Teorie e Tecniche dei Test PDF

Document Details

PerfectEcstasy1834

Uploaded by PerfectEcstasy1834

Tags

psychological testing assessment psychometrics educational psychology

Summary

This document describes theories and techniques of psychological testing. It explains what a test is and the purpose of using tests in assessment. It also discusses the importance of assessment as an overall process and details the role of testing as part of the assessment. It explores various types of tests and classifications.

Full Transcript

Teorie e Tecniche dei Test Definizione di test Un test è uno strumento che permette di misurare aspetti specifici del comportamento che sono indicatori di abilità cognitive, variabili di personalità, motivazioni e atteggiamenti, al fine di comprendere il funzionamento del soggetto [Cronbach, 1990]....

Teorie e Tecniche dei Test Definizione di test Un test è uno strumento che permette di misurare aspetti specifici del comportamento che sono indicatori di abilità cognitive, variabili di personalità, motivazioni e atteggiamenti, al fine di comprendere il funzionamento del soggetto [Cronbach, 1990]. Altre definizioni di test… Boncori: “un test è una situazione standardizzata nella quale il comportamento di una persona viene campionato, osservato e descritto, producendo una misura oggettiva e standardizzata di un campione di comportamenti” ➝ cioè il test misura solo un campione di comportamenti dal quale il somministratore fa inferenze sul dominio generale relativo a tali comportamenti. Mucciarelli: “un test psicologico è una tecnica, implicante un complesso di norme che ne determinano i criteri di applicabilità, idonea per collocare un individuo, relativamente a una specifica caratteristica psicologica, rispetto ad un gruppo di riferimento”. Kline: “l’osservazione e la descrizione standardizzata di un campione di un comportamento di un soggetto attraverso un test, e de quest’ultimo una misura oggettiva”. I test psicologici sono l'oggetto principale di studio della psicometria scientifica, branca della psicologia che si occupa dello sviluppo dei test e della ricerca sui metodi di misurazione oggettiva delle variabili psicologiche utili all' assessment degli individui. Un test psicologico rappresenta una procedura sistematica attraverso la quale viene presentata a una persona un insieme di stimoli o item (domande, problemi, compiti) idonei ad attivare in una situazione controllata, un campione di comportamento individuale, espressivo di una variabile teoricamente e operazionalmente definita. Il comportamento viene quindi registrato e interpretato secondo procedure predefinite, allo scopo di esprimerlo sinteticamente in un indice metrico. → quindi i test sono strumenti che misurano in maniera attendibile e valida campioni di comportamento. Obiettivo: l’obbiettivo del test è stimare la quantità o qualità del tratto/caratteristica psicologica posseduta dall’esaminato. [stabilisce che una persona appartenga o meno a una categoria; inoltre, riassume la prestazione dell’esaminatore mediante numeri o classificazioni]. Assessment L’assessment= è una procedura di valutazione che permette di descrivere e spiegare una condizione psicologica, fare diagnosi e fornire indicazioni sulle decisioni d prendere (trattamento da seguire, eventuale invio, ecc.). [Quindi bisogna partire dalla diagnosi per identificare le opportune strategie di intervento]. → L’assessment psicologico è un processo articolato basato sull’integrazione di informazioni provenienti da varie fonti e strumenti (osservazioni, registrazioni psicofisiologiche, test, colloqui ecc.). [riassumendo: L’assessment psicologico è un processo per raccogliere informazioni su una persona al fine di valutare il suo funzionamento psicologico. Questo può includere interviste, questionari e test standardizzati. → Questi strumenti aiutano i professionisti a formulare diagnosi, pianificare trattamenti e monitorare i progressi]. Dobbiamo però ricordarci che l’assessment non si basa solo ed esclusivamente sulla somministrazione di test. Quest’ultimi, infatti, non misurano le persone bensì solo alcune caratteristiche. Queste caratteristiche non possono spiegare la complessità del funzionamento psicologico del soggetto. → Dunque, il punteggio al test da solo non è sufficiente per fare diagnosi. Assessment e Testing Assessment = intero processo di Testing = una parte del processo di valutazione. valutazione. È un processo complesso che Rappresenta l’insieme di strumenti consente di costruire una tecnici usati come mezzo per rappresentazione il più completa effettuare l’assessment. I test sono possibile del funzionamento di una soltanto una delle possibili fonti di persona. informazioni utili al processo di valutazione. Quindi, il testing è una parte dell’assessment, ma non coincide con l’assessment perché per fare una valutazione non basta solo il punteggio ad un test. [Es. Ho valutato l’intelligenza ma non ho valutato il funzionamento complessivo della persona], dunque mi serviranno altre misure come un colloquio, l’osservazione, intervista ai genitori/docente, un parametro psicofisiologico ecc… È importante fare un buon assessment perché io da somministratore, devo capire quali sono gli aspetti di comportamento che devono essere modificati per affrontare le difficoltà. Senza questo non posso dare indicazioni sul trattamento da seguire. OBIETTIVO: BENESSERE ASSESSMENT TRATTAMENTO PSICOLOGICO DEL SOGGETTO Facendo un buon assessment → posso indicare un trattamento → raggiungo l’obbiettivo: cioè il benessere psicologico del paziente. [Quindi i test ci danno informazioni su come devo agire, sui punti di forza e di debolezza]. L’assessment fornisce anche informazioni circa le tecniche più appropriate da utilizzare e consente la valutazione continua dell’andamento del trattamento. Quindi saper raccogliere informazioni attraverso i metodi, i test che creano l’assessment, ci consente di fare un viaggio insieme alla persona che abbiamo dinnanzi con le informazioni corrette per essere efficaci. Il problema della validità… Come ogni strumento di misura, i test non sono infallibili e sono soggetti a una serie di distorsioni che possono diminuire l'affidabilità e la validità della misura ottenuta. Il punteggio a un test, quindi, non può essere l'unica fonte di informazioni per effettuare l'assessment e, quindi, per formulare una diagnosi e prendere decisioni che influiscono sulla vita della persona che stiamo valutando, è importante che lo psicologo sappia utilizzare i test correttamente, il livello di professionalità deve essere molto alto per saper distinguere, ad esempio, l'ansia. Nel corso dell'assessment lo psicologo: definisce la natura del problema presentato; sceglie gli strumenti di misurazione idonei e li utilizza seguendo regole precise (tecnico); integra le informazioni ottenute dalle diverse fonti (test, colloqui, osservazioni,...) in un quadro complessivo; fornice un feedback a chi ha richiesto la valutazione. → Lo psicologo che effettua l'assessment deve possedere non solo conoscenze e competenze legate alla psicometria, ma anche competenze legate alla pratica clinica, alla psicopatologia dello sviluppo, ai trattamenti...). La procedura di assessment prevede: ▪ somministrazione di test di personalità; ▪ somministrazione di test di intelligenza; ▪ colloqui; ▪ osservazione; ▪ consultazione di cartelle mediche; ▪ valutazione del contesto socioculturale nel quale il bambino è inserito; ▪ colloqui con i familiari, con gli insegnanti e con i pari; ▪ somministrazione di test ai genitori e/o agli insegnanti. Scelta degli strumenti Al giorno d’oggi gli strumenti a disposizione dello psicologo sono vari e numerosi. - Il criterio fondamentale per scegliere un test deve essere sempre la sua capacità di rispondere al quesito d’invio. - Inoltre, quando scegliamo di applicare un test → dobbiamo chiederci se il paziente è in grado di comprendere la consegna ed eseguirlo. - Prima di iniziare una valutazione si deve ottenere il consento informato dalla persona esaminata, (Art. 24 del codice deontologico). IL CODICE DEONTOLOGICO LEGGE 18 FEBBRAIO 1989, N. 56 "ORDINAMENTO DELLA PROFESSIONE DELLO PSICOLOGO" sancisce che: In Italia, la legge 18 febbraio 1989, n. 56 "Ordinamento della professione dello psicologo" (Gazzetta Ufficiale del 24/2/1989, n. 46, serie generale) sancisce che solamente coloro che sono iscritti all'Albo professionale possono esercitare la professione di psicologo. Art. 1 della legge 56/89: definizione della professione di psicologo La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito. Alcuni articoli del codice deontologico Articolo 1 - Campo di applicazione Le regole del presente Codice Deontologico sono vincolanti per tutte le iscritte e tutti gli iscritti all'Albo. Tutte le psicologhe e tutti gli psicologi iscritti sono tenuti alla loro conoscenza e l'ignoranza delle medesime non esime dalla responsabilità disciplinare. Articolo 3 - Principio di responsabilità La psicologa e lo psicologo considerano loro dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell'individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale operano per migliorare la capacità delle persone di comprendere sé stesse e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. La psicologa e lo psicologo sono consapevoli della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell'esercizio professionale, possono intervenire significativamente nella vita delle altre persone. Pertanto, devono prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, culturali, organizzativi, finanziari e politici al fine di evitare l'uso inappropriato della loro influenza, e non utilizzare indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza di committenti e persone destinatarie della loro prestazione professionale La psicologa e lo psicologo sono responsabili dei loro atti professionali e delle loro prevedibili e dirette conseguenze Articolo 4 - Principio del rispetto e della laicità La psicologa e lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, forniscono all'individuo, al gruppo, all'istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le proprie prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza Riconoscono le differenze individuali, di genere e culturali, promuovono inclusività, rispettano opinioni e credenze e si astengono dall'imporre il proprio sistema di valori. (trovando, quindi, dei test adatti senza influenza culturale.) La psicologa e lo psicologo utilizzano metodi, tecniche e strumenti che salvaguardano tali principi e rifiutano la collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l'utente e l'istituzione presso cui la psicologa e lo psicologo operano, questi ultimi devono esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui sono professionalmente tenuti Articolo 5 - Competenza professionale La psicologa e lo psicologo sono tenuti a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali operano. La violazione dell'obbligo di formazione continua determina un illecito disciplinare che è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall'ordinamento professionale. Riconoscono i limiti della loro competenza e usano, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali hanno acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. La psicologa e lo psicologo impiegano metodologie delle quali sono in grado di indicare le fonti e riferimenti scientifici e non suscitano nella persona cliente e/o utente aspettative infondate. Articolo 7 - Validità dei dati e delle informazioni Nelle attività di ricerca, nelle comunicazioni dei risultati e in ogni altra attività professionale, nonché nelle attività didattiche, di formazione e supervisione, la psicologa e lo psicologo valutano attentamente, anche in relazione al contesto, il grado di validità, di attendibilità, di accuratezza, di affidabilità di dati, informazioni e fonti su cui basano le conclusioni raggiunte; espongono, all'occorrenza, le ipotesi interpretative alternative ed esplicitano i limiti dei risultati a cui sono arrivati. La psicologa e lo psicologo, su casi specifici, esprimono valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta ovvero su una documentazione adeguata, coerente con il tema oggetto di valutazione ed attendibile. Articolo 11 - Segreto professionale La psicologa e lo psicologo sono strettamente tenuti al segreto professionale. Pertanto, non rivelano notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del loro rapporto professionale, né informano circa le prestazioni professionali programmate o effettuate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dai seguenti articoli. Articolo 15 – Collaborazioni interprofessionali e condivisione delle informazioni Nel caso di collaborazione con altre figure professionali parimenti tenute al segreto, la psicologa e lo psicologo, previo consenso della persona destinataria della prestazione, possono condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione. Articolo 16 – Salvaguardia dell’anonimato La psicologa e lo psicologo redigono le comunicazioni scientifiche in modo da salvaguardare in ogni caso l’anonimato delle persone destinatarie della prestazione. Articolo 21 - Insegnamento di metodi, tecniche e strumenti professionali La psicologa e lo psicologo anche attraverso l'insegnamento, in ogni ambito e ad ogni livello, promuovono conoscenze psicologiche, condividono e diffondono cultura psicologica Tuttavia, costituisce grave violazione deontologica l'insegnamento a persone estranee alla professione psicologica dell'uso di metodi, tecniche e di strumenti conoscitivi e di intervento propri della professione stessa (anche la divulgazione) Costituisce aggravante il caso in cui l'insegnamento dei metodi, delle tecniche e degli strumenti specifici della professione psicologica abbia come obiettivo quello di precostituire possibili esercizi abusivi della professione. Articolo 24 - Consenso informato sanitario nei confronti di persone adulte capaci Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge. L'acquisizione del consenso informato è un atto di specifica ed esclusiva responsabilità della psicologa e dello psicologo. Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni al contesto e alle condizioni della persona, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazione o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. La psicologa e lo psicologo informano la persona interessata in modo comprensibile, completo e aggiornato sulla finalità e sulla modalità del trattamento sanitario, sull'eventuale diagnosi e prognosi, sui benefici e sugli eventuali rischi, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario. Articolo 25 - Uso degli strumenti e comunicazione dei risultati La psicologa e lo psicologo non usano impropriamente gli strumenti di diagnosi e di valutazione di cui dispongono. Nel caso di interventi commissionati da terzi, informano le persone circa la natura dell'intervento professionale e non utilizzano, se non nei limiti del mandato ricevuto, le notizie apprese che possano recare ad esse pregiudizio. Nella restituzione e comunicazione dei risultati dei loro interventi diagnostici e valutativi, la psicologa e lo psicologo sono tenuti ad adattare e regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica delle persone a cui essa è destinata e/o si riferisce Ricapitolando… Art. 1 Tutti gli psicologi devono seguire queste regole e non possono ignorarle. Art. 3 Gli psicologi devono migliorare la conoscenza del comportamento umano e promuovere il benessere, prestando attenzione all’impatto delle loro azioni. Art. 4 Devono fornire informazioni chiare sui loro servizi e rispettare le differenze culturali, senza imporre le proprie idee. Art. 5 È importante mantenere aggiornate le proprie competenze e usare solo metodi di cui si è esperti. Art. 7 Nella ricerca e nella comunicazione dei risultati, devono garantire l’affidabilità delle informazioni e riconoscere i limiti. Art. 11 Gli psicologi devono mantenere il segreto professionale sulle informazioni ricevute dai clienti. Art. 15 Gli psicologi possono condividere informazioni con altri professionisti solo con il consenso della persona interessata. Art. 16 Le comunicazioni scientifiche devono proteggere l’identità delle persone coinvolte. Art. 21 Solo i professionisti possono insegnare metodi psicologici, per prevenire abusi e non possono insegnare discipline psicologiche a soggetti estranei. Art. 24 Nessun trattamento può iniziare senza il consenso informato della persona, documentato in modo appropriato. Art. 25 Gli psicologi devono usare correttamente gli strumenti diagnostici e comunicare i risultati in modo che tutelino i client NORME DELL'AMERICAN PSYCHOLOGICAL ASSOCIATION (APA) PER LA SOMMINISTRAZIONE DEI TEST Per la somministrazione di qualunque test psicologico è bene attenersi sempre alle norme dell'American Psychological Association (APA); pertanto, bisogna: attenersi scrupolosamente alle procedure standard (istruzioni, tempo di somministrazione, presentazione degli stimoli); creare un setting adeguato (ambiente confortevole e privo di distrazioni); eliminare la possibilità di punteggi fraudolenti (fare attenzione alla simulazione); garantire sicurezza e riservatezza dei materiali; interpretare in modo adeguato i punteggi secondo il manuale. CONOSCENZA ▪ Nella conoscenza mediante test, le informazioni sono selezionate mediante degli stimoli standardizzati: infatti, gli stimoli sono identici per tutti i soggetti da valutare, sono presentati nello stesso ordine e sono stati selezionati e verificati nelle loro validità e attendibilità. ▪ Il somministratore deve specificare con precisione le istruzioni orali da dare per ogni item1 (domanda) o subtest2. ▪ Le risposte date dal soggetto esaminato sono rilevate e valutate in modo oggettivo. 1Un “item” in un test psicologico è una singola domanda o affermazione che fa parte dello strumento di valutazione. Ogni item mira a misurare un aspetto specifico del costrutto psicologico in esame, come ad esempio la personalità, l’ansia o la soddisfazione. 2Un “subtest” è una parte specifica di un test psicologico più ampio, progettato per misurare un aspetto particolare di un costrutto più grande. I subtest sono utilizzati per ottenere informazioni dettagliate su aree specifiche, come abilità cognitive, capacità di problem-solving, o tratti della personalità. SOMMINISTRAZIONE ▪ Quando il test viene somministrato, viene riprodotta una situazione che è sempre uguale per tutte le persone coinvolte, in modo che la misura del costrutto che ne deriva non sia il risultato di altre cause incontrollabili. ▪ È necessario che il test sia somministrato in condizioni costanti. ▪ Per molti test sono disponibili dei manuali che riportano la procedura di somministrazione corretta, insieme alla definizione del costrutto e alla rassegna della letteratura scientifica sul costrutto, alle fasi e strategie di sviluppo degli item, alla descrizione degli studi che hanno indagato le proprietà psicometriche del test e alle procedure di interpretazione dei risultati. LIVELLI DI ACCESSO AI TEST E QUALIFICHE NECESSARIE: Per poter acquistare i test occorre avere qualifiche specifiche: i livelli di accesso. I livelli di accesso ai test psicologici si riferiscono ai requisiti necessari per somministrare, interpretare e utilizzare determinati strumenti psicometrici. Generalmente, questi livelli sono suddivisi in tre categorie: 1. Livello A: Test di facile somministrazione e interpretazione, accessibili a chiunque abbia una formazione di base. [Non richiedono competenze specialistiche]. 2. Livello B: Test che richiedono una certa competenza psicologica o formazione specifica. [Possono necessitare di una laurea in psicologia o un campo correlato]. 3. Livello C: Test complessi che richiedono una formazione avanzata, come un dottorato in psicologia o specializzazioni specifiche. [Questi test richiedono anche una conoscenza approfondita delle teorie e delle pratiche psicologiche]. La classificazione garantisce che i test siano utilizzati in modo appropriato e che i risultati siano interpretati da professionisti qualificati. Ambiti di applicazione Nella pratica clinica l’uso dei test è tipicamente individuale, e la loro funzione può essere diagnostica e/o di valutazione in corso della terapia. Nella pratica educativa i test sono utilizzati per la valutazione delle difficoltà di apprendimento o per orientare nella scelta degli studi o delle professioni future. In ambito lavorativo per la selezione del personale, per rilevare l’insoddisfazione o il sovraccarico lavorativo, per la riorganizzazione dell’ambiente di lavoro. Nel marketing con i test si cerca di sondare aspetti inerenti i consumatori, i prodotti o i servizi (gradimento, motivazione d’acquisto, pubblicizzazione della merce). Nell’ambito della psicologia forense per ottenere misure oggettive e standardizzate di comportamento nei casi, per esempio, di affidamento minorile o per perizie forensi inerenti ambiti penali e civili. Nell’ambito della ricerca psicologica, per effettuare ricerche finalizzate allo studio delle relazioni tra variabili e delle differenze tra individui. Uso e funzioni Una delle prime domande a cui lo psicologo deve saper rispondere riguarda l’uso e la funzione di un test psicologico. Si possono distinguere 5 utilizzi dei test: [Gregory] Classificazione Diagnosi e programmazione del trattamento Autoconoscenza Valutazione di un programma di intervento Ricerca ❖ CLASSIFICAZIONE → 4 tipi di utilizzi La funzione di classificazione sottintende un insieme di procedure finalizzate ad assegnare una persona ad una categoria piuttosto che ad un’altra. Collocamento: i test vengono usati per collocare un soggetto in un opportuno programma/corso di recupero. (Studenti carenti in matematica che vengono messi in corsi di recupero). Screening: sottintende l’uso veloce di test per identificare persone che potrebbero possedere caratteristiche o necessità particolari (identificare un deficit cognitivo negli anziani). Certificazione: sottintende il riconoscimento o meno della capacità in un determinato ambito. (Presenza di disabilità; patente macchina). Selezione: sottintende il riconoscimento o meno della capacità in un determinato ambito (idoneità a svolgere un determinato lavoro). La differenza tra collocamento e selezione è che: - Il collocamento (pensiamo alla sfera scolastica) io identifico degli studenti che hanno bisogno di approfondire una determinata disciplina e li suddivido nelle varie classi. - La selezione è legata all’idoneità a svolgere un determinato ruolo (forze dell’ordine). ❖ DIAGNOSI E PROGRAMMAZIONE DEL TRATTAMENTO Un secondo utilizzo dei test è quello di formulare una diagnosi e di progettare un trattamento. Per quanto riguarda la diagnosi, essa consiste in due compiti interrelati: Determinare la natura e la fonte del comportamento anormale di una persona; Classificare il comportamento della persona all’interno di un sistema; [la diagnosi è il precursore del trattamento]. ❖ AUTOCONOSCENZA È correlato alla diagnosi. Conoscersi meglio può essere d’aiuto per trovare il trattamento giusto e anche a cambiare il corso della propria vita. ❖ VALUTAZIONE DI UN PROGRAMMA DI INTERVENTO Un altro utilizzo dei test riguarda la valutazione del programma di intervento educativo e sociale. I test vengono utilizzati per valutare programmi sociali, progettati per fornire dei servizi atti a migliorare le condizioni di ita della comunità. ❖ RICERCA L’uso dei test nella ricerca ha come obiettivo di avere sempre più garanzie che gli strumenti siano affidabili e validi per misurare i costrutti psicologici. CONDIZIONI AMBIENTALI IDEALI: Per fornire condizioni ambientali ideali: l’esaminatore dovrebbe somministrare il test in una stanza stanza bella illuminata e tranquilla, priva di distrazione e di possibilità di interruzioni. Le distrazioni esterne dovrebbero essere ridotte al minimo per aiutare la persona a focalizzare la propria attenzione sui compiti presentati. Inoltre, anche l’arredamento dovrebbe essere comodo e di misura adeguata. La disposizione delle postazioni è importante. Per esempio, ai fini di un’efficace somministrazione delle scale Wechsler, l’esaminatore si siede di fronte all’esaminato in modo da poter pienamente osservare il comportamento della persona. Il materiale non utilizzato in quel momento dovrebbe essere localizzato in un posto fuori dalla vista della persona, ma facilmente accessibile da parte dell’esaminatore. Finalità Le finalità per le quali lo psicologo impiega i test sono diverse: Valutare il funzionamento psichico. Rilevare tratti di personalità predittivi di comportamenti e sintomi futuri. Formulare una diagnosi e fornire indicazioni per il trattamento; Valutare l’andamento del trattamento o il suo esito finale in termini di miglioramento della funzione esaminata; effettuare uno screening. Stabilire e mantenere il rapporto Stabilire e mantenere il rapporto è la chiave per suscitare la cooperazione e l’impegno per tutta la durata della somministrazione di un test. L’esaminatore deve essere particolarmente attento e concentrato sul processo di somministrazione. Deve padroneggiare gli aspetti pratici del testing (indicazioni da dare, gestione del materiale, calcolo del tempo, registrazione delle risposte). Descrizione degli item → Classificazione dei test L’obiettivo della valutazione psicologica è ottenere un numero che fornisca un’informazione sulla presenza di una certa caratteristica nel soggetto esaminato. In genere, non si è molto interessati ai punteggi dei singoli item → bensì al punteggio totale della scala o del test. → Per non confonderci, ricordiamo che tutte le scale e i test psicologici sono costituiti da item. Item= sono definiti gli elementi minimali di un test psicologico. → Un “item” in un test psicologico è una singola domanda o affermazione che fa parte dello strumento di valutazione. Ogni item mira a misurare un aspetto specifico del costrutto psicologico in esame, come ad esempio la personalità, l’ansia o la soddisfazione. Si possono distinguere vari tipi di item, a seconda della caratteristica psicologica che si vuole misurare: Test di tipica performance Test di massima performance Prevedono risposte personali. Prevedono una risposta corretta agli item. Gli item sono rappresentati da affermazioni rispetto Gli item per la valutazione di abilità cognitive ai quali il soggetto esprime il suo grado di accordo, come l’intelligenza o le attitudini sono oppure da descrizioni di comportamenti di cui rappresentato da problemi da risolvere, stimoli indicare la frequenza con cui vengono agiti. da elaborare, quesiti a scelta multipla. [Es. Esprimere il proprio grado di accordo con [Es. come trovare l’elemento successivo in una l’affermazione “sono una persona estroversa” su serie numerica del tipo 2, 4, 6, 8, 10, una scala che va da 1= “per niente d’accordo” a 5= presuppone che si sia in grado di individuare la “completamente d’accordo”]. regola che permette di calcolare il valore successivo → in questo caso, aggiungendo 2 al Non implica che ci sia una risposta numero che precede]. corretta. Questa informazione si chiama anche self Implica che ci sia una risposta corretta report. agli item. [test di intelligenza → Scale Weschler]. [test di personalità e scale di atteggiamento]. → Esistono poi item rappresentati da stimoli non verbali → ad esempio nei test di personalità proiettivi. ▪ Un insieme di item costituisce un test I test possono essere classificati in base ai seguenti elementi: Mezzo - Test carta e matita: sia le domande che le risposte sono riportate in un apposito modulo cartaceo. - Test strumentali: tali test richiedono la manipolazione di oggetti, disegni e apparecchiature. Modo Test collettivi Possono essere somministrati a più soggetti contemporaneamente. Test individuali Vengono somministrati ad un solo individuo per volta. Test verbali Sia le istruzioni che le risposte vengono fornite mediante comunicazione orale. Test non verbali Sia le istruzioni che le risposte vengono fornite mediante gesti, diagrammi e grafici. Test di velocità Sono formati da prove molto facili che però devono essere risolte in un tempo molto limitato e sono strutturati in modo che nessuno riesca a risolverli totalmente in tempo Test di potenza Sono formati da prove di crescente difficoltà e le prove difficili in genere non vengono risolte. Classificazione dei test (Pt.2) Dobbiamo anche guardare l’area psicologica che il test si propone di misurare. I Test si dividono in due grandi categorie: ▪ Test cognitivi → sono anche detti Test di Massima Performance, poiché all’esaminato si chiede di dare il meglio di sé, ed essi valutano le abilità raggiunte o potenziali. È un test il cui il soggetto deve impegnarsi al massimo delle sue possibilità e il cui punteggio è rappresentato dalla somma delle risposte corrette fornite dal soggetto. Vi sono 4 tipologie di test cognitivi: Test di livello Rappresentati da batterie3 Es. I test di Intelligenza di test che richiedono il [le scale Weschler], i ricorso ad abilità test di livello cognitive. Hanno come psicomotorio [la scala di obiettivo la descrizione Brunet-Lezine] e degli attributi psicologici a psicosociale. diverse età in un ampio campione della popolazione. Test di sviluppo Fanno riferimento ad uno Es. Test che valuta no lo specifico modello teorico. sviluppo cognitivo, facendo riferimento alla teoria Piagetana. Test di profitto o Misurano il livello di rendimento competenza e di conoscenza raggiunto dopo l’apprendimento di informazioni. Test attitudinali Caratterizzato da una serie Sono utilizzati per predire di prove cognitive il successo nell’ambito (memoria, attenzione, lavorativo o inerente al linguaggio…) selezionate rendimento scolastico. sulla base della loro L’utilizzo più comune è relazione con un tipo di nell’ambito compito specifico. dell’ammissione ai corsi Si dividono in: di laurea. - Quelli che valutano una singola attitudine - Batterie di test di multiple attitudini. La differenza tra test di profitto e test attitudinali è legata al loro utilizzo. Ogni test può essere attitudinale se prevede le prestazioni future di un soggetto. Mentre, ogni test può essere di profitto qualora rifletta quanto il soggetto ha appreso. 3Batterie di test: sono gruppi di domande o prove che servono a capire come una persona pensa, sente o si comporta. Sono usate per valutare diverse abilità o caratteristiche, come l’intelligenza o le capacità sociali. Puoi immaginarle come un insieme di quiz che, messi insieme, danno un quadro completo di una persona. ▪ Test non cognitivi → sono anche detti Test di Tipica Performance e hanno lo scopo di conoscere le preferenze di una persona o i suoi comportamenti più frequenti. Dunque, al soggetto è richiesto di descrivere in che misura un certo tipo di comportamento lo caratterizza. Di questi test fanno parte: Test di personalità: forniscono un profilo Test proiettivi: gli Test non proiettivi psicologico dell’esaminatore stimoli sono (oggettivi di descrivendone aspetti diversi della ambigui, più o meno personalità): personalità. E si dividono in: strutturati (macchie questionari di di inchiostro, vignette) personalità self- → il soggetto li report. Indagano le interpreta sulla base caratteristiche dei propri impulsi, personologiche del affetti ecc… soggetto partendo da stimoli definiti che richiedono risposte limitate (vero/falso; si/no). Alcuni di questi valutano un’ampia gamma di aree della personalità, altre si basano su un’unica dimensione (ansia, depressione). Test di atteggiamento o opinioni Scale costruite da insieme di affermazioni rispetto alle quali il soggetto deve fornire il suo assenso o dissenso. Inventari di Interessi Misurano la preferenza di una persona per alcune attività o argomenti. → In questi test, l’esaminatore può anche mentire o simulare un comportamento che in realtà non gli appartiene. → la differenza tra test proiettivi e test non proiettivi non risiede nello scopo (entrambi hanno come obiettivo la descrizione della personalità), quanto piuttosto nel modo in cui sono raccolte le informazioni. Per quanto riguarda test individuali e collettivi: Molti dei più importanti test psicologici son a somministrazione individuale, e hanno il vantaggio, rispetto ai test collettivi, di permettere all’esaminatore l’osservazione del livello di motivazione dell’esaminato e la valutazione dell’effetto sui punteggi al test di altri fattori, come ad esempio, il livello di ansia o di impulsività. Mentre, i test collettivi → hanno il vantaggio di raccogliere più informazioni nel minor tempo possible ma il loro limite è che si perde l’informazione sul singolo. Che il test sia individuale o collettivo vi è un’altra problematica: quella della desiderabilità sociale. Vediamo un po' alcuni esempi di Test Psicologici… TEST DI VELOCITÀ Se io chiedo di eseguire un compito, l’item corrisponde a un compito da eseguire, non per forza deve essere una domanda, può essere anche un’immagine); queste figure servono a fare un compito di denominazione lessicale, banalmente ho bisogno di capire se un bambino o una persona adulta con difficoltà cognitive riesce a denominare degli oggetti. [Esempio → l’esaminatore dice “adesso ti farò vedere delle figure e dimmi il loro nome più velocemente che puoi”, dunque presenta dei cartoncini con delle figure e sul protocollo di registrazione, trascrive quello che dice la persona e si può cronometrare il tempo]. È un test di velocità, bisogna rispondere più velocemente possibile. La consegna è espressa in modalità verbale a somministrazione individuale. In caso di errore è bene non suggerire. Dobbiamo sempre capire qual è la motivazione che sta dietro a ogni azione che facciamo, il che non vuol dire non mettere a proprio agio la persona. Anzi, quando subentrano momenti di sconforto perché non si riesce in una prova o un bambino che piange (soprattutto in caso di difficoltà cognitiva, dobbiamo essere abili a creare le condizioni ottimali affinché l’ambiente dia la possibilità alla persona di potersi esprimere nel miglior modo possibile, e tutto ciò dipende in gran parte da noi. TEST DI CORSI – MEMORIA A BREVE TERMINE DI TIPO SPAZIALE Un test per valutare la memoria a breve termine di tipo spaziale è il test di Corsi. Il test composto da una tavoletta di legno su cui sono incollati nove cubetti di legno, i cubetti sono numerati soltanto dalla parte volta verso l’esaminatore, quindi l’esaminatore legge i numerini, seduto di fronte al soggetto che viene esaminato. → Prima inizia l’esaminatore e tocca la corretta sequenza di cubetti secondo i numeri nel protocollo e visibili solo a lui, il soggetto di fronte a lui dovrà imitarlo subito dopo. [Test: MBT Visuo-Spaziale] La risposta data dal soggetto era di tipo non verbale. La consegna è espressa in modo verbale. La modalità di somministrazione è individuale. È un test che rientra nella categoria dei test di tipo cognitivo. FLUENZA FONETICA Alcuni test non hanno bisogno neanche di materiale, sono soltanto verbali. È un test in cui si richiede la generazione di parole in base a un fonema iniziale: il soggetto dovrà produrre quante più parole possibili che iniziano con quel determinato fonema entro un minuto (test di velocità). Si fa partire il cronometro e si annotano sul protocollo tutte le parole dette dal soggetto e si ferma il cronometro quando il minuto è trascorso. Lo sperimentatore che esamina deve anche dire che si considerano come errori le ripetizioni della parola già detta e le derivazioni morfologiche della stessa parola. È un test verbale, di velocità, somministrazione individuale, cognitivo. ORIENTAMENTO SPAZIO-TEMPORALE Vediamo un test che misura l’orientamento spazio-temporale di una persona (anziana): Ci sono delle domande in cui si chiede in che anno siamo, in che mese siamo, data di oggi, che giorno della settimana siamo, in quale città ci troviamo ecc… MEMORIA Si fa poi un test di memoria, si dice al soggetto “adesso farò il nome di tre oggetti, lei dovrà ripeterli dopo che farò il nome di tutti e tre: casa, pane, gatto” → Soggetto esaminato: “casa, pane, gatto”. L’altro item: “ora le dirò una parola e le chiederò di scandirla lettera per lettera in avanti e indietro, la parola è carne” → Soggetto esaminato: C-A-R-N-E; E-N-R-A-C. [La scelta di una parola con 5 lettere non è casuale]. Richiediamo alla collega alla quale avevamo precedentemente chiesto di ripetere 3 parole, quali erano le tre parole. Così facendo abbiamo valutato anche la rievocazione. LINGUAGGIO Si mostra un orologio da polso e si chiede che cos’è. Poi si fa lo stesso con una matita. Poi il soggetto deve prendere un foglio con la mano destra, piegarlo a metà e buttarlo per terra → si chiede di eseguire questo comando. Si valuta anche l’aspetto della comprensione e l’ambito più legato all’eseguire il comando. In alcuni casi è necessario valutare il livello di autonomia nello svolgimento di attività oppure capire le capacità di adattamento della persona. Un esempio di tutte queste tipologie di test è il Mini-mental state examination (MMSE) Il test è costituito da item che fanno riferimento a: orientamento nel tempo orientamento nello spazio registrazione di parole (memoria) attenzione e calcolo rievocazione (memoria) linguaggio prassia costruttiva [→ “Copi questo disegno”]. Abbiamo detto che con i test misuriamo dei costrutti di tipo psicologico, che non vediamo quindi, dobbiamo renderli visibile per poterlo misurare. Quindi il costrutto è ciò che vediamo ma non possiamo misurare direttamente. COSTRUTTO, o variabile latente: la base della misurazione in psicologia è l’osservazione del comportamento, che deve riuscire ad essere poi quantificato; visto che spesso la caratteristica oggetto di studio non risulta osservabile direttamente, si parla di una grandezza intensiva. Questa grandezza è proprio il costrutto, che viene determinato in via indiretta e può essere descritto da relazioni graduabili di ordine ma non è dotato di additività. Vengono inferite da comportamenti osservabili, come le risposte ad un test, che permettono di rilevare la variabile latente non osservabile. I costrutti sono come dei contenitori all’interno dei quali sono raggruppati dei comportamenti osservabili, delle manifestazioni comportamentali. → Che cosa sono l’intelligenza, l’estroversione, la motivazione? Sono dei costrutti. ATTRIBUTO, CARATTERISTICA o proprietà: ciò che vogliamo misurare. OGGETTO o unità di analisi: ciò su cui viene compiuta la misurazione. Che cosa vogliamo misurare? Attributi, caratteristiche o proprietà su un oggetto o un’unità di analisi (può essere chiunque: persone, pazienti, gruppi, squadre ecc… VARIABILE: è l’oggetto di studio che deriva dalla misura di un concetto e si esplicita attraverso le modalità, materialmente rappresenta l’oggetto che viene misurato e si manifesta in almeno due modi diversi. Vogliamo misurare delle caratteristiche che si chiamano variabili, assumono questo nome per due motivi: 1. perché non sono costanti; 2. perché si manifestano in almeno due modi diversi, altrimenti saremmo tutti uguali. [Riprendendo l’esempio del bambino con difficoltà comportamentali a scuola, dovremmo osservare la sua vita all’interno del contesto scolastico e all’interno della classe]: Questo processo di individuazione di comportamenti che ci permettono di rilevare la presenza di una caratteristica psicologica si chiama operazionalizzazione. OPERAZIONALIZZAZIONE: Operazionalizzare significa legare i concetti scientifici ad operazioni/comportamenti che chiunque può osservare ed eseguire ed è per questo che rende poi oggettiva l’osservazione scientifica. Le operazionalizzazioni sono degli indicatori osservabili di una variabile psicologica latente: il costrutto e grazie alla valutazione degli indicatori osservabili che siamo in grado di dire se una persona possiede o meno una certa caratteristica psicologica e se la possiede più o meno uguale ad un’altra persona. Lezione del 22/10 La valutazione dell’intelligenza – Excursus storico Il principale obiettivo che muove originariamente la ricerca nell’area della valutazione dell’intelligenza è la necessità di misurare le differenze individuali nelle abilità intellettive. Teorie dell’intelligenza Le prime speculazioni sulla natura dell’intelletto, che risalgono all’antica Grecia, ne parlano come dell’insieme delle facoltà mentali o cognitive, qualcosa di completamente distinto dalle componenti emotive. Per i successivi decenni, l’obiettivo perseguito dai filosofi fu quello di sostenere l’analogia tra intelligenza e pensiero razionale, approdando ad un’idea meccanicista dell’uomo. Fu questo stesso meccanicismo che, nella seconda metà del XIX secolo, indusse a considerare la psicologia una disciplina basata sul metodo sperimentale, e staccata dall’introspezione e dalla speculazione filosofica. L’esigenza di arrivare a una misurazione delle capacità mentali nacque nell’ambito della psichiatria, in cui alla fine dell’Ottocento furono creati strumenti per distinguere tra “normalità” e “devianza” e classificare in modo più preciso i disturbi presentati dai pazienti. Benché questi strumenti si basassero su una concezione parziale e frammentaria dell’intelligenza, ebbero il merito di far comprendere che l’analisi andava fatta nell’ambito del metodo sperimentale con prove standardizzate su un congruo numero di individui; inoltre, soltanto avendo un modello di “normalità” si poteva stabilire quali fossero i soggetti che deviavano da essa e che potevano essere classificati come “patologici”. La sistematizzazione degli studi sulle differenze individuali fu compiuta da Francis Galton (1822-1911), biologo inglese, che tra il 1880 e il 1890 sottopose a prove standardizzate 17000 individui, raccogliendo informazioni su caratteristiche sia fisiche che comportamentali, esplorando l’intelligenza essenzialmente nella sua dimensione sensoriale. Secondo l’autore i test di discriminazione sensoriale (relativi a peso, altezza, udito, vista) erano utilizzabili per la valutazione dell’intelligenza dell’individuo. “Sembra che l’unica conoscenza degli avvenimenti estremi che giunge fino a noi passi per la via dei nostri sensi: quanto maggiore sarà la percezione che i nostri sensi avranno delle varie differenze, tanto più ampia sarà conseguentemente la base d’azione del nostro giudizio e della nostra intelligenza” (Galton, 1863) Utilizzando una serie di (prove) test di discriminazione sensoriale, avvia un progetto di ricerca per verificare il rapporto tra le capacità di discriminazione sensoriale e il successo accademico o professionale (indicatore del livello di intelligenza). L’indagine si rivela infruttuosa: non riesce a trovare relazioni tra le due variabili considerate. Mette a punto una metodologia statistica, la correlazione, che si è rivelata indispensabile per stabilire validità e attendibilità dei punteggi dei test. Un altro merito di questo autore fu di mettere a punto una metodologia statistica, la correlazione, che si è rivelata indispensabile per stabilire validità e attendibilità dei punteggi dei test. Anche James McKeen Cattel (1860-1944), giovane studioso americano, mostra un notevole interesse per la ricerca sulle differenze individuali. A lui si attribuisce l’origine del mental testing, dei test mentali. Nel laboratorio di psicologia dell’Università della Pennsylvania presenta la prima batteria di test volta a misurare l’intelligenza; questa batteria si compone di 10 prove, alcune di tipo psicofisico (per esempio, la forza); altre, invece, di tipo mentale (per esempio, la quantità di lettere ricordate dal soggetto dopo averle ascoltate una volta). Non trovo però correlazioni 🡪 il test non riusciva a predire l’insuccesso scolastico. Alfred Binet (1857-1911) si impegna nella ricerca di nuovi e più adeguati approcci metodologici e anche nella definizione teorica del costrutto di intelligenza. Gli studi di Binet evidenziano aspetti di grande originalità per l’importanza attribuita non solo alle componenti sensoriali della vita psichica, ma anche alle cosiddette facoltà mentali superiori, ai processi complessi (memoria, immaginazione, attenzione, comprensione). Binet è consapevole delle difficoltà che si presentano a chi tenti di spiegare le differenze individuali, misurando le funzioni complesse anziché le sensazioni semplici, come voleva la maggior parte degli psicologi suoi contemporanei. Tuttavia, è convinto che solo l’esame delle dimensioni sopra elencate consenta un reale progresso della psicologia dell’intelligenza. Ai primi del Novecento, il ministero dell’Istruzione francese, di fronte alla scolarizzazione di massa e, quindi, alle difficoltà di rendimento presentate dai bambini provenienti dalle classi sociali popolari, li incaricò di creare delle prove per identificare coloro che presentavano un reale ritardo mentale (e non solo uno svantaggio culturale) e che potevano avere bisogno di una educazione speciale, quindi uno strumento capace di predire le abilità e le eventuali difficoltà scolastiche. Nel 1905 nacque la prima Scala Binet-Simon (Echelle Metrique de l’Intelligence), che rappresenta un radicale scostamento dalle precedenti misurazioni delle capacità mentali. Essa era composta da 30 quesiti (o problemi, o prove) disposti in ordine crescente di difficoltà e organizzati secondo livelli di complessità differente, che erano attinenti alla vita quotidiana e alle facoltà superiori (come capacità di giudizio, di comprensione e di ragionamento) che Binet considerava componenti essenziali dell’intelligenza. Le prove della scala partivano dal livello intellettuale più basso, per arrivare al livello d’intelligenza media o normale, corrispondendo a ciascuna prova un livello mentale diverso. L’obiettivo era quello di creare uno strumento in grado di prevedere le abilità dei bambini tra i 3 e i 12 anni. Dalla prima versione apparvero due revisioni (una nel 1908 e una nel 1911) estendendo la scala anche all’età adulta. In tali revisioni si aumentò il numero di prove, eliminandone alcune, e tutte le prove vennero raggruppate secondo livelli di età. Tali prove erano sistemate in ordine crescente di difficoltà (scala): a ciascuna età cronologica (EC) in anni, corrispondeva un gruppo di 5 compiti stabiliti come normativi in base al livello prestazionale medio degli individui della stessa età cronologica, appartenenti al campione di riferimento. I tipi di compiti inseriti nella scala, nati da concetti di senso comune su cosa un bambino di una certa età dovesse essere in grado di fare per adattarsi all’ambiente in cui vive, concernevano i prerequisiti dell’apprendimento o gli apprendimenti stessi di nozioni scolastiche: classificazioni, categorizzazioni, percezioni e discriminazioni di forme, memoria visiva o verbale, competenze linguistiche. Il grado di intelligenza raggiunto da un soggetto era in rapporto alla sua età; venne introdotto un nuovo concetto psicologico, l’età mentale (EM), espressa in anni e mesi. L’idea di Binet implicava che lo sviluppo dell’intelligenza fosse rappresentato dalla quantità delle conoscenze attinenti alla vita quotidiana che vari individui hanno, per cui l’EM, tipica di una data EC, esprime un livello medio di efficienza, comune alla maggioranza (cioè ad almeno il 75%) dei soggetti di quella età sottoposti al test. Egli non si interrogava sulla natura del costrutto di intelligenza, ma ne dava una definizione globale, pragmatica e funzionale all’individuazione di soggetti con difficoltà, definendola come “il miglior adattamento possibile dell’individuo all’ambiente”. Soltanto dopo la morte di Binet, nel 1912 uno psicologo tedesco, William Stern, ebbe l’idea di esprimere la rapidità di sviluppo cognitivo come rapporto tra età mentale ed età cronologica (moltiplicato per 100 per evitare i decimali). Questo indice venne chiamato quoziente intellettivo di rapporto (QI). Un QI superiore a 100 indicava abilità cognitive superiori alla media, mentre un QI inferiore a 100 era sinonimo di ritardo nello sviluppo delle abilità cognitive: ad esempio, un bambino di 10 anni che superava, in seguito alla somministrazione di un test cognitivo, le stesse prove di bambini di 12 anni, aveva un’EM di 12 anni e gli veniva attribuito un QI di 120. Tale QI venne adottato da Terman nella sua revisione americana della Scala Binet-Simon, la Scala Stanford-Binet. Nel 1916 pubblica la Stanford-Binet Intelligence Scales, che diviene uno dei test del QI più utilizzati in tutto il mondo. Il passaggio dall’Europa agli Stati Uniti comporta non solo un adeguamento di stimoli e una nuova taratura dello strumento, ma anche un cambiamento degli obiettivi per i quali si impiega il test. ESEMPIO ED ESERCITAZIONE FORMULA Q.I.= [EM/EC] X 100 – ESERCIZIO 1 Un bambino di 10 anni che superava le stesse prove di bambini di 12 anni aveva un’età cronologica di 🡪 10 anni. Un’età mentale di 🡪 12 anni e un QI di 🡪 120 ESERCIZIO 2 Bambino di 8 anni con età mentale di 8 anni -> QI =__100__ - ESERCIZIO 3 Bambino di 8 anni con età mentale di 6 anni -> QI = __75__ Con l’espressione “Funzionamento Intellettivo Limite”, spesso citata con l’acronimo F.I.L., ci riferiamo a tutti quei bambini e ragazzi il cui funzionamento intellettivo si trova tra la normalità e la disabilità intellettive lieve, che quindi hanno prestazioni cognitive migliori dei bambini/ragazzi con disabilità intellettiva ma inferiori ai coetanei “normodotati”. Nella prassi diagnostica corrente il “funzionamento intellettivo limite” o “funzionamento intellettivo borderline” corrisponde a valori del QI tra 70 e 85, con presenza di difficoltà di adattamento. Gli individui che hanno un Q.I. particolarmente elevato prendono il nome di gifted. Sia che siano soggetti gifted, sia che siano soggetti F.I.L. o con disabilità intellettiva, a livello accademico bisogna adattare la didattica e metterli nelle condizioni di farcela. Intelligenza – NATURA/CULTURA Contributo dei fattori genetici Sindromi genetiche o non genetiche (situazioni che possono capitare a livello natale o prenatale) Studi su gemelli identici (monozigoti) e non identici (dizigoti) suggeriscono un ruolo significativo dei geni nelle differenze di intelligenza Gemelli identici mostrano maggiore somiglianza nei punteggi ai test di intelligenza rispetto ai fratelli non identici, indipendentemente dall’ambiente in cui sono cresciuti Stime indicano che tra il 50% e il 75% delle differenze intellettive tra individui può essere attribuito ai fattori genetici. Contributo dell’ambiente: Differenze ambientali specifiche tra fratelli cresciuti nella stessa famiglia contribuiscono alle variazioni nelle capacità cognitive. Il QI da solo non basta, nella vita di un individuo, a predire se esso avrà successo nella vita. Influiscono molti altri fattori, come l’autostima, la motivazione, l’autoefficacia percepita, quindi anche un locus of control interno positivo. Alcuni studiosi hanno delineato la cosiddetta mentalità di crescita (growth mindset), la convinzione che aumentare e migliorare le proprie attività è possibile, attraverso l’impegno, l’aiuto degli altri (se è necessario) e l’utilizzo di determinate strategie. Essa è contrapposta alla fixed mindset (mentalità fissa, che non contempla cambiamenti). Il cambiamento è possibile anche perché ce lo dice la scienza, lo stesso concetto di plasticità cerebrale, il nostro cervello è costruito per modificarsi. Quindi la famosa frase “sono fatto così, non posso cambiare” ha un significato limitato. Se, ad esempio, un collega raggiunge un traguardo e abbiamo una mentalità di tipo fisso, proveremo invidia, se abbiamo invece una mentalità di crescita, lo percepiremo come un esempio, come una fonte di ispirazione. La mentalità di crescita ci consente di scoraggiarci di meno dinanzi a un fallimento o a considerarlo un’opportunità per crescere, per studiare di più. Lezione del 24/10/24 INTELLIGENZA, MODELLI E TEORIE Alcuni test nascono all'interno di una visione eugenetica, è questo il contesto storico in cui si sviluppano, ad esempio, le scale di intelligenza e le scale Wechsler. La teoria bifattoriale di Spearman prevede la presenza da una parte del fattore G, dall'altra dei fattori specifici. In qualsiasi prestazione cognitiva intervengono due fattori indipendenti tra loro: il fattore g e il fattore s. Il fattore g interviene in tutte le prestazioni cognitive, mentre il fattore s è specifico di una particolare prestazione cognitiva. La performance di un soggetto in uno specifico test di intelligenza è data dal contemporaneo intervento di una capacità intellettiva generale g e di fattori specifici s. Thurstone, invece, definiva l'intelligenza come una serie di fattori indipendenti tra di loro che chiamava abilità primarie che variavano da soggetto a soggetto ed erano contesto-dipendenti. Thurstone ne individua sette: abilità numerica, comprensione verbale, abilità lessicale, memoria, ragionamento, velocità percettiva e visualizzazione spaziale. TEORIA DI GUILDFORD Guildford, invece, apertasi la strada verso la possibilità di teorizzare l’esistenza di un intelletto parcellizzato in una pluralità di abilità, pone l'accento su una concezione multidimensionale dell'intelligenza ed ipotizza una struttura dell’intelletto caratterizzata da un numero elevato di abilità mentali. Questa struttura è il prodotto dell'interazione di tre processi di base: le operazioni, i contenuti e i prodotti Le operazioni (processi psicologici alla base di tutta l’attività cognitiva) comprendono: la valutazione, la memoria, la produzione e la cognizione. I contenuti si riferiscono al tipo di informazione, elaborata attraverso il canale ad esempio visivo, uditivo, simbolico, semantico o comportamentale. I prodotti rappresentano invece il risultato finale, ciò che consegue dall’elaborazione che si effettua sulle prime due componenti. Il motivo di un numero così grande di fattori è verosimilmente legato alla concezione ampliata dell’intelligenza che Guildford fece riferimento, considerandola non solo in termini di pensiero convergente (la tradizionale forma che, alla luce di un unico progresso logico plausibile, mediante regole codificate, porta a un’unica soluzione) ma anche in termini di pensiero divergente. Questa dimensione, a suo dire cruciale nell’attività intellettiva complessa, avrebbe chiamato in causa la fluidità, la flessibilità e l’originalità del pensiero. L’intelligenza va definita a seconda dell’ambiente e della cultura nella quale si evolve: ogni cultura tende ad attribuire peso ad una componente piuttosto che ad un'altra quindi, in uno specifico contesto, alcuni comportamenti vengono definiti intelligenti mentre altri vengono sottovalutati poichè ogni ambiente seleziona ciò che ritiene idoneo per l’adattamento. E’ impossibile, quindi, pretendere di misurare l'intelligenza di gruppi, ad esempio, culturalmente diversi usando le stesse prove bensì bisogna adattarle: diventa essenziale identificare e selezionare all’interno dello specifico contesto socio-culturale compiti specifici per misurare le abilità intellettive. CATTELL Raymond Cattell teorizza l’esistenza di due tipi di intelligenza: l’intelligenza fluida e l’intelligenza cristallizzata. ⮚ L’intelligenza fluida è la potenzialità cognitiva biologica di base, ereditabile, che raggiunge l’apice dello sviluppo a 14 anni e rappresenta la capacità di ragionare sui problemi e di trovare loro una soluzione. E’ soggetta a un progressivo declino con l’età. Le prove che la misurano sono: prove di classificazione, di analogia e di completamento in serie. ⮚ L’intelligenza cristallizzata viene direttamente influenzata dall’educazione, dall’istruzione e dall’apprendimento scolastico quindi dai fattori ambientali, sociali e culturali ben consolidati; è inerente al saper utilizzare le strategie e gli apprendimenti conseguiti all’esperienza. I test che la misurano, per esempio, sono: l’ampiezza del vocabolario e la comprensione verbale. Cattell ipotizza una correlazione tra i due fattori tuttavia, secondo lui, questo rapporto è unidirezionale: l’intelligenza fluida può influenzare l’intelligenza cristallizzata mentre il contrario non è possibile. Propone, inoltre, una distinzione tra i test verbali ed i test percettivi: i test di tipo verbale sono utili per valutare l’intelligenza cristallizzata, mentre quelli percettivi sarebbero utili per valutare l’intelligenza fluida. CARROLL Carroll operazionalizza l’intelligenza come una gerarchia di abilità: abilità generali ed abilità specifiche. Esse sarebbero in grado di predire le prestazioni in ambito scolastico, lavorativo e di incidere sulla qualità della vita. La distanza tra le teorie sull’intelligenza e gli strumenti per la sua valutazione, infatti, si riduce poiché si inizia a operazionalizzare: il costrutto teorico viene reso osservabile e quindi misurabile, di conseguenza vengono messi a punto gli strumenti per valutarlo. Carroll seleziona duemila studi sull’intelligenza, pubblicati tra il 1930 e il 1985, sulla base di alcuni criteri: bisognava che ci fosse un numero di variabili adeguate che rappresentassero sia l’indice di performance che quello verbale, il numero di persone valutate doveva essere consistente (maggiore di 100) e le caratteristiche del campione dovevano essere ben definite. Analizza questi studi poiché vuole o eliminare o ampliare ed integrare le teorie precedenti e propone un modello tripartito dell’intelligenza. Egli, infatti, fa un elenco di abilità cognitive organizzate gerarchicamente in tre livelli: ⮚ al vertice della piramide c’è l’equivalente del fattore G di Spearman, ovvero un’intelligenza generale, unitaria che accomuna tutte le diverse abilità cognitive ⮚ al secondo livello, o strato, lui identifica otto abilità cognitive ampie ovvero: l’intelligenza fluida, l’intelligenza cristallizzata, memoria e apprendimento, percezione visiva, percezione uditiva, abilità di recupero, velocità cognitiva e tempo di reazione ⮚ alla base della piramide abbiamo circa 65 abilità specifiche le quali, ad esempio, sono lo span di memoria o le abilità di calcolo. Identificando queste abilità specifiche si può concludere che per misurare le abilità specifiche occorre un test specifico, concetto che al giorno d’oggi si può considerare ovvio, tuttavia l’arrivo a questa consapevolezza è frutto di un lungo percorso. Per garantire un buon profilo delle abilità cognitive, un test deve focalizzarsi su più abilità. Per effettuare l’assessment, infatti, il clinico deve avvalersi di batterie di test, selezionando ad hoc o un test o i subtest che sono pertinenti allo specifico caso. Quindi la distanza tra il costrutto dell’intelligenza e gli strumenti di misura che osserviamo nella pratica clinica si riduce perché si cerca di costruire test nuovi in base ai modelli teorici più recenti e di rivedere quelli che già esistono alla luce delle nuove teorie. MODELLO CHC McGrew osserva che la teoria di Carroll e quella di Cattell e Horn hanno tra loro delle analogie e delle differenze, di conseguenza propone il modello psicometrico CHC in cui integra ed unisce queste due prospettive. Questo modello prevede da una parte delle abilità ampie e dall’altra le abilita ristrette. Abilità ampie Abilità ristrette l’intelligenza fluida, l’intelligenza cristallizzata, fluenza semantica e la scrittura con i calcoli l’elaborazione visiva, la memoria a breve termine, la memoria a lungo termine, la velocità di elaborazione, la conoscenza quantitativa e la lettura e scrittura. Ad oggi possiamo classificare i test di intelligenza in tre gruppi: un gruppo costituito dagli strumenti che non sono stati realizzati in base a un modello teorico specifico (ad esempio le scale Wechsler), un gruppo costituito dagli strumenti che si basano su un modello di elaborazione delle informazioni un gruppo composto dagli strumenti realizzati in base al modello CHC. I test cognitive assessment system (?) si basano su modelli teorici specifici, in particolare sulla teoria CAS. La maggior parte dei test che sono stati pubblicati negli anni 90 e dopo fanno riferimento al modello CHC: gli autori che hanno studiato i test ritengono che mai prima d’allora, nella storia del testing psicologico, una singola teoria ha giocato un ruolo così importante nello sviluppo e nell’interpretazione dei test come il modello CHC. «Mai prima, nella storia del testing psicologico, una singola teoria ha giocato un ruolo così importante nello sviluppo e nell’interpretazione dei test» (Flanagan, Kaufman, 2009, p.21). La maggior parte dei test pubblicati dopo gli anni 90 fa riferimento al modello CHC. GARDNER In ambito filosofico, nel 1986, viene sviluppata la teoria modulare della mente secondo la quale, nella mente, si potrebbero rilevare dei moduli indipendenti. Studi sulla struttura e sulle funzioni del cervello sembrano documentare, infatti, la presenza di specifici moduli, ovvero di aree e funzioni relativamente indipendenti. Gardner, a questo proposito, dà il suo contributo con la teoria delle intelligenze multiple. Ne elenca inizialmente sette: intelligenza linguistica, intelligenza logico-matematica, intelligenza spaziale, intelligenza musicale, intelligenza corporeo-cinestetica ed intelligenza naturalistica. A queste, successivamente, ne aggiunge altre due: l’intelligenza intrapersonale, ovvero la capacità di conoscere sè stessi, i propri desideri, emozioni, punti di forza e debolezza ed usare queste conoscenze per raggiungere gli scopi; e l’intelligenza interpersonale ovvero l’abilità di conoscere gli avversari, gli strumenti, i sentimenti, le opinioni e le intenzioni degli altri. Infine l’intelligenza esistenziale riguarda il desiderio di riflettere sul fine ultimo della nostra condizione attraverso, per esempio, l‘analisi di ciò che la vita e la morte rappresentano per l’individuo. L’intelligenza linguistica e logico-matematica sono centrali nella gran parte degli strumenti psico- diagnostici costruiti finora ed anche in ambito scolastico, tuttavia anche le altre forme di intelligenza sono importanti e vanno sviluppate o almeno scoperte. A volte, infatti, il rischio è che esse rimangano latenti se non c’è il contesto e l’ambiente in cui esprimerle e se non si è messi nelle condizioni per svilupparle. Per esempio, una persona potrebbe essere intelligente dal punto di vista corporeo-cinestetico, quindi essere abile a danzare o a muoversi ma anche a risolvere problemi attraverso il corpo. E’ possibile, infatti, consentire anche a chi non è abile o non ha sviluppato altri tipi di intelligenza di raggiungere risultati ed obiettivi attraverso il proprio tipo di intelligenza. Intervento: abbiamo studiato in psicologia fisiologica che, per quanto riguarda la matematica, c’erano delle aree del cervello più deputate al calcolo, anche spaziale, e si diceva che se la matematica fosse insegnata più in termini spaziali, di quantità, sarebbe un insegnamento più proficuo” La professoressa fa un esempio: nelle scuole si insegna la matematica attraverso il canale verbale, ma il modulo deputato è un altro. È come insegnare a nuotare mettendo una persona a bordo piscina ed insegnare una capacità motoria attraverso il linguaggio. La stessa cosa succede nelle nostre scuole, ad esempio, con l’insegnamento dei calcoli in colonna. Intervento: qualche esempio di insegnamento alternativo di matematica? Immaginate un testo scritto di un problema, lo stesso problema potrebbe essere rappresentato, ad esempio, all’interno di una stanza, facendo muovere i bambini, o, portando un altro esempio, mostrando degli oggetti in classe per far vedere la differenza tra peso netto e peso lordo. Quindi facendo capire a che cosa serve la matematica attraverso esempi visivi. Intervento: la maggior parte dei test che misurano l’intelligenza logico matematica viene somministrata attraverso il canale verbale? Purtroppo, come nell’insegnamento, anche i test sono costruiti così. A questo proposito, è importante non soltanto che gli insegnanti, o noi, sappiamo come si insegna e come sono le modalità in cui si insegna, ma l’insegnante, o chi lavora con i bambini, deve sapere come si impara (rendere consapevole il bambino dei propri processi metacognitivi). Banalmente un insegnante deve sapere qual è il canale più giusto per insegnare delle attività. INTELLIGENZA EMOTIVA Goleman (1995) definisce l’intelligenza emotiva come la capacità di riconoscere i sentimenti propri e altrui, di motivare se stessi, di gestire positivamente le emozioni. Secondo Goleman, la competenza personale e la competenza sociale rappresentano le componenti specifiche dell’intelligenza emotiva David Wechsler (1896 - 1981) Influenze: Spearman, Cattell, esperienze maturate con la somministrazione dei test Army Alpha, dei Beta Test, e della Stanford-Binet. Ritiene che la Stanford-Binet abbia dei limiti, è infatti un test prevalentemente verbale standardizzato solo con bambini e adolescenti e riconosce due necessità: Necessità di individuare prove che permettano di misurare l’intelligenza di soggetti adulti con diversa provenienza culturale e con diverso livello di istruzione. Necessità di proporre compiti sia di tipo verbale che di performance. 193 immette sul mercato la Wechsler-Bellevue Intelligence Scale-Form (Wechsler, 1939, ed. 9 it. 1957) destinata a valutare l’intelligenza di soggetti dai 10 ai 59 anni. 194 propone una Scala per bambini, la Wechsler Intelligence Scale for Children (WISC; 9 Wechsler, 1949, ed. it. 1956) destinata a soggetti tra i 5 e i 15 anni. 195 viene pubblicata la Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS; Wechsler, 1955, ed. it. 5 1974) rivolta a soggetti tra i 16 e i 74 anni. à Seguono altre edizioni (FIG.1) Le quarte edizioni delle scale Wechsler risentono dell’evoluzione dei modelli di intelligenza (“CHC”) e dei dati emersi dalle ricerche con le edizioni precedenti |_> l’interpretazione dei risultati non si focalizza più sui tradizionali punteggi di QIV (QI verbale) e QIP (QI di performance), bensì sui punteggi degli Indici e delle abilità CHC (focus sulle caratteristiche di specifiche abilità e sulle strategie cognitive impiegate per la risoluzione dei compiti). Le nuove denominazioni per i punteggi sono: Indice di Comprensione verbale Indice di Ragionamento visuo-percettivo Indice di Memoria di lavoro Indice di Velocità di elaborazione. Non si intende svalutare il potere esplicativo e predittivo del QI totale, ma piuttosto sottolineare il potere clinico descrittivo degli Indici, e attribuire al QI il ruolo che gli spetta: quello di riscontro al termine della valutazione psicologica. Il QI ha un forte potere esplicativo sia rispetto al gruppo normativo sia rispetto al singolo. Tuttavia, il ricorso a un punteggio globale e sintetico a volte può mascherare differenze individuali tra I domini dell'abilità generale. Scale Wechsler UTILIZZABILI PER: Ottenere una valutazione del funzionamento cognitivo generale. Ottenere informazioni cliniche per condurre valutazioni neuropsicologiche e approfondimenti in ambiti specifici: Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD), Disturbo dello spettro dell’autismo, deterioramento cognitivo. Valutare il decadimento cognitivo in caso di eventi traumatici, ictus o malattie neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson). Valutare l’Intelligenza fluida, quindi la capacità di ragionamento e problem-solving. Programmare interventi di potenziamento e recupero delle funzioni cognitive e monitorarne l’andamento. Valutare la presenza di disabilità intellettiva o plusdotazione. La costruzione delle Scale Wechsler ha seguito alcune regole comuni: gli item dei sub-test sono in ordine di difficoltà; si ha un differente punto di inizio dell'item da somministrare a seconda dell'età del soggetto: si effettua l'interruzione della somministrazione del sub-test se si commette un certo numero di errori consecutivamente; sono stati introdotti alcuni sub-test supplementari (somministrati solo se si vuole approfondire l'abilità rappresentata da quel sub-test o se non è stato possibile somministrarne qualcuno dei fondamentali): è prevista sempre la trasformazione del punteggio grezzo di ogni sub-test in punti ponderati con media paria a 10 e deviazione standard pari a 3: è prevista la trasformazione della somma dei punteggi ponderati in QI (con media 100 e deviazione standard 15) Le differenze tra le tre scale sono da ricercare essenzialmente nella complessità degli item presentati. Nelle ultime versioni l’ordine di presentazione delle prove è stato studiato in modo da non affaticare il soggetto. È infatti prevista un’alternanza tra prove verbali e di performance, in modo che per ogni prova che prevede l’uso della parola e del ragionamento ne segua una in cui è richiesta la manipolazione di oggetti o il ragionamento visuo percettivo. È consentito interrompere la somministrazione per riprendere in un secondo momento quando si ha il timore che effetti di stanchezza o di noia possano influire negativamente sul risultato. Il punteggio che si può attribuire a ogni item varia da 0 a 2 a seconda del test. Nelle prove a tempo è prevista la assegnazione di punti bonus (se riesce a finire prima della fine del tempo La struttura fattoriale sottostante alla scala è costituita dai seguenti fattori: I principali subtest sono 10, gli altri 5 sono i sub-test supplementari che vengono utilizzati nel caso in cui il soggetto non sia in grado di svolgere le prove dei sub-test principali. Il bambino deve essere nelle condizioni di essere valutato, ma deve comunque essere messo in una situazione tale per cui possa concentrarsi, impegnarsi e non pensare di star giocando. Chi somministra il test deve quindi essere bravo a formulare le richieste. L’ordine di somministrazione non è quello riportato nello schema sopra stante, ma è casuale, sempre rispettando la regola di alternanza tra tipi di prove. A seguito della somministrazione dei test vengono attribuiti i punteggi, da cui si ricavano il quoziente intellettivo del soggetto. Successivamente stabiliamo se la persona ha o meno disabilità intellettiva. In base al punteggio ottenuto: 50-70 -> disabilità intellettiva lieve 70-85 -> FIL 85-115 -> livello norma 115-130 -> plusdotati 130-145 -> gifted Intervento: I gifted di che tipo di attenzione hanno bisogno? Che supporto si potrebbe dare? Evitare di proporre compiti facili, che per loro non rappresentano attività di crescita del loro potenziale

Use Quizgecko on...
Browser
Browser