Biologia: L'organizzazione della vita PDF

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Questo documento approfondisce l'organizzazione della vita, descrivendo gli elementi fondamentali degli esseri viventi, l'origine della prima vita sulla Terra attraverso l'ipotesi del brodo primordiale e le diverse teorie sull'evoluzione, inclusa la selezione naturale.

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Biologia L’organizzazione della vita Cosa può essere definito vita? È definita da un qualcosa di costituito da cellule, ogni essere vivente è capace di rispondere a degli stimoli ambientali e ha capacità di crescita e sviluppo. Gli esseri viventi, per defini...

Biologia L’organizzazione della vita Cosa può essere definito vita? È definita da un qualcosa di costituito da cellule, ogni essere vivente è capace di rispondere a degli stimoli ambientali e ha capacità di crescita e sviluppo. Gli esseri viventi, per definizione, devono avere la capacità di generare progenie e di trasmettere alle generazioni successive i loro caratteri (caratteristica fondamentale: trasmissione dei caratteri). Gli esseri viventi, inoltre, tendono a mantenere l’omeostasi (stabilità delle condizioni interne) e hanno un metabolismo; quindi, assumono energia e materia dall’esterno e la rielaborano attraverso reazioni chimiche. Da dove origina la prima vita? Ogni cellula è costituita dal 70% di acqua e 30% da composti chimici, tra questi troviamo principalmente macromolecole: carboidrati, lipidi, proteine, acidi nucleici. La prima idea di come la vita si sia organizzata sulla terra è l’ipotesi del brodo primordiale → I composti organici in acqua, avendo a disposizione molta energia (irradiazione solare, fulmini, radioattività), si sono organizzati in macromolecole. La formazione delle macromolecole è stata influenzata dalla presenza in atmosfera di: azoto, idrogeno, anidride carbonica, acqua, ammoniaca e metano. L’ossigeno, elemento fondamentale per la vita, non era ancora presente in atmosfera. Nel 1952 Miller cercò di riprodurre l’atmosfera primordiale usando gli elementi presenti al tempo in un ambiente chiuso a cui forniva energia e acqua; notò che gli elementi reagivano tra loro formando piccole molecole organiche, tra cui erano presenti anche nucleotidi e amminoacidi. In relazione a questi due elementi è da ricordare che il DNA è il depositario dell’informazione genetica, mentre le proteine sono le “mani” della cellula. Cosa si è formato prima? Negli anni ‘80 si è scoperto che le prime cellule (protocellule) erano ad RNA, quest’ultimo faceva sia da genoma sia da proteina ed era in grado di sintetizzarsi in modo autonomo. Questa ipotesi è confermata dal fatto che i ribonucleotidi che formano l’RNA sono necessari per la formazione dei deossiribonucleotidi del DNA; dunque, l’RNA si è formato prima del DNA. Altri elementi che confermano l’ipotesi sono: - presenza dei ribosomi nella cellula: il ribosoma è costituito da RNA e utilizza l’RNA messaggero per produrre proteine; quindi ha una capacità enzimatica data dall’RNA che risulta avere funzioni catalitiche - fossili a RNA: sono introni delle sequenze che si autorimuovono - ribozimi: sono RNA catalitici capaci di far avvenire reazioni nella cellula La formazione delle prime catene di RNA è avvenuta probabilmente a livello dei terreni argillosi della crosta terrestre che facilitavano la reazione di polimerizzazione concentrando i ribonucleotidi; inoltre, la reazione era favorita da variazioni di temperatura che facevano aderire i ribonucleotidi al terreno e fornivano energia di legame. Successivamente, a causa del raffreddamento dato dall’acqua e dal sale delle maree, i ribonucleotidi si sono condensati e staccati dal terreno. La caratteristica principale dell’RNA è l’auto-replicazione → sono state sintetizzate in laboratorio svariate sequenze di RNA per osservarne la capacità auto catalitica e si è notato che l’RNA riesce a svolgere la funzione di RNA polimerasi (in grado di produrre altre molecole di RNA). Le prime molecole di RNA, ovviamente, sono state sottoposte alla selezione naturale subendo a volte delle mutazioni. Le mutazioni hanno reso alcune molecole più efficienti delle altre e, attraverso la selezione naturale, queste ultime sono divenute predominanti. Le molecole di RNA si replicano in uno spazio ristretto; questa caratteristica ha portato alla formazione delle membrane fosfolipidiche. I ribozimi hanno tratto un grande vantaggio dalla formazione delle membrane poiché una molecola che replica l’RNA non necessariamente replica solo sé stessa; quindi, il vantaggio sta nel non perdere energia replicando altre molecole essendo circondata da membrana. Quando la chiusura in membrana è avvenuta con più molecole di RNA queste hanno iniziato ad operare in modo simbiotico → una molecola di RNA ha cominciato a svolgere la funzione di messaggero (mRNA) e le altre hanno cominciato a legare gli amminoacidi (tRNA); questa organizzazione all’interno di una membrana ha consentito la formazione delle prime proteine. A questo punto l’RNA resta depositario dell’informazione genica e le 1 proteine acquisiscono le proprietà funzionali di aiutare l’RNA a mantenersi e modificarsi. Le modificazioni dell’RNA hanno portato alla formazione prima di un doppio filamento di RNA e successivamente del DNA. Per selezione naturale, il DNA diventa il principale depositario delle informazioni, mentre l’RNA si occupa del trasporto dell’informazione, le proteine la conservano, producono l’RNA e si occupano della sopravvivenza della cellula. Il DNA è diventato il depositario delle informazioni perché, essendo a doppio filamento, permette di non perdere l’informazione, di difendersi da modifiche maggiormente rispetto all’RNA ed è meno reattivo di quest’ultimo. Gli RNA si occupano del flusso dell’informazione genetica orizzontale e che sono fondamentali per la regolazione dell’espressione genica e mantengono ancora oggi una funzione catalitica. Obiezioni alla teoria del brodo primordiale: - l’atmosfera primordiale descritta dall’esperimento non è corretta - non è garantita la presenza di tutti i prodotti per formare le cellule altre teorie: - la vita è sorta da sorgenti idrotermali sottomarine (a temperature comprese tra 40 e 75 gradi). Questi ambienti sono stati rinvenuti nell’oceano Atlantico e nell’oceano Pacifico e utilizzano come fonte energetica il nucleo della terra e, in particolare, le eruzioni vulcaniche. Queste zone presentano un ambiente alcalino e hanno una struttura chimica “a spugna” all’interno dei minerali sembrerebbe essersi formata la vita. Che caratteristiche aveva la prima cellula? La protocellula aveva le stesse caratteristiche di una cellula batterica di tipo unicellulare (nucleo circondato da membrana e immerso nel citoplasma). Queste cellule, inizialmente, trovavano nutrimento nel loro ambiente sia nel brodo primordiale sia nei minerali. Le cellule necessitano, inoltre, di energia per svolgere le funzioni vitali; infatti, una delle caratteristiche della teoria dei pozzi termali oceanici è proprio la presenza di un gradiente redox utile a produrre energia. Inizialmente in questi ambienti era presente il glucosio e, quindi, si alimentavano con un processo simile alla glicolisi. Quando il glucosio cominciò a scarseggiare si svilupparono i primi organismi autotrofi: - batteri metanogeni: (archeobatteri, sono i primi organismi autotrofi) prendono idrogeno e anidride carbonica per produrre ATP che a sua volta viene utilizzato per produrre glucosio; - batteri fotosintetici: (cianobatteri) sfruttano l’energia solare partendo da CO2 e H2O per formare glucosio e ossigeno. La comparsa dei batteri fotosintetici è di fondamentale importanza poiché ha portato a un cambiamento dell’atmosfera terrestre rendendola ricca di ossigeno e, di conseguenza, le cellule si sono adattate ad utilizzare l’ossigeno per produrre energia → comparsa di esseri viventi con metabolismo aerobio. Cellule con metabolismo aerobio: usano l’ossigeno e il glucosio prodotti dagli organismi fotosintetici per produrre energia. La vita si è organizzata in un processo simbiotico per arrivare alla formazione di una cellula più complessa: c'è stato un incontro tra un archeobatterio (metanogeno) e un batterio aerobio facoltativo. In condizioni anaerobie, il batterio aerobio facoltativo assumeva glucosio e produceva ATP liberando CO2 e idrogeno; il metanogeno prendeva questi prodotti di scarto e li utilizzava per produrre ATP e glucosio. Progressivamente la relazione tra queste due cellule è divenuta sempre più stringente, al punto che l’archeobatterio metanogeno ha inglobato l’aerobio formando la prima cellula eucariote tramite dipendenza ospite-simbionte; quindi l’aerobio ha perso parte del suo materiale genetico e il metanogeno le sue funzioni metanogene. Successivamente è avvenuto l’inglobamento dei batteri fotosintetici che ha portato alla formazione dei cloroplasti. L’ingrossamento della membrana ha creato un’invaginazione che ha permesso di circondare il DNA formando il nucleo. Ricordiamo che la vita è nata una sola volta e successivamente si è verificata l’evoluzione in diverse diramazioni → variabilità. Da dove origina questa variabilità? Negli anni sono state sviluppate diverse teorie relative alla variabilità: - creazionismo: (teoria dell’immobilismo della specie) secondo la teoria del creazionismo un essere supremo ha creato le cose così come stanno e, di conseguenza, le forme di vita che sono osservabili oggi sono le stesse che erano presenti nelle epoche precedenti; 2 - fissismo: ciò che è vita non ha subito variazioni nel corso del tempo, il promotore di questa teoria è LINNEO che ha classificato gli esseri viventi su una base razionale inventando la tassonomia. La tassonomia è utilizzata ancora oggi e divide gli esseri viventi in 3 domini etc. Ad oggi è stata conservata la tassonomia ma è cambiato il punto di vista poiché Linneo classificava gli esseri viventi in base a ciò che vedeva e alle loro differenze; infatti, a lui dobbiamo una classificazione binomiale, cioè, la definizione degli esseri viventi con nomi latini in genere e specie e l’individuazione della specie come insieme di organismi in grado di generare una prole feconda (caratteristica necessaria per passare l’informazione alle generazioni successive); - Teoria evolutiva di Lamarck: l'ambiente seleziona gli esseri viventi, questo si modifica e gli esseri viventi si cambiano con lui; quindi, le specie, tramite l’interazione con l’ambiente e l’adattamento ad esso, si evolvono e diventano più adatte alla vita nell’ambiente. Quello che viene utilizzato viene trasmesso alle generazioni successive, ciò che non viene utilizzato viene spento e non trasmesso; infatti, secondo questa teoria, la necessità determina l’uso o il disuso di uno o più organi che si sviluppano o atrofizzano; - Osservazioni di Darwin: Darwin osserva che all’interno di una popolazione che vive nello stesso ambiente c’è variabilità; quindi, questa non dipende dall’ambiente. Un’altra osservazione di Darwin è legata al fatto che si producono più figli di quanti ne sopravvivono ma le risorse sono limitate; quindi c’è una continua lotta per la sopravvivenza e per l’uso delle risorse. Dunque, soltanto alcuni possono sopravvivere e generare prole feconda → selezione naturale. La selezione naturale lavora sulla variabilità, che dà una maggiore o minore probabilità di sopravvivere. Se una popolazione viene separata da una barriera ed esposta ad ambienti differenti, si verificheranno delle modificazioni diverse e, di conseguenza, una selezione differente. La selezione che ha luogo in ambienti diversi genera individui che tra loro non generano prole feconda. Esempio delle giraffe: inizialmente le giraffe riuscivano a sopravvivere poiché tutte riuscivano a nutrirsi, con il cambiare dell’ambiente e l’aumento di altezza degli alberi, alcune giraffe sono diventate più alte e questa caratteristica ha permesso loro di nutrirsi e di sopravvivere. Però Darwin non sapeva come i sopravvissuti trasmettessero i loro caratteri utili alla progenie e non conosceva il concetto di mutazione e, di conseguenza, non riusciva a spiegare la variabilità. La relazione tra mutazione e selezione sta nel fatto che la mutazione è casuale e questa variabilità casuale fa si che l’ambiente selezioni in maniera non casuale gli individui più adatti; quindi, Il successo riproduttivo è strettamente legato al contesto ambientale. Esempio falene: in Inghilterra, prima della rivoluzione industriale, le falene si nutrivano di betulle. Questi alberi avevano un tronco chiaro e, quindi, anche le falene avevano un colore chiaro per mimetizzarsi al meglio. Durante la rivoluzione la betulla si è scurita e la falena, per sopravvivere e mimetizzarsi in modo da non essere cacciata, si scurì. In sintesi → l’evoluzione per selezione naturale ha due fasi: 1. mutazioni casuali 2. selezione: l’ambiente setaccia Selezione artificiale: si effettua quotidianamente, l’uomo seleziona i caratteri di interesse e riproduce artificialmente la selezione naturale. Viene utilizzata per selezionare vari tipi di nutrienti attraverso la selezione dei semi o per la selezione di animali di razza. Studio dei fossili: gli esseri viventi si trasformano nel tempo, a sostegno della teoria è lo studio dei fossili, le trasformazioni genetiche hanno prodotto delle trasformazioni fenotipiche che portano da organismi molto diversi a quelli di oggi. Classificazione moderna La classificazione moderna non si basa sul fenotipo, ma è filogenetica: si analizzano le forme e la parentela attraverso l’analisi del DNA e, il sequenziamento genomico; infatti, alcuni marcatori danno un’idea del grado di parentela che c’è tra gli individui. È importante notare che una volta che un problema biologico è stato risolto, questo viene conservato dalla natura. Ad esempio, attraverso la respirazione cellulare si è risolto il problema della produzione di energia e non è stato più modificato. quindi, i geni di ciò sono molto conservati. Il citocromo che trasporta gli elettroni è funzionale e non c’è bisogno che subisca dei cambiamenti, anche se Ogni tanto subisce dei piccoli cambiamenti, questi non compromettono la sua funzionalità. Più cambiamenti sono evidenziabili tra i citocromi di individui più questi non hanno origini comuni o le origini comuni sono molto lontane. Tra l’uomo e la scimmia c'è una differenza di solo due amminoacidi, di conseguenza, l’antenato comune è vicino. Abbiamo due amminoacidi in comune con le scimmie, 11 con l’anatra e 51 con i 3 lieviti. Darwin ha ideato un albero genealogico indicando come progenitore comune LUCA, (last universal common ancestor), a partire da lui c’è stata una diversificazione delle forme di vita. Da LUCA in poi hanno preso vita i procarioti (archei), successivamente si è verificato un inglobamento di mitocondri da parte di archeobatteri e questo ha portato alla formazione del dominio degli eucarioti e la successiva simbiosi con i batteri fotosintetici ha definito il regno delle piante. Tassonomia Homo Sapiens Sapiens Prima si pensava che l’esistenza degli ominidi fosse definita da un susseguirsi di popolazioni come su una linea retta; in realtà varie popolazioni di ominidi hanno vissuto contemporaneamente incrosciandosi e scambiandosi informazioni fino ad arrivare alla formazione dell’Homo Sapiens Sapiens. L’homo sapiens sapiens origina dall’Africa: circa 100mila anni fa l’homo sapiens è uscito dall’Africa, ha combattuto e si è riprodotto con Neanderthal e, da questo scambio, è nato il sapiens sapiens. Ad oggi sono rimasti molti geni originari dei Neanderthal che, di recente, ha influenzato la risposta dei singoli individui alla pandemia del Covid-19;infatti, gli individui che avevano geni provenienti dal Neanderthal erano molto più sensibili all’infezione. Il Neanderthal aveva un sistema immunitario molto sviluppato ,viste le condizioni poco agevoli in cui era costretto a vivere, perciò i geni potevano rispondere a infezioni importanti;ma il covid determina un’ infezione immunitaria molto forte che negli individui con questi geni era ancora più amplificata causando complicanze e morte. Evoluzione delle cellule Il progenitore comune tra batteri ed eucarioti è LUCA; nel corso degli anni è stato trovato un progenitore più giovane che separa gli archeobatteri dagli eucarioti. Archeobatteri: Gli archea per molte caratteristiche sono più vicini agli eucarioti che ai batteri; infatti, il loro macchinario di sfruttamento dell’informazione genetica è molto vicina a quella degli eucarioti e i processi di replicazione e trascrizione sono operati da proteine molto simili a quelle utilizzate negli eucarioti; ma dal punto di vista morfologico gli eucarioti costituiscono una categoria a sé stante, eubatteri e archeobatteri sono invece molto simili tra loro. Da un unico progenitore comune si sono sviluppati tre domini: - Archea (archeobatteri): sono più vicini agli eucarioti che ai procarioti in quanto il loro “macchinario” di replicazione, trascrizione e trascrizione è molto simile, come lo sono anche gli apparati per il metabolismo e per la condivisione dell’energia. Si tratta di cellule “primitive” unicellulari. - Bacteria: sono organismi unicellulari che comprendono batteri e i cianobatteri il cui materiale nucleare (molecola circolare di DNA) non è racchiuso da membrana nucleare. - Eukarya: inizialmente si aveva una cellula procariota che poi, grazie a delle invaginazioni di membrana, è andata a formare l’involucro nucleare. Successivamente si formano il Reticolo Endoplasmatico, l’Apparato di Golgi e i vari organelli. Cellula fortemente compartimentalizzata. Differenze tra cellule eucariotica e procariotica La differenza fondamentale tra cellule eucariote e procariote è la presenza del nucleo nelle prime; inoltre queste sono molto più compartimentalizzate rispetto alle seconde. L’invaginazione della membrana plasmatica intorno all’acido nucleico ha portato alla formazione del nucleo, dunque la membrana della cellula procariotica si è ingrandita ma la cellula non ha aumentato a sufficienza le sue dimensioni, di conseguenza, la membrana si è ripiegata su se stessa e si è fusa formando l’involucro 4 nucleare; quindi, il nucleo deriva da un’invaginazione della membrana plasmatica. Gli archeobatteri hanno mangiato dei batteri aerobi facoltativi creando in questo modo i mitocondri e, successivamente, hanno inglobato dei cianobatteri andando a formare i cloroplasti. Gli altri organuli tipici delle cellule eucariote si sono formati a partire da un ulteriore ampliamento dell’involucro nucleare; dopo la formazione di quest’ultimo si sono formati il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi e altre vescicole che analizzeremo meglio in seguito. Abbiamo analizzato eucarioti e procarioti come organismi unicellulari, quindi come organismi dove la cellula riesce a nutrirsi, ingrandirsi e trasmettere la vita alla progenie. Il passo successivo dell’evoluzione è la formazione della pluricellularità. Per pluricellularità si intende un organismo costituito da un insieme di cellule che differiscono tra loro principalmente per morfologia, funzione e fisiologia, la formazione della pluricellularità è stata una bisezione evolutiva finalizzata alla sopravvivenza. I procarioti (tra cui eubatteri e archeobatteri) sono organismi unicellulari, tra gli eucarioti sono unicellulari i protisti e a volte i funghi, questi, infatti, possono alternare momenti di unicellularità e di pluricellularità; piante e animali sono pluricellulari. Eubatteri: Gli eubatteri sono praticamente ovunque in qualsiasi habitat, sono presenti anche all’interno del nostro corpo. Dimensioni delle cellule Nell'arco di pochi micrometri troviamo le cellule batteriche, all’incirca una decina di volte più grandi (10-20 µm) sono le dimensioni delle cellule eucariotiche. Le dimensioni delle cellule eucariotiche variano enormemente, le cellule uovo sono per esempio molto grandi mentre le cellule nervose possono essere anche molto lunghe. A occhio nudo possiamo vedere solo le cellule più grandi, per le altre è necessario l’utilizzo del microscopio, in particolare, nei laboratori viene utilizzato principalmente il microscopio ottico per visualizzare sia le cellule eucariote sia i batteri; invece, per visualizzare gli organuli cellulari è necessario l’utilizzo di un maggiore ingrandimento con i microscopi elettronici ottici a trasmissione. Principali dimensioni: - Eubatteri: 1/2 micrometri; sono adatti a qualsiasi tipo di habitat, anche all’interno del nostro corpo; - Procariotiche: 10/20 micrometri; esse sono classificate in base alla loro forma: cocchi, bacilli (cellule a bastoncino), spirilli (spirillo → con elica rigida; spirocheta → con elica flessibile). Più batteri possono unirsi e formare colonie batteriche. Cellule procariotiche Le cellule procariotiche sono classificate in base alla loro forma: - cocchi: struttura sferica, possono associarsi a formare tetradi (4), diplococchi (2), sarcine (8 aggregati batterici), streptococchi (si associano e formano catenelle) e stafilococchi (formano dei grappoli) - bastoncelli: forma allungata a bastoncino (es. escherichia coli, vibrio cholerae) - spirilli o spirochete: struttura elicoidale (treponema pallidum, mycoplasma, spiroplasma); gli spirilli possono essere denominati anche spiroteche, la principale differenza è la forma dell’elica. Negli spirilli l’elica è rigida e non subisce modifiche, le spiroteche hanno il corpo della cellula più flessibile. I procarioti sono veramente unicellulari? I procarioti sono unicellulari, ma è fondamentale per la loro sopravvivenza la formazione delle colonie che vengono definite “biofilm”. All’interno dei biofilm le singole cellule hanno una proprietà di sopravvivenza maggiore; quindi, resistono meglio agli antibiotici e hanno una maggiore capacità di virulenza. I biofilm sono delle associazioni batteriche in cui i batteri sono tenuti insieme da strutture zuccherine (polisaccaridi), i polisaccaridi sono prodotti dai batteri e vengono utilizzati come colla per tenerli insieme; all’interno del biofilm si può osservare una distribuzione dei compiti come avviene in condizioni di pluricellularità. 5 Come sono fatte e cellule procariotiche? - Membrana plasmatica → La membrana cellulare rappresenta il confine della cellula, funge da barriera selettiva che regola gli scambi della cellula con l’ambiente circostante e stabilisce ciò che entra e ciò che esce dalla cellula; quindi, è il punto di contatto tra la cellula e l’ambiente esterno. Le cellule procariotiche non hanno mitocondri, infatti, a livello della membrana plasmatica avviene la fosforilazione ossidativa; nei batteri aerobi la produzione di energia dipende strettamente dall’ossigeno e la catena di trasporto degli elettroni insieme alle proteine necessarie sono nella membrana plasmatica. Spesso la membrana plasmatica presenta dei pigmenti che la proteggono dalle radiazioni, nel caso di procarioti che compiono la fotosintesi sono presenti anche enzimi fotosintetici; - Citoplasma → Il citoplasma è composto per il 70% d’acqua e non è compartimentalizzato, cioè all’interno della membrana plasmatica non ci sono altre membrane. Nel citoplasma sono presenti delle inclusioni citoplasmatiche che sono dei punti di conservazione di composti come l’azoto, fosforo e carbonio e dei ribosomi necessari per la sintesi proteica; - Parete cellulare → Si trova all’esterno della membrana plasmatica, protegge le cellule dallo stress meccanico e dalla lisi osmotica; - Capsula → si trova esternamente alla parete cellulare, è un rivestimento polisaccaridico che funge da difesa chimica del batterio. La capsula crea un microambiente che fa da intermediario tra la cellula e l’ambiente esterno, rende molti batteri resistenti a sostanze chimiche che potrebbero danneggiarli come gli antibiotici; - Flagelli, pili e fimbrie → Sono estroflessioni delle cellule procariotiche con funzioni diverse. I flagelli consentono il movimento delle cellule nello spazio, ruotano creando dei vortici nell’ambiente acquoso circostante la cellula e consentono il movimento. I flagelli procariotici, in generale, sono formati da una singola proteina filamentosa con regione di ancoraggio a livello della membrana plasmatica; tra la regione filamentosa e quella di ancoraggio vi è una zona ad uncino che fa da ponte tra le due. I flagelli sono presenti anche nelle cellule eucariotiche, ma in queste sono costituiti da più di una proteina. I pili sono strutture molto più lunghe delle fimbrie, sono delle strutture cave che servono per la coniugazione batterica (pili coniugativi). Alcuni pili non sono cavi e servono ad ancorare il batterio all’ambiente circostante. Riassumendo: il flagello consente il movimento della cellula, i pili cavi lo scambio di informazioni tramite la coniugazione batterica e i pili non cavi consentono l’ancoraggio della cellula all’ambiente; - Citoscheletro nei procarioti → Il citoscheletro dei procarioti è più semplice di quello degli eucarioti, sono presenti delle proteine utili nella segregazione dei plasmidi; infatti, durante la divisione dei procarioti vengono divisi anche i plasmidi e queste proteine si uniscono a regioni plasmidiche e allontanano i plasmidi omologhi (che contengono gli stessi geni). In questo modo le cellule figlie ereditano entrambi i plasmidi, consentendo a questi di separarsi e di segregarsi nelle due cellule figlie. Allo stesso modo sono state identificate delle proteine che determinano, durante la divisione cellulare, la formazione di un anello contrattile che separa le due cellule figlie in seguito alla duplicazione del genoma. Nel citoscheletro sono presenti anche delle proteine che danno forma ai batteri, ad esempio, i batteri con struttura a bastoncello ripiegata necessitano della proteina CRES per mantenere la forma, una mutazione di questa proteina determina il collasso di questi batteri che diventano sferici; quindi, se il batterio perde la forma a bastoncello e acquisisce quella sferica. Principali proteine presenti nel citoscheletro dei procarioti: - PArM: segrega i plasmidi a basso numero di copie come i microtubuli negli eucarioti - FtsZ: forma un anello contrattile per la divisione - CRES: polimerizza accanto alla membrana dando forma ai batteri e localizza enzimi che sintetizzano i peptidoglicani Il genoma procariotico Il genoma procariotico è costituito da una sola molecola di DNA, ovvero, un unico cromosoma circolare definito nucleoide. Il cromosoma è a diretto contatto con il citoplasma e codifica massimo per 6000 geni (tra 5000 e 6000 geni). Sono presenti piccole molecole di DNA circolari dette plasmidi che servono a dare al batterio delle informazioni aggiuntive per migliorarne la capacità di sopravvivenza, vengono anche utilizzati in ambito biotecnologico come strumenti per produrre DNA in grandi quantità in laboratorio. Riproduzione nei procarioti La riproduzione batterica può avvenire in modalità asessuata oppure sessuata. Riproduzione asessuata → Nella riproduzione asessuata non c’è uno scambio di informazioni tra individui diversi, avviene la duplicazione del DNA e la divisione cellulare. la divisione cellulare può avvenire in tre modi: - scissione binaria: la cellula si divide esattamente in due - gemmazione: la cellula si divide in una cellula più grande e una cellula più piccola 6 - frammentazione: si ha una frammentazione nei batteri a bastoncello, questo determina la formazione di due porzioni con un genoma mancante di alcune parti. Le cellule sopravvivono perché non hanno perso l’informazione per generare le parti mancanti. Riproduzione sessuata → Il principale vantaggio della riproduzione sessuata è il rimescolamento genico poiché permette uno scambio di informazioni tra gli individui. La riproduzione sessuata avviene in 3 modi: - coniugazione batterica: attraverso la formazione di pili cavi i batteri scambiano parte della loro informazione, in particolare quella contenuta nei plasmidi. Il plasmide di un batterio diventa parte integrante dell’informazione genetica di un altro batterio; - trasformazione batterica: il DNA batterico può essere liso e, se rilasciato nell’ambiente circostante, può essere inglobato da un batterio integro. Successivamente avviene un processo di integrazione; quindi, questo frammento di DNA si inserisce nel cromosoma batterico e ne diventa parte integrante. L'integrazione del frammento di DNA nel cromosoma batterico è importante poiché, altrimenti, non verrebbe trasmesso alla generazione successiva e potrebbe essere distrutto da alcuni enzimi del batterio stesso; - trasduzione: processo di acquisizione di nuove informazioni che passa attraverso l’infezione virale. Un batterio viene infettato da un virus, il virus passa la sua informazione genetica all’interno della cellula procariotica e questa può venir integrata. (i virus batterici sono tutti a DNA e si chiamano batteriofagi). Gram positivi e gram negativi La parete cellulare dei procarioti è costituita da peptidoglicani, ovvero, polisaccaridi collegati da ponti proteici, le proteine servono da ponte tra una catena di zucchero e quella adiacente. I peptidoglicani consentono la classificazione dei batteri in gram positivi e in gram negativi: - Gram positivi → presentano dei polisaccaridi con associate delle piccole catene amminoacidiche e delle catenelle di glicina che fanno da ponte tra una porzione proteica e l’altra; - Gram negativi → le porzioni proteiche associate ai glucidi prendono contatto direttamente tra loro, manca il ponte di glicina. Nei gram positivi lo strato di peptidoglicani è molto spesso e risulta essere l’unico rivestimento del batterio; nei gram negativi è presente una membrana plasmatica avvolta dai peptidoglicani rivestiti, a loro volta, da una membrana fosfolipidica. I batteri gram positivi e gram negativi hanno un comportamento diverso se sottoposti a colorazione. I batteri vengono messi a contatto con una soluzione di colorante “cristal violetto” che gli conferisce una colorazione viola intenso, successivamente vengono decolorati e sottoposti alla colorazione con safranina che conferisce ai batteri un colore rosa. Il decolorante ha effetto sui gram negativi, quindi, questi assumono un colore rosato e i gram positivi, invece, rimangono colorati di viola. I procarioti si dividono in patogeni e non patogeni. I patogeni possono essere di tipo Clostridium Botulinum, Salmonella, Vibrio Cholerae (Colera) ecc. ecc. I non patogeni hanno svariate funzioni quali: - decomposizione delle sostanze inquinanti - scindere le molecole organiche complesse in più semplici e utili a piante e animali - fissazione dell’azoto ed essere impiegati nelle biotecnologie. Per cosa vengono utilizzati i batteri? I batteri vengono utilizzati per rimuovere sostanze inquinanti o per decomporre il petrolio e sono fondamentali per la vita sulla Terra perché per la sopravvivenza delle nostre cellule è fondamentale l’azoto, ma le cellule eucariote non sanno utilizzarlo per produrre macromolecole. Le cellule procariote prendono azoto dalla crosta terrestre e lo inseriscono nelle macromolecole biologiche in modo da permetterne lo sfruttamento. Micoplasmi Sono dei procarioti privi di parete e rappresentano le più piccole cellule viventi, hanno un diametro di circa 0,2 micrometri.. Vivono ovunque, principalmente nel terreno e nelle acque di scarico e alcune specie possono vivere nelle mucose umane. Sono nemici di chi fa ricerca perché contaminano le cellule in coltura, sono difficilmente visibili e non provocano effetti fenotipici, ma sono in grado di danneggiare l‘informazione genetica delle cellule. Archeobatteri Gli archeobatteri sono caratteristici delle zone più impervie sulla Terra. Vivono in condizioni di alta salinità, altissima o bassissima temperatura e si differenziano dagli eubatteri per il loro metabolismo, per la modalità di sfruttamento dell’informazione genetica e per la loro parete composta da peptidoglicani differenti. Sono caratterizzati da una spiccata colorazione con funzione protettiva, la membrana plasmatica non presenta fosfolipidi ma isoprenoidi (catene lunghe di lipidi costituite da 5 atomi di carbonio). Differenze con gli eubatteri in modo dettagliato: - possiedono enzimi caratteristici hanno parete composta da pseudopeptidoglicani; 7 - la struttura delle loro membrane è costituita da glicerolo e isoprenoidi; - possiedono un pigmento sensibile alla luce rossa: la alorodopsina (simile alla rodopsina presente nella retina dei vertebrati); - vivono in ambienti estremi: saline, sorgenti termali, geyser e grotte. Eubatteri Questi batteri vivono in simbiosi tra loro e con gli esseri viventi. Per simbiosi si intende il processo per cui entrambi gli esseri viventi traggono profitto dallo stare insieme (simbiosi mutualistica). altri tipi di simbiosi sono la simbiosi commensale (un essere vivente trae beneficio dall’altro e questo non viene danneggiato dal primo) e il parassitismo (un essere vivente trae vantaggio dall’altro e questo è danneggiato). L’uomo presenta molti batteri con cui è in simbiosi soprattutto nel tratto intestinale; questo processo garantisce il benessere e la salute fisica dell’essere vivente. Microbiota → l’insieme di tutti i microrganismi che colonizzano i vari distretti del nostro corpo. Il microbiota cambia nel tempo e nello spazio e fa vedere l’uomo non solo come un ammasso di cellule somatiche, ma come un organismo formato da tante componenti in cui è necessario un equilibrio. I batteri presenti nell’organismo sono fondamentali per garantire il corretto approvvigionamento di energia, per assorbire sostanze a livello intestinale e per produrre vitamine. Si è notato, inoltre, uno stretto legame tra questi batteri e il sistema immunitario, infatti, il microbiota è puramente personale e varia in base allo stile di vita. Differenza tra microbiota e microbioma Il microbiota definisce le forme di vita, quali specie di germi e batteri, virus mi abitano. Il microbioma è l’insieme delle informazioni genetiche che caratterizzano un determinato individuo (la somma di me e dei batteri). Si possono avere due tipi di condizioni del microbiota: l’eubiosi e la disbiosi. L’eubiosi è un equilibrio microbiotico all’interno del nostro corpo, in altre parole, ci si riferisce all’armonia che c’è tra flora batterica intestinale ed organismo. Nel momento in cui questo corretto bilanciamento viene interrotto, ci troviamo in una condizione conosciuta come disbiosi. La disbiosi può presentarsi per svariate cause: - Scorretta alimentazione; - Additivi alimentari (residui ormonali, antiparassitari); - Terapie farmacologiche; - Patologie (malattie epatiche, pancreatiche, vie biliari, gastriche come l’ipoacloridrie); - Intolleranze alimentari (celiachia e intolleranza al lattosio); - Cause neurogenetiche (stati d’ansia, alterazione del ritmo sonno-veglia). La disbiosi si può curare assumendo batteri per via orale e, nei casi più difficili, viene adottato il trapianto fecale. Il trapianto fecale è già realtà nel trattamento di alcune patologie quali infezione difficile da Clostridium, sindrome dell’intestino irritabile, morbo di Crohn e colite ulcerosa. Gli antibiotici Nel 1929 il medico scozzese Alexander Fleming scoprì la penicillina, la prima sostanza antibiotica in grado di combattere i batteri. Si definiscono antibiotici tutti quei farmaci naturali o sintetici capaci di bloccare la proliferazione batterica. Gli antibiotici si distinguono principalmente in due categorie: - Batteriostatici → impediscono la riproduzione batterica - Battericidi → uccidono i batteri Per uccidere i batteri e non le cellule eucariotiche dobbiamo conoscerne le differenze. La penicillina, per esempio, va a interferire con la formazione della parete cellulare perché non consente la formazione dei legami proteici che uniscono i polisaccaridi dei peptidoglicani; dunque, un batterio che cresce in presenza di penicillina non potrà formare la sua parete e andrà incontro alla lisi osmotica. I principali meccanismi d’azione delle sostanze antibiotiche sono: - Inibizione della sintesi della parete cellulare - Rottura della membrana plasmatica - Inibizione della sintesi proteica - Inibizione della sintesi degli acidi nucleici - Inibizione della sintesi dei metaboliti essenziali. Cos’è l’antibiotico resistenza? L’antibiotico resistenza si verifica quando alcuni batteri presentano una mutazione su un gene che conferisce la resistenza all’ampicillina. Ciò avviene a causa della pressione selettiva (ad esempio la presenza di ampicillina nel 8 terreno di cultura dove vengono osservati i batteri) che permette la sopravvivenza solo dei batteri con la mutazione favorevole. La resistenza batterica agli antibiotici è, infatti, un esempio di selezione naturale. Un uso ripetuto di antibiotici può portare l’individuo a sviluppare l’antibiotico resistenza. I batteri sono piccoli e non si vedono a occhio nudo, solo il batterio Thiomargarita magnifica varia tra i 2 e i 10 cm. È un batterio poliploide, con tante substrutture vescicolari dette pepine, che contengono le copie del genoma batterico. Questa poliploidia risponde alla necessità di trasferimento del materiale genetico per la produzione di proteine da una parte all’altra della cellula. È presente un vacuolo per la resistenza e la stabilità della cellula nonostante le dimensioni. Cellule eucariotiche Le cellule eucariotiche possono essere divise in vegetali e animali, le prime presentano degli organuli in più rispetto alle animali → cloroplasti per la fotosintesi, vacuolo per la conservazione di acqua, sali minerali e zuccheri, la parete cellulare che risulta attraversata da canali definiti “plasmodesmi”. Protisti Le prime cellule eucariote erano unicellulari e tra queste possiamo trovare i protisti (amebe). La tetrahymena thermophila è un protista molto importante poichè, al suo interno, sono stati trovati degli enzimi catalitici. Gli RNA di Tetrahymena sono catalitici e, quindi, capaci di rimuovere le parti non codificanti senza bisogno di un apparato esterno. In tetrahymena sono stati fatti i primi studi sulle telomerasi (enzimi che proteggono le estremità dei cromosomi) → premio Nobel 2009. Questa tipologia di protisti ha un genoma molto complesso con due nuclei, tipici dei Ciliata: - micronucleo: a funzione riproduttiva, con 5 cromosomi; - macronucleo: derivato per suddivisione e replicazione dei cromosomi micronucleari, con 225 cromosomi privi di centromeri (deriva dal micronucleo duplicato più volte e tenuto all’interno di un unico involucro nucleare). Tetrahymena e altri Ciliati hanno un diverso ‘‘codon usage’’, cioè un “uso alternativo” dei codoni rispetto al codice genetico ‘‘universale’’ perché convertono i codoni di stop in amminoacidi: UAG (STOP) → Glutammina UAA(STOP) → Glutammina UGA → STOP Plasmodium falciparum e malaria Il plasmodium falciparum è un protista e corrisponde all’agente eziologico della malaria. Utilizza l’uomo e la zanzara per completare il suo ciclo vivente, infatti, l’uomo viene utilizzato come serbatoio in cui il Plasmodium si amplifica e la zanzara del genere Anophles è il vettore attraverso cui si diffonde. La zanzara inietta nel nostro organismo delle spore, queste, dopo aver raggiunto il fegato, entrano a far parte dei globuli rossi nei quali proliferano. Successivamente, quando la zanzara ci “pizzica”, preleva una certa quantità del nostro sangue contenente le spore; queste, all’interno dell’intestino della zanzara, si fecondano e formano lo zigote che ha vita breve. La zanzara produce nuovamente spore che verranno immesse nell’organismo successivo. Andrea Crisanti e Tony Nolan hanno sviluppato un progetto volto a fermare la diffusione della malaria, in particolare, è stato ingegnerizzato il genoma della zanzara in modo da creare l’infertilità nelle zanzare femmine, mentre non ha nessun effetto nelle zanzare maschio, ma questa metodologia porterebbe all’estinzione delle zanzare e a un crollo della piramide alimentare Toxoplasmosi Anche la toxoplasmosi è indotta da un protista (Toxoplasma gondii), il quale è agente della toxoplasmosi a ciclo complesso preda-predatore, nel quale l’uomo è ospite accidentale. la forma infettiva (tachizote) è pericolosa in gravidanza perché forma cisti nel cervello e nel fegato del feto. Evoluzione cellulare dopo i protisti L’evoluzione degli organismi multicellulari fu resa possibile grazie alla capacità delle cellule, una volta divise, di rimanere attaccate e di funzionare in modo coordinato. Lo sviluppo coordinato dell’organismo fu reso possibile grazie alla capacità delle cellule di comunicare tra loro. Una volta che gli organismi divennero pluricellulari, cellule diverse poterono specializzarsi per svolgere funzioni diverse (riproduzione). Il differenziamento cellulare consentì agli organismi pluricellulari di accrescersi e di diventare più efficienti nella ricerca delle risorse per la sopravvivenza. 9 La pluricellularità Negli organismi pluricellulari viene ottimizzato il rapporto superficie/volume, che consente alla cellula di ottenere una superficie di scambio con l’esterno adeguata al passaggio di nutrienti e scarti. La membrana plasmatica è il punto di ritrovo della stimolazione esterna a cui la cellula deve rispondere, più è grande la membrana più la cellula sarà capace di rispondere agli stimoli. Volume ridotto → Superfici più ampie La multicellularità è un’acquisizione delle forme di vita primordiali che da unicellulari sono divenute pluricellulari e hanno sviluppato nuove caratteristiche (comunicazione e restare unite) Esistono condizioni ambientali che inducono i Protisti a diventare un aggregato di cellule formando colonie, come ad esempio succede con l’Ameba dictyostelium discoideum;essa alterna la forma unicellulare e la forma pluricellulare. Ma qual è la differenza tra colonia e pluricellularità? Una forma intermedia tra gli organismi unicellulari e pluricellulari è rappresentata da singole cellule riunite in colonie. Le colonie differiscono dagli organismi effettivamente pluricellulari in quanto le loro cellule conservano un alto grado di autonomia funzionale. L’ameba, per esempio, da sola è un protista in grado di sopravvivere, adotta la strategia di riunirsi in colonie per migliorare le possibilità di sopravvivenza; invece, negli organismi pluricellulari, le cellule non sarebbero in grado di sopravvivere se fossero sole. Gli organismi pluricellulari differiscono dagli eucarioti unicellulari in quanto ogni tipo di cellula è specializzato nel compiere una funzione specifica nella vita dell’organismo. Il corpo umano, costituito da milioni di miliardi di cellule, è composto da almeno 200 tipi differenti di cellule, ognuno specializzato in un particolare compito, ma tutti funzionanti come un insieme coordinato. La transizione da organismi unicellulari a pluricellulari vede nelle microalghe, come la Chlamydomonas reinhardtii e il Volvox, un modello di studio evoluzionistico. Verso la multicellularità: VOLVOX Un altro tipo di multicellularità primitiva si ha con le cellule Volvox. Tali cellule hanno 2 flagelli e una macchia rossa che ne direziona i movimenti. Le cellule all’interno della colonia sono interconnesse da sottili ponti citoplasmatici e, inoltre, sono specializzate: - somatiche: si occupano del movimento e della fotosintesi; - interne: (gonidium) sono preposte alla riproduzione. Dalle alghe Volvox viene formata una struttura circolare caratterizzata da cellule flagellate che, coordinando il movimento dei flagelli, indirizzano e muovono tutta la struttura nello spazio. Ogni cellula è caratterizzata da un centro deputato a percepire la luce, ma solamente alcune lo hanno ben sviluppato; quindi, queste cellule risultano deputate a indirizzare il movimento. Le altre cellule si occupano del movimento stesso e alcune dei processi riproduttivi per formare nuovi organismi. C’è una cooperazione crescente e una speciazione che rende le colonie non in grado di sopravvivere come singole cellule A differenza delle colonie sopracitate, nel tessuto epiteliale, connettivo, nervoso e muscolare ogni cellula è specializzata morfologicamente e funzionalmente in modo diverso dalle altre poiché si tratta di cellule specializzate che cooperano per la sopravvivenza. I virus I virus sono microrganismi di piccole dimensioni (20-1000 nm), visibili soltanto al microscopio elettronico. I virus non vengono identificati come cellule ma come delle entità biologiche; quindi, delle associazioni quaternarie di molecole biologiche quali acidi nucleici (DNA o RNA), proteine e lipidi, che possiedono un proprio materiale genetico, ma non le attività metaboliche per utilizzarlo autonomamente. Sono parassiti obbligati poiché possono riprodursi SOLO all’interno di una cellula viva e non sono autonomi nella riproduzione; i virus hanno bisogno di parassitare una cellula ospite per sfruttare il suo sistema di replicazione, trascrizione e traduzione per trasmettere il materiale genetico nelle generazioni. I virus possono sfruttare sia le cellule procariote sia le cellule eucariote. 10 Struttura dei virus - Virione: è la particella virale completa, corrisponde alla forma extracellulare del virus ed èin grado di permanere all’esterno dell’ospite. Al centro presenta il core (acido nucleico e proteine associate) e ha un rivestimento proteico del genoma, definito “capside”, che lo protegge dall’ambiente esterno. - Core: acido nucleico e proteine associate - Capside: rivestimento proteico del genoma - Nucleocapside: corrisponde al capside con l’acido nucleico e le proteine associate - Envelope o pericapside: presente solo in alcuni virus, è un rivestimento lipidico e glicoproteico che circonda il capside. L’envelope deriva dalla cellula (membrana), le proteine del capside e dell’envelope sono di origine virale - Matrice: spazio tra envelope e capside Il genoma virale Il genoma del virus è molto variegato in quanto può essere di vari tipi, forme e numero di filamenti. Il genoma virale può essere a RNA o DNA. Il genoma a RNA è di più tipi: - singolo filamento - doppio filamento - segmentato - non segmentato Il genoma a DNA può essere: - lineare singolo - lineare a doppio filamento - circolare singolo - circolare a doppio filamento - a doppio filamento con estremità agganciate - associato a ioni (+) o a proteine basiche (virali o cellulari) per neutralizzare i gruppi fosfato(-) Il genoma virale codifica: - Le proteine del capside - Le glicoproteine dell’envelope - Alcune delle proteine richieste per la replicazione del genoma a DNA e RNA. Alcuni virus codificano anche: - RNA replicasi: producono RNA messaggero usando come stampo un RNA. - lisozima virale: nei batteriofagi permette ai virus di attraversare la parete batterica - neuroaminidasi: enzimi che rompono i legami chimici presenti sulla superficie della cellula infettata (virus influenzale) - Trascrittasi inversa: nei retrovirus, per produrre cDNA a partire dal genoma virale - Integrasi: nei virus che integrano il loro genoma in quello della cellula ospite Il genoma virale è molto piccolo e alcuni virus, per potersi esprimere, utilizzano molte proteine; ma, avendo a disposizione poco spazio nel genoma per utilizzarle, hanno messo a punto alcune strategie: - utilizzare lo stesso tratto di informazione genetica per codificare proteine diverse; quindi, sono presenti dei geni sovrapposti - effettuare splicing dell’RNA in modi alternativi, vengono eliminati alcuni introni e alcuni esoni in modo da esprimere diversi geni. Geni sovrapposti e splicing alternativi vengono utilizzati dai virus per ottimizzare l’utilizzo di una grande informazione in uno spazio ristretto. Classificazioni dei virus: - Capside: il capside è formato da proteine, dette capsomeri, che si organizzano in strutture ordinate, regolari e simmetriche. Le strutture possono assumere delle geometrie tridimensionali a più facce (icosaedro)oppure possono essere a contatto con l’acido nucleico organizzandosi in una struttura cilindrica, o assumono una struttura più complessa. Il capside a molteplici funzioni (protezione, riconoscimento recettori, consente la penetrazione) e presenta una struttura rigida e resistente formata dalla ripetizione di poche specie differenti di subunità proteiche (capsomeri), tenute insieme da legami non covalenti e disposte simmetricamente. I virus vengono distinti in base alla forma del capside: - icosaedrica o cubica: presenta 20 facce identiche (triangoli equilateri), 12 vertici e 30 spigoli. (Adenovirus, herpesvirus, rotavirus, picornavirus, reovirus, papovavirus, parvovirus) - elicoidale: presentano un capside cilindrico con all’interno l’acido nucleico (protomeri 11 → si dispongono a spirale, paramixovirus umano tipo 1) - binaria: hanno tale struttura i batteriofagi, ovvero i virus dei batteri. Essi hanno dei ganci (zampine) che si attaccano alla cellula batterica così da formare un batteriofago. - complessa: abbiamo i Poxvirus, aventi una forma a mattone, e i Rhabdovirus, che presentano una forma a proiettile. - Baltimore: questa classificazione si basa sul tipo di genoma virale (DNA,RNA, ss o ds) e sul rapporto tra genoma virale e mRNA (a polarità positiva o negativa) I batteriofagi: I batteriofagi sono dei virus che infettano i batteri, hanno una struttura capsidica all’interno della quale è presente il DNA e una coda da cui si dipartono dei “ganci” che permettono al virus di prendere contatto con la parete batterica. I virus si replicano in due fasi: - fase di ancoraggio - fase di internalizzazione: a questa segue la fase di rimozione dell’envelope e del capside - una fase in cui l’acido nucleico può essere direttamente o indirettamente usato per produrre proteine che, una volta presenti nel citoplasma della cellula, sia autoassemblano per formare la particella virale - fase di rilascio: per lisi cellulare (la membrana si rompe) o per gemmazione. Il virus sceglie la cellula che lo deve replicare sulla base del riconoscimento tra proteine dell’envelope e recettori di membrana prime fasi: - Attacco: Le proteine del capside o dell’envelope prendono contatto con proteine recettore presenti sulla membrana plasmatica delle cellule bersaglio. - Penetrazione: I virus con envelope fondono la membrana del pericapside con quella della cellula o dopo endocitosi con una vescicola chiamata endosoma. I virus nudi introducono il loro acido nucleico attraverso la membrana o per endocitosi. Una volta che il virus viene internalizzato non si formano necessariamente subito delle cellule virali. La replicazione virale, infatti, dipende dalle cellule a cui sono associati i virus (ospiti) o dalle loro condizioni di crescita. Le cellule si distinguono in permissive e non permissive: - CELLULE PERMISSIVE: in grado di sostenere la replicazione virale, consentono lo svolgersi del CICLO LITICO. La cellula ospite diventa una “fabbrica” di virus, e in seguito a lisi libera le particelle virali all’esterno; - CELLULE NON PERMISSIVE: non sono in grado di sostenere la replicazione virale, inducono lo stato LISOGENICO. Il genoma virale si integra nel cromosoma ospite; quando la cellula si divide, trasmette alle cellule figlie anche il DNA virale (profago). Dopo migliaia di divisioni cellulari, il DNA virale può attivarsi, staccandosi dal cromosoma e dando inizio a un ciclo litico. Le prime formano da subito cellule virali, dette virioni, mentre le seconde ad ogni duplicazione cellulare integreranno nella replicazione del DNA il codice genetico del virus fin quando non arriverà un agente stressante che scaturirà la creazione dei virioni. Tra le altre possiamo distinguere una fase di assemblaggio e maturazione, in cui avvengono la sintesi e l’assemblaggio delle componenti virali, e una di liberazione. Se il processo di maturazione non segue immediatamente la replicazione del genoma virale nel ciclo lisogenico si parla di LATENZA (Herpes Simplex, virus a DNA; HIV virus a RNA). L’HIV ha un tempo di latenza di 10/20 anni; solo dopo questo tempo il virus con le cellule è in grado di generare virioni (l’HIV è un retrovirus). Durante la fase di liberazione i virus vengono liberati per gemmazione (virus con envelope) o per lisi cellulare (virus con solo capside). Perché i virus infettano una cellula non permissiva? I virus infettano questo tipo di cellule perché il genoma viene ereditato dalle cellule figlie dopo le divisioni e, in questo modo, le cellule producono a loro volta delle particelle virali. Come si replicano i virus negli animali? I virus negli animali si replicano seguendo varie fasi: - Assorbimento - Penetrazione e decapsulazione - Esposizione (uncoating) - Biosintesi 12 - Rilascio (per lisi, esocitosi o gemmazione) - Fuoriuscita della cellula Le difese delle cellule agli attacchi virali Le cellule hanno diversi metodi di difesa nei confronti degli attacchi virali: - Endonucleasi di restrizione: enzimi che tagliano il DNA in sequenze specifiche. Le endonucleasi riconoscono le sequenze del genoma virale perché è diverso da quello batterico. Il genoma batterico, infatti, è metilato (protetto) in corrispondenza dei siti di taglio per gli enzimi di restrizione. - Interferone (negli eucarioti): attiva la produzione di proteine antivirali che bloccano la riproduzione dei virus all’interno delle cellule. Da dove originano i virus? Secondo alcuni originano come entità indipendenti, evolute come molecole auto-replicanti, esistenti nel mondo a RNA prebiotico. Secondo altri, invece, sono stati generati da frammenti di genoma cellulare sfuggiti al controllo della cellula relativo alla replicazione genetica e capaci di produrre un rivestimento proteico con il quale diventare parassiti endocellulari. Secondo quest'ultima teoria si ritiene che i plasmidi procariotici e gli elementi mobili delle cellule eucariotiche (trasposoni) siano stati i precursori virali. Gli organismi modello e lo studio delle funzioni biologiche Tutti gli organismi viventi si sono originati da un progenitore comune; la conseguenza di questo fatto è che molti dei processi che avvengono negli organismi più semplici si ritrovano anche negli organismi complessi. I ricercatori, quindi, possono utilizzare organismi modello quali batteri, lieviti, vermi e topi sapendo che i risultati ottenuti potranno essere estesi ad altri organismi, uomo compreso. organismi modello: - VIRUS: in particolare è utilizzato il batteriofago t4 usati per lo studio di: - Proteine coinvolte nella sintesi di DNA, RNA - Regolazione espressione genica - Cancro e controllo proliferazione cellulare - Trasporto di proteine nella cellula - Infezioni e risposta immunitaria - Terapia genica Lieviti - Controllo del ciclo cellulare e della divisione cellulare - Secrezione delle proteine e biogenesi delle membrane - Funzioni del citoscheletro - Struttura dei cromosomi lineari - BATTERI (Escherichia Coli): usati per lo studio di: - Sintesi di DNA, RNA e proteine - Regolazione espressione genica - Identificazione di nuovi antibiotici - Trasduzione del segnale - PIANTE (Arabidopsis thaliana): usate per lo studio di: - Sviluppo e modellamento dei tessuti - Genetica - Fisiologia - Regolazione genica - LIEVITI:(Saccharomyces cerevisiae): usati per lo studio di: - Controllo del ciclo cellulare e della divisione cellulare - Secrezione delle proteine e biogenesi delle membrane - Funzioni del citoscheletro - Struttura dei cromosomi lineari - Controllo espressione genica 13 - VERME (Caenorhabditis elegans): usato per lo studio di: - Controllo della morte cellulare programmata (apoptosi) - Regolazione espressione genica - Sviluppo di organismi pluricellulari - DROSOPHILA MELANOGASTER: usato per lo studio di: - Genetica - Sviluppo dell’organismo - Differenziamento cellulare - Formazione sistema nervoso, cuore e muscoli - Controllo della morte cellulare programmata (apoptosi) - Controllo della proliferazione cellulare e del cancro - Controllo della polarizzazione cellulare - Effetto di droghe alcool pesticidi - ZEBRAFISH: usato per lo studio di: - Sviluppo dei tessuti dei vertebrati - Differenziamento cellulare - Formazione e funzioni del sistema nervoso e del cervello - Cancro - MUS MUSCULUS: usato per lo studio di: - Sviluppo dei tessuti - Sistema immunitario - Formazione e funzione del cervello e del sistema nervoso - Cancro e malattie umane - Regolazione genica ed ereditarietà - NB: è stato utilizzato per lo studio del gene (Kit), una sua mutazione inibisce la migrazione dei melanociti nelle fasi di sviluppo embrionale e dà un fenotipo simile nel topo e nell’uomo. - CELLULE APLOIDI (lieviti): sono importanti per la ricerca poiché è sicuro che il genotipo corrisponda al fenotipo. Se fossero a doppio filamento, in mancanza di un gene su un determinato locus, lo “spazio vuoto” verrebbe sostituito dal gene presente nello stesso locus e quindi lo studio non sarebbe preciso. La propagazione di cellule animali in coltura ha permesso di studiare i meccanismi di controllo della proliferazione cellulare e del differenziamento,infatti,ancora oggi sono utilizzate nei laboratori linee cellulari immortalizzate → cellule tumorali trattate (le cellule tumorali hanno maggiore capacità di dividersi molto a lungo rispetto alle altre). Il trattamento per rendere queste cellule “immortali” avviene facendole crescere su delle piastre su cui sono presenti sali minerali, glucosio, amminoacidi e fattori di crescita; questo processo permette di avere sempre cellule su cui poter effettuare esperimenti. La prima linea di cellule immortalizzate prende il nome di cellule HeLa (deriva da Henrietta Lacks → le cellule tumorali le sono state prelevate nel 1951). La donna era malata di un tumore ovarico e il medico che la operò decise di prelevare alcune delle sue cellule tumorali e di metterle in coltura al fine di propagarle. Lei morì durante quell’anno a causa della sua malattia, ma le sue cellule vivono ancora in tutti i laboratori. È utile ricordare che molte linee cellulari, oltre a potersi propagare, hanno la capacità di differenziarsi se poste in particolari condizioni e a particolari stimoli. La chimica della vita Introduzione La chimica della vita è una materia selettiva, costituita principalmente da carbonio (C), idrogeno (H), azoto (N) e ossigeno (O). Di tutti gli elementi chimici presenti nella crosta terrestre solo alcuni si ritrovano come elementi essenziali negli organismi viventi. Gli elementi chimici non sono distribuiti negli organismi nelle stesse proporzioni in cui si trovano nella crosta terrestre. Questi elementi sono tenuti insieme da determinati legami quali possono essere, dal più forte al più debole: - Legame covalente → basato sulla condivisione di doppietti elettronici; - Legame ionico → basato sull’attrazione di cariche opposte; - Legame a idrogeno → basato sulla condivisione di atomi di idrogeno, formato solo da P, O ed N 14 - Interazioni idrofobiche → interazioni di porzioni di molecole che si trovano in presenza di una sostanza polare; - Forza di Van der Waals → attrazione debole tra atomi che possiedono nubi elettroniche polarizzate in opposizione. Vi sono alcune caratteristiche chiave della chimica degli esseri viventi: - Il carbonio ricopre un ruolo centrale, grazie a proprietà esclusive che lo rendono adatto a formare lo scheletro delle biomolecole; - L’acqua è un composto fondamentale, principale costituente della materia vivente e solvente universale; - Le membrane hanno strutture e composizioni chimiche che le rendono importantissime, in quanto definiscono i limiti delle cellule nell’ambiente acquoso in cui si trovano, e nel quale sarebbero altrimenti solubili; - La formazione delle macromolecole biologiche avviene per polimerizzazione di molecole più piccole; - Per la loro struttura e composizione chimica, molte macromolecole sono in grado di auto-assemblarsi formando strutture ancor più complesse. L’importanza dell’acqua L’acqua è una molecola elettricamente neutra ma polare (ci sono all’interno della molecola delle parziali cariche elettriche, spostate verso l’atomo più elettronegativo, ovvero l’ossigeno). È fondamentale alla vita, poiché costituisce il 75-85% delle nostre cellule. Nonostante ciò, esistono organismi in grado di sopravvivere a periodi di scarsità d’acqua, come i semi delle piante e le spore. Il trasporto dell’acqua all’interno e all’esterno delle cellule è fondamentale. Questo avviene per osmosi. Generalmente è un processo molto lento ma può essere velocizzato da specifiche proteine, le acquaporine (AQP). Dunque, orienta nello spazio altre molecole polari, facendo in modo che i poli negativi interagiscano con i positivi e viceversa. Questa capacità determina la formazione dei legami a idrogeno. Perché la vita nasce nell’acqua? Ci sono delle proprietà fondamentali per la vita: - Coesione (capacità dell’acqua di creare legami deboli con le molecole a lei vicine → coesione e alle pareti che la contengono → adesione). È una conseguenza della polarità dell’acqua e della facilità con cui vanno a formarsi i legami a idrogeno; - Cambiamenti di stato particolari → allo stato solido, le molecole d’acqua formano il numero più alto possibile di legami ad H creando il reticolo cristallino; allo stato liquido invece i legami ad H sono continuamente interconvertiti. Ciò determina che la densità dell’acqua cristallina congelata sia minore di quella dell’acqua liquida, impedendo ai mari e ai laghi di ghiacciarsi e proteggendo termicamente la vita dei fondali marini. Per passare allo stato gassoso dell’acqua, dallo stato liquido, serve tantissima energia, così che le molecole d’acqua possano assorbano e cedano calore proteggendo gli organismi viventi dai cambi repentini di temperatura → il vapore che si genera dall’evaporazione raffredda ed evita il riscaldamento eccessivo degli organismi e assorbe il calore dalle reazioni metaboliche. Dunque, il calore specifico dell’acqua è molto elevato (1 cal/g) e di conseguenza, molta dell’energia che normalmente agiterebbe una molecola, viene impiegata dall’acqua per la rottura di legami a idrogeno attraverso l’assorbimento di calore. Inoltre, l’acqua possiede un elevato calore di evaporazione che rende l’acqua un ottimo refrigerante; - Si comporta da solvente → l’acqua svolge un processo di solvatazione, ovvero avvolge con il polo positivo i cationi e si orienta con il polo negativo verso gli anioni, rompendo il legame ionico. Le interazioni idrofobiche sono proprie delle molecole apolari che si associano per escludere le molecole d’acqua. Le molecole d’acqua tendono a fare il più alto numero possibile di legami ad idrogeno, ma le interazioni idrofobiche non glielo permettono. Ciò porta alla formazione di legami a idrogeno tra le molecole d’acqua, compattando la superficie idrofobica. Le forze di Van der Waals sono le attrazioni più deboli. A livello delle superfici idrofobiche si formano dei dipoli momentanei che indurranno un dipolo negli atomi vicini. Questo tipo di legame è molto sensibile alla distanza dagli atomi → se gli atomi sono troppo vicini, si rischia che le nubi elettroniche si respingano e dunque si ottiene un effetto di repulsione. Sono interazioni deboli che, se sommate possono creare interazioni stabili, ma facilmente distruttibili e formabili. L’acqua è in continuo equilibrio con le sue forme dissociate OH- e H30+. Le sostanze sciolte in acqua agiscono come acidi e basi modificando la concentrazione dei suoi ioni. Gli acidi sono donatori di protoni H + e le basi sono 15 accettori di H+. Gli ioni H+ interagiscono con le macromolecole modificandone la struttura: es. nelle proteine, in un ambiente acido, gli ioni H+ si legano alle proteine modificandone la struttura e quindi la funzione. Il carbonio La chimica della vita vede il carbonio come struttura portante delle biomolecole, grazie ad alcune sue proprietà fondamentali. In primo luogo, il carbonio si presta a formare lunghe catene che costituiscono lo scheletro delle biomolecole. Ciò è dovuto al suo numero di valenza 4 → l’atomo di carbonio ha quattro elettroni sul livello energetico esterno e manca dunque di altri quattro per raggiungere la stabilità elettronica (regola dell’ottetto); a causa di ciò, gli atomi di carbonio si legano covalentemente tra di loro e con altri elementi, condividendo una, due o tre coppie di elettroni, formando così legami covalenti singoli, doppi e tripli. Gli elementi con cui si lega maggiormente sono idrogeno e ossigeno, gli elementi più leggeri in grado di formare questo tipo di legame. Sia il legame covalente che la leggerezza di questi atomi conferisce ai composti di carbonio particolare stabilità e le innumerevoli possibilità di legame che il carbonio ha consente di avere una grande variabilità di molecole. Quest’ultima è dovuta: - Alla tetravalenza del carbonio → che tende a legare numerosi altri atomi, formando legami singoli, doppi o tripli e a formare anche lunghe catene e ramificazioni; - Alla possibilità di legare una grande varietà di gruppi funzionali → gruppi di atomi che conferiscono diverse proprietà alla molecola in cui sono presenti; - All’isomeria → la possibilità di presentarsi, seppur con una stessa composizione chimica, in più forme strutturali diverse. I gruppi funzionali si presentano, nell’ambiente acquoso e neutro della cellula e dell’organismo, in forme neutre, protonate o deprotonate, e si distinguono in: - Negativi → Carbossilico e fosforico; - Positivi → Amminico - Neutri → Ossidrilico, solfidrilico, carbonilico, aldeidico Le isomerie di struttura sono: - Isomeria di catena → diversa disposizione degli atomi di carbonio - Isomeria di posizione → diversa posizione di atomi o gruppi atomici - Isomeria di gruppo funzionale → diverso gruppo funzionale ma stessa formula bruta Le isomerie configurazionali sono: - Cis-trans → due atomi o gruppi atomici disposti sullo stesso piano (isomeria cis) o su piani diversi (isomeria trans). È un’isomeria spesso associata alla presenza dei doppi legami, dunque i due isomeri cis-trans non sono interconvertibili, in quanto non c’è libertà di rotazione attorno al legame; - Ottica (enantiomeria) → se il carbonio lega 4 atomi o gruppi atomici differenti (ed è quindi chirale),si possono formare due molecole senza piani di simmetria, speculari e non sovrapponibili che prendono il nome di enantiomeri, ovvero composti con stesse caratteristiche chimiche e fisiche, ma proprietà ottiche differenti: gli enantiomeri sono in grado di deviare la luce polarizzata (luce che vibra su un solo piano). Dunque, si usa un polarimetro, che rende un fascio di luce naturale, polarizzata. Quando essa attraversa un enantiomero, viene deviata di un certo angolo e sarà deviato dell’angolo inverso dall’enantiomero opposto. Quindi una soluzione con 50% di entrambi gli enantiomeri non presenta deviazione della luce polarizzata e viene detta racema. Molto famoso è il caso della Thalidomide, un farmaco che negli anni 60 veniva dato alle donne incinte, per alleviare la nausea. Si era notato che molti di questi bambini nascevano focomelici e morivano da piccoli. Questo perché la Thalidomide era un miscuglio racemo di un enantiomero teratogeno, che non permetteva lo sviluppo dei vasi sanguigni (fondamentale per lo sviluppo degli arti). 16 Le biomolecole – caratteri generali Le biomolecole sono molecole necessarie allo sviluppo della vita. Sono costituite dai composti del carbonio e sono di 4 tipi: carboidrati, proteine, lipidi e acidi nucleici. I lipidi e i carboidrati sono costituiti da C, H, O; le proteine C, H, O, N, S; e gli acidi nucleici C, H, O, N, P. ognuno di essi ha una prima struttura monomerica legata con legami covalenti. I monomeri dei polisaccaridi sono gli zuccheri, delle proteine sono gli amminoacidi e degli acidi nucleici sono i nucleotidi. La polimerizzazione consiste in una reazione di condensazione (che libera H2O) dei monomeri. Questo non è un processo spontaneo e necessita di enzimi, tuttavia, è reversibile, per idrolisi (aggiunta di H2O per la rottura di un legame covalente). Il legame tra due zuccheri è un legame glicosidico (tra i due gruppi, ossidrilici), il legame tra due amminoacidi è un legame peptidico (tra gruppo carbossilico e gruppo amminico), il legame fosfodiesterico tra due nucleotidi (tra gruppo ossidrile e gruppo fosfato). Le molecole trasportatrici (carrier) accompagnano i monomeri nei processi di polimerizzazione (oltre agli enzimi, anch’esse sono necessarie). I carboidrati Hanno funzione di deposito di energia (amido e glicogeno), di struttura (cellulosa) e segnalazione cellulare (intra ed extra cellulare). Molte delle proteine presenti nella membrana plasmatica sono glicosilate, così come i lipidi (ciò serve a riconoscere le molecole esterne alla cellula). Si classificano in base al numero di monomeri in monosaccaridi, disaccaridi, oligosaccaridi e I monosaccaridi sono classificati sulla base di: - Numero di atomi di carbonio che contengono: triosi, pentosi, esosi; - Presenza del gruppo funzionale aldeidico (CHO) o chetonico (CO): aldosi e chetosi; - Posizione dell’ultimo carbonio chirale: in D o L per convenzione; - Attività ottica: + o - - Posizione dell’OH sul carbonio emiacetalico (che chiude la struttura in modo circolare) delle strutture chiuse in alpha e beta. In base alla posizione di OH rispetto al piano della molecola si pone il prefisso -alfa (sopra) o -beta (sotto). In base al tipo di carbonio 1 che compie il legame si ha un legame alfa o beta. La differenza tra questi due tipi di legame è fondamentale in ambito biologico: il primo è tipico dei polimeri aventi funzione energetica (glicogeno o amido), il secondo si trova nei polimeri a funzione strutturale e di rivestimento. Il monosaccaride più comune in natura è l’aldoso D-glucosio, C6H12O6. Gli atomi di carbonio del glucosio sono numerati a partire dal gruppo carbonilico, la parte più ossidata della molecola. Il glucosio ha 16 stereoisomeri, ma il più comune è il D-glucosio. Secondo le proiezioni di Fischer viene rappresentato linearmente, con i gruppi -H e -OH rivolti al di fuori del piano del foglio. In realtà nei carboidrati la presenza del gruppo ossidrile emiacetalico determina l’avvenimento di reazioni intercatena, in particolare il gruppo OH opera un attacco nucleofilo nei confronti del carbonio della stessa catena carboniosa, strutturando la molecola dello zucchero in forma circolare; per questo motivo gli zuccheri sono presenti all’equilibrio sia in forma lineare che in forma ad anello (piranosico). Questa seconda forma, che è la più corretta, è rappresentata attraverso le proiezioni di Haworth. Questa raffigura il glucosio come una molecola ad anello, in cui il gruppo ossidrile del carbonio 5 si lega all’atomo di carbonio 1. In questa rappresentazione, i gruppi -H e -OH sporgono verso l’alto o verso il basso, dunque si generano due versioni alternative del glucosio: α-D-glucosio, con il gruppo ossidrilico rivolto verso il basso; β-D-glucosio, con il gruppo ossidrile rivolto verso l’alto. L’amido e il glicogeno sono formati da ripetizioni di α-D-glucosio, mentre la cellulosa da ripetizioni di β-D-glucosio. 17 A seconda della posizione rispetto al piano in cui si trova il carbonio 1 avremo la formazione di legami con configurazioni differenti: - configurazione del legame glicosidico di tipo α (tra due carboni α); - configurazione del legame glicosidico di tipo β (tra due carboni β). Questi due tipi di legami caratterizzano polisaccaridi differenti. I polimeri α sono metabolicamente attivi (ad esempio il glicogeno, negli animali, e l’amido, nei vegetali, dov’è rivestito da membrane e forma i plastidi) ed energetici. I polimeri β sono non digeribili dal corpo umano, siccome non abbiamo enzimi in grado di rompere il legame beta (come la cellulosa). I disaccaridi sono costituiti da due unità monosaccaridiche unite covalentemente. I tre disaccaridi più comuni sono: il maltosio, costituito da due unità di glucosio; il lattosio, costituito da un’unità di glucosio e una di galattosio (spesso ci sono delle intolleranze al lattosio per via del legame beta glicosidico, non facilmente digeribile); il saccarosio, costituito da un’unità di glucosio e un’unità di fruttosio. I monomeri possono trovarsi associati ad altri atomi o gruppi funzionali che li rendono adatti a varie funzioni: - Zuccheri fosfati; - Amminozuccheri; - Chitina → polimero di N-acetilglucosammina dalle proprietà strutturali, presenta gruppi N-acetilici che forniscono ulteriori siti di legame a idrogeno tra le molecole; - Glicosamminoglicani (GAG) → sono polisaccaridi costituiti da un amminosaccaride e un monosaccaride acido che si ripetono linearmente in maniera alternata. Sono presenti nella parete batterica, nella matrice extracellulare (specialmente del tessuto connettivo, prodotti dalle cellule stesse) e nell’eparina. Le proteine (da pròteios = primo posto) Dopo l’acqua sono le molecole più abbondanti, controllano le trasformazioni chimiche e nella cellula animale sono tra le 50.000 e le 100.000. in base alla loro funzione, possono essere divise in: - Enzimi → catalizzatori biologici, aumentano la velocità delle reazioni; - Proteine strutturali → forniscono un supporto fisico alla cellula e agli organelli; - Proteine di motilità → fondamentali nella contrazione e nel movimento delle cellule e delle strutture intracellulari; - Proteine di regolazione → che controllano e coordinano le funzioni cellulari; - Proteine di trasporto → implicate nel trasporto di altre sostanze all’interno e all’esterno della cellula; - Proteine di segnalazione (ormonali) → mediano la segnalazione tra cellule distanti; - Proteine di recezione → consentono alle cellule di rispondere agli stimoli chimici provenienti dall’ambiente esterno; - Proteine di difesa → che forniscono protezione dalle malattie; - Proteine di immagazzinamento → riserve di amminoacidi. Le proteine possono classificarsi anche in base alla loro struttura in globulari e fibrose. Gli amminoacidi hanno una stessa struttura generale invariata (hanno un carbonio α, un gruppo carbossilico e un gruppo amminico), ma si differenziano per la catena laterale, detta gruppo R, in 20 amminoacidi. Sono stereoisomeri perché il carbonio α è un carbonio chirale (tranne nella glicina), ma nelle proteine troviamo solo isomeri L (levogiri). Il legame tra due amminoacidi è detto legame peptidico: un legame covalente che si forma per condensazione tra gruppo amminico e gruppo carbossilico. Esso ha delle proprietà particolare: - È un legame con una forza intermedia fra legame semplice e legame doppio → il nucleo di N ha sufficiente carica positiva per attrarre una parte della nube elettronica di CO (la delocalizzano); - Determina catene con una polarità → gli amminoacidi sono molecole 18 planari, in cui i carboni centrali renderebbero possibili le rotazioni degli altri atomi (poiché legati da legami singoli); tuttavia i legami peptidici hanno carattere parziale di doppio legame, e prevengono tale rotazione. Per questa ragione, gli amminoacidi sono presenti esclusivamente secondo una configurazione -trans, con le catene R alternate sopra e sotto il piano. Considerando tale polarità, il legame peptidico avviene sempre a partire da un gruppo carbossilico che lega un amminico, dunque vi sono sempre un’estremità N-terminale e una C-terminale. Le proprietà di un determinato amminoacido dipendono dal suo gruppo R, che varia da amminoacido a amminoacido. Le catene laterali degli amminoacidi possono essere idrofiliche e idrofobiche. A seconda della distribuzione di queste catene laterali, la proteina avrà struttura e funzioni dipendenti. Gli amminoacidi si classificano come: - polari con carica → acido aspartico o aspartato, acido glutamminico o glutammato (acidi), lisina, arginina, istidina (basici) - polari senza carica → serina, treonina, tirosina, asparagina e glutammina - apolari → alanina, valina, leucina, isoleucina, metionina, fenilalanina, triptofano - speciali → cisteina (R= CH2SH, gruppo solfidrilico o tiolo), glicina (R = H), prolina (ciclico) Gli amminoacidi speciali La glicina è un amminoacido molto versatile, è idrofilico ma anche idrofobico grazie alla sua catena laterale molto piccola. Si trova nelle regioni proteiche che interagiscono con altre proteine (sulle superfici di interazioni proteiche). Anche la cisteina può perdere lo ione H+ (protonare) e in prossimità di un’altra cisteina può formare un legame covalente tra gli zolfi che prende il nome di ponte disolfuro (unico legame covalente tra le catene laterali degli amminoacidi). Questo legame può essere intramolecolare (in una catena polipeptidica) o intermolecolare (fra cisteine presenti su due catene polipeptidiche). La prolina ha una catena laterale che oltre al carbonio α lega covalentemente anche il gruppo amminico. Ciò blocca la rotazione libera intorno al legame C-N determinando una piega nella catena polipeptidica. Dunque, questo amminoacido è impiegato laddove la proteina deve ripiegarsi. Infatti, la prolina introduce una curvatura nella catena proteica. Le catene laterali possono subire delle modifiche mediante dei gruppi chimici: metilazione (CH 3), fosforilazione (PO4), idrossilazione, carbossilazione (COO). Struttura delle proteine Il legame peptidico è il legame che si instaura tra due amminoacidi, in particolare tra il carbonio del gruppo carbossilico di un amminoacido e l’azoto del gruppo amminico dell’amminoacido successivo. È un legame particolare perché pur essendo un legame singolo ha una parziale valenza di doppio legame, poiché il nucleo dell’azoto ha una carica positiva sufficiente per delocalizzare la nube elettronica presente tra l’ossigeno del gruppo OH rimasto e del carbonio associato. Comportandosi da legame doppio, si può attribuire al legame peptidico una configurazione cis o trans (non c’è possibilità di rotazione attorno a questo legame) definita tale rispetto alle catene laterali. Se la catena laterale di un amminoacido è al di sotto del piano della molecola e la catena laterale dell’altro amminoacido si trova al di sopra, si definisce trans (ci può essere solo questa configurazione, non la cis, può essere solo ipotizzata). Il gruppo carbossilico del primo amminoacido lega sempre il gruppo amminico del secondo; quindi, le proteine sono dei polimeri orientati, le due estremità sono differenti: estremità amminoterminale (+) e estremità carbossiterminale (-), dunque è una molecola polare. Sebbene il processo di allungamento di una catena di amminoacidi sia definita sintesi proteica, questo termine non è del tutto corretto, poiché il prodotto di questo allungamento è un polipeptide. Una proteina, infatti, è una catena polipeptidica, che ha raggiunto una forma tridimensionale unica e stabile ed è, di conseguenza, biologicamente attiva. Alcune proteine sono costituite da un solo polipeptide → proteine monomeriche. Le proteine con due, tre o quattro catene polipeptidiche sono rispettivamente dette dimeri, trimeri o tetrameri. 19 La sequenza degli amminoacidi rappresenta la struttura primaria di una proteina. Si possono creare tantissime combinazioni di amminoacidi e quindi tantissime proteine. Per convenzione le proteine sono sempre scritte dall’estremità N- terminale all’estremità C-terminale del polipeptide. La prima proteina di cui è stata determinata la sequenza amminoacidica completa è l’insulina. La struttura primaria è importante sia da un punto di vista genetico (poiché la sequenza amminoacidica deriva dall’informazione dei nucleotidi dell’mRNA che a loro volta trasformano l’informazione del DNA) e da un punto di vista strutturale (da essa dipendono le tre strutture successive). Le proteine per svolgere la loro funzione devono ripiegarsi ed assumere una struttura tridimensionale. La struttura secondaria è la disposizione nello spazio della struttura primaria. Possono essere a α-elica o a foglietto-β. La struttura secondaria è stabilizzata dai legami a idrogeno fra i gruppi amminici e carbossilici degli amminoacidi (H e O), non dalle catene laterali. L’ α-elica forma legami a idrogeno tra gruppo amminico di un amminoacido e gruppo carbossilico di un amminoacido distante quattro posizioni. Nella struttura a α-elica, le catene laterali sono estroflesse e definiscono le proprietà idrofiliche o idrofobiche di questa struttura. Le proteine α- elica sono coinvolte nei trasporti attraverso la membrana, con le porzioni idrofobiche esposte verso i fosfolipidi di membrana. Le proprietà idrofobiche ed idrofiliche dell’elica dipendono esclusivamente dalle catene laterali, essendo i gruppi polari dello scheletro peptidico già coinvolti nei legami idrogeno all’interno dell’elica e quindi non in grado di influenzare la sua idrofobicità o idrofilia. In molte α-eliche le catene laterali idrofiliche prevalgono su un lato e le idrofobiche sul lato opposto, rendendo la struttura complessivamente anfipatica. L’avvolgimento dell’elica può essere sinistrorso (antiorario) o destrorso (orario). Foglietto-β forma legami a idrogeno fra tratti di una stessa proteina che corrono paralleli gli uni agli altri, tra gruppi amminici e gruppi carbossilici degli amminoacidi tra filamenti adiacenti (che devono avere lo stesso andamento, “devono essere in fase”). I foglietti-β possono essere disposti parallelamente o antiparallelamente. Il complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) è una glicoproteina che presenta gli antigeni ai linfociti T. è costituita da due α-eliche (che formano una sorta di tenaglia) parallele a un pavimento di otto foglietti-β sul quale viene depositato l’antigene. La tasca è di grandezza tale da legare peptidi di 8-10 amminoacidi. L’MHC lega altre proteine con legami intermolecolari deboli e affinché si possano instaurare queste interazioni deboli tra proteine diverse devono essere presenti alcuni fattori: - complementarità di forma; - complementarità di carica, a zone negative devono corrispondere zone positive; - complementarità di polarità; - complementarità di idrofobicità, a zone idrofobiche devono corrispondere zone idrofiliche. Due proteine per potersi legare devono essere perfettamente complementari. Gli antigeni non sono tutti uguali, nonostante ciò, vengono sempre riconosciuti dal complesso maggiore di istocompatibilità grazie alla sua composizione molto variabile dal punto di vista amminoacidico. Per questo motivo esistono diversi tipi di proteine MHC che differiscono gli uni dagli altri per alcuni amminoacidi e l’assorbimento di queste variazioni amminoacidiche fa sì che l MHC riesca a rispondere alla grande variabilità antigenica. L’alternanza di foglietti ed eliche costituisce i motivi. Esistono diversi tipi di motivi: - motivo β-α-β 20 - motivo a forcina (+β e -β → antiparalleli) separati da una struttura ad ansa - motivo a elica-giro-elica (+α e -α → antiparalleli) separati da una struttura flessibile - motivo superavvolto, si forma fra due alfa-eliche avvolte su loro stesse. Per formarlo devono avere una natura anfipatica à le catene laterali polari formano una superficie a contatto con l’acqua, quelle idrofobiche si orientano all’interno della struttura e vengono stabilizzate da leucine → cerniere di leucina. La cheratina, ad esempio, è formata da motivi superavvolti sinistrorsi rinforzati da ponti disolfuro. - motivo elica-ansa-elica è utilizzato da proteine che devono legare degli ioni. Ad esempio, lo ione calcio che viene associato alla calmodulina, costituita da quattro motivi elica-ansa-elica ed è capace di interagire con quattro ioni calcio. Lo stesso dominio viene utilizzato da fattori di trascrizione: la prima elica lega il DNA, la seconda lega le proteine. Quindi questi fattori di trascrizione funzionano come dimeri. 21 - motivo a dito di zinco è costituito da un’α- elica e due foglietti β creano una struttura a dito, grazie al fatto che le catene laterali dei loro amminoacidi non creano un legame diretto tra di loro ma c’è uno ione zinco che fa da ponte e coordina i 4 amminoacidi: 2 cisteine e 2 istidine. Funzionale perché le proteine ne possono avere diversi di domini e quindi hanno capacità modulare di legare il DNA: questo motivo riconosce sequenze specifiche. La struttura terziaria si viene a formare in una sequenza di motivi. È specifica per ogni proteina, in quanto riflette l’aspetto non ripetitivo e peculiare di un polipeptide, poiché dipende dal gruppo R. Questa struttura è stabilizzata dalle interazioni tra le catene laterali. Tutti questi legami sono 30-300 volte più deboli di un legame covalente. Ciò permette più facilmente una modulazione. Il corretto ripiegamento delle proteine nello spazio è relazionato alla loro funzione. Il ripiegamento della catena polipeptidica crea una cavità che contiene catene laterali di amminoacidi disposte in modo tale da formare legami non covalenti con uno specifico ligando. Gli enzimi devono legare un substrato e soprattutto influenzare la distribuzione della carica elettrica, la forza di legame che stabiliscono il substrato per consentire la trasformazione del substrato per consentire la trasformazione del prodotto. In alcune proteine si possono riconoscere diversi domini (porzione della proteina che sa svolgere una funzione) che hanno tra i 40-350 amminoacidi. Si possono ripiegare nello spazio indipendentemente dagli altri domini e si definiscono sulla base della loro funzione. Questi domini possono far parte di proteine differenti. I domini proteici sono spesso codificati all’interno di singoli esoni o di esoni vicini. Una parte funzionale della proteina è dentro il dominio e nel corso dell’evoluzione (attraverso degli scambi di informazioni tra cromatidi omologhi) la selezione naturale ha avvantaggiato i crossing over che determinavano lo scambio esonico. Quando questo gene verrà espresso, la proteina otterrà un nuovo dominio, rendendo più versatile il gene che l’ha inglobato. Le proteine con funzioni simili hanno infatti un dominio in comune, contenente una sequenza di residui amminoacidi identici o molto simili tra loro. Inoltre, proteine con funzioni multiple hanno un dominio diverso per ciascuna funzione. Le proteine dal punto di vista tridimensionale possono essere divise in: - Fibrose → tendenzialmente di origini animali, insolubili in acqua e con ruoli strutturali. Alcuni esempi possono essere le cheratine, che formano tessuti protettivi; collageni, che formano tessuti connettivi nei tendini e nella pelle. Sono caratterizzate prevalentemente da un solo tipo di struttura secondaria (α eliche che poi interagiscono oppure monomeri di foglietti β che creano strutture allungate, sono quindi strutture molto lunghe e ordinate). Le catene polipeptidiche si associano in complessi sopra molecolari in modo da nascondere al solvente le superfici idrofobiche. - Globulari → tendenzialmente di forma sferica, solubili in acqua e svolgono svariate funzioni cellulari. Alcuni esempi sono enzimi, ormoni, proteine di trasporto e proteine di deposito. Contengono al loro interno una variabilità di strutture secondarie. La struttura quaternaria è tipica di quelle proteine che per essere funzionali devono interagire con altre proteine (ad esempio l’emoglobina, che per trasportare ossigeno ha bisogno di un dominio di legame per il gruppo prostetico, un dominio di legame per altre proteine, un dominio per la sede di ioni…). Tutti i tipi di legame che stabilizzano la struttura terziaria, stabilizzano la struttura quaternaria. Nel caso dei ponti disolfuro, quando si formano all’interno di un polipeptide (legame intramolecolare), tende a stabilizzare la struttura terziaria, mentre quando si forma tra polipeptidi stabilizza maggiormente la struttura quaternaria (legame intermolecolare). Molte proteine per assemblare le proprie subunità e quindi rendersi funzionali hanno bisogno di aggregati macromolecolari (come le chaperone) o di complessi multiproteici (un esempio è il complesso piruvato deidrgoenasi, costituito da tre enzimi e cinque coenzimi che ha la funzione di catalizzare la rimozione ossidativa di un atomo di carbonio dal piruvato). 22 Com’è determinata la struttura terziaria? Chi effettua il ripiegamento delle proteine? Intorno al 1960 Anfisen fece una serie di esperimenti sull’enzima ribonucleasi che rivelarono la correlazione tra sequenza amminoacidica di una proteina e sua conformazione. Se la ribonucleasi fosse stata messa in un ambiente riducente (in grado di rompere i ponti disolfuro) e denaturante (in contrasto con la formazione di legame a idrogeno) la proteina non sarebbe stata in grado di tagliare l’RNA perché avrebbe perso la sua struttura. Però, quando la proteina veniva reinserita in un ambiente che consentisse la formazione dei legami, essa ricominciava a svolgere la sua funzione → da sola si era ripiegata in modo corretto. Dunque, è la struttura primaria che di per sé definisce la struttura terziaria della proteina e quindi la sua funzione. Come fa la proteina a scegliere come ripiegarsi? Segue le leggi della termodinamica. Le proteine sono stabilizzate nel momento in cui la loro conformazione raggiunge il livello più basso di energia libera (termodinamicamente stabile) → prima si compattano gli amminoacidi idrofobici, che collassano nell’ambiente citoplasmatico acquoso per ritirarsi dall’acqua. Il modello di ripiegamento non assistito fino ad oggi accettato vedeva tre fasi: - Catena polipeptidica a conformazione casuale; - La proteina si condensa attorno a un nucleo idrofobico in una struttura compatta, non nativa, detta globula fusa, nella quale sono presenti gran parte delle strutture proteiche; - La formazione di legami tra catene laterali di amminoacidi anche molto distanti tra loro nella struttura primaria stabilizza la struttura terziaria. Se tutte le proteine partissero da una struttura lineare e tentassero di raggiungere la forma nativa, il tempo necessario sarebbe incompatibile con la vita. Ci sono, infatti, all’interno delle cellule delle proteine che hanno il compito specifico di aiutare le altre a ripiegarsi. Sono le proteine chaperon, che catalizzano il folding proteico. Ci sono due categorie: - Chaperon molecolari (HSP70 → heat shock protein): che hanno attività co-traduzionale. Operano in associazione con il ribosoma, si legano alla proteina nascente fino a coprirla completamente. Le HSP70 presentano una struttura altamente conservata, suddivisa in due domini principali: dominio di legame all’ATP (NTD), situato all’estremità N-terminale della proteina, responsabile del legame e dell’idrolisi dell’ATP; dominio di legame del substrato (SBD), situato all’estremità C-terminale, responsabile del riconoscimento e del legame con i peptidi idrofobici esposti delle proteine substrato. Questo dominio è diviso a sua volta in due regioni: una regione β-sandwich, che forma una tasca per il legame del substrato, e una regione α-elica che copre la tasca di legame e stabilizza il substrato legato. Quando l’HSP70 è legata all’ATP, il dominio SBD è in una conformazione aperta, con una bassa affinità per i substrati proteici. La presenza di una proteina substrato induce l’idrolisi di ATP ad ADP, portando ad un cambiamento conformazionale nell’HSP70, che aumenta la sua affinità per il substrato proteico, permettendole di legarsi saldamente al peptide idrofobico esposto. Quando la proteina è stata completamente tradotta, avviano il ripiegamento, impedend

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