Agronomia Completo PDF - Italian Agronomics
Document Details
Uploaded by GladHyperbole
Tags
Summary
This document provides a comprehensive overview of agronomics, focusing on agricultural ecosystems. It explains the interplay of spheres like the atmosphere, lithosphere, and hydrosphere, highlighting their impact on plant physiology and the environment. The document discusses topics including nutrient cycling (nitrogen and carbon cycles), soil fertility, and the productive capacity of agricultural systems.
Full Transcript
Ecosistema Quando parliamo di sistema agrario dobbiamo avere ben presente che sotteso a questo sistema agrario c’è un agroecosistema, formato dalle sue componenti fondamentali che sono: la Biosfera (microbi, piante e animali), l’Atmosfera (formata da aspetti chimici che sono i gas e da aspetti fisic...
Ecosistema Quando parliamo di sistema agrario dobbiamo avere ben presente che sotteso a questo sistema agrario c’è un agroecosistema, formato dalle sue componenti fondamentali che sono: la Biosfera (microbi, piante e animali), l’Atmosfera (formata da aspetti chimici che sono i gas e da aspetti fisici quali pioggia, temperatura, vento, luce ecc…), la Litosfera (formata da aspetti chimici quali i nutrimenti per le piante e aspetti fisici come la circolazione tra acqua e ossigeno) e l’Idrosfera (acqua per la nutrizione e il trasporto). Questa ripartizione in sfere dell’ecosistema è un qualcosa di artificioso, infatti è impossibile immaginare che ad esempio l’idrosfera sia separata dalla litosfera, oppure che sia sconnessa dall’atmosfera, dato che, in questa sfera, troviamo una grande quantità di acqua sotto forma di vapore che ha un effetto notevole sulla fisiologia delle piante e in qualche modo interagisce anche con l’effetto serra. Naturalmente anche la biosfera interagisce con le altre sfere e se ne avvantaggia in qualche modo. In un ecosistema la fonte di energia prioritaria è la luce solare che viene convertita in energia chimica attraverso la fotosintesi. La fotosintesi utilizza l’acqua, che viene asportata dalle radici delle piante con l’evapotraspirazione, l’anidride carbonica, che entra negli stomi delle foglie (servono a far uscire l’acqua sotto forma di vapore e a far entrare anidride carbonica), e luce per produrre glucosio. Gli animali, con la respirazione, estraggono l’energia dal glucosio e lo riportano a CO2, si vanno quindi a formare CO2, acqua ed energia che serve ad attivare il metabolismo del vivente che sta respirando questa molecola. Quindi, fotosintesi e respirazione sono in equilibrio tra di loro, inoltre, il processo di respirazione è molto simile a quello di combustione, ed è l’unico modo di formare energia da questa molecola. L’equilibrio lo troviamo anche tra gli animali stessi, ovvero tra erbivori e carnivori, perchè una volta trasformata l’energia chimica in calorie esistono gli erbivori che impediscono che ci sia un consumo totale di CO2 nell’atmosfera, mentre i carnivori impediscono la riduzione progressiva del numero di piante. La cosa importante è che di queste piante e/o animali rimangano dei residui nel suolo che vadano a costituire la sostanza organica del suolo La lisciviazione è il trasporto di nutrienti con l’acqua, a seconda del tipo di suolo e a seconda del tipo di elementi che vengono coinvolti in questo processo la lisciviazione, ovvero l’allontanamento verso la falda sottostante, può essere più o meno forte. Nel caso dell’agroecosistema la lisciviazione sarà maggiore rispetto ad un ecosistema naturale, questo vuol dire che il sistema è meno in grado di trattenere nutrienti. Il sistema in cui viviamo, non soltanto per quanto riguarda l’agricoltura, è un sistema altamente energivoro, quindi che crea inquinamento, noi questi score inquinanti le generiamo anche nei sistemi agricoli, poiché stimoliamo la crescita delle piante con input energetici forti. In generale si tende a consumare più energia di quanta ne viene prodotta, per questo motivo parleremo anche dei servizi che l’agroecosistema fornisce, come i servizi culturali e servizi socioeconomici. Nella tabella, si evidenzia, nell’ultima riga, che la produttività netta del bioma risulta negativa, significa che il carbonio che dovrebbe essere presente in quel sistema (espresso in teragrammi) è negativo, perché abbiamo una produttività primaria netta alla quale viene sottratta la respirazione, per ottenere la produttività netta dell’ecosistema. Se a questa produttività netta dell’ecosistema si sottrae il raccolto, che possono essere intere piante nel caso dei foraggi o dei frutti nel caso dei sistemi ortivi, si ottiene la produttività netta del bioma con un risultato negativo. La mappa mostra la produttività primaria netta in scala europea, nella quale si nota che all’aumentare della latitudine aumenta la produttività primaria netta, questo perché la tipologia di suoli e la disponibilità di risorse idriche fanno sì che questi sistemi abbiamo una produttività maggiore. In Italia, come notiamo, la produttività primaria netta è inferiore, soprattutto nel sud perché i suoli tendono a perdere la loro fertilità. I cicli bio-geo-chimici comprendono, come elementi fondamentali, l’azoto e il carbonio. L’azoto è utile per la nutrizione delle piante, ma può essere anche inquinante poiché si produce, ad esempio, protossido di azoto, che è un gas che ha un “effetto serra”, o si produce ammoniaca che acidifica le piogge. L’azoto è presente in diverse forme, quelle che più ci interessano sono le forme non reattive, dove troviamo N , presente nell’atmosfera, e 2 delle forme reattive, ovvero che reagiscono con altre molecole, tra le quali troviamo N O, che deriva dal processo 2 di denitrificazione, NH , derivante da un processo di 3 volatilizzazione che si verifica in determinate condizione di umidità, temperatura e pH del suolo. Il carbonio, è fissato, ovvero è reso in forma organica, attraverso la fotosintesi, quindi sappiamo che il legame CH, che troviamo anche negli zuccheri semplici, è il principale vettore di energia, significa che ha un alto contenuto energetico e quindi, rompendo questo legame con l’ossidazione, che sia la respirazione o che sia la combustione, si libera tantissima energia. Durante i vari processi di trasformazione del carbonio si vanno a produrre CH e CO. Il 4 2 metano, in assenza di ossigeno, si forma per meccanismi fermentativi, quindi la microflora anaerobia è in grado di fermentare il carbonio organico presente nei liquami e di produrre metano, che è sia un gas inquinante che una fonte di energia. CICLO DELL’AZOTO Da questa immagine si nota che il carbonio che arriva al suolo, sotto forma di reflui o residui vegetali, attiva subito i microrganismi, questi utilizzano i materiali organici che arrivano al suolo per andare a formare una frazione si sostanza organica molto stabile, che prende il nome di SOM (Soil Organic Matter). La SOM è fondamentale per mantenere la fertilità dei sistemi agrari, a sua volta, però, può essere mineralizzata, ovvero che dalla forma organica si producono forme minerali, come lo ione ammonio, il nitrito ed il nitrato, tutti presenti nel suolo. L’ammonio, con carica positiva, viene coinvolto in un processo di adsorbimento, con i colloidi del suolo, costituiti da argille e sostanza organica, aventi carica negativa. Invece, il nitrito ed il nitrato possono essere assorbiti dalle piante oppure possono essere lisciviate. Gli animali, quando digeriscono un foraggio, hanno un efficienza dell’uso dell’azoto che non è molto elevata, tende ad essere elevata nei monogastrici. Ad esempio, la percentuale dell’azoto ingerito nelle vacche sta intorno al 20%, questo significa che circa il 65%, in media, di quello che forniamo come foraggio agli animali va a finire nelle deiezioni. I due processi chiave del ciclo del carbonio sono fotosintesi e respirazione. Oltre a questi ci sono altri processi come la combustione, la decomposizione e la dissoluzione/fissazione. Questa slide spiega tutti il carbonio entra ed esce dai vari comparti del sistema. Ammonio sosti organica * - acqua Temperatura - - → Livestock = prod. di liquami ! (sovraccarico di liquami sui terreni ) razzia Caratteristiche fisiche del suolo µ Cos’è il suolo? Il suolo è un corpo naturale composto da strati derivati da minerali alterati, quindi subiscono delle modifiche da parte di temperatura, aria, acqua e attività biologica. Il suolo è anche un mezzo naturale per la crescita delle piante. Il processo che porta alla formazione del suolo, la pedogenesi, è un processo che dura migliaia di anni, quello che porta alla sua distruzione, invece, dura solamente un centinaio di anni. La pedogenesi è composta da tre azioni che, in un primo momento, possono essere definite consecutive, ma in un secondo momento, agiscono contemporaneamente. La prima azione è di tipo fisico-meccanico che, con l’alternarsi di temperature più alte o più basse, porta alla rottura delle rocce. Con lo spaccarsi di quest’ultime, l’acqua ha la possibilità di insinuarsi all’interno. L’acqua, fondamentale per i fenomeni di dissoluzione chimica dei sali, dal punto di vista fisico subisce dei cicli di congelamento e di liquefazione. Il congelamento porta ad una dilatazione nei liquidi, quindi, in questo caso, porta ad un aumento di pressione che porta ad una disgregazione meccanica da parte della roccia. Da questo momento, cominciano ad insediarsi i primi organismi viventi, come i licheni o muschi. Le radici di questi organismi, possono creare un fattore di pressione notevolissimo sulla roccia, quindi continuano a disgregare le rocce, assieme ad un altro fattore, che è il vento. La seconda azione è di tipo chimica che porta allo scioglimento dei sali. La terza azione, infine, è quella di tipo biologica dovuta agli organismi terricoli e ad una sempre maggiore presenza di piante. Da un certo punto in poi le tre azioni, come abbiamo già detto, proseguono contemporaneamente e si ottiene la capacità di sostenere la crescita delle colture. Dato che il suolo è soggetto a cambiamenti col passare del tempo è utile sapere misurare la fertilità del suolo, facendo riferimento a 3 aspetti, correlati tra di loro: aspetti fisici: capacità del suolo di ospitare ossigeno, fondamentale per la respirazione sia radicale che dei microbi, e acqua, fondamentale sia per l’attività microbica che per le colture aspetti chimici: capacità di fornire gli elementi minerali necessari alle piante; N,P e K rappresentano i macronutrienti, Ca, Mg e Fe rappresentano, invece, i micronutrienti aspetti biologici: coinvolti nei cicli bio-geo-chimici, come il ciclo dell’azoto, e legati alla produzione di molecole organiche, che possono includere delle molecole ad attività ormonale, che permettono la crescita delle piante L’interfaccia tra pianta e suolo è rappresentato dalle radici, quindi l’abitabilità del suolo è legata alla possibilità che le radici usufruiscano della fertilità. Maggiore sarà la quantità di suolo disponibile, sarà maggiore anche la sua abitabilità, questo perché il volume esplorabile dalle radici è fondamentale, ad esempio, avendo un volume ridotto di suolo, le radici avranno una ridotta quantità d’acqua a disposizione. Anche i nutrienti sono in relazione alla quantità di suolo, minore sarà il suolo a disposizione, minori saranno i nutrienti. Il terreno naturale è formato da più strati pedogenetici, ovvero strati in cui la roccia è stata degradata e subisce dei fenomeni chimici e fisici differenti, lo strato più superficiale contiene sostanza organica in prossimità della vegetazione, ma è soggetta a dei processi di lisciviazione, quindi ad un trasporto di materiale che scende nel terreno andando a portarsi in uno strato illuviale, che è uno strato di accumulo dove è presente un’intensa attività chimica di trasformazione. Inferiormente a questo ci sono degli starti pedogenetici dove la roccia comincia la sua alterazione attraverso meccanismi chimici, fisici e biologici. Infine, nello strato più interno troviamo la roccia madre. Quindi dall’interno all’esterno troviamo: strato eluviale, strato illuviale, stato pedogenetico e roccia madre. Nel suolo coltivato, invece, i primi due strati sono rimescolati, ovvero i primi due strati del terreno naturale equivalgono al primo nel terreno coltivato, che prende il nome di strato attivo. Questo rimescolamento è dovuto alla lavorazione del terreno che lo ha reso più omogeneo. A questo strato segue lo strato inerte, quindi, dall'interno all’esterno, il terreno coltivato è formato: strato attivo e strato inerte. Questa organizzazione in strati è importante perché esistono anche degli strati di inibizione, questa inibizione è legata al fatto che in alcuni strati ci sia una maggiore aridità, quindi degli strati molto grossolani, molto porosi che non riescono a trattenere l’acqua, quindi le radici non esplorano il suolo in quella zona e ci troviamo di fronte ad uno strato di inibizione della crescita radicale. Gli strati di inibizione possono essere dovuti, ad esempio, ad una concentrazione elevata di alcune specie chimiche tossiche, come i sali di sodio, oppure, ci possono essere semplicemente degli strati di suolo compatti. La profondità del terreno, come abbiamo già detto, è un elemento che differenzia i suoli e che li rende idonei alla coltivazione. La FAO (Food and Agriculture Organization) ha associato alla profondità degli indici di potenzialità produttiva. C’è da aggiungere che la profondità del suolo nelle zone collinari e montuose è minore rispetto le zone pianeggianti questo perché ci sono dei fenomeni erosivi che riducono la profondità del suolo perché il materiale viene trasportato a valle, dove la profondità sarà maggiore. Il suolo è un sistema in cui esistono tre fasi che sono in equilibrio: la fase solida rappresentata da materiali inorganici e dalla sostanza organica, la fase gassosa che sarebbe l’aria tellurica, ovvero l’aria presente nei macropori, e la fase liquida che sarebbe la soluzione circolante in cui sono disciolti i minerali utili alla nutrizione di piante e batteri, rappresenta anche un veicolo per lo spostamento dei batteri stessi. All’interno della fase solida, i materiali inorganici vengono ripartiti in due grosse classi dimensionali; quindi se prendessimo un setaccio a 2mm, quello che resta sul setaccio prende il nome di scheletro, una frazione prevalentemente pietrosa, mentre, al di sotto dei 2mm c’è quella che prende il nome di terra fine formata dalle varie componenti minerali e dalla sostanza organica che è divisa in sostanza organica viva, costituita da microbi e dalla microfauna, e dalla sostanza organica residui, ovvero formata dai residui animali e vegetali che possono essere più o meno decomposti. La fase gassosa è legata alla fertilità fisica e serve alla respirazione radicale e microbica, la fase liquida è la sede dell’assorbimento radicale e del metabolismo microbico, mentre la fase solida. a noi interessa, perché la presenza di diverse specie chimiche condiziona la reattività chimica del suolo e quindi anche la sua fertilità. Nella terra fine, quindi al di sotto dei 2mm, troviamo un ulteriore passaggio di caratterizzazione del suolo che è legata alla percentuale di sabbia, limo e argilla presenti nel suolo. Si nota che è una differenziazione basata prevalentemente sul diametro di queste particelle. Tra 2mm e 0,02mm abbiamo la sabbia, tra 0,02mm e 0,002mm troviamo il limo, e minore di 0,002mm abbiamo l’argilla. La sabbia presenta un ulteriore differenziazione della sabbia, che si divide in sabbia grossa (tra 2mm e 0,2mm) e sabbia fine (tra o,2mm e 0,02mm). Gli spazi vuoti sono direttamente proporzionali alla dimensione delle particelle, quindi se siamo di fronte ad un terreno prevalentemente sabbioso, avremo maggiori spazi vuoti, ovvero, una percentuale di macropori maggiore. Invece, la superficie del minerale che interagisce con la soluzione circolante presente nel suolo dipende dalla dimensioni delle particelle con un fattore inverso, quindi al ridursi della dimensione delle particelle, aumenta la superficie specifica. Quindi possiamo dire che le argille hanno una superficie specifica maggiore rispetto la sabbia. La granulometria del suolo, ovvero la percentuale di sabbia, limo e argilla, viene utilizzata per classificare i suoli, questa classificazione avviene attraverso degli schemi chiamati triangoli della tessitura. In Italia la miglior tipologia di suolo utilizzato viene detto suolo Franco (non si sa il motivo di questa nomenclatura), contenente argilla, limo e sabbia ben bilanciato, quindi avente un potenziale produttivo maggiore. I suoli prevalentemente argillosi sono suoli che tendono ad impastarsi e sono plastici. I suoli sabbiosi sono più sciolti, infatti, solitamente, sono chiamati suoli sciolti poiché non si impastano e non sono plastici. I suoli limosi, invece, si impastano, quindi tendono a formare una serie di strutture più o meno stabili, ma non risulta plastico. Questo è un esempio di triangolo di tessitura in stile USA, con i valori espressi in percentuale. Altre specificazioni, riferite al tipo di suolo, riguardano il contenuto di calcare, di sostanza organica e scheletro. A seconda delle quantità di calcare si aggiunge un suffisso oppure un prefisso al tipo di suolo; tra il 10% ed il 20% di calcare il suolo viene indicato con un suffisso, ad esempio, un suolo argilloso viene chiamato argilloso calcareo, sto dicendo che c’è un certo contenuto di calcare, quindi che il suolo avrà un determinato pH e che parliamo di un suolo ancora “giovane”; superato il 20% di calcare, il suolo si indica con un prefisso, quindi calcareo argilloso, per indicare che la proprietà del suolo predominante è associata alla presenza di calcare, oltre che alla sua tessitura. Stessa cosa viene fatta per i suoli aventi un certo contenuto di sostanza organica, negli ambienti mediterranei è molto raro trovare un suolo con un contenuto di sostanza organica superiore al 5%; tra il 5% ed il 10% di sostanza organica, viene usato umifero come suffisso, esempio, argilloso umifero, superato il 10%, umifero si usa come prefisso, umifero argilloso. Per quanto riguarda lo scheletro, invece, quando si trova in percentuale superiore al 40%, si usa il suffisso pietroso o ciottoloso. Da un lato questa alta presenza di scheletro può essere un vantaggio perché favorisce la circolazione di acqua, dall’altro lato, però, lo scheletro, sottrae volume di suolo alle piante ed aumenta la difficoltà di lavorazione. La vite e l’ulivo sono comuni in questo tipo di suoli. Quindi, ricapitolando, la granulometria è la ripartizione in percentuale delle particelle di terreno (ad es. 30% argilla, 30% limo e 40% sabbia); la tessitura è la classificazione del terreno sulla base della granulometria (ad es. franco- argilloso). Un suolo, che ha le caratteristiche di un suolo sabbioso, ha il problema di avere le superfici di scambio ridotte, parliamo di 20m /g, questa superficie specifica è troppo basa per 2 consentire al suolo di interagire con i cationi, quindi è davvero minima la capacità di trattenere i nutrienti nel suolo, a questo dobbiamo aggiungere che un suolo sabbioso presenta una macroporosità eccessiva, significa che l’acqua lo attraversa troppo facilmente, l’acqua viene trattenuta solamente quando nel suolo sono presenti dei pori di piccole dimensioni, perché c’è una forza di attrazione capillare che fa sì che l’acqua venga trattenuta da una forza che, quindi, è superiore alla forza di gravità. Un ulteriore problema di questi suoli è l’elevata quantità di ossigeno, di base non è un problema per le piante, però, nei nostri territori, quindi nelle zone mediterranee rappresenta un problema poiché favorisce la mineralizzazione della sostanza organica, quindi i suoli molto sabbiosi hanno anche un basso contenuto di sostanza organica. Esistono anche dei vantaggi nel trovare questi suoli, uno di questi è la facilità di lavorazione perché sono dei suoli che si disgregano e si riscaldano facilmente. Altro fattore positivo di questo tipo di suoli è che sono facilmente accessibili. Molto spesso, tra i suoli sabbiosi, rientrano anche suoli che contengono sabbie vulcaniche, che rappresentano le pseudosabbie che solitamente sono degli idrossidi o dei minerali amorfi di origine vulcanica, che fanno sì che si formino delle conformazioni che fisicamente sono simili alla sabbia, ma presentano delle proprietà positive attribuibili all’argilla, come la microporosità che favorisce la capacità di trattenere acqua e nutrienti, quindi sono suoli che hanno un’altissima fertilità. Un suolo argilloso, invece, rappresenta l’opposto del suolo sabbioso, perché hanno un elevata microporosità, quindi sono capaci di trattenere l’acqua, sono dotati di più elementi nutritivi perché presentano una carica elettrica negativa globale maggiore rispetto ai suoli sabbiosi, si aggregano facilmente, ovvero, creano delle strutture in assenza di fattori che lo impediscono; da questo punto di vista sono i terreni migliori, però sono definiti come terreni pesanti poiché sono difficili da lavorare dato che diventano difficili da disgregare quando sono troppo secchi, si parla di una proprietà definita tenacità (difficoltà di disgregazione), quando sono troppo umidi, invece, aderiscono agli organi di lavorazione portando una serie di problemi; quindi bisogna saper scegliere il momento adatto per pter lavorare questo tipo di suolo. Le argille sono soggette a crepacciamento quando il terreno si secca, e chiusura di queste crepe quando tendono ad assorbire acqua. Anche tra le argille esiste una certa eterogeneità, non sono tutte uguali, infatti non tutte presentano una superficie specifica elevata, come le kaolinite, che si formano quando il suolo è molto evoluto, e presentano una superficie di scambio molto ridotta, pari a quella della sabbia Il limo presente delle caratteristiche che sono in parte attribuibili all’argilla, ed in parte attribuibili alla sabbia, il problema è che presenta le caratteristiche peggiori dei due terreni. Il limo presenta delle particelle piccole quindi hanno una microporosità elevata, ma non hanno la densità di carica elettrica delle argille, perciò, trattengono acqua, non formano aggregazioni come i suoli argillosi e finiscono per ostacolare il flusso dell’acqua, diventando impermeabile. Quando si secca questo tipo di terreno si vanno a formare delle croste superficiali durissime, che rappresentano un vero problema per l’emergenza delle piantine, mentre diventano fangosi allo stato umido. Questi terreni possono diventare produttivi solo con buone fertilizzazioni organiche. La sostanza organica nel suolo si divide in una frazione vivente, formata da microbi, microflora e microfauna, e in una frazione morta, che ha subito una serie di meccanismi di degradazione. Essenzialmente si parla di sostanza organica non umificata ed umificata, umificata deriva dalla parola humus che è la sostanza organica stabile del suolo, la frazione umificata, quindi, non è facile da degradare e ha una serie di caratteristiche con un determinato impatto sulla fertilità sia fisica che chimica del suolo. La frazione non umificata, invece, è molto più mobile, quindi può essere anche disciolta proprio perché è solubile, ed è più facilmente attaccabile dai microbi, che dovendo scegliere tra la fazione non umidificata formata da pezzi di foglie, spoglie di microbi ed altre molecole semplici, e la frazione umificata, scelgono quest’ultima, degradandola molto rapidamente. Questa frazione si forma in seguito ad una serie di meccanismi di rielaborazione da parte della microflora che è presente nel suolo. La frazione più stabile della sostanza organica è quella umica, parliamo di una frazione idrofoba, al suo interno è divisa chimicamente in acidi umici, acidi fulvici ed umina. È molto resistente all’aggressione microbica, perché i microbi possono raggiungere attraverso l’acqua un qualcosa da degradare. Questa frazione stabile presenta molteplici gruppi funzionali come quello carbossilico, i gruppi ossidrili (che, perdendo un protone, caricano negativamente la superficie). La sostanza organica, inoltre, è in grado di conferire le proprie abilità anche ad altre particelle, ad esempio alla sabbia, quindi è in grado di far aggregare la sabbia, che in condizioni normali non aggregherebbe. Dal punto di vista ambientale, la sostanza organica, aumento la porosità e questo favorisce i processi di drenaggio del suolo, quindi si perde acqua dal suolo evitando la formazione dei ristagni in pianura. Questa sostanza organica umica è formata da una struttura sovramolecolare, ovvero una struttura in cui le molecole eterogenee di piccole dimensioni interagiscono con dei legami molto deboli che possono essere disgregate da acidi organici deboli, questo accade spesso nei suoli a causa degli essudati radicali e dell’attività microbica che acidifica il suolo. La struttura dei terreni è composta da colloidi flocculanti, ovvero capaci di formare degli aggregati, tramite questi aggregati si vanno a formare le strutture che può essere di dimensioni e forme differenti. Di base, argilla e sostanza organica sono quelle che permettono le aggregazioni, gli altri componenti, come il limo e le sabbie, si aggregano secondariamente grazie alla presenza di cementi organici (humus) o minerali. Bisogna ricordare che argilla e humus creano un’aggregazione primaria, quindi aggregati di piccole dimensioni, e, con la presenza di altri materiali organici, si vanno a formare degli aggregati via via sempre più grandi. Questo processo è più facile nei suoli argillosi, meno probabile nei suoli sabbiosi, a meno che non ci siano delle pseudosabbie. La struttura nei suoli sabbiosi e limosi viene detta incoerente, cioè queste particelle non si aggregano facilmente tra di loro e quindi vanno a formare degli strati talmente compatti che possono creare problemi alle radici. Nei suoli argillosi, invece, si vanno a formare delle strutture glomerulari. Anche nei suoli argillosi, però ci sono dei problemi di “compattamento” che possono essere originati sia da cause fisiche che da cause chimiche. In presenza di ioni bivalenti, come Ca, la formazione di aggregati è facilitata, perché si comportano come dei ponti tra le particelle di argilla e di sostanza organica. Questo non succede con gli ioni monovalenti, come Na, e con i macronutrienti. -- -- +Ca+ - - - - -- -- A questo punto si forma una prima microaggregazione che coinvolge la sostanza organica, i cristalli di argilla e, in minima parte, particelle limose. Questo tipo di aggregazione può ingrandirsi se intervengono le mucillagini batteriche oppure le ife di micorrize (che sono dei funghi). Esistono, quindi, una serie di elementi simbiotici che favoriscono questo processo e consentono di estendere l’aggregazione a particelle limose ed eventualmente anche a particelle sabbiose. I microaggregati, quelli dove intervengono solo sostanza organica e argilla, hanno una dimensione ridotta, che va da ¼ mm ad 1mm; gli aggregati ottimali sono tra 1mm e 5mm; è possibile, in suoli molto argillosi, arrivare a dimensioni molto più elevate, ma presentano vari problemi, tra cui la presenza di zolle molto ampie crea delle vie preferenziali per l’acqua e questa si disperde facilmente, e l’altro perché un suolo con delle zolle con un diametro di 150mm è difficile da coltivare. Esistono diverse tecniche che permettono il miglioramento della struttura del terreno, che può risultare un problema soprattutto nei suoli limosi e argillosi, dove c’è Na che distrugge la struttura e da problemi all’emergenza delle piantine. Una di queste tecniche è quella di modificare la tessitura però è utile solo per parcelle di piccolissime dimensioni poiché ha dei costi altissimi, consiste nell’aggiungere sabbia nel suolo per far sì che non diventi troppo compatto, nel caso di suoli argillosi, o viceversa nel caso di suoli sabbiosi. Molto più percorribile è l’ipotesi di aggiunta di Ca perché il costo non è elevato ed ha un effetto molto marcato nella flocculazione del suolo, favorisce la rimozione di Na da complessi di scambio tra minerali, quindi strappa il sodio che si trova tra i colloidi e si ci posizione facendo da ponte. Ancora più diffusa, dato che è più pratica ed economica, è l’aggiunta di sostanza organica, quindi parliamo di letamazione, aggiunta di compost, che a vario livello interagiscono con la struttura. Altra cosa che è molto utile è l’inserimento di prati poliennali di graminacee che porta un grande vantaggio, ovvero che non dover lavorare continuamente il terreno, la lavorazione migliora la porosità, ma in terreni molto fragili questa lavorazione causa problematiche. Le proprietà legate al suolo in funzione della tessitura a cui facciamo riferimento sono: la tenacità (detta anche coesione), la plasticità e l’adesività. La tenacità si occupa del fatto che il suolo resista al passaggio di attrezzi lavoranti, ad esempio un aratro che si conficca nel suolo rompendo gli aggregati; la tenacità diminuisce all’aumentare dell’umidità del suolo; a parità di umidità, i suoli argillosi sono molto più tenaci rispetto i suoli sabbiosi; una buona struttura e la sostanza organica riducono la tenacità. La plasticità è la capacità del suolo di cambiare conformazione sotto azione continua di una forza e di mantenere questa conformazione nel tempo, quando il suolo è molto plastico è meglio evitare le lavorazioni perché si deforma ma non si disgrega; la plasticità aumenta con l’aumentare dell’argilla e con l’umidità; superato un certo valore di plasticità, il suolo diventa fluido, fango, che non subisce l’effetto delle lavorazioni. L’adesività è la capacità di attaccare le particelle di suolo ai mezzi lavorativi, quindi più si lavora e più particelle troviamo attaccate al trattore, ad esempio, e risulta un problema perché dopo alcuni metri bisognerebbe fermarsi e ripulire il tutto, ma non si fa per la scarsa praticità, quindi si aspetta. * Intervallo di lavorobibita - Punto di tempera Fino adesso abbiamo descritto tutti quei meccanismi che portano il suolo ad avere una certa aggregazione, richiamando il concetto di porosità, se si formano dei buoni aggregati ci sarà una buona porosità nel suolo. Il concetto di base è che avere vicini più aggregati ottimali fa sì che tra gli aggregati ci siano degli spazi vuoti che favoriscono il passaggio dell’aria e dell’acqua, quindi ci sono dei pori. Le principali particelle elementari del suolo, sabbia-limo-argilla, hanno di per sé una maggiore o minore quantità di pori, particelle più grandi avranno pori più grandi. Quindi la porosità è il rapporto tra gli spazi vuoti e il volume totale apparente. Si usa il volume → aria microfonata acqua MACROPORI totale apparente perché il volume totale del suolo è occupato per il 50% dalla porzione solida, mentre il restante 50% è equamente distribuito tra macropori e micropori, la differenza tra i due, ovviamente, sta nel diametro, al di sopra di 10 micrometri troviamo i macropori, al di sotto i micropori. Nei suoli compattati si ha una riduzione dei macropori ed è per questo che tende a ristagnare più acqua. Anche un suolo mal strutturato perde la sua porosità di grandi dimensioni perché si ha un aumento di micropori. Con l’aratura il terreno tende a formare una struttura lamellare dove i pori sono presenti ma tendono ad essere orizzontali e questo implica deli problemi di movimento dell’acqua. Suoli, come quelli argillosi o limosi, che presentano una grande quantità di sostanza organica, la porosità tende a ridursi però i pori rimangono ben interconnessi tra di loro. → Esistono delle tecniche che ci permettono di misurare la polarità dei terreni, per prima cosa bisogna procurarsi dei cilindretti con una capienza di 100ml, questi cilindretti vengono inseriti nel suolo e si preleva un campione indisturbato di suolo. Successivamente, questo campione viene seccato e si fa un rapporto tra il peso secco del campione e il volume del cilindretto, questo rapporto è chiamato densità apparente, mentre la densità assoluta è all’incirca uguale in tutti i suoli, la densità apparente sarà diversa. All’aumentare della densità apparente ci sarà una diminuzione della porosità. In conclusione, avremo una porosità maggiore nei suoli argillosi, nei quali si aggira intorno al 60%, nei suoli limosi avremo una porosità del 50%, mentre sarà scarsa nei suoli sabbiosi, intorno al 30-40%, in un terreno organico la porosità arriva fino all’80%. Nel momento in cui si riempie il suolo di acqua, quindi si porta a capacità idrica massima, si riempiono tutti i pori presenti, sia macro che micro, a questo punto intervengono una serie di forze per far andare questa quantità di acqua, in primis interviene la forza di gravità, che permette la discesa verso il basso dell’acqua e, di conseguenza, la liberazione dei macropori; al termine di questo fenomeno di sgrontamento, risultano innacquati solo i micropori dove l’acqua è trattenuta da una forza capillare detta anche acqua capillare, a questo punto la forza di gravità è incapace di competere con la tensione capillare ed intervengono: 1) la suzione da parte delle piante, quindi assorbono l’acqua. 2) alta temperatura che permette l’evaporazione dell’acqua. L’acqua rimanente è trattenuta così fortemente dai micropori che le piante non riescono più ad assorbirla e questo punto viene detto punto di appassimento permanente, che si definisce con una grandezza fisica, detta potenziale idrico, al di sotto del quale le piante non riescono ad assorbire l’acqua. Già avvicinandosi a questo valore si presentano non pochi problemi, quando arriviamo al punto di appassimento permanente per allontanare il resto dell’acqua è possibile soltanto mettere il suolo in stufa ventilata a 105 , solo così si può seccare tutta o l’acqua presente nel suolo. In un terreno ben strutturato troveremo i micropori all’interno degli aggregati, mentre i macropori li troveremo tra gli aggregati. Un eccesso di micropori porta problemi perché i suoli sono privi di ossigeno, in caso di un eccesso di macropori, come nei terreni sabbiosi, troveremo il problema inverso, ovvero troppi macropori e quindi un’eccessiva quantità di ossigeno che consuma per respirazione microbica la sostanza organica. In entrambi i casi, per correggere questo difetto dei suoli, l’unica cosa possibile è fornire sostanza organica per arrivare all’optimum che corrisponde al 50% di microporosità e, quindi, al 50% di macroporosità. Questa viene considerata la condizione ideale che corrisponde alla situazione presente nei terreni franchi. Come si misura l’umidità del terreno? Si prende un campione di terra umida, si pesa, successivamente bisogna seccare questo campione a 105 per ottenere il peso secco, la o differenza tra il peso fresco ed il peso secco darà come risultato il contenuto di acqua, la quale viene espressa come rapporto tra la massa d’acqua ed il peso secco del suolo. Non è una cosa che si fa frequentemente. Però le piante non riescono a sentire la quantità di acqua presente nel suolo, ma le piante percepiscono, con i loro meccanismi radicali, la forza che trattiene l’acqua al suolo, che viene detta potenziale idrico ed avrà un valore negativo. Questo potenziale ha molte componenti, tra le quali troviamo un potenziale osmotico, quindi legato alla quantità di sali presenti in acqua, all’aumentare di questo valore diminuisce il potenziale, ovvero diventa sempre più negativo, e di conseguenza diventa sempre più difficile per la pianta tirar su l’acqua, questa forza che serve alla pianta per tirare l’acqua viene detta spesa energetica. Dimensione fisica del potenziale idrico La lettera che si usa per indicare il potenziale idrico è Ψ (psi). Un secchio pieno d’acqua possiede un potenziale idrico pari a 0, come un suolo quando è saturo d’acqua. Quando l’acqua si torva nei macropori, presenta un potenziale idrico che è prossimo a 0, quindi è soggetta alla forza di gravità e le piante non fanno in tempo ad asportarla. Arrivati alla condizione di capacità di campo, ovvero quando l’acqua è assorbibile dalle piante, troveremo un valore di -0,3bar, l’acqua che si trova tra -0,3bar e -15bar, che rappresenta il punto di appassimento, viene detta acqua disponibile. L’acqua disponibile si divide ulteriormente in acqua facilmente disponibile, dove le piante non compiono lavoro, e non facilmente disponibile, dove le piante iniziano a compiere un lavoro. Superati i -15bar, le piante hanno subito un danno da appassimento. In caso di una precipitazione o in caso di irrigazione, il suolo si riempie, inizialmente fino ad essere trattenuta al punto di appassimento, poi si riempiono i micropori, successivamente i macropori e quindi arriviamo ad una saturazione, oltre la quale l’acqua comincia a ruscellare, quindi saremo a capacità idrica massima. Nel momento in cui avviene il fenomeno chiamato percolazione, l’acqua sgronda e l’acqua gravitazionale, che è l’acqua con un potenziale idrico intorno allo 0, non c’è più e di conseguenza si svuotano i macropori e rimane soltanto l’acqua disponibile, man mano che quest’acqua si riduce il potenziale diventa sempre più negativo. Per permettere lo spostamento dell’acqua verso le radici, il potenziale idrico delle radici diventi più basso rispetto quello del suolo, per fare ciò, però, consumano energia. Arrivati al punto di appassimento, l’energia consumata supera l’energia disponibile per la pianta e ciò causa problemi come la morte. Qualora si volesse irrigare, quindi, bisogna essere in grado di quantificare: la capacità idrica di campo (CIC) e il punto di appassimento permanente (PAP). La differenza tra queste due grandezze dà come risultato l’acqua utile (AU). RUm = AD% (acqua disponibile) x V (volume) Questo valore verrà espresso in m /ha , però può essere 3 -1 espresso anche in mm 1mm=10 m /ha 3 -1 Esistono diverse componenti del potenziale idrico, risulta sempre negativo perché rappresenta il lavoro da svolgere per contrapporsi alla forza di gravità, è composto da: potenziale matriciale dipende dalla capacità di trattenere l’acqua da parte dei pori, quindi più l’acqua diminuisce e più il potenziale diventa negativo, stessa cosa accade in presenza di sali. potenziale osmotico è negativo potenziale gravitazionale ha un valore positivo per definizione, ma nel momento in cui si esaurisce l’acqua presente nei pori, questo potenziale è pari a 0. -Ψt = -Ψm - Ψo + Ψg La stessa quantità d’acqua nel terreno ha significato diverso a seconda del numero dei pori, perché i pori piccoli tratterranno molta acqua con forza superiore ai 15bar, quindi le piante dovranno compiere molto più lavoro, invece i pori grandi non trattengono l’acqua che viene persa per percolazione. La sostanza organica umificata è fondamentale quando si vuole regolare l’equilibrio dei pori perché, ad esempio nel caso dei terreni argillosi, che si formano aggregati più grandi, questi aggregati consentono la formazione di macropori tra di essi, quindi il terreno argilloso, che è microporoso per definizione, ha la capacità di sgrondare più facilmente l’acqua. Invece, nei terreni sabbiosi, i micropori aumentano, sempre grazie alla sostanza organica umificata, perché si vanno a formare degli aggregati che permettono la formazione dei micropori. Esistono delle formule di pedotrasferimento che servono per calcolare la capacità idrica di campo e il punto di appassimento sulla base di certe proprietà del suolo. Nella formula di Rawl si utilizza la granulometria, la sostanza organica e la densità apparente per calcolare la la capacità di campo, il punto di appassimento e l’acqua utile NON BISOGNA RICORDARE A MEMORIA LA FORMULA, BASTA SEMPLICEMENTE RICORDARNE L’ESISTENZA. Dopo l’irrigazione, o dopo un’intensa pioggia, ci sarà un’infiltrazione perché l’acqua tenuta nei macropori sgronda. Nel momento in cui lo strato superiore del suolo si secca, e quindi la parte più umida resta sotto, con il richiamo evaporativo, l’acqua tende a salire verso l’alto per un fenomeno che si chiama risalita capillare. Questa risalita capillare sarà maggiore nei terreni che presentano maggiori micropori, quindi sarà alta nei suoli argillosi, tenderà a scendere nei suoli limosi, fino ad essere molto bassa nei suoli sabbiosi. Caratteristiche chimiche del suolo Anche le proprietà chimiche, come quelle fisiche, dipendono molto dal contenuto di colloidi, quali l’argilla e la sostanza organica, proprio perché loro possiedono delle superfici di scambio ampie ed hanno anche una carica negativa elevata, che viene misurato tramite un parametro chiamato capacità di scambio. La sostanza organica è mediamente compresa tra l’1% ed il 5% in peso, ci sono casi in cui è molto maggiore, come nei suoli umiferi che superano anche il 10% di sostanza organica. Prendendo in considerazione una sostanza organica fresca, quindi formata da residui vegetali o da liquami che arrivano al suolo, la frazione labile si degrada velocemente, quindi parliamo di zuccheri o amminoacidi che mineralizzano velocemente, contemporaneamente c’è la formazione di materiale organico amorfo, colloidale, scuro, molto uniforme che è l’humus. Questo humus non resta per sempre nel suolo, ma va incontro anch’esso ad un processo di mineralizzazione lenta, utile perché rappresenta una fonte importante di nutrienti. Quindi la sostanza organica rappresenta tutte le sostanze carboniose provenienti dai residui animali e vegetali, mentre l’humus è una frazione colloidale della sostanza organica che si forma per sintesi microbica. La cosa interessante di questa sostanza organica è che è formata da delle zone idrofobiche protette dall’attività batterica, quindi non facilmente degradabili, e da delle superfici che sono cariche negativamente che conferiscono alla sostanza organica ed al suolo una alta capacità di scambio cationico. Per un suolo argilloso questa capacità è importante ma non è vitale, per un suolo sabbioso, invece, che possiede una bassa capacità di scambio cationico, alzare il contenuto di sostanza organica è sicuramente un obiettivo da conseguire ed è anche abbastanza difficile, considerando che la sostanza organica nei suoli sabbiosi tende a degradarsi. Questo aggregato sovramolecolare andrà incontro a disaggregazione, ovvero andrà incontro allo spostamento di queste aggregazioni di piccole dimensioni, quando c’è la vegetazione a causa dell’effetto delle radici che rilasciano degli essudati che acidificano il suolo, che sono acidi deboli; questi acidi deboli riescono a rompere i legami deboli che caratterizzano l’aggregazione sovramolecolare. Altro fattore, che ha effetto più forte rispetto le radici, sono le lavorazioni, infatti subito dopo le lavorazioni abbiamo un effetto meccanico che distrugge la sostanza organica ed un incremento delle condizioni ossidative molto alto, quindi le frazioni di azoto e carbonio che sono protette all’interno di queste catene idrofobiche, vengono esposte all’ossigeno e diventano più disponibili per i i microbi che le attaccano e le degradano. Si possono classificare i terreni anche in base alla quantità di humus presente. Un terreno che presenta una quantità di humus tra lo 0 ed il 2% viene definito povero, questi suoli presentano però dei problemi sia di struttura che di fertilità minerale nativa, ovvero la capacità del suolo di fornire azoto senza l’ausilio di fertilizzanti e di altri elementi nutritivi. I suoli tra il 2% ed il 5% vengono chiamati mediamente dotati e quelli tra il 5% ed il 10% si chiamano suoli abbastanza ricchi, tra il 10% ed il 15% viene detto ricco, mentre quelli che presentano una quantità di humus superiore al 15% sono definiti molto ricchi. Il pH del suolo viene misurato in una sospensione di terra con acqua in rapporto 1:2.5, si agita questa sospensione per un certo numero di minuti e poi si utilizzano degli elettrodi che fanno muovere da un polo positivo ad un polo negativo i protoni presenti nell’acqua, questi protoni rappresentano l’acidità del suolo, ovviamente il valore misurato viene convertito sulla base del fatto che si sta utilizzando una diluizione, quindi viene convertito per arrivare al pH definitivo del suolo. I valori neutri, che sono compresi tra 6,8 e 7,2 sono quei valori considerati ottimali per tutte le colture, perché rispetto dotazione dei minerali presenti nel suolo non creano problemi, cioè, quando il pH si riduce o aumenta subentrano una serie di meccanismi per cui alcuni macronutrienti precipitano, come ad esempio il fosforo che diventa fosfato tricalcico, quando il suolo diventa basico, che non è utile per le piante. Questo pH potrebbe variare per vari motivi, soprattutto in funzione del clima, quindi climi in cui c’è un forte dilavamento del suolo fanno sì che sulla superficie di scambio del suolo, quindi sulla superficie carica negativamente dei colloidi, tutte le basi di scambio come il calcio ed il potassio, vengono ad essere dilavate e quindi tutte le cariche negative presenti sul colloide sono ben disponibili per essere acidificate dai protoni presenti nella soluzione circolante, quindi i terreni tendono ad essere acidi quando piove molto perché c’è un dilavamento delle basi; al contrario, nei climi secchi, i terreni tendono ad essere alcalini perché si accumulano i sali, nel suolo esistono dei minerali che vengono solubilizzati con la degradazione del minerale stesso che ha dei tempi molto lunghi, nei climi molto secchi si ha una risalita capillare da parte di quel poco d’acqua presente negli strati più profondi del suolo, quindi questa risalita permette la concentrazione di tutti i sali negli strati più superficiali e la presenza di sali è associata ad una alcalinità del suolo. Quindi a pH basici fosforo e ferro diventano indisponibili, a pH acidi invece si ha, non solo la perdita di micronutrienti, ma anche la liberazione di ioni di manganese ed alluminio che non sono utili alla nutrizione vegetale, anzi causano problemi di tossicità a moltissime piante. C’è una variazione del pH anche tra estate ed inverno, d’inverno, nei nostri climi, c’è una piovosità maggiore, quindi il suolo si riempie d’acqua e la concentrazione di tutti gli ioni è più bassa e quindi il pH tende a salire, d’estate c’è una concentrazione maggiore della soluzione ed una maggiore attività biologica che riguarda sia i microbi che le piante ed il pH tende ad abbassarsi. Non bisogna pensare però che ci sia una variazione drastica del pH, ovvero non si passa ad esempio da un pH6 ad un pH 8, ma la variazione è di circa 0,5 o 0,7 punti percentuali, ma tutto questo dipende da una caratteristica del suolo che è il suo potere tampone, cioè il suolo ha una sua resistenza alle variazioni di pH che dipende da quante cariche negative sono presenti nel suolo e quanto queste cariche negative possono interagire con la soluzione circolante, quindi capiremo che questa misura consiste sia nella capacità di scambio cationico e sia in un altro indice che si chiama percentuale di saturazione in basi del suolo. Quanto più il suolo presenta carica negativa, tanto più il suolo è capace di evitare delle grosse escursioni di pH dovute, sicuramente alla variazione stagionale, ma anche a causa dei concimi che possono essere acidificanti o che alcalinizzano il suolo. Quindi, ripetendo, nei suoli umidi, ad alta piovosità, il suolo perde il calcio che viene sostituito nel complesso di scambio cationico dall’idrogeno e quindi c’è l’acidificazione, in questi casi posso usare degli ammendanti, che sono una categoria di fertilizzanti che serve a modificare delle proprietà del suolo, come il pH o l’aggregazione fisica; nei climi aridi, invece, prevale il flusso verso l’alto e quindi si accumulano sali di calcio e di sodio che rendono più basico il suolo, quindi quando ci sono sali di calcio non si va mai oltre 8,5 di pH, quando ci sono sali di sodio il pH può diventare estremamente basico. Questo grafico fa vedere come il pH influenza la disponibilità di elementi nutritivi del terreno, quindi più la banda è ampia allora più gli elementi sono disponibili. Si evidenzia che tra 6,5 e 7 il grosso dei macroelementi sono presenti nelle quantità che sono utili alle piante. Quando si ci allontana da questi valori ci sono delle variazioni, si riduce il contenuto dei macroelementi, andando verso l’acidità aumentano ferro e manganese, andando verso l’altra direzione si riducono i macroelementi ed aumentano calcio e molibdeno, quindi la pianta va incontro a stress nutrizionale. Nel momento in cui c’è sostanza organica, l’intensità delle bande di questi elementi cambia in modo significativo, essendo più ampie in tutti i range di pH, questo effetto è legato al fatto che la sostanza organica, al pari con le argille, ha una grande carica negativa e fa da tampone per l’effetto pH sulla disponibilità degli elementi che sono legati alla sostanza organica, questo è un altro motivo per cui è fondamentale avere sostanza organica nel suolo. La capacità di scambio cationico è la quantità di cationi che il terreno può assorbire e viene espressa in milliequivalenti su 100g di suolo. Si può misurare, misurando la somma dei cationi scambiabili, oppure aggiungendo il catione H nei terreni acidi. + Questa cosa si fa portando in soluzione tutti i cationi presenti sulla superficie di scambio, in una soluzione acqua-suolo aggiungendo acetato di ammonio oppure il cloruro di bario, dipende dal pH, ad ogni modo, entrambi questi estraenti favoriscono la rimozione degli ioni presenti sulla superficie di scambio. Il milliequivalente è una grandezza che lega il peso atomico dei cationi alla loro valenza, quindi è un indice chimico che mette in rapporto la massa con la valenza. Più è alta questa capacità di scambio, più è probabile che gli elementi nutritivi vengono trattenuti e messi a disposizione delle colture. Trattandosi di una densità di carica negativa, questo scambio non riguarda lo ione nitrico, che sappiamo essere fondamentale per la nutrizione vegetale, quindi rappresenta la forma azotata più utile per le piante perché facilita lo spostamento dello ione con il movimento dell’acqua, quindi è la forma più assimilabile per le piante. Non essendo interessato in questo scambio, lo ione nitrico tende a lisciviare molto facilmente in presenza di stagioni molto piovose, soprattutto nei terreni sabbiosi. Questa capacità di scambio varia a seconda della tipologia dei suoli. Nei suoli sabbiosi è molto bassa ed è medio-alta nei suoli argillosi, nei suoli limosi ha un valore intermedio. Altra cosa importante da ricordare è che il pH può influenzare la capacità di scambio della sostanza organica o anche di alcuni minerali, quindi tendenzialmente, quando il pH si abbassa i siti di scambio della sostanza organica sono pieni di idrogeno, quindi si compongono nella loro struttura originaria i gruppi carbossili e i gruppi ossidrili, quando andiamo verso un aumento di pH, l’idrogeno va via da questi siti di legame e quindi si libera spazio per i cationi. Oltre alla capacità di scambio cationico bisogna conoscere la percentuale di saturazione basica (PSB), ovvero dobbiamo fare un rapporto tra i cationi ed il totale della capacità di scambio, quindi questo rapporto può essere del 100%, oppure potrebbe essere più basso (chi l’avrebbe mai detto). La differenza tra la capacità di scambio e il tasso di saturazione rappresenta l’occupazione dei siti di legame da parte di H. La percentuale di saturazione basica media è + intorno al 60%, meglio ancora se si trova all’80%. Questa tabella indica, quali ioni dominanti sono presenti sulla superficie di scambio, in funzione del pH. Esiste, anche se incide molto poco, la capacità di scambio anionico. Quando si parla di un suolo carico negativamente, si considera una carica complessiva, quindi questo non esclude la possibilità di alcuni siti di essere carichi positivamente perché, minerali come la caolinite o minerali dove sono presenti idrossidi di alluminio e ferro, tendono ad avere una carica positiva che aumenta quando il pH è più basso, per questo motivo ci sono tutta una serie di interazioni elettrostatiche che riguardano la superficie del suolo, ovvero quei pochi siti carichi positivamente, che sono meno del 10%. L’azoto organico costituisce quasi la totalità dell’azoto presente nel suolo, nella forma minerale, invece, sappiamo che i due ioni principali sono l’anione ammonio, che è parzialmente adsorbibile sul complesso di scambio cationico, e poi abbiamo, nella soluzione circolante, lo ione nitrato. Quello che si fa per misurare questi ioni è fare l’estratto acquoso e si usa la spettrofotometria, cioè si fa in modo che questo estratto acquoso reagisca con la soluzione. L’azoto totale si misura con un metodo chiamato metodo Kjeldhal, si dice che misuri l’azoto totale anche se misura solamente l’azoto organico e l’ammoniacale. Molto importante è il rapporto carbonio-azoto del suolo perché se siamo intorno a 10 abbiamo un suolo, che dal punto di vista della sostanza organica, abbastanza equilibrato con una degradazione lenta; quando questo rapporto diventa molto più basso, l’attività microbica è molto più intensa e questa cosa comporta un aumento della mineralizzazione; nel momento in cui il rapporto è elevato, la sostanza organica tende a stabilizzarsi, quindi si mineralizza di meno e si stabilizza nel suolo. Il fosforo rientra tra i macronutrienti principali insieme ad azoto e potassio. Il valore totale del fosforo nel suolo è di circa 0,1-0,3%. A noi serve capire però non il valore totale ma la frazione assimilabile che viene misurata con vari metodi tra cui il metodo Olsen, che è tra i più comuni. Quindi la quantità di fosforo assimilabile si misura in parti per milioni di P O. Le piante 2 5 assorbono in prevalenza H PO e HPO , quindi diidrogenofosfato e 2 4 4 monoidrogenofosfato, e questi sono quegli anioni che vengono trattenuti da quei pochi siti carichi positivamente presenti nel suolo. Le forme di fosforo più assimilabili per le piante sono quello adsorbito su argilla, humus e calcare che è facilmente scambiabile, significa che le piante riescono facilmente ad asportarlo, un po’ meno facile da asportare è il fosforo fissato su minerali quali idrossidi di ferro e alluminio che sono carichi positivamente. In ambiente acido, il fosforo precipita come fosfato di alluminio e di ferro ed è insolubile, in ambiente basico, con poca sostanza organica, si forma l’apatite, che è un cristallo bellissimo ed insolubile come il fosfato tricalcico che si forma in ambienti subalcalini. Il fosforo è presente in grandissima parte in forma organica che rappresenta circa l’80% della sua forma, quindi, per capirci, sappiamo che il fosforo totale è tra lo 0,1% e lo 0,3%, di questo dal 20 all’80% è formato da fosforo organicato, quindi fosforo presente in nucleoproteine o fosforo presente nell’humus. L’ultimo macronutriente principale che esamineremo è il potassio. Il potassio serve a potenziare il metabolismo degli zuccheri e a regolare il contenuto d’acqua delle piante, poiché è coinvolto nelle pompe protoniche, che sono quelle sodio-potassio. Si misura con degli estraenti ed anche in questo caso ci interessa la frazione scambiabile piuttosto che la totale, la totale è compresa tra l’1% ed il 5%. Intorno al 90% di questo potassio è legato ai silicati. Inoltre, i suoli calcarei tendono ad avere una quantità di potassio maggiore rispetto ai suoli non calcarei. Il potassio può essere sia scambiabile, di solito del totale scambiabile meno dell’1% è presente in soluzione, può essere retrogradato, che è fissato tra i foglietti di argilla dell’illite, e può essere legato alla sostanza organica. Le forme maggiormente assimilabili sono quello legato alla sostanza organica e quello scambiabile. BISOGNA IMPARARE A MEMORIA LE SOGLIE PER AZOTO, FOSFORO, POTASSIO E LA CAPACITà DI SCAMBIO CATIONICO. GLI ALTRI NON SONO IMPORTANTI QUINDI BYE BYE Nei terreni dove c’è una scarsa piovosità c’è l’affioramento dei sali per risalita capillare e quindi c’è un aumento della salinità dei suoli. Quando si irriga con acque saline c’è un incremento della salinità. Un suolo si dice sodicizzato quando la percentuale di saturazione in sodio è maggiore del 15%. In generale, questa salinità non dipende soltanto dal sodio, può anche dipendere dal fatto che ci siano altri sali. Quindi, in primis, dobbiamo imparare a calcolare la salinità, e poi bisogna imparare a riferirci ai casi più specifici. Questa salinità si misura attraverso la conducibilità elettrica che è proporzionale alle concentrazioni di ioni in soluzione, l’unità di misura sono i milliSiemens/cm, è una grandezza che riguarda il flusso di carica tra i due elettrodi con cui misuro la conducibilità elettrica che si misura, come nel caso del pH, in una soluzione suolo-acqua. Il valore di riferimento per il quale si cominciano ad avere i primi problemi di salinità è di 4 mS/cm. Questi problemi sono legati: nel caso in cui l’aumento della salinità è dovuto ai carbonati, allora si abbassa il potenziale osmotico, se invece l’incremento di salinità è dovuto alla presenza di sodio, allora oltre ai problemi osmotici, si avranno anche dei problemi legati alla tossicità del sodio e al fatto che il sodio è un deflocculante e quindi va a distruggere la struttura. In Italia si registrano circa 400.00ha di terreni con problemi di salinizzazione. Caratteristiche biologiche del suolo La microflora del suolo è coinvolta nei cicli biogeochimici, quindi è coinvolta sia nei meccanismi che portano alla formazione di suolo che nella nutrizione delle piante, l’attività di questi microorganismi libera dalla sostanza organica e dalla porzione minerale i nutrienti utili alle piante. Parliamo di una popolazione eterogenea, con una biomassa totale che arriva fino a 3 tonnellate ad ettaro, è eterogenea sia in termini di dimensioni che di metabolismo. All’interno dei vari raggruppamenti, quindi all’interno dei batteri o dei funghi, si cercano di stimare gli indici di biodiversità che rappresentano un aspetto molto importante per la qualità del suolo, più aumenta la biodiversità e più il sistema è in grado di gestire le perturbazioni, solitamente i sistemi agrari hanno una perdita della biodiversità del suolo. L’attività della fauna si esplica sia dal punto di vista meccanico che dal punto di vista chimico. Dal punto di vista meccanico, a seconda della dimensione degli individui, avremo un effetto diverso sulla frammentazione del suolo, ad esempio i lombrichi danno una frammentazione più grossolana, mentre i miriapodi ed i collemboli, che sono di dimensioni molto più piccoli, frammentano il suolo all’interno del range dei microaggregati, quindi daranno una frammentazione microscopica. Altra cosa importante che fanno è che con i loro spostamenti permettono un trasporto di sostanza organica nel profilo, questo trasporto è legato sia alle loro deiezioni sia al fatto che finito il ciclo vitale la flora rappresenta la stessa sostanza organica che entra nel ciclo del carbonio nel suolo. Trattandosi di un’attività meccanica che frammenta il suolo, quella della fauna, comporta un aumento della porosità. Dal punto di vista chimico, un singolo movimento fa sì che trasportino in superficie gli elementi lisciviati, questo è un vantaggio, dato che si recuperano elementi che altrimenti andrebbero persi. Altra cosa fondamentale è che gli escrementi sono ricchi di fosforo, potassio o magnesio, in una forma più assimilabile rispetto quella originaria. Per quanto riguarda la macrofauna bisogna soffermarsi principalmente sui lombrichi, in terreni ricchi di sostanza organica si può arrivare fino a 1000 individui su m , su un ettaro si arriva 2 fino a 500 tonnellate di lombrichi. Le esigenze biologiche sono legate essenzialmente all’umidità, quindi cercano un suolo abbastanza umido, e per questo motivo scendono anche in profondità durante l’estate e salgono in primavera ed in autunno, questo movimento favorisce la distribuzione degli elementi lungo il profilo. Si nutrono esclusivamente di residui vegetali e svolgono un’azione fondamentale nel rimescolamento e nel rendere disponibili gli elementi grazie alle deiezioni. Per permettere l’esistenza dei lombrichi, il suolo deve essere sempre nella sua condizione ottimale che viene definita capacità idrica di campo. Si trovano in un ambiente ottimale anche in presenza di calcio e ad un pH neutro. La mesofauna e la microfauna includono delle specie che vengono considerate dannose. Nella mesofauna ci sono gli insetti dannosi come il grillotalpa o elateridi, ma si fa riferimento alle forme larvali che hanno un ciclo che parte dal suolo, nella mesofauna si includono anche collemboli e acari hanno una funzione per quanto riguarda la decomposizione della sostanza organica, tuttavia non sono molto incisivi, causano più danno le forme larvai di insetti che attaccano le radici. In questi casi si pratica la geodisinfestazione. La microfauna include i protozoi che riconosciamo principalmente per la predazione dei batteri. Nella flora troveremo una grande quantità di alghe soprattutto nei primi 2cm perché la luce solare ha un effetto maggiore. Le alghe autotrofe possono avere un ruolo importante per quanto riguarda la pedogenesi e possono essere importanti perché rilasciano una serie di ormoni che promuovono la crescita delle piante, ma possono anche inibirla. Alcune alghe sono coinvolte nella fissazione dell’azoto atmosferico. Più in profondità troviamo delle alghe eterotrofe che attaccano la sostanza organica. I funghi: penicillium che è agente dei marciumi, fusarium che provoca la fusariosi di diverse coltive, rhizoctonia che è un altro fungo coinvolto nei marciumi radicali, e questi sono soli alcuni dei funghi presenti nel suolo, quindi, generalmente, quando pensiamo ai fungi nei terreni li associamo a dei parassiti, infatti la maggior parte dei funghi vanno a degradare la cellulosa e la lignina, una degradazione che può essere anche parziale che è coinvolta nella formazione dell’humus, quindi sono molto importanti questi organismi. I funghi inoltre permettono il passaggio dalla sostanza organica ad ammonio. Quindi hanno un ruolo fondamentale dal punto di vista dei cicli degli elementi e poi possono essere anche simbionti con le piante superiori, questo processo prende il nome di micorrizazione, ovvero i funghi si avvantaggiano degli essudati radicali, come fonte di carbonio, e in compenso estendono l’apparato radicale. Il Trichoderma è un parassita dei parassiti, cioè viene utilizzato nella lotta contro i funghi che danneggiano, viene inoltre utilizzato come agente per il controllo biologico degli insetti. Inoltre, promuove la crescita radicale attivando una serie di organismi, di cui ne beneficia anche la pianta stessa, oltre che le radici. Rientra tra i biostimolanti. Gli attinomiceti presentano delle caratteristiche intermedie tra i batteri e i funghi. Come i funghi, gli attinomiceti sono nella degradazione sia della lignina che della cellulosa. Sono coinvolti nella produzione di vitamine e sono meno acidofili rispetto ai funghi. L’odore di terra bagnata che si sente dopo la pioggia è attribuibile proprio agli attinomiceti, non si sa il motivo però. I batteri sono fondamentali soprattutto per il ciclo di mineralizzazione dell’azoto, sono coinvolti anche nell’azoto fissazione. Esistono batteri aerobi e batteri anaerobi. Quelli anaerobi, che sono coinvolti in meccanismi fermentativi sono nocivi. Gran parte dei batteri sono autotrofi, parliamo dei nitrosanti, nitrificanti ed una parte dei denitrificanti anche se ci sono degli eterotrofi all’interno di questi, i batteri eterotrofi sono coinvolti nella degradazione di amido e cellulosa, nella mineralizzazione e nell’umificazione, esistono inoltre i semiautotrofi che possono essere “simbionti”, nel caso del rhizobium che è un azoto fissatore, oppure “parzialmente simbionti”, come l’azospirillum che è stato un tempo utilizzato come agente promotore della crescita delle colture ed è attivato dalla presenza di residui vegetali. Escludendo i denitrificanti, che sappiamo essere attivati da condizioni di anossia molto spinte, possiamo dire che per i batteri è necessaria una certa quantità di ossigeno, la temperatura intorno ai 20 /30 è ottimale ed il pH che o o va dal subacido al subalcalino, la presenza di calcio è utile nel momento in cui i metaboliti della microflora abbassano il pH producendo degli acidi. Abbiamo detto che esiste l’azotofissazione sia simbiontica, con il rhizobium che lavora le leguminose, che non simbiontica, quindi esistono anche gli azotofissatori liberi. Solitamente, quando si va a valutare la qualità di un suolo, si misura il numero di azotofissatori liberi, quando il terreno è meno fertile si ha un numero di azotofissatori elevato, quasi a compensare la scarsa fertilità del suolo, di solito sono inibiti dalla presenza di azoto minerale; sono aerobi ed hanno un pH vicino alla neutralità. Per quanto riguarda l’azotofissazione simbiontica è presente nel suolo dove le piante sono già cresciute. Nel momento in cui i microorganismi attaccano l’humus, c’è una fase iniziale che riguarda le sostanze facilmente degradabili, quindi prima si va verso la frazione labile e piano piano si va verso cellulosa e carboidrati meno facili da degradare, fino ad arrivare alla lignina, ad ogni step si produce biomassa e si produce anche CO , quindi la biomassa è una trasformazione della sostanza 2 organica, prima stabilizzata nell’humus, in una forma che è più attiva. C’è da aggiungere che l’azotofissazione può avvenire sia in ambiente aerobico che in ambiente anaerobico. Analisi del terreno Abbiamo visto fin ora i processi che portano alla formazione del suolo e abbiamo parlato anche della stratificazione di quest’ultimo. Quindi per caratterizzare un suolo, bisogna scavare ed arrivare a circa 2m di profondità, questa cosa serve per definire la profondità utile di suolo ed anche per identificare la stratificazione. Non si effettua solamente un esame visivo, ma bisogna prelevare dei campioni per analizzare separatamente i diversi orizzonti. Una cosa importante da fare è decidere come campionare, perché noi sappiamo che in laboratorio ci sono degli strumenti che ci permettono di avere un risultato esatto di ciò che si esamina, il problema è avere la sicurezza del corretto metodo di prelevamento e di conservazione. In queste due fasi si commettono la maggior parte di errori, ed alla fine avremo un valore esatto riferito però ad un campione sbagliato. Innanzitutto, la prima cosa da fare è seccare la porzione di suolo presa in esame, perché gran parte delle analisi si fanno sul suolo secco, i nitrati si possono fare anche sul suolo umido (il prof preferisce farli anche questi su un suolo secco). In questo grafico sull’asse delle ordinate troviamo il contenuto di argilla, sull’asse delle ascisse troviamo dei punti di campionamento, questi punti sono presi a distanza di 2m ciascuno. Notiamo che nel 2 punto, il contenuto di argilla passa dal 30% al 40%, poi al 4 punto scende al 20%, per poi risalire nel 6 punto. Questa variabilità dell’argilla, simile a quella della densità apparente, bisogna tenerla in considerazione. Non si può andare in campo, prelevare un campione e dire che quel campione rappresenta il campo, commetteremo un gravissimo errore. Questa è una mappa fatta utilizzando una sensoristica specifica, oppure prelevando una miriade di campioni usando delle tecniche geo-statistiche per creare questa distribuzione nello spazio delle componenti che ci interessano, questa mappa ci fa vedere, tramite le colorazioni differenti, come varia il contenuto di argilla. Esistono dei tipi di agricoltura, che si chiamano agricolture di precisione che si avvantaggiano di questo tipo di mappe, e sono in grado di effettuare una concimazione che avrà dose differente a seconda del contenuto di argilla, proprio perché dove c’è più argilla è più facile che gli elementi vengano trattenuti. questa cosa vale per tutti le componenti della tessitura, quindi limo e sabbia, e per la sostanza organica. Ovviamente non abbiamo sempre a disposizione degli strumenti geo-statistici, quindi quello che facciamo è dividere il suolo su aree omogenee, sulla base della morfologia e della storia, e si analizza un unico campione, ma questo campione deve rappresentare almeno una media di 5 punti, ovvero il campione deve essere costituito da suolo prelevato lungo le diagonali dell’appezzamento (5 punti in croce con una distanza l’uno dall’altro di almeno 100m), a questo punto si fa un campionamento medio-composito, si prende 100g di ciascun campione, si mescolano e si porta in laboratorio. Questo lavoro va fatto, non su un’unica profondità, ma si fanno minimo in due profondità differenti. I principali errori si fanno nella fase di campionamento. Un’altra cosa interessante è utilizzare i metodi geofisici. I metodi geofisici sono in uno stato avanzato dal punto di vista delle applicazioni scientifiche. Questi metodi sono molto comodi soprattutto per i vasti terreni da analizzare, così da evitare numerosissimi campionamenti. Un metodo geofisico è la resistività. Si parla di un fascio di elettroni che viene indirizzato verso il suolo, la misura della facilità con cui il suolo si fa attraversare da questi elettroni si chiama resistività, che è l’inverso della conducibilità. A seconda del tipo di materiale presente nel suolo, quindi del tipo di tessitura, o anche a seconda della presenza di vuoti, questa proprietà varia. Questo metodo è molto utilizzato per i vigneti. A questo punto il terreno si divide in porzioni omogenee. Una volta diviso si fanno dei campionamenti regolari nelle diverse aree, successivamente questi campioni vengono uniti in un unico campione mettendo le stesse quantità. RIPASSO: La tessitura si avvantaggia della percentuale in peso di sabbia, limo e argilla che si chiama granulometria. Quindi la tessitura è una classificazione del suolo sulla base della granulometria. In questo aspetto bisogna includere anche la percentuale in scheletro che ci fa capire l’età del suolo. Quindi la tessitura è utile perché è una bella descrizione sintetica del suolo. (Scusate per le troppe ripetizioni). Sulla base della granulometria, posso utilizzare delle funzioni di pedotrasferimento, fin ora ne abbiamo utilizzata una, che serve per stimare le caratteristiche idrologiche, ovvero la capacità idrica di campo ed il punto di appassimento, ma ne esistono anche altre, come quelle che stimano la densità apparente. Nelle zone vulcaniche sappiamo che possono esistere delle pseudosabbie, la sabbia porosa, che dà delle caratteristiche ottime ai suoli vulcanici. Se voglio sapere la quantità di sabbia porosa in un suolo che risulta sabbioso dalla tessitura, posso fare una misura della densità apparente che, se risulta di molto al di sotto di 1.5, allora molto probabilmente avrò dei materiali vulcanici. Il calcare. La presenza di calcare è utile per la struttura del suolo, tuttavia, può influenzare l’assorbimento di questi nutrienti (K, Mg, Fe e P), può dare problemi ai portainnesti delle colture arboree, però, come vantaggio, si ha la capacità di strutturazione e il potere tampone. Nei suoli carbonatici, come i nostri, il pH è sub-basico, intorno a 7.5/8, nella prima fase della pedogenesi, l’acidificazione viene tamponata dal calcare, quindi fino a quando non si consuma tutto il calcare il suolo non si acidifica. Inoltre, quando vado a fare la misura, a me interessa il calcare attivo e non quello totale, cioè una forma di calcare più fine e quindi in grado di reagire più facilmente con l’acqua. Densità apparente è molto utile perché permette il calcolo della porosità. Il 90% della porosità è la capacità idrica massima, quindi la percentuale di volume di suolo che può essere occupato dall’acqua prima che questo si possa allagare, al di fuori di quella percentuale l’acqua affiora in superficie. La densità è utile anche per calcolare i volumi da irrigare. L’umidità si esprime con volume dell’acqua su peso secco di un campione, ma per avere l’umidità in volume bisogna moltiplicarla per la densità apparente. La densità apparente serve anche per concimare, cioè a volte bisogna conoscere il peso di uno strato di suolo da concimare, e quindi se lo strato di suolo è di 4000m , bisogna moltiplicarlo per 3 la densità apparente le tonnellate di suolo presenti in quei 4000m. 3 È una misura facile da prelevare, anche se quando si preleva il cilindretto di suolo bisogna stare attenti preservare la quantità di suolo presente nel cilindretto. Esiste una densità apparente tipica dei suoli non lavorati ed una dei suoli appena lavorati, quindi non misurare una sola volta la densità ma misurarla dopo le lavorazioni e prima della lavorazione successiva, in modo da poter avere un’idea su come varia nel tempo. Che succede se sono presenti delle pietre nel cilindretto? L’unica cosa che si può fare in questi casi è misurare il volume delle pietre, il valore ottenuto viene sottratto al valore di terreno raccolto in precedenza. La velocità di infiltrazione ha come grandezza di mm di acqua all’ora (mm/h). si misura con degli strumenti che si chiamano infiltrometri. Questa velocità di infiltrazione mi serve per decidere l’intensità dell’irrigazione. La sostanza organica sappiamo che è un ottimo indice di fertilità, intorno al 3% possiamo già ritenerci soddisfatti, sappiamo anche che dipende dalla stratificazione e dalle lavorazioni. È interessante anche conoscere il rapporto carbonio/azoto del suolo, quando questo rapporto è pari a 10 c’è un suolo in equilibrio, quando è minore di 10 abbiamo un suolo che tende a mineralizzare molto velocemente la sostanza organica, quando supera 10 c’è un suolo che tende ad immobilizzare la sostanza organica. Il pH è una proprietà chimica fondamentale, è legata alla disponibilità di nutrienti, tra 6.5 e 7.5, si ha una sufficiente disponibilità di tutti i nutrienti necessari alle piante, in condizioni di eccessiva acidità o di eccessiva basicità, cambia in peggio la disponibilità di nutrienti. Dipende anche dal tipo di concime, esistono concimi che sono più acidificanti e concimi più alcalinizzanti, questa proprietà utilizzata con successo, perché oltre a fornire nutrienti che servono alle piante, creo temporaneamente una condizione di pH utile per le piante. Esistono 2 modi per misurare il pH: quello più diffuso è la misura in acqua, l’altra è la misura in KCl (cloruro di potassio). Capacità di scambio è un valore che si esprime in milliequivalenti/100g. La percentuale di saturazione in basi è il rapporto tra milliequivalenti di potassio, calcio, magnesio e sodio, sulla capacità totale. La differenza rispetto la capacità di scambio è dovuta all’H. + ATMOSFERA Questa tabella evidenzia la composizione dell’area secca, in 1 -7 ( %) assenza di vapore acqueo. Una cosa da evidenziare è che azoto molecolare e ossigeno compongono il 99% del volume della nostra atmosfera. L’azoto è un gas inerte, non reagisce con gli altri gas, e non ha nemmeno degli impatti evidenti sul clima. L’ossigeno, viva dio che è presente, è molto coinvolto nella respirazione dei nutrienti da parte degli eterotrofi, quindi ha un ruolo fondamentale. Queste sono percentuali che si sono stabilizzate nel tempo, il 21% di ossigeno è un valore che consente il metabolismo di autotrofi ed eterotrofi, ma, al contempo, evita che l’ossigeno sia un problema per la vita, perché l’ossigeno è un potente ossidante e i viventi interagiscono continuamente con l’ossigeno. In definitiva, noi, da un lato abbiamo la necessità di ossigeno dato che serve alla vita, dall’altro, l’ossigeno in quantità superiori potrebbe rappresentare un serio problema, perché già al 21% ci richiede un grosso sforzo metabolico per evitare l’ossidazione delle membrane cellulari. Poi ci sono altri gas come argon, elio, neon… sono gas poco rappresentati, tuttavia, fatta eccezione per i gas inerti, abbiamo anidride carbonica e metano che sono dei gas importantissimi e concorrono all’effetto serra sul pianeta, che non è da vedere solo nell’accezione negativa, perché il problema che noi affrontiamo per i cambiamenti climatici è l’aumento dell’effetto serra, ma di fatto è la base per la vita su questo pianeta. Poi abbiamo il vapore acqueo che può arrivare fino al 7% e lo troviamo soprattutto nella troposfera. Inoltre, sono presenti anche altri fattori inquinanti che sono anidride solforosa, monossido di carbonio e ozono che in realtà presenta una doppia faccia, perché nella stratosfera è fondamentale, nella troposfera è un inquinante che può creare dei problemi alle piante. Il vapore acqueo deriva dall’evaporazione delle masse d’acqua, ed è correlato ai processi di traspirazione e respirazione, quando c’è l’evaporazione dell’acqua dal suolo, il suolo si raffredda, quando si crea la condensa succede l’opposto. I ¾ del vapore acqueo li troviamo a quote superiori i 4km, si pensi alle nuvole che sono masse d’aria che tendono a condensarsi. Sul nostro pianeta arrivano le radiazioni solari, che sono composte da un ampio spettro di frequenze, e i gas presenti nell’atmosfera hanno un certo livello di permeabilità a varie lunghezze d’onda, l’acqua è impermeabile a tutte le lunghezze d’onda che vengono dal sole, ed è impermeabile anche alle radiazioni che vengono emesse dalla Terra a seguito del surriscaldamento. L’anidride carbonica, il cui aumento è correlato alla variabilità del clima sempre maggiore, è impermeabile alle radiazioni infrarosse ed è permeabile alle radiazioni luminose, questa caratteristica la rende molto importante per l’effetto serra. La combustione e la respirazione aumentano la quantità di anidride nell’aria, mentre la fotosintesi ne riduce la quantità (stiamo intorno ai 400ppm), la concentrazione è molto correlata all’attività delle piante, quindi in inverno, quando la maggior parte dei vegetali sono in stasi, ci sarà una maggiore concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera che sarà minore in primavera ed in estate, allo stesso modo, di notte la concentrazione di CO è più 2 alta rispetto al giorno. Sappiamo che le radiazioni che arrivano sulla Terra provengono dal Sole che è un reattore termonucleare, quindi arrivano radiazioni a diversa lunghezza d’onda, a diversa frequenza ed anche a diversa intensità. Le radiazioni hanno una lunghezza d’onda che può andare dai metri ai micrometri, quindi la lunghezza d’onda è molto eterogenea, ed ogni lunghezza d’onda ha un certo livello di accessibilità alla superficie terrestre; ad esempio le onde radio arrivano facilmente alla superficie terrestre il ché ne giustifica l’uso nelle telecomunicazioni; riducendo la lunghezza d’onda passiamo agli infrarossi che sono molto utilizzati perché sono associati alla produzione di calore (fornetto a microonde) e sono usatissimi anche nella strumentazione analitica per studiare la configurazione delle molecole perché l’infrarosso sollecita certi tipi di legami chimici, l’infrarosso trova un ostacolo prima di arrivare alla superficie, questo ostacolo è il vapore acqueo che impedisce l’arrivo di grosse quantità di infrarossi sulla Terra; la lunghezza d’onda che trova un “corridoio libero” è quella visibile che va da 400nm a 750nm, questo spettro nel visibile è fondamentale perché è la lunghezza d’onda corrispondente alla luce, specifiche lunghezze d’onda nel visibile sono correlate alla fotosintesi ed è responsabile del riscaldamento della superficie; riducendo ancora troviamo gli ultravioletti che sono cancerogeni e fortunatamente sono stoppati da uno strato di ozono stratosferico, ultimamente il buco dell’ozono va diminuendo sempre più; di seguiti abbiamo i raggi X (utilizzati per la diagnostica medica), i raggi gamma ed i raggi cosmici che sono schermati dal campo elettromagnetico terrestre. Questo è ciò che accade nel nostro pianeta in cui è presente l’atmosfera, ma è diverso in altri pianeti dove quest’ultima risulta assente. Mercurio è il classico esempio di pianeta senza atmosfera. Di giorno la superficie risulta estremamente calda, mentre di notte è freddissima, passiamo dai 420 di giorno ai -120 di notte perché è o o assente l’effetto serra, sono assenti i gas serra, è assente il vapore acqueo quindi tutte le radiazioni emesse dal Sole arrivano direttamente sulla superficie riscaldandola, poi di notte rilascia tutto il calore accumulato. Adesso passiamo all’altro estremo, ed è il caso di Venere, dove l’atmosfera è assolutamente più densa rispetto la terrestre, merito del 96% di CO. Questa anidride 2 carbonica fa passare la radiazione proveniente dal sole, ma intrappola gli infrarossi, ovvero le radiazioni che emette il suolo una volta che si è riscaldato, troviamo una temperatura media di 460 improponibile per la vita. (almeno negli altri pianeti non ci sta il coronavirus). Ben o diversa è la situazione nostra dove quasi tutta la radiazione luminosa arriva sulla superficie, mentre negli altri pianeti arrivano tutte le bande di radiazione proveniente dal sole perché non c’è acqua, in questo caso grazie alla presenza di acqua arrivava solamente la luce, questa riscalda la superficie terrestre che rimanda gli infrarossi verso lo spazio ma vengono riflessi dalla CO , questo è l’effetto serra che fa si che non faccia né troppo 2 caldo di giorno né troppo freddo di notte, i due estremi sono -50 e o 50 sulla Terra con una media di 18. o o La Terra nasce come una palla di magma infuocata che si è iniziata a raffreddare ed a solidificare, abbiamo avuto l’attività vulcanica che ha arricchito l’atmosfera di CO e vapore acqueo, 2 quindi in questa fase si è condensata formando oceani. In questo momento c’era già l’effetto serra, ma con “l’arrivo” dell’acqua sono nati i batteri, le alghe e successivamente le alghe, che con la fotosintesi hanno iniziato a ridurre sensibilmente l’anidride carbonica presente nell’atmosfera, quindi si è accumulata biomassa nella biosfera, poi con i movimenti della superficie molta della biomassa formata ed accumulata in tempi remoti è stata poi sepolta. La CO non si è ridotta soltanto grazie all’attività vegetale ma si è anche disciolta nel mare, che in presenza di Ca forma i suoli, esempio gli Appennini. Alla fine, tutto ciò che è accaduto ha fatto sì che l’atmosfera si impoverisse di anidride carbonica e si arricchisse di ossigeno, dando così la possibilità agli animali di iniziare a colonizzare varie zone della Terra. Il vapore acqueo è quello che ha un ruolo fondamentale per il clima, le giornate in cui l’umidità è molto alta sono giornate in cui fa più caldo, in realtà grazie alla presenza dell’elevata umidità abbiamo una schermatura maggiore ai raggi infrarossi, quindi la Terra si riscalda di meno, dall’altro lato abbiamo un maggiore effetto serra, c’è il riscaldamento del suolo dovuto alla luce, viene emessa radiazione infrarosso dal suolo che viene schermata non solo dall’anidride carbonica ma anche dal vapore acqueo. In definitiva si può dire che si riduce moltissimo l’escursione termica. La maggior parte del carbonio che si è accumulato in epoche passate è andato a finire nei fondali oceanici e nei combustibili fossili. C’è differenza tra ricavare energia da piante, che sono cresciute negli ultimi anni, e ricavarne dall’utilizzo dei combustibili fossili perché, nei combustili fossili, abbiamo una biomassa vegetale che si è formata in un momento in cui l’atmosfera era ricchissima di CO , quindi quando noi utilizziamo 2 le nostre riserve di idrocarburi, immettiamo nell’atmosfera una CO che è stata fissata tantissimo tempo fa con la fotosintesi, 2 quindi tendiamo a ripristinare quell’atmosfera dove le temperature sono più elevate e proibitive per la vita. Questo è il motivo per cui si è più propensi ad utilizzare bioenergie, che derivano da piante coltivate per la produzione di biomassa o per la produzione di oli combustibili, perché se brucio piante sono in “pareggio” cioè quello che ho fissato negli ultimi anni lo restituisco all’atmosfera, mentre utilizzando il petrolio di tantissimi anni prima vado a ripristinare un’atmosfera che non è quella attuale. Ed effettivamente, dalla seconda rivoluzione industriale in poi, c’è stato un aumento progressivo dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Sul nostro pianeta c’è un incremento dell’effetto serra, questo incremento influenza, non solo la temperatura che noi percepiamo, ma anche gli scambi di calore tra suolo e atmosfera che avvengono perché le masse d’acqua evaporano, quindi questi scambi di calore fanno si che si verifichino dei movimenti di masse d’aria che hanno un iter che è stato studiato ed è anche prevedibile, nella meteorologia si conosce benissimo qual è il normale andamento delle masse d’aria, il problema è che se modifico il bilancio radiativo modifico anche il movimento di queste masse d’aria, quindi bisogna capire le contromisure che dobbiamo adottare. Nella stratosfera c’è una certa quantità di ozono che ci protegge dai raggi UV, c’è un ciclo che ci porta alla formazione dell’ozono. Si parte dall’ossigeno che con i raggi UV formano due radicali che interagiscono con 2 molecole di ossigeno e ne formano 2 di ozono O2 + UV = O + O O + O + 2 O2 = 2 O3 La concentrazione di questo gas nella stratosfera è di circa 7ppm (parti per milioni), e viva Dio che esiste perché ci ripara dai raggi UV pericolosi per gli esseri viventi. D’altro canto, nella troposfera, abbiamo ozono troposferico che si forma grazie al ciclo fotolitico degli NOx che sono gli ossidi di azoto. Il biossido di azoto interagisce con i raggi UV, sempre in presenza di ossigeno, libera un radicale di ossigeno diventando monossido di azoto che interagisce con l’ossigeno molecolare per formare O , 3 successivamente il monossido di azoto reagisce nuovamente con l’ozono e si torna al punto di partenza, con biossido di azoto e ossigeno - NO2 + UV + O2 Þ NO + O + O2 Þ NO + O3 Þ NO2 + O2 È importante questo ritorno all’equilibrio perché, già l’ossigeno è un potente ossidante, figuriamoci l’ozono, e quelle che ne soffrono di più sono le piante perché l’ozono va ad ossidare le membrane cellulari, in particolare danneggia gli stomi, che sono le aperture che si trovano sulle foglie, che sono controllate da diversi fattori tra cui la luce che favorisce le disponibilità idriche, queste aperture servono ad incamerare anidride carbonica e a proiettare verso l’atmosfera ossigeno e vapore acqueo, quindi un danno agli stomi ha delle fortissime ripercussioni sui vegetali. Nel momento in cui le piante, nei momenti di resistenza, chiudono gli stomi, sono meno esposte all’ossidazione da ozono. Questa quantità di ozono aumenta nel momento in cui sono presenti i VOCs, ovvero i composti organici volatili del carbonio che derivano dai carburanti, dai solventi e dai vegetali, in definitiva questi VOCs evitano che il monossido di azoto torni indietro andando a formare nuovamente il biossido di azoto. Quindi gli NOx e i VOCs assieme aumentano la quantità di ozono nell’aria. Le specie possono avere diversa sensibilità alla presenza di ozono, chi più e chi meno. È particolarmente pericoloso per gli ecosistemi forestali perché l’apertura stomatica è influenzata dal contenuto di acqua, quindi quando c’è poca acqua le piante chiudono gli stomi per non perdere troppa acqua e sacrificano la fotosintesi producendo meno biomassa, ma quando ci troviamo a quote superiori questo problema dell’aridità è molto ridotto, quindi non essendoci stress idrico gli stomi restano aperti e questo espone le piante forestali a danni molto marcati causati dall’ozono, a questo danno ne corrispondono altri danni a catena, visto che gli stomi sono ossidati rimangono aperti e c’è una continua entrata di ozono nelle cellule fogliari che compromette la crescita vegetale Radiazioni La radiazione solare è una radiazione composta da lunghezze d’onda differenti, si passa dalle onde radio fino ai raggi cosmici, evidenziando che l’infrarosso e la radiazione visibile sono quelli essenziali per il clima e per l’attività delle piante. Man mano che si riduce la lunghezza d’onda, aumenta il contenuto energetico della radiazione, questo ci fa capire quanto siamo fortunati ad essere schermati da radiazioni ad onda molto corta. Grazie alla presenza di acqua, nella stratosfera, e alla presenza di gas serra, la radiazione che arriva alla Terra da Sole è composta, in larga maggioranza, rientra nello spettro del visibile, c’è una piccola quota anche di radiazioni ultraviolette ed infrarosso, che potrebbero essere molto di più in assenza di acqua. La radiazione che viene emessa dalla superficie terrestre rientra nella lunghezza d’onda degli infrarossi, che vengono spediti verso l’atmosfera, ma una parte di questi infrarossi vengono trattenuti dai gas serra, quindi la finalità è quella di aumentare la temperatura sulla Terra. Ma cosa succede alle radiazioni che arrivano sulla Terra? La prima cosa che accade è che c’è una quota della radiazione che arriva, viene riflessa dalle nuvole, quindi la riflessione delle radiazioni avviene su superfici bianche, che possono essere le nuvole o manti nevosi sulla superficie terrestre, questo fenomeno della riflessione rispedisce al mittente 100 W/m (di 342 che è la 2 quantità di radiazione che arriva, circa un centinaio se ne va via subito), 60 W/m viene assorbito dall’atmosfera che si riscalda, 2 quindi al suolo ne arriva circa la metà rispetto alla quantità iniziale, quindi 168 W/m. Questo è quello che accade alle 2 radiazioni in arrivo sulla Terra, quelle dirette verso l’atmosfera, in parte riesce ad arrivare alla stratosfera, ma una grossa quantità viene rispedita al mittente dai gas serra, dei 350 W/m iniziali, 2 circa 324 W/m vengono rispediti indietro. Questo fa si che noi 2 abbiamo, come radiazione incidente che arriva al suolo, circa 492 W/m , a questi sottraiamo i 390 W/m che vanno via, avremo un 2 2 netto positivo di circa 100 W/m , che sono quelli che condizionano 2 il nostro clima perché un 20% di questa quantità si trasforma in calore sensibile, quello che noi percepiamo, quasi l’80% diventa calore latente, utile per i passaggi di stato dell’acqua, che passa da liquido a vapore. Esiste una differenza tra atmosfera umida e atmosfera secca. Il gas che maggiormente influenza il clima è il vapore acqueo, che rende il clima vivibile per gli esseri viventi, perché riduce tutte le radiazioni in ingresso, facendo in modo di abbassare la temperatura massima durante la giornata e aumentare la temperatura minima durante la notte, quindi nelle zone dove è presente un’atmosfera umida c’è una bassa escursione termica; l’atmosfera secca, invece, come nel caso del deserto, riceve maggiori radiazioni dato che è assente il vapore acqueo, ci sarà un maggior numero di radiazioni in uscita, quindi si avranno temperature altissime durante la giornata e molto basse durante la notte, con un escursione termica molto marcata. La radiazione è caratterizzata da: l’intensità di flusso la cui unità di misura è W/m o cal/cm 2 2 la radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) che sono i fotoni che arrivano sulla foglia l’illuminazione la cui unità di misura sono i lux, basati sulla sensibilità dell’occhio umano la composizione spettrale che già abbiamo visto La radiazione fotosinteticamente attiva è quella compresa tra i 400nm e i 700nm ed è quella che consente, ai fotosistemi presenti nelle foglie delle colture, di portare avanti la fissazione del carbonio. Quindi, questa radiazione, ci serve per la fotosintesi, per l’apertura stomatica, per l’evapotraspirazione, dato che la luce che arriva al suolo contribuisce al riscaldamento e quindi favorisce l’evapotraspirazione, e per riscaldare le piante. Le radiazioni fotosinteticamente attive, con una lunghezza d’onda più bassa, favoriscono l’apertura stomatica. Quindi un raggio di questa radiazione interagisce con le fototropine che si trovano nella membrana cellulare degli stomi. Grazie a queste fototropine avviene una polarizzazione della membrana cellulare attraverso l’entrata di ioni potassio che richiamano acqua nella membrana stomatica, grazie alla presenza dell’acqua aumenta il turgore delle cellule, quindi si crea una pressione all’interno delle cellule che permette l’apertura degli stomi. L’utilizzazione della radiazione da parte delle piante non è del 100%, uno dei motivi è la riflessione, cioè foglie più chiare o con una platina cerosa riflettente, rispediscono via una certa quantità di radiazione che è circa il 10%, altra cosa c he può accadere, molto comune nelle foglie sottili, è la trasmissione della radiazione, quindi passa attraverso le foglie e non viene utilizzata dai fotosistemi, poi c’è l’assorbimento vero e proprio che è la differenza tra la quantità incidente di radiazioni e riflessione e trasmissione, è mediamente dell’80% ma può avere una notevole variabilità a seconda della specie. Esiste una differenza tra le piante in base al primo prodotto della fotosintesi, si distinguono piante il cui primo prodotto ha 3 atomi di carbonio e piante in cui il primo prodotto è formato da 4 atomi di carbonio, questo è il motivo per cui si parla di piante C3 e piante C4. Se si fa riferimento alla CO intrappolata nella 2 fotosintesi, si evince che le piante C3 stanno in netto svantaggio perché hanno un livello di saturazione luminosa meno elevato. Il livello di saturazione è la quantità di luce corrispondente alla massima attività fotosintetica, che è maggiore nelle piante C4. Altro vantaggio che hanno le piante C4 è che sono capaci di sfruttare al meglio anche quantitativi piccoli di radiazione. Inoltre, le piante C4 hanno due tipi di cloroplasti, dislocati uno nel mesofillo fogliare ed uno nelle guaine, hanno anche una minore fotorespirazione, cioè contemporaneamente alla fotosintesi, quando l’illuminazione e la temperatura raggiungono livelli elevati, la pianta comincia a fotorespirare. Questo fa sì che le piante C4 riescano ad accumulare una quantità di biomassa elevata. Esiste una differenza sostanziale tra le foglie in base al portamento. Ci sono foglie a portamento orizzontale e foglie a portamento assurgente, quindi sono orientate verso l’alto con un angolo di 60 , questo angolo favorisce notevolmente le o piante perché le foglie messe in orizzontale, nella porzione superiore della pianta, fanno ombra alle foglie sottostanti, quindi con questa conformazione si aumenta la probabilità di una maggiore quantità di luce nelle foglie poste più in basso e quindi aumenta la fotosintesi. L'EFFICIENZA VARIA IN FUNZIONE DI: INTENSITA' DI LUCE TEMPERATURA (25°C) CO