Biologia Molecolare: Biotecnologie e Modelli Sperimentali PDF
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Questo documento discute di biologia molecolare, concentrandosi su biotecnologie, modelli sperimentali utilizzati nella ricerca, e la loro applicazione. Viene spiegato l'uso di diversi organismi come modelli e l'importanza dei controlli sperimentali. Infine, vengono discussi i passaggi per la pubblicazione di un articolo scientifico.
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BIOLOGIA MOLECOLARE Le biotecnologie: è l’applicazione delle conoscenze tecnologiche acquisite negli anni sugli esseri viventi per produrre o modi care prodotti o processi per un ne speci co. Digressione: la ricerca si avvale di modelli sperimentali Un model...
BIOLOGIA MOLECOLARE Le biotecnologie: è l’applicazione delle conoscenze tecnologiche acquisite negli anni sugli esseri viventi per produrre o modi care prodotti o processi per un ne speci co. Digressione: la ricerca si avvale di modelli sperimentali Un modello è qualcosa che riproduce il problema e lo utilizza per estrarre ciò che mi serve per la ricerca. Ogni volta che facciamo degli studi dobbiamo decidere con cosa studiarlo, dobbiamo capire quale è il sistema che riproduce il mio problema e che lo faccia in maniera simile alla mia domanda scienti ca. Il modello deve essere poi: veloce da utilizzare, mimare bene la domanda scienti ca, il più economico possibile, deve essere geneticamente manipolabile in modo da poter essere modi cato (crispr-cas o ing. Genetica). I modelli utilizzati dalla ricerca scienti ca sono diversi: abbiamo E. Coli che ha meccanismi simili all’uomo dal punto di vista della trascrizione traduzione ecc. Poi abbiamo il lievito che è eucariotico e più vicino a noi. A volte il modello è l’uomo o può essere qualcosa in vitro o simulazioni al computer. Il topo è un buon modello perché il loro genoma è al 96% simile al nostro, inoltre sono molto piccoli. Tuttavia, ci sono dei problemi dal punto di vista sociale in quanto si pensa che la sperimentazione animale voglia dire “vivisezione”, in realtà la sperimentazione su animali viene utilizzata solo in assenza di ulteriori alternative. Per fare la sperimentazione devo sottoporre una richiesta al ministero della salute in cui devo spiegare tutto (come li tengo, quanti per gabbia, il ciclo del sonno, cosa metti nelle gabbie) per rendere l’ambiente il più possibile etico. Ma ora cosa si fa? Per esempio, si vuole somministrare un farmaco per vedere se fa qualcosa di buono e devo dire quanto ne do, per quanto tempo e nel momento in cui ci si rende conto della so erenza animale si deve smettere di somministrare la cura. Non si può indurre più di una lieve so erenza agli animali. Si devono fare controlli continui (es: non si può fare un prelievo a un animale se non ho richiesto al ministero). Si esagera sulle regole perché esistono ad esempio la LAV che sono organizzazioni che credono che si facciano sperimentazioni esagerate e cruente. Induco una so erenza solo nel momento in cui vado a modi care il dna per indurre loro la malattia, ma è l’unico modo per trovare una cura. Inoltre, nessun farmaco può essere messo sul mercato senza la sperimentazione animale. Tutte le ricerche si basano sul principio delle 3R: - Replacement: si deve rimpiazzare l’animale con un microorganismo se si può. - Reduction: si deve diminuire al minimo il numero di animali utilizzati per il trattamento. - Re nition: devo iniettare il farmaco in modo che dia meno stress possibile e che sia meno invasivo per l’animale. Tutto questo nasce da farmaci che sono stati messi sul mercato senza la sperimentazione: la talidomide che faceva nascere i focomelici. Il farmaco veniva somministrato alle donne incinta e impediva la vascolarizzazione degli arti del feto. Il farmaco non è stato testato, se si somministra la talidomide ai topi i gli escono senza arti. Da quel momento il farmaco deve essere testato almeno su piccoli animali e poi si sposta la sperimentazione, ad esempio, sulle scimmie se necessario. Per esempio, per il vaccino covid si è testato tantissimo sugli animali. La scimmia sviluppava il covid, mentre solo un ceppo di topo lo contrae. In Italia si uccidono molti più animali con alimentazione e derattizzazione. Inoltre, non si possono trapiantare tumori o fare ricerca psichiatrica. Digressione: i controlli I controlli sono un punto fondamentale nella biologia perché permettono di capire se in un determinato esperimento si è veri cato o meno un errore sperimentale, si usa quindi per capire se l’esperimento è stato svolto correttamente. Più passaggi ha un esperimento, più ha possibilità che non venga o che venga ma solo perché è un artefatto. Bisogna quindi essere sicuri che quello che si vede sia vero e non un artefatto. Un risultato può essere un falso negativo (il risultato negativo è dovuto ad un problema tecnico, non è venuto l’esperimento), oppure un falso positivo, anche qui l’esperimento non viene. Gli esperimenti devono sempre avere i controlli positivi e negativi. 1 fi  fi ff fi fi fi fi fi fi ff fi fi ff fi - Controllo positivo: dice che tecnicamente l’esperimento sta avvenendo in maniera corretta. Per esempio, voglio controllare che in A e B non ci sia e ettivamente espressione genica. Sullo stesso vetrino metto una fettina con il cervello dell’embrione e una fettina con il cervello dell’adulto, poi aggiungo la sonda e metto tutto in incubatore. Io so già che il gene viene espresso nel cervello dell’adulto (perché precedenti articoli l’hanno già dimostrato), quindi mi aspetto di vederlo anche sul vetrino. - Controllo negativo: veri ca che non ci sia stato un artefatto sperimentale, per cui ho un segnale positivo ma non è vero. Per esempio, la sonda si è attaccata dappertutto senza che io me ne accorgessi perché di notte è saltata la temperatura dell’incubatore. Quindi penso di aver fatto l’esperimento a 55° ma in realtà è avvenuto a 37°. Come regola gli esperimenti vanno sempre fatti almeno 3 volte in maniera indipendente, in modo tale da essere sicuri che il risultato sia ripetibile. Per essere certi che il segnale che vediamo è un segnale speci co e non un artefatto sperimentale possono essere usati i topi knockout. Un topo knockout è un topo geneticamente modi cato in cui è soppressa, a scopo di studio, l'espressione di un determinato gene. Tale soppressione è de nita gene knockout. Se faccio l’esperimento su questo topo il cervello risulterà bianco perché non esprime il gene che sto cercando. Se, invece, vedo colorato bisogna buttare tutto e ricominciare. Se il controllo negativo viene anche debolmente positivo si butta via tutto. Queste sono le regole base di ogni esperimento. Ogni esperimento deve avere un controllo positivo e uno negativo. Digressione: come funziona il mondo delle pubblicazioni? Nessuna informazione scienti ca può essere accettata dalla comunità scienti ca se non passa per il canale delle pubblicazioni. In laboratorio si raccolgono dei dati sperimentali da una serie di esperimenti che dimostrano la correttezza dell’ipotesi. Poi si scrive un articolo seguendo uno standard preciso, in cui vi è un abstract che riassume e spiega le innovazioni scienti che che sono state fatte. Nell’articolo vengono indicate le conoscenze di base, i metodi e i materiali usati e poi si passa ai veri e propri risultati. Per nire, si scrive una discussione che interpreta i dati ottenuti inserendo una certa soggettività. A questo punto l’articolo viene spedito alla rivista prescelta. L’editore può scegliere se rigettare (perché non è adeguato a quella rivista) o accettare l’articolo. Se viene accettato, viene spedito ad una revisione. La revisione viene e ettuata da un personale competente, che, dopo aver analizzato l’articolo, suggerisce alla rivista se sia valido o meno. L’editore decide poi se accettarlo o se rimandarlo indietro per e ettuare delle modi che. Se viene accettato, l’articolo viene pubblicato. L’impatto che l’articolo ha si misura in quante volte tale articolo viene citato. GLI ACIDI NUCLEICI TRASMETTONO L’INFORMAZIONE GENETICA FREDERICK GRIFFITH DNA è il depositario dell’informazione genetica che può essere passata da una cellula all’altra (lo scopre Gri th). Alla ne del 1800 si sapeva che nelle cellule ci fossero DNA, RNA e proteine, ma non si sapeva la loro struttura e funzione. La prima evidenza scienti ca viene dallo studio di Gri th, un medico che, mentre studiava la polmonite, si è reso conto che esistevano due tipi di streptococco diversi, uno virulento e uno molto meno virulento (che non riusciva ad evadere il sistema immunitario e veniva scon tto). Il ceppo virulento era rivestito da una capsula polisaccaridica che lo rendeva translucido al microscopio, e per questo è stato chiamato ceppo S (da smooth = liscio). Il ceppo non virulento invece non presentava la capsula polisaccaridica all’esterno e risultava ruvido, ed è stato quindi chiamato R da rough = ruvido. Quale informazione porta questa di erenza tra i due ceppi? Per scoprirlo, Gri th guarda se accade la stessa cosa nei topi (che sono il suo modello). Prende le cellule S le inietta nel topo, e il topo muore. Contestualmente prende un ugual numero di batteri di tipo R, lo inietta nel topo e lui sopravvive. Il modello è corretto per la rappresentazione. 2 fi ffi fi fi fi ff ffi fi fi fi ff ff ffi fi fi fi fi fi ff Esperimento: Gri th ha ucciso le cellule S, virulente, con il calore e si è accorto che diventavano non virulente (il topo non moriva). Poi dalla coltura di cellule S morte prende delle cellule e le mette a contatto con i batteri rough vivi, li inietta nel topo che muore. Se va a prendere il sangue del topo si accorge della presenza di batteri con capsula saccaridica. Analizzando il sangue del topo gri th ha quindi trovato lo streptococco di tipo S. Quindi l’informazione che permette ai batteri di fare la capsula è passata dai batteri morti S a quelli vivi R che sono stati modi cati in maniera stabile e lo dimostra perché se dal topo morto prende i batteri e li inietta in un altro topo, vivo questo m u o re. I b a t t e r i s o n o d e n i t i v a m e n t e modi cati! Gri th si accorge che c’è qualcosa che determina il fenotipo delle cellule che può essere modi cato, trasformato. Si parla di principio trasformante. Gri th ritiene che questa trasformazione sia de nitiva, non reversibile, ed ereditaria. Prima volta che si parla di capacità di portare un’informazione genetica. AVERY Dopo l’esperimento di Gri th si sapeva che nelle nostre cellule ci fosse un principio trasformante che veniva ereditato dalle cellule glie e si credeva che esso fosse dato dalle proteine. Gli acidi nucleici erano infatti di cili da puri care in forma integra, si degradavano. Gli scienziati sapevano puri care solo circa 30 paia di basi, dove solo 4 lettere variano: le combinazioni erano molto poche. Non vi era quindi l’idea che queste piccole variazioni determinassero la complessità di un essere vivente e quindi era escluso che il DNA fosse il principio trasformante. Al contrario, le proteine erano più facili da puri care e sembravano più complesse per la presenza dei 20 aminoacidi, quindi presentavano molte più combinazioni diverse possibili. Si pensava quindi che il principio trasformante fossero le proteine. Ciò è stato smentito da Avery. Egli ha cercato il principio trasformante e ha dimostrato che esso è insito nella molecola di DNA. Il suo esperimento viene anche de nito la “bomba di Avery”: la comunità scienti ca non era pronta a tale verità, essendo profondamente convinta di qualcos’altro. Per realizzare il suo esperimento, Avery ha preso lo stesso organismo di Gri th. Ha preso le cellule S di pneumococco e, dopo averle uccise col calore, ha estratto da esse i componenti principali. Ha poi diviso l’estratto delle cellule totale in tre diverse provette e a ciascuna di esse ha aggiunto un enzima idrolitico in grado di distruggere uno dei principali componenti canditati ad essere il principio trasformante. Gli enzimi erano proteinasi, RNAasi e DNAasi. Questo contenuto nale viene poi unito alle cellule R, dopo un adeguato periodo di incubazione Avery ha piastrato le colonie che derivano dalla coltura su una petri per analizzare se e dove ci fossero colonie di tipo S. Nelle provette dove erano state distrutte proteine e RNA le cellule S apparivano, mentre dove era stato distrutto il DNA esse non apparivano, a dimostrazione che il principio trasformante è contenuto nel DNA. 3 ffi fi fi fi ffi ffi ffi ffi fi ffi fi fi fi fi ffi fi fi fi fi L’esperimento di Avery non basta per convincere la comunità scienti ca che l’informazione è data dal DNA. Cosa sta avvenendo dal punto di vista molecolare nei due esperimenti? Consideriamo la tipica cellula batterica in cui il patrimonio genetico è circolare con estremità chiuse. La cellula è di tipo S: quindi al suo interno contiene l’informazione per costruire l’involucro polisaccaridico. Dopo aver rotto la cellula, su alcuni pezzi di DNA ci sarà l’intera informazione per produrre l’involucro polisaccaridico. Puri cando poi il DNA e ponendolo a contatto con una cellula batterica può succedere che una molecola di DNA entri nella cellula batterica stessa. Se il gene che sa produrre l’involucro entra nel batterio può integrarsi col suo DNA, sostituendosi al gene che non è in grado di produrlo. Si ottiene quindi un organismo geneticamente modi cato che è stato trasformato. La parola trasformazione deriva quindi da Gri th. Egli parlava infatti di un principio trasformante. La trasformazione è una procedura di laboratorio utile a far entrare DNA esogeno all’interno di un microorganismo (= cellule batteriche ed eucariotiche inferiori). Se il DNA estraneo entra nelle cellule eucariotiche superiori si parla di trasfezione. Quando si utilizzano i virus si parla di infezione o trasduzione. La trasfezione è un evento raro perché i batteri hanno una parete e noi una membrana. Per l’esame: quali sono stati gli esperimenti utili a dimostrare che il dna è stato il principio trasformante? Risposta: Avery. Non gri th: egli ha capito l’esistenza del principio trasformante, non lo ha dimostrato. HERSHEY E CHASE La discussione rimaneva se l’informazione genetica fosse contenuta nelle proteine o nel DNA. Hershey e Chase hanno capito che il fagovirus T2 fosse l’organismo perfetto per capire ciò perché era un virus costituito solo da questi due componenti. Si sapeva che il virus mandasse la propria informazione nella cellula ed essa poi moriva. Per distinguere le proteine dal DNA del virus bastava marcarle con radioattività: oggi si utilizza invece la uorescenza. Vengono quindi fatte crescere 2 colture di fagi in parallelo: in una coltura i fagi vengono cresciuti in zolfo 35 radioattivo per marcare le proteine (met e cys), nell’altra coltura invece i fagi vengono marcati con fosforo 32 radioattivo, che colpisce il DNA. Le particelle virali vengono poi usate per infettare in parallelo gli E. Coli cresciuti in due ambienti indipendenti non radioattivi. Avvenuta l’infezione (tempo breve), si allontanano le particelle virali da quelle di Coli tramite centrifugazione. In entrambe le colture le cellule Coli hanno quindi ricevuto il principio trasformante, ma solo in una delle due sarà radioattivo. Centrifugando a bassa velocità il tutto, le cellule batteriche, che pesano di più, vanno sul fondo della provetta, mentre i batteriofagi niscono in altro. Poi si prende il pellet (il sedimentato) e si guarda quali dei due pellet sarà radioattivo. Quello radioattivo deriva dai batteri infettati da virus con DNA radioattivo. Così si dimostra de nitivamente che il DNA è il principio trasformante. 4 fi fi ffi fl fi ffi fi fi TRASFORMAZIONE BATTERICA (spiegata nel corso di tecniche) Utilizzata per introdurre DNA nei batteri attraverso i plasmidi: piccole molecole circolari che hanno la capacità di replicarsi autonomamente. Non si può fare la trasformazione con DNA lineare perché E. Coli lo degraderebbe, riconoscendolo come un estraneo. Il plasmide non viene invece degradato perché appena entra nel batterio, esso si richiude in modo circolare. Nella trasformazione il batterio viene prima reso competente, poi viene messo in contatto con il DNA tagliato. Il DNA esogeno entra nel batterio, si integra nel DNA ed in ne esprime i propri geni. STRUTTURA DEGLI ACIDI NUCLEICI Gli acidi nucleici sono polimeri lineari di nucleotidi, costituiti da: un acido fosforico in posizione 5, uno zucchero a 5 atomi di carbonio (ribosio nell’RNA e deossiribosio nel DNA di erenziati da un gruppo ossidrile nel 3’ e vengono utilizzati per generare un legame fosfodiesterico) e una base azotata in posizione 1. È una struttura planare fatta da 1 o 2 anelli aromatici e sono: A G (1) T C (2). Il tutto dà un nucleotide in cui: - d: sta per deossi, se non c’è allora abbiamo a che fare con RNA - A: indica la base azotata - MP: sta per monofosfato (1 solo gruppo fosfato), se fosse TP sarebbe nucleotide trifosfato che è il substrato per gli enzimi per sintetizzare il DNA. Questo perché è una molecola energetica e quando viene incorporato nel DNA o RNA si libera pirofosfato che può essere a sua volta idrolizzato. Da una molecola di nucleotide trifosfato vengono scissi 2 legami covalenti e se ne forma 1 (vantaggio energetico) e vantaggio entropico perché si aumenta il numero di molecole e si aumenta il disordine. Rappresentazione corretta di un nucleotide per l’esame: ZUCCHERI NB: nel desossiribosio manca l’ossidrile in posizione 2 e non 3, perché il 3’ OH è fondamentale per formare gli acidi nucleici. I n u c l e o t i d i s o n o u n i t i t r a l o ro d a l e g a m i fosfodiesterici: “di” sta per due. Due zuccheri sono attaccati tra loro attraverso un doppio legame estere tra l’ossigeno attaccato al C in posizione 3’ di uno zucchero e l’ossigeno attaccato al C in posizione 5’ dell’altro zucchero. 5 fi ff Un lamento di acido nucleico avrà ad un’estremità il C 5’ attaccato al fosfato e all’altra il 3’ OH. Per convenzione, la sequenza del DNA o RNA si scrive sempre dal 5’ al 3’, perché questa è la direzione in cui viene polimerizzato. BASI Le pirimidine (T, C) hanno solo 1 anello aromatico, le purine (G, A) ne hanno 2. Nell’RNA vi è l’uracile. Non bisogna sapere la struttura chimica delle basi. ATP ha lo zucchero ribosio. dATP è nell’RNA. Gli acidi nucleici sono monofosfati. NATURA DEI FOSFATI I tre fosfati sono nominati come alfa, beta e gamma. Alfa è il più vicino allo zucchero, beta quello intermedio e gamma quello più lontano. Gli acidi nucleici, che hanno un solo fosfato, hanno il fosfato alfa. Ciò è importante per marcare il DNA. Le chinasi, enzimi che fosforilano una proteina, usano come substrato l’ATP: prendono il fosfato gamma dell’ATP e lo mettono sulla proteina. CHARGAFF E COMPOSIZIONE DEL DNA Charga ha capito la composizione del DNA eseguendo un esperimento mediante cromatogra a su strato sottile o TLC (devi sapere cosa è dal corso di tecniche). La cromatogra a è la tecnica analitica che separa le sostanze di una miscela in base a delle proprietà speci che (proprietà chimiche, siche o in base alla carica) che si basa sull’idea che le molecole hanno una diversa a nità per un supporto solido. Esistono le cromatogra e su colonna e quelle su una lastra. In quest’ultima vi è una lastra dove è stato posto uno strato sottile di resina. Dopo averci posto sopra una soluzione di cui si vogliono separare i componenti si mette il tutto in una bacinella con un tampone. Le molecole salgono in base alla loro a nità per il solvente e il supporto solido. Charga usa lo strato sottile per analizzare la composizione del DNA. Egli puri ca il DNA di diverse specie diverse e lo idrolizza a nucleotidi. Nella provetta quindi ci sono solo i nucleotidi liberi. Poi ha pipettato i nucleotidi sullo strato sottile per separare i nucleotidi con diverse basi azotate. Così ha scoperto le 4 basi canoniche del DNA. Egli ha poi analizzato l’intensità delle macchie di queste basi a confronto. 6 fi ff ff ffi fi fi fi fi ffi fi fi Dopo l’esperimento dimostra che: 1. I 4 nucleotidi non sono presenti in uguale quantità; 2. Le specie hanno una diversa composizione in nucleotidi, ma la stessa specie ha lo stesso numero di nucleotidi. 3. Il DNA preparato da diversi tessuti e organi ha sempre la stessa composizione in basi (in accordo con DNA come materiale genetico). 4. Il numero di A è uguale alle T e le G è uguale a C; 5. Rapporto purine-pirimidine è uguale a 1. In pratica ha capito come si appaiono i lamenti di DNA. Watson e Crick hanno poi riunito i pezzi. STRUTTURA DEL DNA È una molecola a doppia elica e i due lamenti si avvolgono in una doppia elica in maniera antiparallela: ad un’estremità si trovano le estremità opposte dei due lamenti (all’inizio c’è 5’ che si appaia con il 3’ dell’altra elica alla ne c’è 3’ che si appaia con il 5’ dell’altra elica). I due lamenti girano in maniera destrogira. Lo scheletro del DNA è costituito da zucchero-fosfato e le basi azotate vanno all’interno perché le basi sono delle molecole idrofobiche e se stanno all’interno ripudiano l’acqua e si appaiano tra di loro. Le conformazioni vanno infatti verso lo stato più stabile energeticamente. C e T sono piccole e si appaiano alle basi grandi A e G, questo fa si che il suo diametro sia regolare sempre e corrisponde a 20 Armstrong. Se il diametro non fosse regolare allora i sistemi di riparazione capirebbero subito se è avvenuto un mismatch. Si forma una struttura estremamente regolare con un diametro di 20 A o 2nm. La struttura è resa possibile dagli appaiamenti canonici: A con T e C con G. Le deviazioni delle conformazioni canoniche del DNA indicano le mutazioni. L’appaiamento è reso possibile da legami idrogeno che avvengono tra le due basi complementari. I legami che tengono insieme l’elica non sono solo i legami a idrogeno, ma vi sono altre forze deboli, come le forze di Van der Waals. Il numero di legami che lo tengono insieme è elevatissimo. Ciò permette una grande stabilità al DNA. A queste forze deboli si contrappongono anche forze di repulsione perché entrambe le eliche sono cariche negativamente, per ovviare a questo problema è presente la cromatina, la quale “maschera” queste cariche negative essendo che viene formata grazie a proteine (gli istoni) cariche positivamente. Il DNA ha un passo che corrisponde a quanti nucleotidi sono compresi tra un punto sulla doppia elica e il punto identico sul giro successivo è di 10,4 paia di basi per giro d’elica o 34 Armstrong. Nel formarsi dell’elica si formano due solchi: solco maggiore e minore. Il solco maggiore ha un’ampiezza di circa 20 A, perfetta per collocare un’alfa elica delle proteine (che hanno ampiezza 20 A). Il punto migliore tra il riconoscimento DNA-proteine è nel solco maggiore. Le proteine riescono ad in lare un alfa elica nel solco maggiore per interagire col DNA. La maggiorparte delle proteine a sequenza speci ca (fattori di trascrizione) si inseriscono sul solco maggiore, ma alcune fanno eccezione. Il DNA è molto stabile, tanto che per denaturare il DNA bisogna sottoporlo ad una temperatura alta o innalzare il pH. A quale T il DNA si denatura? Dipende da quanto è lungo il DNA e quindi da quanti legami 7 fi fi fi fi fi fi fi idrogeno è fatto. Servirebbe sapere esattamente quante e quali basi ci sono per poter fare il conto di legami. La temperatura in grado di denaturare il nostro DNA è compresa tra i 95 e i 100 gradi. Il DNA è molto stabile, infatti può essere recuperato dai fossili. L’RNA è invece molto meno stabile. Il dna è così stabile che anche se all’inizio gli organismi erano a RNA l’evoluzione ci ha portato ad avere il DNA. Nell’immagine, oltre alle forze che tengono insieme il DNA, sono indicate anche le repulsioni elettrostatiche. I due lamenti di DNA hanno infatti carica negativa. Ciò che sta all’esterno del DNA sono zucchero e fosfato, le basi invece, idrofobiche, stanno all’interno. I lamenti tenderebbero a respingersi ma le loro cariche sono neutralizzate da tutte le altre forze intorno. Le cariche vengono quindi mascherate. Quando Watson e Crick hanno de nito la struttura del DNA si era capito che la complementarità della doppia elica ne garantisce un enorme vantaggio: la duplicazione in due molecole glie. Se la doppia elica si apre (si rompono i legami a idrogeno) si parla di denaturazione e può avvenire in tutta la molecola o in un solo punto: se apriamo un piccolo frammento di DNA il lamento parentale funge da stampo per un lamento di nuova sintesi che è complementare al lamento parentale ed è uguale al lamento da cui il lamento parentale si è inizialmente staccato. Si generano due molecole di dna esattamente uguale a quello parentale. La forma di Watson e Crick è quella di DNA che troviamo maggiormente negli organismi ed è detta forma B o Watson e Crick. Esistono però anche altre forme alternative di DNA indotte dall’uomo: - DNA-A, un po’ più tozzo. Ha diametro largo e passo più piccolo e si forma quando il DNA si appaia con RNA (es durante la trascrizione), questo perché l’RNA è più ingombrante per il gruppo ossidrile e non permette la formazione del DNA-B - DNA-Z, girato dall’altra parte, è sinistrorso e si forma se si hanno sequenze molto ricche in GC. Pare che ci siano sezioni nel nostro genoma con DNA-Z. I fattori trascrizionali si legano nel solco maggiore del DNAB, ma nel DNA-A non si possono legare e nemmeno al DNA a singolo lamento. Nessun acido nucleico tende a stare a singolo lamento perché non è vantaggioso dal punto di vista dell’energia: la formazione della doppia elica è favorita per mascherare le basi idrofobiche. Oltre alle 4 basi canoniche del DNA, ne esistono anche altre modi cate estremamente importanti per l’espressione genica. Le due più presenti nel DNA sono: - 5-Metilcitosina: citosina a cui è stato aggiunto un gruppo metilico dopo la sintesi del DNA. - 5-Idrossi metil citosina: citosina a cui è stato aggiunto un gruppo ossidrile oltre al gruppo metile. Le basi modi cate presenti negli acidi nucleici non sono mai integrate durante la sintesi dell’acido nucleico, ma vengono modi cate dopo chimicamente. 8 fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi CARATTERISTICHE E COMPOSIZIONE DELL’RNA - Viene de nito a singolo lamento, anche se forma regioni a doppio lamento (viene sintetizzato a singolo lamento, ma cerca di scaricare energia e per farlo deve mascherare le sue basi idrofobiche e va a formare legami a idrogeno ecc. si formano così diverse strutture secondarie. * - Contiene Uracile al posto di timina e ribosio al posto di deossiribosio. - Le molecole sono molto più corte di quelle di DNA; portano l’informazione di uno o pochi geni. - Breve vita media: è una molecola profondamente instabile, infatti l’ossidrile in 2’ è molto reattivo ed è spesso oggetto ad esonucleasi. Con la trascrittasi inversa l’RNA viene trasformato in cDNA per renderlo stabile. - Può contenere basi insolite, modi cate e non presenti nel DNA. - Eccezioni date da virus con genomi a RNA a doppio o singolo lamento. * L’RNA si ripiega per scaricare energia mentre viene sintetizzato e poi mantiene zone appaiate tra loro. Tali conformazioni sono utili anche per svolgere in maniera corretta la propria funzione, non solo per stabilizzarsi. Riesce ad avere queste strutture perché sono supportati anche altri appaiamenti oltre a quelli canonici; infatti, l’elica non è regolare come quella del DNA. In alcuni casi le basi possono estro ettere all’esterno. STRUTTURA TERZIARIA DELL’RNA Quando è a singolo lamento le basi idrofobiche cercano di essere il più possibile lontane dall’ambiente acquoso. La struttura terziaria è resa possibile dall’arrangiamento tridimensionale di blocchi di strutture secondarie. Queste conformazioni sono rese possibili perché le basi possono ruotare e ripiegarsi liberamente intor no al legame fosfodiesterico e ai legami che lo legano al ribosio e perché le basi possono anche impegnarsi in appaiamenti non di tipo Watson-Crick. L’ossidrile in 2’ impedisce la formazione di una doppia elica di tipo B, favorendone una di tipo A con il solco maggiore più stretto e profondo e quello minore più largo e accessibile. L’RNA contiene un elevatissimo numero di nucleotidi modi cati ( no a 100) che ne aumentano di molto la variabilità strutturale TECNICA: DENATURAZIONE DI ACIDI NUCLEICI Queste sono due molecole di DNA in forma B. Per denaturare il DNA si devono scindere i legami a idrogeno e per fare ciò si deve fornire energia (quanta dipende dal numero di legami) o un agente chimico (soda o potassa), ma questo lo trasforma direttamente in nucleotidi. Se formiamo calore, quando questo supera l’energia che tiene insieme la doppia elica (energia dei legami a idrogeno) i due lamenti si separano e le molecole di DNA sono denaturate. 9 fi fi fi fi fi fi fl fi fi fi fi Due molecole diverse: una ricca in AT e una ricca in GC, per denaturarle fornisco energie diverse perché quella in AT ha meno legami a idrogeno a parità di lunghezza del DNA. La temperatura di fusione è la temperatura da fornire perché il 50% delle molecole siano denaturate, questa temperatura è in funzione di: - Lunghezza del dna - Composizione in basi C’è una formula matematica con cui si può ricavare la melting temperature. Dopo aver estratto il nostro DNA, per denaturarlo devo fornire una temperatura di 95° C. Dopo aver denaturato il DNA, in una provetta si osservano solo lamenti singoli. A questo punto mettendo la provetta sul bancone la T scende lentamente (per passare da 100° alla T ambiente ci vuole almeno mezz’ora). Durante questo abbassamento della T le molecole, muovendosi, possono incontrarsi. Ad una temperatura elevata, anche se si incontrato due lamenti complementari, non succede niente (non si possono formare legami idrogeno); invece, ad una temperatura più bassa si iniziano a formare gli appaiamenti. Il DNA tende a scaricare energia e formare zone a doppio lamento per raggiungere un sistema a minore energia possibile. Dando quindi al DNA denaturato il tempo necessario per incontrare il suo lamento complementare con una T corretta, si riformerà la doppia elica. Se viene messo in ghiaccio si forma un gomitolo statistico. Per le proteine mi serve la stessa quantità di energia per denaturarle? Sono meno stabili, quindi a 65° C siamo certi di aver rotto tutti i legami. Pero scendendo piano con la temperatura non è detto che ritorna a conformazione nativa perché viene acquisita durante la sintesi. Come si può veri care sperimentalmente se il DNA è stato veramente denaturato del tutto? Un modo per stimare le concentrazione del DNA (o di altre molecole) è l’utilizzo dello spettrofotometro. Si tratta di una macchina in cui si inserisce la provetta (detta cuvetta) con il DNA. Ta l e s t r u m e n t o e m e t t e u n a l u c e s e t t a t a d a l l o sperimentatore e misura la concentrazione delle molecole in funzione di quanta luce assorbono che dipende dall’assorbanza e dalla concentrazione del campione. L’assorbanza delle molecole dipende dalla loro struttura. Se la luce attraversa un’acqua limpida riesce a passare tutta; se invece passa attraverso acqua torbida (con batteri) non passa tutta. Nello spettrofotometro c’è una luce (con una speci ca lunghezza d’onda) che passa nella provetta. Alla ne si trova uno schermo che registra la luce che ha attraversato la provetta, ovvero che misura l’assorbanza. Tale numero si ri ette poi in una concentrazione. A seconda delle molecole, rispettando una formula matematica, si associa l’assorbanza alla concentrazione della speci ca molecola. Ciò che assorbe nel DNA sono gli anelli aromatici delle basi azotate. Nella doppia elica di DNA le basi si trovano internamente: esse vengono quindi schermate dallo scheletro esterno della doppia elica e lo scheletro della doppia elica scherma la possibile assorbanza. Quindi, quando il DNA è denaturato, l’assorbanza aumenta no ad arrivare un plateau. Infatti nel DNA a singolo lamento non vi è più il doppio scheletro che limita la capacità delle basi di assorbire (il DNA a doppio lamento assorbe più del DNA a singolo lamento). Considerando una provetta con DNA (assorbanza 55 mg/ml) e una con RNA (assorbanza 33mg/ml), a parità di basi azotate, quella con RNA assorbe di più, perché è a singolo lamento (esame). Idrolizzando poi lo stesso RNA a nucleotidi, l’assorbanza aumenta ancora, sia perché l’RNA ha alcune zone a doppio 10 fi fi fi fi fi fi fl fi fi fi fi fi fi fi lamento (che quindi schermano), sia perché, anche a singolo lamento, vi è comunque uno scheletro esterno in parte schermante. Quindi i nucleotidi liberi sono quelli che assorbono di più. In laboratorio, quando la concentrazione dello spettrofotometro è troppo alta, signi ca che l’RNA è degradato a nucleotidi. Questo principio viene chiamato e etto ipercromico: l’assorbanza del DNA in una provetta cresce in funzione della T crescente. Il primo lieve incremento dell’assorbanza corrisponde al momento in cui sulla doppia elica si formano delle bolle di denaturazione (zone ricche in A, T che si degradano per prime perché hanno solo 2 legami idrogeno). Man mano che la T cresce, l’assorbanza aumenta e il DNA si denatura no ad arrivare ai singoli lamenti. Dopodiché non si aumenta più la temperatura, altrimenti il DNA si degraderebbe ai singoli lamenti. Facendo scendere la temperatura lentamente, dopo un certo tempo l’assorbanza tornerà come quella originale, perché il DNA si rinatura del tutto. E se dopo aver denaturato il DNA si abbassa bruscamente la temperatura? Immergendo la provetta ad alta T nel ghiaccio, la T scende bruscamente no a 0°. In questo caso i lamenti di DNA non hanno il tempo di appaiarsi correttamente. Per scaricare al meglio l’energia, il DNA cercherà comunque, nel breve tempo che ha, di formare delle zone a doppio lamento. In questo modo si forma un “gomitolo statistico, prevalentemente dato da legami idrogeno intramoleoclari, avvenuti cioè tra lo stesso lamento di DNA. In questo caso l’assorbanza sarà maggiore di quella iniziale (con DNA denaturato) ma minore di quella massima possibile (con DNA a doppia elica). È intermedia. (Esame). Gli acidi nucleici si possono quindi riappaiare in maniere corretta a patto che ci siano le condizioni giuste (= serve del tempo). Il tempo e la temperatura di appaimento dipendono dalla lunghezza delle molecole e dalla composizione in basi. TECNICA: IBRIDAZIONE DI ACIDI NUCLEICI Consideriamo una provetta con 2 frammenti diversi di DNA (stessa lunghezza e sequenza quasi identica, tranne per 2 nucleotidi) presenti alla stessa frequenza: il numero di frammenti rossi è uguale al numero di frammenti verdi. Immaginiamo di denaturare i frammenti e poi di abbassare gradualmente la temperatura. Man mano che la temperatura scende può capitare che frammenti rossi si appaiano con quelli verdi. Quando ciò succede, nella zona dove non c’è appaiamento tra i nucleotidi, si crea una piccola bolla. È probabile che si sia creata una miscela dei due appaiamenti, perché comunque anche l’appaiamento rosso e verde è stabile e la temperatura ambiente non ha un’energia su ciente per farle staccare. Gli appaiamenti sono perfetti solo in base alla temparatura Immaginiamo di rifare l’esperimento mettendo 10 volte più molecole verdi rispetto a quelle rosse. A questo punto, denaturando e rinaturando, le combinazioni più probabili nella provetta saranno verde con verde; possono però anche appaiarsi verde e rosso oppure rosso e rosso (probabilità meno 11 fi fi fi ffi fi fi fi ff fi fi fi fi probabile). L’appaiamento nella provetta dipende quindi dalla complementarietà delle basi ma anche dalle concentrazioni delle molecole di DNA. Concetto di sonda Quando al DNA denaturato si aggiunge una grossa quantità di RNA complementare ad un suo gene (trascritto di un gene), durante la rinaturazione l’RNA si ibrida con un lamento di DNA. Il singolo lamento di RNA in eccesso si appaia quindi con la sua sequenza bersaglio. Questa perché la molecola è presente in quantità maggiori rispetto al DNA. Questa molecola a singolo lamento complementare al DNA, presente in largo eccesso è detta sonda, perché va a cercare il pezzo di DNA complementare (così come la sonda del petrolio cerca il petrolio). Il concetto di sonda viene usato moltissimo in tutte le tecniche della biologia molecolare, ad esempio nella PCR o nel sequenziamento. Riconoscendo questa sonda, si può identi care la sequenza d’interesse. LE PROTEINE Le proteine sono le macromolecole da cui dipendono tutte le attività della cellula; esse sono gli “strumenti e macchine molecolari” che fanno funzionare la cellula. [Come enzimi, le proteine aumentano la velocità delle reazioni metaboliche; come ormoni, fattori di crescita e attivatori genici, svolgono numerose funzioni di regolazione; come recettori e trasportatori di membrana, selezionano ciò che reagisce con la cellula o ciò che entra o esce dalla cellula; inoltre, formando lamenti contrattili esse costituiscono l’apparato per l’attività motoria, mentre formando bre forniscono il sostegno meccanico sia alla cellula sia all’ambiente che la circonda. Le proteine, fra le loro numerose funzioni, agiscono anche da anticorpi, da tossine, fanno coagulare il sangue, assorbono o rifrangono la luce e trasportano sostanze da una parte ad un’altra del corpo]. Si tratta di polimeri di aminoacidi. In natura esistono 20 aminoacidi con una speci ca struttura: Un aminoacido è formato da un C alfa che forma 4 legami, unendo: un idrogeno, un gruppo aminico, un gruppo carbossilico e un gruppo R (detto catena laterale). Ciò che di erenzia i 20 aminoacidi è proprio la catena laterale. Sono costituite da 20 amminoacidi che si legano mediante legami peptidici e si di erenizno per il gruppo R. ! Per gli aminoacidi imparare solo quello che c’è scritto di seguito: 12 fi fi fi ff fi fi fi ff fi Gli aminoacidi possono essere carichi positivamente: arginina e lisina che mi servono come carichi positivamente perché gli istoni hanno bisogno di interagire con il DNA neutralizzando le cariche negative e sono fortemente ricchi in arg e lys. Altri sono carichi negativamente: acido aspartico e acido glutammico. La cisteina sa formare i ponti di solfuro e la metionina è l’aminoacido con cui inizia la sintesi proteica. Altri amminoacidi sono: idrofobici, polari, apolari, acidi (carichi negativamente) o basici (carichi positivamente). Alcuni aminoacidi sono aromatici e quindi molto grossi. Tutti gli aminoacidi possono essere modi cati post traduzionalmente attraverso fosforilazione da parte delle chinasi che prendono il fosfato gamma dall’ATP, metilazione o acetilazione. Questi eventi non avvengono su tutti gli aminoacidi. In particolare, gli aminoacidi che possono essere fosforilati sono Tirosina, Serina e Treonina. La genetica molecolare diagnostica le malattie genetiche. Le mutazioni del DNA possono impattare la conformazione della proteina, determinando un cambio funzionale della proteina. Ciò può diventare patologico. Sapere quindi le caratteristiche degli aminoacidi serve per capire la gravità del cambiamento di un aminoacido con un altro. Ad esempio, se una tirosina che doveva essere fosforilata viene sostituita con un aminoacido non fosforilabile, cambierà totalmente la funzione della proteina. FORMAZIONE DELLA CATENA POLIPEPTIDICA Le proteine sono costituite da 20 diversi aminoacidi e si uniscono tra loro attraverso un legame peptidico tra il gruppo carbossilico del primo aminoacido e quello amminico del secondo aminoacido. Il legame comporta l’eliminazione di una molecola di acqua. ! La struttura degli amminoacidi è da sapere, cosi come anche saper disegnare la formazione del legame peptidico. Se ho fatto un legame peptidico il primo amminoacido ha un gruppo amminico libero e il secondo ha un gruppo carbossilico libero. Dove la sintesi inizia ho il gruppo amminico e dove nisce ho il gruppo carbossilico. La proteina ha sempre un’estremità N terminale, col gruppo amminico libero e un’estremità C terminale, col gruppo carbossilico libero. Convenzionalmente, la sequenza aminoacidica di una proteina si scrive dall’estremità amminica libera a quella carbossilica. Questo perché la sintesi proteica va dall’N terminale al C terminale. Non appena la cetena polipeptidica inizia a formarsi, la proteina cerca la conformazione favorita per minimizzare l’energia. Gli aminoacidi idrofobici vengono posti all’interno, mentre quelli con gruppi laterali idro lici o con cariche vengono lasciati all’esterno. La conformazione nale della proteina è quella con cui funziona ed è la conformazione più stabile. Tale conformazione viene assunta nel frattempo che la proteina sta venendo sintetizzata: la conformazione dipende quindi dalla sintesi. Ogni proteina assume un'unica conformazione, anche se ne potrebbe assumere teoricamente un numero enorme. Le istruzioni per assumere quella conformazione unica sono contenute nella sequenza aminoacidica. Ma ciò non vuol dire che la sanno assumere da sole: esistono le chaperonine. Se denaturo la proteina e la rimetto in una condizione siologica raramente assumerà la sua conformazione iniziale perché la proteine inizia a assumere la sua conformazione già nel momento in cui viene sintetizzata. 13 fi fi fi fi fi Esempio: le uova Nel momento in cui alzo la temperatura le proteine si denaturano e non tornano più nella loro conformazione iniziale. La struttura nale è tenuta assieme da legami deboli non covalenti (interazioni idrofobiche, legame idrogeno, interazioni ioniche, forze di Van der wals) e ponti disolfuro che si generano prevalentemente fuori dalla cellula. La sua conformazione è relativamente stabile. Relativamente perché non tutti gli aminoacidi sono impegnati nei legami: i legami che si formano sono tanti, ma in numero molto minore rispetto a quelli nel DNA. Le proteine quindi si denaturano facilmente, ma ciò è un vantaggio: esse sono in grado di cambiare leggermente la propria conformazione per svolgere la loro funzione. La dinamicità conformazionale è la base della vita. Noi non siamo ancora in grado di prevedere con assoluta certezza la conformazione di una proteina. La tecnica che permette di visualizzare la struttura di una proteina è la cristallogra a, seguita dall’analisi dei raggi X. Tale tecnica può essere e ettuata solo se le proteine hanno una struttura regolare. Non tutte le proteine hanno però strutture così regolari da poter essere cristallizzate. Ogni proteina è dotata di diversi livelli strutturali. La struttura primaria è data solo dalla semplice sequenza degli aminoacidi. Tale struttura in realtà non c’è mai, perché la proteina inizia da subito a ripiegarsi nelle strutture secondarie che sono un ripiegamento locale: alcune zone della proteine si ripiegano secondo dei moduli ssi ad alfa elica e beta foglietto. Man mano che la proteina esce dal ribosoma si formano le tipiche strutture secondarie, in base agli aminoacidi della catena. Alcune proteine sono dette disordinate perché non hanno sequenze che permettono le strutture secondarie. Le strutture secondarie si ripiegano nella struttura terziaria. Se ci sono delle cisteine, si possono formare dei ponti disolfuro, unici legami covalenti presenti nelle strutture superiori a quella primaria. La struttura terziaria è la conformazione nale della proteina. Se invece la proteina lavora come dimero, trimero, teramero, esamero (ovvero se la proteina funzionale è data da più subunità) allora si parla di struttura quaternaria. Essa descrive il modo in cui diverse proteine si uniscono per collaborare ad una stessa funzione ed è tenuta assieme da legami deboli. Un esempio è l’emoglobina. Esempio di una conformazione di una proteina con beta-shit, alfa-eliche, zone prive si struttura secondaria (che si ripiegano su se stesse formando anse) e ponti disolfuro. Il cambiamento di un solo aminoacido può comportare un cambiamento nella conformazione. Solo determinati aminoacidi, ad esempio, sono in grado di formare un beta foglietto. Senza anche un solo aminoacido tale struttura non è più possibile. Conoscendo a priori la struttura si possono predire le conseguenze di un cambiamento aminoacidico. 14 fi fi fi ff fi DOMINI PROTEICI Un dominio proteico è una porzione della catena polipeptidica della proteina che sa mantenere la propria conformazione anche se è tolte dal contesto. Immaginiamo di avere un fattore trascrizionale di 300 amminoacidi che ha una sua conformazione per svolgere la sua funzione. Se io prendo quei 60 amminoacidi che permettono al fattore di legarsi al DNA, quei 60 amminoacidi continuano ad assumere la loro struttura e continuano a fare quello che stavano facendo (dominio funzionale e strutturale). Un fattore trascrizionale è una proteina che regola la trascrizione. Essi, per funzionare, devono sapere legarsi al DNA e regolare la trascrizione. Queste due funzioni sono spesso associate a due porzioni diverse della proteina: esiste una porzione (dominio) capace di legare il DNA e un’altra porzione capace di regolarlo. I domini sono regioni molto ben de nite dal punto di vista funzionale. BELLEZZA DEL DISORDINE PROTEICO La struttura è funzionale e quasi le proteine ne hanno una speci ca che serve loro a funzionare. Esiste però un numero enorme di proteine disordinate o disorganizzate, che sono prive di strutture riconoscibili o che ne hanno solo alcune riconoscibili. Il disordine, per alcune proteine, è un vantaggio perché permette di assumere conformazioni diverse a seconda dei suoi partner e hanno n conformazioni acquisibili. Non tutte le proteine possono essere suoi partner: solo alcune conformazioni sono possibili. Queste proteine possiedono una maggiore versatilità funzionale. L’informazione per il ripiegamento è insito nella proteina (sequenza primaria), ma a volte le proteine vengono aiutate ad assumere la loro conformazione dalle chaperonine. Alcune proteine sono state selezionate per il loro disordine ad esempio una malattia del neuro sviluppo è causata da una proteina che si lega al DNA e oltre a questo dominio fa tantissime cose perché si adatta alla proteine con cui si incontra e regola diverse funzioni: nel disordine c’è moltissima informazione. IMPORTANZA DELLA STRUTTURA DELLE PROTEINE (no esame) La funzione delle proteine dipende dalla loro struttura. Una struttura errata porta ad alterazioni gravi della funzione della proteina. Nell’anemia falciforme il cambiamento di un solo aminoacido (valina non polare al posto del glutammato polare e carico negativamente) cambia la conformazione della proteina che diventa meno solubile e precipita e questo cambia la forma degli eritrociti. Un altro esempio è la mucca pazza, epidemia che ha causato molte morti. Gli individui malati avevano cervelli spongiformi perché avevano la proteina prionica (PRNP) con una conformazione di erente. Una solo proteina con la conformazione sbagliata induceva una conformazione sbagliata sulle altre. Non tutte le mutazioni sono patogeniche. Tanto più il cambio di un amminoacido avviene con un amminoacido simile tanto è più probabile che quella mutazione venga assorbita bene (mutazione conservativa ecc…). Non bisogna sapere di queste malattie per l’esame. ENZIMI Un enzima è una proteina che possiede un sito attivo capace di svolgere attività catalitica. Tale sito normalmente si trova all’interno dell’enzima, come se fosse una tasca a ne al legame del substrato per complementarietà. L’attività enzimatica può essere regolata attraverso una regolazione allosterica (Diversa conformazione). Le proteine possono cambiare localmente la loro conformazione per svolgere (o non svolgere) determinate azioni. I l s i t o c a t a l i t i c o d i u n e n z i m a p u ò e s s e re re g o l a t o i n s e n s o p o s i t i v o o n e g a t i v o. La regolazione allosterica positiva si veri ca quando l’interazione tra regolatore ed enzima induce un cambiamento conformazionale nel sito catalitico che permette di legare il substrato. Viceversa, se l’interazione con il regolatore rende il sito catalitico non funzionale, la regolazione è negativa. In questo caso, solo quando il regolatore si stacca dall’enzima esso continua a svolgere la sua funzione. 15 fi ffi fi fi ff Non tutta la conformazione della proteina viene cambiata, ma solo il sito catalitico. Le proteine continuano a cambiare la conformazione per poter svolgere la propria funzione. La regolazione allosterica riguarda ad esempio anche i fattori trascrizionali che non sanno legarsi al DNA perché non hanno la conformazione giusta per legarsi al solco maggiore nché non interagiscono con il loro segnale positivo. Quindi le modi cazioni covalenti delle proteine possono regolarne la funzione, le proteine sono dotate di un’enorme essibilità e di una regolazione ne. E la modi cazione avviene in un punto speci co che dipende dagli aminoacidi target speci ci per la modi cazione, inoltre l’e etto nale non è mai univoco: non tutti i fattori acetilati svolgono la stessa funzione, ogni modi cazione ha un outcome che dipende dalla proteina e dalla modi cazione speci ca. De nizione di proteoma: intero inventario delle proteine prodotte da un determinato organismo. Tale termine viene anche usato per l’elenco completo delle proteine presenti in un particolare tessuto, cellula o organulo cellulare. Nelle cellule il trascrittoma cambia anche in base alla fase in cui si trova. Considerando due cellule con trascrittoma uguale possiamo avere un proteoma diverso perché non esprime solo quali proteine sono espresse, ma anche quali modi cazioni trascrizionali che sono di erenti in base alla cellula. Quindi in realtà il proteoma è la vera “fotogra a” di quello che accade in una cellula, ma il problema è che le tecniche per studiare il proteoma non sono sensibili come le tecniche che descrivono il trascrittoma (insieme dei trascritti). Si fa un elettroforesi in gel delle proteine e ogni puntino che si vede è una proteina che è stata separata sia per peso molecolare che per punto isoelettrico. ****TECNICA: ESTRAZIONE ED ANALISI DELLE PRINCIPALI MACROMOLECOLE: DNA, RNA, proteine Al giorno d’oggi si utilizzano i kit, ma ora analizziamo le puri cazioni tradizionali delle macromolecole, Consideriamo l’estrazione di DNA da una cellula procariotica. Per prima cosa si devono togliere le cellule dal terreno di coltura. Bisogna poi lisare le cellule, ovvero distruggere gli involucri esterni (parete cellulare) per far uscire il contenuto cellulare, utilizzando il LISOENZIMA. Dopo aver lisato la parete serve rompere la membrana cellulare. Si utilizza quindi una soluzione ipotonica oppure si mettono dei detergenti che la fanno rompere. A questo punto, per eliminare le proteine, si usano o le proteinasi, che rompono i legami peptidici delle proteine (però poi resta dentro la soluzione la proteinasi) oppure si può trattare la soluzione con il fenolo, un agente chimico corrosivo che denatura le proteine. Il fenolo è molto idrofobico e si deposita sul fondo della provetta. Dopo averlo aggiunto alla soluzione, le proteine rivolgono la loro parte idrofobica verso il fenolo e quella idro lica verso l’acqua. Quindi la maggiore parte delle proteine si posiziona a metà tra il fenolo e la soluzione. Può essere che gli aminoacidi più idrofobici si posizionino del tutto nella parte del fenolo. A questo punto, con la pipetta, si prende solo 16 fl ff fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi ff fi fi fi fi la fase acquosa (sprecandone un po’ per non rischiare di prendere il fenolo) e la si sposta in un’altra provetta. Nell’interfaccia tra fenolo e soluzione della provetta, si accumula una concentrazione di proteine denaturate e si vede un colore biancastro, anche se le proteine sono incolori. Ciò che rende biancastro quello strato è l’albume delle proteine denaturate e condensate. Dopo aver trasportato la fase acquosa, nella nuova provetta avremo DNA e RNA. Per eliminare l’RNA si aggiungono le ribonucleasi, enzimi che degradano l’RNA. Il DNA ora è diluito e contaminato dai nucleotidi e aminoacidi rimasti, dagli zuccheri, ioni e da tutte le molecole rimaste in soluzione. La tecnica che permette di concentrare il DNA e puri carlo (ovvero eliminare le altre molecole) è la precipitazione con etanolo. Il DNA sta in soluzione perché fa legami con l’acqua attraverso i suoi fosfati. La presenza dell’etanolo (che richiama l’acqua) impedisce al DNA di fare legami con l’acqua e quindi lo costringe ad uscire dalla soluzione, formando un pellet. L’etanolo sequestra l’acqua al DNA. Si vede quindi il DNA che occula.Dopo aver centrifugato il DNA che non sta più in soluzione precipita, mentre tutto il resto rimane nella soluzione. In ne si svuota la provetta e il DNA rimane attaccato sul fondo. Aggiungendo poi acqua pura si puri ca il DNA. Terminata l’estrazione e la puri cazione del DNA è bene veri care quanto DNA concentrato si è ottenuto e se questo sia integro. Analizziamo ora l’estrazione di DNA da una cellula eucariotica. Negli eucarioti la procedura è quasi tutta uguale, con qualche minima di erenza. Innanzitutto, non essendoci una parete, serve rompere solo la membrana plasmatica. Per questo si utilizzano dei detergenti oppure si mettono le cellule in una soluzione ipotonica (dove l’acqua entra e le fa esplodere). Per isolare i nuclei si e ettua una piccola centrifugazione a bassa velocità: i nuclei, che pesano più di tutto il resto, sedimentano sul fondo. In questo modo si è certi di puri care il DNA nucleare e non quello mitocondriale. Per liberare il DNA in soluzione è poi necessario rompere la membrana nucleare (si utilizzano altri solventi). Si procede poi come per gli eucarioti. Avvenuta l’estrazione del DNA, bisogna stimarne la concentrazione e la qualità. La concentrazione delle molecole si misura con l’elettrofotometro (che associa i valori dell’assorbanza a speci ci valori di concentrazione); mentre la qualità del DNA, ovvero quanto il DNA è integro (non è mai del tutto integro: durante la puri cazione un po’ si rompe per forza) si valuta attraverso l’elettroforesi.**** ****TECNICA: ESTRAZIONE DI PROTEINE Estrarre le proteine è semplice perché esse sono ovunque, sia nel nucleo che nel citoplasma, ed è quindi necessario lisare solamente le cellule per far sì che esse vengano riversate in soluzione. Per lisare la membrana si usano detergenti che non siano in grado di danneggiare anche le proteine. In particolare, la lisi delle membrane deve avvenire in un tampone adeguato dove controllando il PH e la concentrazione di sale, inibendo le proteasi e operando sempre in ghiaccio (perché il calore è un agente denaturante) andremo a preservare l'integrità della proteina. Tutto ciò perché la conformazione delle proteine è più instabile di quella del DNA ma più stabile di quella dell’RNA. Ricordarsi che la conformazione delle proteine è strategicamente instabile. A questo punto, in base alla posizione della speci ca proteina, devo selezionare o il nucleo o il contenuto del citoplasma (escludendo, ad esempio, gli organelli). Bisogna poi rimuovere gli altri componenti che non ci interessano. L’RNA, essendo instabile, si degrada; mentre il DNA no perché è stabile. Per eliminare il DNA o si utilizza una centrifugazione (dove il DNA va sul fondo) oppure si utilizzano ultrasuoni per denaturarlo (gli ultrasuoni rompono i legami fosfodiesterici e denaturano il DNA in nucleotidi). Una volta ottenuto l’estratto proteico si può stimarne la concentrazione usando uno spettrofotometro oppure un nano drop, perché gli aminoacidi sono in grado di assorbire alcune luci, in particolare quelli aromatici assorbono soprattutto a 280 nanometri. Successivamente ci si deve assicurare che le proteine siano integre, tramite una particolare elettroforesi. L’elettroforesi separa le molecole in base al loro peso molecolare se tutte hanno carica dello stesso segno 17 fl fi fi ff fi fi fi fi fi fi ff fi e se sono tutte lineari/con la stessa struttura. Le proteine, però, non hanno tutte la stessa carica (alcune sono positive, altre negative ed altre ancora neutre) e non hanno la stessa conformazione: non possono quindi svolgere una normale elettroforesi. Bisognerà sicuramente e ettuare un’elettroforesi denaturante, in modo da avere tutte le proteine in struttura primaria (quindi lineare). Bisogna ora trovare un modo per dare a tutte le proteine la stessa carica e far si che rimangano denaturate lungo tutta l’elettroforesi. Ciò è alla base della SDS-page, un’elettroforesi in grado di sfruttare il sodio-dodecil- solfato (SDS), un detergente, per denaturare le proteine e dare a tutte la stessa carica in base al peso molecolare. L’elettroforesi viene fatta su un gel di poliacrilamide ripieno di SDS disposto in verticale (il gel è in verticale), perché ci sono due fasi con pH di erenti. Si tratta di un gel denaturante. L’SDS è una molecola an patica, con una coda idrofobica e una testa idro lica. La testa idro lica dell’SDS è carica negativamente. L’SDS viene posto sia nel gel che nel tampone che contiene già un colorante di caricamento che permette di far cadere il campione nel pozzetto. Mettendo il campione proteico col SDS a scaldare le proteine si denaturano: la temperatura è minore rispetto a quella del DNA perché le proteine hanno molti meno legami deboli. Quando la proteina è denaturata, l’SDS si avvolge intorno alla struttura primaria: la sua coda si avvolge intorno ai legami peptidici mentre la testa punta verso l’esterno. L’SDS si lega ai legami peptidici con precise proporzioni. A questo punto le proteine non potranno più rinaturarsi perché le teste cariche dell’SDS si respingerebbero a vicende impedendo il folding. Il risultato è di avere proteine cariche negativamente (in quanto ricoperte dall’SDS) che non sono in grado di rinaturarsi neanche a T ambiente. Maggiore è il peso molecolare maggiore è la carica della proteina: l’SDS si avvolge più volte attorno ad una proteina grande. Ora le molecole possono viaggiare in base al loro peso molecolare, quindi le piccole viaggiano più velocemente, nonostante la carica minore. Fatto ciò, rimangono solo i ponti disolfuro da rompere: in realtà nella soluzione è già presente una sostanza riducente che scinde il legame S-S generando 2 SH. Nel caso di una molecola singola, questa si spiegherà, nel caso di due subunità queste si separeranno e viaggeranno come monomeri lineari, dando 2 bande diverse. Quindi, si prepara un Gel di SDS-PAGE e si prepara il campione di proteine mescolandolo con SDS e sostanza riducente. Ora le condizioni per l’elettroforesi sono rispettate. Alla ne dell’elettroforesi si vede questo. Le proteine vanno tutte verso il polo positivo. Dopo l’elettroforesi si devono colorare le proteine (le proteine appaiono biancastre solo se denaturate ed altamente concentrate). Per far ciò si mette il gel in un’opportuna sostanza. Un esempio id sostanza utilizzata è il blu di Coomassie. Anche in questo caso si utilizza uno standard di peso molecolare, ovvero proteine denaturate a peso noto. Questi standards si vendono già colorati, costano di più se ogni standard ha un colore diverso in modo che il riconoscimento sia più facile. Questi standards indicano se il sistema è corretto, se le proteine si stanno separando, a che punto sono della corsa. Se lo standard di un certo peso è arrivato ad un certo punto del gel si può capire facilmente che le proteine più leggere saranno più avanti e quelle più pesanti saranno più indietro. Si riesce quindi a capire 18 fi fi fi fi ff ff per quanto tempo farle ancora scorrere. Queste elettroforesi sono molto complesse, anche solo variando il pH, per esempio, la migrazione può risultare errata. Vi è sempre uno standard di peso molecolare pre-colorato. Lo standard va guardato per capire quanto far correre il gel. **** I GENOMI I genomi di un organismo sono organizzati in cromosomi. E. Coli ha un solo cromosoma circolare e chiuso, noi ne abbiamo 46 lineari. Nell’immagine a destra si vedono i cromosomi politenici di Drosophila. Ogni organismo ha un numero di cromosomi diversi che varia in base all’organismo stesso. De nizione di genoma: insieme dell’informazione genetica contenuta all’interno delle cellule di un organismo. Il numero dei geni può essere molto diverso tra le specie. Il numero dei geni, negli organismi più semplici, si correla con il loro stile di vita: un virus (che non è un organismo vivente perché ha bisogno della cellula ospite per riprodursi) ha un basso numero di geni, perché sfrutta gli organelli e le molecole della cellula infettata. Nel mondo dei procarioti, quei procarioti che vivono in simbiosi con altri organismi hanno pochi geni. I batteri e i virus che vivono in maniera parassitica hanno un vantaggio nel perdere dei geni perché riescono a riprodursi più velocemente. Più il genoma è piccolo, più si riproduce velocemente. Negli eucarioti si vede che nelle diverse specie il numero di geni varia in base alla complessità dell’organismo ma non così tanto. De nizione di gene: frammento di DNA che codi ca o per una proteina o per una molecola di RNA funzionale (che non verrà tradotta in proteina). I geni fanno parte dei cromosomi Elenco di molecole di RNA funzionale: Possibili domande d’esame: come sono organizzati i genomi degli eucarioti o procarioti? C o m e a b b i a m o f a t t o a c a p i re c o m ’ è organizzato il nostro genoma (sequenze uniche e ripetute)? 19 fi fi fi GENOMI NEI PROCARIOTI I procarioti hanno cercato di ridurre al minimo la propria dimensione genomica per velocizzare la replicazione. I genomi procarioti sono quindi i più piccoli possibili, compatibilmente con lo stile di vita. Mentre il nostro genoma è non plastico, ovvero la posizione dei geni è mantenuta, il genoma degli eucarioti è molto plastico, perché si hanno frequenti eventi di trasferimento genico. Il trasferimento genico laterale avviene attraverso la trasformazione, la coniugazione e la trasduzione (virus). L’ordine dei geni lungo il cromosoma non è quindi conservato: i geni possono essere gli stessi ma con un ordine diverso. Nell’evoluzione degli eucarioti invece, si è sempre mantenuta l’organizzazione generale dei geni. Il genoma procariotico ha una densità genica elevata: tra i geni c’è pochissimo materiale che fa da spaziatore (al contrario di quanto accade nel genoma eucariotico). Estrema densità genetica, dimostrato dal fatto che l’85% del genoma è costituito da sequenze codi canti per proteine insieme al suo promotore.Nel genoma umano le sequenze codi canti per proteine sono solo l’1,5%. Il resto del genoma procariotico contiene geni per tRNA, rRNA e altri RNA con funzione regolatoria. Le sequenze del genoma procariotico sono uniche, ad eccezione dei geni per gli rRNA, che sono ripetuti: servono tante copie di geni per gli RNA ribosomiale perché, siccome la sintesi proteica è estremamente elevata, servono moltissimi ribosomi e moltissime molecole di rRNA. Il sistema non riuscirebbe a sostenere una sintesi adeguata alla richiesta se avesse sequenze uniche. Per risparmiare spazio ed energia i procarioti hanno organizzato alcuni loro geni in operoni, organizzazioni geniche particolari in cui vi e una sola sequenza regolatrice, il promotore, che coordina l’espressione del trascritto che codi ca per diverse proteine. Il vantaggio di tale organizzazione è una produzione stechiometrica delle proteine sintetizzate cin tale sistema e il coordinamento tra accensione e spegnimento delle proteine. Inoltre, viene risparmiato spazio genomico: perché c’è un solo promotore. Gli operoni quasi non c