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Questi appunti trattano di biochimica, con un'introduzione alle biomolecole, alla logica molecolare della vita, alle cellule, agli elementi della materia vivente e alla stereochimica. Vengono descritte le caratteristiche fondamentali delle molecole biologiche, i legami covalenti, i gruppi funzionali e le interazioni deboli.
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BIOCHIMICA INTRODUZIONE ALLE BIOMOLECOLE Le caratteristiche fondamentali delle molecole biologiche: il legame covalente, i gruppi funzionali, la gerarchia molecolare. Le interazioni deboli: il legame idrogeno, legami di Van del Waals, i legami ionici e le interazioni idrofobiche LA LOGICA MOLECOLAR...
BIOCHIMICA INTRODUZIONE ALLE BIOMOLECOLE Le caratteristiche fondamentali delle molecole biologiche: il legame covalente, i gruppi funzionali, la gerarchia molecolare. Le interazioni deboli: il legame idrogeno, legami di Van del Waals, i legami ionici e le interazioni idrofobiche LA LOGICA MOLECOLARE DELLA VITA La biochimica cerca di spiegare come le eccezionali caratteristiche degli organismi viventi derivino dalle migliaia di differenti biomolecole. I sistemi viventi sono composti da molecole (biomolecole) inanimate (Albert Lehninger). Le biomolecole seguono le leggi della chimica e della fisica che regolano il comportamento della materia inanimata. Gli organismi viventi possiedono alcune proprietà straordinarie che non sono presenti nelle singole biomolecole. Gli organismi viventi possiedono attributi straordinari, cioè proprietà che li distinguono da altri tipi di materia. Quali sono queste caratteristiche che distinguono gli organismi viventi? 1. gli organismi viventi sono strutture complesse ed altamente ordinate; 2. le biomolecole hanno strutture definite con un preciso significato funzionale; 3. i sistemi viventi sono in grado di estrarre energia dall’ambiente e di conservarla; 4. i sistemi viventi hanno capacità di autoreplicarsi. La biochimica descrive in termini molecolari le strutture, i meccanismi, e i processi chimici comuni a tutti gli organismi, insieme a una serie di principi organizzativi, validi per tutte le forme di vita, che vanno sotto il nome di logica molecolare della vita. CELLULE Tutte le cellule, da quelle degli organismi più semplici a quelle degli organismi più complessi, hanno in comune alcune proprietà fondamentali, che possono essere apprezzate soprattutto a livello biochimico. La membrana plasmatica definisce i contorni della cellula e separa il contenuto della cellula dal mezzo esterno. Essa è composta da molecole lipidiche e proteiche. Il contenuto cellulare interno, racchiuso dalla membrana plasmatica, il citoplasma è composto da una soluzione acquosa, il citosol, e da una varietà di particelle in sospensione. Nel nucleo o nel nucleoide viene conservato e replicato il genoma (il corredo dei geni) costituito da DNA. Il nucleo degli eucarioti consiste di materiale racchiuso da una doppia membrana, l’involucro nucleare. I microrganismi sprovvisti di nucleo, una volta raggruppati come procarioti, vengono oggi suddivisi in due gruppi distinti, i batteri e gli archea. Tutti gli organismi viventi possono essere suddivisi in tre grandi gruppi (domini), che corrispondono a tre branche evolutive che si dipartono da un progenitore comune LUCA: - archea - batteri - eucarioti Due di questi gruppi sono costituiti da organismi unicellulari, archea e batteri. I batteri vivono nel terreno, sulla superficie dell’acqua e nei tessuti di altri organismi viventi o in decomposizione. Molti archea vivono in condizioni estreme, per esempio in acque salate, sorgenti calde, paludi molto acide e nelle profondità degli oceani. All’interno dei domini degli archea e dei batteri vi sono dei sottogruppi distinguibili sulla base dei loro habitat: - negli habitat aerobici alcuni organismi traggono l’energia dal trasferimento degli elettroni dalle molecole combustibili all’ossigeno; - negli habitat anaerobici si sono adattati microrganismi che ottengono energia dal trasferimento degli elettroni al nitrato (con formazione di N2), al solfato (formando H2S), o alla Co2 (formando CH4). Alcuni di questi organismi che si sono evoluti in un ambiente anaerobico sono anaerobi obbligatori: essi muoiono al contatto con l’ossigeno. Altri sono invece anaerobi,facoltativi, capaci di vivere sia in presenza che in assenza di ossigeno. Gli organismi eucarioti si sono evoluti dalla stessa branca da cui sono derivati gli archea. Le tipiche cellule eucariotiche sono molto più grandi delle cellule batteriche. Il loro diametro è generalmente compreso tra i 5 e i 100 micron, e il loro volume è da migliaia fino a un milione di volte maggiore rispetto a quello dei batteri. I caratteri distintivi delle cellule eucariotiche sono il nucleo e vari organelli circondati da membrana, con funzioni specializzate: i mitocondri, il reticolo endoplasmatico, il complesso di Golgi, i perossisomi e i lisosomi. Oltre a questi organelli, le cellule vegetali contengono anche i vacuoli e i cloroplasti. Esistono diversi tipi di filamenti proteici che attraversano la cellula eucariotica, formando una rete tridimensionale di interconnessioni chiamata citoscheletro. Esistono tre tipi principali di filamenti citoplasmatici: - filamenti di actina - microtubuli - filamenti intermedi Il sistema endomembranoso segrega specifici processi metabolici e fornisce le superfici su cui avvengono alcune reazioni catalizzate da enzimi. L’esocitosi e l’endocitosi, meccanismi di trasporto che comportano la fusione e la fissione della membrana, costituiscono delle vie di comunicazione tra il citoplasma e il mezzo circostante, e inoltre permettono la secrezione di sostanze prodotte dalla cellula verso l’esterno, e l’assorbimento dall’esterno all’interno di materiale extracellulare. Le macromolecole e le loro unità costitutive hanno dimensioni molto diverse. Le subunità monomeriche delle proteine, degli acidi nucleici e dei polisaccaridi sono unite da legami covalenti. Nelle strutture sopramolecolari le macromolecole sono però tenute insieme da interazioni non covalenti, tutte molto più deboli dei legami covalenti. Queste interazioni non covalenti comprendono i legami idrogeno (tra gruppi polari), le interazioni ioniche (tra gruppi carichi), le interazioni idrofobiche (tra gruppi non polari in soluzione acquosa) e le forze di van der Waals (o forze di London), ognuna delle quali ha un’energia di legame nettamente inferiore a quella del legame covalente. ELEMENTI CHE COMPONGONO LA MATERIA VIVENTE La maggior parte degli elementi che compongono la materia vivente ha numeri atomici relativamente bassi. I quattro elementi più abbondanti negli organismi viventi espressi come percentuale del numero totale di atomi, sono l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto e il carbonio, che insieme ammontano al 99% della massa della maggioranza delle cellule. Gli elementi presenti in traccia rappresentano solo una minuscola frazione in peso del corpo umano, ma sono tutti essenziali per la vita, soprattutto perché sono indispensabili per la funzione di specifiche proteine. La chimica degli organismi viventi è organizzata intorno al carbonio, che corrisponde a più della metà del peso secco della cellula. Il carbonio può formare legami singoli con gli atomi di idrogeno, e un legame singolo o un legame doppio con l’ossigeno e con l’azoto. Di grande significato in biologia è la capacità del carbonio di formare legami stabili con fino a quattro altri atomi di carbonio. Gli atomi di carbonio legati covalentemente nelle biomolecole possono formare catene lineari o ramificate e strutture cicliche. Le biomolecole in gran parte possono essere considerate come derivati degli idrocarburi, in cui atomi di idrogeno sono sostituiti da una serie di gruppi funzionali che conferiscono caratteristiche proprietà alle molecole, formando le diverse famiglie di composti organici. Tipici sono i gruppi funzionali di: - alcoli: possiedono uno o più gruppi ossidrili - ammine: caratterizzate dai gruppi amminici - aldeidi e chetoni: possiedono gruppi carbonilici - acidi: possiedono gruppi carbossilici La “personalità” chimica di un composto deriva dalla chimica dei suoi gruppi funzionali e dalla loro disposizione nello spazio. STEREOCHIMICA La stereochimica di una molecola, ovvero la disposizione tridimensionale degli atomi di questa molecola, è molto importante. Un composto contenente carbonio si trova comunemente sotto forma di stereoisomeri, molecole con gli stessi legami chimici ma diversa stereochimica, cioè una diversa configurazione corrispondente ad una diversa disposizione degli atomi nello spazio. CONFIGURAZIONE La configurazione è determinata dalla presenza di: 1) doppi legami, attorno ai quali non vi è libertà di rotazione; 2) centri durali intorno ai quali i gruppi sostituenti sono disposti in una sequenza specifica. Gli stereoisomeri possono essere di 3 tipi: - isomeri conformazionali: non possono a convertirsi l’uno nell’altro senza rompere temporaneamente uno o più legami. - isomeri geometrici o cis trans: i differiscono per la disposizione dei gruppi sostituenti rispetto al doppio legame intorno al quale non è possibile alcuna rotazione → cis = “dalla stessa parte”: i gruppi sono dalla stessa parte rispetto al doppio legame; trans = “all’opposto”: i gruppi sono dalla parte opposta rispetto al doppio legame - isomeri configurazionali: quattro sostituenti diversi legati allo stesso atomo di carbonio tetraedrico possono essere disposti nello spazio in due modi, cioè hanno due configurazioni. Siamo così in presenza di due stereoisomeri con proprietà molto simili o identiche, ma con diverse caratteristiche fisiche e biologiche. Un atomo di carbonio con quattro sostituenti diversi è asimmetrico e viene detto centro chirale. Alcuni stereoisomeri sono immagini speculari l’uno dell’altro; essi sono chiamati enantiomeri. Le coppie di stereoisomeri che non sono immagini speculari l’uno dell’altro sono chiamate diastereoisomeri. CONFORMAZIONE È diversa dalla configurazione. Essa rappresenta la disposizione spaziale che i gruppi funzionali sono liberi di assumere grazie alla libertà di rotazione attorno ai legami singoli senza rompere alcun legame. Due conformazioni di particolare interesse: - sfalsata: è più stabile delle altre e quindi è la forma predominante; - eclissata: è meno stabile. DIMENSIONE DELLE BIOMOLECOLE Massa: 1 Dalton = unità di massa atomica (u) = 1/12 della massa dell’atomo di 12C 1u= ≈1,66054 × 10−27 Kg 1 kD = 1000 D (kD per le macromolecole). La massa molecolare può essere calcolata come la somma delle masse atomiche di tutti gli elementi costituenti la molecola. Grandezza: nanometri: 1 nm: 10-9 metri oppure 10 Å GERARCHIA MOLECOLARE - Precursori inorganici (CO2); < 70 Daltons - Metaboliti (piruvato); 50-250 Daltons - Unità monomeriche (nucleotidi, aminoacidi, zuccheri); 100-350 Dalton - Macromolecole (DNA, proteine, cellulosa); 10-103 kDalton - Complessi sopramolecolari (cromatina, mb plasmatica, parete cellulare); 103-106 kDalton - Organelli (mitocondri); - Cellula - Organismo LEGAMI CHIMICI Legami covalenti: determinano la sequenza lineare. Interazioni non covalenti o deboli: determinano il ripiegamento spaziale. Sono: interazioni ioniche(elettrostatiche): legami relativamente deboli e reversibili, molto dipendenti dall’ambiente (più deboli in acqua che in un ambiente organico) in acqua D = 80 F/m 4-7 kJ/mole in cicloesano D = 4 F/m > 200 kJ/mole D(ε)= costante dielettrica del mezzo legame idrogeno: c’è la condivisione di un protone fra due gruppi chimici (proton donatore e proton accettore). - Donatore: un atomo elettronegativo con un protone legato - Accettore: un atomo elettronegativo con coppia di elettroni liberi Legami deboli ~ 12-30 kJ/mole, altamente dipendenti dalla distanza e direzione. Struttura dell’acqua: ogni atomo di idrogeno di una molecola di acqua condivide una coppia di elettroni con l’atomo di ossigeno. Il nucleo dell’ossigeno attrae elettroni molto più fortemente del nucleo dell’idrogeno (cioè di un protone); ciò significa che l’ossigeno è più elettronegativo. La distribuzione degli elettroni in compartecipazione tra H e O non è quindi simmetrica: gli elettroni si vengono a trovare molto più spesso nelle vicinanze dell’atomo di ossigeno che di quello dell’idrogeno. Il risultato di questa distribuzione ineguale degli elettroni è la formazione di due dipoli elettrici nella molecola dell’acqua, uno lungo ciascuno dei legami H–0: ogni atomo di idrogeno porta una parziale carica positiva (δ+) e l’atomo di ossigeno ha quindi una parziale carica negativa uguale alla somma di due cariche parziali positive (2δ- ). Si viene così a generare un’attrazione elettrostatica tra l’atomo di ossigeno di una molecola d’acqua e l’atomo di idrogeno di un’altra (Figura 2.1b) detta legame idrogeno. L’acqua forma legami idrogeno con soluti polari. forze di Van der Waals: Quando due atomi privi di carica vengono molto avvicinati l’uno all’altro, le loro nuvole elettroniche si influenzano vicendevolmente. Le variazioni casuali della posizione degli elettroni intorno a un nucleo possono creare un dipolo elettrico transitorio, che induce la formazione di un altro dipolo elettrico transitorio, ma opposto. I due dipoli si attraggono debolmente l’un l’altro, avvicinando ancora i due nuclei. Queste deboli attrazioni sono chiamate interazioni di van der Waals. Ogni atomo ha un suo caratteristico raggio di van der Waals, che è una misura di quanto l’atomo permette ad un altro atomo di avvicinarsi, è la distanza minima alla quale un altro atomo può avvicinarsi (oltre questa distanza energia repulsiva aumenta rapidamente) → le interazioni di van der Waals danno luogo al concetto di ingombro sterico: Le forze di van der Waals sono forze di energia inferiore rispetto alle precedenti e si dividono in: - interazione dipolo-dipolo - interazione dipolo-dipolo indotto - dipolo istantaneo-dipolo indotto interazioni idrofobiche (effetto idrofobico): quando all’acqua viene aggiunto benzene o esano, si formano due fasi: nessuno dei due liquidi è solubile nell’altro. Composti non polari, come il benzene e l’esano, sono idrofobici. L’aggiunta di composti idrofobici all’acqua produce una diminuzione di entropia, che può essere misurata. Le molecole d’acqua nelle immediate vicinanze di un soluto non polare sono costrette ad assumere un orientamento abbastanza preciso, formando una struttura che circonda ciascuna molecola di soluto. L’energia libera per sciogliere un soluto non polare in acqua è quindi sfavorevole. I composti anfipatici contengono nella loro molecola regioni polari (o cariche) e regioni non polari. Quando un composto anfipatico viene mescolato all’acqua, la regione polare idrofilica interagisce favorevolmente con l’acqua e tende a dissolversi, mentre la regione non polare, idrofobica, evita il contatto con l’acqua. Le regioni non polari della molecola si raggruppano in modo da presentare al solvente acquoso la minore area superficiale possibile e le regioni polari si dispongono in modo da rendere ottimali le loro interazioni con l’acqua. Le strutture stabili che assumono i composti anfipatici in acqua sono chiamate micelle. I legami che tengono unite le regioni non polari delle molecole vengono detti interazioni idrofobiche.. Le interazioni idrofobiche dipendono dal raggiungimento di una maggiore stabilità del sistema, ottenuto minimizzando la superficie delle molecole idrofobiche esposte all’acqua. Le molecole non polari tendono ad associarsi tra loro liberando molecole d’acqua. Le membrane biologiche si formano per effetto idrofobico. RICONOSCIMENTO MOLECOLARE La complementarietà strutturale è lo strumento di riconoscimento delle molecole, permette di ottenere interazioni molto specifiche. Sono mediate da una moltitudine di interazioni deboli, non covalenti che rendono complessivamente il legame forte ma allo stesso tempo reversibile. Se la molecola è piccola: ligando. Modello a chiave e serratura. INTERVALLO DI CONDIZIONI AMBIENTALI Le macromolecole biologiche sono funzionalmente attive solo in un ristretto intervallo di condizioni fisiche. Sono soggette alla perdita della struttura (funzione) per denaturazione. Le cellule non tollerano reazioni in cui sono rilasciate elevate quantità di energia. METABOLISMO ED ENTROPIA L’entropia non è solo uno stato di energia ma anche di materia. Gli organismi aerobici estraggono energia libera dal glucosio che ottengono dai loro ambienti circostanti ossidandolo con l’O2, anch’esso ricevuto dall’ambiente. I prodotti finali di questo metabolismo ossidativo, CO2 e H2O vengono restituiti all’ambiente. In questo processo l’ambiente subisce un aumento di entropia, mentre l’organismo in se stesso rimane in uno stato stazionario e non va incontro a cambiamenti nell’ordine interno. Anche se un aumento dell’entropia si origina spesso dalla dissipazione del calore, esso può anche derivare da un altro tipo di disordine, rappresentato dalla reazione di ossidazione del glucosio: C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O ENZIMI La velocità delle reazioni (bio)chimiche è un fattore importante. Le condizioni ambientali restrittive rendono indispensabili dei catalizzatori biologici detti enzimi. Essi: 1) Accelerano le reazioni 2) Rendono le reazioni specifiche. 3) La loro attività è regolata siccome le reazioni devono essere regolate affinché il metabolismo proceda armoniosamente. Gli enzimi non hanno influenza sui cambiamenti energetici e quindi sulla direzione delle reazioni. PRINCIPI DELLA LOGICA MOLECOLARE DELLA VITA La cellula è un sistema di molecole in grado di autoassemblarsi e di autoperpetuarsi, che estrae energia e materiali grezzi dal suo ambiente. Le trasformazioni chimiche che avvengono all’interno di una cellula sono dovute ad una grande varietà di molecole, molte delle quali hanno un contenuto informazionale codificato in forma lineare. La funzione delle macromolecole è dovuta alla loro struttura tridimensionale che è stabilizzata da molte interazioni deboli che agiscono in maniera cooperativa, ma al tempo stesso consentono una sufficiente flessibilità necessaria per le loro funzioni biologiche. Tutti gli organismi sono estremamente simili a livello cellulare e molecolare, producendo una serie di principi organizzativi validi per tutte le forme di vita. Questi principi nel loro insieme vanno sotto il nome di logica molecolare della vita. La biochimica descrive in termini molecolari le strutture, i meccanismi ed i processi chimici comuni a tutti gli organismi e si occupa di comprendere come migliaia di biomolecole differenti interagiscono tra loro per conferire le proprietà uniche dei sistemi viventi. PROTEINE Macromolecole più abbondanti e varie delle cellule Sbalorditiva diversità, dimensioni diverse Ruolo primario nelle cellule e nell’organismo → termine deriva da pròteios = primario (Mulder 1839) Funzioni: catalisi, struttura-sostegno, trasporto, immagazzinamento, movimento, segnale, difesa,regolazione, etc. Tutte le proteine sono catene lineari costituite da unità monomeriche formate sempre dagli stessi 20 aminoacidi legate covalentemente. GLI AMINOACIDI STRUTTURA Tutti i 20 amminoacidi presenti nelle proteine sono α-amminoacidi. Hanno un gruppo carbossilico e un gruppo amminico legati allo stesso atomo di carbonio (il carbonio α) e differiscono l’uno dall’altro per la catena laterale, o gruppo R, che si differenzia per struttura, dimensioni e carica e quindi influenza anche la solubilità dell’amminoacido nell’acqua. In tutti i comuni amminoacidi, eccettuata la glicina, il carbonio alfa è legato a quattro gruppi differenti: un gruppo carbossilico, un gruppo amminico, un gruppo R, e un atomo di idrogeno (nella glicina il gruppo R è un altro atomo di H). Il carbonio alfa è dunque un centro chirale, perché lega 4 sostituenti diversi. ENANTIOMERI E SISTEMA D, L Per ogni amminoacido sono possibili due stereoisomeri in quanto i 4 sostituenti possono disporsi nello spazio in 2 modi differenti.Questi due possibili modi, essendo immagini speculari l’una dell’altra, rappresentano una classe di stereoisomeri detti enantiomeri. La configurazione assoluta di zuccheri e amminoacidi semplici viene stabilita con il sistema D, L, basato sulla configurazione assoluta dello zucchero a tre atomi di carbonio gliceraldeide, una convenzione proposta da Emil Fischer: per tutti i composti chirali, gli stereoisomeri che hanno configurazioni correlate alla L-gliceraldeide (gruppo OH a sx) sono designati con la lettera L ; gli stereoisomeri correlati alla D-gliceraldeide (gruppo OH a dx) sono indicati con la lettera D. Nella convenzione di Fischer L e D si riferiscono soltanto alla configurazione assoluta dei quattro sostituenti attorno a un carbonio chirale e non alle proprietà ottiche della molecola. Tutti gli amminoacidi delle proteine hanno la configurazione assoluta L. Gli amminoacidi della serie D, invece, sono presenti solo in pochi peptidi. Nelle formule in prospettiva (b) i legami cuneiformi solidi si proiettano sopra II piano del foglio, mentre i legami indicati da un cuneo tratteggiato puntano sotto il piano del foglio. Nelle formule di proiezione (c) si assume che i legami orizzontali si proiettino sopra II piano, quelli verticali sotto il piano del foglio. STATI DI IONIZZAZIONE DEGLI AMINOACIDI Gli alfa-amminoacidi contengono sia un gruppo acido (il gruppo carbossilico COOH) sia un gruppo basico (il gruppo amminico NH3+). I gruppi amminici e i gruppi carbossilici degli amminoacidi, assieme ai gruppi R ionizzabili di alcuni di essi, agiscono da acidi e basi deboli, rendendo gli amminoacidi sostanze anfotere (= sostanze che si comportano sia da acido che da base). Forma dipolare: quando un amminoacido che non possiede un gruppo R ionizzabile viene sciolto in acqua a pH neutro, esso esiste in soluzione sotto forma di ione dipolare, o zwitterione (dal tedesco, “ione ibrido”), e può comportarsi come acido o come base. Forma protonata (cationica): quando è completamente protonato, un semplice alfa-amminoacido monoammino monocarbossilico, è un aminoacido diprotico in quanto possiede due gruppi funzionali che possono cedere protoni: il gruppo COOH e il gruppo NH3+. Forma deprotonata (anionica): quando un alfa-amminoacido è deprotonato, significa che il gruppo amminico e il gruppo carbossilico hanno ceduto entrambi protoni e sono diventati rispettivamente NH2 e COO-. Sette amminoacidi hanno catene laterali ionizzabili: Lo stato di ionizzazione cambia con il pH. In particolare, per pH molto acidi prevale la forma protonata mentre per pH molto basici prevale la forma anionica. Esiste un pH al quale l’amminoacido è presente in forma di ione dipolare (zwitterione), ovvero presenta una carica netta pari a zero che si ottiene quando la carica negativa del gruppo carbossilico e la carica positiva del gruppo amminico si equivalgono. Questo valore di pH, caratteristico per ciascun amminoacido, si chiama punto isoelettrico o pH isoelettrico e si indica con pI. Per la glicina, che non ha gruppi ionizzabili, il punto isoelettrico è semplicemente la media aritmetica dei due valori di pKa: pI = 1/2 (pKi + PKz) = 1/2 (2,34 + 9,60) = 5,97 Se in una soluzione di un amminoacido si introduce un campo elettrico formato da due elettrodi aventi una differenza di potenziale elettrico, l’amminoacido migra all’anodo (polo positivo) se prevale la forma cationica; migra al catodo (polo negativo) se prevale la forma anionica. Più il pH di una soluzione di un amminoacido è lontano dal suo punto isoelettrico, maggiore sarà la carica netta della popolazione delle molecole di un amminoacido. Quindi, come definizione, il punto isoelettrico è il pH al quale un amminoacido è presente prevalentemente in forma di ione dipolare (zwitterione, carica netta uguale a 0). CLASSIFICAZIONE DEGLI L-AMINOACIDI Si possono formare 4 gruppi di L amminoacidi in base alla polarità e alla carica dei gruppi R: Amminoacidi con gruppi R alifatici, non polari: i gruppi R di questa classe di amminoacidi sono non polari e quindi idrofobici. Questa classe comprende: alanina, valina, leucina, isoleucina, glicina, metionina, prolina. Le catene laterali di alanina, valina, leucina e isoleucina tendono a raggrupparsi all’interno delle proteine, tramite interazioni idrofobiche. La glicina ha la struttura più semplice ed anche se si raggruppa più facilmente con gli amminoacidi non polari la sua minuscola catena laterale non contribuisce alla formazione di interazioni idrofobiche. La metionina, uno dei due amminoacidi contenenti zolfo, ha un gruppo tioetere non polare nella sua catena laterale. La prolina ha una catena laterale alifatica con una caratteristica struttura ciclica. Amminoacidi con gruppi R aromatici: i tre amminoacidi fenilalanina, tirosina e triptofano, con le loro catene laterali aromatiche, sono relativamente non polari (idrofobici). Tutti e tre possono intervenire nelle interazioni idrofobiche. Amminoacidi con gruppi R polari, non carichi: i gruppi R di questi amminoacidi sono molto più solubili in acqua, o più idrofilici, di quelli degli amminoacidi non polari perché contengono gruppi funzionali che formano legami idrogeno con l’acqua. Questa classe comprende: serina, treonina, cisteina, asparagina e glutammina. La polarità è dovuta: - per serina e treonina al loro gruppo ossidrilico - per la cisteina al gruppo sulfidrilico (contiene zolfo) che è un acido debole per cui può formare legami idrogeno deboli con l’ossigeno e con l’azoto - per asparagina e glutammina ai loro gruppi ammidici. L’asparagina e la glutammina sono ammidi di altri due amminoacidi presenti nelle proteine, l’aspartato e il glutammato, rispettivamente. Amminoacidi con gruppi R carichi: i gruppi R più idrofilici sono quelli che contengono cariche nette sia positive sia negative. ○ R carichi positivamente (basici): gli amminoacidi che hanno una catena laterale con una carica netta positiva a pH 7,0 sono: - lisina: ha un secondo gruppo amminico primario nella posizione - arginina: ha un gruppo guanidinico carico positivamente - istidina: contiene un gruppo imidazolico aromatico; l’istidina è il solo amminoacido delle proteine ad avere una catena laterale ionizzabile con un pKa vicino alla neutralità ○ R carichi negativamente (acidi): gli amminoacidi che hanno gruppi R con una carica negativa netta a pH 7,0 sono aspartato e glutammato, ognuno dei quali ha un secondo gruppo carbossilico. PEPTIDI LEGAME PEPTIDICO Due molecole di amminoacidi possono unirsi covalentemente mediante un legame ammidico, chiamato legame peptidico, formando un dipeptide. Questo tipo di legame si genera per eliminazione di una molecola di H2O (deidratazione) formata dall’ossidrile (OH) del gruppo alfa-carbossilico di un amminoacido e da un H del gruppo alfa-amminico dell’altro: La formazione del legame peptidico è un esempio di una reazione di condensazione. Tre amminoacidi possono essere uniti tra loro da due legami peptidici, formando un tripeptide; quattro amminoacidi generano un tetrapeptide, cinque un pentapeptide e così via. Quando il numero degli amminoacidi è relativamente piccolo la struttura viene detta oligopeptide; se gli amminoacidi sono invece tanti, il prodotto viene chiamato polipeptide. Attenzione: i polipeptidi hanno in genere masse molecolari inferiori a 10.000, mentre le proteine hanno pesi molecolari più alti. RESIDUI, N-TERMINALE E C-TERMINALE Le unità amminoacidiche presenti in un peptide sono chiamate residui. Ogni residuo è un amminoacido che ha perso un protone dal suo gruppo amminico e un ossidrile dal suo gruppo carbossilico. In un peptide, il residuo amminoacidico con cui termina la catena polipeptidica, il residuo amminoterminale (N-terminale), ha il gruppo alfa-amminico libero; il residuo all’altra estremità è il residuo carbossiterminale (C-terminale) che ha un gruppo alfa-carbossilico libero. I peptldl vengono denominati a partire dal residuo amminoterminale, che per convenzione viene posto a sinistra. Esempio: Il pentapeptlde serilgliclltirosilalanilleucina, o Ser-Gly-Tyr-Ala-Leu, o SGYAL. I legami peptidici sono ombreggiati in giallo e i gruppi R colorati In rosso. DIMENSIONI E COMPOSIZIONE DI PEPTIDI E POLIPEPTIDI I peptidi naturali hanno dimensioni che vanno da due a molte migliaia di residui. Anche i peptidi più piccoli possono avere importanti effetti biologici. Quanto sono lunghe le catene polipeptidiche delle proteine? Il Citocromo c umano contiene 104 residui in una singola catena, il chimotripsinogeno bovino ne ha 245, la titina, un costituente del muscolo dei vertebrati, ne possiede circa 27 000. Però la grande maggioranza delle catene polipeptidiche in natura contiene in genere meno di 2000 residui amminoacidici. Alcune proteine sono costituite da una singola catena polipeptidica, mentre altre, chiamate proteine multisubunità, hanno due o più polipeptidi associati non covalentemente. Le catene polipeptidiche presenti in una proteina multisubunità possono essere identiche o diverse tra loro. Se almeno due sono identiche, la proteina viene detta oligomerica e le unità identiche (che possono essere costituite da una o più catene polipeptidiche) sono chiamate protomeri. Molte proteine contengono solo amminoacidi e nessun altro gruppo chimico. Altre contengono, oltre agli amminoacidi, gruppi chimici addizionali permanentemente associati e sono chiamate proteine coniugate. La parte non amminoacidica della proteina coniugata è di solito detta gruppo prostetico. Queste proteine sono classificate in base alla natura del loro gruppo prostetico: le lipoproteine contengono lipidi, le glicoproteine contengono gruppi saccaridici e le metalloproteine contengono uno specifico metallo. STRUTTURA DELLE PROTEINE STRUTTURA PRIMARIA È costituita da tutti i legami covalenti (principalmente i legami peptidici e i legami disolfuro) che legano tra loro i vari amminoacidi di una catena polipeptidica. L’elemento principale della struttura primaria di una proteina è la sequenza degli amminoacidi che la compongono. Ogni proteina ha una propria sequenza amminoacidica che ne determina anche struttura e funzione. Per cui, piccole differenze nella struttura primaria implicano funzioni biologiche completamente diverse. Ad esempio, ossitocina e vasopressina sono due oligopeptidi con struttura molto simile e funzioni biologiche ed usi molto differenti: - ossitocina: causa la contrazione dell’utero, la produzione del latte dalle ghiandole mammarie e viene somministrato per indurre il parto - vasopressina: regola il riassorbimento di acqua dalle urine e viene somministrato nel trattamento del diabete insipido (eccesso di produzione di urine) Altro esempio è quello dell’anemia falciforme. L’emoglobina contiene 4 subunità polipeptidiche: due catene α di 141 aa e due catene ß di 146 aa, unite da interazioni non covalenti. Nei malati di anemia falciforme un residuo di acido glutammico (polare) nella catena β è sostituito da un residuo di valina (apolare) a causa di un errore genetico. Emoglobina normale....Val-His-Leu-Thr-Pro-Glu-Gly-Lys… Emoglobina anormale....Val-His-Leu-Thr-Pro-Val-Gly-Lys… Evoluzione degli organismi. L’evoluzione degli organismi è legata a mutazioni spontanee che avvengono nei loro geni. Il Citocromo C è una buona proteina per studi evolutivi comparati perché si trova nella catena respiratoria di trasporto degli elettroni di tutti gli organismi. Quando le linee evolutive divergono aumenta il numero di differenze tra le sequenze. Le informazioni sul numero di differenze di residui tra proteine omologhe di specie diverse, permettono la costruzione di mappe evolutive. Sotto sono rappresentate le ramificazioni principali dell'albero filogenetico degli eucarioti costruito in base al numero di differenze amminoacidiche nella sequenza del citocromo c di specie diverse. I numeri indicano le differenze in amminoacidi presenti nel citocromo c tra quella data linea di organismi e il loro progenitore. I punti di ramificazione hanno un progenitore comune. LEGAME PEPTIDICO Il legame peptidico (legame ammidico) è planare, ovvero gli atomi di C, O, N e H giacciono tutti sullo stesso piano, con O e H in posizione trans. Gli atomi di carbonio α dei residui amminoacidici adiacenti sono separati da 3 legami covalenti che si susseguono in questo modo: Cα–C–N–Cα. Alcuni studi hanno dimostrato che il legame peptidico C–N è un po’ più corto del legame C–N delle ammine primarie e che gli atomi che fanno parte del legame peptidico sono complanari. Ciò indica l’esistenza di una risonanza o di una parziale condivisione di 2 coppie di e- tra l’ossigeno carbonilico e l’azoto ammidico. O ha una carica parziale negativa e N una carica parziale positiva per cui si genera un piccolo dipolo elettrico: Quindi, il legame peptidico C–N ha carattere di parziale doppio legame dovuto alla risonanza che impedisce la rotazione attorno al legame stesso. Strutture di risonanza del legame peptidico: Il legame peptidico è meglio rappresentato da un ibrido delle due strutture limite: I legami Cα–C e N–Cα invece possono ruotare descrivendo due angoli diedri: - l’angolo del legame Cα–C è indicato con Φ (phi) - l’angolo del legame N–Cα è indicato con ψ (psi) La rigidità del legame peptidico limita molto il numero delle conformazioni che la catena polipeptidica può assumere. Molti valori degli angoli di torsione Φ e Ψ non sono permessi a causa di impedimenti sterici per la collisione tra gli atomi delle catene laterali e quelli dello scheletro carbonioso. Il grafico di Ramachandran è un metodo di visualizzazione delle combinazioni degli angoli diedri Ψ (psi) e Φ (phi) dei residui amminoacidici ammesse all'interno di una struttura polipeptidica e ne identifica quindi tutte le conformazioni assumibili. In ordinata sono riportati i valori di Ψ ed in ascissa i valori di Φ. STRUTTURA SECONDARIA La struttura secondaria si riferisce ad un segmento polipeptidico della proteina e descrive l’organizzazione spaziale della catena principale, senza tenere conto della conformazione delle catene laterali o della relazione con altri segmenti della proteina. Una struttura secondaria regolare si ha quando ogni angolo diedro Φ e Ψ rimane invariato all’interno di un segmento. Solo poche strutture secondarie hanno una certa stabilità e possono così intervenire regolarmente in molte proteine. Le principali sono l’α elica e la configurazione ß; abbastanza comune è anche il ripiegamento ß. Se non è possibile individuare una struttura regolare, la struttura viene definita casuale. α elica È la più semplice organizzazione regolare che una catena polipeptidica può assumere. È una struttura elicoidale con senso di avvitamento destrorso in cui lo scheletro carbonioso polipeptidico si avvolge strettamente attorno ad un asse immaginario che attraversa longitudinalmente la parte centrale della spirale, mentre i gruppi R dei residui amminoacidici sporgono al di fuori dello scheletro elicoidale. L’unità che si ripete è un singolo giro dell’elica che si estende per circa 5,4 Å lungo l’asse maggiore; ogni giro dell’elica contiene 3,6 residui. Alcuni aminoacidi si trovano più frequentemente impegnati nella conformazioni ad alfa-elica che altri (non la prolina, raramente la glicina). Ad esempio, l’α elica è la struttura predominante delle α-cheratine. Sono possibili altri tipi di elica, come l'alfa elica sinistrorsa, ma sono strutture più rare. Il contenuto dell’α-elica varia. Circa il 25% di tutti i residui amminoacidici delle proteine si trova in strutture ad α-elica. La struttura è stabilizzata da legami idrogeno che si formano tra l’atomo di idrogeno legato all’azoto di un legame peptidico e l’atomo di ossigeno carbonilico del quarto amminoacido successivo nella direzione dell’N-terminale. Ciascun legame peptidico dell’elica partecipa alla formazione di legami idrogeno. Conformazione ß Nella conformazione ß, lo scheletro della catena polipeptidica si estende in una conformazione a zig-zag, invece che in una conformazione a spirale. Due o più catene polipeptidiche a zig-zag possono essere disposte l'una accanto all’altra, formando delle strutture che presentano una serie di pieghettature dette foglietti ß. Nei foglietti β I gruppi R sporgono al di fuori della struttura alternativamente sopra e sotto il piano del foglio pieghettato. I legami idrogeno si formano tra regioni adiacenti delle catene polipeptidiche. Le catene polipeptidiche adiacenti di un foglietto ß possono essere: - parallele: le catene polipeptidiche hanno lo stesso orientamento; il periodo che si ripete è più corto: 6,5 Å - antiparallele: le catene polipeptidiche hanno orientamento inverso alternato; periodo che si ripete di 7Å Non tutti i tipi di amminoacidi possono far parte di un foglietto ß. Quando due o più foglietti ß si trovano sovrapposti l’uno sull’altro in una proteina, i gruppi R dei residui amminoacidici delle superfici di contatto devono essere relativamente piccoli. Ripiegamenti ß Nelle proteine globulari, che hanno una struttura ripiegata compatta, quasi un terzo dei residui amminoacidici si trova in ripiegamenti o anse, dove la catena polipeptidica inverte la sua direzione. Questi ripiegamenti collegano tratti successivi in α eliche o in conformazioni ß. In particolare, i ripiegamenti ß collegano le estremità di 2 segmenti adiacenti di un foglietto ß antiparallelo. La struttura consiste di un ripiegamento a 180° di una sequenza di quattro residui, dove il gruppo carbonilico del primo residuo forma un legame idrogeno con l’idrogeno legato all’azoto del quarto. I ripiegamenti di tipo I e tipo II sono i più comuni. Il tipo I ha una frequenza nelle proteine circa doppia rispetto al tipo II. Il ripiegamento di tipo II ha sempre un residuo di Gly alla terza posizione. ➡ Gli amminoacidi hanno diverse tendenze a formare α-eliche, foglietti β o ripiegamenti. ➡ Alcune strutture secondarie possono essere presenti in combinazioni dette motivi o strutture supersecondarie. Un motivo è costituito da un avvolgimento polipeptidico caratteristico, perciò ben riconoscibile, formato da due o più elementi di struttura secondaria e dagli elementi di connessione. Con il termine “motivo” si intendono tutti i ripiegamenti ricorrenti in proteine diverse. Il motivo non è stabile se isolato dal contesto della proteina. ➡ Più motivi possono associarsi a formare dei domini, unità distinte di una stessa proteina. Hanno struttura riconoscibile e sono in genere associati a particolari funzioni. STRUTTURA TERZIARIA La struttura terziaria è definita come la disposizione nello spazio di tutti gli atomi di una proteina. La struttura terziaria tiene conto delle relazioni a lungo raggio esistenti tra residui amminoacidici lontani tra loro nella sequenza lineare e la disposizione dei ponti S-S. A questo punto diventa utile classificare le proteine in due gruppi principali, che differiscono per struttura e funzione: - proteine fibrose: hanno catene polipeptidiche disposte in lunghi fasci o in foglietti. Struttura: sono costituite in gran parte da un unico tipo di struttura secondaria e la struttura terziaria è relativamente semplice. Funzione: determinano la resistenza e/o l’elasticità, la forma e la protezione esterna delle cellule dei vertebrati. Tutte le proteine fibrose sono insolubili in acqua - proteine globulari: hanno catene polipeptidiche ripiegate e assumono forme globulari o sferiche. Struttura: contengono più tipi di struttura secondaria. Funzione: costituiscono la maggior parte di enzimi e proteine regolatrici ma anche proteine di trasporto e immunoglobuline. - proteine di membrana Denaturazione e rinaturazione delle proteine Le proteine si sono evolute per svolgere la loro funzione nelle particolari condizioni ambientali della cellula. In ambienti diversi esse possono andare incontro a variazioni strutturali, anche di notevole entità. La perdita della struttura tridimensionale è detta denaturazione. Che la struttura terziaria di una proteina globulare sia determinata dalla sua sequenza amminoacidica è suggerito dal fatto che la denaturazione delle proteine è un processo reversibile. Questo processo è chiamato rinaturazione. Un classico esempio di denaturazione e rinaturazione è l’esperimento condotto da Christian Anfinsen negli anni ’50 sulla ribonucleasi A: 1. La struttura della ribonucleasi A veniva distrutta dal trattamento con urea (rompe le interazioni idrofobiche che stabilizzano la proteina) e l’agente riducente β-mercaptoetanolo (2ME) (spezza i quattro ponti disolfuro, producendo otto residui di cisteina). 2. La proteina veniva così completamente srotolata, un processo che si accompagnava alla perdita della sua attività catalitica. 3. Se l’urea e l’agente riducente venivano rimossi per dialisi, la ribonucleasi denaturata, che possedeva una struttura casuale, si riavvolgeva spontaneamente, riacquistando la sua struttura terziaria e la sua attività catalitica. Il riavvolgimento della ribonucleasi è molto accurato, e nella ribonucleasi rinaturata i quattro ponti disolfuro intracatena si riformano nelle stesse posizioni presenti nella ribonucleasi nativa. L’esperimento di Anfinsen dimostrò che la sequenza degli amminoacidi di un polipeptide contiene tutte le informazioni necessarie per avvolgere la catena nella sua struttura tridimensionale, corrispondente al suo stato nativo. Il ripiegamento che porta alla struttura terziaria Il ripiegamento di una catena polipeptidica molto lunga è senz’altro un processo complicato e i principi su cui si basa non sono stati chiariti. Esistono però alcuni modelli plausibili. In uno di essi il processo di ripiegamento ha carattere gerarchico. 1. Prima si formano strutture secondarie: alcune sequenze amminoacidiche si ripiegano spontaneamente in α eliche o foglietti β. 2. L’organizzazione di strutture locali è seguita da interazioni ad ampio raggio, per esempio tra due α eliche che vengono ad avvicinarsi per formare strutture supersecondarie stabili. 3. Questo processo continua fino a che non si formano domini completi e l’intero peptide assume la sua forma nativa. Non tutte le proteine si avvolgono spontaneamente dopo la loro sintesi nella cellula. L’avvolgimento di molte proteine richiede la presenza di chaperoni molecolari, proteine che interagiscono con polipeptidi ripiegati parzialmente o ripiegati in modo improprio, facilitando il compito del processo o fornendo un microambiente in cui l'avvolgimento avviene correttamente. Questi chaperoni molecolari “proteggono” le nuove molecole polipeptidiche non ancora ripiegate impedendo il ripiegamento di proteine che devono rimanere non ripiegate fino a che non sono state trasferite attraverso la membrana oppure facilitando l’organizzazione in strutture quaternarie delle proteine oligomeriche. STRUTTURA QUATERNARIA Alcune proteine contengono due o più catene polipeptidiche distinte, o subunità, che possono essere identiche o diverse. La disposizione di queste subunità in complessi tridimensionali prende il nome di struttura quaternaria. Una proteina costituita da più subunità viene anche denominata multimero. Un multimero costituito da poche subunità viene spesso definito oligomero. L’unità strutturale ripetitiva di una proteina multimerica, sia essa una subunità singola o un gruppo di subunità, viene detta protomero. La prima proteina oligomerica di cui è stata determinata la struttura tridimensionale è l’emoglobina, che è è formata da due catene α (ciascuna di 141 residui) e due catene β (ciascuna di 146 residui). Le subunità dell’emoglobina si dispongono simmetricamente in due coppie, quindi l’emoglobina può essere considerata o come un tetramero oppure come un dimero formato da due protomeri αβ. PROTEINE FIBROSE E GLOBULARI - proteine fibrose: hanno catene polipeptidiche disposte in lunghi fasci o in foglietti. Struttura: sono costituite in gran parte da un unico tipo di struttura secondaria e la struttura terziaria è relativamente semplice. Funzione: determinano la resistenza e/o l’elasticità, la forma e la protezione esterna delle cellule dei vertebrati. Tutte le proteine fibrose sono insolubili in acqua - proteine globulari: hanno catene polipeptidiche ripiegate e assumono forme globulari o sferiche. Struttura: contengono più tipi di struttura secondaria. Funzione: costituiscono la maggior parte di enzimi e proteine regolatrici ma anche proteine di trasporto e immunoglobuline. FIBROSE Sono costituite prevalentemente da un unico tipo di struttura secondaria e la struttura terziaria è relativamente semplice. Presentano catene polipeptidiche disposte in lunghi fasci o foglietti. Struttura estremamente ordinata. Conferiscono resistenza e/o elasticità alla struttura di cui fanno parte, oltre ad avere funzione di protezione e sostegno: - protezione: pelle, piume, capelli, corna, unghie, squame - sostegno: cartilagine, tendini, ossa Sono quindi proteine adatte a ruoli strutturali. Rappresentano fino a 1/3 del peso in proteine dei vertebrati. Tutte le proteine fibrose sono insolubili in acqua, una caratteristica che dipende dalla presenza di elevate concentrazioni di amminoacidi idrofobici sia all’interno sia sulla superficie della proteina. α-cheratina Le α-cheratine si sono evolute con una struttura adatta a resistere alla tensione. Si trovano solo nei mammiferi dove rappresentano la quasi totalità del peso secco di: capelli, lana, penne, unghie, artigli, corna, zoccoli e strati esterni della pelle. Forma α-eliche destrorse (300 residui) con ripetizioni di sette residui ed un aa idrofobico circa ogni quattro residui per cui ogni elica ha una porzione idrofobica lungo un lato. Due catene di α-cheratina con la stessa direzionalità (con gli amminoacidi amminoterminali alla stessa estremità) si avvolgono l'una sull’altra per formare un superavvolgimento sinistrorso (coiled coil) producendo dimeri. Le superfici dove le due eliche si toccano nella struttura avvolta sono le porzioni idrofobiche. L’unità di dimero superavvolto può formare protofilamenti che formano protofibrille che formano filamenti (10 nm). Un capello è un aggregato di molti filamenti di α-cheratina. Struttura del capello: L’α-cheratina è variabilmente flessibile, a seconda del contenuto di S e della presenza di ponti disolfuro (maggiori nelle unghie e nelle corna, minori nei capelli). Collagene Principale componente fibroso della pelle, delle ossa, dei tendini e delle cartilagini. Proteina più abbondante. Si è evoluto per resistere alle tensioni. La subunità base del collagene è un’elica sinistrorsa con 3 residui amminoacidici per giro. Attenzione: non è un α elica e non ha legami H. La tipica sequenza amminoacidica, lunga anche 1.000 residui, è costituita da un’unità tripeptidica ripetuta, Gly-X-Pro/4-Hyp (4-Hyp: 4-idrossiprolina, un amminoacido non standard). I residui di gly sono indispensabili per formare un’elica molto compatta. Il collageno è un coiled coil, ma con caratteristica struttura terziaria e quaternaria: tre catene polipeptidiche separate, dette catene α (da non confondere con le α eliche), si avvolgono le une sulle altre a formare un superavvolgimento destrorso. Le tre catene sono stabilizzate da legami H intercatena che coinvolgono residui di glicina, presenti nei punti centrali di contatto delle tre eliche, e di idrossiprolina. Il collagene è una glicoproteina. Gruppi di molecole di collagene (triple eliche) sono impilate e unite da legami crociati che aumentano la resistenza. I legami crociati conferiscono al collageno resistenza meccanica, resistenza alla trazione ed elevata stabilità chimica. Quantità e tipo di legami crociati variano con il tipo e l’età del tessuto. Fibroina È il costituente principale della seta e della tela di ragno. Le sue catene polipeptidiche si trovano quasi esclusivamente nella conformazione β. La fibroina è ricca di residui di Ala e Gly, che permettono di avvicinare molto le catene tra loro e di formare un foglietto β compatto in quanto le catene laterali R si integrano perfettamente. La struttura complessiva è stabilizzata da molti legami idrogeno tra i gruppi peptidici nelle catene polipeptidiche impegnate nel foglietto β e dall’ottimizzazione delle interazioni di van der Waals tra foglietti differenti. La Fibroina è: - flessibile perché le lamine sovrapposte sono unite tra loro da interazioni di Van der Waals fra le catene laterali; - resistente a causa dei legami H tra le catene adiacenti di ogni lamina e per l'effetto globale delle forze di Van der Waals tra catene sovrapposte. GLOBULARI Esistono in una enorme varietà strutturale. Quasi tutte hanno parti in α-elica o in conformazione-β. Il loro ripiegamento è complesso e privo di simmetria. I tratti di congiunzione (ripiegamenti e loop) sono brevi e generalmente sulla superficie della struttura. Le catene laterali dei residui apolari (idrofobici) si raggruppano all’interno della struttura, le catene laterali dei residui polari (idrofilici) restano sulla superficie. I gruppi CO e NH non impegnati in legami H, hanno preferenza per l’acqua. In genere non vi è spazio libero all’interno della struttura. Le proteine globulari presentano: - ponti disolfuro: sia intracatena che intercatena - gruppi prostetici: molecole non proteiche strettamente (a volte covalentemente) legate alla catena polipeptidica. Sono necessarie per svolgere funzioni che non possono essere esercitate dagli amminoacidi. PURIFICAZIONE DELLE PROTEINE Il primo passaggio nello studio delle proprietà di una proteina è la sua purificazione, ovvero la sua estrazione dalla matrice biologica in cui si trova. Le proteine si possono ottenere dal sito di produzione endogena (i tessuti) o mediante tecniche ricombinanti. Il primo passaggio di purificazione consiste nella rottura delle cellule. Le cellule possono essere separate e rotte in vario modo: - enzimaticamente (collagenasi, ialuronidasi, papaina, elastasi, cellulasi, lisozima) - omogeneizzazione meccanica - ultrasuoni - shock osmotico - uso di detergenti (digitonina, igepal, sodio desossicolato, sds) Sono disponibili diversi strumenti per fare ciò: mortai, macinatori, potter, french press, sonicatori. Questi procedimenti rompono molte membrane ma lasciano intatti gli organuli. La lisi cellulare provoca il rilascio delle proteine in una soluzione, chiamata estratto grezzo. Frazionamento Una volta ottenuto l'estratto grezzo, la soluzione viene sottoposta a trattamenti che hanno lo scopo di separare le diverse proteine in frazioni, sfruttando proprietà come la grandezza e la carica, mediante un processo chiamato frazionamento. Le prime tappe del frazionamento delle proteine sfruttano le differenze nella solubilità delle proteine, che dipendono da pH, temperatura, concentrazione salina ed altri fattori. La solubilità generalmente diminuisce in funzione della concentrazione salina, un effetto chiamato “salting out”. L’aggiunta di certi sali nella quantità giusta può selettivamente far precipitare solo alcune proteine, mentre altre rimangono in soluzione (il solfato di ammonio (NH4)SO4 è particolarmente adatto allo scopo). Le proteine così precipitate vengono rimosse da quelle rimaste in soluzione per centrifugazione a bassa velocità. Si eliminano altri tipi di macromolecole solubili (es. acidi nucleici) con enzimi specifici (nucleasi) che li degradano. Si separano le proteine da altre piccole molecole tramite dialisi o ultrafiltrazione. Dialisi: l’estratto parzialmente purificato viene trasferito in un sacchetto o in un tubo costituiti da una membrana semipermeabile che permette selettivamente il passaggio di alcune molecole. Il sacchetto viene immerso in una soluzione tampone appropriata. Si ha così uno scambio dei sali e del tampone tra il sacchetto e la soluzione, ma non delle proteine. La dialisi quindi mantiene le proteine all'interno del sacchetto. Esempio di utilizzo: per rimuovere il solfato d’ammonio da una soluzione di proteine. Separazione delle proteine Vi sono diversi metodi per separare le proteine in una soluzione: 1. Cromatografia È il metodo più adatto alla separazione delle proteine. Questo metodo di separazione sfrutta le proprietà chimico-fisiche delle proteine: - idrofobicità/polarità della superficie - carica - grandezza - interazioni specifiche con ligandi Le molecole da separare sono disciolte in un eluente (fase mobile) che viene fatto percolare attraverso una colonna di vetro riempita di un materiale solido poroso dotato di proprietà chimiche opportune (fase stazionaria). Le molecole che non interagiscono con la fase stazionaria escono con il fronte dell’eluente. Quelle che interagiscono sono rallentate. Più forte è l’interazione, più lento il tempo di transito. La soluzione, diffondendo lungo la colonna, tende a dividersi in zone contenenti proteine diverse. Cromatografia a scambio ionico Sfrutta le differenze nel tipo e nell’intensità della carica elettrica netta delle proteine ad un certo pH. La fase stazionaria nella colonna è un polimero sintetico (resina) contenente gruppi carichi positivamente o negativamente. Le resine possono essere porose o non porose: Devono essere: fisicamente stabili, chimicamente resistenti anche a condizioni stringenti di lavaggio, avere bassi livelli di interazione non-specifica, modificabili per essere specifiche. Capacità: quantità di gruppi carichi o potenzialmente carichi presenti per unità di peso di resina secca. Le resine con gruppi carichi negativamente sono dette scambiatori di cationi e quelle con gruppi carichi positivamente sono dette scambiatori di anioni. La fase mobile è acquosa con concentrazione crescente di sali o pH (gradiente). Le molecole da separare si legano alla fase stazionaria mediante interazioni elettrostatiche. L’affinità di ciascuna proteina per i gruppi carichi della colonna dipende dal pH (da cui dipende la carica della molecola) e dalla concentrazione dei sali presenti nella soluzione. Esempio: Cromatografia ad esclusione molecolare (GPC) La fase stazionaria è un gel polisaccaridico legato ad un supporto inerte. Le proteine si separano in base alla loro grandezza, dalla più grande alla più piccola. Le proteine più piccole entrano nei pori della matrice cromatografica e compiono un tragitto maggiore. Quelle più grandi sono escluse dai pori e passano per gli interstizi fra le particelle della fase stazionaria, eluendo in un tempo inferiore. Cromatografia a fase inversa Inversa rispetto ad una cromatografia in cui la fase stazionaria è polare. Fase stazionaria organica idrofobica composta da catene alchiliche C4-C18. Fase mobile: acqua o un solvente apolare. Peptidi/proteine che entrano nella colonna si legano alla fase stazionaria mediante interazioni idrofobiche. Si staccano progressivamente in base all’aumento di idrofobicità della fase mobile. Cromatografia ad affinità Un supporto (fase stazionaria) è legato covalentemente a un gruppo chimico chiamato ligando (recettore) che è in grado di formare legami specifici con le proteine. Quando si aggiunge alla colonna una miscela di proteine, ogni specie proteica che ha affinità per il ligando si lega al supporto, ritardando la sua migrazione attraverso la colonna. Una volta eliminate le molecole non di interesse, per staccare la proteina di interesse dal supporto si possono usare diversi metodi: - aggiungendo un ligando libero (non legato al supporto) che compete con il ligando legato alla fase stazionaria - modificando il pH - modificando la forza ionica o la polarità È l’unica tecnica che permette la purificazione di biomolecole sulla base della loro funzione biologica o della loro struttura chimica. Immagine sotto: viene aggiunta una miscela di proteine alla colonna e la proteina di interesse si lega al ligando GG legato al supporto. Per staccare e ottenere la proteina di interesse, si aggiunge un ligando libero competitivo GG. 2. Elettroforesi su gel Tecnica di separazione di proteine che sfrutta il movimento di una molecola carica in un campo elettrico. L’elettroforesi delle proteine è di solito effettuata in gel costituiti da polimeri con numerosi legami crociati, come la poliacrilammide. Il gel di poliacrilammide agisce come un setaccio molecolare che rallenta la migrazione delle proteine proporzionalmente al loro rapporto carica/massa molecolare. Nell’elettroforesi, la forza che muove le macromolecole è il potenziale elettrico E. La molecola si muove verso l’elettrodo di segno opposto con una velocità v (mobilità elettroforetica) che è proporzionale all’entità del campo elettrico (E) e della sua carica (q) e inversamente proporzionale all’attrito che incontra nel muoversi (f – coefficiente frizionale) dovuto alla forma e alla dimensione della molecola oltre che dalla viscosità e dal tipo di supporto. La separazione in elettroforesi di una proteina può essere effettuata in base a: - carica - dimensioni - entrambe Elettroforesi denaturante in SDS Per fare in modo che le proteine si separino solo per un principio (dimensione) esse vengono fatte reagire con il detergente anionico denaturante sodio dodecil solfato (SDS). Dodecil indica una catena formata da 12 atomi di carbonio: Questo composto si lega alla maggior parte delle proteine in quantità proporzionali alla massa molecolare della proteina, cioè circa una molecola di SDS ogni due residui amminoacidici. L’SDS legato conferisce una carica netta negativa alla proteina, rendendo insignificante la sua carica intrinseca → tutte le proteine acquisiscono un rapporto massa/carica (q/m) simile e si separeranno solo in base al coefficiente frizionale f (relativo alla massa). Inoltre il legame con l’SDS altera la conformazione originaria delle proteine, che vengono ad assumere tutte una forma simile. Procedimento: 1. Aliquote di differenti campioni vengono depositate nei pozzetti posti in cima al gel di poliacrilammide. Se si applica un campo elettrico, le proteine si muovono all’interno del gel. 2. Alla fine della corsa elettroforetica, le proteine possono essere visualizzate trattando II gel con un colorante come il blu di Coomassie, che si lega alle proteine, ma non al gel. Ciascuna banda sul gel rappresenta una proteina (o subunità proteica) diversa. Nella corsia 1 sono state separate proteine standard a massa molecolare nota. Le proteine marker possono essere usate per valutare il peso molecolare di una proteina sconosciuta (corsia 2). 3. Stima della massa molecolare della proteina: la mobilità delle proteine su gel di poliacrilammide in presenza di SDS è inversamente proporzionale alla alla loro grandezza (Mr). La relazione tra logaritmo di Mr e migrazione elettroforetica è lineare e consente di calcolare il valore del peso molecolare di una proteina sconosciuta da un grafico come quello mostrato. Elettroforesi bidimensionale Si usa il punto isoelettrico (punto in cui a un determinato pH la quantità di carica positiva e negativa si equivalgono) sfruttando un gradiente di pH e distribuendo una miscela di acidi e basi attraverso il cilindro di gel. Quando si applica un campo elettrico, ciascuna proteina presente nella miscela migra fino a quando raggiunge il pH corrispondente al suo pI. Quindi le proteine si separano nel gel in base al pI. A questo punto si esegue un elettroforesi denaturante in SDS sul cilindro di gel, applicando nuovamente un campo elettrico: le proteine questa volta si separano in base alla massa molecolare Mr. L’elettroforesi bidimensionale separa le proteine in base al loro pI e al loro peso molecolare. Permette di separare proteine di identico peso molecolare, ma con differente pI, o proteine con lo stesso pI, ma con differente peso molecolare. 3. Western blot ll Western blot o immunofissazione è una tecnica biochimica che permette di identificare una determinata proteina in una miscela di proteine, mediante il riconoscimento da parte di anticorpi specifici. La procedura può essere suddivisa in 3 passaggi: 1. separazione elettroforetica dei polipeptidi 2. trasferimento di tutte le proteine su una membrana appropriata 3. visualizzazione di specifiche proteine di interesse 4. Spettrometria di massa Consente l’identificazione e l'analisi quantitativa di una molecola dalla determinazione della sua massa. Il principio si basa su fenomeni correlati alla massa e alla carica: A) La traiettoria di uno ione o particella carica in movimento viene modificata per l’azione di un campo magnetico o elettrico, l’entità della deviazione è funzione del rapporto m/c della particella. B) Ioni o particelle cariche, accelerati da un campo elettrico assumono velocità in dipendenza dalle loro masse. Parte della molecola possono essere non cariche ma con l’aggiunta di protoni si possono avere cariche positive o negative. La molecola si può frammentare in pezzi più piccoli che possono subire un’accelerazione diversa, espressa con un spettrogramma. Questa procedura viene eseguita con un apposito strumento, lo spettrometro. Esso è composto da: ❖ sorgente: rende cariche le molecole del campione da analizzare Vi sono diversi tipi di sorgente: - EI (Electron Ionization) - CI (Chemical Ionization) - ESI (Electro Spray Ionization) - MALDI (Matrix Assisted Laser Desorption and Ionization) ❖ analizzatore: separa gli ioni in base al rapporto massa/carica. Può essere di diversi tipi: - magnetico - a quadrupolo - a trappola ionica (ion trap) - TOF (Time Of Flight - tempo di volo) ❖ detector: converte l’energia ionica in energia elettrica ❖ calcolatore: analizza i dati e produce lo spettro. Spettro di massa della mioglobina Spettro in cui sono identificabili diversi picchi che hanno caratteristiche diverse in termini di rapporto massa/carica. Si usa con il metodo ESI e si ottiene spettro complesso. Si fa una deconvoluzione dei picchi per ottenere un unico risultato univoco della massa della proteina di interesse. 5. Cristallografia a raggi X Utilizzata per lo studio della struttura delle proteine. Grande problema: ottenere un cristallo perché presenta tante limitazioni. Viene sfruttata la capacità dei raggi X (sorgente elettromagnetica ad alta frequenza) che passando attraverso un cristallo vengono diffratti. Nella cristallografia a raggi X un fascio di raggi X colpisce il cristallo e viene quindi diffratto in direzioni specifiche. A seconda degli angoli e dell'intensità di questi raggi diffratti, un cristallografo può produrre un'immagine tridimensionale della densità di elettroni nel cristallo. Da questa è possibile ricavare la posizione media degli atomi, così come i loro legami chimici ed altre informazioni. Fondamentale nello sviluppo di farmaci e anticorpi. Conoscere la forma 3D di una molecola permette di identificarne i meccanismi. DETERMINAZIONE DELLA CONCENTRAZIONE PROTEICA Si deve sapere la quantità di proteine presente Si vanno a separare le diverse componenti cellulari, si vanno a cercare le proteine diverse in ciascun compartimento ma per capire in quale compartimento la proteina è più presente si deve dare un grandezza quantificando la concentrazione di proteine in ogni composto. Esistono diversi tipi di metodi. Metodi diretti: misura dell’assorbanza Sfrutta le proprietà dei legami e dei gruppi chimici che assorbono la luce nella regione dell’UV. L’assorbimento dipende dalla composizione aa e dalla struttura della proteina. A=ε⋅l⋅C rappresenta l'assorbanza di una soluzione a concentrazione molare unitaria ad una data lunghezza d'onda. ε = coefficiente di assorbimento molare o coefficiente di estinzione molare l = cammino ottico C = concentrazione L’assorbanza è direttamente proporzionale alla concentrazione della proteina È misurata dallo spettrofotometro: il rapporto tra luce entrante e luce uscente dice quanta luce è stata assorbita. L’equazione A=ε⋅l⋅C rappresenta una retta passante per l’origine degli assi e in cui ε⋅b è il coefficiente angolare: - Assorbimento del legame peptidico (λ=214 nm, assorbimento dovuto alla presenza del legame peptidico sfruttando la legge di Lambert beer) - Assorbimento della tirosina (λ=276 nm) - Assorbimento del triptofano (λ=280 nm) Metodi indiretti (colorimetrici) Numerose sostanze possono reagire quantitativamente con un'altra sostanza a formare un complesso colorato detto cromoforo. Una proteina che reagisce con un colorante può formare un cromoforo: la quantità di proteina determina un cambiamento di colore. - Acido bicinconinico (legami peptidici) - Blue di coumassie (amminoacidi basici) FUNZIONE DELLE PROTEINE Alcuni principi basilari sulla funzione delle proteine: Le funzioni di molte proteine richiedono il legame reversibile di altre molecole. Una molecola unita reversibilmente a una proteina viene detta ligando. Un ligando si lega ad un sito sulla proteina detto sito di legame, complementare al ligando stesso per dimensione, forma, carica e carattere idrofobico o idrofilico. L’interazione è specifica. Le proteine sono flessibili. Le modificazioni conformazionali possono essere impercettibili e sono un riflesso delle vibrazioni molecolari e dei piccoli movimenti dei residui amminoacidici nella proteina. Le modificazioni conformazionali sono molto spesso essenziali per la funzione della proteina. Il legame tra una proteina e un ligando è spesso accoppiato a una modificazione conformazionale della proteina che rende il sito di legame più complementare al ligando, un processo chiamato adattamento indotto. Le interazioni tra proteine e ligandi possono essere regolate. Gli enzimi rappresentano un caso speciale di funzione proteica. Essi legano e trasformano chimicamente altre molecole, cioè catalizzano una reazione. Le molecole su cui agiscono gli enzimi sono dette substrati e il sito che lega il ligando viene detto in questo caso sito catalitico o sito attivo. MIOGLOBINA ED EMOGLOBINA: LEGAME REVERSIBILE CON L’OSSIGENO Gruppo prostetico EME L’ossigeno è poco solubile in acqua e non può essere trasportato ai tessuti in quantità sufficiente in forma disciolta nel plasma sanguigno. Nessuna delle catene laterali degli amminoacidi risulta idonea a legare reversibilmente la molecola dell’ossigeno. Questo ruolo può essere svolto da certi metalli di transizione, tra cui il ferro e il rame, che hanno una forte tendenza a legare l’ossigeno. Gli organismi multicellulari utilizzano le proprietà di questi metalli, in particolare del ferro, per il trasporto dell’ossigeno. Il ferro allo stato libero provoca la formazione di specie dell’ossigeno altamente reattive come i radicali ossidrilici, che possono danneggiare il DNA e altre macromolecole. Il ferro usato nelle cellule è invece sequestrato in forme che lo rendono meno reattivo. Il ferro negli organismi multicellulari è spesso incorporato nel gruppo prostetico chiamato eme, legato ad una proteina, ed è costituito da: ❖ una struttura organica complessa ad anello, la protoporfirina IX (una particolare porfirina. Le porfirine sono costituite da quattro anelli pirrolici uniti da ponti metinici con sostituzioni alle posizioni indicate con una X) ❖ un atomo di Fe2+ legato al centro della protoporfirina. L’atomo di ferro ha 6 legami di coordinazione: - 4 con gli atomi di azoto dell’anello porfirinico - 2 perpendicolari al piano dell'anello porfirinico: uno è impegnato con un atomo di azoto di una catena laterale di un residuo di His, mentre l’altro legame è il sito a cui si lega la molecola di ossigeno (O2). Struttura del gruppo eme: Gruppo eme visto di lato: Quando l’eme non è legato a proteine e quindi è libero in soluzione, la reazione di uno dei due siti di coordinazione del ferro (perpendicolari al piano dell’anello porfirinico) con l’ossigeno genera l’ossidazione irreversibile del Fe2+ a Fe3+, che non è in grado di legare l’ossigeno. Quando l’eme è inserito in una proteina questa reazione non avviene, in quanto il gruppo eme è immerso in profondità nella struttura proteica e l’accessibilità ai siti di coordinazione è limitata. Quindi, la parte proteica stabilizza il complesso con l’ossigeno in modo da rilasciare O2 ed evitando l’ossidazione del Fe. Quando si lega l’ossigeno, le proprietà elettroniche del ferro si modificano. Mioglobina La mioglobina (Mr 16.700, abbreviata con Mb) è una proteina globulare compatta relativamente semplice che lega l’ossigeno, presente nel tessuto muscolare di quasi tutti i mammiferi. Come proteina di trasporto, essa facilita la diffusione dell’ossigeno nel muscolo. La mioglobina è particolarmente abbondante nei muscoli dei mammiferi marini come le foche e le balene, che devono immagazzinare ossigeno per le loro prolungate immersioni. Appartiene alla famiglia delle proteine chiamate globine. Struttura È un singolo polipeptide di 153 residui amminoacidici, contenente una molecola di eme. Il gruppo eme è legato covalentemente alla proteina e racchiuso in una profonda infossatura tra le eliche con accessibilità limitata. L’emoglobina che contiene Fe3+ (metamioglobina) non è in grado di legare l’O2 (come visto in precedenza). La catena polipeptidica della mioglobina è costituita da 8 segmenti ad α elica, indicati con le lettere da A a H, collegati da ripiegamenti, indicati con AB, CD, EF, FG e così via, cioè con le lettere delle eliche che i ripiegamenti stessi interconnettono. Nella mioglobina il residuo His legato all’eme è indicato come His F8 (l’ottavo residuo dell’α elica F, detta anche istidina prossimale). O2 VS. CO L’eme può accogliere sia O2, sia CO (monossido di carbonio), quindi O2 è in competizione con CO per il legame con il ferro. Il CO ha un’affinità di legame per il gruppo eme maggiore dell’O2 ed il legame non è facilmente reversibile. Per questo motivo il CO è molto tossico se si lega all’eme della Mb. Quando l’eme è contenuto nella mioglobina, l’affinità per CO diminuisce di 100 volte: il legame del CO non è ottimale per l’ingombro sterico dovuto alla HisE7 (istidina distale) che forma un legame H con l’ossigeno, svolgendo un ruolo protettivo fondamentale. Forme della mioglobina La mioglobina presenta due forme: - ossimioglobina: mioglobina che ha legato un ossigeno - deossimioglobina: mioglobina che non ha un ossigeno legato Descrizione quantitativa delle interazioni proteina-ligando In genere il legame reversibile di un ligando (L) a una proteina (P) può essere descritto dalla reazione all’equilibrio: P+L ⇌ PL Nel caso del legame reversibile dell’O2 alla mioglobina sarà: Mb+O2 ⇌ MbO2 La reazione è caratterizzata da una costante di equilibrio Kd: Consideriamo la reazione all’equilibrio, mettendo in rapporto i siti di legame occupati con i siti di legame presenti nella proteina, Y, detta saturazione frazionale (è la frazione di siti occupati dall’ossigeno e corrisponde alla percentuale di Mb ossigenata. Il valore di y può variare da 0 a 1). Ricavando [MbO2] dall’equazione della Kd si ha che: Sostituendo [MbO2] appena trovato nell’equazione della Y si ottiene: Quindi: Se l’ossigeno è il ligando, viene usata la pressione parziale di questo gas, pO2, in quanto è molto più facile misurare quest’ultima che non la concentrazione del gas disciolto nella soluzione. Per cui: Kd corrisponde al valore di [O2] al quale metà dei siti disponibili sono occupati e si può indicare con P50. La P50 dell’O2 per la mioglobina è di 2 Torr o 0,26 kPa. 1 Torr = 1 mmHg Emoglobina L’emoglobina (Mr 64.500, abbreviata con Hb), contenuta negli eritrociti (globuli rossi) lega e trasporta quasi tutto l'ossigeno presente nei vertebrati. La funzione principale degli eritrociti è quella di trasportare l’emoglobina disciolta nel loro citosol a una concentrazione molto elevata, circa il 34% del loro peso. Struttura Ha una forma quasi sferica, con un diametro di circa 5,5 nm. È una proteina tetramerica contenente 4 gruppi prostetici eme, uno per ciascuna subunità. L’emoglobina A (emoglobina dell’adulto) contiene due tipi di globine: - 2 catene α di 141 residui ciascuna - 2 catene β di 146 residui ciascuna La struttura tridimensionale dei due tipi di catene dell’emoglobina è molto simile. Interazioni molto forti coinvolgono i dimeri α1β1, α2β2. Altre interazioni interessano i contatti α1β2 e α2β1. Non ci sono interazioni che coinvolgono catene dello stesso tipo. I gruppi eme sono distanziati di 30-40 Å. Somiglianze con la mioglobina La struttura tridimensionale delle subunità α e β è simile a quella della mioglobina e prende il nome di ripiegamento globinico: esso è l’intricato ripiegamento della catena polipeptidica, che consente di porre il gruppo eme in un ambiente da permettere il legame reversibile dell’ossigeno. Nonostante ciò, se si allineano le catene α e β della Hb con sequenza della Mb si nota che solo il 18% dei corrispondenti residui sono identici. Le 2 catene α e 2 catene β sono correlate evolutivamente tra loro. I residui cruciali sono tutti conservati. L’emoglobina è una molecola molto più complessa e sensibile della mioglobina. Legame con l’O2: stati R e T ed effetto sull’eme L’analisi ai raggi X ha messo in evidenza due differenti conformazioni dell’emoglobina: lo stato R e lo stato T. Le lettere T e R indicano due stati conformazionali, detti teso (tense) e rilassato (relaxed), che l’emoglobina può assumere. Lo stato T è più stabile in assenza di ossigeno ed è quindi la conformazione prevalente della deossiemoglobina. In questa conformazione, la proteina ha minore affinità per l’ossigeno. Lo stato R è favorito nella ossiemoglobina (forma totalmente ossigenata). In questa conformazione, la proteina ha maggiore affinità per l’ossigeno. L’ossigeno si lega ad entrambi gli stati dell’emoglobina, ma ha un’affinità maggiore per lo stato R. Inoltre, il legame dell’ossigeno stabilizza lo stato R. La transizione tra la forma T e R dipende dalle interazioni α1β2 e α2β1 tra le diverse subunità. Il legame dell’O2 ad una delle subunità nello stato T dell’emoglobina innesca una variazione conformazionale, che converte la subunità nello stato R. Da stato T a R: effetto sull’eme Nello stato T la porfirina ha una forma a cupola e pertanto il ferro all'interno dell’eme tende a protrudere dal lato dell’istidina prossimale (His F8). Il legame dell’ossigeno costringe l’eme ad assumere una conformazione più planare, modificando la posizione dell’His prossimale e dell’elica F ad essa legata. Meccanismo cooperativo L’emoglobina deve legare efficientemente l’ossigeno nei polmoni, dove la pO2 è circa 99,7 Torr (13,3 kPa), e rilasciare ossigeno nei tessuti dove la pO2 è di circa 30 Torr (4 kPa). Una proteina che lega l’ossigeno con un’elevata affinità si saturerà facilmente nei polmoni, ma non libererà molto ossigeno nei tessuti. Se invece la proteina ha una bassa affinità per l’ossigeno, potrà rilasciarlo nei tessuti, ma non sarà in grado di saturarsi nei polmoni. L’emoglobina risolve questi problemi mediante la sua transizione da uno stato a bassa affinità (lo stato T) a uno ad alta affinità (lo stato R) quando lega l’ossigeno. Il legame dell'ossigeno ad una delle subunità dell’emoglobina può modificare l’affinità per l’O2 delle subunità adiacenti: 1. La prima molecola di O2 che interagisce con la deossiemoglobina si lega debolmente, perché si lega ad una subunità nello stato T. Questo legame determina però una modificazione conformazionale che viene comunicata alle subunità adiacenti, rendendo più facile l’interazione con altre molecole di ossigeno. 2. Dopo che l’ossigeno si è legato alla prima subunità, la transizione T → R rende più facile il legame di una seconda molecola di ossigeno. 3. L’ultima (la quarta) molecola di ossigeno si lega ad un gruppo eme di una subunità che è ormai nello stato R e quindi presenta la massima affinità per il suo ligando. Le reazioni di legame ai 4 siti di legame non sono tra loro indipendenti ma collaborano, andando a determinare quello che viene chiamato effetto cooperativo. Curva sigmoide Il risultato della transizione da stato T a stato R è una curva di legame dell’ossigeno con un andamento sigmoide (a forma di S). La mioglobina invece ha una curva di legame dell’O2 con andamento iperbolico. La P50 (valore di pO2 alla quale vi è 50% di saturazione dei siti di legame) di Mb è sempre maggiore della P50 di Hb perché Hb lega l’O2 con minor affinità rispetto alla Mb. Una curva di legame con un andamento sigmoide può essere considerata come una curva ibrida che riflette la presenza di forme a bassa affinità e ad alta affinità (rispettivamente lo stato T e lo stato R per Hb). L’effetto cooperativo, indicato dall’andamento sigmoide, rende l'emoglobina molto più sensibile a piccole variazioni della concentrazione di ossigeno, rendendo più efficiente il suo trasporto. Mediante questo processo l’emoglobina è più efficiente nel legare ossigeno nei polmoni, dove la pO2 è alta, e nel rilasciarlo nei tessuti periferici, dove la pO2 è bassa (o anche, in altre parole: a basse pO2 bassa affinità, ad elevate pO2 affinità aumenta). Significato fisiologico della cooperatività Livelli di saturazione Hb: - Nei polmoni = 98% - Nei tessuti = 32% % dei siti di legame che contribuiscono al trasporto dell’O2: 98-32=66% In assenza di cooperatività: - Nei polmoni = 63% - Nei tessuti = 25% % dei siti di legame che contribuiscono al trasporto dell’O2: 63-325=38% Livelli di saturazione Mb: - Nei polmoni = 98% - Nei tessuti = 91% % dei siti di legame che contribuiscono al trasporto dell’O2: 98-91=7% Capacità di trasporto di O2 in specie diverse Curva di dissociazione dell’Hb che mostra l’affinità relativa per O2 in differenti specie di vertebrati ed invertebrati. Le differenti P50 dipendono da variazioni della struttura. (P50 = pO2 tale che Y=1/2 ovvero 50% saturazione). Il contenuto di ossigeno nel sangue (quantità di pigmento) in funzione della pressione parziale di O2 rivela differenze sia nella forma della curva (affinità) sia nella capacità complessiva di trasporto dell’ossigeno tra gli animali: Capacità massima di trasporto dell’ossigeno nel sangue (100 ml) di diversi animali: Proteine allosteriche L’emoglobina è una proteina allosterica, ovvero una proteina in cui il legame di un ligando a un sito modifica le proprietà di un altro sito sulla stessa molecola. Le proteine allosteriche possono avere forme o conformazioni diverse indotte dal legame di ligandi. Le molecole allosteriche sono proteine oligomeriche, costituite da due o più subunità e con diversi siti attivi. Le interazioni allosteriche avvengono quando il legame di un ligando ad un sito specifico viene influenzato dal legame di un altro ligando, detto effettore o modulatore allosterico che si lega a livello del sito allosterico, un sito diverso dal sito attivo. L’effettore allosterico può essere un attivatore o un inibitore: - attivatore: quando l'effettore si lega al sito allosterico, il sito attiva diventa disponibile per il substrato (=molecola che si lega al sito attivo) - inibitore: quando l’effettore si lega al sito allosterico, il sito attivo non è più disponibile per il substrato. Nel caso dell’emoglobina, l’ossigeno è sia il suo effettore allosterico, sia il suo substrato, quindi per l’emoglobina sito allosterico e sito attivo coincidono. Trasporto di H+ e CO2 L’emoglobina trasporta anche due prodotti finali della respirazione cellulare, H+ e CO2, dai tessuti ai polmoni e ai reni, dove sono escreti. H+ e CO2 sono effettori allosterici che regolano affinità per O2 e si legano all’emoglobina presso siti distinti da quello dell’O2. Lo ione H+ viene trasportato legandosi alle catene laterali di diversi residui amminoacidici della proteina. La CO2, prodotta nei mitocondri dall’ossidazione delle sostanze organiche nutrienti, viene trasportata in due modi: 1. una parte, circa il 15%, è legata covalentemente all’emoglobina. La CO2 reagisce con le catene amminoterminali formando residui di carbammato. 2. la maggior parte viene idratata in forma di ione bicarbonato HCO3- disciolto: CO2 + H2O ⇌ H+ + HCO3- Come si può osservare dalla reazione chimica, l’idratazione della CO2 determina un aumento della concentrazione di ioni H+ (una diminuzione del pH = pH più acido) nei tessuti. Il legame dell’ossigeno all’emoglobina è profondamente influenzato dal pH e dalla concentrazione di CO2: ❖ nei tessuti periferici che presentano un’elevata concentrazione di CO2 e di conseguenza un pH basso (più acido), l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno diminuisce man mano che H+ e CO2 si legano e O2 è rilasciato nei tessuti; ❖ nei capillari dei polmoni la CO2 viene eliminata e si ha un incremento del pH del sangue; l’affinità dell’emoglobina per l'ossigeno aumenta e la proteina può legare più O2 da trasportare ai tessuti periferici. Effetto Bohr Questo effetto del pH (determinato a sua volta dalla CO2) sul legame e sul rilascio dell’ossigeno dall’emoglobina è detto effetto Bohr. A livello molecolare i responsabili dell’effetto Bohr sono principalmente: - alcuni gruppi amminici terminali delle catene α - alcuni residui di istidina con valori di pKa circa pari a 7 il cui livello di dissociazione dipende dal pH. Caso in figura: nella deossiemoglobina il residuo His 146 (istidina 146) forma due legami ionici, di cui quello con Asp 94 (aspartato 94) avviene solo se His 146 è protonato. Queste interazioni ioniche stabilizzano lo stato T. A pH maggiori, His 146 si deprotona ed il legame non si forma, favorendo la forma R. 2,3 bisfosfoglicerato Il 2,3 bisfosfoglicerato (2,3BPG), contenuto nei globuli rossi ad una concentrazione pari alla Hb (2 mM), stabilizza la forma T e riduce l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno, determinando un maggiore rilascio di O2 a livello tissutale. Si lega al centro del tetramero tra due subunità β in una tasca presente solo nella forma T presso un sito distinto da quello dell’O2. È anch’esso un regolatore allosterico dell’ emoglobina. Emocianine Le emocianine trasportano ossigeno nel sangue (non nelle cellule) di molti molluschi e diversi artropodi. Due atomi di rame (Cu+) sono legati come gruppo prostetico a 3 residui di istidina. L’ossigeno si lega come (O22-) a due differenti atomi di rame. I domini funzionali (FU, functional unit) da 50 kDa si aggregano in polipeptidi da 7 o 8 subunità unite a formare decameri. Ogni polipeptide lega 7-8 molecole di O2. La struttura delle emocianine dei molluschi è quella di un cilindro costruito da decameri di subunità proteiche da 300-450 kDa. Le emocianine presentano effetto cooperativo ma meno efficiente che in Hb. L’affinità per O2 è regolata da pH quindi è presente l’effetto Bohr. ENZIMI Ogni istante negli organismi viventi si verificano migliaia di reazioni chimiche. Tutte le reazioni chimiche sono accelerate (catalizzate) da enzimi, proteine (e in qualche caso RNA) specializzate nella catalisi delle reazioni metaboliche. CARATTERISTICHE FONDAMENTALI Le caratteristiche fondamentali degli enzimi sono: - il potere catalitico: gli enzimi accelerano le reazioni chimiche di parecchi ordini di grandezza, spesso di 106 volte) Es: anidrasi carbonica idrata 106 molecole/sec di CO2 (107 volte) - la specificità: sono specifici sia nel tipo di reazione catalizzata sia nella scelta dei propri reagenti (substrati). Forniscono prodotti con rese molto elevate (> 95%). La specificità e la resa del prodotto sono dovute al riconoscimento molecolare tra substrato ed enzima basato sulla complementarietà strutturale. - la regolazione: l'attività degli enzimi è regolata da molteplici fattori: controllo della quantità di enzima prodotto, interazione con specifici attivatori ed inibitori dell’attività enzimatica. Essi giocano un ruolo fondamentale nel metabolismo, controllando il flusso delle reazioni chimiche, e nelle attività regolatorie necessarie a soddisfare le necessità metaboliche contingenti delle cellule. CLASSIFICAZIONE È stato adottato per convenzione un sistema di classificazione che suddivide questi catalizzatori biologici in sei classi principali, ognuna suddivisa in sottoclassi in base al tipo di reazione chimica catalizzata: ❖ Ossidoreduttasi: reazioni di ossidoriduzione. Es.: ossidoreduttasi, deidrogenasi, ossidasi … ❖ Transferasi: reazioni di trasferimento di gruppi funzionali. Es: acetiltransferasi, metilasi, kinasi … ❖ Idrolasi: reazioni di idrolisi (trasferimento di gruppi funzionali all’acqua). Es: proteasi, nucleasi, fosfatasi … ❖ Liasi: Rottura di legami C-C C-O C-S e C-N con meccanismo diverso dall’idrolisi. Es: decarbossilasi, aldolasi … ❖ Isomerasi: trasferimento di gruppi all'interno di molecole per formare isomeri. Es: isomerasi ❖ Ligasi (Sintetasi): formazione di legami C-C, C-O, C-S, C-N con idrolisi di ATP. Es: DNA polimerasi NOMENCLATURA La IUBMB (International Union of Biochemistry and Molecular Biology) si è occupata di dare le basi nella classificazione degli enzimi. Nel caso degli enzimi non è praticabile un tipo di nomenclatura basata sulla struttura chimica (come IUPAC) a causa della notevole complessità delle strutture enzimatiche. Ogni enzima ha un nome sistematico (e un nome comune) più un codice numerico, un numero unico (E.C., Enzyme Commission number) costituito da quattro sezioni distinte, separate da un punto. Il nome sistematico è costituito da: nome substrato(i) + tipo di reazione + suffisso –asi Esempio: Es. Glucosio + ATP → glucosio-6-P + ADP - Nome sistematico: ATP:D-esoso-6-fosfotransferasi - Classe: 2 Transferasi Sottoclasse 2.7 trasferimento di gruppi P (chinasi) Sotto-sottoclasse 2.7.1 trasferimento di gruppi P su OH accettore Numero seriale: 2.7.1.1 - Nome comune: Esochinasi COFATTORI e COENZIMI Molti enzimi richiedono componenti chimici aggiuntivi: ❖ Cofattori: ioni metallici come Fe2+, Mg2+, Mn2+, Zn2+. Possono avere un ruolo strutturale o catalitico. ❖ Coenzimi: piccole molecole organiche derivate dalle vitamine idrosolubili. I coenzimi agiscono come trasportatori temporanei di specifici gruppi funzionali. Un enzima cataliticamente attivo con tutti i suoi coenzimi o ioni metallici è detto oloenzima, mentre la parte proteica di un enzima viene chiamata apoenzima o apoproteina. COME LAVORANO GLI ENZIMI SITO ATTIVO Le reazioni avvengono presso una zona ristretta, un solco o cavità dell’enzima, definito sito attivo il quale ha elevata complementarietà geometrica per il substrato, ovvero la molecola che vi si lega. Generalmente coinvolge pochi residui, spazialmente vicini nella struttura 3D che può comprendere anche cofattori (ioni o coenzimi). Il legame tra sito attivo dell’enzima e substrato origina un complesso enzima-substrato (ES), stabilizzato da interazioni deboli multiple. GLI ENZIMI MODIFICANO LA VELOCITÀ DELLE REAZIONI, NON GLI EQUILIBRI Equilibrio Qualsiasi reazione, come S ⇌ P, può essere descritta dal grafico della coordinata di reazione, che analizza le variazioni energetiche che avvengono nel corso della reazione: Nel grafico della coordinata, l’energia libera di un sistema viene analizzata in funzione del procedere della reazione (la coordinata di reazione). (Dagli studi di gibbs è risultato che se si studia una reazione in un sistema chiuso, la variazione energetica utile per compiere lavoro viene identificata come energia libera: G=H-T S, in cui H è l’entalpia ovvero l’energia totale, T è la temperatura assoluta e S è l’energia vincolata; E tot H=E libera G + T E vincolata S) Il punto di partenza per la reazione in un senso o nel senso opposto è definito stato basale e corrisponde al contributo di energia libera fornito al sistema da una molecola (S o P) in ben definite condizioni (e quindi il valore medio di energia posseduto da quella popolazione di molecole). La variazione di energia libera tra lo stato basale di S e quello di P è indicata come ΔG°, la variazione di energia libera standard: temperatura di 298 °K, pressione parziale di ogni gas di 1 atm o 101,3 kPa e concentrazione di ogni soluto di 1M. Poiché nei sistemi biologici la concentrazione degli ioni H+ è molto lontana dall’essere 1M, i biochimici hanno definito la variazione di energia libera standard biochimica, indicata con ΔG'°, cioè la variazione di energia libera standard a pH 7. Da cosa dipende l’equilibrio di una reazione? Un equilibrio come S ⇌ P è descritto dalla sua costante di equilibrio, K’eq. Gibbs dimostrò che la ΔG di ogni reazione chimica è funzione della ΔG’°: All’equilibrio ΔG=0 perciò non è possibile compiere lavoro: R è la costante dei gas, 8,315 J/mole K, e T è la temperatura assoluta, 298 K (25 °C ) La costante di equilibrio è direttamente proporzionale alla variazione complessiva di energia libera standard. Si vede quindi che l’equilibrio delle reazioni dipende dal ΔG’°. Che informazioni si ottengono da ΔG’°? 1. Una reazione avviene solo se ΔG’°0 può avvenire solamente fornendo energia (reazioni eendoergoniche) 4. Il valore di ΔG’° dipende dall’energia dei prodotti (stato finale) e energia libera dei reagenti (stato iniziale) e non dal meccanismo 5. Il valore di ΔG’° non dà informazioni sulla velocità della reazione L’equilibrio tra S e P dipende quindi da ΔG’°, ovvero la differenza tra i livelli di energia libera dei due composti ai loro stati basali. Nell’esempio mostrato nell’immagine sopra, l’energia libera dello stato basale di P è minore di quella di S, e quindi il ΔG'° della reazione è negativo e l’equilibrio favorisce P. L’equilibrio di una reazione non viene modificato da un catalizzatore. Velocità Ci sono diverse tipologie di reazioni. Nelle reazioni unimolecolari S → P si sa che la velocità è proporzionale alla concentrazione del substrato (reagente) e dipende da [S] e da k (costante di velocità) v = [S] k Quando si ha una dipendenza in questi termini si parla di reazione di primo ordine. In una reazione bimolecolare: S+Y→P+X si ottengono reazioni di ordine superiore al primo. La velocità si ottiene dalla concentrazione di entrambi i substrati (reagenti). v = [S][Y] k Questo è valido solo se si ha una reazione in monofase. Ci sono delle reazioni con molte fasi dove si formano degli intermedi. Se un equilibrio è favorevole alla produzione di P, non significa però che la velocità della conversione di S in P sia elevata. La velocità di una reazione dipende da un parametro completamente diverso. Tra S e P esiste una barriera energetica che corrisponde all’energia libera necessaria ad allineare i gruppi reagenti, a formare cariche transitorie instabili, a riorganizzare legami e a produrre altre trasformazioni necessarie alla reazione per procedere in una delle due direzioni. Questa barriera è illustrata dall’andamento dell’energia nel grafico della coordinata di reazione e ricorda una collina. Perché possa avvenire la reazione le molecole devono superare questa barriera e quindi devono raggiungere un livello energetico più elevato di quello basale. Al punto più alto della curva, la molecola ha la stessa probabilità di decadere verso S o verso P (entrambe le vie sono in discesa). Questa condizione viene chiamata stato di transizione e corrisponde a un momento molecolare transitorio che precede la formazione del prodotto o il ritorno al substrato. La differenza tra i livelli di energia dello stato di base e dello stato di transizione è l’energia di attivazione (ΔG‡). L’energia di attivazione può essere abbassata aggiungendo un catalizzatore. Il catalizzatore aumenta la velocità della reazione abbassando l’energia di attivazione ΔG‡. Quindi, la velocità di una reazione è correlata all’energia di attivazione ΔG‡. Un abbassamento del valore di ΔG‡ determina un aumento del numero di molecole in grado di raggiungere lo stato di transizione e quindi un aumento della velocità di reazione per cui la velocità di una reazione chimica è proporzionale alla concentrazione delle molecole allo stato di transizione. Una semplice reazione enzimatica può essere scritta come: E + S ⇌ ES ⇌ EP ⇌ E + P dove E, S e P rappresentano rispettivamente l’enzima, il substrato e il prodotto. ES ed EP sono specie chimiche transitorie dette intermedi di reazione. La tappa con l’energia di attivazione più elevata è quella che limita la velocità della reazione. Nella reazione catalizzata dall’enzima si crea nuovo percorso di reazione (azzurro) in cui ΔG‡ è diminuita, in particolare ΔG‡ viene abbassata attraverso la capacità di disporre i substrati in modo da favorire la formazione degli stati di transizione a più bassa energia: L’ENERGIA DI LEGAME TRA ENZIMA E SUBSTRATO È IMPORTANTE PER LA CATALISI Come è possibile spiegare questo enorme aumento della velocità indotto dagli enzimi? Da dove arriva l’energia necessaria ad abbassare così drasticamente l'energia di attivazione di una specifica reazione? Il potere catalitico deriva dall’energia dovuta a molte interazioni deboli o legami covalenti transitori tra substrato ed enzima. Quest’energia che si libera dalle interazioni enzima-substrato è detta energia di legame (ΔGB). L’energia di legame è la fonte principale di energia libera usata dall’enzima per abbassare l’energia di attivazione della reazione. Come utilizza un enzima l’energia di legame per abbassare l’energia di attivazione di una reazione? Le interazioni diventano ottimali e il loro numero diventa massimo quando il substrato raggiunge lo stato di transizione. Per capire come, consideriamo una reazione immaginaria: la rottura di una barretta di metallo. Vediamo prima la reazione senza enzima e poi la reazione catalizzata da due ipotetici enzimi - due “metallasi” - in grado di catalizzare la reazione; entrambi usano forze magnetiche al posto dell’energia di legame degli enzimi reali. ❖ Reazione senza enzima: per essere rotta, la barretta deve prima essere piegata (lo stato di transizione) ❖ Reazione con complementarietà tra enzima e substrato: è il meccanismo chiave-serratura. Il sito attivo della metallasi è una tasca rivestita di magneti. Perché possa reagire (rompersi), la barretta di metallo deve raggiungere lo stato di transizione della reazione (deve piegarsi). La barretta si adatta così bene al sito attivo che non può piegarsi, in quanto il piegamento verrebbe impedito dalle interazioni magnetiche tra metallasi e barretta. Un enzima di questo genere impedisce che la reazione possa avvenire, in quanto si ha una stabilizzazione del substrato. Nel grafico della coordinata di reazione la formazione del complesso ES genera una depressione energetica molto profonda, da cui difficilmente il substrato potrebbe liberarsi. Questo enzima è quindi assolutamente inutile. ❖ Reazione con complementarietà tra enzima e stato di transizione: un enzima con una tasca complementare allo stato di transizione della reazione favorisce la destabilizzazione della barretta, contribuendo quindi ad accelerare la reazione. Ciò significa che le interazioni diventano ottimali solo quando il substrato raggiunge lo stato di transizione. Le Interazioni magnetiche forniscono l’energia necessaria a compensare l’aumento di energia libera richiesto per piegare la barretta. CINETICA DELLA CATALISI ENZIMATICA La velocità di una reazione catalizzata da un enzima è influenzata da: - quantità dell’enzima - concentrazione di substrato - temperatura - pH La velocità di reazione diminuisce con il passare del tempo perché: - il substrato si consuma - la reazione è rever