Anatomia Comparata PDF
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This document provides an overview of comparative animal anatomy, focusing on the evolution and characteristics of vertebrate groups. It touches upon topics like vertebrate phylogeny, including cladistics and concepts, and also describes different groups of vertebrates such as cyclostomes (Agnatha), gnathostomes, cartilaginous fishes, bony fishes, and tetrapods.
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Anatomia Anatomia Comparata Ricerca: Caratterizzazione ed evoluzione di molecole coinvolte nella risposta immuno-neuroendocrina degli invertebrati. Esami: 8 gennaio, 29 gennaio, 13 febbraio, esame in presenza presso l’aula delle esercitazioni (Aula G01) Testi: Manuale di Anatomia comparata (Menegola...
Anatomia Anatomia Comparata Ricerca: Caratterizzazione ed evoluzione di molecole coinvolte nella risposta immuno-neuroendocrina degli invertebrati. Esami: 8 gennaio, 29 gennaio, 13 febbraio, esame in presenza presso l’aula delle esercitazioni (Aula G01) Testi: Manuale di Anatomia comparata (Menegola), Anatomia comparata (Vincenzo Stingo), Anatomia Comparata dei vertebrati - una visione funzionale ed evolutiva (Liem, Bemis). Corso: Basi di sistematica e filogenesi (foglio con definizioni), apparato scheletrico, tegumentale, respiratorio, arterioso/venoso/linfatico, apparato escretore, vie germinali ed apparato nervoso. Orale: tre domande, una per il sistema scheletrico, una per gli altri apparati e uno concernente il sistema nervoso (organi di senso e circuiti nervosi). La filogenesi dei vertebrati Ricordiamo le definizioni di filogenesi, come i concetti di gruppi monofiletici e parafiletici: in una rappresentazione cladistica gli animali che vediamo sono inseriti sempre alla fine del clade, mentre a partire dai nomi sono collocati quelli che si chiamano “ipotetici progenitori”, delle specie che si ipotizza abbiano delle caratteristiche intermedie tra due nomi alla fine dei cladi: se quel progenitore viene scoperto effettivamente si dovrà riscrivere la filogenesi reinterpretandola. I gruppi monofiletici hanno una derivazione comune, comprendendo un solo ipotetico progenitore e tutti i cladi che derivano da lui. In anatomia, però, ci si è abituati ad utilizzare i gruppi parafiletici che organizzano degli organismi in base alle relazioni di somiglianza tra i caratteri, senza attenzionare i rapporti di discendenza. Ricordiamo poi l’analisi filogenetica su cosa si basa, prendendo per esempio 7 caratteri applicabili su tre animali diversi X, Y e Z: il carattere 1 è presente in tutti i taxa ingroup e viene detto plesiomorfo, così viene messo alla base dello schema; i caratteri 5 e 6 sono caratteri condivisi tra Y e Z e sono invece dei tratti sinapomorfi. Per convenzione, l’introduzione di un cambiamento è favorita negativamente e, per una questione statistica di attinenza con la realtà, è favorita la filogenesi che nell’albero filogenetico prevede il minor numero di passi. Ricordiamo poi che Caratteri sinapomorfi potrebbero diventare plesiomorfi: se nell’albero ad 8 passi facciamo la filogenesi tenendo conto solo degli animali Y e Z, i caratteri 5 e 6, diventano plesiomorfi poiché apparteranno a tutti gli animali trattati. Analizziamo l’albero filogenetico degli amnioti ottenuta dalla matrice dei caratteri: un esposto interessante è quello stato scritto su Science in grassetto, in rosso: gli studi cladistici sono sensibili alla scelta dei caratteri e possono esseri confusi con le convergenze! Omologia e Omoplasia Le sinapomorfie dei vertebrati Tutte queste sinapomorfie fanno capire che i vertebrati presentano uno sviluppo molto elevato nella cefalizzazione e negli organi di senso: hanno amplificato moltissimo questi sistemi in modo da rispondere agli stimoli esterni in maniera complessa e non riflessa. Ne consegue che la maggior parte dei vertebrati sono ecologicamente dei predatori che si muovono molto velocemente per poter arrivare alla preda. La diversità dei vertebrati nel tempo Il concetto di specie più o meno evolute rispetto ad altre non è corretto, è più giusto parlare di specie o animali più o meno adattate ad un determinato contesto: le variazioni delle specie sono continue nel tempo e sono tutt’ora in cambiamento poiché il processo di diversificazione delle specie è sempre in atto e non si ferma mai. Ciclostomi o Agnati Inizialmente questi erano un gruppo parafiletico poiché le mixine non presentano le vertebre, ma poi è stato visto che non è proprio così: esse hanno solo una nota corda, non presentano delle mascelle articolate, hanno un tessuto osseo atipico, senza appendici (pinne, arti), è l’unico vertebrato noto in grado di ‘annodarsi’ su sé stesso per bloccare e per strappare grossi pezzi delle loro prede. Le lamprede avevano invece delle pinne, che sono state poi perse; essi vivono spesso come ‘ectoparassiti’, attaccandosi alle loro prede per succhiare o raschiare i loro tessuti in modo da cibarsene. Da 10 anni a questa parte però è nata un’altra ipotesi per cui questo gruppo viene considerato monofiletico: ciò è stato possibile tramite delle osservazioni micromolecolari a livello del DNA. Questi dati molecolari sul microRNA avvicinavano di molto le mixine alle lamprede, nonostante le differenze morfologiche. Gli studi che sono stati fatti si sono concentrati sulla cresta neurale e sulla struttura del cranio: è stato osservato che lo sviluppo embriologico dei crani dei due animali è molto diverso dallo sviluppo craniale dei vertebrati gnatostomi. I lavori più recenti dimostrano un accenno di vertebre a livello del cranio, dove un porcesso di vertebratizzazione inizia ma viene abortito. Vertebrati Gnatostomi Tutti i vertebrati moderni che conosciamo oggi, da cui escludiamo le mixine e le lamprede, sono tutti dei vertebrati gnatostomi. Ancora, ad oggi, non si sa come si è passati da una conformazione boccale di Agnati ad una conformazione mascellare più complessa nei Gnatostomi. Si ipotizza che gli archi scheletrici più distali si siano in parte fusi con gli archi più caudali e posteriori tra di loro e con il cranio, creando così delle condizioni anatomiche atte a consentire la formazione della mascella: l’arco anteriore ha quinid acquisito l’abilità di muoversi in modo ampio, pur mantenendo un ottima robustezza. Quest’ultima caratteristica a livello anatomico è molto importante poiché se non è presente in una struttura, sia mobile che non, non può garantire la compattezza di un organo o di una porzione (vedi funzionamento mandibole e squalo). Grazie al ponte dell’arco in azzurro, le mandibole hanno effettivamente acquisito una robustezza meccanica con un possibilità di movimento a forbice (apertura-chiusura bocca). Successivamente poi sono comparsi quelli che sono delle strutture dentate; così si è passati dalla forma agnata alla forma degli gnatostomi. Tutti questi elementi derivano tutti comunque dalla cresta neurale. La componente dorsale del lato orale è detta cartilagine palato quadrata mentre la componente ventrale viene detta cartilagine mandibolare. I denti 2 ipotesi di come si sono formati 1. I denti sono passati da essere delle strutture esterne, ad essere delle strutture interne 2. Al contrario, i denti erano prima interni e poi esterni 5 anni fa sono stati trovati dei fossili che presentavano nelle regione palatiale dei denti che presentavano un piano di sviluppo molto simile al piano di sviluppo del tegumento e ciò ha fatto concludere che probabilmente l’ipotesi più probabile era che i denti si trovavano prima all’esterno e poi all’interno. Vantaggi delle mandibole Con queste strutture cambia anche la loro capacità di muoversi nello spazio, con l’evoluzione di strutture come l’orecchio interno o anche la possibilità tramite le mandibole di non uccidere completamente le prede, ma di cibarsi strappandone dei piccoli pezzi (meno energia spesa per la predazione). I pesci cartilaginei Essi sono diversi dagli osteitti, poiché sono animali che presentano uno scheletro osseo, mentre questi Condriti presentano uno scheletro cartilagineo. La comparsa della possibilità di avere uno scheletro cartilagineo sembra essere stata acquisita a partire da un progenitore che presentava un tessuto osseo ed è dovuto probabilmente a una caratteristica che casualmente è rimasta a partire da degli stati larvali: queste strutture cartilaginee sono rinforzate esternamente da un tipo di calcificazione detta prismatica (non è presente nell’uomo). Altre sinapomorfie di questi animali riguardano la presenza di particolari scaglie esternamente dette placoidi che donano robustezza, la presenza di raggi nelle pinne che sono formati da fasci giganti di collagene e vengono detti ceratrotichi. I condritti I condritti al loro interno si dividono in due gruppi principali: gli elasmobranchi e gli olocefali. All’interno del gruppo degli elasmobranchi riscontriamo altri gruppi: i cosiddetti animali “fatti a squalo” (selaci) e i batoidei (come le razze e le mante). Gli osteitti I loro caratteri plesiomorfi in cui sono presenti anche in homo sapiens, sono il fatto di presentare uno scheletro osseo,la presenza di sacche piene di gas (strutture precursorie dei polmoni) o la vescicola natatoria (un polmone modificato). Essi si divono in due gruppi principali: Attinopterigi Anche detti pesci con le pinne raggiate; sono essenzialmente quei pesci che definitivamente noi chiamiamo “pesci” in gergo verbale. Dentro a questo gruppo troviamo un raggruppamento principale che è quello dei neopterigi e la maggior parte dei pesci viventi fa parte di questo gruppo; mentre gli unici pesci attinopterigi non neo-pterigi viventi sono due: i polipteri e i condrostei. Tra questi ultimi troviamo gli storioni, il fornitore ufficiale del caviale nella ristorazione. Essi presentano delle caratteristiche strettamente primitive, mentre all’interno dei neopterigi sono quasi tutti dei teleostei, mentre abbiamo solamente due grandi gruppi che non sono teleostei, i lepisosteus e gli amia. I teleostei da soli, invece, sono all’incirca 25000 specie e presentano dei piani di sviluppo che sono eccezzionali a tutti gli altri vertebrati, caratteristica particolare poiché rappresentano più del 50% di tutti i vertebrati, si va dagli animali da stagno fino ad animali abissali, ma non li tratteremo. I Sarcopterigi Esso è l’unico taxa che contiene contemporaneamente degli animali terrestri e acquatici. La prima linea filetica è quella dei celacanti, mentre la seconda linea filetica ha un nome molto conteso e contestato: il termine più corretto è ripidisti, ma il fatto che contiene anche degli animali estinti ha fatto storcere il naso a molti colleghi; perciò, è stato dato un nome nuovo di dipnotetrapodomorfi (dipnoi + tetrapodi). I celacanti Essi rappresentavano un gruppo che si pensava fosse estinto, ma un giorno nelle coste del Sudafrica ne è stato trovato uno ed è stato scoperto che alla fine il gruppo non è ancora estinto. L’unico genere di Celacanto vivente è il Latimeria, vivono molto in profondità nella zona delle scogliere, hanno struttura primitiva e presentano un’articolazione nella metà del cranio collegata alla bocca: quando la aprono si muove anche questa articolazione dando l’illusione dell’apertura di una porzione del cranio. Dipnotetrapodomorfi I Dipnoi attualmente sono organismi pesci-formi estremamente modificati rispetto all’antenato comune: essi presentano delle pinne utilizzate come dei dentelli per muoversi nel fango, hanno uno scheletro molto alleggerito poco ossificato e presentano una doppia respirazione. Infatti, quando sono nei fiumi riescono ad usare le branchie, ma quando l’acqua perde ossigeno respirano con i polmoni o, addirittura, quando l’acqua si prosciuga riescono a rimanere protetti all’interno di un bozzo di fango dove si mantengono idratati. I tetrapodi Gli anfibi Essi sono degli animali erroneamente ritenuti primitivi poiché quelli attuali hanno perso quasi tutte le prime caratteristiche dei vertebrati terrestri: all’interno di questo gruppo troviamo due linee filettiche fondamentali. Le Cecilie Sono organismi apodi, perdono cioè gli arti, poiché sono animali che vivono tendenzialmente sottoterra, sono solitamente scambiati per delle bisce e quindi per animali pericolosi. Hanno delle strutture motorie che permettono loro di muoversi attraverso ai cunicoli e hanno un cranio che gli permette di fare leva e scavare davanti a loro. I Batraci Gli urodeli Presentano la coda Anuri Non presentano la coda; sono animali molto leggeri, addirittura gli urodeli sono specializzati nel salto e rappresentano un cattivo modello per immaginare i primi tetrapodi poiché presentano delle strutture molto modificate nel tempo. Gli Amnioti Esso è il gruppo che dona la capacità a questi animali di potersi riprodurre fuori dall’acqua poiché è presente un sacco amniotico e ha permesso loro di effettuare il grande salto dall’acqua alla terra. Due linee fondamentali, sauropsidi e sinapsidi, quest’ultima sarà la linea che porta ai mammiferi (di fatto, essi sono gli unici sinapsidi viventi). Sauropsidi Essa è una linea molto complessa ed è molto diversificata e differenziata. Le loro linee principali sono quelle degli Anapsidi, che descrivono degli animali senza fenestrature nel cranio, e dei Diapsidi, che descrivono invece due fenestrature principali. Gli anapsidi viventi sono i cheloni (in gergo le tartarughe), i quali presentano un cranio diapside che però è stato acquisito e modificato nel tempo. I Diapsidi hanno quindi due linee filetiche fondamentali: i lepidosauri (tartarughe, lucertole, serpenti) e gli Arcosauri, i quali comprendono gli animali “corazzati” come i coccodrilli, gli alligatori, forme molto simili a questi e quindi soprattutto i Dinosauri. All’interno di questi troviamo diverse linee filettiche, tra cui i Saudisti, il cui unico genere ancora vivente al giorno d’oggi riguarda gli animali che rientrano tra gli uccelli. Il taxon degli uccelli comprende poi più di 9000 specie. … Sinapsidi Questi animali sono caratterizzati dal fatto di avere una fenestratura nel cranio ed essi hanno portato a quello che è il taxon dei mammiferi. Le sinapomorfie principali sono la struttura dell’orecchio medio (formato da incudine, martello e staffa), la presenza di pelliccia e la presenza della ghiandola mammaria, caratteristiche legate al tegumento. All’interno di essi troviamo due linee filetiche fondamentali: teli e monotremi. Quest’ultimi ne fanno parte molti animali australiani, ma il termine indica la presenza di un'unica fessurazione poiché essi hanno ancora una apertura cloacale (vie urinarie-digerenti e le aperture di apparati riproduttori convergono nella stessa fessura). All’interno dei teri, troviamo i metateri e gli euteri: essi si distinguono poiché non presentano una cloaca, hanno uno sviluppo intrauterino; nei metateri però, di cui fanno parte i marsupiali, lo sviluppo intrauterino è molto più breve ed esso viene completato nel marsupio dove completano lo sviluppo attaccandosi ad un capezzolo (eterocronia, si sviluppa prima il cranio per permettere fin da subito di essere allattati). Gli euteri sono invece mammiferi con uno sviluppo intrauterino più lungo e presentano una placentazione specifica, di fatto sono considerati mammiferi placentati. I metateri sono caratteristici di ambienti in cui le risorse sono molto variabili e discontinue: se vengono a mancare le risorse per portare a termine una gestazione questi animali hanno sviluppato la possibilità di abortire l’embrione, in modo da riciclare l’energia a disposizione ed a utilizzarla magari per un cucciolo che è stato già partorito, per esempio. All’interno degli euteri non ci soffermeremo tanto poiché i loro rapporti filettici non sono molto chiariti: si può notare un’elevata plasticità di forma: per esempio, degli ondulati fanno parte le balene, ma le foche hanno forma molto correlabile a questi animali, ma nonostante ciò le foche fanno parte dei carnivori. Alcuni termini indispensabili Questa disciplina si discosta molto dalle varie anatomie umana e veterinaria, poiché in questo caso il punto su cui ci si deve concentrare è la possibilità di studiare quelle strutture del corpo comuni a più animali e di poterle appunto “comparare” tra di loro per notarne le differenze e porre un rapporto filogenetico tra le due strutture. In questa disciplina i piani considerati sono tre; il primo è il sagittale e divide il corpo nella parte dx e sx; il secondo piano attraversa l’animale e divide l’animale in una zona dorsale e ventrale, ed è detto frontale poiché parte dalla fronte nei quadrupedi o verticalmente nei bipedi; quest’ultimo piano attraversa l’animale circa a metà nel corpo in una zona craniale e in una regione caudale ed il piano viene definito piano trasversale. Oltre ai piani indicati, faremo riferimento a dei movimenti particolari, come la flessione, l’estensione, la retrazione (nelle tartarughe quella delle zampette) o la protrazione che è un movimento contrario. Troviamo poi l’abduzione in avviene un allontanamento di una parte del corpo dalla linea mediana o il movimento contrario viene detto adduzione; la rotazione di una parte del corpo intorno all’asse. Le articolazioni In questo senso, dobbiamo inquadrare varie tipologie di articolazioni in base al tipo di movimento: alcune permettono una mobilità elevata, mentre altre no. Lo scheletro osseo non è completamente rigido, ma in queste sezioni viene permesso allo scheletro di effettuare dei movimenti. L’articolazione è quell’elemento anatomico posto tra due elementi, ossei o cartilaginei che consente il movimento. Le articolazioni possono consentire un movimento molto limitato (come nel caso delle sinartrosi) oppure un movimento, al contrario, molto ampio (Diartrosi). Nel primo gruppo troviamo le suture, le sincondrosi e la sinfisi. Un esempio nell’uomo sono le ossa del pube: queste articolazioni risultano utili durante il parto alla donna, ma nei maschi solitamente anziani questa articolazione risulta ossificata, non vi è quindi controllo genico. Le suture le troviamo invece tra le varie ossa del cranio e riscontrano una piccola motilità solo nel caso in cui il mammifero è appena nato e si devono formare e completare interamente le suture che si ossificheranno successivamente. in generale, in anatomia, più il movimento in un individuo è consentito, più esso presenta una fragilità molto elevata, poiché le articolazioni sono indice di fragilità di uno scheletro. Il sistema scheletrico Lo scheletro dei vertebrati è una struttura dinamica che adempie a numerose funzioni come sostegno, protezione, riserva di ioni Ca e PO42-: Esso cresce, cambia e risponde agli agenti esterni insieme al resto dell’organismo. Esso rappresenta una componente soggetta a fossilizzazione. La classificazione parte dal dividere lo scheletro in scheletro cranico e post-cranico. Scheletro cranico La prima funzione di questa componente è di protezione dell’encefalo ma non solo; infatti, in alcuni animali è fondamentale per raccogliere il cibo e addirittura per renderlo più aggredibile dagli enzimi digestivi tramite la masticazione. Un altro significato è quello, in alcuni animali, di generare il flusso respiratorio dell’acqua e dell’aria, come accade per i pesci. Come si suddivide questa struttura? Esso è il risultato dell’assemblaggio di componenti differenti che vanno poi ad associarsi. Tra queste, troviamo il condrocranio, lo splancnocranio e il dermatocranio. Esse si uniscono a formare un elemento anatomico che si sviluppa sulle tre dimensioni e su più livelli. In alcuni animali queste componenti sono fortemente distinguibili, mentre in altri no. Il condrocranio Esso è una struttura anatomica che deriva principalmente dalle creste neurali (sinapomorfia dei vertebrati), può presentarsi cartilagineo od ossificato, molto più spesso nei vertebrati è cartilagineo, ma possono ossificare, formando ossa di sostituzione. Le ossa di questa derivazione sono quelle che più di tutte hanno un ruolo d protezione verso l’encefalo e gli organi di senso, strutturando la “teca” e le “capsule” di protezione. Esso si sviluppa con l’encefalo a partire da una posizione ventrale, le sue cellule formano prima una sorta di pavimento cellulare, poi successivamente esse effettuano una crescita cellulare che estende il pavimento e va ad allungarlo fino a circondare l’encefalo, anche dorsalmente in alcuni animali. Esso è tipicamente disposto lateralmente, ventralmente e caudalmente all’encefalo, in alcuni casi anche dorsalmente, ma dipende dalla dimensione dell’encefalo stesso. L’encefalo esce caudalmente tramite il forame magno, intorno al forame magno troviamo dei capi articolari, sporgenti e tondeggianti che formano delle articolazioni: condilo sovraoccipitile, basioccipitale, esoccipitale e occipitale. Lo splancnocranio Esso deriva principalmente dalle creste neurali che si collocano nelle pareti del faringe tra le tasche faringee. È coinvolto in diverse funzioni craniche: è collegato alle funzioni respiratorie, ma anche a quelle alimentari e ha la funzione strutturale di ricoprire il condocranio. Di fatto, è costituito da sette archi principali e per analizzarlo si parte da un modello principale poiché esso è molto diversificato negli animali. I sette archi viscerali hanno dei nomi specifici, il primo è chiamato arco orale e viene accennato nell’evoluzione delle mandibole, il secondo arco è detto ioideo, seguono poi altri cinque archi uguali tra di loro, detti tutti archi branchiali (gli archi viscerali indica l’insieme di tutti i sette archi, mentre quelli branchiali fa riferimento solo agli ultimi cinque). Tutti gli archi sono formati da una porzione dorsale e ventrale: nell’arco orale la componente dorsale viene detta palato quadrato, mentre la parte ventrale viene detta cartilagine di Meckel e rappresenta quella che è la mandibola; l’arco ioideo la componente dorsale viene chiamata osso iomandibolare, ma non analizzeremo gli altri nomi delle componenti ventrali. Queste ossa hanno sempre un carattere robusto poiché ossificano e formano osso di sostituzione. Il movimento delle mandibole in tutti i vertebrati gnatostomi (a parte i mammiferi) dipende dall’articolazione che avviene tra gli elementi scheletrici dell’arco orale e quindi dello splancnocranio. Dermatocranio Essa è una componente più diversificata all’origine, perché solo in parte deriva dalle creste neurali, ma deriva anche dai dermatomi dei somiti ed è costituito da ossa derivate da ossificazione intramembranosa. Tra le funzioni abbiamo quella di ricoprire principalmente il condrocranio e lo splancnocranio e le sue funzioni integrano le funzioni di queste due componenti. A seconda dell’organismo considerato vi è un’alta variabilità nella nomenclatura e nell’estensioni delle varie ossa, ma, nonostante ciò, le ossa sono divise in 6 diverse serie che dipendono dalla regione che vanno a ricoprire: 1. Il tetto dermico chiude dorsalmente, lateralmente la testa fino al margine della mascella superiore. Il tetto si unirà ventralmente e caudalmente all’osso quadrato. 2. La serie palatale costituisce il palato; in alcuni animali essa è collegata allo splancnocranio tramite un’articolazione che permette al palato di scivolare avanti e indietro 3. Un Parasfenoide collocato alla base del condrocranio, dietro alla serie palatale. 4. Serie mandibolare inferiore che è connessa caudalmente all’elemento scheletrico derivato della cartilagine di Meckel dello splancnocranio 5. Le ossa Percolari che ricopre le branchie lateralmente. 6. La serie Gulare ricopre le branchie ventralmente. Esso ha una caratteristica plasticità esclusiva poiché molti elementi in questa struttura possono sparire o permanere in modo casuale al variare degli animali. Adesso uniamo queste informazioni agli animali Lo scheletro cranico degli agnati Nelle mixine lo scheletro cranico è un piccolo condrocranio, con lo splancnocranio che non è ossificato ed è deputato a sostenere le tasche branchiali, mentre non è presente il dermatocranio. Addirittura, gli archi orali del condrocranio non sono neanche articolati. Nelle lamprede invece lo scheletro cranico comprende un piccolo condrocranio ed uno splancnocranio costituito da otto arcate viscerali unite tra di loro a formare un cestello branchiale, non hanno dermatocranio. L’omologia tra queste arcate branchiali e quelle dei pesci gnatostomi non è ancora confermata con certezza. Nei condritti In questo gruppo troviamo un condrocranio che ospita l’encefalo e delimita le orbite, oltre a contenere altri organi come l’orecchio interno e gli organi di senso. Siamo nei condritti, quindi lo scheletro cranico non è tessuto osseo! Lo splancnocranio si compone di 7 arcate principali, le stesse che abbiamo descritto nel nostro modello, la prima contiene ventralmente la cartilagine quadrata e ventralmente quella di Meckel. Le altre arcate andranno a costituire le arcate branchiali reggendo le branchie. Negli squali, l’organizzazione delle mandibole ci dice come esse possono essere agganciate diversamente nei vertebrati: modalità di sospensione delle mandibole. Così viene detto poiché la prima configurazione della sospensione era probabilmente autostitica, ovvero che la cartilagine quadrata è agganciata al sovrastante condrocranio in un una condizione anatomica simile alla nostra. Questa situazione tende però a ridurre ad usare le mandibole per quello che sono; si è perciò evoluta una sospensione iostilica, nei pesci, ciò vuol dire che l’appoggio deriva per mezzo dell’osso iomandibolare: questa configurazione è molto utile perché consente di portare avanti l’apertura della bocca, in modo da portare avanti la mandibola, rendendo l’apertura boccale molto ampia. Successivamente, si è poi passati ad una configurazione anfistilica, in cui la cartilagine quadrata si poggia direttamente al condrocranio. In ambiente terrestre però tutti gli animali presentano tutti una sospensione autostitica che si è rievoluta (prende il nome di secondaria), come mai non troviamo più una sospensione iostilica? In ambiente terrestre le prede si muovono molto più velocemente rispetto che in acqua, mentre sott’acqua quando i pesci aprono la bocca “afferrano” le prede sfruttando un’aspirazione di quello che è il volume dell’acqua direttamente vicino, ma in ambiente terrestre questa condizione non può funzionare e le sospensioni iostiliche e anfistiliche risultano non funzionali e molto deboli. Gli osteitti pisciformi In questi animali, in tutti gli osteitti (sia pesci che tetrapodi) troviamo un dermatocranio molto sviluppato, che non c’è nei condritti, mentre negli osteitti è la parte predominante. Il condrocranio sostiene e struttura quella che è l’orbita. Nello splancnocranio, troviamo le arcate principali, ma parleremo di un osso quadrato ventralmente e di un osso articolare dorsalmente. Le mandibole si agganciano a queste ossa della prima arcata dello splancnocranio, ma esse si muovono, determinando apertura e chiusura. poiché si muovono in primis l’osso quadrato e articolare, a cui sono agganciati. Il resto degli archi branchiali dello splancnocranio è nascosto internamente dallo stesso dermatocranio. L’osso iomandibolare invece risulta articolato e agganciato presso la scatola ottica. Dai sarcopterigi ai tetrapodi In primis, se confronto il cranio di un animale pisciforme con quello di uno dei primi animali terrestri quello che noto subito è che manca la serie percolare e la serie gulare del cranio. Un altro elemento nell’animale terrestre è la presenza di due tubercoli nella parte caudale: i condili occipitali, elementi che permettono l’articolazione e la mobilitazione del cranio stesso perché nel momento in cui essi vengono a mancare, cambierà proprio l’intero rapporto di movimento con il resto dello scheletro intero; comincia ad introdurre quella che è la regione del collo, caratteristica che fa assumere a questa porzione un’elevata fragilità. La sospensione diventa autostilica poiché siamo in un mezzo meno denso e di conseguenza si irrobustiscono le mascelle e si allunga il muso, per afferrare e trattenere le prede. Se capovolgiamo il cranio, vediamo che è cambiata anche la regione del palato, essa si allunga molto e la bocca in generale si è irrobustita: Irrobustimento dello scheletro. Lo scheletro cranico degli anfibi Gli anfibi sono la prima linea filetica degli anfibi. Il problema principale è che gli anfibi oggi sono un pessimo modello su cui basarsi per capire come funzionavano i progenitori, poiché essi hanno subito elevatissimi processi di cambiamento che ha fortemente modificato il loro cranio. Vedremo il cranio degli anfibi all’interno degli urodeli e degli anuri. Nel cranio dell’anfibio progenitore troviamo subito l’osso premascellare, poi quello nasale, quello frontale e quello parietale. Negli urodeli si conserva questo ordine di diverse ossa e la linea mediana, ma si nota che alcune sono state perse, causando un’apertura nelle porzioni laterali; nell’anfibio anuro l’alleggerimento è stato spinto fino allo stremo poiché l’animale si è dovuto evolvere ed abituare al salto: troviamo il premascellare, il nasale che delimita delle narici molto grandi, dietro le ossa frontali e parietale si sono fuse a formare un osso fronto-parietale. In questo modo si è irrobustita la porzione, ma ci si è giocati la possibilità di movimento nella regione che ha subito la fusione. In questi animali troviamo chiaramente una sospensione autostilica, ma di cosa ce ne facciamo dell’osso iomandibolare? Esso diventa quella che si chiama Columella e rientra in quella struttura adibita alla trasmissione delle vibrazioni timpaniche all’orecchio interno (conduzione dei suoni). Il resto dello splancnocranio mantiene poi le sue funzioni originali, con il primo arco formato sempre dalle due ossa principali e il secondo arco che forma l’iomandibolare. Il resto delle arcate invece forma quello che è il pavimento della gola, strutturando quella che è una porzione adibita alla concentrazione del flusso di aria con cui l’animale può respirare: troviamo il primo, il secondo, il terzo e il quinto arco branchiale, ma non c’è traccia del quarto. Scheletro cranico dei sauropsidi Nei sauropsidi troviamo gli anapsidi e i diapsidi e la differenza era l’assenza e presenza delle fenestrature craniche. Vediamo un sauropside originale e una tartaruga (rappresentante gli anapsidi). Ciò che ha caratterizzato maggiormente l’evoluzione del cranio dei rettilomorfi è stata la comparsa di fenestrature nel tetto dermico (appartenente al dermatocranio) a livello della regione temporale, fra l’osso postorbitale e l’osso squamoso. L’assenza di questa fenestratura è detta condizione anapside; fra i sauropsidi viventi solo i Cheloni (ossia le tartarughe terrestri ed acquatiche) presentano questa condizione; tuttavia, sembra ormai chiarito che essa non rappresenti il mantenimento di un carattere plesiomorfo (cioè, primitivo) bensì sia una condizione derivata. Le tartarughe hanno infatti perso numerose ossa del dermatocranio, non hanno denti bensì un becco corneo che ricopre le mandibole ed hanno evoluto un orecchio timpanico in virtù di una sottile columella (derivazione dell’iomandibolare) che si estende dalla membrana timpanica esterna alla finestra ovale (regione ottica) del condrocranio. Scheletro cranico dei sauropsidi viventi La causa della comparsa delle fenestrature ancora non si sa, ma esse hanno acconsentito una maggior spazio per l’espansione della muscolatura legata al morso ed alla masticazione: di fatto, lo spazio che viene liberato con la formazioni delle fenestrature permette alla muscolatura di allargarsi e di agganciarsi al di fuori. Tutti i sauropsidi viventi, con l’eccezione delle tartarughe, sono diapsidi, ossia organismi il cui cranio è posto sulla linea filetica delle due fenestrature. Non esistono invece sinapsidi (rettilomorfi con una sola fenestratura) viventi; tuttavia, dalla linea dei sinapsidi sono derivati i mammiferi. Invece, nei diapsidi troviamo una elevatissima quantità di specializzazioni del cranio: tutti hanno evoluto dei crani molto diversi gli uni dagli altri. Partiamo da un modello diapside cranico di un lepidosaure laterale: esso presenta un cranio molto leggero con due fenestrature che garantiscono spazio per la muscolatura del morso. I sauropsidi in generale (soprattutto molti squamati) ci hanno abituato ad un cranio cinetico, ovvero un cranio che presenta numerosi elementi di articolazione, i quali permettono alla parte sovrastante del cranio di muoversi in maniera specifica rispetto alla parte inferiore: Nei serpenti, anche l’osso squamoso (oltre agli usuali quadrato ed articolare) risulta leggermente sganciato e partecipa ai movimenti della mandibola, consentendo un’apertura della bocca superiore a quella del diametro corporeo. L’osso quadrato struttura quello che è un ponte anatomico che dona all’animale la capacità di inarcare la mandibola in maniera elevata. Questo apparato boccale è molto dipendente dal fatto che la predazione si basa sul piantarsi con i pochi denti che hanno e subito dopo sganciandosi, senza rimanere attaccati alla preda. Scheletro cranico di un arcosauro loricato Essi presentano uno scheletro cranico di tipo acinetico, con delle ossa nasali enormemente lunghe: si notano dalla distanza occhio narice. Contemporaneamente, si allunga anche la palatale: i coccodrilli hanno evoluto infatti un palato osseo. Nei sauropsidi, l’aria entra dalle narici e deve arrivare alle narici interne (coana), ma quando l’animale mastica, esso è in apnea e non può fare entrare l’aria: l’animale spreca molta più energia del normale in fase di masticazione. Al contrario i loricati (come i coccodrilli), afferrano la preda e nel momento in cui chiudono la bocca, si innalza un velo connettivale che isola la porzione boccale che intrappola la preda da quella in cui viene inalata l’aria: in questo modo l’animale risparmia energia mentre tiene sotto scacco la preda nella sua bocca. Di fatto, le ossa della serie palatale si sono allungate all’indietro formando un palato secondario che separa le vie aeree da quelle alimentari. Lo scheletro cranico degli uccelli Gli uccelli sono dei diapsidi arcosauri e presentano un cranio estremamente cinetico: il cranio è ossificato, ma da solo non basta a contenere l’encefalo. Infatti, esso è molto sviluppato e dalla parte dorsale e laterale è protetto da elementi dermatocranici. Il cranio è privo di fenestrature e la componente splancnocranica è molto classica: l’osso quadrato e l’osso articolare contribuisce all’articolazione delle mandibole, mentre gli archi successivi formano un apparato iobranchiale ed una laringe simili a quelle dei diapsidi rettiliani. La funzione è però diversa poiché la ventilazione viene sfruttata in modo differente: l’apparato iobranchiale è ossificato e regge le vie respiratorie senza intervenire nella genesi del flusso respiratorio. Le ossa del dermatocranio sono invece, normalmente, fuse tra di loro, con le suture che non sono più visibili in individui anziani: a fronte di questa scatola rigida, essa si differenzia da una porzione estremamente cinetica nella parte frontale. Essi presentano un becco privo di denti che è chiuso in un astuccio corneo. Il becco si muove grazie alla porzione rostrale (superiore) in cui è presente un’articolazione con l’osso frontale del dermatocranio (cerniera fronto-nasale). La loro conformazione del palato è alla base della classificazione degli uccelli attuali (paleognati e neognati). Il palato paleognato è formato da ossa palatine e pterigoidee non articolate tra di loro, ma non si è certi che sia un tratto primitivo, poiché potrebbe essersi rievoluto in questo senso nel corso degli anni; il palato neognato prevede invece un’articolazione tra queste due ossa: si trova tipicamente nei volatori, poiché quest’articolazione permette di utilizzare il becco anche per una “manipolazione”; infatti l’animale muove con la massima efficienza la cerniera fronto-nasale e il palato articolato in questo modo permette di spingere in avanti il becco. Questa caratteristica permette ai volatili di modificare l’ambiente circostante tramite il solo utilizzo del capo e una mandibola mobile di questo tipo gli permette di dosare la forza in modi molti diversi, dalla forza per tritare dei semi fino alla delicatezza con cui costruiscono i nidi; il becco permette quindi un comportamento complesso e sostituisce la funzione di un arto. Lo scheletro cranico dei mammiferi Partendo dai sinapsidi, che presentano una sola fenestratura, si è poi arrivati ai mammiferi con la sparizione della fenestratura. In questi animali la divisione di dermatocranio, condrocranio e splancnocranio è molto complessa. Essi hanno sviluppato la capacità di masticare, in modo da avere un metabolismo abbastanza accelerato che permette loro di avere una temperatura corporea costante. Il loro cranio è molto rigido in modo che il loro morso adibito alla predazione sia molto potente; essi hanno poi sviluppato un encefalo molto ampio e perciò il condrocranio è insufficiente da solo: le ossa condrocraniche si affiancano alle ossa dermatocraniche, ma in modo diverso. Le ossa dermatocraniche hanno uno spessore molto esteso e molto simile a quello delle ossa condrocraniche: diventa molto più difficile così distinguere le due componenti. Inoltre, nei mammiferi, si sono sviluppate anche delle ossa nuove derivate dalla fusione di elementi del dermatocranio o del condrocranio, sempre con l’obiettivo di irrobustire la scatola cranica. La conseguenza è quella di un cranio acinetico molto robusto e poco mobile. Le uniche articolazioni le troviamo a livello del morso e si basano su tre ossa che si sono sparse caudalmente e medialmente, andando a formare il palato secondario. Esso deriva dall’espansione delle ossa mascellare, pre-mascellare e palatine: ciò fa sì che la struttura si suddivida in due compartimenti principali, la cavità nasale e la cavità boccale. Le ossa che si sono espanse hanno portato più indietro le coane e hanno di fatto formato quello che è un “soppalco” aggiuntivo nella cavità boccale, il quale si è poi specializzato nella ventilazione, in modo che, quando l’animale mastica esso non si trova in apnea. Questa possibilità ha permesso ai mammiferi di sviluppare delle ossa turbinate, le quali permettono di purificare l’aria che entra e contemporaneamente essa viene inumidita e scaldata: l’aria viene portata all’interno in condizioni ideali poiché solitamente un mammifero è omeotermo. In tutto questo, la cavità orale rimane completamente esclusa da questo lavoro e libera di effettuare le sue funzioni in contemporanea alla ventilazione. Un altro aspetto molto importante riguarda anche quello delle mandibole: i mammiferi hanno sviluppato un morso molto robusto e molto potente già ai primi anni di vita di un individuo, come è possibile? ciò avviene grazie ad una nuova articolazione delle mandibole, con la perdita dell’articolazione quadrato-articolare. Quella che era un’articolazione splancnocranica, diventa un’articolazione dermatocranica nei mammiferi. Quello che si forma con questa articolazione è il cosiddetto osso dentale che scorre e si articola sull’osso temporale (più precisamente sulla sua porzione squamosa), un elemento esclusivo dei mammiferi che si è sviluppato dalla fusione di diverse ossa. Questa specializzazione ha permesso poi di specializzare singolarmente i vari denti in modo differente, adibendo ad ognuno una funzione specifica. Questa capacità ha permesso ai mammiferi di diversificare la propria alimentazione e quindi ha comportato il fatto che i mammiferi abbiano occupato diverse nicchie ecologiche. In tutto questo, l’osso articolare-quadrato si vanno ad associare all’iomandibolare (columella negli anfibi), formando una catena a tre ossa fondamentale per condurre le vibrazioni all’orecchio timpanico: il martello coincide con l’osso articolare, l’incudine coincide con il quadrato e la staffa coincide con l’iomandibolare. Per quanto concerne la parte rimanente dello splancnocranio, esso costituisce l’apparato ioideo (coinvolto nei movimenti della lingua). L’articolazione del morso sembra abbia avuto delle fasi intermedie in cui l’articolazione era a quattro ossa, ancora associato al quadrato-articolare, poi per qualche errore genetico essi si sono sganciati e si è differenziato nell’articolazione temporale-dentale. Nei crani dei mammiferi il forame magno è molto ampio (per un encefalo molto grande) e si presentano due condili occipitali (come negli anfibi, uno solo nei sauropsidi). L’osso temporale è grande, cavo e si muove in tre dimensioni, con la sua struttura che è data da più elementi: elementi splancnocranici entrano nell’orecchio interno. L’osso temporale tende anche in avanti a formare quello è l’osso zigomatico, la struttura intera deriva dal contributo di due elementi, dall’osso zigomatico e dall’osso temporale, in cui i rispettivi processi di crescita si allungano e si agganciano (il processo temporale dell’osso zigomatico e il processo zigomatico dell’osso temporale). Successivamente, il processo dentale deriva dall’unione di tre processi principali (sporgenze dello stesso osso), il processo angolare, il processo condilare, mentre il terzo è quello che scorre dietro la barra zigomatica e viene detto coronoide: essi presentano uno sviluppo molto diverso nei mammiferi, nei carnivori si ha uno sviluppo maggiore nell’angolare per fare leva, negli animali che masticano a lungo lo sviluppo maggiore riguarda il coronoide, mentre l’uomo presenta uno sviluppo intermedio di tutti e tre. Una tipica condizione di base degli Amnioti è quella Anapside (nell’immagine di una sezione trasversale spostata in avanti), in cui si nota che la muscolatura si aggancia alla mandibola inferiore. Mentre nella condizione dei mammiferi, le condizioni del cranio permettono che la muscolatura fasci tutta intorno agli elementi del cranio, donando una robustezza e una maggiore presa al morso in generale. Un esempio è quello del panda, in cui la muscolatura del morso ha dovuto subire un processo di irrobustimento maggiore rispetto ad altri animale, poiché il suo progenitore era carnivoro, ma si è poi dovuto abituare a tritare quelle che sono delle fibre legnose, molto più dure delle parti molli della carne. Nell’uomo lo splancnocranio si è specializzato molto nella laringe adulta e ha dato la possibilità di allargare e aumentare quello che è l’apparato di fonazione. Lo scheletro post-cranico: lo scheletro assile Esso è suddivisibile nello scheletro assile e nello scheletro appendicolare, presentano la funzioni di sostegno del cranio, del corpo in generale e di protezione delle parti molli e degli organi. Le componenti dello scheletro assile Esso si compone di: notocorda, colonna vertebrale, le pinne impari, le coste e lo sterno. Questi elementi non compaiono necessariamente in tutti gli organismi, a parte per le coste e la colonna vertebrale; le pinne impari le troviamo negli animali pisciformi mentre lo sterno lo troviamo nei tetrapodi. Vediamo singolarmente i singoli elementi del modello generale. Le vertebre Esse donano il nome ai vertebrati e il loro susseguirsi forma la colonna vertebrale. Le vertebre sono ossa irregolari ed estremamente variabili tra le specie e all’interno dello stesso individuo: possono esserci vertebre diverse a seconda delle regioni del corpo. Nel modello degli amnioti, le vertebre sono formate da due elementi fondamentali: § l’arco neurale (arco vertebrale) è l’elemento più antico e si dispone dorsalmente intorno al midollo spinale, a proteggere lo stesso; un abbozzo di questo tipo lo troviamo anche nelle mixine. § Corpo (o centro) vertebrale, su cui si inserisce l’arco e, insieme, vanno a delimitare il canale su cui scorre il midollo spinale. Altri elementi molto importanti che classificano le varie vertebre sono le protuberanze intorno, le quali possono essere dei processi (se è arrotondata), spine (se sono spigolose), mentre se è appiattita è detta apofisi. Le zigapofisi vengono in avanti verso di noi e servono ad agganciare le vertebre precedenti. Troviamo però altri elementi: una struttura posta ventralmente al centro vertebrale, viene detta arco emale e si trova solitamente nelle vertebre caudali degli organismi pisciformi (nella metà posteriore dell’animale), con la funzioni di proteggere i grossi vasi dalla contrazione della muscolatura, nel movimento della coda del pesce, che contraendosi imprime verso di loro una forza. Dagli archi dorsali e ventrali partono poi delle strutture appuntite chiamate tipicamente Spine neurali, quando partono dagli archi neurali o Spine emali quando partono dagli archi emali. Negli animali terrestri si possono trovare, a livello caudale, delle strutture con la stessa funzione degli archi emali che vengono nominate come ossa Chevron, impediscono che si occludano i grossi vasi durante il movimento della coda dei tetrapodi. Dal punto di vista evolutivo, la vertebra deriva dalla coalescenza (si mettono insieme elementi) di elementi differenti e perciò in alcune vertebre si può trovare non solo un centro, ma anche un intercentro, nel momento in cui una vertebra si è formata da una coalescenza non completa; addirittura, alcune vertebre possono presentare due centri (vertebra diplospondila). Lo sviluppo delle vertebre Esse sono elementi che derivano dallo sclerotomo dei somiti del mesoderma parassiale. Il corpo del somite ha tre elementi fondamentali: nella genesi delle vertebre il ruolo fondamentale è quello dello sclerotomo. Esso forma una concentrazione di cellule mesenchimali che presentano come punto di riferimento la notocorda e il midollo spinale. Questi addensamenti mesenchimali sono inizialmente metamerici, ma durante lo sviluppo queste cellule non stanno ferme, ma esse migrano, non solo medialmente per dirigersi verso la notocorda, ma anche spostandosi leggermente in avanti e all’indietro in modo che le cellule di due sclerotomi congiungano verso di esse in una porzione intermedia. In questo modo l’addensamento mesenchimale non sarà proprio in posizione segmentale, ma si troveranno in posizione intrasegmentale (tra i segmenti). Questo meccanismo di movimento dei precursori fa in modo che le vertebre, quando si formeranno, potranno muoversi le une rispetto alle altre, generando numerose articolazioni: le vertebre si troveranno in una posizione intrasegmentale, mentre la muscolatura rimarrà in una posizione segmentale e muoverà le vertebre potendosi agganciare contemporaneamente all’estremità caudale di una vertebra e all’estremità frontale della vertebra precedente. Lo sviluppo intrasegmentale delle vertebre risulta un pochino più chiaro in questa immagine a fianco. Tipi di vertebre La forma delle vertebre è associata al tipo di movimento dell’animale: esse vanno da gradi di minimo e di massimo movimento, in base al fatto se una regione del corpo necessita di più mobilità o meno. A livello acquatico gli animali si devono muovere all’interno di un mezzo denso: un pesce ha un movimento di flessione laterale, per incunearsi nel mezzo acquoso che impone resistenza. All’interno dell’acqua però l’animale risentirà meno della forza di gravità, donando già di base un grosso sostegno al corpo degli animali acquatici. Le colonne vertebrali stesse devono adattarsi ai movimenti più vantaggiosi in ambito acquoso: queste vertebre presentano una doppia cavità e vengono dette anficeliche (doppio celoma inteso come cavità). Nello spazio tra le vertebre troviamo un connettivo che forma un cuscinetto su cui le vertebre possono scivolare e muoversi, soprattutto lateralmente. Negli animali terrestri invece si osserva un pattern molto simile che però tende ad ossificare la componente intervertebrale, tendendo a diventare un elemento della vertebra precedente o successiva. Se la vertebra presenta una concavità in avanti sarà detta procelica, se invece la concavità si localizza caudalmente alle vertebre verrà detta opistocelica: esse sono meccanicamente equivalenti. Nei mammiferi però sarebbe molto invalidante, poiché è molto rigida ed ha un movimento molto limitato, e non ne aiuterebbe il movimento: si fa riferimento alla vertebra acelica, la quale non presenta concavità e presenta invece dei dischi intervertebrali, di componente fibrosa e densa che consente una maggior mobilità tra le vertebre. Un ultima tipologia è la vertebra eterocelica, che sta ad indicare un tipo di vertebra molto variabile che si allontana dalle forme spiegate prima: essa presenta una superficie articolare irregolare, che cambia in base al tipo dell’animale. Le coste Questo termine si riferisce a delle strutture più o meno rigide a forma di bacchetta o lamina. La funzione principale delle coste è di garantire un irrobustimento della parte ventrale del corpo nei pesci e nei piccoli tetrapodi, mentre negli animali terrestri più grossi hanno una seconda funzione di formare una vera e propria gabbia in cui si difendono le parti molli che vi sono all’interno. La collocazione delle vertebre tra tetrapodi e degli organismi pisciformi è abbastanza diversa: le coste dei pisciformi sono dette monocefale poiché si articolano alla colonna vertebrale in un punto solo, mentre negli animali terrestri sono dette bicefale poiché terminano con due estremità, articolandosi o prendendo solo contatto con la colonna vertebrale in due punti differenti. È importante ricordare che talvolta nei pesci si individuano due serie di coste, ma ciò non è importante poiché le coste dorsali si ritrovano solo in alcuni gruppi di pesci specifiche ed esse possono sembrare delle spine, ma non lo sono! Nei tetrapodi e, particolarmente, nelle coste degli urodeli qua di fianco, troviamo una costa molto corta, laterale, con la sola funzione di allargare l’area e la muscolatura del tronco, senza avere quella di difendere le parti molli al centro, poiché questi animali sono molto piccoli e molto leggeri. Le pleurapofisi Essi sono degli elementi aggiuntivi della struttura (pleura = a margine): essi derivano dalla fusione nello sviluppo di due elementi, del processo trasverso e delle coste. Questo elemento di fusione sostituisce le coste vere e proprie, le quali non ci sono più, si elimina così l’articolazione per aumentare la robustezza della struttura generale (pensare alle nostre vertebre lombari o a quelle della rane). Le pinne impari mediane Esse sono quelle pinne che giacciono sul piano saggitale mediano dell’animale. Sono dette impari poiché non rilevano una pinna sinistra o destra e permangono su una linea. Esse hanno la funzione di stabilizzare la posizione dell’animale o di facilitarne il movimento. Esistono diversi tipi: la pinna dorsale, la pinna anale e la pinna caudale. Quest’ultima è fondamentale per la propulsione, mentre le pinne dorsali e anali sono degli elementi di stabilizzazione dell’animale: nei pesci più recenti (telostei) le pinne dorsali possono essere molto mobili, al contrario di quanto accade nello squalo. Essi sono elementi saldamente inseriti nella muscolatura tramite degli elementi detti pterigiofori: questi elementi permettono di mantenere ferma la pinna, permettendo un allungamento della struttura generale fino a quasi toccare la colonna vertebrale. La pinna anale si trova tipicamente a ridosso della cloaca (uscita genito-urinaria) ed è perciò utilizzata come un punto di riferimento anatomico per dividere in modo rapido il tronco dalla coda dell’animale (dove sono collocati quindi i visceri). La pinna caudale La forma più antica viene detta eterocerca: essa è una coda in cui l’asse vertebrale dell’animale vi arriva arrivato piegato verso l’alto. Essa risulta in una pinna asimmetrica, in cui i due lobi sono di diversa dimensione. La spinta di questa pinna si direziona verso l’alto: è risultata molto utili a degli organismi pisciformi ancestrali i quali erano molto pesanti, e continua ad essere funzionale in essi tutt’oggi. Ciò vuol dire che molti animali si sono alleggeriti nel tempo e perciò oggi negli osteitti le code hanno sviluppato forme diverse. La coda omocerca e la forma più correlabile ai pesci nella vita di tutti i giorni: essa ha una composizione scheletrica asimmetrica nonostante l’apparenza. Lo sviluppo dei raggi dorsali e ventrali però disegnano quella che è una pinna simmetrica solo esternamente, in modo che il movimento abbia una direzione rettilinea. Il terzo tipo è la coda dificerca: essa ha una struttura simmetrica sia dentro che fuori e ha una porpulsione molto modesta e la troviamo in animali che tendono a flettere molto la colonna vertebrale durante il movimento. Tutte queste code derivano dalla coda eterocerca, ma in realtà la transizione etero-omo è ancora studiata ed è stata trovata una fase intermedia che viene chiamata eterocerca ridotta, con caratteristiche intermedie tra la etero- e la omo-. Lo sterno Essa è una struttura propria degli organismi terrestri ed è stato inizialmente considerato cartilagineo, ma poi l’informazione è stata smentita; è stato, inoltre, visto che esso è si è evoluto con l’evoluzione stessa dei tetrapodi. Esso è un elemento ventrale, di varia forma, in base alle necessità anatomiche e strutturali dell’animale. Associamo spesso lo sterno facente parte della gabbia costale, ma essa è variabile nei tetrapodi, lo sterno invece no: ciò accade perché la sua funzione è quella di stabilizzare il cinto pettorale e, laddove sia presente, diventa l’elemento di congiunzione delle coste in una gabbia costale. In alcuni animale sono presenti coste addominali e ventrali: esse non sono delle vere coste, ma sono degli elementi che derivano da ossificazioni intradermiche, le quali irrobustiscono la struttura dell’animale, ma non derivano dalle coste che si formano nelle fasi dello sviluppo. Adesso uniamo le informazioni agli animali Gli agnati Nelle mixine adulte, lo scheletro assile è rappresentato dalla notocorda, mentre le coste sono assenti; nelle lamprede invece troviamo delle vere e proprie vertebre costituite da degli archi neurali molto brevi che si inseriscono sulla notocorda. Gnatostomi Condritti Essi presentano una colonna vertebrale, le coste e le pinne impari mediali. Dal punto di vista anatomico, le vertebre sono molto semplici, di forma anficelica, costituite da un centro vertebrale e con un arco neurale e precorrono tutta la lunghezza dell’animale. Prendendo come riferimento la pinna anale, se disegno una linea che gira intorno all’animale, si può suddividere l’animale in una porzione rostrale e caudale. E importante questa differenza poiché nella porzione rostrale sono molto brevi, mentre nella porzione caudale non troviamo coste e si localizzano gli archi emali nelle vertebre: questo succede perché, ad esempio, lo squalo per muoversi tenderà a muoversi grazie alle contrazioni nella porzione rostrale dell’animale, in corrispondenza della pinna anale; visto che i vasi verrebbero schiacciati da questa contrazione, gli archi emali intervengono per proteggere i vasi dal sollecitamento meccanico. Teleostei Attinopterigi Analizzando un attinopterigio, vediamo che le vertebre sono acentriche e l’animale mantiene la notocorda per tutta la lunghezza: questa è una condizione apomorfica di primitività; la pinna caudale è eterocerca. Il cipride, che è un teleosteo moderno, vediamo che presenta una zona rostrale e caudale, quella del tronco avrà delle vertebre anficeliche, con delle coste monocefale, mentre la porzione caudale non presenterà delle coste e anche qua le vertebre avranno gli archi emali; la pinna caudale sarà omocerca per il suo movimento. Oltre alla colonna, anche il tegumento e la forma dell’animale garantisce il suo movimento. Sarcopterigi Colonna vertebrale, pinne dorsali e pinna anale rette da dei lepidotrichi, con una pinna caudale dificerca. Vertebre acentriche, in cui gli archi neurali si inseriscono su una persistente notocorda e possono essere presenti elementi riconducibili agli archi emali nella regione caudale. Animali terrestri Il movimento degli animali acquatici le esigenze sono simili e la struttura dello scheletro ha le stesse priorità tra le specie. Discorso diverso per gli animali terrestri: qui la colonna vertebrale si fa decisamente più complessa. Come nei pesci, la divisione è solamente rostrale e caudale, nei tetrapodi le differenze sono piuttosto rilevanti, poiché l’ambiente subaereo necessita che il peso dell’animale sia scaricato a terra, mantenendo la colonna vertebrale più o meno parallela al terreno. La colonna vertebrale non dovrà inarcarsi e bisognerà attutire il peso tramite lo sviluppo degli arti: si riconoscerà la porzione sacrale della colonna che attutisce il peso articolandosi con gli archi posteriori. In ambiente aereo, anche lo splancnocranio dovrà essere reimmaginato: nei pesci troviamo una catena di ossa che aggancia le pinne pettorali al cranio. La scomparsa però di questa regione cambia completamente la struttura, con il cranio che comincia ad essere spostato rispetto all’asse vertebrale. Questa regione prende il nome di regione cervicale: nei tetrapodi abbiamo quindi sempre 4 regioni, cervicale, sacrale, del tronco e caudale. La regione del tronco può essere ulteriormente suddivisa nei mammiferi nella regione toracica e lombare, mentre al di fuori dei mammiferi, il differenziamento è molto più forzato e meno visibile. Questa è un organizzazione generale, infatti negli anfibi, il movimento del capo è molto limitato, mentre nei mammiferi il numero delle vertebre cervicali è sempre costante (di 7 vertebre). Questa regolarità viene spiegata dai mammiferi con il lavoro dei geni Hox, per cui se questi geni non lavorano bene l’animale viene abortito senza completare lo sviluppo e quelli viventi avranno la stessa regolarità nella composizione delle vertebre lungo la colonna. Nei tetrapodi, la vertebra era costituita da più elementi ossei (rispetto a come pensiamo oggi) ed era chiamata vertebra rachitoma, in cui il centro vertebrale era costituita da tre elementi; ma poi con il tempo c’è stata un progressiva espansione degli elementi laterali che si sono poi fusi, a formare un unico osseo, detta Olospondila (un corpo unico). Però il fatto che organismi amnioti e non abbiano tutti vertebre olospondile è una convergenza ed è il punto di arrivo di un processo evolutivo che ha messo insieme più elementi: è importante perché sennò in alcuni vertebrati non si riuscirebbe a spiegare delle conformazioni vertebrali molto particolari. Anfibi Cecilie: anfibi privi di zampe che vivono sottoterra, colonna vertebrale estremamente flessibile costituita da vertebre anficeliche, in quanto dal punto di vista meccanico risentono dei problemi analoghi agli organismi pisciformi perché si devono insinuare in un mezzo denso, ma allo stesso tempo non hanno bisogno di scaricare il loro peso al suolo. Coste piuttosto brevi e non è presente una gabbia costale. Sterno? Urodeli: animali (salamandra) che normalmente rimangono piccoli con andatura dei primi tetrapodi quindi flessione laterale abbastanza marcata ma comunque risentono della forza di gravità. Colonna vertebrale fatta da vertebre opistoceliche, che si divide in regione cervicale (atlante), del tronco molto monotona dal punto di vista anatomico, regione sacrale (tipicamente una vertebra specializzata) e regione caudale. Quando diventano molto grandi vivono prevalentemente in acqua. Presenza di brevi coste che non vanno a formare una gabbia costale, consentono un aumento della superficie di inserzione della muscolatura del tronco. Presenza di un piccolo sterno medio-ventrale associato al cinto pettorale. La coda è più o meno lunga formata da centri vertebrali di solito opistocelici via via di dimensioni minori. Anuri (rana) Essi specializzati nel cranio e nello scheletro assile perché hanno sviluppato il salto. Scheletro saltatorio che resiste alle sollecitazioni dell'atterraggio in quanto tutta la massa per velocità dell'animale quando arriva a terra si scarica sull'animale stesso. La colonna vertebrale si divide in: R. Cervicale, la vertebra è detta atlante specializzato (omologa solo in parte del nostro atlante R. Del tronco, molto breve costituito da vertebre proceliche R. Sacrale, una vertebra specializzata articolata con il cinto pelvico R. Caudale, sono vertebre fuse assieme che formano un unico osso chiamato urostilo, il quale regge questa regione. L’urostilo è un elemento di rigidità molto importante perché irrobustisce quella porzione del corpo in cui si scarica la leva nel salto dell’animale: quando l’animale spinge sulle zampe, la spinta si trasferisce sulla regione sacrale, che, se fosse sola sarebbe insufficiente per resistere a questo movimento, perciò la regione caudale si è specializzata in questo senso. Le coste non sono presenti e gli allungamenti che si notano sono parte integrante delle vertebre, a formare delle pleurapofisi, che continua a garantire robustezza. Sauropsidi In cui troviamo anapsidi e diapsidi, in questo caso la descrizione prende spunto dagli organismi rettiliani generici che hanno poi subito delle specializzazioni nei singoli scheletri assili. Negli uccelli e nei serpenti i cambiamenti maggiori sono dovuti al fatto che si sono differenziati gli arti e il cambiamento dello scheletro assile è secondario a questi. Nelle tartarughe è invece lo scheletro assile in primis ad essersi modificato. Partiamo a vedere un coccodrillo, in cui lo scheletro assile che vediamo è molto pesante e vi osserviamo tutti gli elementi di uno scheletro assile: nella colonna vertebrale individuiamo le solite 4 regioni. La regione cervicale è molto variabile in base alla specie, ma è un numero sempre abbastanza alto per una maggior mobilità; le vertebre del tronco sono talvolta distinte in toraciche o lombari, in base se sono presenti o no le coste, ma non c’è una regola al contrario degli anfibi: possiamo trovare animali con le coste lungo tutto il tronco o animali in cui sono presenti solo in una parte. Le coste sono Dicefale e si muovono attorno tutto l’animale, si articolano con lo sterno, elemento tipicamente ossificato e piuttosto complesso (presterno, sifisterno, …). Troviamo internamente degli elementi di origine dermica che vanno a rinforzare il ventre dell’animale laddove non vi siano le coste lungo tutto il tronco, essi sono detti gastralia, presente nel coccodrillo nel quale è fondamentale per evitare lo schiacciamento delle parti molli, ma non fanno parte dello scheletro. La regione sacrale è formata da numerose vertebre ed essa ha permesso a molti sauropsidi di allungare di molto il corpo e di aver acquisito un ottimo scatto; dietro alle vertebre sacrali abbiamo la regione caudale, nel quale le prime vertebre sono molto simili alle sacrali, ma le successive presentano degli archi emali che vengono detti ossa Chevron. A mano a mano che la coda si assottiglia le vertebre si fanno via via più semplici, fin tanto che non rimangono dei piccoli centri vertebrali. La presenza delle chevron è fondamentale per quei rettili che muovono molto la coda e che rischiano di schiacciare i propri vasi sanguigni, se non fossero presenti. Cheloni Le tartarughe hanno subito pesanti modificazioni a livello dello scheletro assile, poiché esso è entrato a far parte di quella che chiamiamo corazza. Essa è costituita da elementi scheletrici o tegumentali e presenta delle funzioni di protezione dell’animale. In questo elemento distinguiamo due componenti (carapace e piastrone). Tutte e due le componenti presentano nella composizione un contributo determinante da parte dello stesso scheletro assile: ciò è analizzabile anche guardando il nome delle piastre singole di carapace e piastrone. Effettivamente, se guardiamo la distribuzione delle piastre troviamo una serie mediana, una intermedia e una più esterna: quella mediana è formata dalle piastre neurali (“ne”) e si evince che esse sono formate da elementi dermici ed elementi delle vertebre sottostanti; la linea esterna è formata dalle piastre pleurale formate da un contributo delle coste; intorno troviamo degli elementi tegumentali detti piastre marginali; alla base della coda troviamo le piastre piliali. Guardando quindi il carapace dall’alto si nota che è formato dal contributo delle vertebre e delle coste. Lo stesso discorso vale anche per il Piastrone, che è formato da tre elementi fondamentali (iopiastrone, ipopiastrone e xifipiastrone) i quali dipendono tutti dal contributo dello sterno. La regione cervicale presenta delle vertebre eteroceliche estremamente mobili che permettono all’animale di raccogliere la testa all’interno del guscio, la regione del tronco è molto robusta insieme a quella sacrale, mentre la regione caudale non necessita della presenza di archi emali. Questi animali non presentano però una gabbia costale poiché i visceri sono all’interno della corazza, ma come si è arrivati a queste modificazioni? L’alligatore ha la tipica forma del tetrapode e i nero c’è lo scheletro assile che cinge l’animale e rimane racchiuso nel cinto pelvico; nella tartaruga però le coste migrano dorsalmente e si vanno a collocare al di fuori del cinto pelvico, andandolo ad avvolgere: questo causa la lentezza tipica dell’animale poiché il tronco diventa così una bacchetta rigida e non lo può sfruttare per il movimento, per il quale sono rimasti solo gli arti che sono molto corti. Serpenti: presentano una vasta regione del tronco, con la specializzazione della regione sacrale che si va a perdere. Le vertebre sono proceliche permettono una buona mobilità e comunque una buona robustezza, mentre accanto alle normali zigapofisi abbiamo anche ulteriori elementi di articolazione collocati sul centro vertebrale, con delle concavità che combaciano con altri elementi protundenti nella vertebre successive, sempre per rendere efficiente lo strisciamento delle vertebre durante il movimento. Aves (uccelli) Esso sono organismi in primo luogo bipedi e quasi tutti specializzati nel volo. Il loro scheletro assile è molto adattato alla loro condizione bipede e la rende estremamente efficiente (detta anatomia da bipede vero). Accanto al bipedismo, in cui tutto il peso dell’animale si scarica sugli arti posteriore, hanno poi specializzato gli arti anteriori per il volo. A questa altezza gli elementi dello scheletro assile hanno subito molti cambiamenti. Di fatto, per questo, il loro sterno è molto sviluppato e il volo causa delle sollecitazioni alla struttura scheletrica e impedisce l’uso di questi arti per altre funzioni. Perciò le funzioni di arto anteriore vengono adibite alla struttura cranica, più specialmente il becco: ne deriva che la regione cervicale dovrà essere estremamente mobile. La colonna vertebrale si divide sempre nelle regioni canoniche; quella cervicale presenta delle vertebre eteroceliche (molto fragile) e molto numerose; la regione del tronco presenta articolazione con delle coste e degli elementi più o meno fusi tra di loro poiché essa risente della sollecitazione del volo: perciò si è irrobustita ed è diventata un bastoncino rigido; la regione sacrale è formata da delle vertebre sacrali il cui numero può variare, sono tra di loro fuse e si possono fondere a loro volta con gli elementi lombari del tronco, ovvero la porzione terminale, che non porta le coste: questo elemento viene detto sinsacro. Quest’ultimo osso però non è articolato con il cinto pelvico, ma direttamente effettua proprio una fusione con questi elementi, in modo da scaricare in modo efficiente al massimo il peso del corpo (noi come bipedi abbiamo articolazioni che possono causare problemi soprattutto in vecchiaia). La regione caudale è inizialmente formata da varie pleurapofisi e delle vertebre caudali libere, mentre nel livello terminale abbiamo una fusione degli ultimi elementi a formare quello che si chiama Pigostilo, a supporto della coda. Questa struttura ha un significato importante poiché qua l’animale andrà a formare le penne cosiddette timoniere: esse devono essere in grado di essere spostate per opporre resistenza con l’aria e perciò la struttura a cui si appoggiano dev’essere molto robusta. Vediamo adesso le coste però. Dal punto di vista funzionale ciascuna di esse è divisa in due segmenti che possono essere articolati e possono spostarsi l’uno sull’altro. Essi sono detti, segmento vertebrale che arriva alla vertebra e un segmento sternale, che arriva allo sterno: essi sono fondamentali per la ventilazione. Infatti, durante il colpo d’ala, per impedire che la muscolatura schiacci la gabbia costale, i segmenti vertebrali, presenti nella prima parte della gabbia, utilizzano un processo (uncinato) che si muove caudalmente, i quali vanno ad appoggiarsi sulla costa che segue e così via anche con le altre. In questo modo i segmenti si auto-bloccano tra di loro e si irrigidiscono durante il colpo d’ala. Lo sterno invece è un elemento anatomicamente molto diverso a seconda che l’uccello sia un volatore o no: quelli volatori sono detti ratiti poiché il loro sterno è piatto; gli uccelli volatori hanno una muscolatura pettorale più sviluppata ed hanno uno sterno molto più espanso da permettere l’inserimento di questa muscolatura. Nei volatori lo sterno è detto carenato poiché è proprio a forma di una prua, e, anatomicamente, parte all’altezza della regione cervicale, fino ad estendersi addirittura verso la regione pelvica. Mammiferi Nei mammiferi ogni singola vertebra è diversa l’una dall’altra ed è quasi sempre riconoscibile l’una dall’altra. Le due vertebre più modificate sono le prime due vertebre cervicali, poiché nei mammiferi questa regione è molto importante, per garantire una mobilità e una robustezza molto alte. Esse sono l’atlante e l’epistrofeo: esse agiscono come un'unica entità e devono agganciarsi tra di loro; l’atlante regge il capo, a cui permette dei movimento poiché in mezzo all’atlante si muove il dente dell’epistrofeo, con esso che è tenuto in posizione da un legamento trasverso, per tenerlo bloccato ed evitare che vada a schiacciare il midollo spinale. L’atlante agisce come un disco che fa muovere solo su sé stesso un perno: questa anatomia è permessa dal fatto che le nostre vertebre hanno una condizione rachitoma e derivano dalla fusione di più elementi. L’atlante è anatomicamente la prima vertebra, ma in termini di sviluppo il dente deriva da una frazione dello sclerotomo della vertebra 1 che darà l’atlante, la frazione andrà a unirsi lo sclerotomo della vertebra 2, a formare l’epistrofeo. Alle vertebre toraciche si associano poi le coste, a formare una gabbia toracica rinforzata ventralmente dallo sterno. Al termine della regione del tronco troviamo la regione sacrali, in cui le vertebre sono fuse tra di loro, e ciò accade per tutti i mammiferi, a formare l’osso sacro: la fusione non è quindi un elemento straordinario, ma in organismi bipedi come noi quest’osso è molto più robusto rispetto ai tetrapodi. Nella regione caudale che è costituita da elementi molto standard, con le vertebre che diventano via via più piccole fino a formare una linea di semplici centri vertebrali nel punto più terminale. Ogni vertebra è diversa in base al movimento dell’animale e in base ai micromovimenti interni dello scheletro durante la mobilitazione; inoltre, molti mammiferi si sono riadattati all’acqua e in questo lo scheletro assile è fondamentale: nei cetacei lo scheletro assile genera il movimento, con la spinta che parte da una falsa pinna caudale (poiché è una piega cutanea) piegata di 90° rispetto alle pinne dei pesci poiché il movimento di quello che erano gli arti posteriori è dal basso verso l’alto (e non da destra verso sinistra). Le sue vertebre cervicali sono fuse, mentre le vertebre toraciche presentano le coste fino ad un certo punto poi si stoppano; dietro a queste vertebre iniziano quelle sacrali che non si distinguono da quelle addominali; verso la regione caudale incominciano a spuntare delle ossa a Chevron che proteggono i vasi sanguigni nella porzione sollecitata dal movimento di coda. Come mai non esiste un gatto grosso quanto un elefante? In animali come gli elefanti le coste e la gabbia toracica devono scorrere lungo tutta la regione del tronco per sorreggere un alto peso di visceri, mentre nel gatto che è più piccolo e meno pesante le vertebre dell’addome sono delle pleurapofisi che non presentano coste e permettono dei movimenti molto agili che rendono l’animale molto più flessibile, mentre le coste che chiudono i visceri è possibile relegarle solo nella porzione toracica del tronco. Esistono quindi degli equilibri negli scheletri assili in anatomia comparata che non possono essere rotti. Lo scheletro appendicolare Lo scheletro appendicolare è quella componente dello scheletro che comprende le cosiddette “appendici”, strutture con delle funzioni altamente variabili in base al tipo dell’animale che viene analizzato: le pinne pettorali dei pesci sono fondamentali per la loro mobilità ma non sono in grado di reggere il peso dell’animale come accade per i tetrapodi. Le appendici sono formate dai cinti, strutture utili per agganciare le stesse appendici al corpo: i cinti pettorali e il cinto pelvico si suddividono in base al fatto che agganciano gli arti o inferiori o superiori al corpo dell’animale. La differenza tra il cinto pelvico e quello pettorale è che quello pelvico, nei tetrapodi, è sempre articolato con la colonna vertebrale, prendendovi contatto; il cinto pettorale invece non prende mai contatto con la colonna vertebrale. Nei pesci invece il cinto pelvico non prende mai contatto con la colonna, così come quello pettorale, fanno però eccezione solo un gruppo di pesci. I cinti tendono a svilupparsi dalla piastre laterali dei somiti: si può capire analizzando dei fossili che le appendici si formano molto presto nello sviluppo, mentre per gli agnati non c’è traccia di scheletro appendicolare. Dal punto di vista evolutivo noi non sappiamo come si siano formati gli arti negli organismi pisciformi, ma una delle ipotesi più attendibili dice che essi derivano da delle strutture dette piche pinneali, delle pieghe cutanee presenti in organismi molto antichi. In generale, la somatopleura della piastra laterale è l’elemento fondamentale per iniziare il processo di formazione delle appendici. Condritti Il loro scheletro appendicolare è formato da una pinna e un cinto pettorale, più un cinto e delle pinne pelviche: le porzioni pettorali sono molto più sviluppate e robuste rispetto alle porzioni pelviche. Il cinto pettorale è costituito da un elemento profondo che rimane cartilagineo (che può essere calcificato) a formare una cintura che gira intorno all’animale, chiamato elemento scapolo coracoide. Questo è l’elemento attorno a cui si sostengono le appendici: nella sua cavità si inseriscono tre elementi molto importanti detti pterigiofori (“elemento che porta la pinna”). Nella pinna pettorale ci sono tre elementi pterigiofori che si inseriscono nello scapolo coracoide, detta quindi pinna trifasica; a ventaglio verso le parti esterne troviamo anche degli elementi pterigiofori radiali, su cui si inseriscono quei fasci di collagene chiamati ceratotrichi, con la funzione di reggere il velo della pinna. Le pinne pelviche sono invece molto più piccole e meno sviluppate: l’organizzazione è però speculare a quella delle pinne pettorali, per cui troveremo pterigiofori basali, su cui si inseriscono quelli radiali, su cui si inseriscono i ceratotrichi. Il cinto pelvico è invece una piccola barra “pubo- ischiatica” che attraversa l’animale solo a livello ventrale. Batoidei Nei condritti che hanno forma simile a quella delle razze o delle mante, la spinta del movimento non è data dalla pinna caudale, ma bensì dalle pinne pettorale, le quali sono enormemente sviluppate in modo da allungarsi rostralmente e caudalmente in tutte e due le direzione del corpo dell’animale. Di nuovo qua, il ruolo dominante è quello delle pinne pettorali che determinano uno spostamento di acqua sufficiente a muovere tutto il loro corpo in avanti: lo sforzo di queste pinne è molto più marcato e perciò il loro cinto pettorale presenta una specializzazione che fa in modo che esso contatti la colonna vertebrale, scaricando lo sforzo del nuoto direttamente sulla colonna. Si tratta dell’unico caso di questo tipo, in cui il cinto pettorale contatta la colonna. Il cinto tocca la colonna tramite una placca cartilaginea che unisce il cinto dorsalmente passando attraverso la colonna vertebrale. Osteitti Attinopterigi Negli attinopterigi molto primitivi si può notare come il punto di inserzione della pinna pettorale è molto più piccolo rendendola più mobile: cambia così anche la conformazione del cinto pettorale, contribuendo alla spinta e all’orientamento. Il cinto diviene così molto più esteso e passa da essere un elemento unico grande e profondo, fino ad essere una struttura più sottile che si allunga e si accinge intorno al corpo fino a toccare il cranio dell’animale. L’elemento portante molto sviluppato è il cleltro, un osso piatto ed esteso che si muove verso l’alto o verso il basso; esso contatta poi un elemento più ventrale, detta clavicola; dorsalmente al cleltro individuiamo poi gli elementi che toccano il cranio: un elemento sovracleitro e postcleitro, con il primo arriva fino all’osso post-temporale. La pinna pettorale è una pinna tribasica, con tre pterigiofori che si inseriscono nella cavità delimitata dalla scapola e dal coracoide; troviamo poi sempre dei pterigiofori basali, da cui partono quelli radiali, fino arrivare ai cosiddetti lepidotrichi (poiché è tessuto osseo adesso). Non c’è ad eccezione delle razze nessun elemento del cinto pettorale che prenda contatto con la colonna vertebrale, le pinne pettorali di questi animali scaricano il peso generato dal nuoto attraverso questa catena scheletrica sul cranio. Le pinne pettorali degli attinopterigi possono essere utilizzate per generare il nuoto perché hanno questa catena di ossa che gli permette di scaricare il peso sul cranio, sono quindi pinne estremamente robuste. Il cinto pelvico si può non menzionare poiché esso è strutturato in modo identico a come è costruito sui condritti, ma esso, insieme alla pinna sviluppa delle funzioni secondarie allo scheletro appendicolare. Sarcopterigi Il loro cinto pettorale non ha caratteristiche particolari, ma ci interessa la loro pinna pettorale poiché proprio dalla pinna di questo gruppo filetico che è derivato l’arto dei tetrapodi. Internamente distinguiamo un solo pterigioforo basale da cui si diffondono gli pterigiofori radiali nella Pinna Monobasica (unico elemento basale, è propria dei Dipnoi). Questo tipo di pinna si può suddividere a sua volta in due tipi: se riscontriamo uno pterigioforo basale che forma un’asse o una linea mediana, con gli pterigiofori che si dipartono lateralmente, allora stiamo guardando una Pinna monobasica Biseriata; nella pinna monobasica biseriata invece l’asse della pinna si muove lungo il margine posteriore della pinna stessa, da cui poi si diparte solo una serie di pterigiofori radiali. Essa è, invece, propria dei Celacanti e si è visto che probabilmente l’arto dei tetrapodi deriva da questa pinna uniseriata, poiché nello sviluppo l’allungamento dell’appendice uniseriata segue gli stessi punti di “forza” di come si allunga l’arto nei tetrapodi (è una plesiomorfia); quella dei dipnoi si è sviluppata per un differenziamento da quella dei celacanti. Dalla pinna uniseriata all’arto Come ha fatto il cinto pelvico a diventare la struttura dominante nei tetrapodi, se siamo partiti da una condizione in cui era il cinto pettorale ad essere dominate? Il motivo va trovato nel concetto della plasticità genetica nelle fasi di sviluppo degli animali ed è confermata da un esperimento molto particolare. I polipterus sono dei pesci che in determinate condizioni particolari possono crescere fuori dall’acqua: appena dei cuccioli sono nati sono stati fatti crescere, alcuni in umido e alcuni in acqua. il risultato è che gli animali cresciuti fuori dall’acqua hanno un cinto pelvico molto più largo ed ampio, in cui si nota una volontà di irrobustire le porzioni inferiori per permettere uno sorta di strisciamento in una condizione che non è completamente sott’acqua. Il modello dell’arto dei tetrapodi Tutti i tetrapodi (tranne le forme apodi) presentano quattro arti con una struttura omologa che si ripete nelle varie specie. Anche gli stessi arti inferiori e superiori sono omologhi seriali tra di loro. Gli arti si suddividono sempre in tre segmenti: stillopodio, zeugopodio e autopodio. Tipicamente lo stillopodio contiene 1 elemento scheletrico, lo zeugopodio ne contiene 2, mentre l’autopodio ne contiene diversi, suddivisi in fasce (podiali, mesopodiali e le falangi). Questi diversi elementi prendono diversi nomi: nell’arco inferiore e nell’arco superiore l’elemento dello stillopodio prende il nome di omero o femore; lo zeugopodio ha elementi detti radio/ulna o tibia/fibula; gli elementi podiali sono detti ossa carpali o tarsali, poi meso-carpali o meso-tarsali, fino ad arrivare alle falangi. Il modello dell’arto a cinque dita si è stabilizzato tra i diversi animali: l’asse dell’arto attraversa infatti quello che è il quarto dito, da cui si scarica il peso del corpo. Ciò è confermato dal fatto che nello sviluppo la costruzione della mano è guidata principalmente a partire dall’ulna. Gli anfibi Urodeli: si muovono camminando e ricordano i primi tetrapodi, es. salamandra; Anuri: si muovono a salti; Le cecilie non hanno uno scheletro appendicolare. Per descrivere questi animali dobbiamo tenere conto del fatto che il cinto pelvico è formato da tre elementi che vanno a prendere contatto con la colonna vertebrale: ileo (verso l’alto), pube (verso il basso) e l’ischio (verso la coda). La colonna vertebrale viene contatta solo dall’ileo. Questi animali hanno degli arti diretti parallelamente al corpo, con un movimento che prevedeva un incurvamento della colonna vertebrale, molto simile al movimento dei pesci. Questo tipo di movimento ha dei limiti concreti e sfrutta principalmente la muscolatura pettorale: non permette di sfruttare a pieno la lunghezza degli arti per spostarsi sul terreno. Gli anfibi, rostralmente, presentano 4 dita nell’arto superiore, mentre sono 5 le dita dell’arto inferiore, ma ancora non si sa. Tra urodeli e anuri le differenze si riscontrano dalla parte posteriore dell’animale poiché uno sviluppato un apparato per saltare mentre l’altro no. L’osso dello stillopodio è l’omero, mentre le ossa dello zeugopodio si fondono tra di loro a formare un unico osso radioulnare che dona più robustezza ma non permette la rotazione dell’arto; l’autopodio è molto standard. I cinti che collegano gli arti si compongono di due tipi di elementi: quelli profondi e quelli superficiali. Tra quelli profondi troviamo la scapola e il coracoide (che è più sviluppato, disegna insieme alla scapola la cavità dentro cui si inserisce l’omero); gli elementi superficiali (derma-scheletrici) sono rappresentati ventro- medialmente dalle clavicole e dorsalmente dalle ossa sovra-scapolari (da non confondere con le scapole stesse). Anuri Essi presentano una porzione rostrale molto simile a quella degli urodeli, ma le specializzazioni maggiori le riscontriamo caudalmente: gli arti inferiori sono decisamente più allungati per permettere loro una locomozione di tipo saltatoria. Queste specializzazioni partono da un cinto particolare: sempre tre elementi che si ripetono e che si articolano con la colonna vertebrale; l’ileo è estremamente allungato caudalmente ed esso si articola con l’ultima vertebra; ischio e pube sono decisamente poco sviluppati (infatti in molti casi il pube rimane cartilagineo). Questi tre ossi disegneranno poi la cavità acetabolare in cui si articolerà il femore dell’animale, come accade per tutti gli arti tetrapodi. L’ileo allungato fa sì che l’arto posteriore possa essere molto allungato rispetto all’arto anteriore, mentre negli urodeli i due arti sembrano quasi interscambiabili tra di loro. Il femore è il primo osso molto allungato dell’arto, seguirà poi uno zeugopodio fuso (osso tibiofibulare), l’arto si concluderà poi con l’autopodio che sarà la porzione più allungata di tutto l’arto, più precisamente nelle ossa tarsali prossimali. Si può riscontrare anche un buon allungamento delle ossa metatarsali e delle falangi. Tutte le porzioni dell’arto inferiore sono decisamente più allungate di tutte le porzioni dell’arto superiore. Nella struttura l’autopodio iniziale può essere confuso con uno zeugopodio, ma sappiamo che non è così poiché se lo fosse, sarebbe articolato in modo da effettuare un movimento con la porzione successiva, cosa che non succede. Dall’immagine si può notare che nella posizione di riposo dell’animale, il femore rimane posizionalemente in linea (e quindi parallelo) con l’ultima vertebra sacrale in modo da rendere l’utilizzo di queste zampe molto modificate più efficiente possibile: non è così presente un problema a livello dello scaricamento del peso perché il peso non scorre lungo l’ileo all’indietro ma grazie alla postura che assume rana l’articolazione del femore è in linea con la vertebra sacrale, quindi il peso corre verticalmente in quanto scarica il proprio peso attraverso l’ileo direttamente sul femore. L’urostilo interverrà poi a collegare centralmente l’ultima vertebra sacrale al cinto per stabilizzare la presenza di questi arti inferiori specializzati e di questo cinto molto modificato; ricordiamo che l’urostilo è quella regione dell’animale che normalemente genera la coda. Sauropsidi rettiliani Il loro scheletro appendicolare ricorda molto quello dei primi tetrapodi: gli arti sono robusti, gli stessi cinti sono molto robusti e la vista della struttura è molto simile a quella di base del modello. Scapola e coracoide sono i due elementi che delimitano il punto in cui si inserisce l’omero: può essere presente anche una clavicola, un osso piatto che direziona verso il centro dell’animale, fino a collegarsi allo sterno tramite le interclavicole; l’arto interiore presenta sempre i tre segmenti sono sempre gli stessi e hanno lo stesso numero di elementi ossei del modello generale. Il cinto pelvico presenta un ileo, ischio e pube ossificati, con l’ileo che prende contatto con tre vertebre sacrali: su di esso si innesta l’arto posteriore, formato dalla stessa componente scheletrica dell’arto superiore. Nonostante ciò, in molti organismi rettiliani nell’arco posteriore si osserva una fusione di molti elementi tarsali, caratteristica che modifica le linee di forza e introducono un articolazione in più: l’astragalo viene formato e si articola in modo da spostarsi in avanti, di fatto questi animali camminano sulla metà sinistra dell’autopodio, mentre l’altra metà rimane sollevata da terra. Questo movimento ha permesso agli animali di alzare dal corpo da terra e il movimento degli arti diventa sempre meno rotazionale lateralmente, ma sempre più rotazionale sagittalmente. Nei sauropsidi rettiliani l’arto anteriore continua ad essere portato lateralmente, mentre l'arto posteriore grazie all'astragalo tende ad essere portato sotto al corpo. Radio e ulna tendono ad avere la stessa grandezza, mentre nell’arto posteriore la tibia si ingrandisce e la fibula diminuisce. L'arto anteriore, invece, mantiene sempre più una orientazione primitiva rispetto a quello posteriore e ciò è dovuto al cinto pettorale, il quale è composto dalla scapola e dal coracoide, con il coracoide che irrobustisce sempre in modo più efficiente il margine ventrale del cinto: se vogliamo portare anche gli arti superiori sotto al corpo bisognerà aspettare che anche la porzione dorsale del cinto pettorale si irrobustisca. Tartaruga: essa presenta uno scheletro appendicolare in cui, rostralmente, il cinto cambia la sua forma e troviamo un elemento aggiuntivo, detto pre-coracoide, con gli arti che invece sono diretti molto lateralmente poiché molti elementi del cinto sono entrati a far parte del piastrone. Uccelli Esso è lo scheletro appendicolare più specializzato di tutti: gli arti posteriori sono specializzati nel bipedismo, mentre quelli superiori sono specializzati nel volo. L’arto posteriore è costituito sempre da tre elementi con delle modificazioni a livello osseo: lo stillopodio presenta 1 ossa che è il femore, mentre lo zeugopodio presenta due ossa: un tibiatarso e la fibula; il tibiatarso si è formato per mezzo di elementi tarsali che sono migrati a formare ed a integrare la tibia. In questo caso l’arto è stato portato sotto al corpo e le linee di forza dell’asse di crescita dell’arto sono cambiate: adesso la tibia domina rispetto alla fibula, con l’asse di crescita che passa per la tibia. Essi sono animali completamente bipedi, muovono le zampe avanti e indietro e perciò la linea di forza dell’arto passa per la tibia, mentre la fibula rimane un osso piuttosto sottile. Successivamente gli elementi podiali e mesopodiali si sono fusi tra di loro a formare un tarsometatarso, struttura che deve scaricare tutto il peso del corpo anche in fase di atterraggio e perciò deve irrobustirsi; infine troviamo le falangi che disegnano solitamente quattro dita, tre in avanti e una indietro, ma solitamente questa forma è molto variabile in base alla specie e alle specializzazioni. Un arto conformato in questo modo permette un bipedismo ed è proprio una struttura in grado di ammortizzare verso terra completamente il peso del corpo. Il cinto pelvico è formato dai tre elementi soliti, con il pube che però è rivolto all’indietro: questa caratteristiche permette l’abbassamento dei visceri in quella zona, abbassando così il baricentro dell’animale, garantendo così una stabilità ed evitando il ribaltamento (molto pericoloso perché il collo è molto fragile). Questo tipo di bacino è stato già evoluto da un gruppo di dinosauri chiamati ornitischi poiché il bacino era conformato allo stesso modo, sempre per una ragione di stabilità meccanico-biologica. Accanto il pube troviamo un ileo che si fonde direttamente con lo stesso sin sacro a formare un unico grande osso di stabilizzazione meccanica. Gli arti superiori sono estremamente specializzati, essi presentano una componente ventrale del cinto molto robusta per permettere il movimento di volo: il cinto è formato da una scapola a forma di falce e da delle clavicole che puntano verso lo sterno a cui possono essere talvolta collegate tramite dei legamenti. Negli individui volatori la concentrazione muscolari viene condensata nei pettorali, per permettere il volo, ma le stesse ossa devono comunque essere molto leggere ed è una condizione necessaria; infine, il coracoide è molto robusto verso il basso. L’arto vero e proprio invece è diretto lateralmente e perciò l’ulna è dominante rispetto al radio, poiché l’asse di crescita punta verso l’esterno. Le due ossa fra di loro non sono articolate e sono fuse tra di loro in modo da facilitare un ripiegamento dell’ala che sia rigido. A livello più distale troviamo un carpometacarpo in cui diversi elementi podiali e metapodiali sono fusi tra di loro, mentre le dita rimaste sono tre: chi fa volare l’animale è però il tegumento (le penne). L’alula è una porzione che l’animale può alzare o abbassare muovendo il dito libero, mentre il resto della struttura rimane rigida come una stecca. La struttura dell’ala Essa rimane comunque una porzione molto variabile da specie a specie: lo zeugopodio cambia estremamente in base al tipo di volo. Il Colibrì, volo ronzante, battito frenetico delle ali, mano molto lunga e avambraccio molto corto. Riesce a decollare velocemente. L’Albatro sfrutta le correnti d'aria per fare molti km senza battere le ali, zeugopodio molto lungo rispetto all'autopodio; prima di riuscire a decollare ha bisogno di spazio perché è fatto soprattutto per un volo planato (ha le ali molto grandi e quindi fa fatica a batterle). Ciò ci dice che la struttura è molto dinamica, ma l’elemento che non cambia mai è lo stillopodio che rimane sempre formato da un solo elemento osseo che non si modifica mai poiché deve rimanere abbastanza robusto. I vertebrati hanno incominciato a volare tramite tre tipi di ala differenti. Pterosauri Essi presentano un unico grande dito estremamente allungato, con lo stillopodio e lo zeugopodio che era lungo dei centimetri, contro l’autopodio che raggiungeva anche l’ordine dei metri. Il volo è sostenuto da un patagio membranoso e da un unico quarto dito, mentre le altre dita erano libere ed erano utilizzate come un uncino. Uccelli Sono le penne che fanno volare l’uccello, con le penne che si inseriscono molto in profondità fino ad addossarvisi: l’aria che viene spostata consente un volo efficiente. Pipistrelli Similmente agli pterosauri, la parte più lunga è quella dell’autopodio, in cui si riscontra una componente scheletrica estesa e si può proprio notare che la superficie alare è sostenuta dall’intera mano. In questo caso il Radio domina sull’ulna poiché questi animali derivano da dei progenitori che hanno portato gli arti verso il basso ventralmente e perciò l’osso dominante dello zeugopodio è lo stesso del nostro. I pipistrelli sono volatori, ma non riescono a decollare poiché sono dei tetrapodi ed ha bisogno di lasciarsi cadere. I mammiferi Per capire la loro struttura dobbiamo comprendere come si è passati da degli arti superiori che puntano verso l’esterno a degli arti che puntano verso il basso: il cinto pettorale necessità di un secondo coracoide che irrobustisce la struttura e la rende spessa anche verso il dorso dell’animale. Il secondo coracoide è proprio un coracoide dorsale che aumenta i margini di manovra per permettere di portare l’arto anteriore sotto al corpo: un arto di questo tipo allontana il corpo da terra e permette di sfruttare in tutto per tutto la lunghezza dell’arto per un galoppo e per una corsa più efficiente. Questo cinto pettorale nei progenitori è formato subito da due coracoidi, mentre, arrivando ai mammiferi odierni, gli elementi scheletrici del cinto pettorale si sono ridotti in un unico elemento rappresentato da un'unica grande scapola che decorre soprattutto verso il dorso, a cui si può aggiungere una clavicola che decorre lateralmente ed è in molti casi vestigiale e non necessaria. Nel nostro caso la clavicola stabilizza la spalla, ma se nei tetrapodi fosse presente o grossa come la nostra, i cani, per esempio, quando corrono non potrebbero “lanciare” gli arti, aumentando la velocità e la falcata delle zampe al massimo. Il resto dell’arto anteriore presenta delle articolazioni ordinarie: l’omero è 1 osso e il radio/ulna sono 2 elementi diversi. Quello che cambi solitamente lo riscontriamo nell’autopodio: si nota che il cane poggia a terra solo le falangi (posizione digitigrada), in modo aumentare l’efficienza della falcata del galoppo (si allunga la zampa verticalmente e perciò si allunga il passo). L’arto inferiore è assolutamente identico, ma alcune articolazioni sono orientate in modo diverso; il loro cinto pelvico è rimasto di tre elementi: ileo, ischio e pube, con i pubi che nei maschi possono essere fusi tra di loro. L’arto inferiore è strutturalmente identico all’arto superiore nelle tre porzioni. La struttura di base dell’arto mammifero è plantigrada se il corpo dell’animale è molto pesante, se invece l’animale è leggero la struttura è in grado di diventare digitigrada, con la conseguenza che la fibula tende ad assottigliarsi. Un caso estremo molto diffuso è invece quello degli animali in cui l’autopodio si è allungato di molto e addirittura la locomozione avviene sulle unghie (lo zoccolo), con queste che si irrobustiscono di molto (struttura unguligrada). In tutte e tre le strutture il femore rimane lo stesso, ma più tendiamo ad un allungamento dell’autopodio, più l’animale tende a correre veloce. Per quanto riguarda i mammiferi che sono rientrati in acqua, gli arti anteriori si sono modificati in modo estremo, si riscontra un'unica grande scapola e la pinna presenta uno stillopodio e uno zeugopodio che si sono fusi tra di loro in modo da diventare un remo: tanti elementi scheletrici sviluppati che poi si uniscono tra di loro (polidattilia), irrigidendo la struttura. Nei mammiferi in ogni caso il cinto pettorale non è mai in contatto diretto con la colonna vertebrale. Tra la scapola e la colonna vertebrale c'è uno spazio, la connessione tra gli elementi del cinto pettorale alla colonna vertebrale avviene tramite la muscolatura. La scapola scivola lungo la colonna vertebrale, a prescindere dalla dimensione dell'animale Il tegumento Il tegumento è una componente molto più semplice rispetto agli argomenti trattati prima poiché esso è formato da un numero di elementi molto più basso rispetto ai sistemi scheletrici. Il nome può confondere perché esso non ha solo funzioni di rivestimento, ma trova delle funzioni anche a livello di drenaggio acqua e sale o funzioni immunitarie, oltre a quelle derivate dalla presenza di ghiandole specifiche, vediamone però gli elementi comuni. Il tegumento dei vertebrati ha le caratteristiche studiate per gli epiteli e si compone di uno strato epidermico, con funzioni più meccaniche, e di uno strato connettivale (detto derma), con funzioni di nutrimento e di sostegno; troviamo poi infine anche i cosiddetti “annessi del tegumento”, un insieme di elementi che vanno a costituire delle componenti endodermiche o mesodermiche. Le stesse ghiandole possono essere unicellulari, localizzate negli strati più esterni o allo stesso tempo ghiandole pluricellulari che si localizzano in più strati contemporaneamente. Gli annessi del tegumento Essi vengono tipicamente classificati in funzione della loro origine embrionale: le squame, le penne o i peli sono tipicamente di origine ectodermica, mentre di origine mesodermica possono essere le cosiddette ossa superficiali. La tartaruga, per esempio, è completamente ricoperta di squame o da ossa dermiche, mentre nel cranio localizziamo nell’apparato boccale il becco corneo che è anch’esso un annesso del tegumento. Ancora possiamo nominare le scaglie o i denti dei pesci (che di dicono derivino da scagli modificate). La colorazione della cute I cromatofori sono cellule specializzate della cute contenenti il pigmento: esse originano dalle cellule della cresta neurale e possono essere classificate in funzione del pigmento contenuto (melanofori, iridofori, eritrofori, xantofori). Nella larga maggioranza dei vertebrati il pigmento rimane all’interno della cellula: ne deriva che l’animale può cambiare continuamente il colore della cute, come avviene per alcuni condritti che cambiano istantaneamente il proprio colore in base al fondale (mimetismo). Questi cambiamenti sono dovuti ad una modificazione della distribuzione dei vari pigmenti nei vari cromatofori: le cellule nell’immagine presentano dei pigmenti specifici, quando poi arriva un segnale nervoso la cellula può ridistribuire il proprio pigmento, con l’arrivo di un colore scuro che va a modificare ed a inscurire in generale la cute. Queste situazioni avvengono soprattutto per i pesci, mentre gli animali terrestri riscontrano di meno queste caratteristiche poiché solitamente i pigmenti li troviamo all’interno delle strutture annesse, con il pigmento che è riversato all’esterno