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Università degli Studi di Perugia
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These notes cover biochemistry, specifically focusing on macromolecules like carbohydrates, lipids, and steroids, including cholesterol and its role in cellular membranes. They discuss the structure and function of biological membranes, highlighting the lipid, protein, and carbohydrate components. Further, the notes detail the production of vitamin D and the function of various proteins including luciferase.
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LEZIONE 7 4 DICEMBRE steroli Vediamo quali sono le macromolecole che compongono l’organismo vivente. Abbiamo visto: Carboidrati lipidi sia quelli neutri e quelli polari nel senso afipatici, cioè con una testa polare e una cod...
LEZIONE 7 4 DICEMBRE steroli Vediamo quali sono le macromolecole che compongono l’organismo vivente. Abbiamo visto: Carboidrati lipidi sia quelli neutri e quelli polari nel senso afipatici, cioè con una testa polare e una coda apolare. Ci sono diverse tipologie di molecole lipidiche, e una terza classe comprende molecole chimicamente diverse chiamate steroidi. Il nucleo steroideo è planare e rigido, un esempio noto di steroidi è il colesterolo, che svolge un ruolo cruciale nelle membrane cellulari degli animali. Guardando la sua struttura chimica, notiamo che ha una composizione unica con quattro anelli planari, conferendogli una natura altamente idrofobica. Tuttavia, presenta anche una "testa" polare legata a un atomo di carbonio (3), rappresentata da un semplice gruppo OH. Il colesterolo si inserisce nel doppio strato lipidico delle membrane, modificandone la fluidità/ acidità. Oltre a questo ruolo strutturale, il colesterolo è il precursore di molecole bioattive fondamentali, come i sali biliari (prodotti dalla cistifellea e secreti nel duodeno per facilitare la digestione dei lipidi. Dal colesterolo derivano gli ormoni steroidei) che svolgono un ruolo chiave nella digestione dei grassi provenienti dalla dieta. Qui invece ripete gli ormoni steroidei (prodotti dalle ghiandole surrenali e dalle gonadi), essi comprendono ormoni dello stress, come il cortisolo che deriva dal colesterolo; oppure gli ormoni sessuali: testosterone, progesterone, sono tutti derivati della molecola di colesterolo. Il colesterolo è alla base della produzione della vitamina D nel nostro corpo. Questa vitamina è essenziale perché, grazie all'esposizione alla luce solare, viene prodotta nella nostra pelle. La vitamina D svolge un ruolo fondamentale poiché funge da "avviatore" per la creazione di un ormone chiamato calcitriolo. Il calcitriolo, a sua volta, è cruciale per la formazione delle ossa, aiutando nella calcificazione e regolando il bilancio di calcio e fosforo nel nostro organismo. 1 Qui possiamo osservare il processo di produzione della vitamina D: quando la pelle è esposta alla luce solare, attiva una sostanza speciale che parte dal colesterolo. Questa sostanza è come un "passaggio intermedio" che alla fine porta alla formazione di calcitriolo, che è la forma attiva della vitamina D. Questo spiega perché i medici spesso consigliano l'assunzione di integratori di vitamina D o raccomandano un aumento dell'esposizione alla luce solare sempre con le protezioni dovute. La carenza di vitamina D può portare a rachitismo dei bambini e anche ad una malattia di osteomalacia negli adulti. Membrane biologiche Quando si parla di lipidi, oltre al loro ruolo di riserva energetica sono anche costituenti cruciali delle membrane biologiche, esse definiscono i confini esterni delle cellule e regolano il traffico di molecole tra l’esterno e l’interno. Le membrane biologiche sono fatte da un punto di vista chimico da tre componenti: Componente lipidica: è organizzata in un doppio strato lipidico. Questa struttura è importante perché le molecole coinvolte sono anfipatiche, il che significa che hanno una parte idrofila (attratta dall'acqua= testa) e una parte idrofoba (respinta dall'acqua= 2 code). Quando queste molecole sono immerse in un ambiente acquoso, la parte idrofoba tende a stare vicina ad altre parti idrofobe, evitando il contatto con l'acqua. Un esempio comune è quando una goccia d'olio cade in acqua, e le molecole di olio si raggruppano per evitare l'acqua. Il lipidi polari di membrana si dispongono a formare un doppio strato in cui le parti idrofobiche interagiscono fra di loro mentre le parti idrofiliche sono a contatto con l’acqua ai due lati della membrana. La disposizione dei lipidi è asimmetrica. Infatti le molecole anfipatiche hanno un vantaggio speciale. Non sono completamente amanti dell'acqua (idrofobiche) perché hanno una "testa" che è attratta dall'acqua, mentre le "code" sono respinte dall'acqua. Queste molecole si organizzano formando strutture simili a celle, dove le code idrofobiche si trovano al centro (senza acqua) e le teste polari rimangono sulla superficie (a contatto con l'acqua). Questo processo funziona 2 bene quando abbiamo poche molecole anfipatiche di dimensioni ridotte. Tuttavia, se il numero di queste molecole è elevato e presentano una struttura complessa, come nel caso delle membrane con doppie teste apolari, la soluzione più stabile per mantenerle in una soluzione acquosa è rappresentata da un doppio strato. Le molecole si organizzano in modo che le code apolari siano a contatto l'una con l'altra, formando due superfici: una superiore e una inferiore, con le code apolari in contatto tra loro e le teste polari a contatto con l'ambiente acquoso. Questa struttura del doppio strato lipidico è fondamentale per la formazione di tutte le membrane biologiche. Componente proteica La componente delle membrane biologiche sono le proteine che possono essere di due tipi: o Proteine intrinseche di membrana: Le proteine intrinseche di membrana sono proteine immerse nello strato lipidico. Svolgono importanti ruoli, come formare canali per gli ioni (agiscono come porte di passaggio attraverso la membrana cellulare, consentendo agli ioni di attraversarla. Questa funzione è cruciale per la regolazione del flusso ionico, che è essenziale per numerosi processi cellulari) o agire come recettori per fattori di crescita che influenzano la congregazione cellulare (Questo implica che queste proteine possono fungere da punti di riconoscimento per molecole segnale chiamate "fattori di crescita". I fattori di crescita sono sostanze che stimolano la crescita, la proliferazione e altri processi cellulari. Quando si legano a questi recettori di membrana, avviano una cascata di segnali intracellulari che possono influenzare la crescita e la congregazione delle cellule). Queste proteine sono strettamente legate alla membrana e non possono essere separate senza l'uso di detergenti perché si ancorano alla membrana tramite interazioni idrofobiche con i lipidi. I detergenti infatti scioglieranno le parti idrofobiche delle molecole. Le proteine intrinseche di membrana sono immersi in uno strato lipidico, e la loro struttura deve essere adeguata per interagire con questo ambiente idrofobico, se immaginiamo di immergere un dito nello strato lipidico dovremmo avere una struttura tale che nel dito che ho immerso sia idrofobico perché all'interno le membrane sono idrofobiche, stessa cosa nelle proteine intrinseche la parte che è immersa nel doppio strato deve avere poi tutti gli amminoacidi idrofobici perché altrimenti non si adatterebbe bene con l'ambiente circostante, per lo stesso motivo la parte che sta fuori e la parte che sta dentro è a contatto con l'ambiente intracellulare, il citoplasma, quindi dovrà essere di natura idrofibica. Proteine estrinseche di membrana: si legano a uno dei due lati della membrana grazie a interazioni elettrostatiche e legami idrogeno. Possono essere separate con 3 trattamenti delicati. Questo legame è più grande, e non è necessario distruggere il doppio strato lipidico per separarle perché sono molto più grandi. Componente glucidica: I glucidi costituiscono porzioni della membrana attaccate ad altre molecole. Possono essere presenti nei lipidi con una testa di natura glucidica o nelle proteine con una porzione glucidica. La porzione glucidica della membrana plasmatica è sempre orientata verso l'esterno, poiché i glucidi di membrana svolgono un ruolo cruciale nei processi di riconoscimento. Essi fungono da impronta digitale della nostra cellula, che viene riconosciuta dall'esterno. Se la membrana non viene riconosciuta, ad esempio se appartiene a un batterio o a un virus, viene identificata come non appartenente all'organismo ospite e viene distrutta. Membrane biologiche: modello a mosaico fluido tutte queste porzioni di membrana non fanno parte di una struttura rigida; infatti, il modello di membrana è un modello a mosaico fluido, implica che le varie tessere sono incastrate in una collana. Le varie componenti fluttuano, galleggiano nei lipidi, in una struttura fluida e dinamica. Le membrane biologiche, selettivamente permeabili (si riferisce alla capacità di una sostanza o di una membrana di consentire il passaggio di altre sostanze attraverso di essa. Ad esempio, se una membrana cellulare è permeabile a una determinata sostanza, significa che questa sostanza può attraversare liberamente la membrana ed entrare o uscire dalla cellula) sono doppi strati lipidici all’interno dei quali sono immerse proteine secondo un modello a mosaico fluido. I glucidi si trovano rivolti verso l'esterno della cellula (ambiente extracellulare). Sono impermeabili a sostanze cariche o polari, ma permeabili a composti non polari. Il loro spessore varia da 5 a 8 nm proteine Sono macromolecole di peso molecolare compreso fra 5000 e 1.000.000 daltons costituite da un certo numero di aminoacidi legati fra loro in modo covalente in sequenze lineari caratteristiche. Le proteina hanno una notevole variabilità strutturale e funzionale Le proteine sono sequenze lineari e ordinate (non basta dire quanti e quali amminoacidi ci sono, ma anche in che ordine sono) di amminoacidi. Questa sequenza è determinata dal codice genetico durante il processo di trascrizione e traduzione. Questi eventi precedono la sintesi proteica e coinvolgono l'inizio e la fine della trascrizione, nonché l'inizio della traduzione. Le proteine sono le macromolecole più versatili e dinamiche. Possono variare in lunghezza e struttura, ad esempio, dall'insulina composta da 51 amminoacidi a proteine più lunghe con fino a 1000 amminoacidi. Questa diversità strutturale si traduce in una vasta gamma di funzioni proteiche. 4 Qui ad esempio abbiamo tre pannelli: la lucciola emette luce grazie ad una proteina di nome luciferasi, etimologicamente in latino significa portatore di luce globuli rossi sono rossi perché sono pieni di una proteina di nome emoglobina Il rinoceronte Il corno del rinoceronte così come le unghie delle nostre mani e piedi e capelli sono pieni di cheratina La materia vivente è molto diversificata, ma la sua complessità deriva da un numero limitato di componenti di base. Nonostante la varietà, ci sono pochi elementi chiave che vengono combinati in modi differenti. Prendiamo ad esempio le proteine, che svolgono una vasta gamma di funzioni nel nostro corpo, come la formazione di capelli, la trasportazione dell'ossigeno (come nell'emoglobina) e la difesa immunitaria (tramite gli anticorpi). Le proteine sono costruite utilizzando "mattoni" fondamentali chiamati amminoacidi. Questi amminoacidi si uniscono in sequenze ordinate, analogamente alle lettere che formano parole e le parole che compongono il linguaggio. Nonostante ciò, la struttura delle proteine può essere molto diversificata: dalla cheratina che dà forma ai nostri capelli alla complessa struttura dell'emoglobina. Tuttavia, tutte queste proteine con funzioni diverse sono generate a partire dagli stessi e limitati amminoacidi. amminoacidi Ci sono 20 amminoacidi che compongono le proteine e si differenziano in base alla struttura della catena laterale; Questi amminoacidi sono codificati dal nostro codice genetico e gli amminoacidi che compongono le proteine hanno questa struttura di base: un atomo di carbonio centrale al quale sono legati 4 sostituenti, cioè come sappiamo il carbonio ha 4 elettroni nel suo strato più esterno e di solito forma 4 legami con altri atomi. Tuttavia, c'è un'eccezione che abbiamo visto nella chimica organica, in particolare negli amminoacidi. Gli amminoacidi di solito formano 4 legami, ma c'è un'eccezione: uno dei legami è con un gruppo carbossilico (che è 5 acido), un altro legame è con un gruppo amminico (che è basico), un terzo legame è con un atomo di idrogeno e l'ultimo legame è con una catena R, che può variare nelle diverse molecole di amminoacidi, questa catena R in chimica organica sta per catena laterale che è ciò che differenzia un amminoacido dall’altro, quindi questi 20 amminoacidi hanno gli altri 3 gruppi legati al carbonio centrale identici e la catena laterale diversa. Il carbonio centrale degli amminoacidi viene chiamato carbonio α, perché sta a fianco di un gruppo carbossilico. Questo significa che il carbonio α in ogni amminoacido è legato a quattro gruppi diversi, rendendolo asimmetrico o chirale. Poiché il carbonio chirale può avere due disposizioni nello spazio, ci sono due tipi di configurazioni geometriche chiamate enantiomeri: L e D. Nei 20 amminoacidi che compongono le proteine negli organismi viventi, tutti appartengono alla serie L. Nel nostro organismo, ci sono alcuni amminoacidi appartenenti alla serie D, come la D-serina, che funge da neurotrasmettitore. Questa presenza è rara. Tuttavia, in alcune situazioni, possiamo ingerire cibi contenenti amminoacidi della serie D. Ad esempio, quando cuociamo troppo o bruciamo la carne alla griglia, può verificarsi una reazione particolare che porta alla formazione di amminoacidi della serie D. Questi sono diversi dai soliti amminoacidi della serie L che sono i mattoni fondamentali delle proteine nel nostro corpo. Quindi, è meglio evitare di bruciare troppo i cibi per assicurarci di ottenere i nutrienti giusti. Amminoacidi strandard in questa immagine ci sono i 20 amminoacidi. Questa immagine ci fa vedere la struttura chimica di tutti gli amminoacidi: la parte bianca è la parte invariabile, le catene laterali sono colorate in modo diverso a seconda della polarità; infatti, la polarità della catena laterale rappresenta un aspetto cruciale per il ruolo di ciascun aminoacido durante il ripiegamento delle proteine: Catena laterale apolare Catena laterale polare Catena laterale carica questo è il modo più comune per il quale gli amminoacidi vengono classificati. Ci interessa la polarità degli amminoacidi perché durante la sintesi delle proteine, il ribosoma crea una catena che successivamente si piega per formare la struttura tridimensionale della proteina. La forza trainante per questo processo di ripiegamento deriva 6 dall'idrofobicità degli amminoacidi. Gli amminoacidi idrofobici tendono a legarsi tra loro per evitare il contatto con l'acqua. Conoscere la polarità degli amminoacidi è cruciale poiché molte proprietà delle proteine dipendono da questa caratteristica. Ci sono alcune osservazioni sugli amminoacidi: 1) Gli amminoacidi hanno catene laterali di diverse dimensioni, alcune molto piccole e altre molto ingombranti. Ad esempio, il triptofano è uno degli amminoacidi più grandi e appartiene alla categoria degli aromatici, che includono tre amminoacidi con anelli aromatici a sei atomi di carbonio: fenilalanina, triptofano e tirosina. Questi amminoacidi svolgono un ruolo importante nel modo in cui le proteine globulari si piegano. 2) C'è un amminoacido speciale chiamato glicina che non è chirale. La glicina è la più piccola, e per essere chirale, un amminoacido deve avere un carbonio legato a quattro gruppi diversi. Tuttavia, nella glicina, la catena laterale è solo un idrogeno, quindi non ha quattro gruppi diversi, rendendola non chirale. 3) La cisteina è un amminoacido che contiene zolfo nella sua catena laterale, con la formula CH2SH. 4) Le parti bianche degli amminoacidi non sono tutte uguali. Ad esempio, la prolina è diversa: ha un gruppo amminico legato alla sua catena laterale che si collega allo scheletro in modo diverso. Puoi immaginare gli amminoacidi come ciondoli su una collana. Normalmente, se scuoti la collana, i ciondoli si muovono liberamente, ma la prolina è come se avesse un filo che la lega in modo più rigido, rendendo la catena complessivamente più rigida. Il legame peptidico Come si legano gli amminoacidi tra di loro? Gli amminoacidi si legano tra di loro attraverso il legame peptidico. In questa immagine vediamo due amminoacidi senza specificare le catene laterali R1 ed R2. La reazione avviene quando il gruppo carbossilico dell'amminoacido a sinistra si lega al gruppo amminico dell'amminoacido a destra. Durante questa reazione, viene eliminata una molecola d'acqua (condensazione), formando così il legame peptidico tra i due amminoacidi. È importante notare che durante il legame, le catene laterali sono posizionate su lati opposti dello scheletro carbonioso. 7 In questa immagine vediamo come la sequenza di una proteina sia una sequenza lineare ordinata, ha un verso che dipende da come viene sintetizzata nel ribosoma, l’estremità che prima esce dal ribosoma è quella con il gruppo amminico libero (estremità amminoterminale) e l‘ultimo amminoacido che esce che non si lega a nessuno è quello del gruppo carbossilico libero (estremità carbossiterminale), infatti per convenzione la catena polipeptidica inizia dalla estremità N-terminale, Le proteine sono formate da aminoacidi uniti da legami peptidici. Immagina che siamo come degli amminoacidi messi in fila. I nostri "bracci" sono rappresentati dal gruppo amminico (mano sinistra) e dal gruppo carbossilico (mano destra). Quando ci teniamo per mano, formiamo un legame peptidico. Iniziamo con il primo amminoacido a sinistra, che ha la mano sinistra libera. Ogni amminoacido successivo ha entrambe le mani occupate fino ad arrivare all'ultimo, che ha la mano sinistra impegnata e la mano destra libera. Questo concetto si applica anche alle proteine, dove gli amminoacidi sono collegati. Ogni amminoacido lega il suo gruppo amminico all'amminoacido precedente e il gruppo carbossilico all'amminoacido successivo. Tutti gli amminoacidi, tranne il primo, hanno entrambe le mani impegnate nei legami peptidici. Quindi, il primo amminoacido ha l'estremità amminica libera, ed è chiamato estremità amminoterminale, mentre l'ultimo ha la mano destra libera ed è chiamato estremità carbossiterminale. Quando guardiamo da vicino la distanza tra due atomi in una molecola, di solito notiamo che i legami singoli sono un po' più lunghi dei legami doppi. A volte, quando guardiamo la struttura di una molecola, ci aspetteremmo di vedere un legame singolo, ma misurando la lunghezza, troviamo che è a metà strada tra un legame singolo e un legame doppio (lunghezza intermedia). I ricercatori si sono chiesti perché succede questo. La risposta è che in quel particolare legame ci sono tre atomi coinvolti, e questo permette agli elettroni di muoversi un po'. Immagina che gli elettroni siano come piccole particelle che circolano intorno agli atomi. In questo caso, l'azoto nel legame peptidico ha cinque di queste particelle nella sua parte più esterna. Per cercare di sistemarsi meglio, forma tre legami con altri atomi (raggiungendo l’ottetto). Anche se sembrerebbe che dovrebbe fare un legame singolo, rimane comunque con "cinque" particelle, quindi diciamo che ha un "doppietto" elettronico. Questo fa sì che il legame abbia una lunghezza un po' diversa da quella che ci aspetteremmo da un legame singolo. Dall'altra parte abbiamo l'ossigeno, che è un elemento molto bravo ad attirare gli elettroni, ossia è fortemente elettronegativo. Esaminiamo come l'ossigeno interagisce con gli elettroni presenti nei nutrienti che ingeriamo. In sostanza, quando l'ossigeno e l'azoto si legano, l'ossigeno "attrae" gli elettroni così fortemente che l'azoto finisce per condividere i suoi elettroni, formando un legame doppio carbonio-azoto. In questo processo, l'ossigeno prende l'elettrone del doppio legame. Quando ciò accade, l'elettrone che era originariamente 8 dell'azoto si sposta sul legame, mentre l'ossigeno assume una carica negativa. L'altro elettrone del doppio legame, che apparteneva al carbonio, fa sì che quest'ultimo assuma una carica positiva. Similmente, l'azoto diventa carico positivamente poiché condivide un doppietto elettronico. Questa situazione è resa possibile grazie alla presenza di due forme di risonanza, simili al concetto visto con il benzene, dove le strutture alternative si creano grazie agli spostamenti degli elettroni. Ma in realtà, qual è la vera struttura del legame peptidico? Il legame peptidico oscilla continuamente tra diverse forme. Noterai che vengono utilizzati i simboli + e - per indicare che non c'è una carica fissa, ma si basa sulle forme di risonanza. Questa osservazione può sembrare un po' complessa, ma in sostanza significa che il legame peptidico tra un gruppo carbossilico e un gruppo amminico è più dinamico di quanto pensassimo inizialmente: 1) Spieghiamo un'osservazione sperimentale: perché il legame peptidico non è né singolo né doppio? Questo è dovuto a un'osservazione intermedia. Può essere parzialmente singolo o parzialmente doppio (ha un parziale carattere di doppio legame). Quando misuriamo una popolazione di molecole, otteniamo una misura media che rappresenta l'intermedio tra le due forme del legame. La lunghezza del legame singolo e del legame doppio è significativamente diversa. Nel legame singolo c'è un doppietto elettronico, mentre nel legame doppio ce ne sono due. Inoltre, il legame doppio impedisce la rotazione, rendendo il legame peptidico rigido e planare, la sua natura chimica fa sì che ci sia un limite al numero di conformazioni che può assumere una catena polipeptidica e che i gruppi R siano disposti da parti opposte rispetto allo scheletro carbonioso. Questa immagine a " ball-and-stick" rappresenta gli atomi con colori specifici per ciascun tipo (grigi per il carbonio, bianchi per l'idrogeno, rosso per l'ossigeno, blu per l'azoto, e viola per le catene laterali). I legami tra carbonio (precedentemente gruppo carbossilico) e azoto (precedentemente gruppo amminico) formano angoli, indicando che le molecole si trovano sullo stesso piano, confermando la rigidità della posizione. Per comprendere meglio le conseguenze, consideriamo l'esempio di una collana e di piccole pietre. La collana è flessibile e può essere disposta liberamente, mentre le pietre incastrate limitano la flessibilità. Allo stesso modo, i punti in cui si trova il legame peptidico agiscono come pietre nello scheletro carbonioso, limitando la flessibilità della catena di amminoacidi. Quindi, abbiamo visto come gli amminoacidi si legano l'uno all'altro con un legame peptidico che va oltre un semplice legame singolo. Coinvolge il carbonio che si trova tra azoto e ossigeno, creando una situazione in cui l'azoto tende a cedere elettroni, mentre l'ossigeno li vuole prendere, creando una sorta di "conflitto" elettronico al centro del legame. 9 I livelli strutturali delle proteine Torniamo alla catena polipeptidica… Abbiamo i nostri amminoacidi dall'inizio alla fine (dalla amminoterminale alla carbossiterminale), sintetizzati e pronti per formare le proteine. Dopo che la sintesi proteica è completa e la catena esce dal ribosoma, la forma tridimensionale della proteina dipende dalla sua sequenza di amminoacidi e dalla sicurezza che essi offrono. Le forze più importanti che stabilizzano la struttura tridimensionale sono interazioni non covalenti. Quando descriviamo la struttura di una proteina, guardiamo ai suoi diversi livelli strutturali: 1) Struttura primaria: È la sequenza degli amminoacidi, dove il legame peptidico covalente tiene insieme (stabilizza) gli amminoacidi uno dopo l'altro. Questo legame covalente è il principale stabilizzatore nella struttura primaria, mentre negli altri livelli (secondario e terziario) prevalgono interazioni deboli. 2) Struttura secondaria: descrive la conformazione locale dello scheletro carbonioso della catena polipeptidica. le catene laterali (ciondoli) non intervengono in questa struttura, ma si lo scheletro carbonioso (collana). Non tiene conto della conformazione delle catene laterali ed è stabilizzata da legami idrogeno che coinvolgono il gruppo carbonilico e il gruppo amidico del legame peptidico. È stabilizzata da altri tipi di legami: a. La struttura α elica delle proteine (struttura elicoidale) è costituita da un elica destrorsa, si avvolge verso destra, con un passo di 3.6 residui, cioe ad ogni giro ci sono 3,6 amminoacidi. Lo scheletro formato dai piani peptidici è apolare. Possiamo immaginare lo scheletro carbonioso come un nastro che si avvolge, formando legami idrogeno tra il gruppo CO del primo amminoacido e il gruppo NH del quarto amminoacido successivo. Questa elica è stabilizzata da una sorta di ponti disposti parallelamente all'asse dell'elica, che sono i legami idrogeno coinvolti nel legame peptidico. Le catene laterali non sono coinvolte in questa stabilità, poiché la struttura secondaria rappresenta un ripiegamento del solo scheletro carbonioso, mentre le catene laterali della α elica si proiettano all'esterno. b. Foglietto β: è una struttura piatta e più estesa, con uno scheletro di carbonio che si dispone a forma di serpentina. Si tratta di un processo che avviene quando diverse parti della catena di proteine, anche se distanti tra loro, si combinano. I legami ad idrogeno si formano tra residui che possono essere molto lontani nella sequenza di amminoacidi. Questi legami coinvolgono di 10 solito da 5 a 10 residui. Nei punti in cui la catena peptidica cambia direzione, si trovano spesso delle anse o ripiegamenti, noti come ripiegamenti β o β-turn. Nei foglietti β, i residui di amminoacidi dei segmenti polipeptidici vicini stabiliscono legami idrogeno, formando strutture a foglietto. Questa conformazione è mantenuta da legami idrogeno tra i gruppi CO e NH dei filamenti adiacenti (scheletro carbonioso), mentre le catene laterali si estendono sopra o sotto il piano del foglietto β. Ci sono due tipi di foglietti β: i. Foglietto β parallelo: corrono tutti nello stesso senso creando una sorta di rami flessibili per poi continuare a correre. È sicuramente meno stabile ii. Foglietto β antiparallelo: i filamenti corrono in modo alternato in verso opposto 3) Struttura terziaria: è la disposizione nello spazio dell’intera catena polipeptidica e si avvale di interazioni fra aminoacidi che si trovano in posizioni lontane nella sequenza aminoacidica. E’ strettamente dipendente dai gruppi R e in particolare dalla loro polarità, potremmo distinguere proteine fibrose, proteine globulari. Non è un ripiegamento locale, si possono trovare vicini anche amminoacidi che sono distanti dalla catena. I legami che descrivono da cosa è stabilizzata questa struttura sono legami che riguardano la catena laterale, quindi le Interazioni che stabilizzano la struttura terziaria sono: i. Interazioni idrofobiche: abbiamo amminoacidi idrofobici che tengono ad interagire tra di loro per escludere il contatto con l’acqua. ii. Interazioni elettrostatiche (ponti salini): Questi si verificano quando le catene laterali delle aminoacidi presentano cariche elettriche opposte. Per esempio, la lisina ha una carica positiva che si lega a un aspartato che ha una carica negativa, formando così un ponte salino. Questo tipo di legame non coinvolge la condivisione di elettroni come nei legami covalenti, ma si basa su un'attrazione elettrostatica tra cariche opposte. iii. legami idrogeno fra gruppi delle catene laterali: I legami idrogeno tra i gruppi delle catene laterali svolgono un ruolo importante nella stabilizzazione della struttura terziaria delle proteine. A differenza della struttura secondaria, dove i legami idrogeno contribuiscono a mantenere la disposizione locale degli amminoacidi, nella struttura terziaria questi legami si formano tra le catene laterali, contribuendo così a definire la forma complessiva della proteina. In altre parole, mentre nella struttura secondaria i legami idrogeno lavorano localmente, nella struttura terziaria influenzano l'organizzazione tridimensionale dell'intera proteina. iv. ponti disolfuro: Sono presenti nelle proteine che si ripiegano nel reticolo endoplasmatico. In alcune proteine, soprattutto quelle prodotte da cellule che rilasciano ormoni, insulina o cheratina, c'è una 11 particolare interazione che contribuisce a stabilizzare la struttura tridimensionale della proteina. Questa interazione speciale è chiamata "ponti di solfuro" e rappresenta un'eccezione, in quanto si verifica solo in alcuni casi specifici. I ponti di solfuro si formano quando due residui di cisteina, all'interno della catena proteica, sono vicini tra loro e stabiliscono un legame covalente. 4) Struttura quaternaria: E’ tipica di proteine formate da più subunità che interagiscono tra loro mediante legami deboli. Le proteine possono avere una struttura complessa, e una di queste strutture è chiamata quaternaria. Questo tipo di struttura si verifica quando una proteina è formata da più subunità. Un esempio di proteina con struttura quaternaria è l'emoglobina, che è composta da quattro subunità. Un'altra proteina, chiamata l'enzima lattico deidrogenasi (LDH) ) agisce in forma tetramerica, svolge il ruolo di convertire l'acido piruvico, prodotto durante la glicolisi, in acido lattico. Il LDH ha diverse forme a seconda del tipo di subunità che lo compongono. Nel nostro genoma, ci sono due diversi geni che codificano le subunità H (cuore) e M (muscoli). Poiché il LDH è composto da quattro subunità, si ottengono 5 diverse combinazioni di subunità (isoenzimi). Ad esempio: LDH1: 4H LDH4: 1H 3M LDH2: 3H 1M LDH5: 4M LDH3: 2H 2M Gli isoenzimi della LDH sono markers di danno tissutale, cioè sono segnali che indicano se ci sono danni nei tessuti. Ad esempio quando una persona ha un attacco di cuore, i medici possono utilizzare un test chiamato dosaggio degli enzimi per capire se è avvenuto un infarto. Ci sono diversi tipi di enzimi, e uno specifico chiamato lattico deidrogenasi è presente principalmente nel cuore. Se c'è un danno al cuore, le cellule muscolari cardiache rilasciano questi enzimi nel sangue. Pertanto, se il test mostra la presenza di questo particolare enzima in un paziente, anche quando non dovrebbe esserci, significa che c'è un danno al cuore. Questo enzima diventa quindi un segno utile, chiamato biomarcatore, per indicare un problema cardiaco. 12 LEZIONE 8 5 dicembre Caratteristiche generali delle proteine 1) Le proteine svolgono svariate funzioni nella cellula: a. Funzioni strutturali d. catalisi enzimaca, b. trasporto di soluti e. trasduzione del segnale c. difesa/anticorpi 2) Le proteine possono essere solubili o insolubili in ambienti acquosi: a. Proteine globulari: solubili in ambienti acquosi, ovviamente dovranno avere una disposizione degli amminoacidi tale da renderli stabili in un sistema acquoso. Vengono chiamate così perche nella maggior parte dei casi hanno questa forma tondeggiante. Le proteine solubili in acqua presentano gruppi polari all'esterno e gruppi apolari all'interno, cioè hanno parti della loro struttura con cariche elettriche che amano l'acqua e sono esposte all'esterno, mentre le parti che non interagiscono bene con l'acqua sono nascoste all'interno. (enzimi, proteine regolatrici e immunoglobuline.) b. proteine di membrana: ad esempio i canali di membrana non sono proteine che troviamo in soluzione nel citosol della cellula, ma sono immerse nel doppio strato lipidico, hanno una disposizione di amminoacidi che le fa adattare bene dentro la membrana. Le proteine insolubili in acqua presentano gruppi apolari all’esterno, gruppi polari all’interno, cioè hanno parti della loro struttura che non interagiscono bene con l'acqua esposte all'esterno, mentre le parti con cariche elettriche che amano l'acqua sono nascoste all'interno (proteine fibrose, strutturali e proteine intrinseche di membrana.) 3) proteine fibrose: svolgono la loro funzione proprio perché sono insolubili e formano fibre. Queste fibre sono cruciali per consentire il movimento di un osso. 4) Le proteine possono essere coniugate: Le proteine non agiscono da sole. Spesso, svolgono le loro funzioni in una forma coniugata, che significa che oltre alla catena polipeptidica, c'è qualcos'altro che consente loro di svolgere la funzione. Ciò può includere: a. Gruppi prostetici: Parti non proteiche, come il gruppo eme. b. Metalli: Alcune proteine possono legarsi a metalli. c. Coenzimi: Molecole non proteiche che aiutano le proteine nelle loro attività. Ad esempio, l'emoglobina è una proteina che trasporta ossigeno. Tuttavia, la sua catena polipeptidica, anche se correttamente piegata, da sola non sarebbe in grado di trasportare ossigeno. L'emoglobina ha bisogno di un gruppo non proteico chiamato gruppo eme, chimicamente diverso dalla catena polipeptidica, che a sua volta si lega a un atomo di ferro (un metallo) per trasportare l'ossigeno. Quindi, l'emoglobina richiede un gruppo non proteico per svolgere la sua funzione. Lo stesso vale per alcuni enzimi. Molti di essi funzionano grazie ai cofattori, come i coenzimi (NAD, FAD), che sono molecole non proteiche e agiscono come gruppi accessori nel processo catalitico. 13 la solubilità delle proteine le proteine a seconda delle caratteristiche che hanno devono avere una certa struttura, la relazione struttura- funzione sta proprio nelle differenze tra le proteine solubili e insolubili in ambiente acquoso. Se guardiamo, quelle che devono essere solubili in ambiente acquoso devono avere una disposizione degli amminoacidi che sia opportuna per stare un ambiente acquoso. Nell’immagine a destra, se una proteina è solubile in ambiente acquoso deve avere gli amminoacidi idrofobici (in rosso= catena laterale idrofibica) all'esterno (superficie) per interagire con l'acqua, mentre quelli idrofobici (in giallo= amminoacidi a catena idrofobica, come gli aromatici) sono posizionati all'interno per evitare il contatto con l'acqua. Questo principio guida il processo di ripiegamento delle proteine. Questo processo di folding (ripiegamento) è guidato principalmente dalla necessità di mantenere i residui apolari lontani dall'acqua, favorendo l'interazione tra di essi, lasciando invece i residui amminoacidi polari sulla superficie in contatto con l’ambiente acquoso. Le proteine insolubili in acqua, come le proteine di membrana, devono invece adattarsi all'ambiente idrofobico della membrana. Le proteine immersi nella membrana devono avere residui idrofobici, poiché l'interno della membrana è idrofobico. Le parti esposte all'esterno o all'interno della cellula, dove c'è un ambiente acquoso (citosol), presenteranno invece residui idrofili. Denaturazione delle proteine Le proteine hanno la capacità di assumere una forma ripiegata specifica, ma in alcune situazioni devono essere "denaturate", ovvero, perdere la loro struttura. Questo è il processo opposto al ripiegamento. Ad esempio, la proteina globulare, che forma i globuli nel nostro corpo, può essere denaturata, facendo sì che la sua struttura finale si srotoli in una catena senza forme definite. Quando denaturiamo una proteina, la trasformiamo dalla sua forma finale a una catena srotolata, perdendo così gli elementi strutturali. Tuttavia, è possibile "rinaturare" la proteina, cioè farle riacquisire la sua struttura tridimensionale originale. Questo è stato dimostrato negli anni '50, mostrando che le proteine tendono a raggiungere spontaneamente la loro forma tridimensionale. Durante il metabolismo, ci sono momenti in cui è necessario denaturare le proteine. Ad esempio, quando mangiamo cibi ricchi di proteine, queste sono nella loro forma ripiegata e devono essere denaturate prima di poter essere digerite, poiché la forma ripiegata le rende inaccessibili ai sistemi digestivi. La denaturazione delle proteine comporta la perdita delle strutture quaternarie, terziarie e secondarie, ma non della struttura primaria, poiché i legami covalenti non vengono spezzati. 14 Ciò può determinare la perdita di attività biologica, coagulazione o aggregazione delle proteine e un aumento della sensibilità alle reazioni di taglio proteolitico. La denaturazione delle proteine è un fenomeno comune durante la cottura dei cibi. Un esempio è l'uovo, dove l'albume, una soluzione concentrata di proteine, diventa bianco quando cuoce a causa della denaturazione delle proteine contenute in esso. La denaturazione può essere indotta da vari agenti, come variazioni di temperatura, pH o l'uso di agenti denaturanti durante la cottura. proteine fibrose vengono chiamate anche proteine a struttura secondaria perche qui la struttura secondaria è un aspetto cruciale per la loro funzione. Le proteine fibrose formano lunghe catene che costituiscono impalcature strutturali e sono insolubili in acqua. Qui ci sono diversi tipi di proteine fibrose che vengono classificate in base alla loro struttura secondaria: 1) Alfa elica a. cheratina: presente nei capelli b. miosina: i filamenti spessi sono fatti di miosina che ha le due teste che camminano sui filamenti sottili e le code fibrose 2) fobbietto beta a. fibroina della seta (filamenti fatti di foglietti beta) 3) cavo ritorto a. collage ne α cheratina L'α cheratina è una proteina che si trova in diversi tessuti, come lo strato corneo, l'ultimo strato della pelle, capelli, lana, unghie... Questo strato contiene cellule cariche di cheratina, ma non sono tutte uguali: ci sono cheratine più dure e altre più morbide con caratteristiche diverse, a seconda della loro struttura. Dal punto di vista funzionale, la cheratina è una proteina estremamente resistente alla tensione e idrofobica, il che è importante perché contribuisce a rendere la pelle impermeabile. Questa protezione è fondamentale contro la disidratazione e gli agenti esterni. Le proteine fibrose, come la cheratina, prendono il nome dalla loro capacità di formare fibre. La struttura secondaria tipica della cheratina è l'α elica, e ogni molecola di α cheratina si avvolge formando coiled-coil, cioè si attorciglia su La permanente dei capelli è un’operazione15 di ingegneria biochimica se stessa. Queste unità si sovrappongono per formare microfibrille, che a loro volta si aggregano per formare macrofibrille. Le macrofibrille riempiono le cellule dei capelli. Esistono diversi tipi di cheratina, e la loro capacità di formare più o meno filamenti è influenzata da fattori come la presenza di legami idrogeno e interazioni con la cisteina, un amminoacido con una catena laterale di CH2SH. La cheratina ha una struttura primaria ricca di residui idrofobici (parti che respingono l'acqua) e una struttura secondaria a forma di α elica. Queste eliche si avvolgono insieme in modo stabile grazie a interazioni che respingono l'acqua (idrofobiche). La formazione di ponti di solfuro tra i residui di cisteina è un'eccezione alle interazioni non covalenti (legami a idrogeno, ponti salini, interazioni idrofobiche) e contribuisce a stabilizzare la struttura della cheratina. La presenza di valine e alanine, amminoacidi piccoli e idrofobici, oltre alle cisteine, influisce sulla rigidità o morbidezza della cheratina: più ponti di solfuro si formano, più dura diventa la cheratina, infatti la struttura base è rinforzata (struttura del protofilamento). Collagene Il collagene è una proteina fondamentale presente nel nostro corpo, costituendo il 25% di tutte le proteine. Il tipo più comune, il collagene di tipo I, si trova nei legamenti e costituisce la principale proteina del tessuto connettivo negli animali, infatti è resistente inestensibile, fa da sostegno a tutti i tessuti ad esempio la parete dei vari vasi sanguigni. Presenta delle caratteristiche cosi peculiari che si applicano solo al collagene: 1) la sua struttura primaria: è una proteina fibrosa rigida e non estensibile. La sua sequenza di amminoacidi non è molto variegata rispetto ad altre proteine. Predominantemente, ha una sequenza ripetitiva chiamata Gly-X-Y, dove X è prolina e Y è idrossiprolina, un residuo ogni 3 è di glicina. La glicina è un amminoacido in cui il carbonio non è chirale perche ha come catena laterale un idrogeno. 2) Prolina e Rigidità: X è spesso prolina, il gruppo amminico sembra mancare, ma è semplicemente legato alla catena laterale. La catena laterale della prolina non è libera di muoversi ma è agganciata al gruppo amminico. Vuol dire che in una qualunque catena dove abbiamo una prolina c’è un punto di rigidità. 16 3) Idrossiprolina: Una parte significativa dei residui nel collagene è costituita dall'idrossiprolina. Questa viene aggiunta successivamente alla traduzione grazie all'enzima chiamato prolina idrossilasi, che inserisce il gruppo ossidrilico nella prolina. Chimicamente, l'idrossiprolina forma un anello a 5 atomi, e i gruppi OH (ossidrilici) sono evidenziati in rosa. Nonostante l'idrossiprolina non sia uno degli 20 amminoacidi che compongono le proteine, essa trova spazio nel collagene. Durante la produzione del collagene, dopo che la molecola esce dal ribosoma, inizialmente non contiene idrossiprolina. Quest'ultima viene aggiunta successivamente tramite un processo chiamato modifica post-traduzionale. In questo processo, alcuni residui di prolina vengono idrossilati, ovvero viene aggiunto un gruppo OH. Questa immagine a sinistra in azzurro è la struttura di una molecola di collagene, notiamo che: 1) Non assomiglia a un'alfa elica. La struttura è un'elica sinistrorsa, più stretta e allungata a causa dei residui di prolina, infatti le proline rendono la catena talmente rigida che riesce vagamente a fare un’elica ma non è un’alfa elica. A differenza delle alfa eliche, che sono destrose e più ampie, questa è un'elica sinistrorsa, tipica e esclusiva del collagene. 2) Le fibre di collagene si formano con tre eliche che si avvolgono tra loro. Questa tripla elica è chiamata tropocollagene, l'unità base del collagene formata da 3 eliche sinistrose il cui avvolgimento complessivo è destroso. La presenza di prolina rende le eliche rigide e conferisce al collagene la sua resistenza. Questa struttura è nota anche come "cavo ritorto" per la sua robustezza. Le eliche sono sinistrorse a causa della presenza di residui di prolina che conferiscono rigidità alla molecola e resistenza alla tensione. Questa struttura è chiamata anche cavo ritorto (perche molto resistente). Nei punti in cui le tre eliche sono vicine, non c'è spazio tranne nei siti in cui si trova la glicina (questa cosa succede un amminoacido ogni tre). La glicina è l'unico amminoacido abbastanza piccolo da adattarsi in questi punti stretti. Sostituire la glicina con altri amminoacidi, come l'alanina con un gruppo metilico più grande, causerebbe instabilità nella struttura del collagene e potrebbe compromettere la corretta ripiegatura della fibra. 17 Questo è l’interno è stata tagliata a metà la fibra di collagene nel punto in cui si deve inserire la glicina, infatti non c’è spazio, se al posto della glicina che ha come catena laterale un idrogeno ci mettiamo anche una alanina che ha un gruppo metilico CH3 salta la struttura o comunque non è stabile. Dunque L’interno della tripla elica non presenta spazi vuoti nei punti in cui nella sequenza si trova la glicina. Modificazioni post-traduzionali della molecola di collagene: idrossilazione Dopo la traduzione della molecola di collagene, avvengono modificazioni chiamate idrossilazioni. Molti residui diventano idrossiprolina grazie a un'enzima chiamato prolina idrossilasi. Durante questa trasformazione, un gruppo ossidrilico (OH) viene aggiunto al gruppo amminico della catena laterale della prolina, conferendo maggiore rigidità alla molecola di collagene. Ci sono 2 osservazioni: 1) Questa reazione richiede ossigeno, ferro e vitamina C (acido ascorbico). L'idrossilazione è cruciale perché favorisce la formazione di legami idrogeno che rendono la tripla elica del collagene più resistente alla denaturazione. Quando si osserva la struttura del collagene, è importante non solo comprendere la sua composizione, ma anche capire ciò che mantiene insieme le sue componenti. La formazione spontanea della struttura stabile del collagene, come la tripla elica, implica la presenza di forze che favoriscono la stabilità. I legami idrogeno sono essenziali per la formazione del tropocollagene, l'unità di base del collagene. Tuttavia, la prolina, con le sue catene laterali sporgenti all'esterno, non fornisce naturalmente i punti necessari per la formazione di legami idrogeno. Per risolvere questo problema, alcuni residui di prolina vengono modificati in idrossiprolina. L'aggiunta del gruppo OH funge come un "gancio" che consente la formazione di legami idrogeno tra le tre catene del collagene, stabilizzando così la struttura della tripla elica. Senza questi punti di aggancio, i legami idrogeno non si formerebbero adeguatamente, compromettendo la stabilità della tripla elica del collagene dunque l'idrossilazione è cruciale per garantire la formazione di legami idrogeno che rendono la tripla elica più resistente alla denaturazione. 18 2) La carenza di Vitamina C provoca una malattia nota come SCORBUTO che si manifesta con lesioni epidermiche, fragilità capillare, difficoltà di cicatrizzazione delle ferite. Qui non si formano i legami idrogeno oppure se ne formano meno di quinti se ne dovrebbero formare. L’organizzazione delle fibre di collagene Guardando l'immagine da sinistra, vediamo la molecola di tropocollagene. Le eliche di collagene sono intrecciate tra loro. Quando il collagene viene prodotto, otteniamo dei bastoncini, ognuno dei quali è composto dal proprio collagene e uno di essi è a tripla elica. Questi bastoncini non costituiscono ancora la fibra di collagene, poiché devono ancora formarsi. La formazione avviene posizionando lateralmente le unità di tropocollagene in modo accurato. Ogni unità è come un bastoncino che, nella fibra, vediamo affiancati in modo ordinato. Questi bastoncini, disposti in modo ordinato, generano la fibra di collagene. Quando questo avviene, si dispongono in modo così ordinato che, osservando la struttura della fibra di collagene al microscopio elettronico, sembra a righe, anche se in realtà non lo è. Questa disposizione deriva dal fatto che le unità di tropocollagene sono parallele tra loro, ma non sono allineate perfettamente testa a testa o coda a coda; le unità di tropocollagene si dispongono in modo ordinato e sfalsate di un quarto della lunghezza l’una rispetto all’altra. Questa disposizione crea zone alternanti tra pieno e vuoto. Ad esempio, se osserviamo una sezione trasversale, noteremo che alcune aree sono chiare perché contengono meno colorante dovuto alla presenza di residui proteici, mentre altre sono più scure perché presentano spazi vuoti dove il colorante penetra maggiormente. Quando le unità di tropocollagene si organizzano vicine l'una all'altra formando la fibra di collagene, è necessario qualcosa che stabilizzi la loro struttura globale. Questa stabilizzazione avviene in parte grazie alle interazioni idrofobiche, poiché il collagene è una proteina idrofobica. Tuttavia, la fibra di collagene è anche stabilizzata da legami crociati, che contribuiscono a mantenerne la struttura compatta. In assenza di tali interazioni, le unità di tropocollagene non riuscirebbero a rimanere adiacenti e la fibra non sarebbe in grado di formarsi in modo coerente. 19 Le fibre di collagene sono stabilizzate da legami crociati Questi legami si creano tra gli amminoacidi lisina (modificati) in un modo complicato. Iniziamo con il tropocollagene, che forma l'unità di base. Questa unità viene portata fuori dalla cellula, e qui avvengono i legami crociati. Questi legami crociati sono come piccole graffette, ma in questo caso sono legami covalenti e non legami idrogeno come quelli nel tropocollagene. Questi legami si formano tra i vari filamenti della fibra. Più legami crociati ci sono, più la fibra diventa dura e resistente. La quantità di legami crociati nelle fibre di collagene (entità del cross-linking aumenta) aumenta con l'età, rendendo le fibre più dure. Questi legami sono particolarmente concentrati vicino alle estremità N- e C-terminali. L'entità del cross-linking aumenta con l'avanzare dell'età. La formazione dei legami crociati si basa sul legame di residui di lisina modificati. I difetti del collagene sono associati a malattie genetiche Sindrome di Ehlers-Danlos: Difetti nella maturazione del collagene di tipo I o III. Si manifestano con la perdita di rigidità dei tessuti che diventano elastici per la presenza di elastina Osteogenesis imperfecta: Mutazioni dei geni COL1A1 o COL1A2 Sono mutazioni in cui una glicina è convertita in una altro amminoacido, infatti non è un dettaglio che un residuo ogni 3 debba essre di glicina perche ne basta una di quelle glicine che sia diversa anche sono una alanina per portare a questa patologia. Caratterizzata da fragilità ossea, sclera blu, malformazioni, difetti di udito. Proteine che legano l’ossigeno: emoglobina e mioglobina L’ossigeno è una molecola essenziale alla vita delle cellule aerobiche. Tuttavia, l'ossigeno presente nell'aria è poco solubile in acqua. Anche se c'è molta aria intorno a noi, l'ossigeno si dissolve poco in acqua. Questo è un problema perché l'ossigeno deve essere trasportato nel nostro corpo, ma non può essere semplicemente disciolto nel plasma sanguigno perché si diffonderebbe troppo lentamente nei tessuti. Questo diventa più critico per gli organismi più grandi, poiché la quantità di ossigeno di cui hanno bisogno è maggiore. Con l'evoluzione, sono emersi sistemi per trasportare e trattenere più efficacemente l'ossigeno. Ad esempio, nelle cellule rosse del sangue, chiamate eritrociti, l'ossigeno si lega a un gruppo chiamato eme, che contiene ferro. Questo gruppo eme permette di trasportare grandi quantità di ossigeno, circa 1000 volte di più rispetto a quanto sarebbe possibile se l'ossigeno dovesse semplicemente dissolversi in soluzione. Il ferro, in particolare nella forma Fe+2 20 (metallo di transizione), è uno dei metalli che può legare l'ossigeno. Per evitare reazioni indesiderate con l'ossigeno libero, il ferro viene incorporato nell'eme. Questo gruppo eme è parte di proteine speciali che si legano all'ossigeno producendo radicali liberi, consentendo così il suo trasporto nel corpo: Rosso: ossigeno Giallo: ferro Azzurro: azoto Grigio: carbonio La struttura del gruppo eme chimicamente è chiamata protoporfirina I. L'eme da solo non può trasportare l'ossigeno; è il gruppo eme che svolge questa funzione grazie ai suoi 4 atomi di azoto disposti in una molecola a 4 anelli tipici della protoporfirina. Questi anelli sono a 5 atomi, e la punta di ciascuno è sempre un atomo di azoto. Questo particolare atomo di azoto ha la capacità di legare un atomo di ferro. I 4 atomi di azoto cedono un doppietto elettronico al ferro e lo coordinano al centro del gruppo eme. Quindi, il gruppo eme è la molecola che trasporta l'ossigeno, ma non lo fa direttamente: al centro del gruppo eme è legato un atomo di ferro. Ogni atomo di ferro può formare 6 legami di coordinazione, quindi l'atomo al centro stabilisce 4 legami con gli atomi di azoto, 1 legame con la proteina (il punto di legame con la mioglobina o l'emoglobina) e l'altro lega l'ossigeno. Descriviamo il gruppo eme e come si lega all’ossigeno: Il gruppo eme è una parte di una proteina che possiamo trovare sia nell'emoglobina che nella mioglobina. Osserviamo: 1) Quando esaminiamo la struttura di queste proteine, notiamo che sono composte principalmente da tubi chiamati alfa eliche. Queste sono proteine ad alfa elica e presentano una caratteristica speciale: sono costituite da una serie di alfa eliche. A differenza di altre proteine, che potrebbero avere eliche o foglietti beta numerati (come elica 1, 2, 3 o foglietto beta 1, 2, 3), nell'emoglobina e nella mioglobina viene utilizzata un'altra nomenclatura. In questo caso, le eliche sono denominate con le lettere dell'alfabeto dalla A all'H. Queste lettere non vengono solo utilizzate per chiamare le parti della proteina, ma anche per le connessioni tra di esse. Ad esempio, il loop tra le connessioni elica A e B è chiamato loop AB. 2) Gli amminoacidi che costituiscono le proteine dell'emoglobina e della mioglobina non sono identificati dalla loro posizione numerica, come avviene per altre proteine (ad esempio, glutammato 25). Invece, si fa riferimento all'elica a cui appartengono. Ad esempio, la leucina in posizione 7 sull'elica A è indicata 21 come "lanina A7". Il gruppo eme all'interno di queste proteine è stabilizzato da due amminoacidi chiamati istidine, di cui uno è prossimale (F8) e l'altro distale (E7). Queste istidine mantengono ferma la posizione del gruppo eme. La istidina distale (E7) non interagisce direttamente con il ferro, ma contribuisce a mantenere l'ossigeno nella giusta posizione. L'eme viene inserito nelle proteine della famiglia delle globine, come l'emoglobina e la mioglobina. Il legame tra il ferro e l'istidina prossimale (F8) e distale (E7) avviene attraverso legami di coordinazione, stabilizzando così la struttura complessiva e facilitando il trasporto dell'ossigeno. 22 LEZIONE 9 11 dicembre Questa immagine rappresenta la struttura tridimensionale delle due proteine. Osserviamo: A sinistra c'è la mioglobina, presente nei muscoli, che trasporta l'ossigeno nei tessuti. A destra c'è l'emoglobina, che trasporta l'ossigeno nel sangue all'interno degli eritrociti. Emoglobina e mioglobina sono simili nella struttura, ma la mioglobina è formata da una singola catena con struttura primaria(monomerica=costituita solo da una subunita ECCO PERCHE è PIU PICCOLA), mentre l'emoglobina è formata da quattro catene (tetramerica= ha una struttura quaternaria,presente solo nelle proteine con più subunità). La struttura quaternaria dell'emoglobina le conferisce alcune proprietà in più rispetto alla mioglobina. La mioglobina lega un gruppo eme e può trasportare una molecola di ossigeno, mentre l'emoglobina, con le sue quattro subunità, può legare e trasportare quattro molecole di ossigeno. Osservando una singola subunità dell'emoglobina, notiamo che assomiglia molto alla mioglobina. Possiamo concludere che l'emoglobina non è quattro volte diversa dalla mioglobina, ma è composta da quattro unità simili, rendendola essenzialmente "quattro volte" la mioglobina. Mioglobina La mioglobina (Mb) è una proteina muscolare che lega l'ossigeno. E’ una proteina monomerica di 153 residui. La Mb ha elevata affinità per l’O2 e lo estrae dal sangue saturandosi quasi al 100% (30mmHg). È una proteina essenziale che trasporta l'ossigeno nei tessuti del nostro corpo. Il prefisso "mio" indica la sua importanza nei muscoli, dove il metabolismo dipende fortemente dall'ossigeno. Si tratta di una proteina composta da una sola unità (monomerica) con un'elevata affinità per l'ossigeno, il che significa che la lega molto bene. Il grafico associato a questa caratteristica è chiamato "curva di saturazione della mioglobina per l'ossigeno". La curva di saturazione della Mb rivela che essa è in grado di rilasciare O2 nelle cellule dei tessu6 metabolicamente a8vi dove la pressione parziale di O2 è bassa. Nel grafico: Asse x: rappresentante la pressione parziale di ossigeno (ovvero la concentrazione), spostandoci da sinistra verso destra, la concentrazione di ossigeno aumenta. 23 Asse y: c’è questo simbolo che sta ad indicare la frazione che ha legato l’ossigeno. Questo valore varia da 0 a 1: 0 indica che nessuna molecola di ossigeno è legata, mentre 1 significa che la mioglobina è completamente satura di ossigeno. Quando la pressione parziale di ossigeno è zero, la saturazione è anch'essa zero, poiché senza ossigeno la mioglobina non può legarlo. Man mano che la pressione parziale di ossigeno aumenta, la mioglobina lega sempre più ossigeno, fino a raggiungere la saturazione massima quando tutta la mioglobina è completamente satura di ossigeno (valore 1) C'è una specie di regola che si segue per capire quanto un tipo di proteina si lega all'ossigeno. Si guarda la pressione parziale dell'ossigeno a cui la proteina è saturata al 50%. Poi si traccia una linea e si guarda a quale pressione di ossigeno la proteina è saturata al 50%. Il ragionamento è questo: se ho due proteine e una si satura al 50% con poco ossigeno (una piccola quantità), mentre l'altra ha bisogno di molto ossigeno (una quantità maggiore) per arrivare al 50%, significa che la prima ha una maggiore affinità. Il valore a cui la proteina è saturata al 50% si chiama P50. In pratica, se la P50 è più bassa, significa che la proteina ha una maggiore affinità per l'ossigeno, perché le serve meno ossigeno per raggiungere il 50% di saturazione. Per valutare l'attività di una proteina legata all'ossigeno, si utilizza il valore P50, che rappresenta la pressione di ossigeno a cui la proteina è saturata al 50%. Guardando la curva di saturazione dell'ossigeno, si valuta quanto ossigeno la proteina ha legato al variare della sua pressione parziale, andando dallo 0% al 100%, fino a un certo valore che dipende dalla specifica proteina in studio. Linea azzurra: ci dice la saturazione del sangue arterioso Linea rossa: pressione parziale di ossigeno del sangue venoso Osserviamo che la mioglobina è legata bene all'ossigeno, mostrato dalla saturazione quasi completa sulla linea azzurra. Inoltre, la mioglobina funge da efficace trasportatore, rilasciando l'ossigeno nei tessuti quando si trova nel sangue venoso, dove la pressione parziale di ossigeno è più bassa. La mioglobina ha un'alta capacità di legare l'ossigeno, rendendola una proteina molto efficiente per trasportare l'ossigeno. Emoglobina L'emoglobina è una proteina tetramerica composta da quattro globine, divise in due subunità alfa: alfa(141 aa) e due subunità beta beta(146 aa). Le subunità non sono tutte uguali, ma si presentano in coppia alfa 2 e beta 2, formando così la struttura alfa 2 beta 2. Le subunità alfa e beta sono simili tra loro e contengono ciascuna 140 amminoacidi, oltre a un gruppo eme. L'emoglobina è pertanto in grado di trasportare quattro molecole di ossigeno. La struttura dell'emoglobina non è perfettamente simmetrica, poiché le quattro subunità 24 non sono identiche. L'interfaccia tra le subunità alfa2beta2 e alfa1 beta1 mostra un'interazione più intensa rispetto alle interazioni orizzontali. Questa asimmetria fa sembrare le due metà della molecola più simili a due metà piuttosto che a quattro unità simmetriche. Le interazioni tra alfa2beta2 e alfa1beta1 sono particolarmente forti, principalmente dovute a interazioni idrofobiche tra amminoacidi. Le interazioni alfa1beta2 e alfa2beta1 sono caratterizzate da ponti salini e legami idrogeno. La risoluzione della struttura dell'emoglobina ha rivelato la sua capacità di esistere in due diversi stati: 1) Abbiamo l’emoglobina in uno stato T da 2) Veddiamo lo stato R, rilassato che è lo teso, è l’emoglobina deossigenata, stato con l’ossigeno legato. quando non ha l’ossigeno legato Se confrontiamo queste immagini possiamo notare delle differenze: 1) Al centro c’è meno spazio nello stato rilassato 2) Le interazioni in senso verticale tra alfa 1 beta 1 e alfa 2 beta 2 sono praticamente identiche e più forti a causa della natura idrofobica. Tra gli stati T (tensivo) e R (rilassato) non ci sono cambiamenti in tali interazioni. 3) Le variazioni principali si verificano nelle interazioni in senso orizzontale, che sono descritte come simili a una rotazione tra le due metà dell'entità, analogamente alle mani che si muovono l'una rispetto all'altra. 4) Quando l'ossigeno si lega all'emoglobina, si verifica un cambiamento nella struttura dell'emoglobina. Sebbene non sia una chiusura completa, le due metà si spostano l'una rispetto all'altra, principalmente nella parte dove erano presenti le interazioni di natura polare, come legami idrogeno e ponti salini, con un angolo abbastanza consistente. 25 Emoglobina e mioglobina: confronto delle curve di saturazione per l’O2 Guardando il grafico dell’emoglobina possiamo fare due diverse osservazioni: 1) Forma della curva (osservazione di tipo qualitativo): La curva dell'emoglobina ha una forma a sigmoide, a differenza di un ramo di iperbole come nel caso della mioglobina. La forma a sigmoide suggerisce una somiglianza con la lettera "S", indicando un diverso funzionamento della proteina. 2) Affinità per l'ossigeno: La mioglobina ha una maggiore affinità per l'ossigeno rispetto all'emoglobina. Questa maggiore affinità è correlata al valore di P50, poiché più basso è il P50, maggiore è l'affinità. La mioglobina lega l'ossigeno in modo più efficiente. La curva di saturazione per l'ossigeno di emoglobina (Hb) e mioglobina (Mb) evidenzia la maggiore affinità della mioglobina per l’O2. La curva della mioglobina è di tipo iperbolico, mentre quella dell'emoglobina è sigmoide. Questa caratteristica è tipica delle proteine allostere, il che significa che le proprietà della proteina sono modulate dall'interazione con ligandi che si legano in un sito distante dal sito di legame dell'ossigeno, ma che influenzano comunque l'affinità per l'ossigeno. L'emoglobina funge da trasportatore più efficiente della mioglobina, poiché lega l'ossigeno nei polmoni e lo rilascia nei tessuti in modo coordinato e regolato. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è l'emoglobina e non la mioglobina a svolgere il ruolo principale nel trasporto dell'ossigeno. la mioglobina lega bene l'ossigeno, ma potrebbe non rilasciarlo efficacemente nei tessuti, rendendola meno adatta come trasportatore del sangue. Al contrario, l'emoglobina si satura al 100% a livello polmonare e rilascia l'ossigeno nei tessuti, dimostrandosi così un buon trasportatore. Il grafico in questione evidenzia le differenze tra l'emoglobina e la mioglobina a livello polmonare e nei tessuti. A livello polmonare, entrambe le proteine sono approssimativamente equivalenti nel legare l'ossigeno, raggiungendo una saturazione al 100% a una data pressione parziale di ossigeno. Tuttavia, a livello dei tessuti, la mioglobina rimane saturata al 100%, indicando un'alta affinità che mantiene saldamente legato l'ossigeno. D'altro canto, l'emoglobina rilascia l'ossigeno nei tessuti, passando da una saturazione del 100% a circa il 70%, indicando che il 30% dell'ossigeno è in grado di dissociarsi a questo livello. 26 L'emoglobina è una proteina complessa composta da quattro subunità, e la sua struttura quaternaria è fondamentale per le sue proprietà. La capacità dell'emoglobina di legare l'ossigeno è determinata dalla sua curva di saturazione, che a sua volta dipende dalla presenza della struttura quaternaria. Questa struttura conferisce all'emoglobina la caratteristica di essere una proteina allosterica: in seguito al legame di un ligando va incontro ad una transizione conformazionale che ne modifica l’affinità per l’ossigeno. Il legame dell’O2 non modifica sostanzialmente la struttura tridimensionale delle singole subunità, ma la loro relazione spaziale. Immaginando il sito attivo come il punto in cui l'ossigeno si lega alla proteina, l'allosteria indica che interferenze con la proteina da parte di molecole legate a siti distanti dal sito di legame dell'ossigeno possono modificare l'affinità complessiva dell'emoglobina per l'ossigeno. L’O2 è anche un effettore allosterico dell’HB Il legame dell'ossigeno con una subunità dell'emoglobina è cruciale per aumentare l'affinità delle altre subunità nei confronti dell'ossigeno. Questo legame favorisce la transizione dalla forma T (tesa) alla forma R (rilassata) dell'emoglobina. La transizione è causata dallo spostamento dell'atomo di ferro al centro del gruppo eme dopo il legame con la molecola di ossigeno. L'ossigeno stesso agisce come il primo modulatore dell'attività dell'emoglobina per l'ossigeno. Si è osservato che i quattro siti di legame dell'ossigeno non sono indipendenti: se l'ossigeno si lega a una subunità, aumenta l'affinità delle altre subunità. Questo processo è rappresentato in un grafico dove l'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno aumenta con l'aumentare del numero di molecole di ossigeno legate. L'ossigeno agisce non solo come una molecola trasportata dall'emoglobina ma anche come un effettore allosterico positivo, aumentando l'affinità complessiva dell'emoglobina per l'ossigeno. Questo è dovuto al fatto che l’ossigeno quando si lega l’ossigeno forza l’emoglobina ad andare dallo stato teso allo stato rilassato e nello stato rilassato lega meglio l’ossigeno. Quindi il legame della prima molecola di ossigeno facilita il legame delle altre e cosi via, così l’affinità aumenta, l’ossigeno non è solo la molecola che viene trasportata dall’emoglobina ma è anche un efettore allosterico positivo. Il meccanismo di aumento dell'affinità è legato a un cambiamento strutturale. Quando l'ossigeno si lega, l'atomo di ferro, che è legato all'istidina prossimale, viene tirato, rendendo il gruppo eme più rigido. Questo spostamento dell'atomo di ferro e dell'istidina prossimale è responsabile di un cambiamento conformazionale nell'emoglobina, facilitando ulteriori legami con l'ossigeno e aumentando complessivamente l'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno. 27 L’Hb risente di diversi effettori allosterici oltre all’O2 L'emoglobina (Hb) è influenzata da diversi effettori allosterici oltre all'ossigeno (O2). Tre di questi effettori sono i protoni (ioni H+), l'anidride carbonica (CO2), e l'ossigeno stesso. Quando questi effettori si legano all'emoglobina, stabilizzano lo stato deossigenato della proteina, favorendo così il rilascio di ossigeno. In pratica, se l'emoglobina ha già legato l'ossigeno e incontra ioni H+ e anidride carbonica, rilascerà l'ossigeno. Questo avviene perché i protoni e la CO2 interagiscono con l'emoglobina, spostando l'equilibrio verso la forma deossigenata e diminuendo l'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno. In questo modo, gli ioni H+ e la CO2 agiscono come effettori allosterici che modulano il legame dell'ossigeno all'emoglobina. Effetto degli ioni H+ l’effetto di questi ioni è un effetto bohr. Gli ioni H+ influenzano la curva di dissociazione dell'emoglobina, spostandola verso destra quando il pH diminuisce. Questo è dovuto al legame dei protoni con i residui di istidina C-terminale (his C-terminale) contribuendo a comprendere il trasporto dell'anidride carbonica e la sua relazione con la respirazione. La respirazione, sia a livello macroscopico che microscopico nelle cellule, coinvolge l'utilizzo di ossigeno per ossidare nutrienti, generando anidride carbonica. L'emoglobina non solo trasporta ossigeno, ma facilita anche il trasporto dell'anidride carbonica dai tessuti ai polmoni nel sistema circolatorio. delle subunità β dell'emoglobina, stabilizzando la forma T. Poiché il pH è il logaritmo negativo della concentrazione degli ioni H+, un aumento della loro concentrazione (diminuzione del pH) sposta la curva verso destra, aumentando la P50 e riducendo l'affinità per l'ossigeno. In condizioni di attività muscolare o metabolica elevata, che produce acidi e quindi più ioni H+, l'emoglobina rilascia più ossigeno, consentendo una fornitura più efficiente nei tessuti attivi. Effetto della CO2 il tessuto con un metabolismo attivo produce molta CO2, che segnala all'emoglobina di rilasciare ossigeno perche li il tessuto sta lavorando e quindi riduce l’attività dell’ossigeno.. L'anidride carbonica si lega fisicamente alla emoglobina (catene ammino terminali) formando il carbammato. Questo meccanismo spiega l'effetto di H+ e CO2 sull'emoglobina, contribuendo a comprendere il trasporto dell'anidride carbonica e la sua relazione con la respirazione. La respirazione, sia a livello macroscopico che microscopico nelle cellule, coinvolge l'utilizzo di ossigeno per ossidare nutrienti, generando anidride 28 carbonica. L'emoglobina non solo trasporta ossigeno, ma facilita anche il trasporto dell'anidride carbonica dai tessuti ai polmoni nel sistema circolatorio. La CO2, stabilizza la deossiemoglobina reagendo con i gruppi amminici terminali e formando così residui di carbammato carichi negativamente. Ciò influenza l'interfaccia tra i dimeri alfabeta dove i gruppi carichi negativamente del carbammato partecipano alla formazione di legami salini che stabilizzano lo stato T, favorendo il rilascio dell'ossigeno Trasporto della CO2 L'ossigeno deve essere trasportato dai polmoni ai tessuti mentre la CO, deve essere trasportata dai tessuti ai polmoni per essere espirata. La CO, è scarsamente solubile nel plasma sanguigno. Essa viene trasportata in 3 modi: 1) 5% come CO2 gassosa 2) 70% come ione bicarbonato (trasporto indiretto) 3) 25% legata al residuo amminoterminale della emoglobina (carbamminoemoglobina) o di altre proteine ematiche (trasporto diretto Il processo di trasporto dell'anidride carbonica nel corpo è complesso e coinvolge diversi meccanismi. Inizialmente, una parte della CO2 prodotta in tessuti metabolicamente attivi viene legata direttamente all'emoglobina (trasporto diretto), formando il carboamminoemoglobina, e questo rappresenta solo il 25% del trasporto totale. La restante CO2 non può essere trasportata interamente come gas, poiché ciò renderebbe il sangue efervescente. solo il 5% della CO2 viene trasportato in forma gassosa. Il 70% della CO2 prodotta nei tessuti viene trasportata indirettamente sotto forma di ione carbonato o idrogeno carbonato. Questo meccanismo, chiamato trasporto indiretto, prevede che la CO2 reagisca con l'acqua per formare ioni di carbonato o idrogeno carbonato. Questo processo avviene ciclicamente e non coinvolge direttamente l'anidride carbonica, ma piuttosto i suoi prodotti ionici. Nei nostri tessuti c'è una proteina chiamata ANIDRASI CARBONICA, che è un tipo di enzima. Questo enzima facilita una reazione tra anidride carbonica e acqua, trasformandole in acido carbonico (H2CO3). Normalmente, questa reazione avviene lentamente, ma è essenziale per 29 il nostro corpo. L'acido carbonico formato si dissocia a un pH di sette quattro (il pH del nostro sangue), producendo ioni H+ e ioni bicarbonato. Quando i tessuti sono molto attivi metabolicamente, si generano ioni H+. La maggior parte di questi ioni H+ proviene dalla reazione che produce anidride carbonica e acido carbonico. Questo processo produce anche CO2, che reagisce con l'acqua per formare acido carbonico. L'acido carbonico, a sua volta, si dissocia producendo ioni H+ e ioni bicarbonato. Gli ioni H+ vengono "percepiti" dall'emoglobina ossigenata. Quando gli ioni H+ aumentano, l'emoglobina ossigenata li rileva e rilascia ossigeno. In sostanza, se ci sono molti ioni H+, l'emoglobina capisce che il tessuto è molto attivo metabolicamente e rilascia più ossigeno in quel punto. L'emoglobina ossigenata viene trasportata dal tessuto polmonare, mentre l'emoglobina deossigenata protonata ritorna ai polmoni attraverso il sangue venoso insieme agli ioni bicarbonato. Nei polmoni, ci sono molte molecole di ossigeno negli alveoli. Lì, l'ossigeno si lega all'emoglobina, rompendo il protone e formando una proteina ossigenata che ritorna ai tessuti, rilasciando il protone. Nel frattempo, nel plasma polmonare, l'ione bicarbonato si combina con due ioni H+ per formare acido carbonico. A livello polmonare, l'anidride carbonica catalizza la reazione opposta, producendo acqua e anidride carbonica che viene espulsa nell'atmosfera. Questo processo è chiamato trasporto indiretto della CO2 perché la CO2 non viene trasportata direttamente, ma sotto forma di ioni bicarbonato. Osservando questo processo, notiamo che nel plasma c'è sempre un equilibrio tra acido carbonico e ione bicarbonato, rappresentando un acido e la sua base coniugata. Questo equilibrio può essere spostato a seconda delle esigenze di tamponamento del pH del sangue, e questa capacità è strettamente legata alla frequenza respiratoria. Gli infermieri possono valutare la frequenza respiratoria per comprendere eventuali problemi metabolici e alterazioni del pH del sangue. Azione del 2,3-bifosfoglicerato L'emoglobina fetale (alfa2gama2) è un tipo diverso di emoglobina rispetto a quella degli adulti ed è un effettore allosterico. A differenza dell'emoglobina adulta, l'emoglobina fetale ha subunità γ al posto delle subunità β. I globuli rossi fetali hanno una maggiore affinità per l'ossigeno rispetto a quelli materni, principalmente a causa dell'assenza delle subunità β e della presenza di subunità γ. Il 2,3-bifosfoglicerato (BPG) è una molecola che influisce sull'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno. In presenza di BPG, l'emoglobina fetale ha una maggiore affinità per l'ossigeno rispetto all'emoglobina A materna. Il BPG si lega al centro dell'emoglobina, che è ricoperto di cariche negative. Questo legame è favorito dalle catene β che hanno amminoacidi carichi positivamente sopra di esse. 30 Il BPG è un effettore allosterico negativo, il che significa che riduce l'attività dell'emoglobina per l'ossigeno, permettendo un maggiore rilascio di ossigeno nei tessuti. Questa molecola, derivante dal metabolismo dei carboidrati, è cruciale per il trasporto efficiente di ossigeno nell'organismo. Il BPG permette che l'Hb rilasci circa il 40% dell’ossigeno a livello dei capillari. L'adattamento all'altitudine coinvolge il BPG, poiché in condizioni di altitudine elevata, dove l'ossigeno è scarso, l'organismo produce più BPG per rendere l'emoglobina più efficiente nel trasporto di ossigeno poi è rilasciato a livello tissutale. Questo spiega perché le persone con problemi cardiovascolari sono sconsigliate a salire a quote elevate. Durante lo sviluppo embrionale e fetale, l'emoglobina è di tipo fetale e differisce da quella dell'adulto. L'emoglobina fetale, alfa 2 gamma 2, non contiene le catene beta e non lega il 2,3-bifosfoglicerato. Di conseguenza, l'emoglobina fetale non subisce l'effetto allosterico negativo del BPG, avendo una maggiore affinità per l'ossigeno rispetto all'emoglobina materna. Questa differenza è cruciale per gli scambi di ossigeno tra l'emoglobina materna e quella fetale nella placenta e infatti lo vediamo da questa curva, questo serve per vedere gli scambi che avvengono nella placenta, l’ossigeno è cedito dall’emoglobina materna a quella fetale. Se l’emoglobina fetale avesse la stessa identica affinità di quella materna quella materna non gliel cederebbe l’ossigeno oppure glielo cederebbe molto meno. Varianti patologiche dell’Hb: anemia falciforme L'emoglobina S è una forma diversa dell'emoglobina che si forma quando il glutammato nella posizione 6 della catena beta viene sostituito dalla valina. Questa variante è legata a una malattia genetica (autosomica recessiva) chiamata anemia falciforme, che è ereditata in modo recessivo. La principale sfida per chi ha questa condizione non è tanto la forma degli eritrociti (globuli rossi), ma il fatto che, nei nostri capillari, questi eritrociti hanno dimensioni simili agli amminoacidi. Questo favorisce gli scambi di ossigeno e rende la membrana molto elastica per adattarsi ai capillari stretti. Immagina che i capillari siano così stretti che possono passare solo 5 eritrociti alla volta. Questa conformazione stretta è importante per facilitare gli scambi di ossigeno e CO2. Se i capillari fossero molto larghi, gli eritrociti non riuscirebbero a effettuare questi scambi. Nei pazienti con anemia falciforme, in assenza di ossigeno, i capillari diventano poco elastici e si formano delle lesioni dolorose a livello periferico. Inoltre, a causa della forma alterata degli eritrociti, possono rompersi e causare anemia perche poi si rompono gli elettrociti quindi vanno incontro emofici. A livello molecolare, il problema è che la presenza della valina al posto di una carica negativa (glutammato) causa la formazione di una struttura esposta idrofobica in una subunità. Questa valina si incastra perfettamente quando l'emoglobina è priva di ossigeno, come avviene nei capillari (quindi l’emoglobina è deossigenata). Quando la pressione di ossigeno 31 diminuisce nei capillari, l'emoglobina rilascia l'ossigeno e le molecole iniziano ad aderire l'una all'altra, formando delle fibre. Quindi questa è una Malattia genetica dovuta alla sostituzione del Gluß6 in Val. Si genera HbS L'emoglobina S tende all'aggregazione. Sintomi: Anemia emolitica cronica, suscettibilità alle infezioni Trattamento: analgesici, antibiotici, trasfusioni Nelle catene ß dell' emoglobina S l'acido glutammico in A3 (Glu 6) è sostituito da una valina (Val 6). Questo fa sì che Val 6 si inserisca nella tasca idrofobica del gomito EF di una catena ß di un'altra molecola di emoglobina. La tasca idrofobica in EF è accessibile solo nelle forme deossigenate Varianti patologiche dell’Hb: talassemie Il nome di questo gruppo di malattie proviene dalla parola greca "thalassa", che significa "mare". Questo perché molte persone che vivono sulle coste del Mare Mediterraneo hanno spesso una forma di talassemia. Si tratta di un difetto nella produzione di una o più catene dell'emoglobina, e la catena specifica coinvolta è indicata dalla lettera che precede il termine talassemia, come ad esempio nell'alfa-talassemia. Le talassemie sono comuni in alcune popolazioni mediterranee e si dividono in due tipi principali: alfa e beta. Entrambi i tipi sono associati a una carenza di catene specifiche (alfa o beta). Le catene alfa sono colpite nel caso dell'alfa talassemia, mentre le catene beta sono colpite nella beta talassemia, anche chiamata anemia mediterranea. Esistono diverse forme di talassemie, e in alcuni casi le persone possono essere asintomatiche. Tuttavia, durante le analisi del sangue, si possono rilevare alcune alterazioni nei parametri ematici. Le forme di talassemie legate alle catene beta sono particolarmente diffuse a causa di un vantaggio per gli eterozigoti. Gli eterozigoti non sono malati, ma sono meno suscettibili alla malaria grazie a una vita più breve degli eritrociti, rappresentando un vantaggio dell'eterozigote. 32 LEZIONE 10 18 dicembre Enzimi È una classe di proteine che ha la funzione di catalizzare le reazioni che avvengono nel nostro organismo. Senza gli enzimi quasi nessuna delle reazioni che avvengono nel nostro organismo potrebbe funzionare o meglio non funzionerebbero a una velocità compatibile con la reazione. Gli enzimi presentano le seguenti caratteristiche: 1) Accelerano la velocità delle reazioni chimiche, infatti sono catalizzatori biologici specifici 2) Hanno un elevato grado di SPECIFICITA: non possono lavorare su tutte le reazioni chimiche nel nostro corpo, ma ognuno è specializzato in una o poche reazioni. Questo significa che un enzima catalizza solo una certa reazione o poche reazioni, mostrando una specificità per determinati substrati. Ad esempio, un enzima può catalizzare la reazione X sulla molecola Y, ma non agirà sulla molecola Z. 3) Agiscono in soluzione acquose in CONDIZIONI BLANDE di pH e temperatura: siccome sono catalizzatori biologici (sono molecole biologiche, proteine) quindi a differenza di quelli chimici non funzionano ad alte temperature o a pH estremi perché sennò si denaturano. 4) Lavorano in maniera COORDINATA nelle vie metaboliche: sono una specie di reazione a catena, sono regolati in modo coordinato 5) Possono agire grazie alla presenza di specifici aminoacidi al sito attivo oppure necessitare della presenza di COFATTORI o COENZIMI: sono proteine coniugate, legano gruppi non proteici. I coenzimi o cofattori possono essere di vario tipo come ioni metallici, alcuni dei coenzimi sono utili nelle ossidoriduzioni come NAD o FAD, vitamina K, biotina Classi enzimatiche Ogni enzima ha una specie di codice formato da alcuni numeri, e il primo numero di questo codice dice a quale classe appartiene. Gli enzimi si suddividono in: Ossidoreduttasi:catalizzano le reazioni di ossidoriduzioni. C’è una specie ridotta in azzurro e una specie ossidata in rosso che perde elettroni e li da alla specie che si riduce acquistando elettroni. Quindi nelle ossidoreduzioni avremo sempre qualcuno che si ossida e qualcuno che si riduce. Puntualizzazioni sulle ossidoresuttasi: 1) Il nome: non incontreremo mai una ossidoreduttasi che viene chiamata ossidoreduttasi perché storicamente gli enzimi che catalizzano ossidoriduzioni negli organismi viventi vengono chiamati deidrogenasi (perdita atomi di idrogeno). nelle molecole biologiche l’ossidazione si accompagna alla perdita di atomi di idrogeno 2) Le reazioni di ossidoriduzione sono quelle cruciali dalle quali ricaviamo energia dai nutrienti. 33 Transferasi: catalizzano il trasferimento di gruppi contenenti C, N o P. Vedremo le: 1) Chinasi: enzimi che trasferiscono gruppi fosforici catalizzano le fosforilazioni di qualcosa Idrolasi: Catalizzano la scissione dei legami mediante l'addizione di acqua. Vedremo come le reazioni idrolitiche siano cruciali nei primi passaggi della digestione dei nutrienti. Liasi: scindono legami carbonio-carbonio o anche carbonio- azoto, carbonio-zolfo isomerasi: Catalizzano la racemizzazione di isomeri ottici o geometrici Ligasi: Catalizzano la formazione di legami tra carbonio e O, S o N accoppiata alla idrolisi di fosfati ad alta energia. Il funzionamento degli enzimi Le reazioni enzimatiche avvengono mediante il legame del/i reagente/i (substrato/i) all’interno d una tasca dell’enzima detta SITO ATTIVO la cui superficie è rivestita da residui aminoacidici i cui gruppi funzionali legano il substrato e catalizzano la reazione chimica L'enzima svolge un ruolo cruciale nelle reazioni biologiche, agendo come catalizzatore per accelerare la velocità delle reazioni chimiche senza subire modifiche permanenti. La sequenza di eventi inizia con la formazione di un complesso enzima-substrato (ES), un passaggio reversibile. Successivamente, il complesso ES si sposta al sito attivo dell'enzima, dove avviene la conversione del substrato in prodotto, con conseguente realizzazione della reazione chimica. È importante notare che gli enzimi, pur facilitando la reazione, rimangono inalterati alla fine del processo. Questo significa che l'enzima può svolgere ciclicamente la sua funzione catalitica, legando il substrato, facilitando la reazione e rilasciando il prodotto senza subire cambiamenti permanenti. Gli enzimi sono descritti come macchine molecolari che si adattano al substrato, circondandolo nel sito attivo. Il sito attivo è il punto specifico 34 dell'enzima in cui avviene la reazione catalizzata. Durante questo processo, l'enzima si lega al substrato, lo converte in prodotto e successivamente rilascia il prodotto, rimanendo disponibile per un nuovo ciclo catalitico. L'adattamento dell'enzima al substrato durante la reazione sottolinea la sua capacità di interagire in modo specifico con i reagenti coinvolti. Questa è l’andamento dell’energia durante una qualsiasi reazione, vediamo: Esa è una reazione spontanea perche l’energia dei prodotti è piu bassa di quella dei reagenti Durante la reazione vediamo questo “salto”, ovvero la formazione del complesso attivato. Durante una reazione, affinché avvenga la trasformazione di reagenti in prodotti, è necessaria la formazione di un complesso attivato o stato di transizione. Questo stato transitorio ad alta energia è caratterizzato dalla presenza di legami non ancora rotti nei reagenti e legami non ancora formati nei prodotti. Nella cinetica chimica, si sottolinea che perché due molecole reagiscano è essenziale che si scontrino, e se l'urto è efficace, con un'energia sufficiente e un orientamento corretto, si forma il complesso attivato. Quest'ultimo rappresenta uno stadio transitorio in cui la reazione chimica è in corso ma non è ancora completata. L'energia richiesta per raggiungere il complesso attivato è definita come energia di attivazione. Una diminuzione dell'energia di attivazione si traduce in un aumento della velocità di reazione, poiché un numero maggiore di molecole può raggiungere l'energia sufficiente per formare il complesso attivato. 35 Gli enzimi abbassano l’energia di attivazione Gli enzimi sono proteine che agiscono come catalizzatori biologici, abbassando l'energia di attivazione necessaria per avviare una reazione chimica. Perché due molecole reagiscano, è necessario ch