Introduzione ai materiali ceramici PDF
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Questo documento introduce i concetti fondamentali dei materiali ceramici. Vengono classificati i materiali ceramici, descritte le loro proprietà, e discussi i meccanismi di sinterizzazione. La trattazione si concentra su esempi di materiali ceramici tradizionali, come laterizi e vetri, e fornisce anche un'introduzione alle diverse classi di materiali ceramici utilizzati nell'ingegneria.
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3 Introduzione ai materiali ceramici 3.1 Definizione e classi fondamentali L'aggettivo “ceramico” deriva dal greco antico keramos, che designava l'argilla da vasaio. Progressivamente nel tempo il termine dalla materia prima è stato trasferito a tutti i prodotti risultanti dalla...
3 Introduzione ai materiali ceramici 3.1 Definizione e classi fondamentali L'aggettivo “ceramico” deriva dal greco antico keramos, che designava l'argilla da vasaio. Progressivamente nel tempo il termine dalla materia prima è stato trasferito a tutti i prodotti risultanti dalla cottura di argille, dai mattoni alle piastrelle, dalle stoviglie ai refrattari, dai sanitari alle porcellane per uso elettrotecnico. Si è così diffusa la nozione di materiale ceramico come materiale “cotto”, a partire da materie prime minerali. Tale nozione, sebbene estenda la definizione di ceramico anche a materiali non basati su argille, è assai riduttiva. A tutt'oggi potremmo definire ceramico qualsiasi solido inorganico e non metallico, ottenuto attraverso un processo ad alte temperature, generalmente caratterizzato dalla fragilità, dalla durezza e dalla elevata stabilità chimica già riconosciute ai materiali ottenuti da argille. I materiali cementizi, in base a ciò, sono materiali ceramici (anche se, data la loro complessità, saranno oggetto di un capitolo a parte); più specificamente divideremo i materiali ceramici in: Materiali ceramici tradizionali, ovvero i prodotti basati su argille, quali laterizi, piastrelle, stoviglie, oppure i refrattari; Vetri, ovvero solidi a struttura amorfa, a base di silice (SiO2), con additivi atti a ridurre la temperatura di fusione e/o a impartire proprietà caratteristiche; Materiali ceramici ingegneristici, ovvero materiali per applicazioni strutturali (utensili da taglio, palette di turbine, componenti di motori, componenti di sistemi meccanici ad alta resistenza all'usura) o funzionali (semiconduttori, dielettrici, magneti, piezoelettrici ecc.); Materiali cementizi, ovvero materiali leganti per sabbia, ghiaia, elementi in laterizio ecc. fondamentali per le strutture di ingegneria civile; Materiali ceramici “naturali”, ovvero le rocce e i minerali (pietre naturali), inclusi gli alogenuri alcalini (ad es. il cloruro di sodio, NaCl, il comune “sale da cucina”) e il ghiaccio. Il numero dei diversi materiali ceramici è enorme; la presente trattazione si limiterà ai casi più significativi, da cui gli altri possono essere compresi per analogia. Seppure le proprietà possano differire ampiamente, i ceramici hanno una caratteristica fondamentale in comune: tutti sono intrinsecamente fragili, e la fragilità condiziona il modo in cui i ceramici sono utilizzati. Spesso i materiali ceramici sono interessanti per la grande rigidità (elevato modulo elastico) e la grande durezza: una strategia per sfruttare queste proprietà senza per questo ottenere un materiale fragile è combinare materiali ceramici, sotto forma di particelle o di fibre, con materiali più tenaci quali materiali polimerici e materiali metallici, dando luogo a materiali compositi. Materie plastiche rinforzate con fibre (fragili) di vetro o di carbonio sono un esempio tipico: le fibre irrigidiscono la matrice polimerica, in sé piuttosto flessibile; se una fibra si rompe, la frattura non si propaga all’intera sezione, ma viene rallentata dalla deformazione plastica del polimero. I “cermets” sono un altro esempio tipico: particelle durissime di carburo di tungsteno (WC) sono legate con cobalto, per dar luogo ad un rivestimento ad alta resistenza all’usura per componenti metallici (il rivestimento è ben noto con il termine “widia”). Va segnalato che i compositi non sono solamente materiali “artificiali”: un esempio tipico di composito naturale è costituito dal tessuto osseo, costituito da particelle di idrossiapatite (un ceramico) legate da collagene (un polimero). La gran parte dei ceramici è riconducibile a composti tra ossigeno, carbonio e azoto con metalli e metalloidi come alluminio e silicio; questi cinque elementi sono i più abbondanti e diffusi sulla crosta terrestre. Il processo produttivo può essere molto costoso, ma le sostanze di base possono essere molto semplici ed economiche. Nota 3.1: Sebbene le proprietà meccaniche dei materiali ceramici saranno discusse ampiamente in capitoli successivi, è opportuno ricordare qui un esempio classico del condizionamento del modo di utilizzo dei ceramici operato dalla fragilità. Per fragilità si intende la tendenza alla propagazione incontrollata della frattura, innescata da difetti, talora microscopici, nel materiale. Sollecitazioni di trazione sono pericolose per un materiale fragile nel senso che tendono ad “aprire”, e quindi a propagare in modo incontrollato, difetti preesistenti. Sollecitazioni di compressione, viceversa, non determinano una propagazione incontrollata; la resistenza a compressione di un materiale fragile è assai più grande (tipicamente 15 volte) della resistenza a trazione. Elementi strutturali classici in materiale ceramico, quali murature, archi, pilastri, composti da laterizi e pietre naturali (sovrapposti a secco o legati con un 21 materiale cementizio, anch’esso assimilabile ai ceramici) sussistono grazie al fatto che i materiali costituenti sono per lo più sollecitati a compressione. Nota 3.2: E’ opportuno ricordare, nella terminologia ingegneristica, la differenza tra “ceramico” e “ceramica”. Il primo termine designa tutto l’insieme di materiali appena descritto; il secondo termine è invece relativo solo alla denominazione di prodotti tradizionali, quali piastrelle (ad esempio possiamo trovare un “pavimento in ceramica”) o stoviglie (“piatto in ceramica”). La distinzione deve essere considerata soprattutto nell’ambito dei materiali ceramici ingegneristici, utilizzati per componenti meccanici, quali ad esempio sfere per cuscinetti, a base di nitruro di silicio: è corretto scrivere “sfere ceramiche” o “sfere in ceramico”, ma non “sfere in ceramica”, che rimanderebbe a materiali quali la porcellana, sostanzialmente diversi dal nitruro di silicio. Nota 3.3: Il ghiaccio è un ceramico? La risposta dipende dagli aspetti che si considerano. Soprattutto dal punto di vista dei legami chimici, e degli elementi coinvolti (vedi paragrafo successivo), il ghiaccio (un solido molecolare) non è un materiale ceramico. Vi sono però degli aspetti che rendono il ghiaccio “compatibile” con la definizione di ceramico, primo tra tutti il comportamento meccanico. Il ghiaccio è infatti caratterizzato dalla fragilità, e il suo utilizzo “strutturale”, in igloo, è simile a quello di elementi in laterizio o di pietre naturali. Tipo di ceramico Composizione tipica Usi tipici Ceramici tradizionali Porcellana Argille, ovvero allumino silicati idrati Isolatori elettrici. Ceramici per stoviglie, per piastrelle come Al2(Si2O5)(OH)4, ovvero Stoviglie Laterizi Al2O3.2SiO2.2H2O, mescolati con altre Costruzioni (piastrelle, mattoni) sostanze (fondenti e smagranti) Refrattari Vetri Vetro silico-sodico-calcico (% in peso) 70 SiO2, 10 CaO, 15 Na2O Finestre, bottiglie, ecc; facilmente formato e modellato Vetro boro-silicatico (% in peso) 80 SiO2, 15 B2O3, 15 Na2O Pyrex; vetreria da cucina e da laboratorio; basso coefficiente di espansione termica, buona resistenza agli shock termici Ceramici ingegneristici Allumina Al2O3 Utensili da taglio, superfici Carburo di silicio, nitruro di silicio SiC, Si3N4 resistenti all’usura, impianti bio- SiAlON ad es. Si2Al4O4N6 o Si3Al5O5N5 medici, componenti di motori e Zirconia ad es. ZrO2 + 5% in peso MgO turbine, armature; Materiali cementizi Cemento Portland Silicati e alluminati di calcio Costruzioni: rivestimenti e (CaO + SiO2, CaO + Al2O3) giunzioni di elementi in laterizio, pietre naturali ecc. (malte); elementi strutturali completi (calcestruzzi) Ceramici naturali Marmo Per lo più CaCO3 Costruzioni (riempitivi di malte e Sabbia Per lo più SiO2 calcestruzzi, elementi strutturali); Granito Allumino-silicati di sodio, potassio, calcio Ghiaccio H2O Strutture artiche (igloo) Compositi (con una fase ceramica) Vetroresina Vetro + polimero Strutture ad alte prestazioni Compositi in fibra di carbonio Carbonio + polimero meccaniche; Cermet Carburo di tungsteno (WC) + cobalto Utensili da taglio, stampi; Tessuto osseo Idrossiapatite + collagene Principale costituente strutturale degli animali Compositi ceramici Allumina + carburo di silicio (due Applicazioni ad elevate ceramici) temperature Tab.3.I – Esempi (con applicazioni) di materiali ceramici e compositi con una fase ceramica 22 3.2 Struttura dei materiali ceramici I materiali ceramici possono essere suddivisi in base agli elementi che li costituiscono in 4 categorie: Ceramici da un elemento metallico e un elemento gassoso non metallico (ad esempio ossidi, quali l’allumina, Al2O3, la titania, TiO2, la zirconia, ZrO2, ecc. e nitruri, quali il nitruro di alluminio, AlN); Ceramici da un elemento metallico e un elemento solido non metallico, caratterizzato da legami covalenti (ad esempio i carburi, i boruri e i siliciuri, quali TiC, ZrB2, MoSi2); Ceramici da un elemento solido non metallico e un elemento gassoso non metallico (ad esempio l’ossido di silicio, ovvero la silice, SiO2, o i nitruri di silicio e di boro, Si3N4 e BN); Ceramici da almeno due elementi solidi non metallici (ad esempio il carburo di silicio, SiC); Solidi non metallici, a base di carbonio (grafite e diamante) o di silicio, sono descritti comunque tra i materiali ceramici. Sistemi non binari possono essere visti come una combinazione di due o più delle 4 categorie elencate: un esempio particolarmente significativo è fornito dai silicati, in cui si combina l’ossido di un elemento metallico con la silice (il silicato di alluminio, denominato mullite, può essere descritto con la formula Si2Al6O13, oppure dalla formula 3Al2O32SiO2, che evidenzia i due ossidi “originari”). I materiali ceramici manifestano generalmente una microstruttura complessa. Non solo sono per lo più policristallini (anche se monocristalli ceramici sono particolarmente interessanti per specifiche applicazioni), ma anche plurifasici. Ad una fase principale (attribuibile ad una delle categorie sopra riportate), infatti, si accompagnano spesso una fase vetrosa (amorfa) e una certa porosità. La microstruttura dipende da molteplici parametri, dalla composizione ai vari stadi del processo di fabbricazione. Nota 3.4: Una fondamentale differenza tra materiali metallici e materiali ceramici è la sensibilità della microstruttura a “lavorazioni termomeccaniche”. Nei ceramici la mancanza di fenomeni di elastoplasticità a temperature basse comporta la sostanziale invariabilità della microstruttura derivante dal processo di fabbricazione. Una eccezione è rappresentata dai vetri, che effettivamente possono essere colati, pressati, “laminati”, stampati, ecc.; il meccanismo di deformazione è però assai diverso, rispetto ai metallici: i vetri, nell’usuale intervallo di lavorazione (che preciseremo nei capitoli seguenti), manifestano una deformazione di tipo viscoso, sì permanente, ma dipendente dal tempo di applicazione della sollecitazione meccanica. 3.2.1 I legami chimici nei materiali ceramici I ceramici si dividono tra materiali a legame prevalentemente ionico e materiali a legame prevalentemente covalente. Gli atomi sono costituiti da un nucleo (di protoni e neutroni) attorniato da elettroni. A seconda del numero di elettroni (pari a quello dei protoni), gli atomi sono più o meno stabili chimicamente; più precisamente esistono delle configurazioni elettroniche stabili, in cui gli elettroni possono essere immaginati come racchiusi in uno spazio sferico attorno al nucleo. Tale situazione si presenta per i gas nobili (elio, neon, argon, ecc.), elementi effettivamente poco reattivi. Gli altri elementi possiedono un certo numero di elettroni in più o in meno rispetto al numero che assicura la stabilità. Un legame ionico si realizza allorché un atomo A, con N elettroni in più rispetto al numero per la stabilità, li perde, diventando uno ione positivo (catione) AN+; gli N elettroni persi da A possono essere acquisiti da un atomo B, con N elettroni in meno rispetto alla condizione di stabilità, che diventa così uno ione negativo (anione) B N-. Catione e anione hanno una configurazione elettronica stabile, e possono essere idealizzati come sfere. Nel caso di un legame covalente non c’è un atomo che ceda elettroni e uno che li acquisti in senso definitivo; due atomi A e B si legano allorché realizzano la loro stabilità condividendo un certo numero di elettroni esterni. E’ covalente, ad esempio, il legame tra due atomi di idrogeno, ciascuno costituito da un singolo protone attorniato da un singolo elettrone. La condizione di stabilità elettronica si ha per un minimo di due elettroni: uno dei due atomi “prende in prestito” l’elettrone dall’altro, arrivando a 2 elettroni; subito dopo i due atomi si scambiano di ruolo, e così via; mediamente, i due elettroni non appartengono ad uno o all’altro, ma sono “in comproprietà”; gli elettroni condivisi si localizzano con maggiore probabilità lungo la congiungente tra i due atomi legati. I ceramici ionici sono principalmente costituiti da ossidi oppure da alogenuri di elementi metallici quali ad esempio l’allumina, Al2O3, la zirconia, ZrO2, l’ossido di magnesio, MgO, oppure il cloruro di sodio, NaCl). Gli ioni metallici e gli ioni di ossigeno e cloro hanno una carica elettrica uguale e opposta: 23 nel cloruro di sodio gli ioni sodio hanno una carica positiva e gli ioni cloruro una carica negativa. L’attrazione elettrostatica è alla base del legame: gli ioni si impaccano densamente, in modo da tenere le cariche contrapposte il più vicino possibile, ma non tanto che ioni dello stesso tipo (con la stessa carica) possano toccarsi. Questa situazione è alla base di talune strutture ceramiche di base, tra tutti quelle del cristallo di rocca (lo stesso NaCl) e dell’allumina. I ceramici ionico-covalenti o covalenti puri sono diversi. Sono ad esempio costituiti da composti di non-metalli (come la silice, SiO2), oppure talvolta da elementi puri (carbonio e silicio). Gli atomi sono legati attraverso la condivisione di elettroni con gli atomi vicini, lungo un certo numero di direzioni. L’energia non è minimizzata da un impaccamento denso di atomi, ma dalla formazione di concatenamenti di atomi, monodimensionali (catene), bidimensionali (fogli) o tridimensionali (reticoli). il legame è così fortemente localizzato, che potremmo immaginare la struttura come una costruzione di carpenteria metallica fatta di travi saldate o chiodate (ogni trave è un legame, ogni punto di snodo un atomo). Talvolta il concatenamento non è regolare, ovvero non ordinato; i comuni vetri silicatici sono formati da reticoli tridimensionali disordinati (ovvero amorfi). 3.3 Strutture covalenti Il carbonio è tetravalente, ovvero ha 4 elettroni “esterni” capaci di dare 4 legami covalenti. Se consideriamo un tetraedro con al centro l’atomo di carbonio, tali 4 elettroni si possono localizzare in 4 regioni dello spazio dirette lungo le 4 congiungenti il centro del tetraedro con i suoi vertici. Si individuano così 4 direzioni di legame (vedi parte superiore di Fig.3.1). Atomo di carbonio con 4 elettroni esterni localizzati ciascuno in una regione dello spazio (orbitale sp3) diretta lungo la congiungente tra il centro di un tetraedro e un vertice (carbonio in coordinazione tetraedrica) Atomo di carbonio con 3 dei 4 elettroni esterni localizzati in una regione dello spazio (orbitale sp2) diretta lungo la congiungente tra il centro di un triangolo e un vertice (carbonio in coordinazione triangolare) Fig.3.1 – Distribuzione degli elettroni esterni (ovvero di legame) del carbonio nel diamante (sopra) e nella grafite (sotto) – le direzioni di legame sono indicate con numeri romani Il diamante (il materiale più duro che si conosca) è determinato dal collegamento di atomi di carbonio in coordinazione tetraedrica con altri atomi uguali, con giunzione lungo le 4 direzioni di legame. Si ottiene una struttura a maglie tridimensionali (vedi Fig.3.2a; le 4 direzioni di legame di un singolo atomo di C sono evidenziate con un circolo). Se si considerano le posizioni dei centri degli atomi, la visualizzazione della struttura del diamante è assai più semplice: si avranno atomi di carbonio nelle posizioni di una cella CFC, più altri 4 atomi in 4 interstizi tetraedrici (vedi Fig.3.2b; gli interstizi tetraedrici sono numerati e si evidenzia un tetraedro di 4 atomi di C attorno ad un singolo atomo). La struttura è pertanto nota come struttura “diamond cubic” (DC, “cubica del diamante”). La rappresentazione attraverso i centri degli atomi è semplice, ma non reale (il legame non è ionico!). Il carburo di silicio (il materiale più duro, dopo il diamante e un materiale ceramico ingegneristico fondamentale), ha molteplici varianti strutturali; delle due principali, la forma beta (-SiC), ha la stessa geometria del diamante, salvo l’alternare un atomo di C con un atomo di Si, sempre tetravalente. La similitudine è esaltata valutando le sole posizioni dei centri degli atomi (vedi Fig.3.2c). La struttura della forma alfa (-SiC) è più complessa, e può essere compresa valutando una diversa sequenza di connessione tra atomi lungo le 4 direzioni di legame, ovvero una diversa sovrapposizione di maglie (vedi integrazioni). Ancor più complessa è la situazione del nitruro di silicio (un altro materiale ceramico ingegneristico fondamentale), Si3N4, disponibile anch’esso in due forme (- e -Si3N4). La formazione di maglie tridimensionali garantisce al diamante, al SiC e al Si 3N4 valori di densità piuttosto bassi. Si può stimare che la densità del diamante, se gli atomo di carbonio fossero impaccati fortemente, dovrebbe superara i 7 g/cm 3; in realtà il diamante ha una densità di 3.5 g/cm 3 (SiC e Si3N4 hanno una densità entrambi di 3.2 g/cm 3). 24 a b c Fig.3.2 – a) struttura a maglie tridimensionali del diamante; b) posizioni dei centri degli atomi di carbonio nel diamante (struttura “diamone cubic”); c) posizioni dei centri degli atomi nel β-SiC (gli atomi scuri sono di Si, quelli bianchi di C o viceversa) Elementi noti come semiconduttori, e importantissimi nell’industria elettronica, quali il silicio e il germanio cristallizzano ancora con una struttura DC. Significativamente, silicio e germanio appartengono allo stesso gruppo, il IV, della tabella periodica, come il carbonio (molto semplicemente, si tratta di elementi tutti tetravalenti). Allo stesso modo si comportano i composti binari di elementi del III e V gruppo (come l’arseniuro di gallio, GaAs, anch’esso semiconduttore), oppure composti binari del II e VI gruppo, come taluni ossidi e solfuri; il legame tuttavia non è covalente puro, ma parzialmente ionico (vedi sezione 2.4). Il carbonio solido è raramente sotto forma di diamante. Molto più comune è la forma di grafite. Considerando ogni atomo di carbonio al centro di un triangolo, 3 elettroni esterni si possono localizzare in 3 regioni dello spazio dirette lungo le 3 congiungenti il centro del triangolo con i suoi vertici (vedi parte inferiore di Fig.3.1), determinando 3 direzioni di legame. In tale caso gli atomi di carbonio si collegano l’uno all’altro formando maglie esagonali (vedi Fig.3.3a e b). Si possono costruire così dei piani di atomi di carbonio, legati tra loro da legami di tipo debole. Ne risulta, per la grafite, la ben nota sfaldabilità. Il quarto elettrone esterno di ogni atomo di carbonio viene “messo in condivisione” tra tutti gli atomi dei piani, ovvero va a formare “nubi elettroniche” tra i piani stessi; ne risulta una elevata conducibilità elettrica parallelamente ai piani (la grafite è per questo utilizzata per contatti elettrici striscianti, oppure per elettrodi). a b c d Fig.3.3 – Strutture di carbonio sotto forma di grafite (a, b) e fullerene (c, d); in (a) e (c) si riportano i singoli atomi di carbonio attraverso le tre direzioni di legame preferenziali (vedi circoli); in (b) e (d) si riportano i centri degli atomi di carbonio, evidenziando che sia nella grafite, planare, che nel fullerene, tridimensionale, ogni atomo di carbonio è connesso ad altri 3 Si possono formare anche strutture tridimensionali immaginando di creare maglie su superfici non planari. Un esempio singolare è costituito dal C60, detto anche fullerene (vedi Fig.3.3c e d), scoperto nel 25 1985. 60 atomi di carbonio possono collegarsi, ognuno con altri tre, a dare una struttura sferica, caratterizzata da maglie esagonali e pentagonali (in perfetta analogia con le cuciture di un comune pallone da calcio). Un’ulteriore importantissima variante è costituita dai nanotubi (tubi del diametro dai 0.7 ai 10 nm e lunghi più di mille volte il diametro), scoperti nel 1991, che si possono immaginare dall’arrotolamento di piani grafitici. Il legame C-C è talmente forte da rendere conto di elevatissime rigidità (dell’ordine del TPa ovvero di 1000 GPa), per il diamante, per la grafite (nelle direzioni dei piani) e per i nanotubi. Come già visto, la formazione di maglie comporta inoltre materiali a bassa densità. Fibre di carbonio, a struttura grafitica (più o meno regolare), e nanotubi sono pertanto materiali molto importanti come “rinforzi” in materiali compositi. 3.4 Strutture ioniche I tipi di solido ionico sono molteplici, e possono essere relativamente semplici o molto complessi. Come già detto, gli ioni si impaccano densamente; a differenza dei metalli (che fanno riferimento a strutture ad alto impaccamento), però, i solidi ionici devono sottostare a due vincoli fondamentali: a. Le rispettive valenze ioniche stabiliscono il rapporto quantitativo tra gli ioni; ad esempio nel cloruro di sodio, NaCl, Na+ e Cl- sono presenti in rapporto 1:1; nell’allumina, Al2O3, Al3+ e O2- sono presenti in rapporto 2:3; b. Il rapporto tra i raggi ionici definisce la struttura cristallina, essendo collegato al cosiddetto “numero di coordinazione” (NC), ovvero al numero di ioni dello stesso segno attorno ad uno ione di segno opposto. Il bilanciamento delle forze di attrazione (tra ioni di carica opposta) e di repulsione (tra ioni di carica uguale) si ottiene allorché la disposizione degli anioni (ioni negativi) attorno ad ognuno dei cationi (ioni positivi) è tale che questo tocchi il maggior numero di anioni con cui è possibile circondarlo nello spazio, come illustrato dalla Fig.3.4. Fig.3.4 – Configurazioni a coordinazione ionica stabile o instabile; nella configurazione instabile il catione centrale può muoversi tra gli anioni. In base a semplici considerazioni geometriche, si può definire la Tab.3.II. NC Raggio cationico/raggio Disposizione degli anioni attorno Illustrazione anionico (rc/Ra) ad un catione centrale 12 1 Come in strutture CFC (cubiche a corpo centrato) 8 0.732 Vertici di un cubo 6 0.414 Vertici di un ottaedro 4 0.225 Vertici di un tetraedro 3 0.155 Vertici di un triangolo Tab.3.II – Correlazione tra NC e rapporto tra raggi cationico e anionico 26 I legami puramente ionici, nei materiali ceramici, sono piuttosto rari. Ne consegue che i cristalli reali deviano spesso dalla forma predetta dal rapporto tra raggi ionici. Se il legame ha un parziale grado di covalenza, ad esempio, si può adottare un grado di coordinazione minore di quello previsto (il solfuro di zinco, ZnS, non ha coordinazione ottaedrica, bensì tetraedrica). Una seconda deviazione si ha allorché si considerino cationi con carica elevata: i poliedri di coordinazione (ovvero le strutture determinate dalla riunione di anioni attorno al catione) tendono a legarsi preferenzialmente attraverso i vertici piuttosto che mediante gli spigoli o le facce, dando luogo a strutture poco dense. Un caso fondamentale è dato dalla silice, SiO2, caratterizzata da una coordinazione tetraedrica: la mutua repulsione tra gli ioni Si 4+ comporta il collegamento dei tetraedri per lo più attraverso i vertici, raramente attraverso gli spigoli e mai attraverso le facce. a b Fig.3.5 – Struttura dei cloruri di sodio (a, “cristallo di rocca”) e di cesio (b) 3.4.1 Coordinazione ottaedrica: cristallo di rocca Valutando il rapporto tra raggi ionici, per il cloruro di sodio, il numero di coordinazione è 6. Se si immagina di costruire una cella cubica a facce centrate (CFC) di anioni Cl - e si immagina di posizionare i cationi al centro di ogni spigolo e al centro della cella, si ottiene una struttura che effettivamente soddisfa al numero di coordinazione 6. I 6 anioni attorno ad ogni catione definiscono un ottaedro (vedi Fig.3.5a). Si può dimostrare facilmente che i cationi determinano nella loro distribuzione anch’essi una cella CFC. Se il cloruro di sodio (cristallo di rocca) è di scarso interesse ingegneristico, è importante osservare che molti ceramici ionici hanno la medesima struttura. Il più imporante è l’ossido di magnesio, MgO, importante come refrattario. 3.4.2 Coordinazione cubica: cloruro di cesio Il catione Cs+ è più grosso del catione Na+. Il numero di coordinazione vale allora 8. Se si immagina di costruire una cella cubica semplice di anioni Cl- e si immagina di posizionare i cationi al centro della cella, si ottiene una struttura che effettivamente soddisfa al numero di coordinazione 8. Gli 8 anioni attorno ad ogni catione definiscono ovviamente un cubo (vedi Fig.3.5b). Si può dimostrare facilmente che i cationi determinano nella loro distribuzione anch’essi una cella cubica semplice. a b Fig.3.6 - Struttura della blenda (a, “diamond cubic”; gli ioni scuri sono di S, quelli bianchi di Zn o viceversa ) e della fluorite (gli ioni scuri sono gli anioni) (b) 3.4.3 Coordinazione tetraedrica: blenda e fluorite Esempi di coordinazione tetraedrica sono costituiti dal già citato solfuro di zinco, noto anche come blenda, e dalla fluorite. Nella blenda ogni ione Zn2+ coordina 4 ioni S2-; se gli ioni S2- si dispongono in una cella CFC, gli ioni Zn2+ si dispongono su 4 degli otto siti tetraedrici (vedi Fig.3.6a). E’ interessante 27 notare che, dato il rapporto 1:1 tra cationi e anioni, la stessa struttura può essere compresa immaginando gli ioni Zn2+ in una cella CFC e gli ioni S2- in 4 degli otto siti tetraedrici. Si ripropone così la struttura DC, mostrata tra l’altro anche dall’ossido di berillio (BeO). La fluorite (CaF2) è caratterizzata da un rapporto quantitativo tra ioni Ca 2+ e F- di 1:2. Per rispettare tale rapporto, i cationi si distribuiscono su una cella CFC, e gli anioni occupano tutti gli otto siti tetraedrici (vedi Fig.3.6b). Gli anioni sono molto più grandi dei cationi, così che gli ioni Ca 2+ si trovano piuttosto distanti l’uno dall’altro. La zirconia (ZrO 2), uno dei ceramici ingegneristici più importanti, assume la struttura della fluorite nella sua forma stabile ad alte temperature (zirconia cubica); la struttura è diffusa anche per altri ossidi con rapporto 1:2 tra cationi e anioni, quali ThO 2, UO2, CeO2. Si noti che esiste anche una struttura di “fluorite invertita”, in cui sono gli anioni a definire una cella CFC, con cationi in tutti gli otto interstizi tetraedrici: tale struttura si trova in sistemi con rapporto 2:1, quali gli ossidi e i solfuri di metalli alcalini (Li2O, Na2O, K2O, Li2S, Na2S). 3.4.4 Coordinazione triangolare: nitruro di boro (BN) Un esempio di coordinazione triangolare è dato dal nitruro di boro. Lo schema strutturale è dato da triangoli con grandi ioni N3- agli apici e ioni B3+ al centro. Con tale configurazione non è possibile costruire una struttura tridimensionale. Il ceramico è così costituito da piani di BN (vedi Fig.3.7) legati tra loro da legami di tipo debole. La situazione è analoga a quella del carbonio sotto forma di grafite; analogamente alla grafite il nitruro di boro è sfaldabile, e può essere utilizzato come “lubrificante solido”. Fig.3.7 – Struttura del nitruro di boro; immaginando di collegare ogni centro ioni N 3- (grandi, chiari) con 3 ioni B3+ (piccoli, scuri) si ottiene una geometria a moduli esagonali Fig.3.8 – Struttura del corindone (a sinistra, disposizione esagonale compatta di anioni ossigeno e indicazione della posizione dei siti occupati dai cationi; al centro, dimostrazione della coordinazione ottaedrica dei cationi Al 3+; a destra due viste dall’alto dell’ottaedro di coordinazione, schematica e “reale”) 3.4.5 Strutture da impaccamento anionico compatto: allumina e spinelli L’allumina (Al2O3) è uno dei materiali ceramici più importanti. La forma cristallina più diffusa è quella della -allumina, nota anche come corindone. La struttura è caratterizzata da un impaccamento denso di anioni ossigeno, corrispondente ad una struttura esagonale compatta (EC). La struttura EC, insieme alla CFC, è quella caratterizzata dal massimo impaccamento possibile. I cationi Al 3+ occupano siti ottaedrici, così da essere attorniati da sei ioni O2-. Dato il bilanciamento 2:3 tra cationi e anioni, gli ioni 28 Al3+ occupano solo 2/3 dei siti ottaedrici. Un terzo dei siti rimane non occupato, in modo ordinato (vedi Fig.3.8 a sinistra; si può osservare che la posizione non occupata si muove a elica attorno all’asse del prisma della struttura EC). Gli ottaedri di coordinazione dei cationi Al3+ sono leggermente distorti (vedi Fig.3.8 al centro; si può osservare che due facce dell’ottaedro di coordinazione sono complanari con i piani a massimo impaccamento della struttura esagonale compatta). Si noti che gli schemi di posizionamento degli ioni sono convenzionali: in realtà gli anioni sono molto più grandi e quasi si toccano (vedi Fig.3.8 a destra). Condividono la struttura del corindone anche altri ossidi di metalli con numero di ossidazione 3+, quali Fe2O3 (ematite) e Cr2O3. Alluminati, ovvero composti ternari come MgAl2O4 (MgOAl2O3), FeAl2O4 (FeOAl2O3) e ZnAl2O4 (MgOAl2O3), noti come “spinelli” hanno ancora come base l’impaccamento massimo di ioni O2-. In questo caso, però, gli ioni ossigeno si distribuiscono secondo una cella CFC. Gli ioni Al 3+ occupano parte dei siti ottaedrici (analoghi a quelli dei cationi nella struttura del cristallo di rocca) mentre gli ioni bivalenti occupano, tipo Mg2+, parte dei siti tetraedrici (analoghi a quelli dei cationi nella struttura della fluorite). Esiste una variante della struttura dello spinello, ovvero la struttura dello “spinello inverso”, tipica della magnetite Fe3O4 e delle ferriti, ovvero di ceramici magnetici. La magnetite, come suggerito dalla sua stessa formula (Fe3O4 equivale a FeOFe2O3), contiene ioni ferro con due diversi stati di ossidazione, Fe2+ e Fe3+ (ioni ferrosi e ferrici); i cationi bivalenti e metà dei cationi trivalenti occupano siti ottaedrici, mentre l’altra metà dei cationi trivalenti occupa siti tetraedrici. 3.4.6 Titania e titanati La titania, TiO2, nella sua forma cristallina denominata rutilo è caratterizzata da cationi Ti 4+ coordinati a 6 anioni ossigeno, ovvero da ottaedri come poliedri di coordinazione. Come già accennato per la silice, i poliedri di coordinazione possono anche non toccarsi attraverso le facce, in modo da distanziare adeguatamente i cationi, dotati di carica elettrica elevata. Come illustrato dalla Fig.3.9a, i tetraedri sono uniti attraverso facce e spigoli. Le strutture ottaedriche della titania si possono trovare anche in titanati, tipici composti ternari ABO3. Nei titanati B è il catione Ti4+, A è un catione bivalente, come Ca2+, Sr2+ o Ba2+. Mentre il catione Ti4+ è piccolo, il catione bivalente è piuttosto grosso, ed avendo un raggio ionico confrontabile con quello dell’anione ossigeno, necessita di un numero di coordinazione 12 (vedi Tab.3.II). Tale situazione si raggiunge allorché lo ione bivalente si sistema al centro di un cubo, in cui gli anioni si posizionano al centro di ogni spigolo. Immaginando di collegare gli anioni si definisce un poliedro (di coordinazione) particolare (vedi Fig.3.9b), con 6 facce quadrate e 8 facce triangolari. Allorché il catione Ti 4+ si sistema ai vertici del cubo di riferimento originario, si ottengono strutture ottaedriche, composte dalle facce triangolari del poliedro di coordinazione del catione bivalente. In questo caso il poliedro di coordinazione del Ti4+ è collegato attraverso facce: il collegamento non è però diretto, tra poliedri uguali, e i vari cationi Ti4+ sono molto distanziati tra loro. Il titanato di calcio, CaTiO 3, è denominato “perovskite”; tale denominazione è spesso estesa alla sua struttura. a b Fig.3.9 – Connessioni tra ottaedri di TiO2 del rutilo (a); struttura della perovskite (b) 3.5 Silice La crosta terrestre è per lo più composta da silicati. Tra tutte le materie prime, la silice e i suoi composti sono i più diffusi, abbondanti ed economici. Il silicio si lega a 4 atomi di ossigeno a dare un legame ionico-covalente (effettivamente misto, data una percentuale di ionicità del 51%; MgO e Al 2O3, qui classificati come ceramici ionici, hanno una percentuale di ionicità del 73 e del 63%; Si 3N4 e SiC qui classificati come ceramici covalenti, hanno una percentuale di ionicità del 30 e dell’11%); ne consegue 29 una unità strutturale di base costituita da un tetraedro (tetraedro “silicico”, SiO 44-, vedi Fig.3.10). Data l’elevata carica del catione al centro del tetraedro e il carattere parzialmente covalente del legame, il collegamento tra diverse unità avviene solo per i vertici. I tetraedri silicici, nella silice pura, si collegano tra loro collegando tutti i 4 vertici. Ogni catione è sì attorniato da 4 anioni ossigeno, ma ciascun anione è in comproprietà tra due tetraedri diversi (se si valuta il rapporto cationi/anioni, gli anioni “valgono” metà: 1 Si4+ vs. 4 ½ O2-, ovvero 1 Si4+ vs. 2 O2-, come predetto dalla formula SiO2). Gli ossigeni in comproprietà si dicono “pontanti”, per evidenziare il loro ruolo di collegamento tra due tetraedri. Il collegamento di tetraedri avviene molteplici varianti, che determinano forme di silice cristallina note come quarzo, tridimite e cristobalite. Fig.3.10 - Tetraedro silicico (a sinistra, vista “reale”; a destra, vista “convenzionale”, in cui si evidenzia solo il tetraedro di coordinazione) La struttura più semplice è quella della cristobalite (nella forma β, detta anche cristobalite cubica). Immaginiamo di formare anelli esagonali collegando 6 tetraedri (vedi Fig.3.11 a sinistra). Dato un piano, immaginiamo di appoggiarvi i tetraedri ciascuno attraverso una base; per tre tetraedri il vertice restante (“punta”) va al di sotto del piano, per altri tre va al di sopra. Utilizzando tutti i tre ossigeni pontanti delle facce appoggiate si può creare un “foglio” di anelli esagonali (vedi Fig.3.11, a destra). Nella cristobalite la struttura è determinata dalla sovrapposizione di fogli A e B, identici ma “sfalsati”: le punte del foglio A, rivolte verso l’esterno, si incontrano con le punte del foglio B, rivolte verso l’interno (si va avanti poi sovrapponendo al foglio B un foglio C, sempre identico ma sfalsato, combinando punte di B verso l’esterno e punte di C verso l’interno; il solido tridimensionale si ha per sovrapposizioni ABC-ABC- ABC…). La struttura della tridimite è analoga, salvo che il foglio B è ruotato di 180° (avremo qui sovrapposizioni AB-AB-AB…). La struttura del quarzo, forma della silice cristallina più diffusa e stabile a basse temperature, è più complessa, ma è sempre determinata dal collegamento di tetraedri silicici attraverso tutti i 4 vertici. Fig.3.11 – A sinistra, esempio di collegamento dei tetraedri silicici in SiO2 cristallina; a destra, struttura della cristobalite (gli ossigeni pontanti sono ai vertici dei tetraedri; i cationi sono al centro; gli spigoli dei tetraedri nascosti, tratteggiati nella figura a sinistra, non sono riportati nella figura a destra) 3.5.1 Polimorfismo della silice cristallina Abbiamo già visto che una stessa sostanza può avere diverse forme cristalline, ovvero diverse fasi solide. Ciascuna è stabile in intervalli di temperature diversi; tale concetto può essere facilmente compreso considerando le transizioni di fase solido-liquido e liquido-vapore dell’acqua (vedi Fig.3.12a). Ogni fase possiede una certa energia libera (G), che diminuisce con l’aumento della temperatura secondo diversi andamenti (più rapidamente per il vapore, meno rapidamente per il solido). La fase stabile è quella che conferisce al sistema una minor energia libera: sotto 0°C (temperatura di fusione) 30 L’estrema difficoltà nelle trasformazioni ricostruttive è importantissima se si considera la fusione, che avviene a ben 1720°C (la silice è un materiale refrattario molto buono). Al raffreddamento, è assai complicato riassemblare i tetraedri silicici dalla forma liquida, in cui sono parzialmente disconnessi e disordinati, di nuovo in cristobalite; ne consegue che il liquido può solidificare senza cristallizzare, e dar luogo così al più importante tipo di vetro, il vetro di silice. Uno schema riassuntivo delle trasformazioni della silice è riportato in Fig.3.14. Trasformazioni ricostruttive Fusione Liquido Quarzo β (867°C) (1470°C) (1720°C) (TG, Cristobalite 1150°C) β (573°C) Trasfromazioni dislocative Tridimite alta T (ca. 300°C) Vetro Quarzo α (160°C) Tridimite Cristobalite media T α (105°C) Tridimite bassa T Fig.3.14 – Schema delle trasformazioni della silice Nota 3.5: Nel caso di elementi singoli, come nei metalli, il fenomeno del polimorfismo è detto anche “allotropia” (la Fig.3.12b illustra le trasformazioni allotropiche del ferro). 3.6 Integrazioni Maglie tridimensionali del SiC La Fig.3.15 evidenzia come sia possibile costruire, per il SiC, due diversi tipi di maglie tridimensionali (da due diverse “sequenze di sovrapposizione”). Fig.3.15 – Esempio di due diverse connessioni in maglie tridimensionali tra atomi di C e Si (1 si collega con 1’, 2 con 2’, 3 con 3’) Riferimenti bibliografici W.G. Moffatt, G.W. Pearsall, J. Wulff, “The Structure and Properties of Materials – vol.I Structure”, John Wiley & Sons, New York 1964. M.F. Ashby, D.R.H. Jones, “Engineering Materials 2”, Pergamon Press, Oxford (UK) 1986. G. Scarinci, “Appunti del corso di Scienza dei Materiali per Ingegneria Chimica”, CUSL Nova Vita, Padova 1991. W.F. Smith, “Scienza e tecnologia dei materiali”, McGraw-Hill, Milano 1995. M. Guglielmi, “Dispense di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici (per il Corso di Laurea in Ingegneria dei Materiali)”, Biblioteca Centrale di Ingegneria, Padova 2002. 32 questo avviene per il solido (ghiaccio), sopra 100°C per il vapore. Al di sotto della temperatura di fusione, per sostanze con varie forme cristalline, abbiamo la stessa situazione di diversi andamenti di G per diverse fasi solide (vedi Fig.3.12b per il ferro). a b Fig.3.12 – a) Andamenti delle energie libere per acqua in forma di solido, liquido e vapore; b) Andamenti delle energie libere per le varie forme allotropiche del ferro La possibilità, per un solido, di assumere più forme cristalline viene definita “polimorfismo” (oppure “allotropia” nel caso di elementi singoli). Il polimorfismo della silice cristallina è molto interessante. Come già detto, si riconoscono tre varianti strutturali della silice, dette quarzo, tridimite e cristobalite. Il passaggio da una forma all’altra può avvenire solo attraverso una completa ristrutturazione del collegamento tra tetraedri silicici; la trasformazione si dice così “ricostruttiva”, giacché una forma può essere trasformata nell’altra immaginando di scollegare i tetraedri e di ricollegarli in una nuova configurazione. Quarzo, tridimite e cristobalite hanno a loro volta più varianti: in questo caso però, il passaggio da una variante all’altra avviene attraverso variazioni nell’orientamento dei tetraedri, mantenendone la connessione; la trasformazione si dice “dislocativa”. Una ipotetica trasformazione dislocativa è illustrata dalla Fig.3.13 si può osservare che 6 tetraedri possono collegarsi tra loro lasciando uno spazio triangolare vuoto (a sinistra); attraverso una rotazione coordinata dei singoli tetraedri si ottiene la forma trasformata, con 6 tetraedri attorno ad uno spazio esagonale vuoto, più grande dello spazio triangolare originario. In effetti le trasformazioni dislocative sono accompagnate da sensibili variazioni volumetriche. Fig.3.13 – Ipotetica trasformazione dislocativa della silice; la forma a destra si ottiene dalla forma a sinistra per rotazione coordinata di singoli tetraedri, mantenuti collegati tra loro Le trasformazioni ricostruttive sono molto difficili da realizzare, e questo si esprime in una estrema lentezza nelle “inversioni”; non così le trasformazioni dislocative, caratterizzate da un’energia di attivazione piuttosto bassa e quindi da significative rapidità e reversibilità. A temperatura ambiente, è stabile la forma di quarzo α; riscaldando, a 573°C diventa stabile il quarzo β, ottenuto per trasformazione dislocativa. Riscaldando ancora, a 867°C si passa, attraverso trasformazione ricostruttiva a tridimite; in realtà, data l’elevata energia di attivazione, il passaggio avviene generalmente a temperature più alte (ad esempio, è ben nota la possibilità di mantenere almeno una parte della silice sotto forma di quarzo anche dopo trattamenti oltre 900°C). Una volta realizzata la conversione da quarzo a tridimite, per riscaldamento, al raffreddamento non si ritorna indietro: la tridimite passa con trasformazioni dislocative da una forma ad alta temperatura ad una forma a media temperatura, a 160°C, e da una forma a media temperatura ad una forma a bassa temperatura a 105°C. Se si realizzano sia la trasformazione quarzo-tridimite (867°C) e tridimite-cristobalite (1460°C), al raffreddamento la cristobalite passa da una forma ad alta temperatura, cubica (β), ad una forma a bassa temperatura (α), distorta, attorno a 300°C. 31 4 Correlazioni struttura-proprietà nei ceramici 4.1 Silicati Quando la silice si combina con altri ossidi come MgO, CaO, Al 2O3 ecc. i tetraedri non sono più uniti tra loro attraverso tutti i vertici (vedi Tab.4.I): Silicati a strati: si possono creare fogli di tetraedri dati dal concatenamento di 3 vertici; il vertice non collegato di ogni tetraedro ha una carica negativa, utilizzata per il collegamento con i cationi dell’altro ossido (ad es. Al3+); Metasilicati a catena: i tetraedri si collegano attraverso 2 vertici su 4; i due vertici collegati sono allineati lungo una certa direzione; Metasilicati ad anello: i tetraedri si collegano attraverso 2 vertici su 4; i due vertici collegati definiscono una struttura chiusa; Orto- e pirosilicati: i tetraedri sono isolati (orto-), ovvero non c’è alcun ossigeno pontante, oppure sono collegati a due a due (piro-), attraverso 1 dei 4 vertici; Le rocce (“ceramici naturali”) sono spesso costituite da orto-, piro-, metasilicati. Anche i silicati a strati si trovano spesso in natura: le argille, le miche e il talco sono esempi fondamentali. L’argilla più importante, la caolinite, è costituita da due strati, l’uno di silice e l’altro di allumina (idrata). Ottaedri di allumina poggiano sugli ossigeni non pontanti della struttura di silicato a strati. Silicato a strati: collegamento attraverso 3 ossigeni pontanti (si immaginino le facce con ossigeni pontanti, in chiaro, sul piano del foglio; ossigeni non pontanti, più scuri, su vertici dei tetraedri rivolti tutti fuori dal foglio) Metasilicato a catena: collegamento attraverso 2 ossigeni pontanti allineati Tab.4.I – Esempi di strutture di silicati 33 Metasilicato ad anello: collegamento attraverso 2 ossigeni pontanti in una struttura chiusa Tab.4.I bis – Esempi di strutture di silicati 4.1.1 Feldspati (allumino-silicati) I feldspati sono allumino-silicati molto importanti, quali materie prime per materiali ceramici tradizionali. La loro struttura è molto semplice, giacché replica quella della silice cristallina; in talune posizioni, nel tetraedro silicico al posto dello ione Si 4+ si trova uno ione Al3+; la neutralità elettrica viene mantenuta allorché ioni alcalini (Na+, K+) o alcalino-terrosi (Ca2+, Ba2+) si sistemano in posizioni interstiziali (vedi schema di Fig.4.1). Fig.4.1 – Schema di coordinazione tetraedrica dello ione Al3+ con compensazione della carica elettrica operata da ioni Na + 4.2 I difetti nei ceramici Fino a questo punto sono state viste le diverse modalità di disposizione di atomi nelle strutture cristalline dei materiali ceramici. Un cristallo si potrebbe immaginare come la “replicazione” innumerevole dei vari modelli. Tale situazione è però propria solo di materiali “ideali”. Nella realtà i solidi contengono numerosi difetti, ovvero in molti punti il modello di aggregazione di atomi, in base al tipo di legami, non viene rispettato. In generale, i difetti in un cristallo possono essere di tre tipi: difetti di punto; difetti di linea; difetti di superficie; Va notato che il termine “difetto” non ha, nella Scienza dei Materiali, un’accezione completamente negativa. Le proprietà dei materiali sono spesso definite dai difetti: ad esempio, senza le dislocazioni (difetti di linea) il comportamento plastico, generalmente esibito dai metalli, non sarebbe avvertito (ovvero il fenomeno dello snervamento si verificherebbe per sforzi elevatissimi); materiali assolutamente particolari, quali i vetri, possono essere interpretati come materiali ceramici ad elevatissimo contenuto di difetti. 4.2.1 Difetti di punto La comprensione dei difetti di punto è immediata, considerando un sistema semplice, quale il cristallo di un metallo puro. Questo può essere visualizzato come il prodotto dell’impaccamento denso di atomi, rappresentabili come sfere rigide (secondo strutture cubiche a facce centrate, esagonali compatte, 34 cubiche a corpo centrato). Le vacanze sono difetti di impaccamento consistenti in siti non occupati: atomi sono sostituiti da vuoti (vedi Fig.4.2a). Le vacanze si formano come difetto di solidificazione o come risultato delle vibrazioni termiche degli atomi. Se consideriamo il rame puro a temperatura ambiente la concentrazione di difetti è dell’ordine di 107 vacanze/m3, ma aumenta drasticamente, fino all’ordine di 1025 vacanze/m3 (indicativamente, questo corrisponde a 3 siti vuoti ogni 100 posizioni reticolari) a 1000°C, temperatura più vicina al punto di fusione; un liquido può essere al limite visto come un solido contenente un numero così alto di vacanze che atomi o gruppi di atomi sono resi indipendenti dagli altri. La presenza di vacanze è essenziale per il movimento della materia: come vedremo, nella materia solida gli atomi non sono fermi, ma si muovono, “scambiandosi il posto” con vacanze (vedi Fig.4.2b). a b Fig.4.2 – a) rappresentazione riassuntiva dei difetti di punto; b) rappresentazione schematica dell’influenza delle vacanze sulla mobilità atomica Un secondo tipo di difetti è costituito dalle impurezze, sostituzionali o interstiziali (vedi Fig.4.2a). Nel caso delle impurezze sostituzionali atomi del reticolo sono sostituiti da atomi di un altro elemento (cosa possibile se le dimensioni degli atomi di diverso tipo sono simili); nel caso delle impurezze sostituzionali atomi di un altro elemento (generalmente piccoli) si inseriscono negli spazi vuoti del reticolo, ovvero negli spazi interstiziali. Talvolta gli interstizi sono occupati da un atomo dello stesso tipo di quelli che compongono il reticolo di base: si genera così un ulteriore difetto puntiforme, l’”autointerstiziale” (vedi Fig.4.2a). Nel caso dei materiali ceramici, il carattere ionico (più o meno forte) del legame chimico pone delle condizioni importanti ai difetti puntiformi, primo tra tutti la conservazione della neutralità elettrica: se si realizza una vacanza in un punto del reticolo, questa corrisponde alla mancanza di un catione o di un anione, che va compensata. In generale, per i ceramici si possono identificare: difetti stechiometrici; difetti non stechiometrici; difetti estrinseci; I difetti stechiometrici sono difetti che non modificano la composizione chimica. Se viene a mancare un catione, la carica elettrica positiva mancante viene recuperata attraverso la vacanza anche di un anione (coppia di vacanze cationica e anionica, o difetto di Schottky), oppure attraverso il posizionamento di un catione identico a quello mancante in un interstizio (coppia vacanza cationica/autointerstiziale cationico, o difetto di Frenkel, vedi Fig.4.3). Fig.4.3 – Difetti di Schottky (vacanza cationica+vacanza anionica) e di Frenkel (vacanza cationica+autointerstiziale) 35 I difetti non stechiometrici determinano, al contrario, alterazioni della composizione chimica. L’esempio fondamentale è costituito dagli ossidi di ferro, quelli che compongono la ben nota “ruggine”. L’ossido ferroso FeO, teoricamente con un rapporto Fe/O pari a 1, è meglio rappresentato da una formula tipo Fe0.95O, con un rapporto Fe/O 50%), via via più basici. Rispetto ai magnesiaci, i magnesio-cromitici hanno una maggiore resistenza agli sbalzi termici e una migliore refrattarietà sotto carico, sfruttata in applicazioni particolari, quali il rivestimento di convertitori ad ossigeno (per la produzione di acciaio dalla ghisa). 8.2.6 Refrattari elettrofusi I refrattari comuni, porosi, non possono essere utilizzati in condizioni di estrema corrosione- abrasione. Tale situazione si verifica ad esempio nei forni a bacino per l'industria vetraria: il fuso vetrogeno può entrare dentro la porosità, staccare (per effetto delle correnti che si instaurano nel fuso) frammenti di refrattario, che possono inquinare i prodotti finali. I refrattari A.Z.S., ovvero allumina- zirconia-silice, in quanto densi, sono una valida risposta. La ridotta porosità è legata all'adozione di un processo processo di fusione elettrica, colata in stampi e solidificazione. La fusione si realizza tr 1800 e 2500 °C, a seconda delle composizioni, da miscele di sabbie zirconifere (ovvero contenenti zircone, o silicato di zirconio, ZrO2·SiO2) e allumina e una piccola quantità di ossido di sodio (introdotto come soda, ovvero carbonato di sodio, Na2CO3). La struttura degli A.Z.S. (50-65% Al2O3, 10-40% ZrO2, 10-20% SiO2) prevede la presenza di cristalli di mullite (allumina e silice), corindone (allumina) e baddeleyte (zirconia, in forma monoclina, quella stabile a basse temperature); la fase vetrosa è abbastanza ridotta (10-20%). La presenza di zirconia è un elemento di stabilità, dato che tale ossido è ben noto per la sua sostanziale inerzia chimica. Anche refrattari di tipo mullitico possono essere prodotti per elettrofusione e colata, ancora per ottenere porosità assai ridotta. In questo caso si utilizzano miscele di bauxite e argilla, fuse a circa 2000 °C. 65 8.2.7 Refrattari a base di zirconio Oltre che negli A.Z.S., lo zirconio è presente in altri due tipi di refrattario, a base di zircone (ZrO2·SiO2) e di zirconia. I refrattari a base di zircone, che fonde tra 2340 e 2550 °C, sono prodotti per cottura di sabbie zirconifere tra 1300 °C e 1500 °C oppure, meno comunemente, a temperature superiori (1650-1700 °C). Tali refrattari (dotati di un relativamente basso coefficiente di dilatazione, di un’alta conducibilità termica e quindi di una buona resistenza allo shock termico) sono utilizzati in metallurgia, nelle apparecchiature per colata continua di acciai o per metalli non ferrosi e nell’industria vetraria. Lo zircone si decompone tra 1500 e 1650 °C in zirconia e silice vetrosa; la trasformazione è reversibile (cioè, al raffreddamento c’è una ricombinazione), tuttavia può essere vistosa per lunghi trattamenti a 1600 °C, oppure in presenza di impurezze. In presenza di allumina (da sola o inclusa in argilla refrattaria), la silice vetrosa reagisce a formare mullite, dando così luogo ad un refrattario mullite- zirconia. La zirconia stabilizzata (che discuteremo in dettaglio nel capitolo dedicato ai ceramici avanzati) consiste in zirconia con additivi, quali CaO, MgO e Y2O3, atti a rendere stabile, a basse temperature, la forma cristallina cubica, in luogo della forma monoclina (baddeleyte), che tra l’altro rappresenta anche la materia prima naturale. La zirconia è molto refrattaria (se pura, fonde a 2750 °C). I cicli termici, durante l’impiego industriale, comportano una certa destabilizzazione, tanto che si ottengono ceramici bifasici, con fase monoclina immersa in una matrice di fase cubica (caratterizzati da cricche, legate all’espansione dovuta alle transizioni di fase), con una generalmente buona resistenza agli shock termici. La zirconia stabilizzata è utilizzata, come lo zircone, in processi di colata continua di acciai, con il vantaggio di non interagire con l’ossido di ferro (che invece reagisce con la silice dalla decomposizione dello zircone), e in rivestimenti di forni per alte temperature. 8.2.8 Refrattari speciali Il carburo di silicio (SiC), materiale molto duro e dotato di conducibilità termica ed elettrica apprezzabili, è variamente utilizzato nel rivestimento di forni e muffole, in scambiatori di calore, in resistenze di alte qualità per forni elettrici. Il SiC è un prodotto sintetico, dovuto alla riduzione della silice con carbone, a temperature tra 1800 e 2000 °C. Mattoni di SiC (ottenibili secondo varie tecniche) sono molto refrattari, hanno un'elevata resistenza all'abrasione e agli sbalzi termici (il materiale ha sia una buona conducibilità termica che un coefficiente di dilatazione termica basso), tuttavia sono attaccabili da alcali, scorie basiche e soprattutto dall'ossigeno (il SiC ha una facile ossidabilità, limitabile con speciali rivestimenti). Grafite e carbonio amorfo sono eccellenti refrattari, se utilizzati in ambiente neutro o riducente. Dato che la grafite è un ottimo conduttore elettronico, la conducibilità è molto buona, con conseguente buona resistenza agli sbalzi termici. La resistenza sia ad agenti basici o acidi è altrettanto buona. Sono diffusi crogioli per la metallurgia, preparati da impasti di argilla refrattaria e grafite; l'ottima conducibilità elettrica è sfruttata per la realizzazione di elettrodi per forni elettrici. L'ossidazione può essere limitata con rivestimenti a base di carburi. Tra gli altri refrattari speciali, di uso assai meno comune, si possono annoverare l’ossido di berillio (BeO), l’ossido di torio (ThO2), il nitruro di silicio (Si3N4), in nitruro di boro (BN), il disiliciuro di molibdeno (MoSi2; ottimo per la realizzazione di elementi riscaldanti a resistenza per forni elettrici, il disiliciuro fonde a oltre 2000 °C, e trova impiego principalmente per la sua buona resistenza all’ossidazione, dovuta allo sviluppo di uno strato di silice protettivo, compatto e aderente, alla superficie). 8.3 Integrazioni Riferimenti bibliografici V. Gottardi, “I ceramici”, Libreria Editrice Universitaria Pàtron, Padova 1977. J.H. Chesters, “Refractories – Production and Properties”, The Metals Society, Londra 1983. G. Scarinci, “Appunti del corso di Scienza dei Materiali per Ingegneria Chimica”, CUSL Nova Vita, Padova 1991. M. Guglielmi, G. Scarinci, “Materiali con elementi di chimica”, Edizioni Libreria Progetto, Padova 2003. R.A. Higgins, “Materials for Engineers and Technicians”, Newnes, Oxford (UK) 2006 66