nella sua profondità nel momento in cui era in vita. Simmel per diverso tempo è stato considerato un “minore”, ma in realtà aveva colto una serie di elementi e di trasformazioni, ma anche un modo di guardare alla vita sociale, che per l’epoca era un po’ troppo avanti. fi fi fl fi fi fi fi Simmel è stato riconsiderato soprattutto negli anni 90, in periodi a noi molto più vicini. Tra i vari termini con cui abbiamo provato a de nire la società contemporanea c’è stato anche quello di “società post-moderna”. Quando si è iniziato a parlare di post-moderno si è scoperto che in realtà Simmel aveva già detto certe cose all’inizio del 900. Qual è il contesto in cui Simmel va posizionato? Il contesto di Simmel è quello della città. Non potremmo capire Simmel se non lo

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