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This document discusses amino acids and proteins. It describes their structure, function, and interactions. It highlights various aspects such as their role in biological processes and their diverse functions within living systems.

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De Sio/Merendino 05 Bioingegneria chimica (Ciardelli) 13/10/20 ACIDI CARBOSSILICI Possono dare reazione di esterificazione con gli alcoli e possono essere ridotti ad aldeidi e infine ad acoli primari (in senso inverso, l...

De Sio/Merendino 05 Bioingegneria chimica (Ciardelli) 13/10/20 ACIDI CARBOSSILICI Possono dare reazione di esterificazione con gli alcoli e possono essere ridotti ad aldeidi e infine ad acoli primari (in senso inverso, l’ossidazione). Derivati degli Acidi carbossilici - ALOGENURI ACILICI à esistono solo i cloruri acilici, molto poco i bromuri acilici. Sono composti soggetti a reazioni di sostituzione nucleofila. Si ottengono per sostituzione nucleofila del gruppo -OH di un acido carbossilico con un atomo di alogeno (-Cl o -Br) Cloruro acilico con R’OH e si forma l’estere + HCl È una sostituzione nucleofila quindi si potrebbe ragionare analogamente a quello visto per gli alogenuri alchilici e parlare di reazione di sostituzione, in realtà questa reazione è un po’ diversa: è un’addizione al gruppo carbonilico, l’eliminazione del Cl, il risultato finale è una sostituzione nucleofila acilica. - ANIDRIDI à sono il prodotto della condensazione tra due molecole di acidi carbossilico - ESTERI à sono il prodotto della condensazione (unione con eliminazione di una molecola d’acqua) tra un alcol ed un acido carbossilico in ambiente acido 9 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 Amminoacidi e proteine Le proteine sono lunghe catene polimeriche lineari costituite da tanti blocchetti legati in sequenza uno dietro l'altro, questi blocchetti costituenti le proteine sono appunto gli amminoacidi. Dal punto di vista funzionale le proteine sono delle macromolecole e in particolare possono essere definite come le macromolecole più versatili dei sistemi viventi, questo perché le si trovano coinvolte con un ruolo importante e fondamentale in tutti i processi che avvengono a livello biologico. A seconda del tipo di funzione che le proteine svolgono nei processi biologici possono essere categorizzate in diverse famiglie. Esse possono: - Agire da catalizzatori (enzimi): una particolare famiglia di proteine che svolgono il ruolo di catalizzare le reazioni biologiche. - Trasportare o conservare altre molecole, come l’ossigeno (proteine di trasporto): rientrano in questa categoria ad esempio l’emoglobina, l’albumina e la mioglobina. - Fornire un supporto meccanico (proteine strutturali): le proteine strutturali sono proteine che svolgono un ruolo di supporto, vanno infatti a costituire delle sorte di impalcature. Un esempio è l'impalcatura della matrice extracellulare. Appartengono a questa categoria il collagene e la cheratina. - Fornire una protezione immunitaria (anticorpi): le proteine che entrano in gioco nei meccanismi della protezione immunitaria vanno sotto il nome di anticorpi. - Generare movimento (proteine contrattili): le proteine che partecipano ai processi biologici e che convergono verso la produzione di un movimento vanno sotto il nome di proteine contrattili e tra esse ci sono la miosina e l'actina. - Trasmettere impulsi nervosi: proteine coinvolte nei meccanismi di trasporto, come ad esempio il trasporto degli impulsi nervosi. Appartengono a questa categoria le proteine che costituiscono la pompa sodio-potassio e le proteine che vanno a costruire canali ionici. - Controllare la crescita e il differenziamento (fattori di crescita): proteine il cui ruolo fondamentale è quello di controllare e guidare i processi di crescita e di differenziamento cellulare, in questo caso si parla di fattori di crescita. Caratteristiche principali delle proteine 1. Dal punto di vista chimico le proteine sono dei polimeri lineari a blocchi costituiti da unità monomeriche che prendono il nome di amminoacidi. La funzione di una proteina dipende direttamente dalla sua struttura tridimensionale. Si ripiegano spontaneamente in strutture tridimensionali che sono determinate dalla sequenza di amminoacidi del polimero proteico. 1 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 Le proteine sono caratterizzate da diversi livelli strutturali. Si possono definire per ogni proteina diverse strutture: la primaria, la secondaria, la terziaria ed eventualmente quaternaria. Ogni grado strutturale va a definire una delle caratteristiche delle proteine, parlando della struttura primaria si va a definire quali sono gli amminoacidi costituenti quella proteina e in che ordine sono legati tra di loro, passando a una struttura terziaria si va a caratterizzare la proteina in termini di organizzazione spaziale (nello spazio tridimensionale) cioè come la catena proteica è organizzata in 3D nella tridimensionalità. Questi diversi livelli strutturali sono estremamente concatenati tra loro, ogni livello va ad influenzare ciò che la proteina è nel livello successivo. Ad esempio ciò che la proteina è nella tridimensionalità (la sua organizzazione nello spazio tridimensionale) è determinato dalla sequenza degli amminoacidi, quindi la struttura terziaria è strettamente legata e determinata da quella che è la struttura primaria, cioè la sequenza degli amminoacidi. A determinare strettamente la funzionalità delle proteine e il ruolo che esse svolgono nei processi biologici è proprio la struttura terziaria, ovvero il modo in cui la catena proteica si organizza nello spazio. In questa immagine una proteina (la cui funzione è data dalla struttura) è coinvolta nella macchina molecolare della replicazione del DNA. Questa proteina svolge un ruolo molto importante poiché ha una forma circolare in cui tiene ferma la doppia elica del DNA nella posizione corretta durante il processo di replicazione. La struttura della proteina permette a grandi segmenti del DNA di poter essere copiati senza che il macchinario per la replicazione si dissoci. Quindi a determinare la funzione che le proteine svolgono nei processi biologici è la loro struttura tridimensionale (struttura terziaria) che ha poi un livello strutturale successivo nella struttura quaternaria che però non è presente in tutte le proteine. 2. Le proteine contengono diversi gruppi funzionali: gli amminoacidi contengono diversi gruppi funzionali e questi gruppi a loro volta vengono poi esposti lungo le catene proteiche. Tra i diversi gruppi funzionali che si possono incontrare si ricordano i gruppi degli alcoli (OH), il tiolo (SH), tioesteri, acidi carbossilici, carbossamidi e altri diversi gruppi basici come il gruppo NH2. Questi gruppi giocano un ruolo molto importante nel determinare le funzioni delle proteine, dal momento che essendo dei gruppi funzionali reattivi compartecipano alle reazioni che avvengono nei processi biologici. La reattività chimica di questi gruppi è essenziale per l’attività degli enzimi, dal momento che l’enzima catalizza le reazioni e nel catalizzarle sfrutta spesso i gruppi funzionali che sono esposti dagli aminoacidi che lo costituiscono. 2 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 3. Le proteine possono interagire le une con le altre e con altre macromolecole biologiche per formare strutture complesse: esiste infatti la possibilità di una struttura quaternaria che altro non è che un grosso complesso proteico costituito da tante unità proteiche che interagiscono tra loro. Alcune proteine possono associarsi ad altre macromolecole biologiche per creare delle strutture complesse che svolgono attività particolari. La capacità delle proteine di interagire fortemente con le altre macromolecole o con altre proteine porta alla creazione di strutture altamente complesse, altamente specifiche e altamente funzionali, alcuni esempi sono la macchina molecolare responsabile della replicazione del DNA, la trasmissione dei segnali all’interno della cellula e molti altri processi fondamentali. 4. Alcune proteine sono rigide, mentre altre sono relativamente flessibili: a seconda di quali sono gli amminoacidi costituenti le proteine e come la catena amminoacidica costituente si organizza nello spazio, si possono distinguere in proteine che hanno un comportamento più rigido e proteine che invece hanno un comportamento flessibile. Questa rigidezza o flessibilità è strettamente legata al ruolo che poi esse svolgono all'interno dell'organismo. Si ha a che fare con proteine che hanno una conformazione più rigida quando facciamo riferimento a proteine che svolgono un ruolo di tipo strutturale, quali quelle che vanno a costituire il citoscheletro (l’ossatura interna della cellula) piuttosto che il tessuto connettivo. Le proteine che invece hanno una struttura più flessibile possono agire come dei cardini, come delle molle o delle leve essenziali per l’associazione delle proteine tra loro o con altre macromolecole, e per la trasmissione delle informazioni all’interno della cellula o tra cellule e cellule. In questa figura è riportato l'esempio della proteina lattoferrina. Questa proteina cambia la sua conformazione in base al fatto che alloggi o meno un atomo di ferro. Nella sua conformazione libera tende ad essere aperta infatti ha la sede che andrà ad ospitare l'atomo di ferro. Nel momento in cui l'atomo di ferro entra, la configurazione della proteina cambia e questo cambiamento fa sì che a livello biologico le altre macromolecole possano immediatamente capire se la lattoferrina in quel momento ha o meno l'atomo di ferro all'interno della propria sede. Il fatto di avere a che fare con proteine particolarmente flessibili offre tra i vari vantaggi anche la possibilità di avere delle variazioni conformazionali che portano, a livello biologico, alla possibilità di capire subito se la proteina è o meno in una conformazione piuttosto che in un’altra. Nell’esempio della lattoferrina, se la proteina sta o meno legando l'atomo di ferro. 3 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 Amminoacidi Gli amminoacidi sono gli elementi costituenti le proteine, quest’ultime sono dunque dei polimeri costituiti da amminoacidi. Il legame che intercorre tra un amminoacido e quello successivo è chiamato legame ammidico peptidico (immaginare un treno di amminoacidi), perciò dal punto di vista chimico le proteine sono anche definite come delle poliammidi per mettere in evidenza la natura del legame che intercorre tra i vari elementi costituenti. Gli elementi costituenti sono gli amminoacidi. Di solito si parla di α-amminoacidi, questo prefisso α- va indicare che l'atomo di carbonio centrale costituente gli amminoacidi è un atomo di carbonio α. Si parla di atomo di carbonio α quando si tratta di un atomo di carbonio adiacente ad un gruppo carbossilico. La figura qui riportata va a schematizzare quella che è la struttura che caratterizza gli amminoacidi. Tutti gli amminoacidi hanno una struttura tipo: un carbonio centrale (α) a cui sono legati quattro sostituenti, quali un gruppo carbossilico (COOH), un atomo di idrogeno, un gruppo amminico (NH2) e un ultimo gruppo chiamato genericamente gruppo R che va ad identificare la catena laterale. Sarà proprio la natura chimica della catena laterale R a determinare e caratterizzare ciascun amminoacido. Data la disposizione a tetraedro dei quattro gruppi diversi intorno all’atomo di carbonio α, gli amminoacidi sono molecole chirali, questo vale per tutti gli amminoacidi ad eccezione di uno che è la glicina. La glicina è un’eccezione poiché il suo atomo di carbonio centrale, essendo legato a due atomi di idrogeno non è uno stereocentro. Parlare di carbonio chirale o molecole chirali fa riferimento ad un carbonio che ha legato a sé quattro sostituenti differenti. In questa molecola che si sta prendendo in esame non è sovrapponibile in alcun modo alla sua immagine speculare, un esempio tipico è la mano destra e la mano sinistra che sono uno l'immagine speculare dell'altra ma non possono in alcun modo sovrapporsi. Invece quando una molecola è sovrapponibile alla propria immagine speculare attraverso delle operazioni di traslazione e rotazione allora si parla di molecole achirali. Un altro modo per distinguere le molecole o gli oggetti achirali da quelli chirali è fare delle considerazioni sulla eventuale presenza di un piano di simmetria. Quando si parla di molecole chirali si fa riferimento a delle molecole per i quali non è possibile identificare un piano di simmetria, ad esempio nel caso della mano non è possibile in alcun modo definire un piano di simmetria su di essa. Diversamente quando facciamo riferimento a molecole o oggetti chirali è possibile identificare un piano di simmetria. 4 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 Nell'immagine riportata si trova un esempio di oggetto achirale (una flask , beuta in italiano ed è un tipo di contenitori utilizzati nei laboratori chimici), trattandosi di un contenitore che ha una simmetria risulta sovrapponibile alla propria immagine speculare ed è possibile anche identificare un piano di simmetria, per questo si parla di oggetto achirale. Quando abbiamo a che fare con due molecole identiche in tutto, salvo l'essere una l'immagine speculare dell’altra tra loro non sovrapponibili, si parla di enantiomeri. Per quanto riguarda le proprietà fisiche gli enantiomeri differiscono unicamente per il potere rotatorio, quest’ultimo è identico in termini numerici quindi in valore assoluto, ma è opposto di segno. Per definire il potere rotatorio in una molecola organica si utilizzano degli strumenti che si chiamano polarimetro. Nei polarimetri c'è una sorgente luminosa che va a creare una luce non polarizzata che attraverso un polarizzatore diventa una luce polarizzata, quest’ultima viene messa in contatto all'interno di un tubo porta campione con la molecola organica che si sta caratterizzando e si va a misurare di quanto viene ruotata questa luce polarizzata in presenza della molecola organica. Quando si ha a che fare con degli enantiomeri, l'entità di rotazione della luce polarizzata è uguale quindi stiamo parlando di intensità di rotazione uguali in termini assoluti, per un enantiomero la rotazione è in verso orario mentre per l’altro enantiomero la rotazione è in verso antiorario. Questa è l'unica differenza in termini di proprietà fisiche. Per convenzione se la rotazione del piano è in senso orario, si attribuisce il segno ed il composto è definito destrogiro D, se invece la rotazione è in senso antiorario si attribuisce il segno ed il composto si dice levogiro, L. L’entità della rotazione del piano della luce polarizzata è detta potere rotatorio. Si definisce potere rotatorio specifico [α] la rotazione osservata con un campione di concentrazione 1g/ml, con un cammino ottico di 1dm, a 20°C, utilizzando una luce di lunghezza d’onda di circa 589 nm: 5 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 Per quanto riguarda le proprietà chimiche gli enantiomeri mostrano lo stesso comportamento chimico nei confronti di sostanze non chirali, quando invece si trovano ad interagire con altre molecole chirali rispondono in maniera differente e per questo quando gli enantiomeri vanno ad interagire chimicamente con altre molecole chirali si parla di reazioni stereospecifiche (cioè reazioni che seguono vie diverse a seconda delle molecole chirali che si trovano ad interagire tra di loro). Convenzioni di nomenclatura degli enantiomeri Per distinguere gli enantiomeri si possono utilizzare diverse convenzioni: - una convenzione relativa che distingue l’enantiomero con la lettera D o L - una convenzione assoluta che distingue l’enantiomero con una lettera R o S Convenzione relativa: fa riferimento alle proiezioni di Fischer secondo le quali si ha una sorta di croce al cui centro c'è il carbonio α. Il gruppo carbossilico, essendo il gruppo più ossidato, si deve posizionare in alto, la catena laterale si posiziona in basso e a determinare il fatto che la configurazione sia una configurazione L piuttosto che una configurazione D è la posizione del gruppo amminico. In particolare se il gruppo amminico si trova a sinistra parliamo di una configurazione di tipo L se invece il gruppo amminico si trova a destra rispetto al carbonio α si parla di una configurazione di tipo D. Tutti gli amminoacidi naturali presenti all'interno degli organismi sono in configurazione di tipo L. Il motivo che sta dietro la presenza di questa configurazione piuttosto che dell'altra è cosa non nota, nel senso che sembra che durante i processi evolutivi, ad un certo punto senza un razionale ben definito e preciso, ci sia stata una preferenza nei confronti degli isomeri con configurazione L rispetto agli isomeri con configurazione D, quindi a un certo punto dei processi evolutivi è stata fatta una selezione casuale nei confronti degli isomeri L che ha portato progressivamente alla completa eliminazione degli isomeri D. Di fatto tutti gli amminoacidi naturali sono nella configurazione L. Convenzione assoluta: la maggior parte degli L amminoacidi presenta una configurazione di tipo S, ciò significa che la freccia che va ad unire i sostituenti da quello a priorità più alta verso quello a priorità più bassa segue un verso di tipo antiorario. 6 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 Classificazione degli amminoacidi Gli amminoacidi hanno tutti una struttura comune e differiscono solo ed unicamente per la natura della catena laterale R. A seconda della catena laterale R è possibile distinguere 20 diversi tipi di amminoacidi, questo implica che esistono 20 diversi tipi di catene laterali che differiscono tra loro in dimensioni, carica, reattività e tendenza a formare legami idrogeno. La notevole varietà di funzioni svolta dalle proteine è resa possibile dalla diversità e dalla versatilità chimica di questi 20 tipi di unità base. È possibile distinguere gli amminoacidi in 5 categorie sulla base delle proprietà dei gruppi R, utilizzando in particolare la loro polarità, cioè la loro tendenza ad interagire con l’acqua a pH fisiologico. A sinistra si ha l'elenco di queste 5 classificazioni, a destra la tabella in cui sono identificati diversi amminoacidi che appartengono a ciascuna categoria. In particolare abbiamo amminoacidi che hanno gruppo R Alifatico non polare, amminoacidi con R aromatico, amminoacidi con catena laterale popolare ma non carica, amminoacidi con catena laterale carica negativamente e amminoacidi con catena laterale carica positivamente. 7 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 Natura degli amminoacidi - Amminoacidi con catena laterale R alifatica non polare (per questa categoria è necessario ricordare le caratteristiche ma non l'elenco di tutti gli aminoacidi che ne fanno parte): avere catena laterale R alifatica non polare significa avere delle catene laterali che hanno un comportamento non polare cioè idrofobico. Questi amminoacidi sono poco amanti degli ambienti acquosi, ciò comporta che quando essi si vengono a trovare lungo la catena proteica tendono in qualche misura a raggrupparsi verso l'interno della proteina in modo tale da minimizzare il contatto con l'acqua e a massimizzare l'interazione tra essi. Interazione che tra queste catene laterali, essendo esse di natura idrofobica, viene proprio tramite interazioni di tipo idrofobico. Un esempio sono le micelle, ovvero quelle strutture sferiche in cui le catene polimeriche si organizzano in modo tale da avere un core idrofobico e uno shell idrofilico e questo deriva dal fatto che, in una configurazione di questo tipo, tutto ciò che idrofilico massimizza il contatto con l'ambiente acquoso (perché c’è affinità), mentre tutto ciò che è idrofobico tende a stare verso l'interno e minimizzare il contatto con l'acqua. Le catene laterali di questi aminoacidi compiono un’azione di questo tipo, cioè tendono ad aggregarsi tra di loro creando delle sorte di cluster idrofobici che interagiscono fortemente tra loro con interazioni di tipo idrofobico. L’interazione di tipo idrofobico è un’interazione che concorre alla stabilizzazione delle strutture tridimensionali delle proteine. Per le strutture terziarie e quaternarie l'interazione di tipo idrofobico sarà uno dei tipi di interazione che vengono sfruttati per stabilizzare l'impalcatura tridimensionale delle proteine. Amminoacidi appartenenti a questa categoria: La glicina è l'unico amminoacido non chirale perché non ha quattro sostituenti diversi ma ci sono due idrogeni quindi perde la chiralità. l’isoleucina: la cui catena laterale contiene un altro centro chirale (contiene quindi due carboni chirali). Nelle proteine è presente uno solo degli isomeri possibili. 8 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 La prolina: ha una catena laterale sempre alifatica ma con una conformazione ciclica. - (va ricordato anche l’elenco degli amminoacidi che ne fanno parte). Amminoacidi con catena laterale di tipo aromatico. La fenilalanina, la tirosina e il triptofano presentano tutti l'anello aromatico come elemento caratterizzante delle loro catene laterali. Le catene laterali degli amminoacidi aromatici sono tendenzialmente non polari e quindi presentano anch’esse un comportamento di tipo idrofobico. Fa eccezione la catena laterale della tirosina che, avendo quel gruppo ossidrile (OH), fornisce all’amminoacido una natura leggermente meno polare e lo rende anche capace di partecipare alla formazione di legami a idrogeno, inoltre agisce come gruppo funzionale importante in alcuni enzimi. Questi amminoacidi hanno la capacità di interagire con la luce ultravioletta. In generale quando gli amminoacidi vengono colpiti con una luce nel campo del visibile, quindi sopra i 400 nanometri, non avviene mai alcuna interazione e ciò significa che gli amminoacidi sono delle molecole trasparenti alla luce visibile. Invece quando vengono colpiti con una luce nel campo dell'UV il loro comportamento è diverso, in particolare se colpiti con delle interazioni a bassa lunghezza d'onda, intorno ai 210 nanometri, tutti gli amminoacidi rispondono. Tutti gli amminoacidi sono in grado di interagire con una radiazione luminosa di lunghezza d'onda intorno a 210 nanometri. Spostandosi da questo valore, nessun amminoacido risponde tranne gli quelli con R aromatico, infatti questi ultimi a differenza di tutti gli altri hanno la capacità di interagire con la luce 9 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 ultravioletta anche a un'altra lunghezza d'onda rispetto ai 210 nanometri, questo perché gli anelli aromatici di questi amminoacidi contengono nuvole di elettroni π delocalizzate che assorbono la luce ultravioletta. In particolare nel caso della fenilalanina il massimo dell’interazione si ha quando l’amminoacido viene colpito da una radiazione a 260 nanometri mentre nel caso della tirosina e del triptofano l'interazione massima si ha quando la luce è ad una lunghezza d'onda di 280 nanometri. (delle successive due categorie bisogna ricordare gli amminoacidi appartenenti) - Amminoacidi con R carico negativamente Questa categoria comprende solo due amminoacidi quali: l’acido glutammico e acido aspartico, anche identificati come glutammato e aspartato. I secondi due nomi derivano dalla forma che gli amminoacidi assumono quando si trovano a pH fisiologico, in questa condizione tendenzialmente le catene sono cariche negativamente. - Gruppo R carico positivamente: di questa categoria ne fanno parte 3 amminoacidi: la lisina, l’arginina e l’istidina. Sono amminoacidi con catena laterale molto polare che li rende idrofilici. A differenza delle categorie precedenti sono amanti dell'acqua infatti sono anche più facilmente solubili in soluzioni acquose. Hanno la caratteristica di presentare, lungo la loro 10 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 catena, dei gruppi funzionale che possono in determinate condizioni assumere una carica positiva. Ad esempio la lisina ha una catena laterale che termina con un gruppo amminico che in determinate condizioni può passare dall’essere un gruppo NH2 ad essere un gruppo NH3+. La lisina e l’arginina hanno lunghe catene laterali cariche positivamente a pH neutro; la prima possiede un gruppo amminico primario terminale, la seconda un gruppo guanidinico. L’istidina contiene un gruppo imidazolico, un anello aromatico che può anch’esso essere carico positivamente. - (Non è necessario ricordare gli amminoacidi appartenenti) Amminoacidi con catena laterale R polare ma non carica: si tratta di amminoacidi amanti dell'acqua e molto solubili in soluzione acquosa. Non carichi significa che le catene laterali di questi amminoacidi non hanno al proprio interno dei gruppi che possono assumere delle cariche positive o negative. Tra questi si ricorda in particolare la cisteina che ha la caratteristica di avere la catena laterale che termina con un gruppo tiolo SH.Questo gruppo (molto reattivo) è particolarmente importante perché quando due gruppi tiolo, quindi quando due residui di cisteina, si trovano vicini tendono a reagire molto facilmente tra loro dando origine a quelli che si chiamano ponti disolfuro (molto idrofobici). I ponti disolfuro sono dei legami covalenti, presenti in molte proteine, che vanno anch'essi a svolgere un ruolo molto importante nel processo di stabilizzazione delle proteine. Quando si parla di stabilizzazione delle proteine si fa riferimento ad una stabilizzazione che può avvenire tramite legami non covalenti. D’altra parte esiste anche un contributo alla stabilizzazione nello 11 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 spazio tridimensionale dei complessi proteici che può derivare dalla formazione di legami covalenti nella forma di Ponti disolfuro. Questi ultimi derivano dalla reazione tra due gruppi tiolo, quindi tra due gruppi SH di due cisteine che vengono a trovarsi vicino e che quindi reagiscono tra di loro dando il legame S-S che è il ponte disolfuro. Classificazione degli amminoacidi in base alla funzionalità: Dal punto di vista funzionale gli amminoacidi possono essere categorizzati in tre diverse famiglie: amminoacidi essenziali, non-essenziali e semi-essenziali. - Gli amminoacidi essenziali sono definiti tali perché possono essere introdotti all'interno dell'organismo solo ed unicamente attraverso la dieta, quindi l’organismo non è in grado di sintetizzarli autonomamente. Nell’adulto gli amminoacidi essenziali sono 8: leucina, isoleucina, fenilalanina, lisina, metionina, treonina, triptofano e valina. Arginina, cisteina, istidina, e tirosina sono essenziali durante l’infanzia e lo sviluppo. - Gli amminoacidi non-essenziali sono quelli che l’organismo, in condizioni fisiologiche, è in grado di sintetizzare in maniera autonoma in quantità adeguate. - Gli amminoacidi semi-essenziali l’organismo è in grado di sintetizzarli ma per poterlo fare deve avere la “materia prima” e questa è un amminoacido essenziale. Quindi i semi-essenziali sono amminoacidi che l’organismo sintetizza da solo, purché tramite la dieta ci sia stata un’assunzione adeguata di amminoacidi essenziali che vanno a fungere da materia prima per la sintesi dei semi-essenziali. Gli amminoacidi semi-essenziali sono la tirosina e la cisteina che possono venire sintetizzati dall’organismo a partire dalla fenilalanina e metionina. Comportamento degli amminoacidi in ambiente fisiologico Gli amminoacidi hanno tutti una struttura comune e differiscono solo per la catena laterale R, dunque soffermandosi sulla struttura comune degli amminoacidi si può dire che gli amminoacidi presentano sicuramente dei gruppi che possono assumere delle cariche. I gruppi che sicuramente possono assumere delle cariche sono il gruppo amminico e il gruppo carbossilico: il gruppo amminico può protonare in certe condizioni e diventare da NH2 a NH3+, così come il gruppo carbossilico può invece deprotonare passando da COOH a COO- , quindi negli amminoacidi possono sicuramente comparire delle cariche. In realtà per alcuni amminoacidi, ovvero quelli che hanno la catena laterale che può caricarsi (amminoacidi acidi e amminoacidi basici), esiste un'ulteriore possibilità di ionizzazione a carico della catena laterale che può assumere anch’essa una carica positiva negli amminoacidi basici e negativa negli amminoacidi di tipo acido. 12 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 In generale gli amminoacidi quando si trovano in soluzione acquosa ad un pH neutro si presentano nella forma di ioni dipolari (o zwitterioni). Ciò significa che assumono una configurazione simile a quella schematizzata in azzurro in figura, cioè hanno il gruppo amminico nella forma protonata (-NH3+) e il gruppo carbossilico nella forma dissociata o deprotonata (-COO-). Nei vari distretti dell'organismo il pH non è sempre tendente ad un valore neutro e di conseguenza gli amminoacidi cambiano il loro comportamento e il loro grado di protonazione e deprotonazione in base all'ambiente in cui si vengono a trovare, quindi in base al pH si possono avere diverse forme che l’amminoacido può assumere. A pH molto bassi i fenomeni che prevalgono sono dei fenomeni di protonazione, in questo caso i gruppi tendono ad acquistare un protone e questo implica che la forma principale in cui l’amminoacido è presente è la forma che in figura è identificata con il rosso; si avrà che il gruppo amminico è nella forma protonata NH3+ e il gruppo carbossilico si presenterà nella forma COOH. Muovendosi lungo l'asse delle ascisse, quindi aumentando il pH, la curva rossa (quella associata alla forma rossa dell'aminoacido) diminuisce gradualmente; questo perché man mano che aumenta il pH iniziano a manifestarsi dei fenomeni di deprotonazione che sono infatti i fenomeni caratteristici dei pH più alti. Quindi più si aumenta il pH più la forma rossa va via via diminuendo e si viene a creare una nuova forma che è la forma azzurra. Questa configurazione di amminoacido si forma perché il primo gruppo che deprotona è il gruppo carbossilico, questo perché il gruppo carbossilico è il gruppo più acido e quindi tende a deprotonare per primo. Dunque man mano che aumenta il pH la forma rossa progressivamente diminuisce per dare spazio alla forma azzurra che si trova come forma predominante quando ci si trova nell’intorno del pH neutro. Se si aumenta ulteriormente il pH, ad un certo punto, anche il gruppo amminico inizierà a deprotonarsi e qui inizierà a manifestarsi un'altra forma di amminoacido che è la forma identificata con il colore verde. In questa forma si avrà il gruppo amminico deprotonato che da 13 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 NH3+ diventa un NH2 e il gruppo carbossilico, che si era già deprotonato prima, continua ad essere nella forma COO-. Nel momento in cui inizia a deprotonarsi il gruppo amminico l’amminoacido nella forma zwitterionica (cioè quella azzurra) inizia a diminuire mentre inizia progressivamente ad aumentare la concentrazione della forma verde, ovvero la forma in cui entrambi i gruppi amminico e carbossilico sono nella forma deprotonata. Il passaggio da una forma all'altra, come si evince da queste curve, non è un passaggio immediato ma è un qualcosa che avviene progressivamente man mano che il pH aumenta o diminuisce, quindi di fatto si ha una coesistenza di forme diverse che l’amminoacido assume in base al pH in cui si trova. Essendo il plateau della forma azzurra abbastanza ampio, in condizioni di pH neutro la forma che prevale è la forma di ione dipolare (zwitterionica). Le intersezioni delle curve sono dei punti caratteristici in corrispondenza dei quali i costituenti all’interno della soluzione si trovano in una quantità pari (50% e 50%). Nell’intersezione tra la curva rossa e la curva blu un 50% di amminoacidi hanno tutti i gruppi nella forma protonata (identificata nel grafico col rosso) e un 50% di amminoacidi si trovano nella forma zwitterionica. In maniera analoga si può fare il ragionamento sull’intersezione tra la curva blu e la curva verde. Importanza dell’esistenza della forma dipolare degli amminoacidi Il fatto che gli amminoacidi siano in grado di cambiare così velocemente la loro carica e quindi lo stato di protonazione dei loro gruppi giustifica quelle che sono le proprietà sia fisiche che chimiche di questi composti. Infatti dal punto di vista fisico il fatto di avere questa struttura ionica dipolare determina l'elevata cristallinità, gli elevati punti di fusione degli amminoacidi e anche la loro solubilità in acqua e insolubilità nei solventi polari. In termini di proprietà chimiche la struttura ionica dipolare fa sì che gli amminoacidi siano caratterizzati da un comportamento anfotero e quindi siano in grado di reagire sia con gli acidi che con le basi. In base al pH gli amminoacidi hanno struttura ionica differente, a pH molto bassi vale la forma in cui tutti i gruppi sono protonati, in cui l’amminico è nella forma NH3+ e il gruppo carbossilico è nella forma COOH. Se aumentiamo il PH il gruppo carbossilico inizia a deprotonarsi e quindi possiamo avere quella che chiamiamo forma zwitterionica o di ione dipolare in cui il gruppo amminico continua ad essere protonato nella forma NH3+e il gruppo carbossilico è deprotonato nella forma COO-. Aumentando ulteriormente il pH si arriva nella condizione in cui anche il gruppo amminico deprotona e quindi si avrà un amminoacido che avrà il gruppo amminico nella forma NH2 , il gruppo carbossilico si era già deprotonato quindi continua ad essere tale nella forma COO-. Il passaggio da una forma all'altra è determinato dall'aumento del pH, in particolare affinché un gruppo inizi a deprotonarsi, man mano che aumenta il pH, è necessario che venga superato un valore soglia di pH che va sotto il nome di pKa (costante di dissociazione acida, specifica del gruppo, i cui valori sono tabellati). Nel momento in cui il gruppo carbossilico inizia a deprotonarsi passando da COOH a COO- significa che è stato superato quel valore critico di pH che è la pKa del 14 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 gruppo carbossilico, grazie alla quale il gruppo carbossilico inizia a dissociarsi. Lo stesso vale poi per il gruppo amminico. Il pKa del gruppo carbossilico si localizza intorno a valori di pH uguale a 2 mentre quella del gruppo amminico si trova a pH molto più alti, nell’intorno di 9. Osservando le tre forme che l’amminoacido può assumere e facendo una somma algebrica delle cariche esposte si può notare che a pH molto bassi prevalgono delle cariche positive mentre a pH molto alti prevalgono delle cariche negative. Nella forma zwitterionica facendo una somma algebrica delle cariche si ha che la carica tende a zero. Esiste un valore particolare di pH in corrispondenza del quale la somma algebrica delle cariche presenti (la carica netta) è perfettamente zero. Questo particolare valore di pH prende il nome di punto isoelettrico (PI), perciò quando si parla di punto isoelettrico si fa riferimento al valore di pH in corrispondenza del quale la somma algebrica delle cariche presenti va perfettamente a zero. Non appena ci si sposta da questo valore di pH andando verso valori di pH maggiori del punto isoelettrico iniziano a comparire delle cariche di segno negativo, invece a pH minore del punto isoelettrico iniziano a comparire delle cariche di segno positivo e queste cariche negative e positive tenderanno ad aumentare di intensità man mano che ci si allontana dal punto isoelettrico. Determinazione del punto isoelettrico degli amminoacidi Tutti gli amminoacidi hanno sicuramente due gruppi che possono assumere carica, questi sono il gruppo amminico che quando protona diventa NH3+ e il gruppo carbossilico che nel deprotonarsi diventa COO- (in questo caso R si definisce non ionizzabile). In realtà esistono anche degli amminoacidi che possono assumere carica nella catena laterale e sono gli amminoacidi che hanno R carico positivamente (la lisina, l’arginina e l’istidina) e gli amminoacidi che hanno R carico negativamente (acido aspartico ed acido glutammico). A seconda di quale delle tre famiglie viene presa in considerazione cambia l’approccio utilizzato per determinare il punto isoelettrico. 15 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 Per definire sperimentalmente il punto isoelettrico di un amminoacido si devono fare degli esperimenti di titolazione acido-base, in cui si va a monitorare come cambia il pH man mano che si aggiunge all'interno del campione quantità crescenti di una base. Caso di amminoacidi con catena laterale non ionizzabile (tutti tranne lisina, arginina, istidina, acido glutammico e acido aspartico), questi amminoacidi sono definiti acidi diprotici e possono deprotonare due volte. Procedendo con la titolazione acido-base e andando a graficare il valore di pH in funzione degli equivalenti di OH-, cioè in funzione della quantità di base che si aggiunge, si ottiene una curva come quella qui riportata (caso specifico della glicina, però gli andamenti sono sempre gli stessi). Sull’asse delle ordinate è posto il pH mentre sull’asse delle ascisse gli equivalenti di titolazione (una base come NaOH). All’inizio della titolazione l’amminoacido è in forma cationica e, per aggiunte graduali di OH il gruppo carbossilico incomincia a deprotonare: ciò significa che la forma zwitterionica ha cominciato a coesistere con la cationica. Inoltre si possono identificare due regioni che tendono verso un plateau cioè dove il pH aumenta molto lentamente sebbene si vada ad aumentare la quantità di base presente. In corrispondenza di questi plateau si vanno a posizionare i valori delle pKa. Il primo plateau identifica la pKa del gruppo carbossilico che è il primo gruppo che dissocia perché è il più acido, mentre sopra si trova la pKa del gruppo amminico che è l'ultimo gruppo che va a dissociare. Nella parte centrale, tra questi due valori di pKa, c'è una zona in cui l'andamento è quasi verticale e che identifica un repentino aumento del pH. In quest’ultima regione (centrale) si trova il punto isoelettrico e matematicamente si trova nel valore medio tra i valori di pKa del gruppo carbossilico e del gruppo amminico. Dunque per gli amminoacidi con catena laterale non ionizzabile il punto isoelettrico è la media aritmetica dei valori di pKa del gruppo carbossilico e del gruppo amminico. In questo caso il punto isoelettrico è la media tra 2,34 e 9,6. Caso di amminoacidi con catena laterale ionizzabile positivamente (lisina, istidina e arginina) e con catena laterale ionizzabile negativamente (catena acida). Alcuni di questi amminoacidi possono essere considerati triprotici se, in aggiunta ai due gruppi ionizzabili, sono presenti protoni dissociabili nel gruppo R che può essere a sua volta acido o basico. 16 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 In questo esempio si considera l’istidina, ma il modo di ragionare è analogo per tutti e tre gli amminoacidi. Figura 1: A pH molto basso prevalgono i fenomeni di protonazione, cioè tutti i gruppi che possono protonare sono protonati, infatti il gruppo amminico è nella forma NH3+, il gruppo carbossilico è nella forma COOH e la catena laterale, essendo anch'essa protonabile, è nella forma in cui presenta una carica positiva (perché la catena laterale dell'istidina può diventare carica positivamente). Facendo una somma delle cariche si nota una prevalenza di cariche fortemente positive. Aumentando ulteriormente il pH il primo gruppo che dissocia (deprotona) è il gruppo carbossilico (perché è il gruppo più acido) mentre il gruppo amminico rimane invariato e il gruppo della catena laterale continua ad essere positivo. Aumentando ancora il pH si va poi incontro alla deprotonazione della catena laterale, dunque superiamo il pKa della catena laterale che in questo caso vale 6. Si avrà che il gruppo carbossilico si è già deprotonato ed è quindi nella forma COO- , il gruppo amminico non si è deprotonato e quindi è nella forma NH3+ mentre la catena laterale si è deprotonata. Aumentando ancora il pH si raggiunge la condizione in cui anche il gruppo amminico deprotona perché viene superata la sua PKa, quindi il gruppo amminico passa anch’esso da essere NH3+ ad essere NH2. Questo tipo di amminoacidi può essere presente all'interno di una soluzione acquosa in quattro forme differenti a seconda del pH (riferimento alla figura 1): nella prima forma facendo una somma algebrica delle cariche prevalgono cariche di tipo positive, aumentando il pH continua a prevalere una forma di tipo carico sempre verso il positivo, aumentando ulteriormente si arriva alla terza forma in cui la somma algebrica delle cariche tende a zero. Questo si ottiene perché la 17 Lopreiato/Pusceddu 06 Bioingegneria chimica (Boffito) 15/10/2020 catena laterale è priva di carica, il gruppo carbossilico deprotonato espone una carica negativa e il gruppo amminico protonato espone una carica positiva, quindi si ha una carica positiva ed una carica negativa che tendono ad annullarsi. Aumentando ancora il pH iniziano invece a prevalere delle cariche di segno negativo, il punto isoelettrico si troverà quindi laddove è presente la forma di amminoacido la cui somma delle cariche tende verso lo zero ed è per questo che, per gli amminoacidi di questo tipo, il punto isoelettrico è la media dei valori di Pka più alti. Si hanno tre diverse pKa: quella del gruppo carbossilico, quella della catena laterale e quella del gruppo amminico e dei tre valori si prendono i due più grandi e si fa la media. Si prendono i due valori più grandi perché, nella successione delle varie specie ioniche che si possono avere, quella la cui carica tende a zero si va a posizionare in mezzo tra i due valori di pKa più alti e sono quello della catena laterale e quello del gruppo amminico poiché, in ordine, prima deprotona il COOH, poi deprotona la catena laterale e in ultimo deprotona il gruppo amminico. Caso degli amminoacidi acidi (l'acido glutammico e l'acido aspartico): il ragionamento è analogo a quello degli amminoacidi basici, ma in questo caso la specie per cui facendo la somma algebrica delle cariche ha una carica che tende a zero si trova tra i valori di pKa più bassi. Quindi per gli amminoacidi acidi il punto isoelettrico è la media dei valori di pKa più bassi, di nuovo avremo tre diversi valori e di questi si prendono i due più bassi e si fa la media. I due valori più bassi sono sempre la pKa del gruppo carbossilico e la pKa della catena laterale, questo perché l'ordine di deprotonazione dei gruppi, partendo dal pH più basso andando verso un valore più alto, parte sempre dal gruppo carbossilico, poi dissocia la catena laterale acida e in ultimo dissocia il gruppo amminico. Dovendo prendere i due valori più bassi si seleziona la pKa del gruppo carbossilico e la pKa della catena laterale. 18 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 RIPASSO AMMINOACIDI Durante le scorse lezioni si è parlato delle proteine, principalmente per quanto riguarda gli elementi costituenti le proteine, ovvero gli amminoacidi, e sono stati definiti dal punto di vista delle caratteristiche principali e ci si è soffermati in particolare sul loro comportamento in soluzione acquosa, focalizzandosi sulla caratteristica degli amminoacidi di cambiare la loro carica netta in funzione del pH dell’ambiente in cui si trovano. In particolare, è stato analizzato questo grafico che va a schematizzare le varie forme che un amminoacido può assumere. Questo è il caso più semplice, cioè quello di un amminoacido che presenta due gruppi ionizzabili (gruppo carbossilico e gruppo amminico). A pH molto bassi prevale la forma in rosso (protonazione, gruppo amminico -> NH₃⁺; gruppo carbossilico COOH. Forma caratterizzata da cariche positive), aumentando il pH, superata la pK a del gruppo carbossilico, inizia a comparire la specie in azzurro (zwitterione o ione dipolare, gruppo carbossilico inizia a deprotonarsi e da COOH -> COO⁻, gruppo amminico invariato. Forma caratterizzata da carica tendente a 0), aumentando ancora il pH e superando la pK a del gruppo amminico compare la specie in verde (gruppi deprotonati, gruppo amminico inizia a deprotonarsi e da NH₃⁺ -> NH₂; gruppo carbossilico COO⁻. Forma caratterizzata da carica negativa). Questi processi non sono del tipo on/off, cioè man mano che si aumenta il pH non si ha un passaggio netto di tutti gli amminoacidi da una forma all’altra, ma si ha una coesistenza di amminoacidi di entrambe le forme, in particolare nei punti di intersezione si ha una coesistenza di specie al 50 e 50. Per ogni amminoacido si può definire un punto caratteristico di pH, detto punto ISOELETTRICO, che è il valore di pH in corrispondenza del quale la somma di tutte le cariche presenti va a perfettamente a 0. Quando ci si sposta da questo punto iniziano a comparire delle cariche di segno positivo o negativo a seconda che si vada verso pH più bassi (positive) o più alti (negative). Le cariche diventano gradualmente più positive (o negative) all’allontanarsi dal punto isoelettrico verso pH più bassi (o più alti). Ci si è poi focalizzati su come vengono definiti i punti isoelettrici, si passa attraverso delle titolazioni se si vogliono calcolare sperimentalmente, attraverso le quali è possibile identificare delle formule adattabili ai vari tipi di amminoacidi. Gli amminoacidi possono essere di due nature: 1. Amminoacidi con la catena laterale non ionizzabile, nei quali solo il gruppo amminico e il gruppo carbossilico possono andare incontro a una comparsa di carica sia positiva che negativa. Ne è un esempio la glicina, in cui la curva di titolazione è semplice poiché ci sono due zone che tendono ad un plateau, ovvero le zone in cui si trovano le pK a, ed un punto di equivalenza in corrispondenza del punto isoelettrico; 2. Amminoacidi con catena laterale ionizzabile, in cui tre diversi gruppi che possono assumere carica, oltre al gruppo amminico e al gruppo carbossilico anche la catena laterale può assumere cariche positive o negative. Gli amminoacidi con catena laterale ionizzabile 1 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 vengono ulteriormente differenziati in quelli verso segno positivo e quelli verso segno negativo. Verso segno positivo: liesina, arginina, istidina, questi hanno tre pKa differenti, una per il gruppo carbossilico, una per la catena laterale e una per il gruppo amminico, questo ordine di pKa è anche l’ordine con cui i gruppi vanno a dissociare all’aumento del pH. Vengono chiamati anche amminoacidi basici. Per questo tipo di amminoacidi il punto isoelettrico è la media delle pKa con valori più alti, cioè quella della catena laterale e quella del gruppo amminico. Le curve di titolazione sono molto più complesse, abbiamo punti che tendono verso un leggero plateau più o meno evidente, corrispondenti ai punti delle pK a. Andando a ragionare su come i vari gruppi deprotonano, all’aumentare del pH possono essere identificate 4 specie diverse e il punto isoelettrico si trova tra la pK a della catena laterale e quella del gruppo amminico. Lungo la curva di titolazione ci sono dei punti in cui il pH tende leggermente ad impennare, detti punti di equivalenza, in questi troviamo che una delle specie (in base a quella che prevale) raggiunge la sua massima concentrazione. Amminoacidi ionizzabili verso segno negativo: acido glutammico, acido aspartico, andando a vedere come si susseguono le varie specie che si formano al variare del pH nel caso degli amminoacidi acidi il punto isoelettrico è la media dei valor pKa più bassi, cioè la pKa del gruppo carbossilico, il quale è sempre il primo a dissociare, e la pKa della catena laterale che è il secondo gruppo che dissocia. LE PROTEINE Le proteine sono polimeri naturali lineari costituiti da una successione di blocchetti simili tra loro, ogni blocchetto è un amminoacido e ogni amminoacido è legato a quello successivo tramite un legame detto legame peptidico/carbamidico/ammidico. In particolare, questo tipo di legame è un legame che si forma nel momento in cui un gruppo carbossilico di un amminoacido va a reagire con il gruppo amminico dell’amminoacido adiacente. La reazione che avviene (schematizzata nella foto a fianco) è una reazione di condensazione che comporta la perdita di una molecola di H₂O. Perdendo la molecola di H₂O, i due amminoacidi si legano tramite un legame peptidico che assume la forma CONH. Questa reazione è una reazione il cui equilibrio è spostato più verso l’idrolisi che verso la sintesi, significa cioè che se si analizza l’equilibrio, esso è più spostato verso la rottura del legame che avviene tramite idrolisi piuttosto che verso la formazione del legame. Ciò implica che affinché i legami peptidici possano formarsi c’è bisogno di fornire energia libera dall’esterno. I legami peptidici una volta formati sono particolarmente stabili e, per quanto l’equilibrio sia spostato verso l’idrolisi, non idrolizzano così facilmente. 2 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 Questa immagine riporta una breve sequenza di amminoacidi legati tra loro uno dopo l’altro. È possibile identificare un residuo (cerchiato in rosso) che va a ripetersi. Il residuo è formato dal carbonio α con il CO e il NH, che sono quello che restano dei gruppi carbossilico e amminico dopo la formazione del legame peptidico, e dalla catena laterale R. I residui che si susseguono uno dopo l’altro sono molto simili tra loro e differiscono, come gli amminoacidi di partenza, solo per la catena laterale R. Ci sono inoltre il residuo ammino-terminale (cerchiato in verde) e il residuo carbossi-terminale (cerchiato in blu), che hanno questi nomi per distinguerli dai residui interni alla catena, dal momento che l’ammino-terminale (residuo in cui il gruppo amminico è completo perché non ha legato l’altro amminoacido vicino) e il carbossi-terminale (residuo in cui il gruppo carbossilico è completo), essi infatti vanno a rappresentare gli estremi della catena polipeptidica. Una catena polipeptidica è caratterizzata da una polarità, questo deriva dal fatto che c’è un residuo ammino-terminale e un residuo carbossi-terminale. La presenza stessa di questi residui dà alla catena complessivamente una polarità perché su un residuo c’è un gruppo amminico e sull’altro un gruppo carbossilico. Ci sono però anche delle catene laterali che a seconda della loro natura potranno o meno contribuire alla definizione della polarità di una sequenza polipeptidica. Per convenzione, le catene polipeptidiche sono scritte secondo il verso nella figura, cioè il primo amminoacido che si legge nella sequenza è quello ammino-terminale e l’ultimo è il carbossi- terminale. C’è una successione di residui legati tra loro da legami peptidici, si può anche identificare quella che viene detta catena principale/scheletro covalente (è chiamata in questo modo perché va a caratterizzare tutte le proteine e tutte le sequenze polipeptidiche, cioè è l’elemento che accomuna tutte e che resta costante da una sequenza all’altra, visto che nelle sequenze polipeptidiche l’unica cosa che le differenzia è la catena laterale R), che è la successione di carboni α legati tra loro con legami peptidici. Si può parlare di catena polipeptidica quando si hanno catene con un numero di amminoacidi da 50 a 2000, mentre di parla di peptidi o oligopeptidi quando si ha una sequenza di amminoacidi con una sequenza di amminoacidi inferiore a 50. Lungo la catena sono presenti diversi gruppi che possono concorrere alla formazione di legami a idrogeno, in particolare infatti lungo lo scheletro covalente ci sono dei carbonili CO e dei gruppi amminici secondari NH che possono interagire tra loro o con altri gruppi funzionali presenti lungo la catena, andando a formare dei legami a idrogeno, questa è una delle forme di stabilizzazione delle strutture 3D delle catene: cioè nel momento in cui la catena polipeptidica va a organizzarsi nello spazio per dare origine alla struttura terziaria della proteina, si vanno ad instaurare delle interazioni deboli o covalenti che concorrono a dare stabilità all’impalcatura tridimensionale della macromolecola, specialmente la presenza dei gruppi CO ed NH sono elementi importanti poiché possono partecipare alla formazione di legami a idrogeno che sono una delle principali forme di stabilizzazione delle strutture dei costrutti proteici. 3 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 Si parla ora del legame peptidico e le sue caratteristiche principali, in primis il legame peptidico è essenzialmente planare, che significa che se si vanno a considerare due amminoacidi legati tra loro ci si trova con 6 atomi che sono localizzati tutti sullo stesso piano. Rispetto a questa immagine, è una raffigurazione della struttura che si ottiene legando due amminoacidi (carbonio (nero), azoto (azzurro), idrogeno (grigio), ossigeno (rosso), catene laterali (verde)). I 6 atomi che si trovano sullo stesso piano sono i due carboni α degli amminoacidi che si sono legati e ciò che è stato identificato come legame peptidico, cioè il carbonile CO e il gruppo amminico secondario NH. Quindi sostanzialmente il legame peptidico è planare perché se si considerano gli amminoacidi legati in sequenza uno dopo l’altro esso va a localizzarsi su un piano, mentre tutti gli altri gruppi (catene laterali e idrogeni) vanno a posizionarsi sopra o sotto il piano. Complessivamente il legame è privo di carica, cioè non può assumere cariche e non è ionizzabile, questo è importante perché se all’interno dei legami peptidici potessero comparire delle cariche, questo andrebbe a destabilizzare le strutture e impedirebbe, a causa delle forze di repulsione, di andare a organizzare delle proteine nello spazio in forma di strutture globulari compatte. Altra caratteristica è il fatto che esso possa assumere due configurazioni, una TRANS e una CIS. Nell’immagine la sbarretta rosa identifica il legame peptidico che si crea nel momento in cui viene eliminata la molecola d’acqua e avviene la reazione di condensazione. 1. Nella configurazione TRANS, gli atomi di carbonio α (cerchiati in rosso), si trovano in posizione opposta rispetto a legame peptidico (uno verso l’alto e uno verso il basso). 2. Nella configurazione CIS i due atomi di carbonio α (cerchiati in giallo), si trovano dalla stessa parte rispetto al legame peptidico (entrambi verso il basso). In realtà, tra le due configurazioni possibili alla fine sono tutti nella stessa configurazione, cioè quella TRANS, ciò deriva dalla necessità di minimizzare le interferenze steriche. Se si hanno i carboni α di amminoacidi vicini entrambi dalla stessa parte rispetto al legame peptidico, si vede come, soprattutto quando le catene laterali sono ingombranti, si possono avere delle interferenze di tipo sterico, cosa che si evita completamente andando a posizionarli in parti opposte (ogni catena può occupare lo spazio di cui ha bisogno). Le tre caratteristiche principali del legame peptidico sono quindi: natura planare, assenza di carica e la configurazione di tipo TRANS. Altra caratteristica del legame peptidico, sebbene sia un legame covalente semplice, è quella di comportarsi come un legame doppio, nel senso che dal punto di vista delle sue capacità di rotazione il suo comportamento è quello tipico del legame doppio. Quindi la rotazione intorno al legame peptidico è impossibile, di fatto il legame peptidico tra il gruppo carbossile e il gruppo NH essendo posizionato sul piano non può ruotare. Questo è importante perché di fatto va a limitare le conformazioni possibili che lo scheletro covalente può assumere e a sua volta è una caratteristica legata alla natura planare del legame. Se si iniziasse ad avere delle rotazioni rispetto al legame 4 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 peptidico si potrebbe andare incontro alla perdita della natura planare che caratterizza il legame stesso. Esistono altri legami sui quali possono avvenire rotazioni e questo è importante perché la catena polipeptidica va a organizzarsi nello spazio per dare origine a delle strutture 3D complesse e quindi in qualche modo la catena deve avere la possibilità di ripiegarsi su se stessa. Le rotazioni sono possibili su due legami semplici, in particolare una prima rotazione è possibile su legame che è presente sul legame tra l’azoto del gruppo amminico secondario e il carbonio α dell’amminoacido adiacente, in particolare l’angolo di rotazione prende il nome di phi (φ), l’altra rotazione è possibile nel legame tra il carbonio α e il carbonio del carbonile che va a costituire il legame peptidico, questo angolo di rotazione prende il nome di psi (ψ). I valori che phi e psi sono pochi e non valgono tutte le combinazioni esistenti, quindi solo alcune si manifestano. Questo dipende dal fatto che ci sono delle combinazioni di phi e psi che non sono favorite dal punto di vista sterico, cioè delle combinazioni di phi e psi che non si possono manifestare perché andrebbero a dare alla catena polipeptidica dei problemi di ingombro sterico tra i vari gruppi pendenti. In particolare, esiste un grafico, che prende il nome di grafico di Ramachandram, in cui sono riportati i valori di phi e psi e va a identificare con dei colori più o meno intensi le coppie di angoli che sono consentite. Le regioni più favorite sono quelle che hanno colori più intensi, dove non c’è colore non c’è la possibilità che la coppia phi-psi esista. Ad esempio, se si prende la coppia phi=120° e psi=-60°, si arriva in una regione dove non c’è colore e ciò vuol dire che quella combinazione phi-psi non è una configurazione possibile. Nelle zone verde chiaro ci sono delle configurazioni possibili, ma non molto favorite. Le zone dove le coppie phi-psi danno origine a combinazioni possibili, ma anche molto favorite dal punto di vista dell’organizzazione sterica dei vari gruppi pendenti, sono quelle con il colore verde più scuro. Di fatto, sebbene phi e psi possano assumere svariati valori tra -180° e 180°, esistono in realtà solo alcune coppie che effettivamente vanno a manifestarsi. Quindi la quarta caratteristica principale del legame peptidico è quella di avere le caratteristiche di un doppio legame, non permette delle rotazioni attorno a se stesso. 5 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 DEFINIZIONI PROTEINE SEMPLICI: costituite solo ed esclusivamente da amminoacidi; PROTEINE CONIUGATE: non comprendono solo amminoacidi, ma anche altri gruppi chimici funzionali associati a loro, questi gruppi vanno genericamente sotto il nome di GRUPPO PROSTETICO (parte non amminoacidica/non proteica delle proteine coniugate). Alcune proteine coniugate: Lipoproteine -> gruppo prostetico di natura lipidica; Glicoproteine -> gruppo prostetico è un carboidrato; Metallo proteinasi -> enzimi con gruppo prostetico di natura metallica. Esempi di proteine coniugate Le proteine possono assumere dimensioni diverse e quindi il peso molecolare varia significativamente da una proteina ad un'altra, ed è legato al numero di residui presenti lungo la sequenza, cioè più residui amminoacidici ci sono, più amminoacidi sono legati uno dopo l’altro a formare la proteina, più il peso molecolare aumenta. Ad esempio, l’albumina ha 609 residui ed un peso molecolare di 6600, ma ci sono proteine più piccole come il citocromo o i fattori di crescita che hanno spesso dei pesi molecolari dell’ordine di qualche migliaio di Dalton. STRUTTURE DELLE PROTEINE Le proteine sono caratterizzate da diversi livelli strutturali molto importanti per determinare la funzionalità delle proteine. Partendo dal basso e andando verso maggiore complessità, si possono distinguere 4 livelli strutturali di cui 3 sono sempre presenti. Si possono distinguere una struttura primaria, una secondaria, una terziaria ed eventualmente una quaternaria. STRUTTURA PRIMARIA La struttura primaria è il livello strutturale più basso ed è quello più semplice, perché quando si parla di struttura primaria si fa riferimento a quella che è semplicemente la sequenza di amminoacidi legati uno dopo l’altro. Quindi la catena polipeptidica o sequenza amminoacidica di cui si è parlato fino ad ora è la struttura primaria. È l’elenco degli amminoacidi in odine di legame uno dietro l’altro partendo per convenzione dall’ammino-terminale e arrivando fino al carbossi-terminale. La sequenza amminoacidica, cioè la struttura primaria delle proteine, è determinata geneticamente, 6 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 cioè come l’informazione contenuta all’interno del DNA viene poi a tradursi nella sintesi di una proteina. Si vedrà poi come ognuno dei 20 amminoacidi è codificato da specifiche sequenze di 3 nucleotidi determinate a livello dell’informazione genetica. È importante conoscere la struttura primaria perché è un elemento determinante della funzionalità delle proteine. Essa determina come le proteine si organizzano nello spazio, questo a sua volta definisce il meccanismo d’azione delle proteine. Le strutture sono tutte concatenate tra loro, ma il punto di partenza è la struttura primaria. Entra in gioco nella definizione del meccanismo d’azione e determina la struttura 3D. Se ci si riferisce a studi di base, la sequenza primaria dà delle informazioni sulla storia evolutiva che ha portato progressivamente all’ottivo, cioè alla definizione della proteina così come la si può estrarre oggi dai tessuti. È importante conoscere la struttura primaria perché piccole alterazioni della sequenza degli amminoacidi possono andare a produrre delle proteine non più funzionali e all’insorgenza di malattie, tra cui l’anemia falciforme e la fibrosi cistica, la cui insorgenza è legata ad una sostituzione di un amminoacido lungo la sequenza primaria di una proteina. Quindi saper risalire alla struttura primaria riveste un ruolo molto importante nello studio delle patologie. STRUTTURA SECONDARIA Si passa ora al grado di struttura successivo, si è detto che la struttura primaria è la sequenza degli amminoacidi che vanno ad organizzarsi poi nello spazio, in particolare si parla di struttura secondaria quando si fa riferimento a come localmente alcune porzioni della sequenza di amminoacidi si vanno a organizzare gli uni ripesto agli altri. Si è a livello di una organizzazione spaziale locale, cioè non è riferita alla proteina nel suo complesso, ma ad alcune brevi sequenze di amminoacidi lungo la catena polipeptidica. Le principali strutture secondarie sono 3: l’α-elica, il foglietto-β e la configurazione random coil. Esistono poi altre particolari strutture chiamate “strutture ultrasecondarie” che sono quelle che hanno il nome di “ripiegamenti β” e “anse Ω”. L’α-elica, raffigurata a lato, è una struttura in cui una porzione di amminoacidi lungo la sequenza polipeptidica va ad organizzarsi in una forma comunemente detta “a bastoncino”. In sostanza la catena polipeptidica va localmente ad arrotolarsi dando origine ad una struttura ad elica, in cui si nota che l’organizzazione e il posizionamento dei vari residui amminoacidici non è casuale. È importante che tutti i gruppi presenti nei vari residui vengano a posizionarsi in modo tale da: 1. evitare che ci siano problematiche di ingombro sterico, che impedirebbero all’elica di organizzarsi; 2. andare a posizionarsi in maniera tale da consentire la formazione di tutti quei legami non covalenti che vanno a concorrere alla stabilizzazione dell’α-elica stessa. Infatti, si nota che lungo l’elica sono presenti nei vari giri dei legami a idrogeno che si vanno ad instaurare (rappresentati dalle bacchette tratteggiate) tra il gruppo carbonile e il gruppo amminico secondario impegnati nel legame peptidico di amminoacidi che nell’elica che gira si trovano uno di fronte all’altro. Il CO di ciascun amminoacido è unito da un legame a idrogeno con il gruppo NH di un amminoacido che si trova 4 residui più avanti dopo la sequenza. Questo deriva dal fatto che ogni giro dell’elica comprende 3.6 residui amminoacidici. Altra caratteristica dell’elica è che ha un 7 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 avanzamento di 1.5 Å, cioè ogni volta che si aggiunge un amminoacido l’elica si allunga di 1.5 Å e ha un passo di 5.4 Å. Quando si parla di α-elica si può parlare di un’elica che ruota in senso orario o un’elica che ruota in senso antiorario, quindi il senso di avvitamento dell’elica può essere destrogiro o levogiro. In particolare, tra queste due forme quella più comune è l’elica destrogiro, infatti se si fa riferimento al grafico di Ramachandram, l’elica destrogira di trova in una zona del grafico colorata di un verde più intenso, mentre quella levogira si trova in una zona del grafico colorata di verde meno intenso. Questo significa che entrambe le forme dell’elica sono concepibili, cioè derivano da combinazioni possibili di phi e psi, ma di fatto poi quella più favorita e che si incontra più frequentemente nelle proteine è l’elica destrogira. Solitamente le eliche vengono rappresentate o come un’elica oppure come un bastoncino (modello a bastoncino). Le eliche a loro volta possono organizzarsi tra di loro dando origine a strutture più complesse derivanti dal fatto che le singole α-eliche vanno ad avvolgersi l’una sull’altra. Le strutture che derivano Modello a nastri avvolti da queste combinazioni sono particolarmente Modello a bastoncini stabili e sono quelle che caratterizzano la miosina e la tropomiosina dei muscoli, la fibrina nei coaguli di sangue e la cheratina. Le fibre che ne derivano sono rigide e molto resistenti dal punto di vista meccanico. Nel foglietto-β porzioni di sequenza polipeptidica vanno ad organizzarsi gli uni rispetto agli altri in modo tale da dare origine ad una sorta di foglietto dove le varie porzioni di sequenza si trovano posizionate l’una parallela alle altre. Si possono distinguere due diversi tipo di foglietto: si parla di foglietto-β parallelo quando le catene adiacenti seguono tutte la stessa entrata e la stessa direzione; si parla di foglietto-β antiparallelo quando hanno direzioni opposte. La stabilizzazione è una stabilizzazione che avviene tramite legami a idrogeno che si vanno ad instaurare in maniera differente a seconda che il foglietto sia parallelo o antiparallelo. In linea di massima, anche in questo caso, la stabilizzazione delle porzioni di sequenza peptidica che vanno a costituire il foglietto β è una stabilizzazione che avviene tramite legami a idrogeno, i quali si instaurano sempre tra il gruppo CO e il gruppo NH. La configurazione foglietto- β viene tipicamente schematizzata in questo modo, Antiparallelo Parallelo vengono riportate le porzioni di catena che hanno una struttura a foglietto antiparallelo, dove le frecce seguono le due diverse direzioni o il foglietto parallelo dove le frecce seguono la stessa direzione. Di solito i foglietti-β comprendono 4/5 catene posizionate parallelamente le une alle altre, anche se in maniera più rara si possono anche individuare foglietti con più di 10 catene. Esistono foglietti β, paralleli o antiparalleli, ma ci sono 8 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 anche configurazioni miste. I gruppi R nei foglietti-β sono sempre posizionati in maniera tale da stare sempre sul piano (sotto o sopra), si immagina di avere una struttura planare in cui i gruppi pendenti sopra e sotto, il tutto nell’ottica di minimizzare gli ingombri sterici e le potenziali repulsioni. Domanda: “Quindi il foglietto-β parallelo va a creare una sorta di elica secondaria?” Risposta: “In qualche misura sì, nel senso che nel permettere di avere le catene nello stesso verso e garantire il parallelismo direzionale tra le catene che si trovano parallelamente tra loro, c’è bisogno del ripiegamento della catena. Quindi se si immagina di avere più zone parallele di fatto è come se fosse una specie di elica, non è sicuramente una α-elica perché geometricamente si parla di una cosa completamente diversa. È ovvio che mentre nell’antiparallelo si nota che se si allungasse il foglietto è come se fosse una biscia, quindi si è sul piano e si hanno delle curvature, mentre nel caso del parallelo c’è una tridimensionalità perché la catena deve completamente ripiegarsi per garantire il parallelismo. La struttura secondaria risulta essere il foglietto, costituito dalle frecce verdi sul piano, mentre la tridimensionalità è conferita da strutture supersecondarie che sono i ripiegamenti e le anse”. Le strutture supersecondarie sono quelle strutture che entrano in gioco nei casi in cui la catena ha bisogno di ripiegarsi andando incontro a cambiamenti di direzione. Nella figura si notano una serie di ripiegamenti che sono necessari per dare origine a regioni conosciute. Si parla di queste strutture facendo riferimento a tutti i ripiegamenti o anse, in particolare si parla di ripiegamenti-β o inversioni ad U e anse Ω, che sono necessarie per permettere alle proteine di riorganizzare la catena andando incontro a cambiamenti di direzione che sono essenziali affinché si possano generare le varie strutture secondarie e terziarie. La configurazione random coil non è ben definita, in quanto non si ha una struttura secondaria ripetitiva caratterizzata, ma la sequenza è posizionata in maniera casuale. 9 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 STRUTTURA TERZIARIA Oltre alle strutture primaria e secondaria, c’è anche un grado di strutturazione più elevato che prende il nome di struttura terziaria. Quando si fa riferimento alla struttura terziaria si fa riferimento a quella che è l’organizzazione che la proteina nel suo complesso assume nello spazio, cioè alla sua conformazione 3D, che è quella che va a determinare l’attività biologica e la funzionalità che la proteina va a svolgere. La differenza sta nel fatto che nella struttura secondaria si fa riferimento a una disposizione locale dei residui amminoacidici posti in sequenza e come questi si vanno ad organizzare gli uni rispetto agli altri in strutture più o meno definite, mentre nella struttura terziaria si tiene conto della tridimensionalità complessiva della proteina, e si fa riferimento a delle relazioni a lungo raggio che si vengono ad istituire all’interno della struttura amminoacidica. La struttura terziaria è stabilizzata dalla formazione di legami covalenti o legami non covalenti. Quando si parla di legami non covalenti si fa riferimento a ponti a idrogeno, a interazioni idrofobiche, legami ionici e forze di Van der Waals. Esiste anche la possibilità di avere una stabilizzazione tramite legami covalenti, in particolare la natura dei legami covalenti che si crea è sotto forma di ponti di solfuro, cioè il tipo di legame covalente che si va a creare quando due residui di cisteina (catena laterale terminante con un gruppo tiolo), i due gruppi SH reagiscono dando un ponte disolfuro S-S. Nell’organizzarsi nello spazio le proteine tendono a localizzare i vari residui amminoacidici in funzione della loro natura ed è per questo che si può dire che, con l’eccezione delle proteine di membrana, in generale la catena si organizza nello spazio in maniera tale che la superficie delle proteine sia polare e quindi comprenda quei residui amminoacidici amanti dell’acqua e che l’interno sia apolare e tendenzialmente idrofobico. Le interazioni che si possono creare per stabilizzare la struttura sono: LEGAME IDROGENO -> legame non fortissimo, rende possibili modifiche nella struttura della proteina; PONTI SALINI -> gruppi carichi delle catene laterali R che interagiscono tra loro; 10 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 INTERAZIONI IDROFOBICHE -> attrazione di gruppi R non- polari -> interazione non forte ma molto frequente; PONTE DISOLFURO Quando le interazioni vengono meno in presenza di elevate temperature, di pH non ottimale o di detergenti, la struttura 3D viene persa e la proteina va incontro a denaturazione, perdendo la sua attività biologica. La denaturazion a volte è un processo reversibile, e, allontanando l’agente denaturante, la proteina riprende spontaneamente la sua conformazione 3D (dettata dalla struttura primaria). STRUTTURA QUATERNARIA L’ultimo grado strutturale che caratterizza le proteine è la struttura quaternaria, essa non si trova sempre, nel senso che caratterizza quei complessi proteici molto grossi costitutiti a loro volta da tante sequenze polipeptidiche organizzate tra loro. L’emoglobina (figura a fianco) è un complesso proteico costituito da tante catene che sono complessate tra loro dando origine ad un unico complesso 3D. Si parla di struttura quaternaria, quando si fa riferimento a quelle proteine che contengono più di una catena polipeptidica e per le quali si può identificare un ulteriore modello di organizzaione strutturale. Ciascuna catena polipeptidica che costituisce questo complesso proteico prende il nome di subunità. Esiste anche un complesso particolare, che è quello del dimero, dove la struttura quaternaria è costituita da due subunità uguali tra loro ed unite all’interno del complesso proteico, possono stare insieme sia per interazioni non covalenti sia per interazioni covalenti, entrano in gioco anche nella stabilizzazione della struttura quaternaria le forme di stabilizzazione già identificate prima per la struttura terziaria. 11 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 ESPERIMENTO DI CHRISTIAN ANFISEN La funzionalità di una proteina è definita in maniera univoca dalla sua struttura 3D, che a sua volta è determinata dalla sequenza degli amminoacidi. C’è stato un esperimento condotto in passato (esperimento di Christian Anfisen) che ha permesso di mettere in evidenza a livello macroscopico come la struttura 3D sia legata alla sequenza amminoacidica e come la funzionalità sia determinata dall struttura 3D. Per l’esperimento si è partiti da un enzima (ribonucleasi), costituito da una singola catena polipeptidica di 124 amminoacidi e la sua stabilizzazione avviene tramite legami non covalenti, ma anche tramite legami disolfuro tra residui di cisteina. La ribonucleasi è un enzima e per vedere che la proteina funzioni basta andare a verificare che continui a catalizzare la reazione per la quale è adibito. In questo esperimento si è andati a distruggere completamente la struttura 3D dell’enzima, andando ad utilizzare dei reagenti che da una parte rompessero completamente le interazioni non covalenti, in particolare a tale scopo è stata usata l’urea e la guanidina, e poi è stato utilizzato il reagente β-mercaptoetanolo per rompere i legami covalenti disolfuro. Il β-mercaptoetanolo fa avvenire una reazione di riduzione che rompe i ponti disolfuro S-S riconcudendo ai gruppi SH liberi. Con l’azione di questi agenti la catena della ribonucleasi che era aggrovigliata in una struttura 3D è stata liberata assumendo una configurazione casuale. Nella nuova configurazione a catena libera senza ponti e senza interazioni deboli, la ribonucleasi non funziona più. Nel momento in cui gli agenti che hanno rotto i ponti disolfuro e hanno eliminato le interazioni non covalenti sono stati tolti, la catena ha progressivamente iniziato a organizzarsi di nuovo nella sua forma 3D nativa e tornando a funzionare. Questo esperimento ha permesso di evidenziare come la struttura 3D sia soggetta a distruzione tramite azione con determinati reagenti, ma che nel momento in cui si toglie ciò che ha distrutto la struttura terziaria, il fatto stesso che si abbia una struttura primaria ben definita e che non si è rotto in alcun modo, permette di ritornare progressivamente alla configurazione iniziale recuperando la funzionalità. In questo esperimento ha permesso di vedere macroscopicamente come la struttura terziaria determini la funzionalità delle proteine e come la struttura terziaria sia determinata in maniera univoca dalla struttura primaria. Questo implica come la struttura primaria svolga un ruolo essenziale nel determinare come la proteina si organizza nello spazio, e si è visto come errori nella struttura primaria possano portare a proteine sbagliate non funzionali e che comportano l’insorgenza di malattie, e come anche la capacità della struttura primaria di determinare un’organizzazione corretta della proteina vada a determinarne la funzionalità. Infatti, parallelamente in questo esperimento sono state condotte anche delle altre casistiche: ad esempio, togliendo l’urea ma mantenendo il β-mercaptoetanolo, o il contrario, cioè tutte quelle volte il cui non si elimina completamente ciò che distrugge la struttura terziaria si ha un’organizzazione 3D della catena, ma ciò avviene in maniera errata perché c’è qualcosa che va ad impedire di raggiungere lo stato nativo. 12 Di Girolamo/Cappello 07-Bioingegneria chimica (Boffitto) 20/10/2020 A livello cellulare esistono delle proteine specifiche che prendono il nome di “Chaperoni” che svolgono un ruolo di controllo, vanno cioè ad impedire la formazione di aggregati proteici sbagliati. Questo esperimento ha evidenziato come la struttura terziaria determini la funzionalità, la struttura primaria determini la terziaria, il tutto nella condizione in cui non ci sa nessun impedimento alla riorganizzazione della catena nella struttura 3D. Il modo in cui gli amminoacidi sono legati uno dopo l’altro va a determinare la tendenza della sequenza ad organizzarsi nello spazio a livello della struttura secondaria e terziaria. Gli amminoacidi a seconda della loro natura e a seconda della loro catena laterale hanno diverse attitudini a formare α-elica, foglietti-β paralleli e antiparalleli e a seconda di come gi amminoacidi sono legati a livello locale tenderanno a convergere più verso una struttura rispetto all’altra. Tutto è legato alle limitazioni di tipo conformazionale, nel senso che se si hanno dei gruppi particolarmente ingombranti o gruppi carichi, allora può essere che una configurazione di struttura secondaria sia più favorita rispetto alle altre. Le conformazioni verso cui gli amminoacidi tendono, non sono assolute. È possibile che un amminoacido che tende a convergere verso una preferenza conformazionale in base al contesto in cui si trova ad operare possa poi rivolgersi verso una conformazione diversa. È come le varie sequenze di amminoacidi vanno ad organizzarsi nelle strutture secondarie in passato ha determinato l’insorgenza di alcune malattie, ad esempio il morbo della mucca pazza, la cui origine è legata all’errato ripiegamneto di una porzione di una proteina (proteina prionica, nella configurazione buona ha due regioni in configurazione α-elica e nella configurazione sbagliata diventano dei foglietti-β). 13 Vaccina/Veruggio 08 Bioingegneria chimica (Boffito) 22/10/2020 Riassunto lezione precedente Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sui vari livelli strutturali che caratterizzano le proteine definendo in particolare la struttura primaria, secondaria (e in particolare quali sono le principali strutture secondarie che possiamo incontrare ), terziaria e struttura quaternaria che caratterizza i complessi proteici che presentano più di una unità proteica costituente. Vi sono inoltre strutture supersecondarie, o ultrasecondarie, caratterizzate da ripiegamenti e anse che la catena polipeptidica subisce al fine di potersi organizzare nelle strutture secondarie. In particolare osservando un foglietto antiparallelo parlando di struttura secondaria facciamo riferimento ai loop ovvero ripiegamenti della catena che permettono la formazione della struttura e senza i quali le varie porzioni di catena che si vengono a trovare parallelamente le une alle altre non potrebbero posizionarsi correttamente. Ogni grado strutturale è stabilizzato in maniera differente, mentre nella struttura secondaria la stabilizzazione avviene tramite interazioni deboli non covalenti (legami a idrogeno), nel caso delle strutture terziaria e quaternaria possiamo incontrare dei legami non covalenti differenti, come ad esempio le forze di van der Waals, interazioni ioniche, interazioni di tipo idrofobico oltre ai legami idrogeno e una forma di legame covalente che è il ponte disolfuro. L’esperimento di Christian Anfinsen ha permesso di evidenziare in maniera sperimentale alcuni concetti già discussi come per esempio il fatto che la sequenza di amminoacidi (struttura primaria) sia il determinante di come la catena va ad organizzarsi nella sua struttura terziaria e come quest’ultima sia l’elemento determinante della funzionalità. In questo esperimento era stata presa in esame la ribonucleasi, un enzima costituito da una singola catena polipeptidica di 124 amminoacidi. La stabilizzazione della sua struttura terziaria avviene tramite interazioni deboli ma ha anche 4 legami disolfuro. o Domanda: la stabilità di strutture terziarie e quaternarie è conferita dagli stessi legami? La stabilità è conferita da un mix di interazioni diverse, abbiamo interazioni deboli non covalenti che possono essere dei ponti idrogeno, forze di van der Waals, interazioni idrofobiche o anche interazioni di tipo ionico. In aggiunta a queste forme di interazione non covalenti possono esserci anche ponti disolfuro (piccolo ponticello tra le C evidenziate in figura) che si formano tra due residui di cisteina tramite reazione di ossidazione dei gruppi tiolo. Questi sono gli approci per stabilizzare la struttura terziaria o quaternaria che sia. L’enzima è stato sottoposto a un processo di denaturazione ovvero un processo chimico che distrugge a diversi livelli la struttura terziaria della proteina, in questo caso sono stati utilizzati agenti come l’urea o la guanidina che eliminano tutte le interazioni di tipo debole non covalente, è stato inoltre fatto un trattamento con il β-mercaptoetanolo (un agente riducente) che rompe tutti i ponti disolfuro in modo tale da avere nuovamente gruppi tiolo -SH. Dopo aver denaturato la proteina e ottenuto la catena allungata sono stati allontanati gli agenti che hanno indotto la denaturazione, in questo modo la catena senza conformazione definita 1 Vaccina/Veruggio 08 Bioingegneria chimica (Boffito) 22/10/2020 andava a riorganizzarsi nuovamente nella struttura iniziale; questo ha provato indirettamente che dentro la struttura primaria è contenuta l’informazione di come la catena deve organizzarsi nello spazio nella struttura terziaria. È inoltre stato verificato come nella forma di catena libera la proteina non fosse più funzionale, ma che tale funzionalità veniva poi recuperata nel momento in cui essa andava a riorganizzarsi recuperando completamente la struttura terziaria iniziale. Sono stati condotti inoltre esperimenti in parallelo andando a eliminare, dopo che la catena era stata sciolta, o l’urea o il β-mercaptoetanolo cioè solo uno degli elementi denaturanti. Si è osservato che la catena tende a riorganizzarsi ma lo fa in maniera scorretta, per ottenere la struttura corretta è necessario che non vi sia alcun elemento che impedisce la formazione dei legami corretti. A livello cellulare per far sì che le catene polipeptidiche si organizzino in maniera corretta è necessario che vi siano proteine dette chaperoni che svolgono un ruolo di controllo bloccando la formazione di eventuali aggregati proteici con struttura scorretta. La struttura primaria determina in maniera univoca quella terziaria, sulla secondaria non vi sono regole fisse, ogni amminoacido ha una sua attitudine a propendere verso una struttura secondaria piuttosto che un’altra, il tutto è determinato dalle condizioni al contorno (amminoacidi circostanti, ambiente fisiologico). Ad esempio l’insorgenza del morbo della mucca pazza è legata ad un erroneo assemblaggio di una porzione della catena polipeptidica della catena prionica che invece di assemblarsi ad α-elica assume una configurazione a foglietto β antiparallelo; non è ancora noto quale sia il determinante che porta a sbagliare l’assemblaggio della struttura secondaria. Abbiamo inoltre visto che le proteine possono essere denaturate, ovvero trattate in modo che perdano più o meno completamente la loro struttura ripiegata, metodo utilizzato anche per ricavare informazioni sulle proteine stesse. Cambiando gli agenti denaturanti posso eliminare o solo i ponti disolfuro oppure le interazioni non covalenti. Una cosa importante è che le proteine si presentano in forma ripiegata o non ripiegata, non troveremo mai proteine ripiegate a metà. Nel momento in cui la proteina ripiegata viene denaturata perde completamente la sua forma (meccanismo on/off, tutto o niente). Il passaggio delle catene dalla forma non ripiegata a quella ripiegata è un processo che segue un meccanismo detto ripiegamento cooperativo: partendo dalla catena libera essa tende gradualmente a ripiegarsi e man mano che si forma un ripiegamento corretto quest’ultimo viene “congelato” mentre la restante parte della catena continua a ripiegarsi. Si tratta di un processo di stabilizzazione progressiva di intermedi corretti. 2 Vaccina/Veruggio 08 Bioingegneria chimica (Boffito) 22/10/2020 Classificazione strutturale delle proteine Le proteine vengono classificate in base alla loro struttura in due famiglie principali: proteine fibrose e proteine globulari. Le proteine globulari presentano una forma globulare, tendenzialmente sferica e particolarmente compatta; tra le varie proteine appartenenti a questo gruppo si possono individuare diversi tipi di struttura secondaria: la lunga catena polipeptidica avrà porzioni in configurazione α-elica, foglietto β e random coil. A questa categoria appartengono gli enzimi, le proteine di trasporto (come l’albumina e l’emoglobina), le proteine regolatrici e le immunoglobuline. Le proteine fibrose hanno la caratteristica di riconoscere al loro interno un’unica struttura secondaria e di conseguenza una terziaria relativamente semplice. Le proteine si presentano, proprio per effetto di un’unica struttura secondaria, come dei fasci di fibre piuttosto che come dei foglietti. Sono tipicamente insolubili in soluzioni acquose perché presentano al loro interno un’elevata quantità di amminoacidi non polari con comportamento idrofobico. La presenza di questi amminoacidi idrofobici è fondamentale perché concorre alla stabilizzazione delle strutture tramite forti interazioni idrofobiche. Svolgono tipicamente ruoli strutturali, creano impalcature grazie alla loro natura a fibre, fasci, fogli che conferisce loro una spiccata resistenza e buone proprietà meccaniche. Appartengono alla categoria delle proteine di sostegno ( come collagene, cheratina, fibrina, miosina). Proteine fibrose Sono insolubili in acqua, assolvono a ruoli strutturali, sono di origine animale. Le possiamo suddividere in tre categorie: Le cheratine -> principali componenti dei tessuti protettivi, struttura fibrillare allungata I collageni -> principali componenti dei tessuti connettivi Le sete -> principali componenti dei bozzoli prodotti dai bachi da seta, struttura che richiama quella a foglietto 3 Vaccina/Veruggio 08 Bioingegneria chimica (Boffito) 22/10/2020 Gli amminoacidi idrofobici che danno origine a interazioni idrofobiche, ponti idrogeno e forze di van der Waals conferiscono stabilità alle strutture e per alcune proteine troviamo anche ponti disolfuro. α-cheratina È la proteina principale costituente nel capello. Presenta una struttura elicoidale a fibra allungata e ed è possibile individuare al suo interno un livello di strutturazione via via crescente ( vedi figura a lato ). Il punto di partenza è una struttura secondaria ad α-elica leggermente diversa dalla classica: infatti mentre la struttura generale presenta 3.6 residui amminoacidici per giro ed un passo di 5.4Å nel caso della cheratina abbiamo 3.5 residui amminoacidici per giro e un passo di 5.1Å. In particolare si parte da due α-eliche che si avvolgono l’una sull’altra dando origine al two-chain coiled coil, un superavvolgimento sinistrorso dato dal doppio avvolgimento di due α-eliche l’una sull’altra. Partendo da questo superavvolgimento, più superavvolgimenti si posizionano gli uni rispetto agli

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