Appunti di Psicologia Cognitiva PDF

Summary

Questi appunti forniscono una panoramica della psicologia cognitiva, spiegando il suo approccio allo studio della mente e i suoi metodi. La psicologia cognitiva si differenzia dal comportamentismo per la sua attenzione ai processi mentali interni. Gli appunti esplorano concetti chiave come l'elaborazione delle informazioni, le rappresentazioni mentali e i modelli connessionisti.

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15/10/2024 Psicologia cognitiva: studio scientifico della mente che funziona “normalmente”, studio disturbi o persone con una mente e un cervello deficitario, studio la psicologia animale, studio i computer, questi studi mi aiutano a studiare e capire la mente umana. Il nostro comportamento quotidia...

15/10/2024 Psicologia cognitiva: studio scientifico della mente che funziona “normalmente”, studio disturbi o persone con una mente e un cervello deficitario, studio la psicologia animale, studio i computer, questi studi mi aiutano a studiare e capire la mente umana. Il nostro comportamento quotidiano può essere spiegato in molti modi diversi e può coinvolgere molti processi cognitivi. Tuttavia, gli psicologi cognitivisti tendono ad isolare un processo o un insieme di processi allo scopo di studiarli, e lo fanno assumendo. Il termine cognitivo sottolinea un approccio allo studio della mente e lo riscontriamo in altre discipline come la: neuropsicologia cognitiva che studia ad esempio i disturbi del linguaggio; neuropsicologia cognitiva che studia disturbi come l’allucinazione, la schizofrenia; neuropsicologia cognitiva dello sviluppo che studia disturbi dell’apprendimento come linguaggio verbale e non verbale; neuroscienze cognitiva che studia i correlati neurofisiologici e biologici della mente, dei singoli processi cognitivi; neurobiologia comportamentale che studia i correlati biologici e genetici del nostro comportamento; la linguistica che studia l’insieme dei segni, la semantica; intelligenza artificiale. Metodi. Posso studiare la mente tramite: studi sperimentali sulle abilità cognitive normali; studi neuropsicologici che ci permettono di capire la relazione tra il funzionamento normale con quello “disturbato” studi di neuroimaging che rivelano la localizzazione e la durata dell’attività cerebrale modelli computazionali che possono essere testati e confrontati con i dati sperimentali Assunti da parte di psicologi cognitivisti. Gli psicologi cognitivisti tendono a isolare un processo. 1. Si assume che le abilità cognitive possano essere separate tra di loro e quindi essere studiate da sole. 2. La psicologia cognitiva tende a focalizzarsi sull’individuo e sull’ambiente naturale circostante, dando poca importanza alla cultura e alla società. Oggi sappiamo che la cognizione è culturale. 3. Si assume che le capacità cognitive siano relativamente indipendenti dalle altre capacità cognitive. Oggi si sa che la cognizione è emozione. 4. Si assume che sia utile distinguere tra una cognizione normale e una deficitaria. 5. Si assume che noi siamo sufficientemente simili tra di noi a tal punto che possiamo parlare di un pensatore tipico e le differenze individuali non servono. Oggi sappiamo che le differenze individuali sono fondamentali. 6. Le risposte ai quesiti che gli psicologi cognitivisti hanno portato avanti devono essere date in termini di elaborazione delle informazioni. 7. Dobbiamo avere dei dati, delle evidenze sperimentali che ci spiegano questo comportamento, non possiamo procedere con delle assunzioni che non si basano su evidenze sperimentali. 8. Queste evidenze sperimentali devono essere influenzate dalle neuroscienze e neuroimmagini. Riassunto storico. L’approccio cognitivo non è nato in un momento preciso, e ci sono molti antecedenti che hanno portato allo sviluppo della psicologia cognitiva come disciplina come ad esempio l’introspezionismo, la Gestalt, il comportamentismo. Storicamente questi 8 assunti ci permettono di capire cosa sappiamo in più oggi sulla cognizione. Storicamente ci sono 3 approcci che hanno portato a vedere la cognizione come la vediamo oggi: la prima è la scuola di Wundt (primo laboratorio di psicologia) in cui si è introdotto il concetto di introspezionismo, gli introspezionisti svilupparono delle classificazioni molto elaborate del concetto di consapevolezza (ad esempio la scuola di Wundt considerava le sensazioni il punto di partenza); la gestalt; il comportamentismo (dal comportamento possiamo arrivare a capire come funziona la vita). Comportamentismo: la psicologia deve essere scientifica e oggettiva, ossia deve basarsi sull’osservabile; la consapevolezza non è direttamente osservabile, ciò che è direttamente osservabile è il comportamento (e i suoi stimoli). I comportamentisti non negarono l’importanza delle funzioni mentali superiori, ma raramente cercarono di spiegarle. Gestalt: essi sostenevano che la consapevolezza non può essere analizzata soltanto in termini di semplici sensazioni (Wertheimer, 1912), una nota ad esempio è anche il risultato della sua relazione con le altre note. Chomsky (1959): teorico del linguaggio, egli sosteneva che per comprendere come le persone producono, comprendono e apprendono il linguaggio bisognava far rifermento a qualcosa che non è direttamente osservabile, come ad esempio la conoscenza delle regole e l’organizzazione del linguaggio. Tolman (1932): comportamentista, ciò che viene appreso assume una forma più astratta rispetto alla relazione stimolo-risposta. Costruisce un labirinto in cui i topolini apprendono qualcosa di astratto (mappa mentale). Test di Turing: filosofo matematico. La psicologia cognitiva eredita alcuni spunti interessanti circa l’utilizzo del metodo scientifico, tutti gli studi infatti della psicologia cognitiva presentano dei risultati empirici. La psicologia cognitiva rifiuta di focalizzarsi solo su ciò che è osservabile; lo scopo è quello di andare a rispondere alle domande andando a comprendere come la mente elabora le informazioni (HIP, human information processing) e come le informazioni vengono rappresentate nella mente anche quando queste informazioni non ci sono; infatti, la psicologia cognitiva è legata all’ipotesi che la mente sia rappresentazionale e computazionale. Approccio principale: HIP, uomo come elaboratore delle informazioni, se i computer elaborano le informazioni, e l’elaborazione delle informazioni è ciò che caratterizza la mente, allora di un livello più basso, la mente è computazionale. Mente computazionale: le computazioni sono processi di entrata, immagazzinamento, manipolazione e uscita delle informazioni e possono essere concepiti come una manipolazione di simboli (basata su regole) o come una rete neurale. Rappresentazioni: stare al posto di qualcos’altro, la nostra percezione rappresenta il mondo che ci circonda; la mente utilizza le computazioni, i calcoli, essendo come un pc deve utilizzare dei codici che possono essere le parole, le lettere, dei segmenti, manipola dei simboli. Modelli connessionisti: tentativo di replicare la struttura neuronale. Si tratta di modelli che traggono ispirazione dalla struttura neuronale e quindi simulano i processi cognitivi sulla base delle proprietà dei neuroni, come ad esempio i diversi strati che formano un’unità, inibizione dell’attività, attivazione, elaborazione in parallelo ecc. Definizione di scientifica della disciplina: 1. Le teorie scientifiche spesso mettono in campo delle entità non osservabili per spiegare dati osservabili 2. Il metodo che utilizzano gli psicologi è l’operazionalizzazione, trasformare un concetto astratto in osservazioni misurabili; è un modello in grado di specificare le relazioni tra il costrutto teorico e il comportamento, in modo da poter fare anche delle predizioni 3. Tecniche di neuroimaging: ci dicono che i processi mentali non sono del tutto non osservabili. Ad esempio, la fMRI ci permette di vedere quali aree del cervello si attivano quando siamo impegnati in un certo compito ed è importante la funzione di ciascuna zona attivata. Un modo per capire di quale funzione si tratti, è quello di confrontare le immagini cerebrali durante diversi compiti; se ci sono delle regioni che vengono attivate in tutti i compiti allora significa che esse sono delle regioni comuni per l’elaborazione dell’informazione. Operazionalizzazione: 1. Identificare il concetto principale che voglio studiare (ad esempio il sonno) 2. Scegliere una variabile che rappresenta quel concetto (ad esempio la quantità di sonno) 3. Selezionare un indicatore di quella variabile (ad esempio il numero medio di ore di sonno a notte) Operazioni convergenti: c’è il bisogno di operazioni che convergono su un tema, cioè di diversi approcci che studiano un determinato aspetto. Quando i risultati dell’applicazione di approcci diversi convergono e sono replicabili, allora aumenterà la validità del nostro dato. Caratteristiche generali riguardo i processi cognitivi: I processi cognitivi semplificano l’informazione. I ricordi raramente contengono tutti i dettagli di un evento, infatti gli individui immagazzinano rappresentazioni ridotte e frammentate I processi cognitivi trasformano le informazioni in entrata, i processi cognitivi elaborano; inoltre, i processi cognitivi trasformano i segnali fisici (tatto, gusto, uditivo, visivo ecc.) in modo da generare un’esperienza percettiva. Effetto della distanza simbolica: i processi cognitivi hanno bisogno di tempo per elaborare la scena, se le informazioni sono ben distinte rielaboro velocemente, maggiore è la differenza tra la dimensione di due oggetti, più veloce è il giudizio di qual è più grande (Moyer e Bayer, 1976). Chiamato anche giudizio di grandezza. I processi cognitivi elaborano, immagazzinano e usano le informazioni secondo una serie di ricostruzioni continue, secondo il modello bottom-up e top-down. Bottom-up: esploro il mondo la prima volta che esploro quella scena; top-down: dall’alto verso il basso, è la memoria e la percezione, scene usuali e abitudinarie. I ricordi non sono perfetti duplicati di ciò che abbiamo appreso ma sono ricostruzioni che integrano dettagli e particolari, vecchi e nuovi. Elaborazione dello stimolo. Bottom-up: stimolo-attenzione-percezione-processi di pensiero- decisione-risposta e azione. Top-down: risposta e attenzione-decisione-processi di pensiero- percezione-attenzione-stimolo. I processi cognitivi non lavorano singolarmente ma lavorano in sinergia. 21/10/2024 Psicologia cognitiva: materia interdisciplinare. Branca della psicologia che studia i nostri processi mentali e le nostre interazioni con il nostro ambiente interno ed esterno. Fine 800 900: stampo comportamentista (Skinner) il comportamento è studiato solo come stimolo e risposta, tutto il resto non è oggettivamente spiegabile e studiabile; quello che succede tra stimolo e risposta non è osservabile. Dopo il 900 si sviluppa un interesse verso il mondo esterno e con il mondo interno, come la mia mente elabora determinati processi, diventa il focus degli psicologi cognitivisti. Metodi per studiare l’interno della nostra mente: approcci differenti, ci basiamo soprattutto sullo studio di individui con una mente e un cervello deficitario. Comportamentismo: cane e saliva, ma tutti? Se c’è uno che non lo fa a livello cognitivo cos’è successo? Questo porterà poi alla psicologia cognitiva, l’osservazione del danno cognitivo diventa la chiave per capire il funzionamento del cervello, studiare il deficit per capire l’anomalia. L’altro approccio è la psicologia comparata, quindi il confronto tra la nostra specie e la specie animale; questo per capire quali sono i processi cognitivi che condividiamo con le altri specie e per capire quali processi ci differenziano, questo ci aiuta a capire al meglio quali sono i processi cognitivi che ci caratterizzano a livello evoluzionistico. Intelligenza artificiale: similitudine sistema cognitivo, cervello e intelligenza artificiale. Si passa dal comportamentismo al cognitivismo grazie all’IA. Prima metodologia utilizzata dallo psicologo cognitivista: studio sperimentale sulle abilità cognitive in condizioni normali come il sistema cognitivo risponde a determinate situazioni. Per il cognitivista è importante il processo che genera la risposta e non solo la risposta in sé come i comportamentisti. Capire i comportamenti tipici e atipici per capire il funzionamento sano e normale del sistema cognitivo; capire come si attiva il cervello. Modelli computazionali: interfaccia uomo-computer, simulo il sistema cognitivo all’interno di un calcolatore, questa similitudine nasce con la psicologia cognitiva e diventa sempre più importante. Quindi, approccio eterogeneo che guarda all’uomo, guarda agli animali e guarda al bambino, guarda al sano come al patologico e guarda all’intelligenza artificiale, nulla a che vedere con la psicologia comportamentista. Che cosa intendiamo di psicologia cognitiva e di cognizione? Insieme dei processi che vanno a sviluppare un pensiero. La prima definizione la abbiamo con Naisser che la utilizza nel 1967. Secondo Naisser è l’insieme dei processi attraverso i quali lo stimolo sensoriale in entrata viene elaborato, codificato e usato; quello che c’è tra stimolo e risposta, la trasformazione di questo stimolo da input sensoriale in ingresso ad output motore in uscita, la cognizione sta nel mezzo, la trasformazione mentale di quello stimolo. Capire come un qualunche stimolo genera in me una reazione motiva, motoria, ma comunque quello stimolo è stato elaborato all’interno del mio sistema cognitivo, tutto quello che è invisibile; quindi, studiare come il singolo individuo elabora le informazioni, come si costruisce, cosa ci differenzia. Per capire cosa ci differenzia dobbiamo capire cosa ci accomuna. Si arriva a questo punto grazie alla interdipendenza di diverse discipline, la psicologia fa parte infatti delle scienze cognitive, ma quando si parla di scienze cognitive abbiamo 6 discipline che hanno contribuito alla scienza cognitiva, dove abbiamo psicologia, filosofia, linguistica (il linguaggio è quel dominio cognitivo che ci rende diversi rispetto alle altre specie, cervello più grande, svolgere più compiti contemporaneamente, divisione dei due emisferi con interdipendenza, dominio del linguaggio laterizzato a sinistra, il movimento e le aree motorie sono controlaterali; lateralizzazione del linguaggio. Gestualità: piano piano la gestualità è stato sostituito dalle parole, nell’emisfero sinistro per quanto riguarda i destrimani), antropologia, neuroscienze e IA. Il movimento delle scienze cognitive inizia nel 1956 e parte proprio dall’intelligenza artificiale in un contesto storico particolare che è quello della guerra. Si parte dai calcolatori, l’IA è la base dello sviluppo della comparazione tra cervello e sistema cognitivo e computer. Perché il calcolatore diventa oggetto di studio nella Seconda guerra mondiale? Perché bisognava rendere automatici dei processi, si doveva sviluppare un metodo per codificare prima i messaggi nemici, si sente la necessità di codificare i messaggi, e qui interviene la linguistica; ci si arriva grazie agli informatici e grazie a Shannon. Calcolatore: sistema che mette in fila gli stati di acceso e spento in automatico, CPU che elabora le informazioni, funzionamento della nostra memoria; la nostra CPU è quella che rielabora le informazioni che sono all’interno della nostra memoria a lungo termine; quindi, c’è una similitudine tra sistema cognitivo e CPU, parallelismo tra sistema cognitivo e intelligenza artificiale. Nascita scienze cognitive: 1956. Figura chiave Alan Turing, matematico inglese e sviluppa la macchina di Touring che è un esercizio di ragionamento; guida un gruppo di scienziati che cercano di codificare i messaggi nemici, il risultato viene chiamato enigma, questo programma che è in grado di decodificare rapidamente i messaggi nemici. Nonostante il contesto atipico nascono delle collaborazioni che portano a risultati oggettivi. Viene costituito un approccio diverso ai problemi. Propone quindi una specie di macchina ideale, ci si pone un problema e si cerca di dare una risposta per la prima volta al confronto uomo-macchina. Nasce un quesito che va oltre quindi la psicologia, e si cerca di rispondere a una domanda specifica, possiamo dire che il computer pensa? Touring cercava di fornire una risposta oggettiva a questa domanda; propone una macchina che funziona attraverso il test di Touring, 1950, una sort di risposta a questa domanda che si fa, posso distinguere l’intelligenza umana da quella artificiale? Prima dobbiamo definire cos’è il pensiero. Test di Touring: prevede un individuo umano, un interrogante e un computer, l’interrogante tramite una tastiera fa una domanda e poi deve decidere se quella risposta è stata data da computer o dall’essere umano; se l’interrogante non riesce a capire da chi viene detta la risposta non c’è alcuna differenza di intelligenza tra uomo e computer. Touring dice che le risposte sono del tutto intercambiabili soprattutto se la comunicazione è scritta; quindi, è come se avessimo elaborato un computer simile all’essere umano con un sistema cognitivo. Da qui nasce la psicologia cognitiva che cerca di rispondere a questa domanda, al parallelismo uomo-macchina, studiando l’uomo cerco di studiare il computer; ad oggi la situazione si è ribaltata, adesso è dal computer all’uomo, i modelli nascono dal computazionale per arrivare al sistema cognitivo, all’essere umano. C’è questo perenne confronto tra computer e uomo, studiamo il sistema cognitivo avvalendoci dell’informatica, ispirandoci al funzionamento del computer; c’è una sorta di interscambio continuo che ci aiuta a comprendere il sistema cognitivo, sia sano che patologico, nel caso di un paziente con una lesione cerebrale, infatti, il training informatico ci può essere molto d’aiuto. Simon: scelta razionale, a differenza della macchina l’uomo ha la scelta razionale, le emozioni per noi diventano quasi un problema quando dobbiamo prendere delle decisioni; la nostra razionalità è intaccata dalle nostre emozioni. 1956: si propone un progetto di ricerca sull’IA per la prima volta, intesa come elaborazione dell’informazione complessa. Nascono le scienze cognitive, data storica. Per la prima volta c’è una convergenza di tante discipline per trovare una risposta a dei quesiti che erano fuori target. Tra queste discipline un ruolo fondamentale è quello delle neuroscienze anche se hanno avuto un aiuto un po’ tardivo; nasce la prima teoria neuropsicologica. Le neuroscienze oggi ci danno un aiuto fondamentale per capire il nostro sistema cognitivo, sia da un punto di vista tipico e atipico; si arriva a questo punto dopo una serie di studi singoli, come lo studio di Broca (caso singolo del paziente “tan” con lesione cerebrale). Questo studio apre la strada alle neuroscienze e alla psicologia clinica, poi anche allo studio di Wernicke. Lo studio dei casi singoli ci aiutano a modellizzare non solo il funzionamento del cervello ma anche a proporre dei modelli cognitivi che si basano sulla compartimentazione del linguaggio ad esempio (Broca e Wernicke). Oggi non solo osserviamo le lesioni ma le indugiamo, per attivare ad esempio una determinata area e per convalidare i modelli cognitivi. Ruolo cruciale è anche quello della linguistica: il linguaggio occupa un posto di rilievo nelle scienze cognitive perché è una prerogativa della nostra specie. Perché abbiamo questa abilità di ordine superiore? Nelle scienze cognitive queste domande vengono ascoltate e analizzate per cercare di trovare una risosta a delle domande che prima non facevano parte della psicologia. 22/10/2024 Processo cognitivo, memoria. Entra in maniera preponderante nella vita quotidiana, in tutte quelle sensazioni di familiarità, di déjà-vu, entra nella nostra cognizione ed è fondamentale per noi per sapere chi siamo; la memoria è fondamentale per la nostra identità. È fondamentale per l’apprendimento perché memorizzando riusciamo ad apprendere le informazioni e come riutilizzarle e organizzarle. È tanto influenzata dalle emozioni; interviene nella percezione, nei compiti attentivi, nell’intelligenza, nel linguaggio, in tantissimi ambiti, per questo è il processo cognitivo per eccellenza. Storicamente la memoria è stata descritta facendo riferimento al tipo di sistema dove si richiama alla memoria del computer, ad esempio alla memoria a breve termine e alla memoria a lungo termine, il modello multi store, multi magazzino; ricordi che si focalizzano soprattutto sugli aspetti temporanei (quindi memoria a breve termine). Descrizione della memoria che fa riferimento ai ricordi permanenti: memoria semantica, autobiografica, descrittiva ecc. Memoria retrospettiva: riguarda il passato; memoria che riguarda il futuro. Durata dei ricordi: possono essere rapidi, veloci o durare a lungo. Abbiamo anche la direzione dei ricordi: se proiettati al passato o se sono proiettati nel futuro (memoria prospettica). La memoria fa questo compito con molto sforzo, è uno switch che risiede anche nell’elaborazione temporale, nel ricordarsi cose che devono accadere in futuro. Alcuni ricordi sono fragili, ricadono molto velocemente, altri sono più duraturi. Alan Baddeley, Tulving, martin Conway, Craig: studiosi più importanti che si occuparono della memoria. Atkinson e Shiffrin: riprendono la metafora del computer e la distinzione tra memoria primaria e secondaria; i ricordi passano attraverso questi sistemi di memoria. Andamento unidirezionale: le info passano attraverso la memoria sensoriale alla memoria a breve termine e poi arrivano a quella a lungo termine; attraverso una serie di sistemi, quindi, l’informazione viene elaborata e mantenuta o per breve tempo o per un lungo tempo. Parliamo di memoria quando un concetto deve essere mantenuto. Ricordi temporanei. Dal tipo di sistema: il modello multi-store, la memoria di lavoro. Ricordi permanenti. Dal tipo di sistema/informazione: episodica vs semantica; dichiarativa vs procedurale; autobiografica. Dal tipo di direzione temporale: memoria prospettica. Si assume che ci siano 5 sottotipi di MS per ognuno dei 5 sensi. Tuttavia, solamente tre di questi sono stati i più studiati: ecoica, iconica, tattile. Memoria iconica. L’input visivo entra nella memoria cosiddetta iconica; le rappresentazioni mentali degli stimoli visivi vengono chiamate icone. La sua durata è di circa 100 ms. percepiamo una luce in movimento come se formasse una linea continua grazie all’immagine mantenuta nella memoria sensoriale per alcuni millisecondi. La memoria ecoica (dai suoni come l’eco) è in grado di mantenere una grande quantità di informazioni uditive per 3-4 secondi. Il suono eco dell’informazione risuona nella mente per un breve periodo subito dopo la presentazione dello stimolo uditivo (es. battere le mani una volta e vedere quanto persiste il suono). Non possiamo comprendere una parola fino a quando non sentiamo tutti i suoni, dunque l’informazione uditiva deve essere mantenuta per un tempo necessario. Se la memoria ecoica fosse così breve come la memoria iconica, sembrerebbero un insieme di suoni staccati. Memoria olfattiva. La memoria olfattiva è in grado si mantenere odori e profumi e viene considerata diversa dagli altri sistemi per la sua funzione di scatenare un ricordo a lungo termine; si discute inoltre sull’influenza del sistema verbale e visivo sulla sua capacità di mantenere l’informazione olfattiva. Memoria tattile. Corrisponde al breve mantenimento dei dati tattili provenienti dai recettori come la pressione, il prurito, il dolore; questo tipo di memoria sembra intervenire quando dobbiamo valutare la forza per prendere un oggetto; la sua durata è di circa 2 secondi. Ci permette di combinare una serie di informazioni tattili come, ad esempio, affilare la punta di una matita. Il modello della working memory (Baddeley e Hitch, 1974). Loop fonologico. Magazzino che mantiene la traccia fonologica o acustica per circa 2 secondi a meno che la parola non venga mantenuta tramite un meccanismo di ripasso articolatorio subvocalico. Evidenze a favore dell’esistenza del loop fonologico. Effetto di similarità fonologica: il ricordo immediato viene compromesso quando le parole o gli elementi di una parola sono simili per suono; ad esempio, g è più difficile ricordare g c b t v p che f w k s y q. Effetto lunghezza della parola: è più facile ricordare un numero maggiore di parole brevi rispetto a quelle lunghe. Effetto suoni irrilevanti: quando il soggetto pronuncia o sente un suono irrilevante, per esempio ba-ba-baba, mentre esegue un compito verbale, la performance decade. Neuropsicologia: la componenete di magazzino fonologico è localizzata nella regione perisilviana dell’emisfero di sinistra, mentre la componente di ripasso nell’area di Broca. Taccuino visuo-spaziale. Magazzino che mantiene la forma e il colore di un oggetto (visual cache); ripasso visivo (inner scribe) importante per la gestione del movimento e le relazioni spaziali. Evidenze a favore dell’esistenza del taccuino visuo-spaziale. Le matrici di Brooks (1976) con un compito di tracking: la performance viene danneggiata quando al soggetto viene richiesto un compito visuo-spaziale concomitante (Baddeley, Grant, Wight e Thomson, 1973) Test di corsi: tale span viene danneggiato dal tapping (colpetti) spaziale ma non dalla visione successiva di figure astratte. Visual pattern test: tale span viene danneggiato dalla richiesta successiva di guardare una serie di figure astratte, ma non dal tapping (colpetti) spaziali. Neuropsicologia: ci sono pazienti capaci di eseguire il test di Corsi ma fallire al VPT e viceversa. Alcuni dati neuroradiologici indicano la separabilità della memoria visiva da quella verbale (Smith, Jonides e Koeppe, 1996) e all’interno di essa, puntano alla distinzione tra componenti spaziali e quelle basate sugli oggetti (Smith e altri, 1995) Problemi dei modelli tradizionali. Neuropsicologia: ci sono casi di pazienti con problemi di MBT ma intatta MLT. Evidenze sperimentali: la ripetizione non è sinonimo di ricordo accurato (Tulving, 1966); anche in situazioni di doppio compito, l’effetto recenza di manifesta. 28/10/2024 Esecutivo centrale: è l’attenzione focalizzata, insieme di risorse attentive che vanno su un tipo di elaborazione o su un altro; capacità limitata, decide dove concentrare più le risorse attentive, funzione di controllo e mantenimento a seconda del compito. Studiato attraverso una serie di compiti, il più importante è lo span di memoria di lavoro di Daneman e Carpenter del 1980; lo span di memoria del lavoro consiste nel leggere una serie di frasi sotto forma di span (il numero può aumentare), dire se questa frase è vera o falsa e focalizzarsi sull’ultima parola della frase. Ci può essere una intrusione come ripetere il nome mamma o gatto che sono comunque all’interno della casa ma non sono le ultime parole della frase. Memoria di lavoro sempre in continuo collegamento con la memoria a lungo termine. Span alto di memoria di lavoro fa molto bene negli aspetti verbali. Paced auditory serial addition task (PASAT): somma di numeri a mente. Aggiornamento (updating): l’informazione che io ho tenuto a mente adesso non mi serve più quindi ora devo “aggiornare” la mia mente, l’informazione mantenuta in memoria può essere rimpiazzata da un’altra rilevante per l’obiettivo da raggiungere. Studio dei pazienti frontali (sindrome disesecutiva). Non si sa se l’esecutivo centrale ha una struttura gerarchica dominante p è un insieme di sottoprocessi (si pensa più questa come un insieme di regole di interazione) Modello classico di Baddeley (2001): buffer episodico, mette insieme in un’unica rappresentazione verbale e viso spaziale ad esempio, comunque da più fonti, è multimodale; è in collegamento con la memoria a lungo termine. Sistema di mantenimento a capacità limitata e mantiene questi episodi integrati che appunto provengono dall’integrazione tra verbale e viso spaziale; unione delle diverse modalità di rappresentazione. Lobo prefrontale destro viene attivato maggiormente quando mettiamo insieme le informazioni. Esecutivo centrale: lobi frontali, aree di Wernicke e Broca, lobo temporale sinistro, lobo occipitale vista, episodio di Buffer, parte parietale e frontale destra, ippocampo quindi memoria a lungo termine. Modello di Cornoldi e Vecchi (2000-2003): l’esecutivo centrale può porre l’attenzione su una determinata risorsa attentiva. Baddeley, sistema di detezione edonica: nuova componente in grado di attribuire un valore positivo o negativo allo stimolo in ingresso e rispetto all’informazione mantenuta nella memoria di lavoro, al fine di indirizzare le nostre scelte future. Memoria di lavoro affettiva: non è puramente cognitiva ma ha anche in sé la funzione cognitiva, è un sotto-sistema specifico per dominio (specializzato nel mantenimento delle emozioni), quindi è l’insieme dei processi che mantengono un emozione rilevate per un certo comportamento. I processi di memoria, Craik e Lockhart (1972): memoria come insieme di processi, si comprende meglio la memoria se ci focalizziamo sui processi che facciamo per recuperare e individuano la codifica (vivo quell’evento), il mantenimento, il recupero; possono essere sia a breve termine che a lungo termine. Ripetizione elaborativa: quando viviamo un evento se viene codificato in modo superficiale non abbiamo un beneficio per il ricordo, se la rielaborazione è più profonda avviene una codifica e c’è un beneficio per il ricordo, fa leva alla memoria a lungo termine. Una codifica profonda mi garantisce la capacità di ricordare. L’attenzione non è posta sui magazzini ma sui processi per ricordare. Processi dei modelli di memoria: shallow, apprendimento superficiale, più è deep più forte sarà il ricordo. Studi sull’effetto generazione (Craik e Lockhart): tutto ciò che noi pensiamo viene ricordato molto di più rispetto a un qualcosa di già dato. Studi sulla distintività: gli eventi che vengono elaborati in maniera distintiva vengono ricordati di più, l’elaborazione diventa più profonda. Le teorie dell’oblio. 1. Teoria del decadimento della traccia: uno dei fattori responsabili delle dimenticanze è il tempo, più tempo passa più farò fatica a ricordare. L’intervallo di tempo che passa da quando ho vissuto l’evento da quando lo ricordo è cruciale, dimostrato col paradigma di Brown-Peterson (pag. 110), ricordo di trigrammi (insieme di consonanti) a diversi intervalli di ritenzione più contare all’indietro a salti di 3; questo contare all’indietro poteva durare dai 3 s o dai 18 sec e poi veniva presentato un altro trigramma. Critica a questo approccio è che può produrre interferenza: sostiene che è l’interferenza degli altri eventi che vivo e non il tempo che passa, io non vivo gli eventi in modalità singola e quindi si crea interferenza che è un elemento disturbante soprattutto quando gli eventi sono molto simili tra di loro. Il grado di interferenza dipende dalla somiglianza tra le tracce mnestiche. Paradigma di Waugh e Norman (1965), la durata non influisce sul ricordo. 2. Teoria dell’interferenza. Ci sono vari tipi di interferenza: interferenza proattiva, quello che ho memorizzato in precedenza mi va a ostacolare quello che sto per memorizzare; interferenza retroattiva, non riesco a mantenere quella passata perché quella presente mi sta ostacolando sulla memoria presente. 3. Teoria del mancato recupero: si tratta principalmente di accessibilità, l’informazione è disponibile ma non accessibile, dipende anche molto dagli indizi che riesco ad avere, deve essere un suggerimento adeguato e così l’evento diventa di nuovo accessibile. Tulving: teorico della memoria che parla del concetto di specificità della codifica e diche che la provabilità di recuperare un evento in memoria è data dalla sovrapposizione tra l’informazione presente al momento de recupero e l’informazione immagazzinata in memoria. La memoria ha bisogno di indizi specifici a quel determinato contesto e più il ricordo sarà benefico. 4. Teoria della rimozione: l’oblio è motivato, la rimozione lavora per pensieri dolorosi e infatti alcuni pensano che siano dei meccanismi di difesa. È difficile però capire se il soggetto non è in grado di accedere al ricordo stressante o se sceglie di non accedervi. 30/10/2024 Cervello e cognizione. I primi studi e risultati relativi agli studi sul cervello risalgono a 40.000 anni fa come la trapanazione cranica per far uscire fuori gli spiriti maligni. Ippocrate: 400 a. C., primi testi di base scientifica, testi su come effettuare una trapanazione cranica su impronta medica ma ancora non informata, era un primo tentativo teorico su come era organizzato il cervello e come si poteva intervenire chirurgicamente. Dopo gli antichi greci l’uomo è considerato intoccabili, l’individuo è considerato come sacro, dobbiamo aspettare il 1600 per avere le prime evidenze scientifiche sull’anatomia cerebrale. 1600: prime evidenze scientifiche non sull’uomo ma su altri animali. Obiettivo di questi studi sulla neuropsicologia: capire il legame tra cervello e comportamento, quale funzione cognitiva è controllata da quale parte del nostro sistema nervoso e in particolare del nostro cervello. I primi studi che hanno dato dei risultati concreti e validi sono della neuropsicologia e degli studi sulla specifica area di Broca, lui ci dimostra che una lesione specifica in una parte specifica del cervello produce un deficit abbastanza preciso; quindi, si capisce che ci sono delle aree del cervello specializzate, in questo caso del linguaggio. Localizzazione funzionale: funzioni cognitive diverse sono localizzate in aree distinte del cervello (Gall, 1758-1828). Frenologia (Spurzheim, 1815): corrente localizzazionista, aveva avuto un intuito che una parte del cervello aveva una precisa corrispondenza. In principio l’idea del localizzazionismo era un’ottima intuizione, poi però i frenologi esagerarono nell’interpretazione: tastando le protuberanze del cranio pensavano di poter desumere ka personalità e il carattere dell’individuo. I frenologi distinguono 37 funzioni morali. I processi cognitivi trasformano le informazioni, capire come il cervello elabora queste informazioni sensoriali in ingresso. Questi segnali vengono trasformati dal cervello in una esperienza soggettiva perché il nostro cervello trasforma le informazioni. Differenza tra sensazione e percezione: la sensazione è fisica ed è uguale per tutti mentre la percezione è soggettiva, diversa tra un individuo e un altro (questo è il pensiero della psicologia cognitiva a differenza del comportamentismo); quello che io esperisco può essere diverso da quello che percepisco. Effetto di grandezza o della distanza simbolica: maggiore è la differenza della dimensione di due oggetti, più veloce è il giudizio di quale è più grande. La forma di soggettività è ovviamente diversa per tutti. Cervello: nella nostra specie è molto grande; la singola unità di attivazione è il neurone, una cellula che elabora l’informazione nervosa e tutti questi neuroni sono tutti interconnessi tra di loro, composta da nucleo (unità operativa), dendrite (solitamente più piccoli, ricevono la sinapsi e circondano il nucleo, prendono tutte le informazioni e le devono trasmettere al nucleo) e assone (uscita delle informazioni) e poi abbiamo le sinapsi (punto di congiunzione). Nel sistema nervoso centrale molte cellule neuronali sono circondate dalla guaina mielinica, che velocizza il passaggio del segnale (“isola” il percorso); la guaina mielinica isolante dell’assone presenta degli intervalli regolari chiamati nodi di Ranvier. Neuroni: funzionalmente asimmetrici, come funzionano? Abbiamo due tipi di sinapsi: elettrico e chimico (elettrico più veloce). Il trasporto delle membrane dei neuroni avviene passivamente (processo lento) o attivamente (processo rapido attraverso cui membrane e prodotti di secrezione vengono trasportati dalla cellula alle terminazioni assonali) tramite il flusso assoplasmatico (Weiss, 1948) che è un trasporto assonale rapido e può essere di due tipi: anterogrado (dal nucleo alle terminazioni) o retrogrado (dalle terminazioni al nucleo). Quello che studiamo noi sono popolazioni neuronali che si attivano o elettricamente o chimicamente, ad esempio nella depressione ci sono dei neurotrasmettitori che vengono rilasciati più del dovuto. Sinapsi: zona di congiunzione tra i neuroni, spazio in cui i neuroni comunicano, l’informazione esce dal neurone pre-sinaptico e finisce al neurone post-sinaptico; le sinapsi dipendono dalla concentrazione extracellulare di ioni e neurotrasmettitori. Ogni neurone può formare 1.000 connessioni sinaptiche in entrata e riceverne 10.000. Sinapsi elettriche più rapide: scambio di ioni tra neurone pre e post-sinaptico; sinapsi chimiche più lente, può attivare e sospendere il neurone. Il nostro cervello è suddiviso in rombencefalo (più profondo), mesencefalo e prosencefalo (tutta la corteccia cerebrale), a questi si aggiungono il cervelletto e il corpo calloso (struttura diversa da tutto il resto). Cervelletto. Struttura a sé stante, anatomicamente differente rispetto al cervello, una lesione del cervelletto può portare a un mancato equilibrio, il cervelletto infatti è importante per l’equilibrio e la coordinazione dei movimenti volontari; sarebbe anche coinvolto nell’aspetto sociale. Rombencefalo: parte più profonda, è associato alle funzioni vitali come il respiro, il battito cardiaco, deglutizione, cicli sonno-veglia, si occupa di tutte quelle cose di cui noi non siamo coscienti ma sono fondamentali per la nostra vitalità; non è associato direttamente alla corteccia cerebrale, infatti non serve l’attivazione della corteccia, anche se io non sono cosciente comunque respiro. Mesencefalo: sorta di smistamento delle informazioni tra corteccia cerebrale e rombencefalo, è consapevole e volontario; contiene l’amigdala, l’ippocampo, quindi emozioni che posso controllare volontariamente. L’attacco di panico ad esempio riguarda il rombencefalo, la gestione volontaria dell’attacco di panico riguarda invece la corteccia cerebrale quindi prosencefalo. Prosencefalo: la parte più evoluta, regola i processi mentali superiori, forma corteccia e solchi. Corpo calloso: è la più grande commessura (fascio di fibre quindi assoni circondati da guaina mielinica quindi sostanza bianca) che abbiamo, è un ponte di assoni che collega i due emisferi cerebrali; non contiene neuroni, sono solo assoni. Abbiamo 2 emisferi: sono connessi tra di loro da spessi fasci di fibre detti appunto commessure (corpo calloso), il sinistro elabora il linguaggio e il destro fa altro, sono specializzati in maniera diversa e quindi possono avere più funzioni e funzionalità; i vantaggi del doppio emisfero sono tanti, ad esempio anche a livello clinico, una lesione in un emisfero mi fa preservare la funzionalità dell’altro emisfero. Anche se sono due devono comunque comunicare, questo è possibile grazie al fatto che abbiamo delle vie sia controlaterali che ipsilaterali. Se il corpo calloso non c’è: agenesia callosale, può essere una condizione genetica, è una condizione clinica che non porta tantissimi problemi, il cervello si organizzerà in un altro modo per far comunicare i due emisferi. Pazienti split-brain: i pazienti nascono con il corpo calloso, ma vengono sottoposti ad una operazione per cui i due emisferi si ritrovano divisi chirurgicamente e disconnessi; questi studi dimostrano quanto è importante la connessione dei due emisferi e soprattutto la specializzazione di ciascun emisfero. Viene effettuato quando i pazienti soffrono di epilessia, anche se negli ultimi periodi non si fa più così spesso questa operazione. Lobo occipitale: direttamente coinvolto soprattutto nel riconoscimento di stimoli visivi Lobo parietale: somato-sensoriale, tatto, orientamento spaziale, lobo di integrazione, riceve informazioni dal lobo occipitale e temporale e le manda al lobo frontale, giro post-centrale (invia al corpo) e pre-centrale (riceve dal corpo) Lobo temporale: udito, memoria a lungo termine, codifica del linguaggio, identificazione di volti/oggetti Lobo frontale: movimento volontario, ragionamento strategico, cognizione sociale, pensiero, memoria a breve termine Plasticità cerebrale. Uno degli aspetti in parte poco compresi e sicuramente tra i più adattivi e affascinanti del sistema nervoso è la sua plasticità: Capacità di riorganizzazione funzionale in relazione a possibili anomalie (alla nascita) Capacità di costruire nuovi circuiti e specializzazioni in seguito a lesioni acquisite (ad esempio l’arto fantasma) Capacità di potenziare alcuni circuiti se utilizzati con frequenza (effetto dell’apprendimento e della pratica, ad esempio sportivi, taxisti, musicisti) Come facciamo ad esaminare la mente e i processi cognitivi? Abbiamo diversi metodi. 1. Studio comportamentale 2. Studio di neuroimaging 3. Studio elettrofisiologico 4. Studi di stimolazione cerebrale Dobbiamo partire da una teoria di riferimento (perché si verifica un determinato fenomeno?), poi dobbiamo formulare una specifica ipotesi (predizione specifica su quali variabili influenzano un determinato fenomeno), poi posso mettere in atto l’esperimento, vado ad individuare delle variabili di interesse e vado a studiare lo studio di queste variabili (utilizzo di un metodo specifico per verificare una specifica ipotesi); i risultati sperimentali confermano o smentiscono statisticamente la teoria, con una possibile ridefinizione della teoria di riferimento. Anche una teoria consolidata ha bisogno di diversi esperimenti. Processo sperimentale. Devo prima definire le mie variabili, dipendente e indipendente (dipendente: ciò che si vuole misurare, effetto, il fenomeno che si ipotizza possa “dipendere” da qualcosa; indipendente: ciò che viene manipolato dallo sperimentatore, causa, la variabile che si ipotizza determini il fenomeno in oggetto). L’obiettivo di uno studio sperimentale è stabilire il rapporto causa-effetto tra due o più variabili. Punto di forza: si va a verificare se e in che misura una variabile (VI) causa un cambiamento nei livelli di un’altra variabile (VD). Punto di debolezza: possibili varabili confondenti (non previste e/o non controllabili: ora del giorno, aspettative dello sperimentatore...). Studi in singolo cieco: il partecipante non conosce le finalità dello studio e/o non sa se è sottoposto alla procedura sperimentale o al placebo, non conosce l’obiettivo. Studi in doppio cieco: né il partecipante né lo sperimentatore sanno se è somministrata la procedura sperimentale o il placebo. Tecniche di neuroimaging. Fotografia del cervello, serie di tecniche che possono essere strutturali (vedo l’anatomia del cervello) come la MRI, la TAC, PET, fMRI (queste due sono tecniche funzionali). EEG, MEG, non mi restituiscono un’immagine, ho degli elettrodi che registrano l’attività elettrica dei neuroni, vedo l’andamento nel tempo dell’attività elettrico magnetica. Tecniche di neuromodulazione. tES e TMS, campo magnetico che entra nel cervello e va a stimolare l’area sottostante del cervello. Principali tecniche. Struttura: TAC, MRI. Funzione: EEG, MEG. fMRI, PET. Creare lesioni: TMS. Stimolare/inibire: tES. Risoluzione: quanto distanti devono essere (nello spazio e nel tempo) due eventi prima che essi possano essere considerati due eventi separati. EEG, MEG: temporale buono (msec); spaziale basso (cm). fMRI, PET: temporale basso (sec); spaziale buono (mm) 04/11/2024 PET: emissione di positroni, si utilizza un tracciante (sostanza radioattiva). Scanner con lettino, paziente all’interno dello scanner, mostra l’attività del cervello in un determinato momento, è un modello funzionale; parte rossa parte del cervello attiva, parte verde parte del cervello disattiva. Iniezione di un tracciante radioattivo che si accumula nei vasi sanguigni del cervello; attivazione del lobo frontale destro, quindi più concentrazione del liquido; più tracciante più attivazione del cervello misurando i positroni emessi. Pro: soluzione spaziale ragionevole (5-10 mm); contro: risoluzione temporale molto bassa (30-60 sec), non rileva cambiamenti rapidi, è invasiva (tracciante radioattivo). Quindi: Iniezione di un tracciante Attivazione cerebrale Spostamento del liquido verso l’area attivata Misurazione dei positroni Il computer traduce in immagini i diversi livelli di attivazione fMRI: risonanza magnetica funzionale. Fa vedere il funzionamento, quale area si sta attivando secondo quale principio; più un’area si attiva intensamente più ha bisogno di ossigeno, e la risonanza magnetica registra la differenza tra sangue ossigenato e il sangue deossigenato, quindi sangue nelle arterie (ossiemoglobina) e sangue nelle vene (deossimoglobina). Non è invasiva. Differenza sangue ossigenato e sangue deossigenato: BOLD; a differenza della PET non abbiamo bisogno del tracciante radioattivo. Pro: ottima risoluzione spaziale (1 mm); contro: risoluzione temporale scarsa (2-3 sec), lag emodinamico (4-5 sec), tecnica rumorosa, difficile utilizzare stimoli uditivi, claustrofobia, compiti limitati e limiti tecnici. EEG: elettroencefalogramma, misura l’attività elettrica del cervello rilevata alla superfice del cuoio capelluto, viene memorizzata in un computer tramite degli elettrodi applicati su un caschetto. ERPs: potenziali evento-relati, forniscono informazioni sull’attività elettrica corticale, onde/picchi che si distinguono per forma (negativi N o positivi P), latenza (intervallo) e ampiezza (grandezza). Area T6 (lobo temporale destro, area fusiforme dei volti). Con l’EEG posso anche tracciare l’attività elettrica a riposo del cervello (attività elettrica volontaria), il cervello infatti ha dei picchi, delle bande di frequenza più rapide e altre più lente. In base all’analisi effettuata sul tracciato registrato, è possibile estrarre bande di frequenza di attività corticale (ritmi cerebrali) di cui è possibile analizzare la specifica frequenza, sede, durata, e che corrispondono a specifiche condizioni cognitive e/o cliniche. Sono stati individuati cinque diversi ritmi cerebrali a seconda dello sviluppo cognitivo. 1. Ritmo delta (un solo picco, 0.5-3 Hz), si manifesta a circa 20 minuti dal riposo a quando si entra in un sonno più profondo ma non è ancora il sonno REM, ritmo lento di inizio addormentamento profondo. A circa 20 minuti dall’inizio del riposo si entra in un sonno più profondo, detto anche a onde lente (quarto stadio del sonno), ma che non è ancora il sonno REM (quinto stadio del sonno) e quindi detto anche sonno non-REM (N-REM). Le onde delta non sono presenti in condizioni fisiologiche nello stato di veglia nell’età adulta, sebbene siano predominati nell’infanzia e inoltre compaiono nell’anestesia generale ed in alcune malattie cerebrali. Nei diversi stati di sonno sono presenti principalmente onde theta e onde delta (caratteristiche del sonno ad onde lente), a cui si aggiungono momenti di attività alfa e, raramente, di attività beta. Tensione media di 150. 2. Ritmo theta (4-8 Hz): tipico dei neonati; è presente in molte patologie cerebrali dell’adulto, negli stati di tensione emotiva e nell’ipnosi. Theta lenta (4-6 Hz), theta rapido (6-8 Hz). Present una tensione media di 75; in condizioni normali la fase theta si presenta nei primi minuti dell’addormentamento, quando si è ancora in uno stato di dormiveglia, dove viene poi successivamente alternato da grafoelementi detti fusi del sonno. Theta-sigma: questo ritmo segue la pura fase theta durante il sonno, quando cominciano a comparire piccoli treni di onde, dette sigma, a frequenza di 12-14 Hz e tensione elettrica di 5-50, sotto forma di fusi del sonno. 3. Ritmo alpha (8-13 Hz): registrato ad occhi chiusi, inizio di riposo mentale; presente sia nei bambini che negli adulti, stato di veglia; in mezzo tra sonno e veglia. Ritmo base presente di un EEG (ampiezza media di 30 mV), alfa lento (8-9 Hz), alfa intermedio (9-11.5 Hz), alfa rapido (11.5-13 Hz). Registrato ad occhi chiusi in un soggetto sveglio, soprattutto tra gli elettrodi occipitali e parietali (EEG sincronizzato). Se si invita il soggetto ad aprire gli occhi, l’attività alfa è sostituita da un’attività di basso voltaggio (inferiore a 30 mV) ma più rapida, di tipo beta (desincronizzazione) 4. Ritmo beta (14-30 Hz): dominante in un soggetto ad occhi aperti, cosciente. Il ritmo beta viene distinto in beta lento (13.5-18 Hz) e beta rapido (18.5-30 Hz). Presenta una tensione elettrica media di 19 mV. Le onde beta sono dominanti in un soggetto ad occhi aperti e impegnato in un’attività cerebrale qualsiasi, quasi continuo negli stati di allerta (arousal), ma anche nella fase del sogno (principalmente fase REM). 5. Ritmo gamma (30-90 Hz): si registra durante l’analisi cognitiva più impegnativa; alterazione del ritmo gamma è un indice di malattia neurologica, biomarker di possibili alterazioni cognitive. Il ritmo gamma si registra durante l’analisi cognitiva più impegnativa. Una alterazione di questo ritmo, infatti, è stata individuata quale marcatore (biomarker) di possibili alterazioni cognitive. Recenti modelli sperimentali di malattia di Alzheimer, ad esempio, hanno mostrato che questa patologia danneggia precocemente delle “centraline cerebrali” che servono a generare delle onde ad alta frequenza (banda gamma). Tale attività cerebrale è considerata fondamentale per la genesi ed il consolidamento delle memorie. Questa alterazione è considerata un possibile target terapeutico e sono in corso stufi clinici volti a riattivare l’attività gamma mediante metodiche di stimolazione cerebrale non invasiva. EEG/MEG: pro: cranio trasparente ai campi magnetici (MEG), altissima risoluzione temporale (ms), buona risoluzione spaziale. Contro: misure solo corticali, molto costoso (MEG), necessita raffreddamento con elio liquido, necessita di un ambiente schermato. Stimolazione magnetica transcranica (TMS): viene usata per bloccare temporaneamente e reversibilmente una funziona cognitiva, stimolando l’area cerebrale responsabile. Posso capire se quell’area cerebrale è impegnata in un determinato compito cerebrale; fornisce informazioni su quale parte del sistema nervoso è cruciale per una particolare funzione cognitiva. Funziona con un elettrodo (coil) che viene posizionato sulla testa e invia un impulso magnetico. Il coil genera un campo magnetico, questo genera dei campi elettrici perpendicolari e vanno a stimolare i neuroni sottostanti. Stimolazione transcranica elettrica (tES): viene stimolato solo elettronicamente e non magneticamente. Si usano due elettrodi posizionati sulla testa e fanno sì che la corrente endogena circoli in una determinata direzione; modulano l’attività elettrica presente nel cervello. Insieme di tecniche di modulazione corticale non invasiva. Stimolazione continua: polo positivo e polo negativo, stimolazione transcranica continua e diretta (anodica, catodica, tDCS). Stimolazione a corrente alternata: serie di onde, stimolo il cervello con una determinata frequenza (tACS). Stimolazione a corrente casuale: stimolazione transcranica random noise (tRNS), le oscillazioni sono casuali. Vengono applicate deboli correnti elettriche (1-2 mA) direttamente sullo scalpo per diversi minuti (5-30 minuti). Generazione di un campo elettrico che modula l’attività neurale (provoca alterazioni del potenziale di riposo della membrana e, di conseguenza, modifica l’efficienza sinaptica neuronale) in base alla modalità di applicazione. Disegni sperimentali. Gli esperimenti di neuroimaging nel dominio cognitivo vengono ideati con lo scopo di misurare i cambiamenti nell’attività cerebrale associati ad una specifica funzione. Metodo sottrattivo: somministro due condizioni, A e B e sottraggo il pattern di attività che si osserva durante B da quello che si osserva durante A. Analisi di tipo correlazionale (o parametrico): relazione tra due o più variabili, utilizzati per esaminare la relazione tra un dato comportamentale e l’attività del cervello. Se i due mostrano delle attività correlate, è probabile che siano connesse in qualche modo; non mi permette di stabilire un rapporto di causa-effetto. 06/11/2024 La memoria a lungo termine (o memoria secondaria). Teorie della memoria, episodico e semantico. Tipo di recupero implicito o esplicito. MLT: dichiarativa e procedurale. Memoria episodica. Tulving, 1972, distingue due tipi di memoria, episodica e semantica. Viene considerata come il registro delle esperienze quotidiane. Immagazzina le informazioni circa gli eventi e gli accadimenti che fanno la vita di una persona e, secondo Wheeler (1997), le esperienze soggettive (ricordo conscio del passato) che accompagnano le informazioni recuperate della memoria, ricordo del passato di eventi che ci sono accaduti. Fonte: sensazione; unità: eventi singoli, episodi, organizzazione temporale; punto di riferimento: sé; veridicità degli eventi: soggettiva. Viene detta autonoetica, autoconsapevole. La corteccia prefrontale viene reclutata soprattutto nei compiti di memoria episodica. Memoria semantica: riguarda le conoscenze generali del mondo, senza essere accompagnata da un’esperienza personale. Fonte: processi di comprensione, esperienze ripetute; unità: fatti, concetti, categorie, organizzazione concettuale; punto di riferimento: tutti, l’universo; veridicità dei ricordi: data da un accordo sociale, culturale. Viene considerata noetica, io riporto dei dati oggettivi. Fa riferimento soprattutto all’ippocampo e alle zone temporali. Working memory: concepita quasi come la cognizione in sé. Memoria episodica e memoria semantica si distinguono anche per i diversi compiti. Memoria episodica: compiti di riconoscimento, presento una lista di parole e chiedo se quella parola è stata presentata prima oppure no. La memoria semantica può utilizzare i compiti di verifica, il soggetto deve dire se la frase è vera o falsa. Graf e Schacter (1985). Memoria esplicita: i compiti di rievocazione o di riconoscimento sono compiti di memoria esplicita in quanto ai soggetti è chiaro che, per svolgere quel compito, deve essere utilizzata la memoria. La prestazione in questi compiti richiede dunque il ricordo consapevole dell’esperienza precedente. Memoria implicita: i compiti di memoria, in cui ai soggetti non è chiaro che venga utilizzata la memoria per svolgerli. La prestazione in questi compiti è facilitata senza bisogno del ricordo consapevole dell’esperienza precedente. (Memoria esplicita o memoria episodica secondo Tulving) Memoria dichiarativa. Corrisponde al “sapere che”. Le risposte che diamo nei compiti di memoria semantica ed episodica riguardano tipicamente un’informazione dichiarativa (dichiaro che la capitale della Francia è Parigi). Ha sede nel lobo temporale sinistro, in particolare nell’ippocampo. Memoria procedurale. Corrisponde al “sapere come”. Ad esempio, il tipo di informazione su cui si basa l’abilità di andare in bici è una conoscenza procedurale. Ha sede principalmente nel cervelletto. La prospettiva ecologica allo studio della memoria. 1. La memoria autobiografica 2. Le flashbulb memories 3. La memoria prospettica 4. La testimonianza Memoria in lab. Vs everyday memory. Lab. Metafora del magazzino: numero di elementi accessibili al recupero; apprendimento intenzionale; obiettivi dello sperimentatore. Quotidiana. Metafora della corrispondenza: resoconto individuale in presenza, avvenimento reale; apprendimento incidentale; obiettivi personali. Memoria autobiografica: ricordo degli episodi che ci sono accaduti; è diversa dalla memoria episodica poiché questa riguarda eventi banali, abbraccia solo minuti o ore e ha ricordi limitati, inoltre è importante la corteccia prefrontale media dorso-laterale destra. La memoria autobiografica riguarda degli eventi con un significato personale, abbraccia anni o decenni precedenti e ha ricordi complessi e viene attivata la corteccia prefrontale ventro-mediale sinistra (la corteccia prefrontale ventro-mediale si attiva sempre quando ci rivolgiamo a noi stessi). Memoria autobiografica. 3 funzioni attribuite al ricordo autobiografico. 1. Funzione del sé, conoscenza di sé stessi 2. Funzione sociale, facilitazione dell’interazione sociale 3. Funzione direttiva, ho uno strumento in più per affrontare gli aspetti della vita, quindi decisioni, pianificazione e risoluzione dei problemi. Curva del ricordo autobiografico o macrostruttura. È distinta in 3 componenti: 1. Amnesia infantile: dai 0 ai 2 anni perché il cervello ancora non è ben sviluppato. 2. Picco di reminiscenza: dai 16 ai 30 anni. 3. Effetto “recenza”: dai 50. La microstruttura, organizzazione della memoria autobiografica (Conway, Pleydell-Pearce, 2000): tipo di ricordi che riporto all’interno della memoria autobiografica. Due componenti principali: conoscenza di base della memoria autobiografica a tre livelli: 1. Periodi della vita, ad esempio gli anni dell’università o gli anni in cui si è vissuti in una città 2. Eventi generali come il primo giorno di università 3. Ricordi episodici come cosa indossavo in quella situazione Agenda di memoria autobiografica (Kopelman, Wilson e Baddeley, 1989). Tre periodi della vita: infanzia, età adulta, vita recente. Sé: influenza il tipo di ricordi immagazzinati e rievocati, con i ricordi autobiografici viene attivata l’amigdala. Flashbulb memories: includono le seguenti informazioni, informatore, luogo in cui si è appresa a notizia, evento, stato emotivo del soggetto, stato emotivo degli altri, conseguenze dell’evento. Uno dei motivi per cui i ricordi flashbulb memories sono ritenuti diversi è il fatto che essi sembrano essere fissati in memoria in maniera accurata. Lo studio sui ricordi FB: c’è solo una sensazione di accuratezza e una forte componente emotiva, i ricordi possono vacillare. MP: ricordarsi di compiere un’azione futura nel momento giusto. Caratteristiche: informazione temporale, quando; ricordo di un’intenzione. Time-based MP: si riferisce al contesto temporale di esecuzione o alle situazioni esterne che fungono da innesco (persone, luoghi, eventi). La testimonianza. La memoria è ricostruttiva; le informazioni possono essere fuorvianti; effetti contestuali ed individuali. L’effetto arma: il ricordo dei dettagli della scena è relativamente povero. 11/11/2024 Cos’è l’attenzione? Serie di processi che ci consentono di concentrarci su alcuni stimoli e su di un insieme di eventi presenti e ignorarne altri; l’attenzione controlla il nostro ambiente mentale selezionando gli eventi che raggiungeranno la nostra coscienza. Il nostro sistema attentivo, decidendo a cosa dobbiamo prestare attenzione, influisce ance su come noi percepiamo il flusso di stimoli in entrata. Proprietà dell’attenzione. L’attenzione è limitata. Limite temporale, per quanto tempo siamo in grado di prestare attenzione e concentrarci su un compito? Posso sostenere l’attenzione per un certo periodo ma poi l’attenzione cala. L’orologio di Mackworth (1950): compito, fissare il puntino sull’orologio, che segna i secondi. Premere un tasto quando il puntino fa uno scatto doppio. Risultato: col trascorrere del tempo aumentano progressivamente le omissioni (doppio scatto non rilevato), dopo 30 minuti, oltre il 15% dei target viene mancato (omissioni) e poi la prestazione continua a peggiorare; stesse percentuali con compiti uditivi. L’attenzione è selettiva. Al fine di mantenere l’attenzione su un compito dobbiamo escludere altri eventi filtrandoli (selezione). William James (1890): “è la presa di possesso da parte della mente di uno solo tra quanti sembrano contemporaneamente molti oggetti possibili o di un solo pensiero in un corso di pensieri.” Quando focalizziamo l’attenzione, lo facciamo così rapidamente che gli stimoli esclusi possono passare inosservati e non ne siamo consapevoli. Attuiamo dei processi pre-attentivi, non è tutto o nulla, elaboro a livello pre-attentivo e poi elaboro cosa deve essere elaborato fino in fondo. Analisi pre-attentiva: elaboro tantissime informazioni in parallelo, quindi, lavora a livello simultaneo; richiede poso sforzo (per questo mi permetti di elaborare tantissime informazioni a livello pre- attentivo). Elaborazione attiva focalizzata: lavora a livello sequenziale; richiede sforzo attentivo. Si è più veloci a riconoscere un target tra vari distrattori se questo differisce solo per una caratteristica: meccanismi pre-attentivi, pop-up; si è invece più lenti quando target e distrattori condividono più caratteristiche: in questo caso “un’occhiata” pre-attentiva non basta e bisogna analizzare gli stimoli uno alla volta per capire quale è il target (esempio cerchio rosso in mezzo a quadrati rossi e cerchio rosso in mezzo a quadrati rossi e cerchi blu). L’attenzione è parte dell’architettura cognitiva: i processi di base sono presenti fin dalla nascita (alcune evidenze mostrano riflessi a stimoli intensi già nel feto durante le ultime settimane di gestazione). Il vantaggio evoluzionistico è chiaro: orientare le risorse (limitate) verso uno stimolo nuovo o intenso può aumentare le probabilità di sopravvivenza. Esempio: rooting: se sfioriamo la guancia di un neonato, tenderà a ruotare la testa in quella direzione e ad aprire la bocca. Nonostante l’importanza dei processi attentivi, altrettanto importante è il meccanismo apparentemente opposto, l’abituazione. Evoluzionisticamente utile, una volta appurato che uno stimolo è persistente e innocuo, non essere più catturati da quello stimolo, in modo da potersi concentrare su altro (come rumore di sottofondo). L’attenzione è come uno spotlight, un fascio di luce; quindi, focalizzare l’attenzione è come dirigerla verso una porzione di spazio e poi se mi serve la sposto. L’attenzione, infatti, può essere spostata e rifocalizzata come un fascio di luce; quindi, è necessario un certo tempo per spostare l’attenzione da un oggetto ad un altro. L’attenzione ha una risoluzione limitata (è più fioca nella periferia). Posner Task (1990): mantieni lo sguardo sulla croce e premi il tasto sinistro quando appare un quadrato a sinistra e il tasto destro quando appare un quadrato a destra, i partecipanti sono più veloci ed accurati quando il target compare nella posizione suggerita dalla freccia (il partecipante sapeva che la freccia nel 30 % dei casi era ingannevole ma non riuscivano a ignorare la freccia perché cadeva nel loro campo visivo e quindi la elaboravano). Flanker Task: premi il tasto a sinistra se la lettera centrale è S, premi il tasto a destra se la letere centrale è H o K. Se le lettere laterali cadono nel mio campo visivo non riesco ad ignorarle. L’attenzione è un fascio, tutto ciò che cade nel mio campo visivo non riesco ad ignorarlo. Quindi attenzione limitata temporalmente, spazialmente. Subitizing: capacità di stimare in modo veloce ed accurato la quantità di un piccolo numero di item presentati simultaneamente. L’attenzione è come un filtro regolato da una modalità d’azione. Filtro precoce: è sensibile alle caratteristiche fisiche dello stimolo (esempio colpo di tosse). Filtro tardivo: è sensibile agli eventi potenzialmente importanti o comunque rilevanti (esempio il nostro nome, richiesta di aiuto). Attenzione focalizzata uditiva, Cherry (1953): fenomeno del cocktail party, la nostra capacità di seguire una sola conversazione mentre molte persone parlano contemporaneamente. Studi sull’ascolto dicotico: un messaggio uditivo è ascoltato e ripetuto ad alta voce on-line (SHADOWING), mentre un secondo messaggio è trasmesso all’altro orecchio. Risultati: sono elaborate solo pochissime informazioni del messaggio trascurato (in sostanza, solo le modificazioni fisiche, ad esempio il sesso della voce). Dimostriamo che il filtro attentivo è precoce. Teoria del filtro di Broadbent (1958): presentò all’ascolto dicotico una sequenza di 3 numeri (uno dopo l’altro) all’orecchio destro e contemporaneamente una sequenza di 3 numeri all’orecchio sinistro; ai partecipanti veniva chiesto di ripetere i numeri. Broadbent notò che i partecipanti ripetevano prima tutti i numeri di un orecchio e poi tutti quelli dell’altro e mai per coppia. Critiche: non si può considerare veritiero il fatto che il filtro selezioni solo sulla base di caratteristiche fisiche (selezione dell’informazione basata sul “significato”, ad esempio in ascolto dicotico “sentiamo” il nostro nome anche se pronunciato all’orecchio “da ignorare”). Quindi esiste un registro sensoriale separato per ciascuna modalità (visivo, uditivo, tattile, olfattivo, gustativo). Il messaggio trascurato viene “scartato” dal filtro e riceve un’elaborazione minima; il filtro seleziona un input alla volta sulla base delle “caratteristiche fisiche” più salienti; il messaggio trascurato viene scartato sempre in una “fase precoce” di elaborazione. Due stimoli presentati contemporaneamente accedono in parallelo ad un registro sensoriale (o memoria sensoriale o buffer di memoria). Ad uno dei due stimoli è poi consentito passare attraverso un filtro, sulla base delle sue caratteristiche fisiche, mentre l’altro stimolo rimane nel registro sensoriale per essere elaborato successivamente; il filtro è necessario per prevenire il sovraccarico del meccanismo a capacità limitata che elabora completamente lo stimolo (MBT). La teoria di Treisman (1960), l’attenzione per il contenuto. Alcuni partecipanti ripetevano una parola che era stata presentata su un canale trascurato: breakthrought, definito anche “affioramento”: si manifesta quando la parola presentata nel canale trascurato è decisamente plausibile nel contesto del messaggio presentato nell’altro canale. In tale modello l’attenuatore riduce o “attenua” l’analisi delle informazioni che vengono trascurate; tale riduzione avvien in una fase di elaborazione meno precoce a differenza del modello di Broadbent; l’analisi delle informazioni procede in modo sistematico, partendo dalle caratteristiche fisiche per poi giungere all’elaborazione del significato. La teoria di Deutsch e Deutsch (1963), l’attenzione per la rilevanza. Vengono analizzati tutti gli stimoli, ma solo uno, alla fine, determina la risposta sulla base della sua importanza e rilevanza nel compito; in tal caso la selezione dell’elaborazione è più vicina alla risposta ed è pertanto un processo tardivo; solo gli input prioritari determinano la risposta finale. Quale teoria si rivela maggiormente plausibile per spiegare l’attenzione focalizzata uditiva? La teoria di Treisman (selezione tardiva), l’attenuatore riduce ma non elimina. L’attenzione come insieme dei processi automatici e controllati. Criteri che definiscono i processi AUTOMATICI: 1. Sono molti rapidi (entro 1 secondo) 2. Non c’è intenzionalità o consapevolezza 3. Non sono aperti all’introspezione (ne siamo inconsapevoli) 4. Consumano poche risorse attentive Un classico esempio automatico è fornito dal compito di Stroop: pronuncia ad alta voce il colore dell’inchiostro con cui sono scritte le seguenti parole, dall’alto in basso. Criteri che definiscono i processi CONTROLLATI: 1. Sono lenti (maggiore di 1 secondo) 2. Sono accessibili all’introspezione 3. Richiedono consapevolezza 4. Richiedono molte risorse attentive Grazie all’uso congiunto di processi automatici e controllati siamo in grado di svolgere compiti impegnativi e al contempo gestire un numero diverso di altri compiti meno impegnativi. Speso facciamo eccessivo affidamento sui processi automatici e li utilizziamo anche quando in realtà sarebbe opportuno che entrassero in azione i processi controllati. I processi attentivi controllati sono quindi consapevoli e costituiscono quello che comunemente intendiamo con l’espressione “prestare attenzione” a qualcosa: possiamo decidere su cosa concentrare lo sforzo attentivo. Di solito, con la pratica, un processo che inizialmente richiede uno sforzo attentivo esplicito (consapevole) diventa con l’esperienza un compito svolto in automatico (senza sforzo attentivo esplicito) come guidare l’auto, camminare, andare in bicicletta (compiti ripetitivi). Tra attenzione automatica e controllata non esiste una divisione netta, ma piuttosto un continuum che va da un polo all’alto, ma non tanti punti intermedi. Vantaggi e svantaggi dei processi attentivi. Automatici. Pro: veloci; inconsapevoli; non richiedono sforzo; lavorano in parallelo; economici, ci consentono di concentrare risorse cognitive su altro. Contro: non permettono di elaborare informazioni; ci possono indurre a errori non; controllabili. Controllati. Pro: elaborazione profonda delle informazioni; direzionabili a seconda delle necessità; accesso e controllo consapevole. Contro: relativamente lenti; richiedono sforzo cognitivo; selettivi (capacità limitata). La separazione tra processo automatico e controllato non è così netta: si passa dall’uno all’altro in maniera molto rapida a seconda delle circostanze (ad esempio cammino ma incontro un ostacolo). Abilità chiuse. Abilità ripetitive in maniera prevedibile, ad esempio digitare su una tastiera, la posizione dei tasti è sempre quella, anche su tastiere diverse. Abilità aperte. Abilità che di base sono ripetitive, ma richiedono un’analisi specifica del contesto, come andare in biciletta, ma su un terreno disconnesso. Abilità chiuse e aperte richiedono diverse risorse attentive (continuum tra automatico e controllato) Vantaggi e svantaggi dei processi attentivi. Per funzionare al meglio dobbiamo applicare in maniera flessibile i processi automatici e controllati. Molti incidenti (in senso lato) avvengono proprio a causa della scarsa flessibilità tra i due tipi di processi. GEMS (generic error modelling system): sistema generici per la riproduzione degli errori, Reason (1990). Cause più comuni di errori: 1. Incapacità di interrompere un processo automatico e di passare immediatamente ad uno controllato (problema alla guida); 2. Interazione scorretta tra processi automatici e volontari (non mi presento ad un appuntamento fissato per martedì perché credo sia lunedì, so in che giorno siamo ma non ci avevo fatto caso) La nostra attenzione è limitata dalle richieste di risorse che provengono dagli stimoli esterni e dalle richieste dei compiti in cui simo impegnati. Esempi sperimentali: attentional blink, cecità da ripetizione, cecità al cambiamento, cecità da disattenzione. Attentional blink: momento in cui stiamo spostando il focus attentivo da un evento e siamo impossibilitati a identificare un altro. Nella vita quotidiana fenomeni come questo si verificano di frequente e gli effetti possono essere trascurabili (non ce ne rendiamo conto) ma anche disastrosi (quando proviamo a trovare sul cellulare un contatto fa chiamare o una playlist da ascoltare). Cecità da ripetizione: incapacità a percepire stimoli che sono ripetuti velocemente. Cecità al cambiamento: incapacità a percepire cambi nella scena su presentazione veloce (80 ms). Perché non notiamo i cambiamenti? Possibile spiegazione: non è utile evoluzionisticamente, ad esempio nell’ambiente cambiano le ombre ma non sere elaborarle. Cecità da disattenzione: incapacità di percepire stimoli nell’ambiente mentre stiamo eseguendo compiti impegnativi (più risorse controllate su uno stimolo, meno risorse per identificare altri oggetti in movimento). Esperimento classico di Simon e Chabris (1999): due squadre, compito, contare quante volte in un video la palla rimbalza per terra, intanto una persona vestita da gorilla passa in mezzo e nessuno se ne accorge. Neuropsicologia dell’attenzione. Le difficoltà nel prestare attenzione non derivano solo da semplici distrazioni, ma possono essere le conseguenze di disturbi neurologici che coinvolgono principalmente i lobi parietali e frontali e/o i circuiti della dopamina. Neuropsicologia dell’attenzione, lesioni parietali. Simultaneoagnosia (sindrome di Balint): difficoltà di riconoscere due o più oggetti contemporaneamente. Il sistema attentivo riesce a mettere a fuoco solo uno di essi e on si sposta automaticamente da uno all’altro. Neglect (o emineglicenza spaziale unilaterale). Il paziente con neglect mangerà solo il contenuto della parte destra del piatto (visto dall’emisfero sinistro). Ma se ruotiamo il piatto, mangia anche col che è contenuto nell’altra metà (che adesso cade nuovamente nel campo visivo destro). Difficoltà nello spostare il focus attentivo su di una parte del campo visivo (di solito sinistro, lesione a destra); il sistema visivo registra gli elementi mancanti, ma il sistema attentivo ignora gli input visivi. Il neglect può portare ad “ignorare” elementi dello spazio esterno, peripersonale o anche personale (esempio mani) a seconda della tipologia del disturbo. Il deficit è però attentivo: presentazione subliminale di parole nell’emicampo colpito mostra che una debole elaborazione dell’informazione può essere preservata (priming). Alterazioni dei circuiti frontali. ADHD, attention deficit Hyperactivity disorder, deficit di attenzione ed iperattività (disordine del neurosviluppo). Sembra avere una base biologica (25% dei genitori di bambini con diagnosi ADHD ha la stessa diagnosi vs il 4% dei bambini adottati); sembra esserci uno scarso afflusso di sangue nei lobi frontali (scarsa inibizione). I bambini sono interessati ad una eccesiva quantità di stimoli ed hanno difficoltà a filtrare ed escludere informazioni irrilevanti (deficit di inibizione): irrequietezza, distraibilità, scarso auto-controllo (circuiti della dopamina). Demenza di Parkinson: a livello attentivo si manifesta con difficoltà di concentrazione e di inibizione, difficoltà a spostare l’attenzione verso nuovi eventi o idee (questa sintomatologia è associata ad alterazioni dei circuiti di dopamina nei gangli della base). L’attenzione è parte dell’architettura cognitiva Processi automatici: molto veloci ma non posso controllarli a livello pre-attentivo 13/11/2024 Oggi la diagnosi di ADHD può essere svolta anche dallo psicologo, una volta solo dal neuropsichiatra. 18/11/2024 Riconoscimento di pattern. Il riconoscimento di pattern ci permette di interagire con il mondo; prestiamo attenzione ad alcuni aspetti della stimolazione sensoriale. Identifichiamo ciò di cui abbiamo appena avuto esperienza. Ad esempio, una persona seduta dietro una scrivania arriva ai nostri occhi come “mezzo busto”, ma noi sappiamo che è una persona (riconosciamo un pattern o configurazione), completo un’informazione anche dove manca metà dell’informazione e anche in base alle mie esperienze. Vuol dire percezione, integrazione delle informazioni con quanto immagazzinato già in memoria. Questo sistema prevede il lavoro di 3 sistemi: elaborazione sensoriale, a questo aggiungo le mie conoscenze nella memoria a lungo termine; quindi, integro informazioni in ingresso con le informazioni nella MLT, a questo aggiungo la forma attentiva. Quindi, percezione, memoria e attenzione collaborano pur essendo dei sistemi a sé. Bottom up (parto dallo stimolo fisico, quindi dal basso, e questa informazione sale verso il sistema cognitivo, il sistema riceve i singoli elementi dello stimolo e li combina in un’unica percezione) e top down (elaborazione dall’alto, parto dalle mie conoscenze precedenti e aggiungo le informazioni mancanti fino ad arrivare a un pattern che abbia un significato e che possa essere riconosciuto dal mio sistema cognitivo come un qualcosa che abbia significato). Il riconoscimento di pattern implica un costante confronto tra info in ingresso (parto dallo stimolo fisico e cerco di capire cos’è) e arrivo all’informazione top-down; questi due processi si attivano in parallelo. A studiare maggiormente le abilità di riconoscimento percettivo sono stati gli psicologi della Gestalt, che si concentrano a capire come e perché avvengono delle distorsioni nella percezione degli oggetti nel mondo, cosa ci permette di riconoscere uno stimolo con un significato. Fuggiti negli Stati Uniti per scappare al Nazismo, questi psicologi (soprattutto tedeschi) basavano la loro teoria su un principio basilare: la percezione si basa sul principio di Pragnanz (Koffka, 1935: “che comunica l’essenza”). Il tutto è più della somma delle parti, non è interessata al singolo ma all’insieme. L’organizzazione percettiva visiva ha 4 aspetti fondamentali: 1. Percezione della forma 2. Percezione della profondità e della distanza 3. Percezione del movimento 4. Costanza percettiva: siamo in grado di riconoscere lo stesso stimolo indipendentemente dalle diverse variabili che lo possono far cambiare, il mio sistema cognitivo riconosce degli elementi costanti e mi permette una corretta elaborazione dello stimolo Psicologia della Gestalt (anni 20 e 30): l’intero (il percetto) è qualcosa in più rispetto alla semplice somma delle sue parti. La mente segue automaticamente ed inconsapevolmente dei principi per organizzare l’input sensoriale al fine di formare delle entità significative. Percezione della forma. 1. Discriminazione figura/sfondo e simmetria. Le persone distinguono intrinsecamente tra la figura (l’oggetto che stanno osservando) e lo sfondo. Tendiamo a vedere una regione tanto facilmente come figura, quanto più essa è piccola e/o simmetrica. 2. Somiglianza: gli elementi di una configurazione percepiti come simili verranno raggruppati 3. Prossimità o vicinanza: gli elementi vicini uno all’altro verranno probabilmente percepiti come parti di una stessa configurazione 4. Buona continuazione (continuità): quando è possibile la mente organizza gli stimoli in linee continue o schemi, anziché come elementi discontinui 5. Chiusura o buona forma: quando è possibile la mente tende a chiudere le estremità aperte di una figura oppure a riempire le parti mancanti di una figura incompleta 6. Destino comune: quando due o più elementi si muovono nella stessa direzione e alla stessa velocità, tenderanno ad essere percepiti come un unico insieme dal destino comune Diversi tipi di riconoscimento. Oggetti bidimensionali (parole), oggetti tridimensionali (libro), volti (stimolo speciale). Riconoscere gli oggetti bidimensionali. Ci sono tre teorie fondamentali: 1. Delle caratteristiche distintive/componenti: Biederman (1987). Teoria del riconoscimento per componenti: le persone percepiscono gli oggetti scomponendoli in 36 componenti elementari (geoni) e confrontalo il modo in cui sono disposte con degli “schizzi” immagazzinati in memoria. Ogni stimolo può essere pensato come una configurazione di caratteristiche distintive elementari (Gibson, 1967). Ogni lettera può essere analizzata come costituita da un insieme di caratteristiche (orizzontalità, verticalità, curvatura, simmetria). L’evidenza proviene da due fonti: studi sperimentali e studi neurologici. Studi sperimentali: compiti di ricerca visiva in cui i partecipanti scorrono liste di lettere il più velocemente possibile allo scopo di trovare una specifica lettera target che si presenta in una posizione non comune nella lista; prestazione migliore se i distrattori non condividono caratteristiche con il target, es. lettera Z, lista 1: VXMZNW linee spezzate, lista 2: GOZQSB linee curve. Studi neurologici: i sistemi visivi di molti vertebrati contengono sia cellule periferiche (retiniche) sia cellule centrali (corticali) che rispondono solo a caratteristiche particolari dello stimolo visivo (es. linea spezzata). Hubel e Wiesel (1968), tre diversi tipi di cellule corticali (semplici, complesse e ipercomplesse) nella corteccia del gatto (poi confermate anche in mote altre specie) 2. Del template-matching (confronto di sagoma): ci dice che noi confrontiamo l’informazione in ingresso con un’immagine che abbiamo già in memoria (template). La teoria sostiene che il riconoscimento di oggetti bidimensionali si basi sul confronto tra l’informazione che ha appena stimolato gli organi di senso (mantenuta nella memoria sensoriale; bottom-up) e l’informazione relativamente permanente acquisita durante la nostra vita (mantenuta nella MLT; top-down). In particolare, il sistema di memoria immagazzina un numero illimitato di costrutti o rappresentazioni delle templates o sagome. Noi non facciamo che confrontare lo stimolo in entrata con queste copie in miniatura di configurazioni o oggetti che abbiamo in memoria. Critica: il problema con questa teoria è che non riesce a spiegare la grande variabilità delle configurazioni (ad esempio le lettere scritte con diverso font, grandezza o carattere) 3. Del prototipo: ciò che immagazziniamo in memoria non è una sagoma per ogni tipo di configurazione, ma un numero ridotto di prototipi e cioè forme astratte che rappresentano gli elementi di base di un certo insieme di stimoli. Le somiglianze tra stimoli che appartengono alla stessa categoria giocano un ruolo importante nel riconoscimento di configurazioni: ogni stimolo è un membro do una categoria di stimoli e condivide certe proprietà di base con gli altri membri della categoria. Alcuni problemi: se l’idea del prototipo è attraente, la natura dei prototipi e il processo d corrispondenza non è molto esplicito; cosa son esattamente le proprietà di base condivise da una categoria di stimoli? Nessune di queste 3 teorie riesce a spiegare esaustivamente il riconoscimento dei pattern. Teorie delle caratteristiche distintive: teoria più supportata, anche se comunque ci sono delle critiche. Le teorie del riconoscimento degli oggetti bidimensionali assumono una forma di elaborazione bottom-up di tipo seriale, per cui solo un certo numero di informazioni vengono elaborate per poi passare al livello superiore. Una scena visiva è composta da un numero illimitato di caratteristiche; come procediamo quindi verso l’analisi delle caratteristiche? Effetto Navon (1977): Navon chiedeva di ascoltare una lettera e decidere se la lettera grande fosse la stessa che avevano udito. Iniziamo con un’analisi delle caratteristiche globali e poi passiamo quelle locali. Il tempo necessario a riconoscere le lettere grandi non cambia a seconda delle lettere piccole che le costituiscono. Tuttavia, il tempo necessario a riconoscere le lettere piccolo aumenta se la lettera grande è diversa dalle piccole. L’analisi globale precede l’analisi locale. Riconoscere gli oggetti tridimensionali, l’approccio delle componenti. Come per il riconoscimento di pattern bidimensionali, anche per quelli tridimensionali entra in gioco l’identificazione di caratteristiche fondamentali che costituiscono gli oggetti. La teoria di Biederman si basa sulla rappresentazione di oggetti complessi (3D) a partire da una serie di primitivi più semplice (2D). come facciamo ad ottenere un modello 3D da uno 2D? La teoria di Biederman. Ogni geone possiede una caratteristica di base, che verrà: Localizzata nel bozzetto 2D Agganciata ad un geone in modo da generare una descrizione strutturale 3D. Il volto come “stimolo speciale”. Predisposizione sociale perché siamo in grado di discriminare la stessa persona ad età diverse, serie di differenze in molto molto rapido senza alcun tipo di sforzo fisico. Humphreys e Bruce (1989) hanno proposto un modello generale in cui il riconoscimento degli oggetti si inserisce in un contesto più ampio che comprende la percezione, la categorizzazione e la denominazione. Riconoscere un volto però richiede un livello di discriminazione più fine rispetto a riconoscimento di oggetti più “elementare” come, ad esempio, riconoscere soltanto se un oggetto è una sfera. I volti inoltre possono essere categorizzati a diversi livelli: a) Quello stimolo è un volto o un oggetto? b) È un volto femminile o maschile? c) È un volto familiare o non familiare? d) A chi appartiene quel volto? Si tratta di un giudizio within-category che differenzia il riconoscimento dei volti dal riconoscimento degli oggetti e richiede uno sforzo visivo importante in quanto le differenze tra volti possono essere minime (stessa configurazione globale, ma infinite combinazioni locali). La nostra abilità nel riconoscere volti familiari è ottima e spesso non è influenzata dalla posa, la luce o punto di vista. Invece il riconoscimento di volti non familiari è più difficile ed è influenzato dalla posa, dalla luce e dal punto di vista. Il riconoscimento dei volti: alcuni errori. Misidentification: identifichi un volto non familiare come familiare Unrecognition: non riconosci un volto familiare Il volto sembra solo familiare: riconosci il volto come familiare, ma non hai altre notizie a riguardo Difficoltà nel recuperare tutte le informazioni: come ad esempio il nome Problemi di decisione: pensi di aver riconosciuto il volto, ma poi decidi che non è possibile (ad esempio perché la persona è all’estero) Young (1985): frequenza di errori comuni nel riconoscimento di volti. Il modello di Bruce e Young (1986). Distinguono alcuni stadi di elaborazione sequenziale necessari all’identificazione di un volto familiare: la codifica strutturale. In questo stadio diverse informazioni sul volto vengono estratte in parallelo: l’analisi dell’espressione facciale, l’analisi del linguaggio facciale (movimenti della bocca implicati nel parlare) e l’elaborazione visiva diretta di cui abbiamo bisogno per vedere le somiglianze e le differenze tra volti non familiari. Poiché siamo in grado di riconoscere velocemente un volto nonostante i cambiamenti di angolo, luce e espressione facciale, queste rappresentazioni strutturali vengono considerate le più importanti per il riconoscimento dei volti. Face Recognition Units (FRUs): queste rappresentazioni strutturali vengono successivamente confrontate con un insieme di rappresentazioni di volti già immagazzinati (quindi familiari) come unità di riconoscimento dei volti o FRUs (Face Recognition Units); formano un link tra la codifica strutturale e il livello successivo. Personal Identity Node (PIN): quando un’unità FRU è sufficientemente attivata, rende possibile l’accesso al nodo di identità della persona (Personal Identity Node). I PIN vengono concepiti come unità sensibili agli input multimodali (facce, nomi, voci, ecc..) e servono come una strada comune che permette l’accesso “all’informazione semantica di una persona” (chi è) Il sistema cognitivo: anche il sistema cognitivo viene chiamato in causa nel riconoscimento di un volto in quanto l’informazione fornita dal sistema di riconoscimento deve essere poi valutata (decisione finale circa l’identità). L’effetto cross-race (Chance 1975), siamo meno bravi a discriminare volti di altre etnie rispetto a quelli della nostra etnia (con superiorità dell’emisfero destro). Essendo lo “stimolo-volto” elaborato come un prototipo, siamo più efficienti ad elaborare caratteristiche distintive dei volti a cui siamo maggiormente esposti. Commettiamo invece più errori con i volti a cui siamo meno esposti (motivazione evoluzionistica) Neuropsicologia dell’elaborazione dei volti. Il giro fusiforme nel lobo temporale (destro) è specializzato nell’elaborazione dei volti. Lesione: prosopagnosia, incapacità a riconoscere i volti. I pazienti prosopagnosici non riescono a riconoscere i volti familiari anche se riescono a riconoscere gli oggetti familiari o le persone familiari dai loro oggetti, voci postura, gesti, ecc. Ci sono alcune dissociazioni che testimoniano che l’elaborazione dei volti avvenga a stadi: 1. Ci sono casi di pazienti prosopagnosici che riescono a leggere le labbra 2. Ci sono casi di pazienti prosopagnosici che hanno un accesso intatto ai PIN ma non riescono a dare un nome al volto 3. Alcuni pazienti prosopagnosici riescono a fare bene il match tra volti e nomi di persone famose Evoluzionisticamente l’analisi del volto dei conspecifici è fondamentale per la sopravvivenza: distinguere un amico da un nemico, una femmina da un maschio, un’espressione di rabbia da una di paura è cruciale per le nostre interazioni quotidiane. I neonati mostrano preferenze percettive per le conformazioni simili ai volti fin dalle primissime ore di vita e l’esistenza di aree e circuiti cerebrali dedicati conferma l’importanza di questo “stimolo speciale” per il nostro cervello. Classificazione percettiva: qui riconosco il volto, terzo livello, attivando un processo cognitivo specializzato per il riconoscimento dei volti. Area fusiforme dei volti: area del lobo temporale (emisfero destro, come stimolo prototipico), area del cervello specializzata nell’elaborare i volti e delle caratteristiche che il volto contiene. Il volto è uno stimolo olistico. 20/11/2024 La conoscenza. L’organizzazione della conoscenza è guidata da 3 principi di base: 1. Economia cognitiva: cerchiamo di individuare categorie di cose per evitare di dovervi ricordare ciascun singolo oggetto di quella categoria 2. Informatività: i concetti sono altamente informativi (non troppo generali né troppo dettagliati) 3. Coerenza naturale: i concetti che vengono formati sono i più plausibili e naturali All’interno della ricerca sull’organizzazione della conoscenza si distingue tra: organizzazione semplice e organizzazione complessa. Organizzazione semplice della memoria semantica. 4 approcci che si compenetrano tra di loro che cercano di spiegare la conoscenza della memoria semantica. Modello delle reti semantiche: rappresenta i concetti secondo una rete organizzata gerarchicamente, ci sono delle info superiori che inglobano al loro interno altre informazioni. La nostra rete semantica è costituita da: la struttura nodo-collegamento, TLC o interfaccia per le domande che permette di navigare all’interno di questa rete. Organizzazione gerarchica e costruzioni di nodi che sono collegati tra di loro che rappresentano i concetti e questo meccanismo che permette di esplorare la rete. Nodo-collegamento: il significato di un concetto è dato dall’insieme di tutti i collegamenti associati ad esso. TLC: (teaching language comprehender), ha la funzione di scan per arrivare alla risposta giusta e si basa su tre assunti principali: 1. Lunghezza simile: salmone e pesce persico sono equidistanti da pesce 2. Archiviazione: le proprietà vengono archiviate nel nodo più alto della gerarchia 3. Diffusione dell’attivazione: la domanda attiva un nodo e poi l’attivazione si diffonde La costruzione della rete si basa sui tempi di reazione, compiti di verifica del concetto. Questo concetto in quale categoria va incluso? Maggiore è la distanza tra i nodi, più tempo sarà necessario per verificare l’affermazione. Questo concetto ha una particolare proprietà? l’attributo deve essere derivato dalla proprietà del nodo sopraordinato uccello, piuttosto che direttamente dal nodo canarino. Compiti di verifica di un concetto. Questo concetto in quale categoria va incluso? Maggiore è la distanza tra i nodi, più tempo sarà necessario per verificare l’affermazione; questo concetto ha una particolare proprietà? l’attributo deve essere derivato dalla proprietà del nodo sopraordinato uccello, piuttosto che direttamente dal nodo canarino. Il modello del confronto di caratteristiche (Rips, 1989). Organizzazione delle categorie in uno spazio semantico intorno ad un esemplare migliore (più rappresentativo). La base per decidere quanto centrale è un concetto dipende dalle caratteristiche che possiede: caratteristiche definenti, attributi necessari e sufficienti a specificare i requisiti di appartenenza ad una categoria (ad esempio avere le ali). Caratteristiche distintive: attributi che più comunemente appartengono ai membri di una categoria (ad esempio costruire un nido su un albero). La teoria percettiva. Barsalou (1999) sostiene che la conoscenza è perceptually-based, ovvero si organizza in base alla modalità percettiva in cui esperiamo il mondo. Riconosciamo varo tipi di auto come auto perché riattivato l’input visivo iniziale di un auto. L’approccio connessionista. La capacità di rispondere ad una domanda dipende da un’intera configurazione di connessioni. Gli esemplari e gli attributi sono connessi da unità comuni che collegano il nome di un oggetto (es. canarino) ad una: proprietà generale (può) e proprietà specifica (vola). Due assunti di base: elaboriamo le informazioni in parallelo attivando tutta la rete; le connessioni possono essere deboli o forti a seconda dell’esperienza. Organizzazione complessa. La teoria degli schemi. Schema: costrutto teorico più usato per spiegare l’organizzazione della conoscenza; è un gruppo strutturato di conetti che contiene una conoscenza generale su situazioni stereotipiche. È un mezzo usato per la rappresentazione di eventi, sequenze di eventi, regole di comportamento, situazioni, relazioni ed oggetti. Bartlett (1932), il primo approccio. Cerca di capire il ruolo dello spettatore sulla costruzione della rappresentazione interna del mondo; influenza delle aspettative personali sulla comprensione e sul ricordo di eventi; ipotesi della rappresentazione mentale di tali aspettative in forma schematica; esecuzione di una serie di esperimenti sulla misura dell’influenza delle aspettative sui diversi aspetti dell’attività cognitiva. La guerra dei fantasmi: risultato: no ricordo letterale ma ricostruzione della storia in modo coerente con le aspettative personali. Affermazione del concetto di schema solo a partire dagli anni 70. Schema: struttura per organizzare a conoscenza. Gli schemi sono i mattoni della cognizione, gli elementi fondamentali su cui dipende l’elaborazione dell’informazione. Si possono distinguere in: World schemas: schemi che riguardano il contesto e le esperienze di vita Text schemas: schemi che riguardano la sequenza e la struttura di un brano Gli schemi non sono rigidi ma rispettano i fattori culturali e sono dinamici (possono cambiare in base all’informazione in ingresso). Brewer e Treyens, 1981: studiavano la stanza e dopo dovevano rievocare gli oggetti; hanno rievocato soprattutto gli item coerenti con lo schema della stanza. Gli schemi consistono di SCRIPT: un protocollo mentale definito socio-culturalmente per gestire una situazione. Schank e Abelson (1977) e il modello SAM. Script: struttura schematica che contiene ana sequenza di azioni attraverso cui si deve passare perché si verifichino eventi stereotipici; prevede lo sviluppo futuro degli eventi e completa gli aspetti impliciti, cioè, consente di fare inferenze; codifica anche i tipi di oggetti e di attori che ci si aspetta di incontrare in quel contesto. Script “mangiare al ristorante”. Schema con 4 componenti generali: entrare, ordinare, mangiare, andarsene; azioni specifiche; ruoli o parti (cameriere, cuoco ecc.) Galambos e Rips (1982). Compito: decisione circa l’appartenenza o meno di un’azione ad uno script. Risultato: risposta più rapida se l’azione fa parte dello script, più lunga se non ne fa parte. Perché sono utili gli schemi nella vita quotidiana? La competenza acquisita attraverso schemi aiuta le persone ad apprendere nuove cose. Più si cosce su un determinato argomento (soggetti esperti), più facile è acquisire nuove informazioni a riguardo. “Effetto della competenza”. Problemi della teoria degli schemi. Alcuni limiti: mancanza di una spiegazione valida sull’origine degli schemi; mancanza di una spiegazione valida della flessibilità della conoscenza. Teoria della memoria specializzata. Un ricordo specializzato è forte per un determinato tipo di informazioni (Chase ed Ericsson, 1981) I principi della memoria specializzata. Codifica significativa: si codificano aspetti che sono “invisibili” ai soggetti normali proprio grazie all’esperienza Struttura di recupero: vengono utilizzati indizi specifici per il recupero Velocizzazione: le informazioni vengono recuperate dalla memoria di lavoro a lungo termine 27/11/2024 Rappresentazioni mentali. Modo in cui noi rappresentiamo mentalmente il mondo, rappresentazione mentale. Percezione: fatto oggettivo, rappresentazione mentale: varia da persona a persona. La percezione non è una copia fedele della realtà fisica, ma viene mediata da molteplici fattori, sia esterni (illusioni) che interni (umore, ricordi). Le rappresentazioni mentali possono essere interne (relative al nostro mondo interiore) o esterne (riferite al mondo fisico) Imagery: uso delle immagini mentali; generare elementi mentali in assenza di stimolo fisico corrispondente non deve essere confuso con le allucinazioni che sono delle manifestazioni cliniche in cui si esperisce uno stimolo come esistente, anche se questo non esiste nel mondo fisico. L’imagery si riferisce a qualcosa di “controllabile”, le allucinazioni no. L’imagery prevede un “monitoraggio della realtà”: capacità di distinguere ciò che è reale da ciò che è immaginato e manipolato mentalmente. L’allucinazione non è controllabile dalla persona che la esperisce, l’imagery si. Queste immagini mentali non si riferiscono esclusivamente alla modalità visiva: ciascuno di noi può immaginare una melodia o la sensazione tattile di toccare uno specifico oggetto. Possiamo creare immagini mentali anche motorie, come quando simuliamo mentalmente di svolgere un’azione. Tutte queste esperienze possono essere generate da stimoli interni (un pensiero) e da stim

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