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ISTITUTO DI EMATOLOGIA E ONCOLOGIA MEDICA “L. e A. SERÀGNOLI”

Alessandro Broccoli

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coagulopatie ematologia medicina biochimica

Summary

These lecture notes provide an overview of coagulation disorders and related topics, including the coagulation cascade, cellular models, and control mechanisms. It details the various phases of coagulation and the role of different components in the process. The document explains the different phases like initiation, amplification, and propagation.

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ISTITUTO DI EMATOLOGIA E ONCOLOGIA MEDICA “L. E A. SERÀGNOLI” SCUOLA DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia Lezioni di EMATOLOGIA COAGULOPATIE Alessandro Broccoli LA COAGULAZIONE DEL SANGUE La c...

ISTITUTO DI EMATOLOGIA E ONCOLOGIA MEDICA “L. E A. SERÀGNOLI” SCUOLA DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia Lezioni di EMATOLOGIA COAGULOPATIE Alessandro Broccoli LA COAGULAZIONE DEL SANGUE La coagulazione del sangue è un insieme di reazioni biochimiche in sequenza che coinvolgono molecole proteiche (fattori della coagulazione) attivate a cascata mediante reazioni proteolitiche. L’attivazione dei fattori plasmatici si conclude con la trasformazione della protrombina (fattore II) in trombina, prodotto finale della cascata coagulativa. La trombina scinde il fibrinogeno (fattore I) in monomeri di fibrina solubili che, polimerizzando, danno luogo alla formazione di una maglia di fibrina insolubile (stabilizzata dall’azione del fattore XIII attivato) che imprigiona gli elementi corpuscolati del sangue. Le piastrine sono indispensabili per la fase coagulativa dell’emostasi, in quanto forniscono i fosfolipidi di membrana (fattore piastrinico 3) che contribuiscono all’attivazione dei fattori plasmatici della coagulazione. Anche i fosfolipidi espressi dalle membrane cellulari attivate di endoteli e cellule sottoendoteliali sono fondamentali per l’innesco della cascata coagulativa. MODELLO CLASSICO MODELLO CELLULARE (1) Il modello cellulare dell’emostasi mette in luce le interazioni che si instaurano tra le cellule e i fattori plasmatici coinvolti nel processo coagulativo, e si articola in tre fasi: iniziale, amplificazione e propagazione. 1) Fase iniziale: l’inizio della coagulazione si verifica su una cellula che esprime il fattore tessutale (tissue factor, TF). – Il TF è espresso fisiologicamente su cellule quiescenti, quali fibroblasti, macrofagi e cellule muscolari lisce, che risiedono al di fuori del torrente circolatorio, ma che possono entrare in contatto con il sangue in caso di traumi che ledano l’integrità dell’endotelio vascolare o processi infiammatori che stimolino la migrazione dei mononucleati all’interno dei vasi. – Il TF si lega al fattore VII attivato (l’1-2% di esso è attivato in circolo), che ulteriormente si attiva, attivando a sua volta il fattore IX e il fattore X. – L’attivazione del fattore X comporta il suo legame con la superficie piastrinica e la formazione di una piccola quantità di trombina. La trombina è in grado di attivare i fattori plasmatici V, VIII e XI, nonché di attivare le piastrine, che forniscono la superficie su cui avviene la seconda fase. 2) Fase di amplificazione: preparatoria alla formazione massiva di trombina. – Le piastrine attivate rilasciano ulteriore fattore V, che si aggiunge al fattore V plasmatico attivato dalla trombina. Il fattore V attivato si deposita sulla superficie piastrinica. – Il fattore VIII è rilasciato dal fattore di von Willebrand (con cui circola complessato nel plasma), e viene attivato in presenza di trombina. Anche il fattore VIII attivato si deposita sulla superficie piastrinica. – Il fattore XI attivato dalla trombina, infine, si lega anch’esso a siti ad alta affinità presenti sulle piastrine: le piastrine sono ora rivestite dai fattori Va, VIIIa e XIa. MODELLO CELLULARE (2) 3) Fase della propagazione: comporta la messa in atto dei meccanismi che conducono alla produzione di grandi quantità di trombina. – Il fattore IX (attivato dal complesso TF-fattore VIIa) si lega al fattore VIIIa; in presenza di ioni calcio e fosfolipidi piastrinici, si crea un complesso enzimatico (complesso tenasico) che costituisce l’attivatore principale del fattore X (con un’efficienza 50 volte superiore rispetto al complesso TF-fattore VIIa). – Le grandi quantità di fattore X attivato si legano al fattore Va; in presenza di ioni calcio e fosfolipidi piastrinici, si crea un complesso enzimatico (complesso protrombinasico) che trasforma la protrombina in trombina. Il 96% della trombina attiva è generato nella fase di propagazione. – In entrambi i complessi, l’associazione di una proteasi serinica vitamina K-dipendente (fattori IX e X), di un cofattore (fattore Va e VIIIa), di fosfolipidi di membrana e ioni calcio rappresenta un meccanismo attraverso cui si realizza un aumento dell’azione enzimatica delle singole proteasi. La trombina distacca i fibrinopeptidi A e B (FpA, FpB) dal fibrinogeno, dando luogo ai frammenti solubili o monomeri di fibrina. Al tempo stesso, la trombina attiva il fattore XIII, che trasforma la fibrina solubile in fibrina insolubile, formando il reticolo emostatico. MODELLO CELLULARE (3) CONTROLLO DELLA COAGULAZIONE È essenziale che il processo coagulativo sia controllato per far sì che non si estenda oltre la sede di lesione: esistono pertanto meccanismi anticoagulanti naturali. – Antitrombina III (ATIII): attraverso il legame con molecole eparino-simili presenti sulla membrana endoteliale, l’ ATIII inibisce l’azione di tutti i fattori della coagulazione (eccetto il VIIa), ed in particolare inattiva i fattori IXa, Xa e la trombina. Con la trombina, forma un complesso stechiometrico 1:1, rapidamente allontanato dal plasma. In presenza di eparina, la velocità di tale legame è assai aumentata. – Trombomodulina: è una glicoproteina recettoriale endoteliale che lega la trombina, inattivandola, ed attiva la proteina C. – La proteina C attivata, in presenza della proteina S ed in prossimità di una membrana plasmatica (endoteliale o piastrinica), inibisce i fattori Va e VIIIa. L’attivazione della proteina C è prevenuta dall’ATIII e dal fattore Xa; la trombina ha invece azione proteolitica verso la proteina S. FIBRINOLISI (1) È il meccanismo che, in equilibrio con il sistema coagulativo, ha la funzione di degradare i complessi solubili di fibrina, limitare la formazione del tappo emostatico nelle sedi di danno vascolare e rimuovere la fibrina al termine dei processi riparativi. Il meccanismo prevede la conversione del plasminogeno in plasmina, enzima dotato di attività proteolitica, in grado di portare alla formazione dei prodotti di degradazione del fibrinogeno e della fibrina (FDP, D-dimeri). L’attivazione del plasminogeno avviene per mezzo di una molecola definita attivatore tissutale (t-PA), sintetizzato dalle cellule endoteliali, che lo riversano continuamente in circolo. Il t-PA ha un’elevata affinità per la fibrina, e solo a livello di questa esplica la sua funzione attivatrice. Le concentrazioni di t-PA aumentano in presenza di stasi venosa, esercizio fisico, ipossia tissutale e vasocostrizione. – Attivatori esogeni del plasminogeno sono rappresentati dall’urochinasi e dalla streptochinasi. Gli inibitori dell’attivatore del plasminogeno (PAI) possono avere un’origine cellulare (endoteliale, epatocitaria, piastrinica, macrofagica e placentare) o ritrovarsi nella circolazione (antiproteasi plasmatiche, tra cui la più importante è l’a2-antiplasmina, che inattiva la plasmina libera formando un complesso stechiometrico 1:1). FIBRINOLISI (2) La concomitante azione degli attivatori del plasminogeno e dei suoi inibitori porta ad un’azione fibrinolitica estremamente efficace poiché localizzata sulla fibrina del trombo. – Se la fibrina non viene prodotta, la plasmina circolante è subito inattivata (dalla a2- antiplasmina). – In presenza di fibrina, il plasminogeno si lega al trombo, viene attivato ad opera degli attivatori, e la plasmina degrada la fibrina. Esaurito il processo di degradazione, la plasmina è inibita dalla a2-antiplasmina. I prodotti di degradazione della fibrina sono normalmente rimossi dal circolo ad opera delle cellule del sistema monocito- macrofagico. Un loro eccesso comporta severe turbe dell’emostasi e della coagulazione, poiché essi interferiscono con l’azione della trombina, con la polimerizzazione della fibrina e con l’aggregazione piastrinica. MANIFESTAZIONI EMORRAGICHE Emostasi primaria Emostasi secondaria Manifestazioni (difetto vasculo-piastrinico) (difetto coagulativo) Insorgenza di sanguina- Ritardata, a distanza di ore o Immediata mento dopo un trauma giorni dal trauma Superficiali (cute, mucosa Profonde (capsule articolari, Sedi di sanguinamento nasale, epiteli di vie digestive sedi intrafasciali o intramu- ed urinarie) scolari, retroperitoneo) Segni obiettivi Petecchie, ecchimosi Ematomi, emartri Possibile trasmissione auto- somica dominante nei difetti Trasmissione autosomica Trasmissione ereditaria congeniti; non c’è ereditarietà recessiva o diaginica nei difetti acquisiti Dipendente dalla sede e dal Necessaria una terapia Risposta alla terapia livello del difetto. Utili le sistemica e sostitutiva misure locali (antiemorragici) LABORATORIO E COAGULAZIONE aPTT PT DISORDINI EMOSTATICI: LABORATORIO Difetto emostatico Piastrine TS PT aPTT Trombocitopenie   Normale Normale Bernard-Soulier   Normale Normale TTP   Normale Normale Uso di aspirina e FANS Normali  Normale Normale Emofilie Normali Normale Normale  Malattia di von Willebrand Normali  Normale  Insufficienza epatica Normali Normale   CID  Variabile   APPROCCIO AL PAZIENTE EMORRAGICO EMOFILIE EMOFILIA A È una malattia emorragica ereditaria, a trasmissione diaginica, che interessa prevalentemente i maschi, figli di donne portatrici. L’emofilia nelle donne è estremamente rara (unione tra padre emofilico e madre portatrice, sindrome di Turner, lyonizzazione estrema). – È dovuta a mutazioni puntiformi (che comportano la formazione di un codone di stop) o delezioni che interessano il gene codificante per il fattore VIII, con conseguenti anomalie funzionali o quantitative, che determinano un’ampia eterogeneità di quadri clinici. L’incidenza è di 20 casi ogni 100.000 maschi neonati. La frequenza e la severità della clinica emorragica è prevedibile in base all’attività coagulante del fattore VIII (FVIII:C), valutata in rapporto ad un riferimento standard (attività 100% = attività di 1 U/mL di fattore VIII). I valori normali di FVIII:C variano tra il 50% e il 200%. In base all’attività riscontrata, si parla di: – emofilia A grave, in presenza di FVIII:C  1% del normale; – emofilia A moderata, in presenza di FVIII:C tra 1% e 4% del normale; – emofilia A lieve, in presenza di FVIII:C tra 5% e 25% del normale. L’emofilia grave si manifesta con emorragie spontanee che necessitano di terapia sostitutiva costante; le forme moderata e lieve solo raramente hanno una clinica emorragica e sono spesso diagnosticate incidentalmente durante l’età adulta. CLINICA (1) In presenza di piccoli tagli o abrasioni manca un eccessivo sanguinamento (la funzionalità piastrinica è normale), ma è aumentata la tendenza allo sviluppo spontaneo di ecchimosi, ematomi, emartri ed emorragie intramuscolari e intrafasciali. Ematomi. Emorragie all’interno del tessuto connettivo sottocutaneo o della muscolatura (gambe, cosce, glutei e avambracci), in sede superficiale o profonda (retroperitoneo, diaframma, cavità pleurica), spontanee o secondarie a traumi. Possono determinare contratture muscolari, paralisi dei nervi e atrofia muscolare, oppure sintomatologia compressiva sulle strutture vascolari adiacenti. Emorragia della lingua e del frenulo: tipica del bambino, secondaria a traumatismo correlato a dentizione. CLINICA (2) Emartri. Sono raccolte emorragiche all’interno delle cavità articolari e rappresentano circa il 75% delle manifestazioni emorragiche dell’emofilico. Le articolazioni maggiormente interessate sono: ginocchia, gomiti, caviglie, cingolo scapolo-omerale, polsi e articolazioni coxo-femorali. Inizialmente compare il dolore, poi l’articolazione si gonfia, con impotenza funzionale, calore e febbricola. La ripetizione degli emartri determina estesa distruzione della cartilagine articolare ed iperplasia sinoviale, che esita in deformità articolari con atrofia muscolare e contrattura dei tessuti molli. Cisti ossee e pseudotumori. Sono conseguenza di emorragie ripetute che si sviluppano in sede intrafasciale, nella compagine dei tendini o in sede periostea, determinando compressioni vascolo-nervose, distacco del periostio dalla corticale ossea, erosione di strutture muscolari, nervose ed ossee adiacenti. CLINICA (3) Complicanze neurologiche. Le emorragie intracraniche hanno un’incidenza del 3% circa, spontanee o post-traumatiche, mortali in 1/3 dei casi. Talora si può avere un’emorragia epiduale, con compressione del midollo spinale. Emorragie mucose ed emorragie interne. Epistassi ed emottisi sono frequenti nel paziente emofilico, spesso secondarie ad infezioni o a traumi. L’emorragia gastrica è spesso correlata a patologia peptica, determinata o aggravata dall’assunzione di antinfiammatori non steroidei. Ematuria. Si presenta solitamente negli emofilici gravi, spesso come conseguenza di un sanguinamento che origina dalla pelvi di un solo rene. Sanguinamento dentario. A seguito di estrazione, può essere assai grave. Richiesto trattamento sostitutivo con fattore VIII alcuni giorni prima e dopo la manovra. LABORATORIO Il tempo di protrombina e la conta piastrinica risultano normali; il tempo di tromboplastina parziale (aPTT) è allungato in maniera variabile a seconda della gravità della malattia. L’attività FVIII:C viene valutata cimentando il plasma del paziente con plasma normale depauperato di fattore VIII. Essa può risultare assente oppure più o meno ridotta. Il dosaggio antigenico del fattore VIII (FVIII:Ag) mediante metodo immunologico può risultare normale (alterazioni qualitative del fattore VIII) o ridotto (alterazioni quantitative della biosintesi). La trasfusione reiterata di concentrati di fattore VIII a scopo terapeutico induce in un 15% circa dei casi la comparsa di anticorpi anti-fattore VIII (alloanticorpi della classe IgG), capaci di inibirne l’attività (rimozione dal circolo dell’immunocomplesso), spesso riducendo l’efficienza del fattore infuso. I livelli di inibitore sono tuttavia variabili in ragione dell’immunocompetenza del paziente; il titolo più elevato si raggiunge tra l’8° e il 21° giorno dalla trasfusione. TERAPIA (1) Terapia sostitutiva con fattore VIII. Deve essere presa in considerazione nei pazienti con emofilia A grave, in quantità e frequenza adeguata e per un tempo sufficiente a seconda della gravità e della sede dell’emorragia. TERAPIA (2) Tra i preparati impiegabili vi sono il plasma fresco congelato (1 U/mL di fattore VIII), i crioprecipitati (circa 100 U/sacca) e le formulazioni ricombinanti. – Ogni unità di fattore VIII infuso per kg di peso determina un aumento del 2% del livello plasmatico di FVIII:C. Il livello plasmatico minimo emostatico di fattore VIII (FVIII:C) da raggiungere in attacco è del 30% in caso di emorragie di lieve entità (0,3 U/mL di plasma), mentre è del 50% (o superiore) per le emorragie muscolari estese, gli emartri e le manifestazioni di più grave entità (almeno 0,5 U/mL di plasma). La terapia di mantenimento, quando necessaria, deve essere proseguita per uno o più giorni fino alla risoluzione dell’emorragia, con somministrazione del 75% della dose iniziale ogni 24 ore (o con frequenze maggiori in relazione alla sede e alla gravità dell’emorragia). Concentrati di complesso protrombinico/complesso protrombinico attivato (FEIBA): è impiegato nei pazienti che sviluppano anticorpi inibitori del fattore VIII; alla dose di 50-60 UI/kg è in grado di controllare e risolvere la maggior parte delle emorragie di grave entità TERAPIA (3) Emicizumab: anticorpo bispeci- fico, somministrato per via sotto- cutanea, in grado di legare il fattore IXa e il fattore X, attivando quest’ultimo e bypassando il fattore VIII deficitario. Non ha omologia di struttura con il fattore VIII, dunque non crea inibitori. EMOFILIA B È una malattia emorragica ereditaria, a trasmissione diaginica, che si caratterizza per una ridotta attività coagulante del fattore IX, risultato della carenza o dell’anomalia funzionale di tale molecola. – È dovuta a mutazioni puntiformi, mutazioni frame-shift, delezioni e altre anomalie che causano modificazioni strutturali e funzionali della struttura proteica del fattore IX. L’attività del fattore IX (FIX:C) è del 50% nelle femmine portatrici, mentre nei pazienti affetti si parla di: – emofilia B grave, in presenza di FIX:C  1% del normale; – emofilia B moderata, in presenza di FIX:C tra 1% e 5% del normale; – emofilia B lieve, in presenza di FIX:C tra 5% e 40% del normale. Le caratteristiche cliniche sono sovrapponibili a quelle descritte per l’emofilia A, con gravità clinica delle manifestazioni emorragiche dipendente dall’attività del fattore IX. La diagnosi differenziale con l’emofilia A deve essere operata eseguendo il dosaggio dell’attività plasmatica dei due fattori VIII e IX. La terapia si avvale di fattore IX derivato da plasma o ricombinante, al fine di mantenere un’attività plasmatica del 10-20% per le emorragie più lievi e del 40-60% per le emorragie più gravi, operando poi un mantenimento per 7-10 giorni ogni 12-24 ore, riducendo la dose iniziale del 20% circa. La formazione di anticorpi anti-fattore IX trasfuso è evenienza piuttosto rara. MALATTIA DI VON WILLEBRAND MALATTIA DI VON WILLEBRAND È il disturbo emorragico ereditario più frequente, con prevalenza di 1:5.000. Ha una trasmissione autosomica dominante (a penetranza incompleta) nella maggior parte dei casi; i tipi 2N e 3 hanno una trasmissione autosomica recessiva. È determinata da alterazioni di tipo qualitativo o quantitativo del fattore di von Willebrand (vWF), glicoproteina prodotta sotto forma di dimero e successivamente assemblata in multimeri ad alto peso molecolare, con la funzione di: – favorire l’adesione piastrinica ai vasi danneggiati tramite interazione con il collageno sottoendoteliale; – trasportare il FVIII. La riduzione quantitativa di vWF determina la rapida rimozione del FVIII dal circolo, determinandone una sua possibile secondaria carenza. FATTORE DI VON WILLEBRAND (1) ADAMTS13 FATTORE DI VON WILLEBRAND (2) FISIOPATOLOGIA vWF FVIII Plt 0  N  N,  N  N,  N     N N   N CLINICA Il fenotipo emorragico è lieve nel tipo 1, con gravità crescente nei tipi 2 e 3. L’entità del sanguinamento è correlata ai livelli residui di vWF e all’eventuale carenza secondaria di FVIII. I sanguinamenti muco-cutanei (epistassi, menorragia, ecchimosi) sono le manifestazioni più frequenti, seguite dal sanguinamento secondario ad estrazione dentaria. – I sanguinamenti post-operatori possono essere particolarmente severi. – L’emorragia post-partum non è generalmente un problema nelle pazienti affette da tipo 1, mentre richiede una terapia sostitutiva post- partum nel tipo 2 e nel tipo 3. – Emorragie gravi, tra cui le emorragie cerebrali e l’emartro, possono insorgere in pazienti con deficit severo di vWF (tipo 3). TERAPIA È sostitutiva, finalizzata a controllare l’emostasi e a prevenire il sanguinamento in caso di procedure chirurgiche. L’obiettivo è incrementare il FVIII e il vWF deficitari, rimpiazzando le molecole di vWF non funzionanti. Desmopressina (DDAVP): somministrata per via endovenosa, sottocutanea o intranasale, favorisce l’esocitosi di FVIII e vWF dai corpi di Weibel-Palade di piastrine ed endotelio, determinandone un transitorio incremento delle concentrazioni endogene. – La risposta si ha entro 30-60’ con permanenza di valori adeguati di FVIII e vWF per almeno 6-8 ore. – Controindicata nel tipo 2B in quanto accelera la rimozione piastrinica dal circolo. – Inefficace nel tipo 3 (assente produzione di vWF endogeno). vWF di derivazione plasmatica o ricombinante, da eventualmente associare a crioprecipitato di FVIII o FVIII ricombinante. COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE DISSEMINATA COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE DISSEMINATA (CID) È una condizione patologica grave caratterizzata dall’attivazione massiccia, diffusa e non regolata della cascata coagulativa (fino alla formazione di trombina), cui fa seguito l’innesco della fibrinolisi. Per tale motivo, si tratta di un processo che può manifestarsi sia con fenomeni di tipo trombotico, sia emorragico. Le manifestazioni cliniche (in senso trombotico o emorragico) e la loro gravità dipendono fortemente: – dall’equilibrio tra produzione e consumo dei fattori della coagulazione; – dalla concomitante piastrinopenia (da attivazione e consumo); – dal deficit coagulativo e di aggregazione piastrinica secondario all’interferenza esercitata dai prodotti di degradazione del fibrinogeno (paracoagulazione). La diagnosi è clinica, richiedendo l’adeguata contestualizzazione dei parametri di laboratorio nell’ambito del contesto clinico osservato. FISIOPATOLOGIA Esposizione del sotto- endotelio (aneurismi) Liberazione di fattore tes- sutale (neoplasie, patolo-gia ostetrica) Liberazione di lipopolisac- caridi (sepsi batterica) Danno endoteliale in corso di shock  Attivazione della cascata coagulativa in circolo Attivazione piastrinica Attivazione della fibrinolisi  Consumo di fattori della coagulazione  Emorragia CLINICA E LABORATORIO Quando l’esordio è acuto, si verificano porpora, ecchimosi diffuse, epistassi, sanguinamenti maggiori (emorragia intracranica, ematemesi, melena, macroematuria). Concomita necrosi tessutale dovuta ad occlusione microvascolare. La prognosi è severa e spesso la CID rappresenta il determinante prognostico principale della patologia che la sottende. Le forme subacute e croniche hanno una sintomatologia più lieve. Assetto coagulativo: aumento del PT e dell’aPTT, ipofibrinogenemia. Riscontro di prodotti di degradazione del fibrinogeno: aumento del D- dimero. Piastrinopenia (variabile) e segni di anemia microangiopatica (schistociti). TERAPIA È correlata alla patologia sottostante, dunque la terapia della CID è prima di tutto eziologica: – gestione chirurgica delle complicanze ostetriche; – trattamento antibiotico in presenza di infezione; – gestione intensivistica dei quadri di shock; – terapia antineoplastica (laddove percorribile) e antileucemica. Terapia di supporto: infusione di plasma fresco congelato (ripristino dei fattori della coagulazione consumati) o di concentrati di fibrinogeno. Non evidenze nell’uso di anticoagulanti (eparina) nella gestione dei fenomeni trombotici del microcircolo.

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