Antropologia del Turismo PDF

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This document explores the anthropological approach to tourism, discussing definitions and theories. It examines tourism as both a transactional process and as a structure of experience, drawing on the work of theorists like Nash and Graburn. The relationship between time, leisure, and cultural exchange is central to the analysis.

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Antropologia del Turismo La definizione di turismo e l’approccio antropologico L’interesse antropologico per il turismo è recente, e di matrice anglosassone. Le prime aree di destinazione turistica oggetto di studio sono quelle legate ai grandi flussi del turismo internazionale (dato il grande numer...

Antropologia del Turismo La definizione di turismo e l’approccio antropologico L’interesse antropologico per il turismo è recente, e di matrice anglosassone. Le prime aree di destinazione turistica oggetto di studio sono quelle legate ai grandi flussi del turismo internazionale (dato il grande numero di visitatori dopo gli anni 60); ben presto l’interesse si rivolge al fenomeno in quanto tale, dando inizio a un settore specifico di intervento antropologico. Anni 70 fondazione della nuova sottodisciplina con due opere: “Host and Guest:the Antropology of Tourism” e “Tourism. Passport to development? Perspectives on the Social and Cultural Effects of Tourism in Developing Countries”. Due modalità di lettura: definizione di turismo come processo transazionale e definizione di turismo come struttura di esperienza. Turismo come processo transazionale L’approccio della tesi deriva dalle teorie sociologiche del tempo libero (turisti pensati come persone in cerca di relax e il turismo riguarda l’insieme delle attività impiegate in questo stato). Nash (seguendo Dumazedier) parte dal concetto di “obbligazioni primarie” (vincoli imposti da ogni società ai suoi membri per garantire adeguate condizioni per inserimento sociale e sviluppo dei singoli) quali lavoro, studio, famiglia etc. Il tempo libero inizia quando liberi da tali obbligazioni gli individui mostrano disinteresse per queste e cercano esperienze gratificanti. (la decisione soggettiva dei singoli di abbandonare la propria comunità domestica determina l’allontanamento dal mondo degli impegni quotidiani). Il turista è definibile come “individuo che viaggia durante il suo tempo libero” e il turismo “l’attività”. Durante l’attività del tempo libero (facendo turismo) si entra in rapporto con coloro che operando nei siti offrono i servizi adeguati ai visitatori. L’insieme dei servizi appartenenti a questa dimensione costituisce l’industria turistica. Nash insiste su questo punto che permette la distinzione fra coloro che fuori dalla sfera lavorativa praticano tempo libero e coloro che invece con il proprio lavoro rendono possibile il consumo turistico. Il nucleo del turismo si trova nell’incontro che si sostanzia di una serie di transizioni fra ospitanti e ospitati. Il vero e proprio processo turistico trae origine da una società che genera turisti, continua quando i turisti vengono ospitati in culture e luoghi diversi e si conclude con un incontro effettivo fra i due soggetti. L’incontro e il processo turistico costituiscono il sistema turistico nel suo complesso. Per la visione transazionale del turismo la parte più importante è la generazione dei turisti (senza viaggiatori fruitori di tempo libero non può darsi turismo). Le società che generano turisti sono società che producendo tempo libero, stabiliscono il livello di attività necessaria per soddisfare le obbligazioni primarie e liberano il surplus necessario per chi viaggia per diletto. All’altro capo del processo turistico ci sono le società ospitanti che sono collegate con una o più aree generatrici. Per Nash, il punto di vista antropologico è proficuo per l’analisi del processo, che risulta incardinato sulla intersezione storico- sociale di due o più culture o subculture. Il processo include la generazione di turisti, i viaggi e il conseguente incontro con una società ospitante. Ne conseguono transazioni fra turisti, agenzie e ospitanti, in modo tale da influire ogni volta sulla popolazione locale. L’incontro turistico può dar vita a un sistema turistico la cui evoluzione è soggetta a una varietà di forze non solo nelle culture e nelle subculture partner, ma anche nel sistema complessivo dei flussi economici e sociali più vasti. Sulla stessa linea Smith intende per turista “colui che temporaneamente si riposa e decide di visitare un posto lontano da casa per esperire novità”, e per il tipo d’azione sociale implicata per il turismo quella “forma di attività di tempo libero che struttura il corso individuale della vita grazie a periodi alterni di lavoro e relax”. Turismo come struttura di esperienza In questa seconda lettura permangono i termini del viaggio e del tempo libero, ma in una connessione che varia per segno e valenza. Per l’approccio transazionale il nucleo genetico del fenomeno sta nella germinazione storico-sociale del tempo libero, garantito da un surplus che permette il viaggio e l’incontro. L’approccio strutturale diparte dalla tematizzazione del rapporto di alternanza (e non di separazione) fra due serie correlate per opposizione: casa-lavoro e relax-viaggio, lavoro e non lavoro, viaggio e non viaggio. L’autore che ha maggiormente insistito su questa lettura è Garburn, sostiene innanzi tutto che il nostro modo di concepire il turismo è una recente invenzione. Solo nell’Occidente industrializzato, infatti, il non-lavoro è sinonimo di ricreazione, il viaggio include in sé una forma di tensione ludica, possibile solo con l’abbandono della sfera domestica e il rifiuto delle incombenze legate alle attività lavorative quotidiane. Solo nella società moderna vi è l’idea che la dimensione dell’obbligatorio si leghi al quotidiano e che il viaggio vada considerato come scelta volontaria e autodiretta, tale da escludere ogni routine. L’alternanza di lavoro e viaggio è dunque alternanza di due modi di esistere, che si oppongono correlativamente nella serie casa- lavoro vs stare lontano da casa-relax. Il viaggio esclude il lavoro e viceversa, anche se non mancano casi limite (chi lavora viaggiando); ma sostiene Graburn ciò riguarda il tipo di viaggio, piuttosto che il tipo di relax. Così inteso il turismo presenta scelte o stili di vacanza e ricreazione strutturalmente necessari, come forme di rottura ritualizzata della vita ordinaria. La varia fenomenologia delle scelte rimanda ad una situazione esistenziale di fondo: quella che fa si che ogni vita umana tende sempre a rivolgersi verso sorgenti artificiali di stimoli per supplire a carenze ambientali date. Se il turismo può essere esaminato solo in rapporto al suo termine complementare, la vita quotidiana, allora (secondo Graburn), è indubbia la sua spettanza all’analisi antropologica (da collegare ad uno dei capisaldi dell’antropologia del 900) il concetto di “sacro” e il contrasto sacro/profano secondo le definizioni di Durkheim, come categorie garanti della peculiarità dei tratti formali che strutturano gli eventi nel passaggio del tempo sociale e naturale. L’alternarsi dei due momenti era usato da Mauss per l’analisi del rito del sacrificio (come struttura articolata su due momenti essenziali della separazione del tempo quotidiano): il processo di sacralizzazione che eleva i partecipanti allo stato di non- ordinario dove avvengono cose prodigiose, e il processo converso di desacralizzazione o ritorno alla vita normale. Sulla stessa direzione Gennep, rielaborando la nozione di “sacro” come situazione di ambiguità, notava come all’interno di un contesto sociale si potessero individuare varie società particolari (o sfere di vita), tanto più autonome quanto minore il “grado di civiltà” raggiunto dalla società generale; ed aggiungeva che nelle nostre società moderne le separazioni nette esistessero solo tra società laica e religiosa. Sia nel primo che nel secondo caso grande importanza attribuibile ad una somiglianza strutturale delle cerimonie che permettono sia il passaggio dal laico al profano, sia il passaggio da una fase della vita all’altra (non potendo i vari stati della vita essere direttamente congiunti se non con uno stato intermedio). Lo schema risultante è quello dei “riti di passaggio” (o struttura formale universale di sequenze cerimoniali): riti di separazione o preliminari, riti di margine, riti di aggregazione o post-liminari. L’ambivalenza del sacro, per Gennep, si colloca nel valore correlativo che esso svolge nel definire lo spazio sociale dei passaggi di status: “un individuo che vive a casa sua vive nella dimensione profana; vive invece nel sacro da quando se ne va e si trova come straniero, in un luogo abitato da sconosciuti”. Questa teoria dei mutamenti di status serviva per fissare il rapporto tra archittettura sociale e ruolo dei riti in termini di integrazione e differenziazione sociale. Garburn accetta l’intero assunto e legge alla lettera nel rapporto fra sacro e viaggio la fondazione del rito di passaggio proprio dalla nuova ambivalenza del sacro della modernità, il turismo. L’ultimo passo di Garburn per completare l’equivalenza formale fra rito e turismo è l’accettazione del modello strutturale del tempo sacro introdotto da Leach. Leach sosteneva che la regolare occorrenza dell’alternarsi di sacro e profano marca i periodi importanti della vita sociale fino a fornire la misura del passaggio temporale, secondo una sequenza formale trifasica: tempo ordinario, rottura, ritorno all’ordine iniziale. L’idea che il tempo sia un modulo discontinuo di contrasti ripetuti è probabilmente arcaica: ad es, il passaggio ad un nuovo anno è marcato da una successione di feste, e ognuna di esse rappresenta uno spostamento temporaneo dell’ordine profano-normale verso quello straordinario del sacro. E riconosceva che il modello neo- durkheimiano del tempo ciclico era applicabile in particolare ai popoli senza calendario o alle società folcklorike, per i quali l’alternarsi dei contrasti costituisce anche la misura del tempo, e non alle società “moderne” con calendari scientifici o altri algoritmi numerici. Leach andava anche oltre, unificando i tre comportamenti rituali tipici (la formalità, la mascherata e l’inversione dei ruoli) in una sequenza unitaria esprimente un simbolismo universale del tempo connotato da un movimento orizzontale reversibile. Accettando questa concezione di tempo “creato”, Garburn nota come anche gli occidentali adoperano le feste o le ricorrenze per ricordare un evento qualitativo e donare senso alla vita. A variare nei periodi del “sacro” sarebbe la qualità morale, non la struttura dell’esperienza, dimensione invece universalmente umana. E, da questo punto di vista, le “vacanze” assumono un nuovo significato in quanto, donando senso (senso o “sacro”), rendono la vita vivibile. Le vacanze con il viaggio, o turismo, sarebbero il moderno equivalente per le società secolari delle sequenze annuali delle feste tradizionali nelle società che hanno paura di Dio. I modelli forti che Garburn adopera (modello del sacro, del sacrificio e del tempo strutturale) lavorano con forti analogie sulle condizioni formali e universali dell’esistere umano, azzerando la distinzione della scuola durkheiminana fra società meccaniche e organiche, ma non sino al punto da non riconoscere innegabili differenze qualitative fra i due ambiti. Le nostre due vite (la sacra e la profana) sono ritmate secondo tempi propri di entrata, transito e uscita, ma è la transizione che nelle società moderne assume forte rilevanza per tratti di ambiguità, tensione o pericolo. La caratteristica della modernità e del turismo risiedono qui. Il partire (dice Graburn) coincide spesso con stati di eccitazione, nervosismo, nevrosi, sino alla malattia. Sia alla partenza che al ritorno il flusso di coscienza è perturbato. Chi parte non è mai sicuro di tornare, si trova in una sorta di morte simbolica sacralizzata per la quale si è usi dire che “partire è un po’ morire”. Né il ritorno risulta meno ambivalente, giacché finire una vacanza e lasciare il divertimento risulta generalmente odioso; se infine chi ritorna non si sente “rinnovato”, riconosce che il viaggio ha fallito. La figura moderna del sacro passa, per Graburn, attraverso il richiamo a una struttura formalizzata di tempo e a una situazione esperienziale umana di ricerca del senso. Se il turismo è un rito di integrazione morale delle moderne società iperdifferenziate, l’esperienza vissuta avviene entro una motivazione fondamentale che marca il tempo soggettivo come spazio del ciclo della vita, e quindi del viaggio. Gli elementi del binomio coscienza e viaggio vengono così a correlarsi profondamente, in Graburn, come facce della stessa medaglia. La vita è una successione di eventi segnati da variazioni di stati, nella duplice configurazione della ciclicità e della linearità. Il viaggio è la manifestazione eternizzata della ricerca soggettiva. È una determinazione esistenziale della vita umana, che al contempo la descrive e la spiega secondo una simmetria formale speculare di tempo ritualizzato. Per Graburn, il viaggio del turista è qualcosa di più che un moto geografico o uno stato alterato di coscienza. Per l’etica occidentale (legata ai valori dell’individualismo, autonomia e lavoro) il turismo resta il miglior tipo di vita perché sacro, in quanto stimola energie psichiche, rinnova e apre a esperienze di autorealizzazione. E il viaggio è raramente senza finalità, anzi è permeato di valori specifici di una determinata cultura. La sua motivazione diparte non da una semplice scelta volontaria, ma da un quadro di giustificazioni morali proprie della comunità di appartenenza da parte di chi abbandona transitoriamente il proprio tetto. Il suo fine assume tratti e segni sacrali per correlarsi ad una moralità che si eleva al di sopra della sfera della dimensione quotidiana. Naturalmente nelle diverse società mutano i fini del viaggio: per le società tradizionali, le ricompense per i pellegrini erano di accumulare la grazia e di assumere o consolidare una leadership morale nel gruppo sociale di appartenenza; per i turisti moderni, sono la salute mentale e fisica, lo stato sociale, le esperienze diverse ed esotiche a motivare la partenza. Cambiano le coordinate credenziali e giustificative dell’esperienza; permane la struttura portante e motivante della stessa. Turismo fenomeno universale o storico? Entrambe le prospettive pongono rilevanti problemi per determinare l’estensione logica del fenomeno, a partire dai suoi elementi costituitivi: tempo libero temporaneo, reddito disponibile, etica del viaggio. Chi come Dumazedier, parte dalla concezione che il leisure altro non è che tempo libero da consumare grazie ad un previo surplus, definisce il turismo come tipica manifestazione delle società moderne, che sole possono generare reddito e infrastrutture adeguate per il viaggio (società industriali). Ma vi sono altri per i quali è l’intera storia dell’Occidente a risultare attraversata da tale fenomeno, che vediamo presente nella società antica, nelle società “semplici” e in quelle orticole. La linea divisoria fra le varie posizioni si può tracciare sulla separabilità fra tempo libero e attività strumentali: per Dumadezier è tipica solo dell’età moderna; per Nash e per Smith invece è essa stessa (come distinzione fra obbligazioni primarie e secondarie) un prodotto delle diverse culture. Il tema ha prodotto diversi schieramenti riguardo la logica della strumentazione antropologica, e quindi la consistenza e applicabilità della disciplina al mondo attuale. Due sembrano essere le variabili utili per inquadrare al meglio la questione: la rilevanza disciplinare da attribuire al fenomeno e la sua storicizzazione. Per il primo si tratta di definire il posto del turismo nella compartimentazione delle scienze sociali, e la sua riconducibilità ad una singola disciplina. Qui si possono individuare già due diversi modi di affrontare il problema, un punto di vista socioantropologico e un punto di vista psicoantropologico. Riguardo, invece, l’estensione del fenomeno, si tratta di introdurre o meno la cesura seicentesca, quale inizio di modernità e quindi di turismo. I due aspetti, analiticamente distinguibili, non sono però separabili. Versione sociologica. L’ipotesi più forte è quella di Nash (come Smith), secondo cui, è possibile individuare, ad ogni livello di complessità socio-culturale, una struttura reale di prototurismo, generica ma non astratta, come attività di tempo libero che richiede viaggio. (la tesi, universalistica, è socio-antropologica e accetta delle posizioni di Dumazedier solo la determinazione sociale, rifiutando le condizioni genetiche). All’interno della costellazione sociologica abbiamo così due posizioni: quella francese, che collega il turismo al consumo industrialista; e quella anglosassone, che concorda sulle forze sociali del fenomeno (tempo libero e reddito) per estenderlo però a tutta la storia umana. L’intreccio e l’intersezione delle posizioni non risparmia la versione psicoantropologica. Anch’essa è divisa su diversi problemi: se il turismo è manifestazione di una struttura comune interculturale, se esso è riconducibile a caratteristiche rituali peculiari, se è subordinabile ad una cesura storica. Per Graburn il turismo poggia su una motivazione psicologica universale, la ricerca del senso, che si concreta però in forme storico-rituali differenziate per valori e credenze soggiacenti, di cui il turismo rappresenta la forma storica di ritualità moderna. Per Mac Cannell il turismo è da collegare ad un’azione sociale storicamente determinata, post- seicentesca, legata al sightseeign, secondo sequenze ritualistiche finalizzate alla ricerca di autenticità e reintegrazione morale. Cohen, invece, ritiene impossibile specificare un nucleo sostantivo del turismo, né in termini sociologici, né in termini psicologici (contesta di graburn le equivalenze fra sacro, rituale e turismo) e indica nella fenomenologia del comportamento turistico il campo di analisi di variegati stili di vita e modalità di esperienza, da comprendere entro micro-idealtipi di senso. Facendo riferimento alle definizioni che i vari autori offrono riguardo la semantica del “turista” ci sono contrapposizioni ancora più forti. Smith e Nash danno al turismo forma di leisure activity per cui un turista è una persona temporaneamente libera da impegni di lavoro, che visita volontariamente posti lontani da casa per sperimentare un cambiamento. Agli antipodi troviamo Cohen, per il quale il turista, prima di tutto è chi temporaneamente viaggia o soggiorna lontano da casa volontariamente, in maniera non ricorrente, per cercare novità. Fra le costellazioni semantiche del “viaggio” e del “tempo libero”, non c’è solo diversità di significato ma anche diversità di prospettive e di interpretazioni. Chi sottolinea l’aspetto del tempo libero, indaga il modo in cui le società che generano turismo producono una specifica differenza fra obbligazioni primarie della vita e libertà da esse. Inserito nella dialettica fra tempo di produzione e tempo libero (work e leisure), il turismo appare come una categoria universale, di amplia applicabilità e comparazione transculturale. A questa visione se ne contrappone un’altra, meno esigente, che opta per una definizione esclusiva capace di illuminare i tratti che distinguono un fenomeno in una cultura per poi compararlo con altri fenomeni di altre culture. Es. otia romani, terme o in campagna, e tedium oraziano; interruzioni dalle attività economiche delle società di caccia e raccolta che coincidono con intrattenimenti e visite presso altre famiglie; società orticole, dove spedizioni e commercio si intersecano continuamente con rituali e scambi culturali. Per Nash anche i !Kung, quando interrompono le loro attività economiche per andare a trovare i parenti, fanno prototurismo. Forme di prototurismo sarebbero anche i pellegrinaggi medievali verso i luoghi sacri e i santuari, i chierici vaganti o le Crociate. Dal punto di vista socio-antropologico saranno fenomeni di turismo solo quelli in cui è possibile individuare una dimensione “non strumentale”, oppositiva alla dimensione lavorativa. Bisogna però comprendere cosa si intende per “non strumentale” in culture diverse da quella occidentale moderna. Ciò non significa l’accettazione o meno della categoria generalissima di lavoro come dispendio di energia umana finalizzata alla (ri)produzione economica della vita associata. Sull’altro versante il problema, invece, attiene al valore da attribuire alla nozione di leisure: se nozione normativa (aristotelica) di “tempo libero” come forma di coltivazione del se, meditazione e crescita spirituale, oppure come termine contemporaneo descrittivo di attività ricreative e di consumo. Il collegamento fra turismo e attività lavorativa risulta centrale sia per la configurazione teorica dell’approccio antropologico, sia per la descrizione delle scuole di pensiero in competizione. Nonostante le varie intersezioni che le diverse correnti continuamente presentano con reciproche contaminazioni, non è da nascondere che i due approcci, sia pur nella loro schematicità, offrono quadri ampiamente incomunicabili di riferimenti ed esiti analitici differenziati, giacché rispondono a due modi diversi di disporsi verso il fenomeno. In un caso si analizza il turismo come forma di azione sociale determinata, generata e prodotta da una società, a ragione di strutture sue proprie (sociali, economiche, culturali ecc.); e quindi privilegiare aspetti legati al processo e al sistema dell’industria turistica, come momenti di una complessa interazione di forze. Nell’altro caso, si privilegia, invece, l’aspetto esperienziale, le tipologie diversificate e i ruoli che esso esprime, le modalità reattive che esso induce, entro una prospettiva principalmente “emica”. Le analisi più note sul turismo sono quelle rivolte al turismo internazionale: qui (entro certi limiti) le carte sono più chiare; però restano ampie le zone di ombra che non si lasciano facilmente sistematizzare o ridurre a unità concettuale. Sia a livello teorico che di metodologia della ricerca, la prospettiva antropologica è qui davvero centrale. Tra il carattere sacro del turismo come ricerca moderna del “sacro Graal” alla Graburn e il turismo come “forma di imperialismo” di società affluenti come lo intende Nash, certo corre grande differenza. Tra gli esiti della discussione che l’antropologia del turismo ha apportato nel campo delle scienze sociali, però non ultimo è l’avanzamento conoscitivo sulla complessità del fenomeno, il riconoscimento del pregiudizio storico (da emendare) che l’Occidente continuamente produce su di esso, e la necessità di giungere a nuove forme di comprensione ispirate a difficili ma indispensabili collegamenti pluriprospettici. CAPITOLO 2 Le tradizioni di ricerca anglosassoni una volta spiegati i grandi temi teorici riguardanti l’accettabilità antropologica del turismo, bisogna delineare le tradizioni di ricerca (un insieme di imperativi e di interdizioni ontologici e metodologici un insieme di imperativi e di interdizioni ontologici e metodologici) in cui si è sviluppata la discussione a partire dagli anni 60 (in particolare in ambito anglosassone). La discussione inizia sul crocevia fra sociologia, critica politica e identità nazionale, e l’oggetto del contendere verte sul destino delle classi medie nelle società “affluenti”. Per Boorstin i suoi punti di riferimento sono Veblen, le tesi di quest’ultimo sul “consumo cospicuo” e la realtà delle chance relative al mito americano dell’autodeterminazione dell’individuo. Il dibattito che ne segue si caratterizza per una progressiva perdita di interesse per il problema dell'identità culturale americana, per dare inizio a un vero e proprio settore di studi, Mac Cannell, la scuola di turner e infine Cohen rappresenteranno quest'ultima propaggine. Le seguenti tradizioni di ricerca risulteranno generative nell’ambito anglosassone dell’attenzione per il fenomeno turismo, tanto quanto costitutive del campo di studio: 1.La critica culturale di Boorstin alla società di massa; 2.La scuola esistenzialista di Mac Cannell; 3.Il neo-ritualismo della scuola di Turner; 4.La fenomenologia del turismo di Cohen. La critica culturale di Broostin alla società di massa Ampio riconoscimento va a Broostin per aver per primo indicato nel turismo un problema peculiare delle contemporaneità, anche se va specificato che l’interesse dell’autore si collega ad una tradizione di studi critico-sociali, sull’analisi delle classi medie e sul problema dell’alienazione in una società di massa. L’attenzione si rivolge a un tratto negativo della società americana che definisce in termini di “biglietto di irrealtà che sta tra noi e i fatti della vita”, ossia un’esperienza umana inventata e illusoria. La sua tesi principale è che gli americani contemporanei non fanno effettiva esperienza della realtà ma prosperano su pseudo-eventi, un esempio dei quali è senz’altro il turismo. Per “pseudo-eventi” intende un evento interamente costruito a surroga della realtà che si caratterizza per 4 note comuni: 1.Non è spontaneo ma si configura nella forma di intervista pianificata o intenzionata. 2.Il suo fine è il successo entro un’ampia riproduzione e citazione mediale. Le relazioni temporali in esso inscritte sono fittizie; l’annuncio è dato in anticipo e offerto come se l’evento fosse occorso nel passato, e obbedisce non al criterio della corrispondenza alla realtà ma della notiziabilità. 3.Ambiguo nella relazione con la realtà, suscità interesse proprio per tale sua ambiguità e apre un nuovo campo di “significato”. Mentre l’interesse per le notizie sta nel “che cosa accade” e le reali conseguenze dell’evento, l’interesse in un’intervista sta sempre nel “se è realmente accaduta” e quali potrebbero essere stati i motivi. 4.Si caratterizza generalmente come una “profezia che si autorealizza”. Per Broostin la nostra esperienza si nutre sempre più di tali pseudo-eventi, anche a causa dei nuovi networks inaugurati dalla rivoluzione grafica dei giornali e delle interviste, dalla fotografia e dalla televisione. Lo statuto delle notizie tende a perdere la differenza fra notizie di fatti significativi e reportages di curiosità o resoconti di interesse popolare. Con la nascita degli pseudo- eventi si sono mescolati i ruoli di attore e audience, facendo del reporter il produttore delle notizie, della televisione lo strumento principe che permette di diventare attori diretti dell’evento, dei politici i protagonisti delle loro stesse storie, della ritualizzazione di protocollo e dei cerimoniali l’immagine della realtà stessa. A più di 30 anni da questa critica ai mass-media può sembrare obsoleta, e il rinvio di Broostin alla realtà come garante ultima di una corretta informazione apparire come ingenuo realismo. Il punto su cui lui stringe è la costituzione esperienziale dei gruppi sociali e la creazione di nuove interazioni sociali, dalla cui analisi la critica non può esimersi. Infatti lui stringe sulla differenza tra pseudo-eventi, propaganda e stereotipi. Gli pseudo-eventi non sono propaganda, in quanto quest’ultima è informazione intenzionalmente manipolata ed emozionalmente diretta; è falsità che attira e si sostituisce ai fatti, schematizzando le esperienze. Gli pseudo-eventi invece sono verità ambigue, fatti sintetici che muovono le persone in maniera indiretta procurando una base “fattuale” su cui attirare le menti e semplificare le esperienze. Non sono nemmeno stereotipi, perché a differenza di questi ultimi drammatizzano l’esperienza in maniera che stimola e attrae. Gli pseudo-eventi sono più drammatici, più facili a diventare vivide rappresentazioni della realtà, da ripetere all’infinito; costano per essere creati, creano situazioni di socievolezza e conversabilità; si assumono l’onere di prova di una “conoscenza informata”, espandendosi in maniera geometrica. Qui si colloca Boorstin, fa un appello alla nazione americana a svegliarsi dal cumulo di illusioni e di immagini prefabbricate e irreali proposte dai media, a recuperare quello spirito critico senza cui una democrazia di massa precipita in una sorta di autoillusione senza speranza. E in questo contesto si genera anche una figura caratteristica degli pseudo-eventi: il viaggio. Per Boorstin l’attuale visitatore americano della classe media ha perso la “vecchia arte del viaggiare”. La disposizione umana a viaggiare e conoscere il non-familiare ha dismesso il vecchio gusto dell’avventura e il desiderio di conoscere altri mondi e altre persone. Il viaggio non è più il modo per ampliare l’insaziabile curiosità umana e la costante ricerca del nuovo. L’esperienza del viaggio si è trasformata. Il viaggiatore alla ricerca dell’esotico e dello strano è divenuta finta e prefabbricata. Al viaggiatore del secolo scorso si sostituisce il turista odierno, che colma la sua esperienza con continui pseudo-eventi. Non più individuo attivo alla ricerca di lavoro, ma individuo passivamente alla ricerca di piacere, si aspetta che il pacchetto turistico gli destini cose interessanti. Se prima il viaggiatore andava per il mondo per incontrare i “nativi”, ora l’esperienza turistica è un nuovo modo per restare isolato dal mondo del viaggio e dell’esperienza. I luoghi in cui soggiorna sono la riproduzione di strutture di accoglienza della madrepatria; le attrazioni sono il prodotto di esperienze false e indirette, da consumare artificialmente nei luoghi d’arrivo (dai musei alle aree naturalistiche); i siti per i turisti sono finalizzati al consumo (con attrazzioni ripetibili a volontà, artificiali e prodotte ad hoc dagli agenti turistici) non prodotti culturali spontanei, ma meri oggetti da comprare e ostentare. Raramente questo nuovo viaggiatore ama l’autentico, anzi preferisce un mero soddisfacimento di previe aspettative provinciali (ricerca del caricaturale e del kitsch). Le aspettative producono così un circolo vizioso di rappresentazioni false e immagini auto-indotte in cui il turista viene “incapsulato”. Il turista non vede dunque l’altro ma solo la sua immagine riflessa nello specchio, cioè se stesso. Boorstin si sofferma sulla “perdita dell’arte del viaggio” come caratteristica fondamentale del turista odierno, il quale isolato dall’ambiente ospitante e dalla gente del luogo, viaggia in gruppi guidati e attraversa “attrazioni artefatte”, appagato del falso, inconsapevole della vita reale che si svolge intorno a lui. Questa attitudine porta gli operatori turistici e i nativi a produrre invenzioni stravaganti per il consumo, incrementando il divario tra visita e vita reale. L’immagine artefatta della destinazione, a volte, viene promossa da pubblicità commerciale e diviene criterio di scelta con cui il turista sceglie e valuta le cose da visitare. Il turismo si riduce così ad un sistema chiuso e autoperpetuantesi di illusioni. Pur delineando drastiche conclusioni sull’osservazione della scena moderna, Broostin però non si chiede, se tale esperienza illusoria possa avere un qualche significato umano o culturale inaspettatamente più profondo. Il suo intento principale è la critica a un tenore prevalente di vita della società moderna. In realtà Boorstin non offre analisi distaccate, ma osservazioni taglienti in cui liberamente si mescolano opinioni ai fatti. Come noterà Mac Cannell, la sua attitudine verso il turismo coincide con i pregiudizi comuni a turisti e scrittori di viaggi che di fatto negano la possibilità dello sguardo esterno del ricercatore. In particolare fornisce una caratterizzazione sostanzialistica di ciò che egli ritiene essere il turista, senza dar conto alle differenze nelle motivazioni, nei comportamenti e nelle esperienze dei viaggiatori odierni. Tuttavia il breve saggio di Boorstin ha avuto il merito di rappresentare un importate punto di partenza per la nascita di un’analisi più rigorosa all’interno del mondo anglosassone, e di avviare discussioni e contestazioni sulle sue tesi circa il passaggio storico “dal viaggiatore al turista”. (Buck sostiene che B. sceglie di comparare il peggio del viaggio odierno con il meglio del viaggio di ieri). Comunque la sua importanza sta nell’impulso iniziale posto sul tema, anche se l’opera degli studiosi successivi doveva negare validità ad una immagine così monolitica del turista contemporaneo. La scuola essenzialista di D. Mac Cannell A Mac Cannell si deve l’aver ancorato le sue ricerche sul turismo alle grandi teorie sociologiche, legando la sua analisi a Marx, Durkheim, Lévi-Strauss e Goffman, all’interno di un progetto ambizioso di una “etnografia della modernità”. Vicino a Boorstin nell’individuare il nucleo del fenomeno nell’inautenticità della vita moderna, Mac Cannell si distacca dagli assunti fondamentali del primo, in quanto il suo interesse parte dalla ricerca dei modi in cui l’uomo moderno tende a superare la sua condizione. L’immagine del turista che emerge contrasta perciò fortemente con quella di Boorstin (sino a presentarne un’immagine rovesciata). Per Boorstin il turista esprime l’inautenticità del mondo moderno; per Mac Cannell fa sua sino in fondo la ricerca di una vita autentica e in Mac Cannell questa ricerca rappresenta(come già per Graburn) la versione moderna dell’interesse universalmente umano per il sacro. Il turista è visto come il pellegrino di un mondo laico, che paga il suo omaggio alle “attrazioni”, i simboli della modernità, così come il pellegrino religioso tradizionale pagava il suo omaggio ai santuari visitati. Ma, poiché i simboli della modernità riflettono le differenziazioni sociali odierne, essi sono molti e svariati, e quindi sono rappresentati da una molteplicità di attrazioni “santificate”. Mac Cannell si sofferma sul particolare ruolo che svolgono le “attrazioni” e sul tipo di sguardo che la modernità opera sulle cose da visitare. La tesi generale sostiene che l’aggregato delle attrazioni è il moderno equivalente del tradizionale centro di pellegrinaggio (la modernità si caratterizza per incorporare il pre-moderno e musealizzarlo, perché sia mostrato e fatto oggetto di visione; e l’attrazione turistica è un insieme eterogeneo che va dalla messa in scena delle attività lavorativa all’offerta di strani ed esotici costumi). Il confronto fra i due autori è stimolante per le soluzioni quasi opposte che presentano ed esprime in breve l’insieme delle antinomie che conosce la storia concettuale del turismo. Per Boorstin le attrazioni sono di scarsa rilevanza per la vita interna di un popolo, mentre sono uno stock indispensabile di merci per la vendita turistica; per Mac Cannell, invece, sono simboli ad alto significato sociale. Boorstin sostiene che l’inautenticità delle attrazioni ha il solo scopo di produrre un’esperienza artefatta, pari all’illusoria ricerca dei viaggiatori; per Mac Cannell, di contro, il nucleo più profondo dell’attività turistica ha a che fare con l’autenticità delle attrazioni. È la ricerca dell’autenticità, più che la ricerca di illusioni artefatte, a divenire la motivazione fondamentale: l’uomo moderno, alienato da un mondo inautentico e disumano, cerca l’autenticità altrove, in altri tempi e in altri luoghi. Attratto come tutti i moderni dalla “realtà”, egli mostra una fascinazione intensa per la vita reale degli altri, reputata possedere maggiore intensità della propria. La nozione di “realtà” da Mac Cannell è utilizzata con maggiore profondità. Assumendo l’idea di “rappresentazione scenica” e applicandola allo studio del turismo riprende la goffamiana relazione fra realtà e artificio in termini di “facciata” entro cui far giocare anche la dimensione della “sincerità” dell’attore sociale. I turisti giunti in un sito di destinazione si trovano difronte a una “realtà di facciata”. Solo “dietro le quinte”, nelle regioni “nascoste” allo sguardo superficiale, vi è la vita autentica, quella ricercata dal turista. Si crea così, all’interno della situazione dell’incontro, un movimento verso l’autenticità dell’altro ad un polo e una tendenza all’occultamento del sé al polo opposto. Alla legittimazione dei turisti a tentare di penetrare nelle regioni “nascoste” della società ospitante, corrisponde una serie di contromisure locali per difendere il contesto o il perseguimento di interessi commerciali che danno vita a “spazi turistici” artefatti (presentati e confezionati con il marchio della “realtà”). L’intero movimento del campo di forze relazionali ha come risultato la “messa in scena dell’autenticità” come merce di consumo turistico. Mac Cannell osserva come una volta entrati nello spazio turistico, non v’è per i turisti via d’uscita, almeno fino a quando non cessa la ricerca di autenticità. La vita artefatta che risulta dalle esperienze turistiche non va perciò intesa come conseguenza di superficiale desiderio per l’illusorio e lo spurio, come sosteneva Broostin, quanto effetto strutturale dello sviluppo turistico stesso. Rispetto a Broostin l’avanzamento conoscitivo dell’approccio neo-goffamiano sta nell’esigenza di distinguere tra prospettiva turistica e prospettiva teorica. Mac Cannell usa una sorta di metodo etnografico della modernità, per cui l’insieme degli asserti critici e negativi che hanno per oggetto il turismo (sia nel senso comune che negli studi), è letto nella stessa maniera con cui l’etnografo rileva e ricostruisce le spiegazioni dei nativi sulla loro vita sociale. (sono intesi come parte del problema da risolvere, non come soluzione dello stesso). Mac Cannell individua cioè una sorta di “senso comune” tipico della mentalità occidentale moderna, rendendolo oggetto di analisi concettuale. L’importanza dell’operazione sta che per la prima volta si dimostra la necessità di separare le opinioni correnti sul turismo dallo studio dei fenomeni empirici, in una sorta di autoanalisi della contemporaneità (che individua nella critica levistraussiana al “totemismo” il modello di riferimento critico-teorico). La distinzione dà inizio alla discussione sociologica sul turista e rende possibile l’apertura di una visione non pregiudiziale e un accorta separazione tra caratteristiche socio-strutturali e motivazioni personali, per collegarsi a un aspetto centrale dell’antropologia strutturalistica francese, cui lo stesso autore si riferisce (quello della riflessione critica rivolta a quei costrutti etnocentrici su cui l’analisi sociale si trova spesso ad operare). Mac Cannell però permane prigioniero di un’immagine di turista tutta verso il positivo, tanto insostenibile quanto quella al negativo di Broostin. La sua critica a Broosti partiva dalla contestazione che quest’ultimo falliva l’analisi strutturale del sightseeing in quanto individuava la sorgente del carattere illusorio delle attrazioni nella motivazione individuale e soggettiva a cercare esperienze illusorie. Ma non si avvede nel cadere nell’errore opposto. Scopre che l’”autenticità” è un valore basilare della contemporaneità, come contrappasso alla natura frammentata e alienante del moderno modo di vivere; ma eccede nella determinazione delle cause ascrivendo tale ricerca ad ogni soggetto, e quindi ad ogni turista. Le ragioni dell’insoddisfazione verso un’ipotesi così unilaterale si collega con l’avanzamento della ricerca empirica e della ricerca sul campo, da Mac Cannel non certo sistematizzata, ma destinata a divenire il focus degli studi a venire. Mac Cannell inaugura in ogni caso una feconda stagione di ricerca. Particolarmente utili risultano alcune sue idee fondamentali, quali quelle di “messa in scena dell’autenticità” e di “spazio turistico” (da alcuni studiosi rese operative in ricerche sul campo). Tra i più importanti studi basati sulle sue tesi, abbiamo Buck e lo studio sulla permanenza dei confini in una vecchia comunità Amish, oppure i lavori di Fine e Speer sulla retorica della “santificazione del sito”. Particolare rilevanza avrà la riflessione sulle caratteristiche proprie dell’esperienza turistica (scuola turneriana) e il ruolo dell’etnografia nella comprensione del comportamento turistico empiricamente determinato. Il neo-ritualismo della scuola di V. Turner Turner detiene una posizione particolare (nel panorama storiografico e teorico), anche se con la sua opera non dà un contributo diretto allo studio del turismo; tuttavia la sua presenza data un inizio di tradizione di ricerca rilevante che attinge ad un approccio processuale in antropologia con le idee di “liminalità”, “anti-struttura”, “mondi rovesciati” e poi, più decisamente, di “pellegrino”. Per Turner la gente ordinaria, profana, vive la sua vita in strutture economiche, sociali e politiche. Nel rituale, e in particolare nei riti di passaggio (originariamente descritti da Gennep) l’individuo è tolto dal suo contesto abituale secondo un processo formalizzabile in 3 stadi. Nel primo stadio, o di separazione spaziale e temporale, l’individuo viene condotto in un posto non familiare, periferico e separato dal suo gruppo sociale. Nel secondo stadio, o di liminalità, l’individuo attraversa il limen del suo mondo ordinato, e si trova in uno stato di “anti-struttura”, fuori da tempo e spazio, dove, sospesi ruoli e obblighi sociali, viene immerso in una dimensione di forte enfatizzazione di legami umani. Qui prova una sensazione di communitas, un legame intenso e indifferenziato con il proprio gruppo sociale. In questo stadio liminale, nel confronto con i simboli fondamentali della sua cultura, si immerge in una esperienza diretta, sacra e sovrannaturale. Nel terzo stadio, o reintegrazione, l’individuo viene reimmesso nel suo gruppo sociale ordinario per accedere, spesso, a nuovi ruoli o a status sociali più alti. Il modello, inizialmente applicato da Turner ad una società etnologica africana (Ndembu), viene successivamente esteso dall’autore anche all’analisi dei pellegrinaggi come fenomeno rilevante di società contadine tradizionali professanti una delle religioni mondiali (Cristianesimo, Islamismo, Induismo, Buddismo). Il pellegrino viene concepito come colui che lascia il suo ambiente quotidiano e parte per un viaggio diretto ad un “Centro d’altrove”, un viaggio che non è solo un movimento nello spazio dal familiare al non-familiare, ma anche un’ascesa spirituale. Durante il viaggio, il pellegrino passa da un tipo di tempo all’altro fino alla piena partecipazione a una sacra esperienza che coincide con il raggiungimento del Centro stesso. A uno stadio ulteriore, Turner distingue fra situazione “liminale”, obbligatoria e di puro contesto religioso, e situaizone “liminoide”, ottativa, caratteristica dei moderni contesti secolari, come ad esmpio il tempo libero. La tematizzazione del viaggio come processo, del “Centro d’altrove” e della limonidità laica del tempo libero moderno divengono, nella scuola turneriana, gli strumenti concettuali per comprendere anche il fenomeno del turismo moderno. Modello processuale turneriano e il paradigma del pellegrino hanno attratto gli studiosi di turismo, che dagli anni 70 in poi hanno iniziato ad adottarlo. Da citare sono Gottlieb e Pfaffenberger (turneriani più forti). L’approccio apre nuove prospettive all’interpretazione dei fenomeni turistici. Anche il turista, come il pellegrino, si muove da un “luogo familiare”, diretto ad un “luogo lontano” per ritornare nuovamente ad un “luogo familiare”. Fino a questo punto, fra l’approccio di Mac Cannell e Turner corre forte analogia. Turner però va oltre e, adoperando premesse Durkheimiane, introduce nuovi elementi di interpretazione. Mac Cannell lasciava inesplicitato un aspetto essenziale del comportamento turistico concreto: la sospensione dei vincoli quotidiani, la senzazione di estrema libertà, la trasgressività e non serietà di molti comportamenti nel “Luogo lontano”. Il carattere ludico e trasgressivo di tali situazioni turistiche è visto da Pfaffenberger come situazioni di liminalità e liminoidità caratteristiche del “centro d’altrove”, marcato da una “sacra perifericità” di Centro e Altro. Infatti proprio nella sua alterità il Centro esprime questi generali valori umani che la differenziazione quotidiana tende a reprimere: spontaneità, personale pienezza, socialità profonda. Specialmente nelle moderne società, dove il tempo libero prende il posto del rituale, la liminalità obbligatoria del sacro lascia il posto ad una liminoidità ottativa, che si esprime negli aspetti espressivi, giocosi e ludici del comportamento turistico nel “luogo lontano”. È questo aspetto ludico del turismo che i ricercatori turneriani enfatizzano. Il turista cerca libertà dalla struttura nello stato liminale dell’essere “fuori del tempo e dello spazio”. Così suona lo studio di Wagner dedicato ai turisti di massa svedesi su una spiaggia del Gambia. Studiando l’esistenza liminale dei turisti svedesi nota che a livello psicologico ed esistenziale una vita senza norme può liberare l’individuo dallo stress e dalle sofferenze imposti dalla struttura formale della società, per fornire una chance di recupero e di ricarica per il lavoro. La ricreazione del pellegrino religioso al Centro diventa la ricreazione secolarizzata del moderno turista, non tanto in termini funzionali alla ricreazione dalla vita quotidiana, quanto in ragione del significato esistenziale che l’esperienza liminale svolge per il singolo turista. Lett nella sua opera mostra come i turisti dei charter yachts con allegra consapevolezza invertono, entro un territorio limitato, le norme e i modelli comportamentali della vita quotidiana. L’esagerato senso di divertimento turistico si oppone alle convenzioni della vita quotidiana della classe media americana. Si cede ad un edonismo illimitato di sesso e bevande, in un’atmosfera di amicizia intima che ha i tratti della turneriana communitas. Questa condotta secondo Lett ha prima di tutto un significato restitutivo e compensatorio, che ricrea e ristora i turisti per il ritorno al quotidiano. Enfatizza la natura temporanea dell’inversione. I suoi soggetti (americani, classe media) non appartengono alla categoria dei turisti (esistenzialisti) votati ad un nuovo alternativo modo di vita, com’è invece nel caso dei dropouts, quanto ai soggetti che anelano a un temporaneo relax. Altri turneriani vanno al di là dell’interpretazione funzionalistica della liminoidità turistica, come: Moore che mostra come la natura allegra del mondo di Walt Disney (generalmente svalutato perché ritenuto la più artefatta delle attrazioni) evoca il soprannaturale in un contesto moderno da cui il soprannaturale è stato bandito e così rende accessibili esperienze che sono altrimenti sbarrate ai moderni immersi in una società tutta secolarizzata. Gottlieb sposta l’enfasi sul significato di turismo dalla sfera psicologica ed esistenziale a quella sociale, introducendo così nella tradizione turneriana una nuova componente strutturale legata alle classi. Avvicinandosi al turismo come “inversione” della realtà quotidiana, tenta di mostrare come i vacanzieri delle classi medio-basse giochino a essere “re(regina) per un giorno”, cercando nelle vacanze quella esperienza di esistenza sociale totale negata dalla vita quotidiana. L’inversione non si riferisce a un’idea di rovesciamento globale dell’esistenza, quanto ad un modello di specifica aggregazione sociale. La prospettiva di una dimensione culturale, più che sociale, è fatta propria da Passariello, che analizzando le vacanze dei messicani nota come i turisti del week-end cercano di esperire in breve tempo qualcosa di differente dalla vita ordinaria. Questa “differenza”, offre la cifra di una variazione culturale della struttura sociale e dello sviluppo storico della cultura produttrice di turisti. Gli studi di Passariello e Gottileb imprimono così un importante avanzamento conoscitivo rispetto alle prime opere di tradizione rigorosamente turneriana, e a diverse intuizioni dello stesso Graburn. Le linee di ricerca, tutt’altro che unidirezionali, aprono a nuovi corsi; ma anche la tradizione turneriana presenta aspetti discutibili. L’enfasi sull’aspetto liminale e ludico del turismo e sull’inversione vacanziera è un importante correttivo alle prime vedute sul turista, però va notato che non tutti i turisti sono identificabili per una fattispecie ludica uniforme. Le successive ricerche incorporano i concetti di liminalità e inversione in un approccio teorico al turismo, per rendere conto della varietà dei fenomeni turistici lungo lo spettro che va dal polo del turista “serio” a quello del “frivolo” vacanziere. Stessa cosa vale per il concetto di “Centro d’altrove” in cui le qualità del Centro e dell’Altro sono da interconnettere e graduare scalarmente. Le finalità del pellegrinaggio e le destinazioni turistiche differiscono nell’estensione in cui essi incorporano il Centro e l’Altro, e quindi nel grado in cui garantiscono la gamma delle licenze “ludiche” e “liminali”. Lo studio delle relazioni fra i generi differenti di destinazione, e i tipi di turisti definiti nei termini della serietà o licenziosità della condotta, ha portato a estendere significativamente il programma di ricerca della tradizione turneriana. Un sofisticato sviluppo in tale direzione lo troviamo in E. Cohen. La fenomenologia del turismo in E. Cohen L’enfasi sulla definibilità del turismo deriva in particolar modo dalle tradizioni di ricerca, con Smith e Nash in testa, che fanno discendere da una sintassi logica delle strutture semplici del fenomeno la possibilità della ricerca empirica. Ma la storia degli studi mostra la presenza di un’altra influente corrente che nega la possibilità di una definizione generale. Cohen ritiene che la caratterizzazione generale del turista offerta da Mac Cannell e da Boorstin è troppo vincolata ad una teoria globalizzante per poter essere realistica; anzi nega che si possano dare definizioni nomotetiche o universali, sino a mostrare come ogni teoria che fin qui ha tentato di articolare il nucleo concettuale del turismo sia caduta nell’errore di sostantivizzare un solo tipo di comportamento turistico, con conseguente generalizzazione. Partendo dagli assunti della sociologia qualitativa Cohen individua nella dimensione dell’esperienza il campo dell’analisi del fenomeno, e nella costruzione di idealtipi fenomenologici lo strumento per la comprensione. Il punto di partenza dell’autore è la figura dello “straniero”, come Simmel e Schutz hanno individuato nella sociologia fenomenologica del Novecento. Per Simmel lo straniero è una figura emblematica della modernità in quanto prototipo di molte situazioni della vita collettiva caratterizzate dall’incontro di individui appartenenti a culture diverse. È una figura “ambigua” per la sua perenne mobilità rispetto al gruppo in cui vive o con cui viene a contatto, vive una continua alternanza di vicinanza e lontananza, familiarità e straniamento, inclusione ed esclusione. Park e la sociologia di Chicago dovevano flettere in termini di “uomo marginale” tale figura; nella sociologia qualitativa del turismo invece lo straniero diviene una sorta di prototipo che apre alla comprensione delle interrelazioni sociali nei comportamenti turistici del mondo moderno. Cohen riscrive i comportamenti turistici dalle teorie sostantive dei suoi predecessori in stili di vita esperienziali, tutti afferenti al rapporto fra “familiarità” ed “estraneità”, rimodulando la questione dell’”autenticità” in termini psico-sociali e costruttivistici. Ad una teoria sistematica l’autore oppone una fenomenologia delle esperienze turistiche, fondata sull’assunzione che l’uomo moderno, nella situazione alienata in cui vive, cerca autenticità, secondo gradi e consapevolezza di diverso grado e livello. Assumendo che non tutti i moderni sono egualmente alienati, Cohen pone in correlazione le due variabili comportamentali costitutive del viaggio lontano da casa: l’alienazione e la ricerca di autenticità, secondo una logica modale e graduale che congiunga le due variabili con i concetti di “Centro” e “Altro”. Tipologie antropologiche del turismo Le tipologie del turismo possono basarsi su una serie di varie caratteristiche fondamentali, tra cui il tipo di turista, la grandezza del gruppo, l’organizzazione, il tipo di destinazione, la qualità dei servizi fruiti, la modalità di trasporto. Dagli studi più direttamente antropologici provengono diverse proposte. 1)Tipologia di Mac Cannell L’autore, più che una tipologia, formula una teoria organica e olistica, che in alcuni casi è divenuta anche utile strumento per l’indagine empirica. In essa si individuano due momenti: il sightseeing come processo stadiale di sacralizzazione, e l’evoluzione del setting turistico. Sacralizzazione del sight Il processo presenta 5 stadi: 1.il primo stadio, o fase della “nominazione”, si ha quando il sight si distingue da altri oggetti simili perché degno di conservazione, e in genere coincide con operazioni complesse (politiche, scientifiche e culturali) della sua autenticazione. 2.il secondo stadio, o fase della “messa in cornice” ed “evidenziazione” porta alla fissazione dei confini dell’oggetto, tramite operazioni di protezione e intensificazione (protezione sottovetro della Monna Lisa e l’impianto di illuminazione). 3.il terzo stadio, o fase della “sacra custodia”, è il momento in cui il contesto di più vicina afferenza all’oggetto diviene luogo di pertinenza affettiva (la Bibbia di Gutenberg nella stanza del museo omonimo). 4.il quarto stadio, o fase della “riproduzione meccanica”, indica la messa in opera delle attività di riproduzione del sacro oggetto (stampe, fotografie, modelli, effigie). 5. il quinto stadio, o fase della “riproduzione sociale”, rappresenta il contesto complessivo, sociale e locale, si definisce tramite l’oggetto sacro stesso. Evoluzione del setting turistico Nello spazio turistico costituito tramite l’attrazione, il setting si connota per un continuum esperienziale da parte del turista che inizia da una situazione di “facciata” artificiale per concludere in una situazione di “regione interna”. L’evoluzione dei siti si svolge per 6 stadi. 1.Primo stadio. È la regione della “facciata” goffamaniana, che i turisti tentano di varcare. 2.Secondo stadio. La regione turistica di facciata viene allestita come se fosse una regione interna, con tratti studiati di “atmosfera”. 3.Terzo stadio. La regione è organizzata per sembrare una regione interna, con simulazione di vita autentica. 4.Quarto stadio. La regione interna accetta gli esterni, secondo precise modalità. Si caratterizza in particolare per la sua apertura (interni privati di personaggi famosi, rivelazioni di segreti diplomatici ecc). 5.Quinto stadio. È la regione interna a cui i turisti possono dare un’occhiata (le visite alle industrie, alle navi ecc). 6.Sesto stadio. Si disvela la regione interna nei termini goffamaniani, come tipo di spazio sociale che motiva la consapevolezza turistica. (come si vede, il modello di Mac Cannell risente fortemente della società industriale, e perciò accusa i limiti della sua stessa genesi) 2)Tipologia di V. Smith Il turismo è difficile a definirsi a causa dell’intersezione, in alcuni casi, di attività di leisure e di lavoro. Per Smith, il turista è una persona che gode di un temporaneo stato di tempo libero e visita un luogo lontano da casa per esperire novità, e il turismo è quell’attività di tempo libero che struttura il personale ciclo di vita per fruire di periodi alterni di lavoro e relax. I due elementi del fenomeno sono da una parte la mobilità legata al tempo libero dall’altra la ricerca di ricreazione individuale in nuovi contesti. Quindi le differenti forme del turismo possono definirsi per le varie mobilità di tempo libero usufruito dal turista, con conseguente classificazione di tipologie di turismo e quindi di turista. I tipi del turismo e del turista Si possono definire 5 tipi di turismo. 1.Turismo etnico. Si presenta al pubblico come l’esposizione di “costumi strani ed esotici”; visite ad abitazioni e villaggi, vista di danze e cerimonie, acquisto di merci e curiosità “primitive”. Il flusso è sporadico e ridotto, con minimi contatti host-guest. 2.Tursimo culturare (o folklorico). Include il pittoresco e il colore locale, le vestigia di uno stile di vita che sta morendo, legato a case vecchio stile, prodotti casalinghi, strumenti agricoli a traizione animale, artigianato manuale. Le attività proposte includono cibi rustici, feste folkloriche, feste in costume. Alto può essere il conflitto host-guest, per l’accessibilità alle aree agricole da parte dei visitatori con macchina fotografica con cui si riprende la vita locale, ridotta a oggetto di studio. 3.Turismo storico. Si trova nei classici circuiti museo-cattedrale che esaltano il passato. Le attività principali includono visite guidate a monumenti e ruderi archeologici. Attrae visitatori acculturati, ed è facilitato perché le destinazioni solitamente sono le grandi città. È supportato da un’industria turistica istituzionalizzata, o “cultura turistica”, con contatti impersonali host-guest e infrastrutture economiche rilevanti. 4.Turismo ambientale. Si coniuga spesso con il turismo etnico, preminenza di turismo élite alla ricerca di paesaggi e ambienti peculiari e diversi dal quotidiano. È soprattutto un turismo geografico, infatti molti viaggiatori colti traggono maggior diletto dall’attraversamento di montagne e campagne per osservare le relazioni uomo-natura. Le maggiori attività comprendono visite a industrie locali, piantagioni esotiche, corsi di fiumi. I contatti host-guest variano molto per località. 5.Turismo ricreativo. È il turismo più noto (come quello delle 4 “s”: sand, sea, sun and sex), che trova la sua promozione nell’attrazione per immagini di luoghi dai bei colori; si correla al relax o alla natura. Le attività prevalenti hanno come fini principali lo sport, le stazione di cura, la balneazione, ma anche buon cibo o intrattenimenti conviviali. Anche qui i rapporti host- guest sono molto variabili, a seconda dei ritmi stagionali. Al punto di vista dell’attività-mobilità corrisponde la prospettiva dell’incontro con i locali, che da luogo ad una specifica tipologia di turista. Esploratori. Generalmente solitari, tendono a ricercare e fare nuove conoscenze. Questi soggetti per definizione non sono semplici turisti perché si avvicinano alla figura dell’antropologo che vive in una situazione di osservazione partecipante con gli indigeni. Hanno facilità ad adattarsi alle norme e alle situazioni della vita quotidiana, ma non mancano degli oggetti tecnologici dei paesi di provenienza. Turisti di élite. Numero ristretto; sono stati un po’ dovunque e non hanno problemi a pagare grosse somme. Differiscono dagli esploratori perché sono sempre in viaggio, e usano mezzi che potrebbero anche essere prenotati tramite agenzie metropolitane. Tuttavia si adattano con facilità per periodi di tempo brevi. Turisti off-beat. Coloro che visitano siti lontani e “originali”. Evitano la folla e tendono a passare vacanze a forte emozione facendo cose al di fuori della norma. Hanno facilità adattiva. Turisti insoliti. Adoperano pacchetti differenziati, ma volti a visitare luoghi fuori dai circuiti convenzionali; sono interessati alla cultura “primitiva” ma preferiscono il supporto di condizioni di vita occidentale. Turismo di massa iniziale. Flussi di visitatori che viaggiano da soli o in piccoli gruppi. Ricercano amenità occidentali. Turismo di massa. Flusso continuo di visitatori che si dirigono verso le destinazioni classiche, dalle Hawaii ai Caraibi. È formato da soggetti provenienti dalle classi medie, con impatto ambientale alto, creazione di “bolla turistica”, infrastrutture ampie e specializzate. Turismo charter. Popolo viaggiante che in massa scende dai grandi aerei intercontinentali, con itinerari organizzati e interamente istituzionalizzati, con bus, hotel, escursioni. 3)Tipologia di E. Cohen L’ipotesi di Cohen è sottodeterminata rispetto una teoria generale del turismo e prevede un approccio fenomenologico al fenomeno secondo 4 criteri (emico, processuale, empirico e comparativo) distintivi delle esperienze turistiche. Tre sono le risultanze: una tipologia, un modello di stile (dimensione internazionale del turista), un modello cognitivo-normativo (incontro turistico). Tipologia generale Inizialmente descrive 4 tipi di turisti sulla base della loro configurazione sociale e a ragione degli effetti operati sulla comunità ospitante. La chiave distintiva è la differenza motivazionale al viaggio, creando i seguenti profili: 1.Turista di massa organizzato. Soggetti poco amanti dell’avventura, partono con un pacchetto ben definito e si muovono lungo itinerari prestabiliti, con scarsa capacità selettiva o decisionale. Il loro soggiorno è interno alla “bolla ambientale” che li distanzia dalla vita del sito. 2.Turista individuale di massa. Simili ai primi, nel far uso dei servizi offerti dal mercato e sono soliti visitare gli stessi luoghi; si differenziano da un uso più personale delle risorse del sito e dei piani di viaggio. 3.Turista esploratore. Amano programmare itinerari e mete in maniera originale, anche se non disdegnano ricorrere ad infrastrutture del mercato. La motivazione del viaggio risponde al bisogno di conoscere altri popoli e imparare la lingua, senza però rompere completamente con le abitudini domestiche. 4.Turista giramondo. Si caratterizzano per un netto e consapevole rifiuto dei servizi del mercato turistico; amano vivere con i locali, di cui imparano lingua e abitudini, sino a mescolarvisi al punto di indigienizzarsi. Lo stile turistico Dopo questa prima tipologia (ripresa e arricchita da Smith) costruisce un modello a 5 uscite, centrato sui “modi delle esperienze turistiche desiderate”, secondo i criteri delle varie posizioni che i soggetti assumono nel definire la propria situazione rispetto al rapporto fra Centro e Altro: -turista ricreazionale; -turista alla ricerca di svaghi; -turista sperimentale; -turista sperimentale; -turista esperienziale; -turista esistenziale. Un individuo moderno legato al centro della sua società di appartenenza, e non alienato da essa, tenderà a ricrearsi dallo stress, usufruendo delle nicchie dell’Altro, al di là dei confini del suo mondo. Cerca esperienze ricreazionali con poco interesse per l’autenticità (simile all’immagine del turista alla Broostin). Al contrario, un individuo moderno del tutto alienato dalla sua società che cerca un’alternativa ad essa, abbraccerà l’Altro al di là dei confini del suo mondo e a porlo nel suo “Centro elettivo”. Cerca esperienze esistenziali con ricerca profonda di autenticità (simile al prototipo pellegrino di Turner). Questo tipo, va oltre la concezione del turista di Mac Cannel volto alla ricerca di un’esperienza immersiva nella vita autentica degli altri, perché con tutta la sua alienazione, il turista di Mac Cannell non abbandona la modernità. Quest’ultimo è piuttosto il turista esperienziale, un osservatore che seppur interessato all’autenticità dell’Altro sperimenta in maniera diretta, ma non vi si identifica. Perciò occupa una posizione mediana tra il turista alla ricerca di svaghi (posto fra il ricreazionale l’esperienziale) che, sebbene non alienato, non cerca autenticità, e il turista esperienziale (fra l’esperienziale e l’esistenziale) che cerca, ma non trova ancora un “Centro elettivo” nell’Altro, ed è molto interessato all’autenticità delle sue esperienze. L’incontro turistico Riguardo lo “spazio turistico”, ridefinisce l’incontro sul sito fra turista e locale, sempre entro lo spettro di possibilità offerto dai criteri dell’autenticità e della rappresentazione. La novità rispetto Mac Cannell si marca per una concezione dinamica e negazionale della dimensione dell’”autenticità”, secondo duplici criteri di realtà-rappresentazione del sito e di consapevolezza- non consapevolezza circa la natura rappresentata del luogo. Le situazioni possibili sono 4, a seconda del rapporto fra “scena” e aspettative di autenticità. La prima situazione è determinata da un sito “reale” e dalla convinzione che esso sia veramente autentico, con conseguente alto livello di soddisfazione. La seconda si connota per la consapevolezza della inautenticità di un sito rappresentato e artefatto, con conseguente basso livello di soddisfazione. La terza si riferisce alla convinzione che il sito, pur finto, sia invece autentico, con conseguente alto livello di soddisfazione. La quarta coincide con il riconoscimento del carattere rappresentato e quindi falso del sito, con basso livello di soddisfazione. La modellistica coheniana è duttile ed operazionale, sfugge, però, ed è insieme merito e svantaggio, ad uno schema defintorio chiuso. 4)Inautenticità vera di A. Gottileb Il raffinamento tipologico ed empirico dell’opera di Mac Cannell coincide con la transizione al paradigma del turista sviluppato sulla base dell’approccio di Turner e di Cohen. Questo processo implica una riformulazione del concetto di “autenticità”. Greenwood ha mostrato che l’”autenticità” è un fenomeno dinamico, emergente più che statico e che, quindi, le odierne attrazioni della “scena” possono divenire domani “autentiche”. Si dimostra che l’”autenticità” non è una qualità data e immota, come sembrava dai primi studi, ma piuttosto una qualità negoziabile di oggetti e attrazioni. Da qui si passa alla transizione da una visione “etica” dell’autenticità che include l’apparato concettuale dell’interprete, ad una visione “emica”, quella cioè che comprende l’individuazione del punto di vista dei soggetti. Il passaggio dal punto di vista del ricercatore a quello dei soggetti nativi è avanzato per primo da A. Gottlieb. Partendo dal punto di vista di Mac Cannell e Cohen che l’esperienza turistica può essere senza significato, superficiale o peggio, basata su falsa conoscenza, l’autrice procede dalla premessa che ciò che il vacanziere sperimenta è reale, valido, e realizzante, non importa quanto superficiale possa apparire agli scienziati sociali. Assume l’idea che i vacanzieri sentono e vedono le loro vacanze in modo “autentico”, li giudichi o no così l’osservatore in rapporto alla cultura ospitante. Invece di chiedersi se l’esperienza del turista è autentica, ci si può ora chiedere qual è la connotazione e la denotazione dell’autenticità agli occhi stessi del turista; cioè cosa egli consideri essere segno essenziale di autenticità. 5)Tipologia di N. Graburn Alla tipologia transazionale di Smith si collega per contrasto quella strutturalistica di Graburn, fondata sulla doppia antinomica alternanza di tempo sacro- tempo profano, e natura-cultura, generatrice dell’opposizione fra turismo naturalistico e turismo culturale. Quello naturalistico ha due differenti manifestazioni: turismo ambientale e turismo ecologico. Quello ambientale mostra attitudini verso un rinnovamento quasi magico delle risorse naturali. Nei casi estremi si ha l’assenza dell’elemento umano. La natura cura e rinvigorisce magicamente il corpo umano; la presenza umana impoverisce. Quello ecologico si batte a favore dell’assoluto rispetto della natura e della necessità che l’uomo non lasci traccia del suo passaggio. Quello di caccia e pesca, invece, predica il salutare prelievo di risorse naturali dell’uomo. Quello culturale si dirige verso siti storici e artistici. Il turismo etnico è una combinazione di turismo naturale e culturale, in quanto si dirige sia verso l’ambiente naturale vero e proprio, sia verso l’ambiente culturale-sociale. 6)Tipologia di K. Przeclawski Assume per criterio centrale il comportamento del turista inteso nella connessione del rapporto fra mezzi e fini dell’azione intrapresa. Da questo punto di vista si distinguono le seguenti forme di turismo: -turismo cognitivo (attività di scoperta della natura, culture passate, contemporaneità, altre popolazioni, se stessi); -turismo ricreativo e di intrattenimento; -turismo per la cura della salute; -turismo creativo (l’adoperarsi per il benessere della popolazione visitata); -turismo educazionale; -turismo professionale; -turismo dei pellegrinaggi; -turismo familiare; -turismo sessuale; -turismo di opportunità economiche. La proposta è ricca e articolata, e permette di individuare comportamenti specifici e modalità di vita differenziate; mostra però di derivare da una concezione assai marcata di soggetto finalisticamente inteso. CAPITOLO 3 La scuola francese e lo sguardo semiotico L’approccio semiotico alle scienze sociali è caratteristica novecentesca e si fonda sull’applicabilità delle teorie linguistiche e della comunicazione alla vita sociale. Per il turismo la bontà dell’approccio si deve a Mac Cannall che si richiama a Peirce, e alle posizioni di Lévi-Strauss e Barthes. L’assunto teorico iniziale di Mac Cannell è lineare. Per lui si può ipotizzare un rapporto di analogia fra la sequenza semiotica del segno come rappresentante di qualcosa per qualcuno e la sequenza di attrazione quale marca di sight per il turista. In questo contesto la relazione centrale si instaura fra un significante (marca) e un significato (sight). Il segno trasforma una scena in un’attrazione che va al di là d’essa. La struttura che ne consegue è un sistema simbolico, in cui un simbolo turistico è la convenzionalizzazione di un sight che tramite un segno trasforma l’immagine mentale in un’immagine pittorica con forte attrattiva emotiva: la Torre Eiffel diviene simbolo della Francia, la Statua della Libertà il simbolo degli Stati Uniti d’America. Il gioco del turista sta nel coinvolgimento nel sightseeing e nella costruzione di realtà sociali, la cui motivazione risiede in una dinamica tutta moderna di ricerca dell’autenticità che conduce alla “sacralizzazione” di ciò che viene visto. Quest’approccio semiotico, nella sua generalità, incontra tutti i problemi che gli studi successivi hanno dovuto riconoscere: difficoltà a relazionare i modo diretto sistemi segnici e sistemi d’azione, eccesso di generalizzazione, scarsa verificabilità dei protocolli osservativi, disattenzione per i molteplici contesti turistici, astrattezza nel comprendere le differenze culturali e quindi anche l’incontro host-guest. Nonostante i limiti di queste tradizioni di ricerca, l’approccio semiotico al turismo, dopo le prime generalizzanti stagioni di ricerca, si è fatto più contestuale e attento alla ricerca empirica, generando molteplici letture del fenomeno. Analizzeremo: Barthes vero mentore spirituale della corrente; articolazione del percorso di Mac Cannell, che costituisce l’anello di congiunzione fra semiosi e analisi del turismo; infine, seguendo alcune indicazioni dell’ultimo Barthes che coscientemente inizia la stagione della critica alla semiotica, concluderemo con le principali posizioni post-strutturalistiche. Barthes fra critica al mito ed esperienza Nel saggio La guida blu dedica particolare attenzione alle guide Hachette, offrendo un esempio di analisi strutturalistica del paesaggio. Il semiologo francese si confronta con la diffusa mitologia del viaggio, di cui demistifica, con vena critico-polemica, una presunta funzione culturale, riducendola a forma borghese di fruizione culturale. Per Barthes la guida di viaggio funziona da strumento di accecamento che focalizza l’attenzione del viaggiatore su un limitato insieme di caratteristiche che potenziano e mascherano il reale spettacolo della vita umana per offrire solo un’illusione di stabilità e continuità culturale. L’equazione che le guide operano fra scenico e pittoresco deriva da un’ideologia dominante che ha origine, per l’autore, in una morale ottocentesca elvetico-protestante tesa a promuovere la percezione estetica di montagne, gole, torrenti e passi; viene esaltata la rigenerazione all’aria pura, la contemplazione spirituale delle montagne, e promuove un ideologia individualistica che identifica moralità con sforzo e solitudine. Con l’introduzione del “vedutismo” montano fruito dal comodo finestrino di un treno, il viaggio diviene una sorta di ascesi a pagamento che beneficia dell’escursionismo secondo modalità di pura passività: avere l’immagine e l’essenza dello sforzo senza però patirne la fatica. La Guida blu perciò rappresenta solo una mistificazione delle realtà politiche ed economiche per il suo insistere unilaterale su monumenti e chiese, tutte cristiane. Prendendo a esempio il paesaggio della Spagna meridionale, Barthes nota come la Guida tende ad oscurare il lato barbaro della cristianità che altrimenti sarebbe visibile. Il testo maschera che una cristianità violenta ha eliminato i precedenti risultati della civiltà araba. Barthes vede nel paesaggio uno dei tanti sistemi di comunicazione, un sistema di oggetti di cui la società si appropria, per farne un significante di secondo ordine, in cui il discorso, divenuto metalinguaggio, deforma e aliena la ricchezza storica del substrato di cui il segno è significante, e si trasforma in mito che depoliticizza il mondo in segno conservativo. Nel saggio la Torre Eiffel, Barthes, addita la torre a esempio di puro significante, il significante vuoto a cui associare una moltitudine di significati. Nella semiologia strutturalistica la torre spiega l’ambiguità delle caratteristiche del paesaggio, esalta l’instabilità fra significante e significato, e apre a una provocatoria dimensione di “vuoto” e “pieno”. Non c’è viaggio “come simbolo universale di Parigi” (dice lui) che non sia fatto in Francia in nome della torre che in un certo modo vi si identifica. La sua immagine appartiene all’universo dei simboli mitici, e religiosi (asse cielo-terra); anche se la Torre è qualcosa di più perché significa ogni cosa a causa della sua pienezza: per i parigini è un dato di fatto, e per questo attrae e riceve molti significati. Ha un carattere duale perché è un oggetto visto da tutti e insieme un oggetto da vedere. Dà uno splendido panorama su Parigi ma come ogni belvedere prospetta un’immagine di natura. La visita turistica del bel panorama implica una mitologia naturalistica; la Torre trasforma la città in una sorta di natura; dà una dimensione romantica a un dato naturale. Dalla Torre, la città diviene un oggetto intelligibile, una concreta astrazione senza per questo perdere la sua materialità. Ogni visitatore della torre fa dello strutturalismo senza saperlo (la vista dalla torre permette al visitatore di legare nella sua mente il paesaggio urbano familiare in un tutto organico). Barthes ritiene che questo sia un esercizio intellettuale di decifrazione dello spazio sociale, geografico e storico di Parigi che rompe il piacere della vista panoramica. Andare sulla torre significa partecipare ad un sogno, stimolato dalla vuotezza stessa dell’oggetto. Essa è più un cristallizzatore di significati che un oggetto significativo in sé. (Da La Guida blu alla Torre Eiffel già si misura in Barthes il percorso che lo condurrà dallo strutturalismo al post-strutturalismo. Già in Semiologia e urbanistica emerge il concetto di lettore e di testo come movimento autonomo non più decifrabile in termini di critica delle mitologie e della politica. Il rapporto non è più fra pieno e vuoto, ma fra Parigi e suburbio, centro e periferia, sé e altro, entro la concezione di un testo aperto, senza fine, processo infinito di comunicazione in cui autori e contesto d’origine non sono più privilegiati. Alle figure degli spagnoli della Guida blu, succedono le immagini dei paesaggi artefatti e dei valori culturali giapponesi dell’Impero dei segni come momenti di rilettura dell’altro attraverso il noi, per il corpo, per l’infanzia perduta. L’altro non è più visto come reificato oggetto della destorificazione del potere, ma come riserva infinita di rilettura di esperienza. Ora è Tokyo ad avere un centro “vuoto” e la periferia ad assumere i connotati degli infiniti transiti esperienziali. L’etnografo deve diventare bambino per capire l’altro, ritornare all’altro che era per comprendere l’altro di adesso.) A Barthes non interessava il turismo o il turista in sé. Il suo intento era quello di cogliere l’immaginario della società moderna, in un primo tempo in maniera critico-culturale, in un secondo momento in maniera autocritica rispetto i luoghi utopici emancipativi del pensiero di sinistra occidentale, cui rimproverava la visione troppo semplificata. ? Mac Cannell fra lavoro e consumo vistoso Al centro delle analisi di Barthes vi era il rapporto fra intellettuali e potere. La figura del turista emergeva nei suoi scritti più come analisi dei processi di destorificazione dell’esperienza soggettiva, che progetto di sociologia empirica, convergendo così in quella lunga seria di studi della tradizione teorico-critica e critico-culturale alla “vita falsa”, all’”industria culturale” e alla “società di massa”. È sul versante americano invece che lo statuto del “turista” si trasforma in specifico oggetto sociologico della modernità. The Tourist è un volume pubblicato da Mac Cannell destinato a divenire, dopo quello di Boorstin, l’inizio di una riflessione specifica. Gli stessi interlocutori interni all’opera dimostrano il passaggio da una discussione critico-ideologica a un’analisi sostantiva. Gli interlocutori con cui dialoga Mac Cannell sono il Veblen del “consumo vistoso”, il Lévi-Strauss del Pensiero selvaggio e il Marx del “feticismo delle merci”. Marx del feticismo delle merci. Mentre Marx pensava che il lavoro fosse alla base della società e del valore delle cose, Mac Cannell sostiene che è lo scambio continuo di beni e servizi (cioè, il valore) a tenere insieme la nostra società moderna. Inoltre, Mac Cannell nota che, nella società di oggi, il lavoro sta diventando sempre meno importante per creare legami sociali. Invece, è il tempo libero (il leisure) che sta assumendo un ruolo sempre più centrale nelle nostre vite e nel modo in cui ci relazioniamo gli uni con gli altri. Il lavoro si allontana sempre più dalla scena centrale della vita, rimpiazzati dallo stile di vita, dalla consapevolezza etnica e dai problemi della qualità della vita, tanto che la produzione materiale viene gradualmente a trasformarsi in produzione e commercializzazione dell’esperienza. Il lavoro stesso diviene attrazione turistica, oggetto di sguardo e momento di curiosità per i visitatori che penetrano gradatamente in tutti i contesti vitali alla ricerca di significati più profondi. La spinta verso “l’autenticità” porta a ritenere che Le varianti post-strutturaliste Due sono le visioni sul turismo che fuoriescono dalla crisi del post-strutturalismo: il turismo è una modalità conoscitiva da analizzare in termini di etnologia della società moderna; il turismo è una costruzione processuale di tempo libero. Rispetto alle correnti di studi si possono classificare le seguenti posizioni: 1.Lo stile di rappresentazione mediale Mac Cannell aveva tentato di formulare uno statuto semiotico esplicativo per il turismo (ma con scarsa fortuna empirico- applicativa). I problemi inesplorati erano 2: il generico riferimento a un soggetto sociale quali le “classi medie” e una mancata comprensione del carattere dinamico delle “attrattive” (definite in maniera normativa e occidentalizzante). Il nesso di Mac Cannell viene affrontato da Jean e Gaetane Thurot in toni critici. Essi concordano sull’assunto iniziale della funzione semiotica delle merci, rifiutano però l’unione che Mac Cannell opera fra teoria del marketing e suggestioni letterarie. Secondo i Thurot, Mac Cannell non coglie né l’aspetto della differenziazione sociale, né la diversità fra il turismo americano collegato alla outdoor ricreation o ai theme-parks, e il modello europeo tipico del Grand Tour. Se i beni o le merci hanno valore di segno sociale, ciò avviene nella mente delle persone che li producono, e non nel comportamento. La tesi generale dei due francesi suona che non è il comportamento turistico a costituire l’oggetto dello studioso, quanto il “discorso” sul turismo elaborato e diffuso dai media in termini di “rappresentazione”. (rifacendosi al concetto di “consumo vistoso” di Veblen, e di “simulacro” di Baudrillard) I critici francesi, sostengono che la significazione sociale delle merci simboliche obbedisce a un codice di oggetti di consumo prodotto dalla classe socialmente dominante. Il modello di valori si materializza così in una serie di rappresentazioni di bisogni che, tramite i media e le infrastrutture dei circuiti di viaggio, si incorporano nel sistema economico, plasmando l’azione sociale stessa. Il turismo è un consumo di tempo libero socialmente connotato da segni e attributi sociali, che si sviluppano secondo una dinamica peculiare. I due autori pongono a oggetto di analisi la classe media francese, e ottengono anch’essi delle conclusioni generalizzanti. L’assunto di fondo è però rilevante, perché esprime la preminenza degli aspetti espressivi del turismo (pubblicità, diari, fotografie), piuttosto che i beni di lusso e le merci materiali dello status symbol. La manipolazione avviene a livello di rappresentazione e non di comportamento, perché le attribuzioni di senso da parte dei soggetti sono sempre subordinate ideologicamente a inconsapevoli codici egemonici. Lavorando sul rapporto fra codici simbolici e autorappresentazione sociale, i fratelli delineano tre stili: lo stile aristocratico, stile etnico e culturale e stile di rischio e avventura. Il primo rappresenta il modello egemone dell’aristocrazia sociale che domina in Europa sino al 1950 e plasma le classi medie. Dalla Seconda guerra mondiale in poi, la classe aristocratica perde il predominio culturale a favore di una nuova intellighenzia interessata all’Altro, consapevole dei rapporti di dominio esistenti e riflessiva dei limiti della cultura di appartenenza. La rivoluzione culturale che ne segue determina novità come il turismo a pacchetti e la democratizzazione dei viaggi, i simboli del consumo di tempo libero aristocratico si estendono anche alle classi medie. Con la fine della connessione tra classi sociali stabili e consumo, vi è una nuova configurazione, per cui non è più il reddito ma lo stile di vita a determinare le modalità del tempo libero, e gli intellettuali (che formano l’immaginario turistico) iniziano a creare stili in competizione basati sia su valori di classe che su diversi modi di vita. Le tesi del Thurot della non determinazione reddituale del tempo di consumo è stata da diversi contestata, anche perché individua una nuova omogenea classe media, che empiricamente non trova corrispondenza, e pecca di eccessiva enfasi sul turismo “interno”. Da però un significativo apporto per l’analisi delle immagini turistiche, e per la costruzione dell’identità dei fruitori del loisir nonché dei siti di destinazione. 2.Lo sguardo turistico generalizzato J. Urry vede nel turismo una istituzione che si basa sullo “sguardo turistico”, come pratica socialmente organizzata e sistematizzata sia dai soggetti che dagli “esperti”. I problemi: il modo in cui lo sguardo turistico è mutato e si è evoluto, i processi tramite cui lo sguardo si è costruito e rinforzato, le procedure di legittimazione, le conseguenze per i “siti”, le interrelazioni con le altre pratiche sociali. Urry sostiene che non vi è in realtà alcuno sguardo turistico in quanto tale, giacché esso varia nelle società, nei gruppi sociali e nei periodi storici. Questi sguardi si costituiscono tramite differenze. Non si vuole negare un’esperienza universale di turismo vera per tutti i turisti di ogni epoca; si intende piuttosto che lo sguardo in ogni periodo storico si costruisce in relazione al suo opposto, ossia alle forme non turistiche di esperienza e di coscienza sociale. Lo sguardo presuppone un sistema di attività sociali e segniche che collocano le pratiche particolari non in termini di tratti intrinseci, ma per contrasti con le pratiche non-turistiche collegate alla casa e al lavoro pagato. Urry sostiene che turismo, vacanza e viaggio sono più significativi socialmente di quanto finora si sia pensato. Invita a pensarli seguendo la metodica degli studi sociologici sulla devianza, nel senso di individuare le pratiche sociali bizzarre, devianti in alcune società, non certo in altre. In ogni caso studiare il turismo come la devianza può rivelare interessanti e significativi aspetti delle società “normali”. Il rapporto normale-non normale diviene chiave per capire il turismo. Quest’ultimo implica una nozione fondamentale, quella di departure, o rottura limitata con le routines giornaliere, che attiva una serie di stimoli che contrastano con il mondo della quotidianità. Considerare il modo in cui i gruppi sociali costruiscono il proprio sguardo turistico permette di entrare in ciò che avviene nella “società normale”. Piuttosto che essere soggetto banale, il turismo diviene un importante rivelatore di pratiche sociali altrimenti opache. Vi sono alcune caratteristiche minimali delle pratiche sociali convenzionalmente descritte come “turismo”: 1.Turismo è un’attività di leisure, che presuppone il suo opposto, cioè lavoro regolato e organizzato; 2.Le relazioni turistiche nascono da un movimento di persone che si dirigono e stazionano in varie destinazioni; 3.Il viaggio e il soggiorno si riferiscono a siti posti al di fuori dei normali contesti abitativi e lavorativi; 4.I posti visitati non sono connessi al lavoro pagato, anzi vi si oppongono; 5.Una quota della popolazione delle moderne società si impegna in tali pratiche e crea uno sguardo turistico di massa, di contro al precedente storico del viaggio individuale; 6.I posti sono scelti per essere visitati a ragione di un’anticipazione estetica, in genere mass-mediale; 7.Lo sguardo turistico si dirige verso caratteristiche di paesaggio rurale e urbano separati dall’esperienza quotidiana, perché fuori dell’ordinario da riprodurre e poi rivivere. 8.Lo sguardo è costruito tramite segni da collezionare (es, Parigi: “Parigi romantica città senza tempo”); 9.Si moltiplicano gli oggetti da guardare entro una complessa e mutevole gerarchia di contesti. L’intento di Urry è di trattare lo sviluppo e le trasformazioni storiche degli ultimi centocinquant’anni. A produrre uno sguardo distintivo è una differenza: il turismo risulta da un’opposizione binaria fra ordinario e straordinario. Gli oggetti potenziali possono essere differenti: devono però essere fuori dall’ordinario; l’attrazione non è un oggetto in sé, ma un segno distintivo. Oltre allo sguardo (per Urry) bisogna riconoscere che nell’odierno consumismo processi centrali sono il sognare a occhi aperti e l’anticipazione; la soddisfazione, cioè, sorge dalla ricerca immaginifica di piacere, e quindi da una dialettica di novità e di insaziabilità che sta nel cuore del consumismo contemporaneo. Il nucleo tematico dell’argomentazione verte sulla connotazione della sfera del “consumo”, di cui Urry sottolinea l’aspetto segnico differenziante e lo statuto socio-istituzionale, negando però (nella discussione con Campbell) la sua riduzione a mero consumo edonistico. Campbell erra, secondo Urry, a vedere nell’”edonismo immaginativo” una caratteristica autonoma delle moderne società, priva di rapporti con specifiche istituzioni. Se Campbell ha ragione nell’asserire che il consumismo contemporaneo implica ricerca di piacere immaginativo, ciò non vale per il turismo, che è un caso paradigmatico di sogni a occhi aperti la cui genesi e costituzione avvengono solo entro la mediazione istituzionale della pubblicità, dei media e della dinamica emulativa sociale. Urry contesta l’altro asserto di Campbell, fondato sulla convinzione che il moderno consumismo abbia una valenza strutturalmente invariante; e sottolinea la variabilità storica del consumo, attribuibile sia al passaggio dal capitalismo organizzato al capitalismo disorganizzato, sia che lo si legga come momento del passaggio dal consumo di massa a modelli più individualizzati. Per Urry la riconducibilità del turismo a mero consumo emotivo deriva da un’ideologia “produttivistica” degli studi sociologici, che non distinguono fra modelli di consumo storicamente distinti. Il consumo di massa fordista prevede l’acquisto di merci prodotte in condizioni di produzione di massa, con alto tasso di spesa sui prodotti di consumo e dominio del produttore sul consumatore. Il consumo differenziato post-fordista indica invece una nuova costellazione in cui è il consumo e non la produzione a predominare, con conseguente crescita di reddito nazionale, variabilità delle preferenze dei consumatori, forme di credito ad alto livello di indebitamento. Le società occidentali, per l’autore, stanno transitando verso la seconda modalità di consumo. In Inghilterra il campo di vacanza è l’esempio storico delle vacanze fordiste. Nel passaggio al post-fordismo tali campus sono stati rinominati “centri” o “mondi vacanze” e ora si presentano come luoghi di “libertà”, con passaggio dal vecchio turismo che implicava offerta di “pacchetti” e standardizzazione, al nuovo turismo segmentato e flessibile. Urry compie un convincente excursus sulla patria del moderno turimso di massa, quello inglese di fine 800, che nasce come turismo delle classi operai del nord, parallelamente alla nascita e sviluppo delle stazioni balneari. L’industrializzazione e la nascita del tempo libero si coniugano con una specifica organizzazione dei siti marini, connotati a luoghi di status-symbol. Ma proprio nella regione della sua nascita il turismo di massa marino è destinato a conosce in pochi decenni l’eclissi. Dopo il 1950 le stazioni balneari del nord vengono disertate a favore del Mediterraneo. La fine della balneazione nordica coincide con un cambiamento dello “sguardo turistico”. Il sistema segnico che marca la differenza fra tempo quotidiano e tempo straordinario di vita muta per interne correlazioni: non è più la sabbia ma il sole o l’abbronzatura a stimolare al nuovo e soddisfare bisogni di soggiorni appaganti. Parallelamente, il processo di de- industrializzazione che coinvolge la Gran-Bretagna trascina con sé anche il destino delle antiche città industriali, le cui vecchie strutture divengono formidabili e agguerriti siti di nuovi “sguardi turistici”: nasce l’heritage torurism (cicli museali, interesse per la conservazione dei beni storici e architettonici). L’esempio inglese è istruttivo per molti versi, in quanto ammonisce sia sulla vitalità del turismo che sulla sua provvisorietà. Ne comprova le caratteristiche “fragili”: subordinazione del fenomeno alla storia sociale del gusto e del bello, frammentarietà e specializzazione competitiva, larga imprevedibilità, stretta coalescenza tra sguardo turistico e destini socio-economici dei contesti di appartenenza. Svolta con il necessario rigore tale concezione del turismo, si conclude che il turismo deriva da uno sguardo a gittata universale, giacché ogni luogo, ogni attività, ogni forma di attività umana può assumere i tratti di un sistema segnico differenziante suscitatore di novità e quindi destinato a generare visitatori. La tesi di Urry però generalizza drasticamente lo spazio di “sguardabilità” (neologismo), in quanto l’autore accetta la tesi della globalizzazione mass-mediale planetaria. Forse dovremmo ancora distinguere fra turismo “interno” o “domestico” e “internazionale”. Anche se questa differenziazione cozza con l’assunto dello “sguardo turistico” che invece fonda la globalizzazione. Per Urry ogni forma di turismo odierno è riconducibile a “turismo domestico”, in quanto la contemporaneità si caratterizza per connotati post-industriali. Il modello retorico dell’immaginario del viaggio Urbain distingue anzitutto, fra sistema turistico e soggettività storica del turista. Il primo è esplicabile entro le coordinate della società moderna, mentre il secondo afferisce alle modalità della percezione soggettiva e alla costruzione culturale, quindi rappresenta una forma storicamente variabile di rapporto fra viaggiatore e meta di destinazione. Il termine “turista” è una nozione da decostruire in termini storico-semiologici. Il suo contenuto negativo appartiene non alla recente storia del turismo di massa, ma nasce entro la stessa costellazione tematica del “viaggio”. Per Urbain, “turista” e “viaggiatore” sono due forme retoriche complementari dell’immaginario del viaggio-mobilità (il turista e il viaggiatore sono come due modi diversi di vivere la stessa esperienza). Le strutture generali di tale immaginario sono rinvenibili nelle teorie di Greimas, ha studiato come le storie sono costruite e ha individuato delle strutture fondamentali che si ripetono in tutti i racconti, queste strutture possono essere applicate anche al viaggio, che può essere diviso in 3 fasi principali: la fuga", "l'esser là", il "ritornare". Anche se sono diverse, queste due figure sono complementari perché entrambe fanno parte della stessa storia: quella del viaggio. Il turista e il viaggiatore sono come due modi diversi di vivere la stessa esperienza. Il modo in cui pensiamo al viaggio è influenzato da una struttura narrativa molto precisa. Questa struttura ci aiuta a capire perché attribuiamo certi significati al turista e al viaggiatore. Urbain rintraccia, sulla base della letteratura di viaggio, la fenomenologia del desiderio del “sacro”, come compresenza del binomio di “attrazione” e “repulsione”. In questa costituzione trascendentale dell’immaginario del sacro, i luoghi sono identificabili come costruzioni socio-culturali del “centro” verso cui tende il viaggiatore: la città (società antiche e medievali), la campagna (società moderna) e il deserto (l’oggi). L’immaginario del viaggio coincide con l’invenzione del paesaggio, come spazio codificato del desiderio dell’altro. La sua posizione si basa su due assunti fondamentali: da un lato, il rapporto oppositivo fra viaggiatore e turista; dall’altro, la determinazione del viaggio quale nucleo tematico dell’esperienza dell’”andare via da casa”. Per il primo punto, i due termini (viaggiatore e turista) non sono due determinazioni storiche evolutive in cui il secondo termine è una degenerazione del primo; ma termini complementari del rapporto ordinario-straordinario e poli dello stesso continuo sacrale. Per il secondo punto, è il viaggio e la struttura del desiderio sottesa a rendere intelligibile il turismo che, così inteso, altro non è che la forma della mobilità umana universale. La conseguenza tratta da Urbain è che il modo in cui vediamo il viaggio (la sua struttura) è così forte che determina come vediamo chi lo fa, questo fa si che il turista diventa un simbolo della ciclicità del viaggio (con i suoi spostamenti continui rappresenta l’idea di viaggiatore), mentre il vacanziere è visto come qualcuno che si sposta solo per fermarsi in un posto. La tesi non è molto distante da quelle di Mac Cannell, in quanto modula la nozione di “turista” sulla metacategoria connotativa della propensione umana verso la mobilità, che trova piena attuazione nella società contemporanea. Per Urbain infatti le strutture dell’immaginario non coincidono con le forme fenomeniche delle storiche attuazioni del desiderio dell’altro, sono invece le condizioni della intelligibilità della loro concreta ed empirica specializzazione. Il viaggio, da passaggio verso la diversità, si trasforma in percorsi “interstiziali” (qualcosa che occupa lo spazio tra altre cose) del desiderio da analizzare nelle zone intermedie e nei confini dei sistemi differenziati dell’oggi. Analizzare così il turismo equivale a produrre una etnologia della società moderna. La contrapposizione ed esclusione fra viaggiatore e risiedere apre alla comprensione di forme fenomeniche dell’attuale percezione dello spazio vitale umano. Ma non sono da sottovalutare gli interni limiti conoscitivi: eccessivo uso di fonti letterarie, e la conseguente sottovalutazione del comportamento turistico; unilaterale centrazione sull’io autoanalizzante; e infine esclusivo modello di rappresentazione mentale e desiderante della realtà. L’analisi semiotica delle arti turistiche Un diverso approccio semiotico offre un settore dell’odierna analisi antropologica: il settore delle arti turistiche a contenuto etico. Quest’ambito permette di studiare ed esplorare i processi culturali sotto la peculiare prospettiva dell’estetica. Al centro vi sono sia le modificazioni di tradizioni etniche dell’espressione culturale, sia le autopercezioni di gruppi sociali. La prospettiva segnica abbandona il disegno di abbracciare l’intera struttura sociale per concentrarsi sull’analisi delle manifestazioni espressive. L’approccio etno-estetico Secondo Graburn, le arti turistiche hanno 2 caratteristiche peculiari. Da un lato, mostrano la trasmissibilità interculturale senza una contemporanea interazione host-guest. L’esportazione di arte turistica è parte del “turismo indiretto”: il transfer di immagini etniche dalla periferia alla metropoli crea e mantiene stereotipi etnici (come film, televisione…) secondo una catena di mercato costituita da produttori, mediatori e fruitori. Dall’altro, posseggono la proprietà di essere un’arte apprezzata al di là degli originari confini culturali e rappresentare un aspetto del sistema di valori della cultura metropolitana che dà un potere speciale alle culture delle popolazioni ospitanti. Secondo Graburn, non v’è un’evoluzione unitaria delle arti turistiche e si possono individuare solo possibili dinamiche di sviluppo. Partendo da una definizione di “etnicità” come “differenza culturalmente percepita fra turista e residente”, indica una serie oppositiva di forme di espressione: forme funzionali-tradizionali vs. forme commerciali-tradizionali, forme reintegrate vs. novità- souvenir, forme popolari vs. belle arti o arti assimilate. La contrapposizione verte sulla differenza fra arti fruite e arti prodotte per la vendita. Lo sviluppo delle stesse segue una progressione generale: dalla produzione originale di società locali ed etniche si passa alle nuove arti sintetiche destinate al mercato, per finire con generi artistici inseriti nei circuiti nazionali e internazionali. Le arti tradizionali che continuano ad essere funzionali sono presenti ai primi stadi del contatto (es, pali totem indiani del Nord- Est). Gli artefatti, sia pure con prestiti da contatto, rispondono ad esigenze di culto e di comunità e non sono destinati alla vendita, come invece accade per le arti commerciali tradizionali. Il passaggio dal tradizionale funzionale al tradizionale commerciale è una direzione che ha luogo quando turisti e stranieri cercano di acquistare esemplari delle arti funzionali, garantite di una certa “a

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