Lezione 2: Fonti del Diritto Ecclesiastico PDF

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This document appears to be lecture notes on the sources of Italian ecclesiastical law. It discusses various criteria for classifying these sources, including historical, political-cultural, and formal aspects. It covers sources of unilateral and bilateral origin, as well as regional and international influences. It highlights the specific relationship between the Italian state and the Catholic Church, noting the importance of concordats and agreements.

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Lezione 2 Le fonti del Diritto Ecclesiastico: fonti di cognizione e di produzione Il sistema delle fonti del diritto ecclesiastico risulta molto articolato e complesso. Esso è presidiato da due principi fondamentali: il principio di laicità e...

Lezione 2 Le fonti del Diritto Ecclesiastico: fonti di cognizione e di produzione Il sistema delle fonti del diritto ecclesiastico risulta molto articolato e complesso. Esso è presidiato da due principi fondamentali: il principio di laicità ed il principio pattizio. Con il primo, quello di laicità, lo Stato, nel riconoscere indipendenza ed autonomia (fonti autonomiche) alle Confessioni religiose (riserva di competenza), attesta la propria incompetenza in materia religiosa, e, dunque, intervenire negli interna corporis; in base al secondo, quello pattizio, lo Stato e le Confessioni religiose, nelle materie e rapporti ritenuti di comune interesse, ricorrono a dei ‘moduli convenzionali’, che tengono conto della specifica identità e autonomia costituzionalmente garantita alle organizzazioni confessionali. Diversa declinazione assumerà il principio pattizio a seconda della Confessione considerata. Infatti: 1) Con la Chiesa Cattolica i rapporti con lo Stato Italiano sono regolati dai Patti Lateranensi (art. 7, comma 2, cost.); 2) Per le Confessioni acattoliche le relazioni sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze (art. 8, comma, 3, cost.). In dottrina si utilizzano vari criteri per classificare le fonti del diritto ecclesiastico: storico, politico-culturale e formale. Approfondiremo, in particolare, quello formale. a) Criterio storico L’applicazione di tale criterio - che riconduce l’origine e lo sviluppo di una normativa rilevante per la nostra disciplina ad un determinato periodo storico – prende in particolare considerazione la legislazione ecclesiastica del periodo storico-politico- istituzionale, quello che va dall’Unificazione dell’Italia ai nostri giorni. Tre sono le epoche che caratterizzano tale periodo: 1) Epoca liberale (nessuna norma è in vigore); 2) Epoca fascista (numerosi e fondamentali disposizioni): - L. n. 810/1029 (nella parte relativa al Trattato Lateranense) - L. n. 847/1929 (legge matrimoniale); - L. 1159/1929 e r.d. 28 febbraio 1930, n. 289 (legge sui culti ammessi); - Codice Civile - Codice Penale 3) Epoca repubblicana (numerose e fondamentali normative) b) Criterio politico-culturale Tale criterio si radica, invece, sul diverso atteggiamento assunto dallo Stato nei confronti del fenomeno religioso, e, dunque, delle relazioni tra sfera politica e religiosa. Distinguiamo: 1. Filone separatista: che ispira alcune disposizioni risalenti al legislatore liberale e la normativa costituzionale dell’epoca repubblicana; 2. Filone confessionista: individuabile nella residua legislazione di epoca fascista, in particolare, nelle norme del codice penale, oggi peraltro interamente riformulate; 3. Filone regalista-giurisdizionalista (ormai residuale, che tuttora ispira, sia pure in modo attenuato, la legge sui culti ammessi ed il regolamento di esecuzione). c) Criterio formale Tale criterio fa riferimento ai profili soggettivi ed oggettivi delle fonti di produzione normativa in materia ecclesiastica. Distinguiamo: 1) Fonti di provenienza unilaterale statale; 2) Fonti di provenienza bilaterale (o fonti di origine pattizia); 3) Fonti di provenienza unilaterale confessionale (o fonti autonomiche); 4) Fonti di origine giurisprudenziale; 5) Fonti regionali; 6) Fonti internazionali; 7) Fonti comunitarie. Analizziamo nel dettagli tali fonti: 1) Fonti di provenienza unilaterale statale Si tratta dell’insieme delle norme prodotte dagli organi titolari nell’ordinamento italiano della potestà normativa. Si ricordano in particolare: a. Le disposizioni costituzionali: che direttamente o indirettamente disciplinano il fenomeno religioso (artt. 2-3, 7-8, 19-20, 29-31, 32, 33-34); b. La Legge n. 1159 del 1929 sui culti ammessi ed il relativo regolamento di esecuzione (che si applicano alle confessioni religiose prive di intesa con lo Stato); c. Codice Civile, Codice Penale, Codice di Procedura Civile, Codice di Procedura Penale (che contengono norme relative a fattispecie connesse a diverso titolo con la libertà di coscienza e di religione: destinazione al culto delle chiese e di altri luoghi di culto, giuramento in sede processuale, reati in materia religiosa…); d. Legge sull’obiezione di coscienza; e. Legge sulla procreazione medicalmente assistita; f. Legge elettorale (che contiene i c.d. reati o abusi elettorali di ministri di culto); g. La legge sulle ONLUS; h. La legge sulla parità scolastica; i. La legge sullo statuto giuridico degli insegnanti di religione; j. La legge sugli oratori; 2) Fonti di provenienza bilaterale Sono quelle oggetto di accordi o intese tra lo Stato Italiano e le Confessioni religiose, cui è riservata, in forza dell’art. 7-8 Cost., la disciplina dei relativi rapporti: a. Legge 27 maggio 1929, n. 810 di ratifica ed esecuzione del Trattato Lateranense dell’11 febbraio 1929; b. Legge 25 marzo 1985, n. 121, di ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Revisione del Concordato; c. Legge 11 agosto 1984, n. 449 di approvazione dell’Intesa con la Tavola Valdese; d. Legge 22 novembre 1988, n. 516, di approvazione dell’Intesa con le Chiese cristiane avventiste; e. Legge 22 novembre 1988, n. 517, di approvazione dell’Intesa con le Assemblee di Dio; f. Legge 18 marzo 1989, n. 101, di approvazione dell’Intesa con le Comunità ebraiche; g. Legge 12 aprile 1995, n. 116, di approvazione dell’Intesa con le Chiese evangeliche battiste; h. Legge 29 novembre 1995, n. 520, di approvazione dell’Intesa con la Chiesa evangelica luterana. Tali leggi appartengono alla categoria delle c.d. fonti atipiche o rinforzate: si tratta cioè di legge ordinarie del Parlamento, ma la presenza di un previo Accordo o Intesa con la Confessione interessata, aggravando il loro iter di formazione, conferisce loro una forza di resistenza passiva all’abrogazione ‘superiore’ a quella delle fonti ordinarie di pari grado. La modifica di tali leggi, infatti, è subordinata alla previa modifica dell’accordo o intesa, salvo che si proceda unilateralmente da parte dello Stato alla modifica delle disposizioni costituzionali che le prevedono (artt. 7-8 cost.) ricorrendo alla procedura di cui all’art. 138 Cost. Anche qui, tuttavia, occorre fare una distinzione tra le confessioni religiose: a) Chiesa Cattolica Norme di derivazione concordataria: si tratta di norme derivanti dalle leggi di ratifica ed esecuzione dei Patti lateranensi (L. n. 810/1929) e da quelle del successivo Accordo di revisione concordataria con la Chiesa Cattolica (L. n. 121/1985). Esse godono di una particolare stabilità o copertura costituzionale, nel senso che pur essendo state formalmente costituzionalizzate (infatti la loro modifica se attuata di comune accordo non richiede procedimento di revisione costituzionale, art. 7, comma 2, cost.), tuttavia presentano una forza di resistenza passiva all’abrogazione superiore non solo alle leggi ordinarie ma alle stesse norme costituzionali, cui possono quindi derogare, col solo limite del rispetto dei principi supremi dell’ordinamento. b) Le confessioni acattoliche Norme di derivazione pattizia: si tratta delle disposizioni contenute nelle leggi di approvazione delle Intese che, però, non godono della copertura costituzionale come quella prevista per le norme di derivazione concordataria sopra indicate, in quanto il comma 3 dell’art. 8 cost., si è limitato a costituzionalizzare il principio pattizio, che attiene al loro procedimento di formazione e non al loro contenuto. Esse dovranno essere conformi al contenuto delle Intese (c.d. leggi a contenuto costituzionalmente vincolato), che ne rappresentano il presupposto di legittimità costituzionale, e pertanto sono destinate a prevalere su tutte le altre leggi ordinarie, ma non potranno derogare a nessuna delle disposizioni costituzionali, alle quali sono integralmente soggette 3) Fonti di origine confessionale Sono le norme prodotte dagli stessi ordinamenti confessionali per disciplinare determinati rapporti ed alle quali lo Stato conferisce valore giuridico ed efficacia civile, rinunciando a dare una disciplina propria a quel tipo di rapporti, consentendo che questi ultimi siano regolati dall’ordinamento confessionale le cui statuizioni vengono, pertanto, ad essere recepite dall’ordinamento dello Stato. Il problema si pone essenzialmente per il diritto della Chiesa cattolica (diritto canonico). Il collegamento tra l’ordinamento italiano e l’ordinamento confessionale avviene attraverso le modalità del rinvio formale e del presupposto e non attraverso il rinvio materiale e ricetti zio giacché questo comporterebbe una “nazionalizzazione” delle norme richiamate (Dalla Torre). a) Criteri di collegamento: Rinvio formale o non recettizio: lo Stato, rinunciando a disciplinare direttamente con proprie norme una determinata materia, attribuisce direttamente efficacia civile al diritto confessionale, così come vige nell’ordinamento di origine e senza assorbirlo al proprio interno. E’ quanto avviene con quelle norme di derivazione concordataria che attribuiscono rilevanza civile ai controlli confessionali sull’amministrazione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. Con tale criterio lo Stato rinuncia a disciplinare con proprie norme una determinata materia, preferendo attribuire efficacia alle norme confessionali. Presupposizione. Si dà luogo alla presupposizione (o presupposto in senso tecnico) qualora il diritto dello Stato non fa sue le norme dell’ordinamento confessionale, ma assume le situazioni giuridiche concrete che in questo sono nate sulla base delle norme a questo proprie. Così ad esempio la qualifica di “ecclesiastico” o di “ministro di culto”, cui sono riconnesse una serie di conseguenze nell’ordinamento italiano, è da quest’ultimo riconosciuta a quelle persone fisiche che, in base alle norme interne dei vari ordinamenti confessionali, siano state destinate al servizio del culto. 4) Le fonti regionali L’art. 117, comma 2, lett. c) sancisce la potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia dei rapporti tra la Repubblica e le Confessioni religiose conformemente agli artt. 7 e 8 Cost.. Da tale disposizione deriverebbe che le Regioni non possono legiferare in materie oggetto di disciplina pattizia. Diversamente per materie oggetti di disciplina unilaterale in base al criterio di ripartizione del potere legislativo tra Stato e Regioni (art. 117 cost.). Tuttavia il comma 5 del medesimo articolo riconosce alle Regioni una vera e propria soggettività esterna nei rapporti con altri ordinamenti con espresso riferimento “all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea” nonché di “concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato” (art. 117, ult. comma). Sotto tale profilo, e limitatamente alla Chiesa Cattolica, le clausole di rinvio previste dall’Accordo 1984 prevedono la possibilità che tra i due ordinamenti si possano concludere intese. Si è affermato, tuttavia, che tale disposizione, in forza della copertura costituzionale di cui all’art. 7, comma 2, cost., impedirebbe l’operatività della riforma del titolo V sotto tale peculiare profilo, e quindi la possibilità per le Regioni di legiferare anche in materie oggetto di normativa pattizia. Nelle materie che rientrano nella competenza legislativa delle Regioni, segnaliamo per la loro peculiare rilevanza per il diritto ecclesiastico le seguenti: istruzione, formazione, turismo religioso, assistenza, servizi sociali, edifici di culto ecc…, rispetto alle quali l’art. 117, comma 2, lett. m) stabilisce il compito per i medesimi enti locali di assicurare “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, tra cui è ricompresa, appunto, la libertà religiosa. 5) Fonti giurisprudenziali Tra le fonti del diritto ecclesiastico troviamo anche le sentenze pronunciate dalla Corte Costituzionale, oltre quelle delle altre Corti Supreme (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato). Il loro ruolo nell’evoluzione della disciplina del fenomeno religioso è stato, ed è ancora oggi, fondamentale. Come sarà approfondito nelle prossime lezioni, l’individuazione del principio di laicità e la sua riconducibilità alla categoria dei c.d. ‘principi supremi’ dell’ordinamento costituzionale (dotati di ‘una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale’) sono dovuti alla storica sentenza n. 203 del 1989 della Consulta. 6) Fonti internazionali e comunitarie Per quanto concerne le fonti internazionali, molte le convenzioni che disciplinano materie rilevanti per il diritto ecclesiastico:  la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, New York il 10 dicembre 1945;  il Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici, New York 16 dicembre 1966;  la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU – conosciuta anche come Convenzione europea per i diritti dell’uomo, firmata a Roma nel 1950). Per le fonti comunitarie è bene precisare che, l’Unione Europea, come previsto dai Trattati istitutivi, non hanno alcuna competenza in materia ecclesiastica: i rapporti con le Confessioni religiose restano nella competenza esclusiva degli Stati membri. Tuttavia, gli organi dell’Unione hanno competenza su materia e settori di attività che potrebbe andare ad incidere sul loro regime giuridico, ponendo problemi di coordinamento e di salvaguardia dei sistemi di relazione tra Stato e Chiese nei singoli ordinamenti giuridici nazionali. 7. Altre tipologie di fonti 1) Il Concordato Torniamo a parlare delle fonti bilaterali per approfondire il tema del concordato come fonte di diritto ecclesiastico. Le fonti di provenienza bilaterale – pur essendo sempre unilaterali – sono predisposte come attuazione di un impegno bilaterale assunto con un altro ordinamento. L’esempio classico è quello del Concordato. Il Concordato ecclesiastico è l’istituto giuridico che ha rappresentato il modello ed il cardine dei rapporti tra Chiesa e Stato. I Concordati moderni – dei quali prototipo fu il Concordato napoleonico (1801) – si collocano in un contesto sociale, politico e culturale del tutto diverso dal Concordato medioevale – il cui modello possiamo individuare nel Concordato di Worms del 1122. La tradizionale forma di collaborazione tra Stato e Chiesa è rappresentata dai concordati, ovvero accordi di diritto internazionale. Lo Stato è parte contraente del concordato, ma in futuro non è da escludere che si possano stipulare anche con altri soggetti internazionali. Per l’individuazione dei soggetti competenti è necessario rifarsi alle norme costituzionali dei diversi Stati. Per parte della Chiesa il soggetto competente a stipulare un concordato è la Santa Sede, che gode di soggettività giuridica internazionale, alla quale per il diritto canonico spetta lo ius legationis e lo ius tractandi. La formazione segue la procedura tipica delle convenzioni internazionali (Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati 1969): i negoziati ufficiosi, la nomina dei plenipotenziari con relativa verifica dei poteri, la redazione e la firma dell’accordo da parte dei plenipotenziari e infine lo scambio delle ratifiche. Senza la ratifica l’accordo non acquista forza vincolante e non produce effetti giuridici. La ratifica è atto unilaterale con cui ciascuna parte approva l’operato dei suoi plenipotenziari, spetta quindi al Pontefice e al capo dello Stato, autorizzato dal competente organo costituzionale. Perché possa produrre effetti è necessaria anche l’esecuzione; questa avviene automaticamente per l’ordinamento canonico perché l’accordo viene pubblicato sugli “Acta Apostolicae Sedis”. Più complessa la situazione per gli ordinamenti statali: in alcuni casi l’adattamento è automatico (sistema monista), in altri casi è necessaria una legge di esecuzione (sistema dualista) senza la quale il concordato non produce effetti giuridici interni. Le disposizioni concordatarie vigono contestualmente nei due ordinamenti, oltre ad essere in vigore nell’ordinamento internazionale. Esiste poi il problema dell’interpretazione poiché da un lato è frutto di un avvicinamento delle due parti da posizioni originarie diverse sicché la formulazione si può prestare ad interpretazioni differenti; dall’altro lato le disposizioni creano un diritto oggettivo comune, quindi interpretato ed applicato allo stesso modo. L’interpretazione di cui si parla non è quella della dottrina (interpretazione dottrinale), ma quella autentica compiuta dalle parti o in via unilaterale (interpretazione unilaterale) o in via bilaterale (interpretazione bilaterale). La prima è sempre legittima purché in buona fede; la seconda è stabilita d’accordo fra le due parti. Ad esempio nell’articolo 14 del concordato italiano è stabilito che se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata. Per l’estinzione dei concordati valgono le regole generali relative ai trattati internazionali. Una prima causa è data dal consenso reciproco delle parti contraenti; un esempio è l’accordo di Villa Madama del 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica italiana nelle quali sono apportate delle modifiche al Concordato lateranense del 1929. Altra causa è la scadenza dei termini, posti originariamente all’accordo; ad esempio nell’art. 20 della convenzione del 1957 con la Bolivia troviamo che questa Convenzione avrà la durata di dieci anni dalla ratifica, che si considera tacitamente rinnovata di dieci anni in dieci anni, a meno che sei mesi prima che termini il mandato una delle due Alte Parti dichiari il contrario. C’è poi il caso per il verificarsi di una clausola risolutoria prevista nell’accordo. Infine l’estinzione per denuncia unilaterale che deve essere contemplata nell’accordo; ad esempio la convenzione con la Repubblica di El Salvador (1968) afferma che questa convenzione resterà in vigore a meno che una delle Alte Parti la denunci con un anno di anticipo. C’è anche la possibilità dell’estinzione per la denuncia da parte di uno dei contraenti per violazione di una o più disposizioni; è tradizione della Santa Sede non fare ricorso a questa forma. Un problema nasce dalla possibilità di accordi tra Chiese particolari e comunità politica. Fino al Concilio Vaticano II c’era l’esclusiva competenza della Santa Sede, anche se nel tempo non sono mancati casi di accordi fra le Chiese particolari e corrispondenti autorità politiche. Tale teoria e tale prassi discendevano da ragioni politiche e giuridiche: da un lato si è sempre considerato che il papato fosse più libero rispetto all’autorità politica e quindi più capace di far valere le ragioni della libertas Ecclesiae particolare, senza contare i sempre rinascenti sospetti per il pericolo del formarsi di Chiese nazionali assoggettate allo Stato; dall’altro si rafforzava l’idea della esclusiva competenza della Santa Sede, in ragione della sua indiscussa soggettività giuridica internazionale. Ora la situazione appare mutata, come conseguenza del Vaticano II. Nel decreto conciliare sull’ufficio pastorale dei vescovi “Christus Dominus” è attribuito al Vescovo diocesano il munus di promuovere e curare i rapporti con l’autorità civile. Il problema appare più politico, cioè attiene più a questioni di opportunità e di convenienza. Non è affatto vero che oggi la Chiesa sia più libera che in passato, anche se in molti casi l’azione della Santa Sede è più incisiva nella difesa della libertas Ecclesiae. Il problema di maggior rilievo è quello della quantificazione degli accordi in questione. Non hanno natura concordataria poiché la Chiesa particolare non è soggetto di diritto internazionale e spesso anche l’altra parte non lo è. Si possono individuare tre diverse fattispecie. La prima è data dagli accordi fra episcopato ed autorità politica, con un carattere meramente politico; per far sì che l’autorità politica competente adotti nell’ambito dell’ordinamento civile quei provvedimenti di natura normativa o amministrativa che sono attuazione di quanto convenuto con l’autorità ecclesiastica. La seconda è data dagli accordi con carattere meramente amministrativo, interno all’ordinamento statale; ad esempio l’intesa fra Vescovo diocesano e competente autorità scolastica per la nomina dei docenti di religione. La terza è data dagli accordi aventi un contenuto normativo, cioè volti ad innovare l’ordinamento giuridico statale. Non hanno la natura di accordi internazionali né possono qualificarsi come concordati, però si tratta pur sempre di accordi che nascono in un ordinamento giuridico terzo, nel quale le due autorità contraenti si incontrano su un piano di parità. E’ evidente che i contenuti dell’accordo devono poi trovare esecuzione nell’ordinamento civile e in quello canonico. Si deve anche contemplare il caso che singoli Vescovi o le conferenze episcopali, con il consenso e con il mandato della Santa Sede, stipulino accordi con l’autorità statale; in questo caso si rientrerebbe nella fattispecie concordataria e rientrano i “concordati quadro”, quelli contenenti i principi informatori dei rapporti, e gli accordi attuativi sulle singole materie. L’Accordo di modificazione del concordato lateranense del 18 febbraio 1984, da un lato pone delle norme quadro in determinate materie: insegnamento della religione nelle scuole pubbliche; di assistenza spirituale nelle forze armate, nelle carceri, negli ospedali e negli istituti di ricovero; di tutela del patrimonio storico ed artistico. Dall’altro prevede una clausola generale secondo cui ulteriori materie potranno essere regolate sia da nuovi accordi sia da intese con le competenti autorità (art. 13.2). Nel primo caso si tratta di un mandato della Santa Sede a convenire con l’autorità statale, nel secondo sembra un rapporto di sostituzione della Conferenza episcopale italiana alla Santa Sede. 2) Le fonti del diritto vaticano: sommariamente possiamo distinguere in Fonti principali e Fonti suppletive. Fonti principali sono il diritto canonico, le leggi ed i regolamenti emanati, per lo Stato Vaticano, dagli organi competenti. Fonti suppletive sono, in primo luogo le leggi civili, penali, commerciali e procedurali vigenti in Italia l’8 giugno 1929, nei confronti delle quali l’ordinamento vaticano ha operato un rinvio materiale. Sono quindi in vigore, in Vaticano, il codice civile del 1865 (che è rimasto in vigore fino al 2008, mentre dopo la promulgazione della nuova Legge sulle fonti – di cui parleremo più avanti - risulta in vigore il Codice del 1942) e il codice penale del 1889. Rientrano pure nelle fonti suppletive vaticane i regolamenti generali e locali della Provincia e del Comune di Roma. Le fonti del diritto vaticano sono costituite innanzitutto dalla Legge fondamentale – che è stata integralmente sostituita da una nuova Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano, entrata in vigore il 22 febbraio 2001 –, nonché da alcune delle leggi originariamente emanate da Pio XI il 7 giugno 1929, all’atto della costituzione dello Stato, che risultano ancora in vigore e cioè: la legge n. IV, sull’ordinamento amministrativo; la legge n. V, sull’ordinamento economico, commerciale e professionale; la legge n. VI, sulla pubblica sicurezza. Ad esse vanno aggiunte la legge 1 ottobre 2008 n. LXXI, sulle fonti del diritto e la già ricordata legge n. CXXXI del 2011, sulla cittadinanza, la residenza e l’accesso, che hanno sostituito le originarie leggi del 1929 n. II (fonti del diritto) n. III (sulla cittadinanza ed il soggiorno). Si tratta di provvedimenti normativi che, pur non potendosi qualificare come leggi costituzionali in senso formale, contribuiscono a definire la configurazione e la struttura dello Stato ed hanno, quindi, un rilievo costituzionale. Si deve poi ricordare che la nuova Legge sulle fonti del diritto si premura di precisare che l’ordinamento giuridico vaticano si conforma alle norme di diritto internazionale generale ed a quelle derivanti da Trattati ed altri Accordi di cui la Santa Sede sia parte (art. 1, comma 4). Giova ricordare al riguardo che,così come accade nell’ordinamento canonico, anche nell’ordinamento vaticano le norme internazionali di origine convenzionale trovano esecuzione in via automatica. La legge n. LXXI del 2008, in particolare, disciplina la materia relativa alle fonti del diritto vaticano, indicando innanzitutto l’ordinamento canonico (comprendendo quindi il codex iuris canonici in vigore, le leggi canoniche extracodiciali fonti di diritto generale, le leggi canoniche speciali) come prima fonte normativa e primo criterio di riferimento interpretativo (art. 1, comma 1). Distingue poi tra fonti principali (art. 1, comma 2), vale a dire la Legge fondamentale nonché le leggi promulgate dal Sommo Pontefice, dalla Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano o da altre autorità cui lo stesso Pontefice abbia conferito l’esercizio del potere legislativo; e fonti suppletive (art. 3), vale a dire le leggi e gli altri atti normativi emanati dalle competenti autorità italiane. Tra esse sono da ricordare in particolare il codice civile del 1942, così come vigente il 1° gennaio 2009, il codice penale del 1889 (c.d. codice Zanardelli), peraltro in più parti innovato da interventi del legislatore vaticano, ed il codice di procedura penale del 1913 (il codice di procedura civile italiano del 1865, originariamente fatto oggetto anch’esso di rinvio materiale, venne sostituito con un codice di procedura civile vaticano nel 1946). Sono altresì richiamate le norme italiane in una serie di materie quali: i pesi e le misure; i brevetti (ma esiste una recente regolamentazione vaticana sul diritto di autore: legge 19 marzo 2011 n. CXXXII, sulla protezione del diritto di autore, sulle opere dell’ingegno e dei diritti connessi); le ferrovie; le poste; le telecomunicazioni; la trasmissione dell’energia elettrica; l’aviazione; gli automobili e la loro circolazione; le malattie infettive e contagiose; la polizia edilizia e urbana, l’igiene e la sanità pubblica. La norme italiane, di diverso grado gerarchico, alle quali l’ordinamento vaticano opera un rinvio materiale, sono oggetto di recepimento non in via automatica ma grazie ad una esplicita volontà espressa di volta in volta da parte della competente autorità vaticana, ed incontrano un limite nella conformità al diritto divino ed ai principi generali del diritto canonico, nonché alle norme dei Patti Lateranensi e successivi Accordi (art. 3, comma 2). La Legge sulle fonti precisa anche le materie riservate alla legislazione vaticana o al diritto canonico, come ad esempio in materia di cittadinanza vaticana, di capacità negoziale dei chierici e religiosi cittadini vaticani, di matrimonio (che è regolato esclusivamente dal diritto canonico, non prevedendo l’ordinamento vaticano un matrimonio civile, di adozione, di prescrizione con riferimento ai beni ecclesiastici, di donazioni o lasciti mortis causa per cause pie, di registrazioni anagrafiche, di rapporto di lavoro (art. 4). Negli artt. 6 e 9 della legge sulle fonti, infine, sono stabiliti i criteri cui attenersi, in materia sia civile sia penale, in caso di lacune normative o di inapplicabilità delle norme italiane richiamate. La giurisprudenza costituisce, in questi casi, fonte suppletiva del diritto vaticano. Le leggi ed i regolamenti emanati dalle competenti autorità dello Stato sono pubblicate su un Supplemento degli Acta Apostolicae Sedis, a meno che non sia prescritta una diversa forma di pubblicazione, ed entrano in vigore il settimo giorno dalla pubblicazione, qualora non sia stato stabilito espressamente un termine diverso. Lezione 3 I sistemi di relazione tra Stato e Confessioni nell’esperienza giuridica italiana Parlare di politica ecclesiastica «italiana» a decorrere dal 1848, quando l’unità del paese era ancora lontana, non è contraddittorio, perché è in quell’anno che prese l’avvio in Piemonte la politica ecclesiastica della Destra, i cui riflessi sul piano normativo furono estesi progressivamente alle altre regioni italiane dal 1859 in poi. 1. Legislazione pre-unitaria La legislazione degli ex Stati pre-unitari è ispirata prevalentemente ai principi del giurisdizionalismo confessionista: Il Regno di Sardegna si presenta come una realtà politico-istituzionale, dal punto di vista religioso, d’ispirazione confessionista: la religione cattolica è la religione di stato, gode di privilegi ed ampie autonomie, ed al diritto canonico è rimessa la disciplina d’interi settori del diritto civile (es. il matrimonio; i registri anagrafici). Nel Lombardo-Veneto (parte dell’impero austriaco) le relazioni tra Stato e Chiesa erano d’ispirazione giurisdizionalista e confessionista, caratterizzato da un intervento dello Stato nella vita interna della Chiesa (controllo sulle nomine dei Vescovi, dei Parroci, sui seminari ed in genere su tutte le attività della Chiesa). 1 Il Granducato di Toscana e i Ducati di Modena e Parma si ispirano, anch’essi, ad un modello giurisdizionalistico: in tale contesto l’intervento dello Stato si ‘spinge’ fino a porsi come strumento per una Reformatio Ecclesiae, cioè ad una riforma della Chiesa mediante leggi statali. Lo Stato Pontificio d’ispirazione unionista, si caratterizza per una compenetrazione tra potere politico e potere religioso. Si tratta di un esempio di Stato teocratico– ierocratico, basato su un ordinamento giuridico di cui il diritto canonico era fonte principale. Una marcata impronta giurisdizionalista caratterizza la politica e la legislazione ecclesiastica del Regno delle Due Sicilie: la Chiesa, le sue istituzioni e la sua vita interna erano sottoposti ad un controllo diffuso e pervasivo. 2. Verso l’Unità d’Italia Partiamo dal Regno di Sardegna che, come noto, guidò il movimento di unificazione nazionale, seguendo la suddivisione storica operata dalla dottrina: 1848-1855 Come ha ben osservato Finocchiaro, “L’art. 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848 n. 674 dichiarava la religione cattolica la sola religione dello Stato e le altre confessioni allora esistenti (non, perciò, quelle che sarebbero potute sorgere successivamente) tollerate «conformemente alle leggi». Era una norma che sembra sia stata voluta personalmente dal sovrano, Carlo Alberto, e che ripeteva nello Statuto fondamentale norme tradizionali degli Stati sabaudi, concordatari e giurisdizionalisti, già espresse negli artt. 1,2 e 3 del codice civile del 1837. Ma questa professione di confessionismo della corte fu di lì a poco ridimensionata dal Parlamento subalpino con l’ approvazione della legge 19 giugno 1848 n. 735, che, ribadendo e generalizzando vari provvedimenti sovrani di parificazione, coevi allo Statuto, dichiarò che la differenza di religione non poteva dar luogo a discriminazioni nel godimento dei diritti civili e politici e nell’ ammissibilità alle cariche civili e militari”1. Il 1848 è una data storica: entra il 1 Cfr. così F. FINOCCHIARO, Manuale di Diritto Ecclesiastico, Bologna 2017, p. 46. 2 vigore lo Statuto Albertino. L’art. 1 può subito documentare quale tipo di relazione esistesse in quel periodo tra lo Stato e le Confessioni religiose: “La religione cattolica, apostolica, romana, è la sola religione dello Stato. Gli altri culti esistenti sono tollerato conformemente alle leggi”. Il tenore letterale di tale disposizione ci consente, così, di formulare una qualificazione dello Stato in senso confessionista. La reazione politica alla disposizione dell’art. 1 fu quasi immediata: solo qualche mese dopo la sua approvazione, venne adottata la legge n. 735 del giugno 1848. la quale precisò che: la differenza di culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici ed all’ammissibilità alle cariche civili e militari. Inizia così a profilarsi un nuovo orientamento di tipo separatista-giurisdizionalista, ma di un tipo di giurisdizionalismo diverso da quello passato: non più di tipo confessionista, ma di tipo laicista, anticlericale. Basti pensare alle numerosi leggi che vennero adottate, come reazione a tale riconfessionalizzazione dello Stato, come la Legge n. 777 del 1848 (di soppressione di alcuni ordini religiosi) e la Legge n. 1037 del 1850 (che introdusse la c.d. ‘manomorta ecclesiastica’, e cioè controlli sui patrimoni immobiliari ecclesiastici). Del resto, conclude Finocchiaro, “gli anni 1848-1849 non erano i migliori per trattare con la Santa Sede una riforma dei vecchi concordati piemontesi, perché Pio IX, profugo a Gaeta a causa delle vicende della Repubblica romana, non era disposto ad alcuna concessione. Fallite le trattative, il Parlamento approvò due delle leggi proposte dal Guardasigilli Siccardi, quelle del 9 aprile 1850 n. 1013 e del 5 giugno 1850 n. 1037, riguardanti, rispettivamente, l’abolizione di ciò che rimaneva del privilegio del foro ecclesiastico e l’autorizzazione agli acquisti degli enti (anche ecclesiastici). In precedenza, la 1. 25 agosto 1848 n. 777 aveva soppresso la Compagnia di Gesù, vietando «ogni sua adunanza in qualunque numero di persone», e la corporazione delle Dame del Sacro Cuore di Gesù. Si trattava di un provvedimento tipicamente giurisdizionalista e per nulla liberale, giacché non solo negava la personalità giuridica della congregazione dei gesuiti, ma escludeva anche il diritto di associazione e il diritto di riunione degli stessi; diritti che sarebbero stati di nuovo riconosciuti molti anni più tardi, dopo la conquista di Roma, con l’art. 14 della 1. 13 maggio 1871 n. 214 (la c.d. legge delle Guarentigie). 3 Come si vede, la Destra storica, sebbene ispirata dalle idee liberali, nella sua azione politica non si sottraeva dall’usare gli strumenti del giurisdizionalismo al fine di raggiungere i propri scopi, ma, d’altra parte, di fronte al problema di «Roma capitale», accettava di impostare i rapporti fra Stato e Chiesa in chiave separatista secondo il programma esposto dal Cavour nel marzo-aprile 1861. Tale prassi giurisdizionalista fu portata avanti negli anni seguenti al 1848 con la 1. 29 maggio 1855 n. 878, la quale, distinguendo tra enti ecclesiastici utili e enti ritenuti inutili, soppresse le associazioni religiose di vita contemplativa, i capitoli collegiati senza cure d’anime e i benefici semplici. Di impronta nettamente giurisdizionalista anche il d. lgt. 7 luglio 1866 n. 3036, che soppresse tutte le associazioni religiose, incamerandone il patrimonio, e convertì in rendita pubblica al 5 % i beni di tutti gli altri enti ecclesiastici, eccettuati i benefici parrocchiali e le chiese recettizie (c’era da finanziare, tra l’altro, la Terza guerra d’indipendenza). La successiva 1. 15 agosto 1867 n. 3848, sulla stessa linea, soppresse varie categorie di enti ecclesiastici secolari, devolvendone allo Stato i beni, e provvide per la liquidazione dei beni acquisiti con tale legge e con le precedenti. Rispetto al patrimonio degli enti ecclesiastici la Destra storica accoglieva, in tal modo, il principio regalista di considerare i beni stessi come beni nazionali, di cui il paese poteva disporre quando fosse necessario”2. 1855-1861 In questo periodo la tematica ecclesiastico non costituisce una priorità dell’agenda politica. E’ di questi anni, tuttavia, la legge c.d. eversiva (L. 878/1855) e quella sulla libertà della scuola cattolica (Legge Casati sulla pubblica istruzione). Sono anni in cui si regista un atteggiamento di fiducia nell’avvenire del Paese; il processo di unificazione va avanti e nel 1861 viene proclamato il Regno d’Italia. 3. L’Unità d’Italia, le c.d. leggi eversive e la Questione Romana (1861-1867) Dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia le tensioni tra Stato e Chiesa si inaspriscono. Il problema dell’assetto della proprietà ecclesiastica ritorna al centro 2 Cfr. così F. FINOCCHIARO, Manuale di Diritto Ecclesiastico, Bologna 2017, p. 47. 4 dell’attenzione politica e nei confronti della Chiesa viene attuata una politica restrittiva che incide soprattutto sui beni ecclesiastici (le c.d. leggi eversive) La legislazione più significativa è la seguente: L. n. 764 del 1862 che concerne la modifica delle leggi eversive e loro estensione a tutto il territorio del Regno (per i beni mobili: Istituzione della Cassa Ecclesiastica; per i beni immobili: loro acquisizione al patrimonio dello Stato). Inoltre, fu introdotto il principio della conversione dei patrimoni immobiliari ecclesiastici soppressi. L. n. 3036/1866 con la quale vennero soppressi degli enti regolari, cioè ordini religiosi e congregazione religiose. L. n. 3848/1867 riguardante la soppressione degli enti secolari (cioè degli enti ecclesiastici non facenti parte di un ordine o di una congregazione religiosa, ad eccezione delle parrocchie, ordinariati, canonicati…) Altre importanti riforme Istituzione del matrimonio civile obbligatorio (Codice Civile del 1865); Disposizioni restrittive della capacità civile e politica degli ecclesiastici. Questo periodo è anche caratterizzato dal sorgere della Questione Romana per il problema dell’annessione di Roma al Regno d’Italia. Gli episodi più emblematici di tale situazione sono: il fallito tentativo rivoluzionario a Roma; il tentativo d’invasione dei garibaldini sconfitti a Mentana dalle truppe pontificie e da quelle francesi. 4. La caduta del potere temporale delle Chiesa, la Questione Romana e la legge delle guarentigie (1867-1889) Fin dal 1860 il desiderio di porre Roma a capitale del nuovo regno d’Italia era già stato esplicitato da Cavour nel suo discorso al parlamento italiano nel 1860, il quale sperava che l’Europa tutta sarebbe stata convinta dell’importanza della separazione tra potere spirituale e potere temporale, per cui riaffermò il principio di «libera Chiesa in 5 libero Stato». Ma ciò incontrò il dissenso da parte dello Stato Pontificio e dello Stato francese su tutti che stanziò delle truppe francesi a difesa del potere temporale di Papa Pio IX. Gli stravolgimenti politici avvenuti in Francia nel 1870 con l’inizio della guerra franco-prussiana e l’avvento della Terza Repubblica comportarono l’abbandono di Roma da parte dei francesi e permisero la “presa di Roma” da parte dell’esercito italiano. Il 20 settembre del 1870 il Regno d’Italia annetteva Roma decretando la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale dei Papi. Papa Pio IX si ritirò nel palazzo del Vaticano e si dichiarò prigioniero. La Questione Romana sorta con il problema dell’annessione di Roma al Regno d’Italia rimane ancora aperta in quanto si pone anche il problema dell’indipendenza del Pontefice e della Santa Sede. Una prima soluzione si profila con la Legge delle guarentigie del 13 maggio 1871, n. 214 con la quale s’intende assicurare alla Santa Sede degli spazi di autonomia onde assicurare al Pontefice il libero esercizio del suo potere spirituale. Tale legge, dichiarata fondamentale dal Consiglio di Stato nel 1878, non soddisfa pienamente la Santa sede, in quanto legge ‘unilaterale’ e, dunque, sottoposta al rischio dei modifiche e abrogazioni. Legge importante di tale periodo è il Codice Penale Zanardelli (1889): la disciplina delitti contro la libertà dei culti (artt.140-142), ‘parifica’ la religione cattolica alle altre religioni, sotto il profilo del bene giuridico tutelato (l’interesse religioso). Come meglio ha precisato il Finocchiaro, “la debellatio dello Stato pontificio e la presenza in Roma della Santa Sede avevano posto il serio problema della situazione giuridica della stessa e del Papa, che, nella impossibilità di un'intesa, fu risolto con la già citata 1. 13 maggio 1871 n. 214. Questa era divisa in due titoli. TI primo, dedicato alle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede, il secondo destinato a disciplinare le relazioni fra Stato e Chiesa. Lo Stato, da un canto, rinunziava all'esercizio di un dato numero di poteri di controllo sulla Chiesa, d'altro canto, si riteneva sempre competente ad esercitare i poteri che erano stati mantenuti e, soprattutto, si riteneva competente a dettare in modo unilaterale le norme attinenti alle garanzie offerte alla Santa Sede e al Papa. 6 Questa soluzione non deve meravigliare, perché v' è sempre una differenza, più o meno notevole, tra le soluzioni teoriche dei problemi politici e la loro definizione pratica. E facile dire che lo Stato dovrebbe ignorare le questioni attinenti la religione, ma non era con l'agnosticismo che il Parlamento italiano poteva risolvere la situazione che s'era venuta a creare con l'occupazione di Roma e con il Papa che si era proclamato «prigioniero» in Vaticano. Essendo questi i dati di fatto, la tesi dell'incompetenza statale in materia di religione non poteva essere di alcun ausilio; anzi, per «liberare» la Santa Sede, occorreva una apposita legge. Tale competenza, d'altronde, non era stata mai dimessa dallo Stato, come dimostrano i vari provvedimenti legislativi concernenti, oltre alla parificazione dei cittadini, l'organizzazione delle Comunità israelitiche, dalla l 4 luglio 1857 n. 2325 in poi”3. 5. Verso la Conciliazione All’inizio del 1900 si registra un mutamento di clima: la situazione politico-sociale evolve e scompaiono le tensioni che avevano accompagnato il processo risorgimentale Fu immediatamente dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale (1915-1918) che maturarono le condizioni per un nuovo atteggiamento nei confronti delle questione religiosa. Come sostenuto in dottrina, fu proprio in quel periodo che sembrò realizzabile l’ideale liberale sia a livello politico che legislativo: un separatismo di tipo puro, ‘liberato cioè dalle incrostazioni vecchie e contraddittorie giurisdizionalistiche della politica e legislazione ecclesiastica precedente, più rispettosa dei valori religiosi, conscia dell’importanza che essi rivestono per la stessa coesione ed il progresso della società, garante di tutte le libertà, ivi compresa quella delle istituzioni religiose’. E’ l’idea di Giovanni Giolitti, secondo cui lo Stato e la Chiesa sono due parallele destinate ad non incontrarsi mai (Dalla Torre). Nasce così l’idea che lo Stato, i pubblici poteri, non debbono né avversare né favorire il fenomeno religioso nella sua dimensione associata, 3 Cfr. così F. FINOCCHIARO, Manuale di Diritto Ecclesiastico, Bologna 2017, p. 48. 7 organizzata, istituzionale; che tuttavia debbono creare le condizioni giuridiche e non per garantire il diritto di libertà religiosa in tutte le sue dimensioni. - Nuovo atteggiamento, dunque, dello Stato nei confronti della Chiesa Italiana, ma certamente non ancora un modello concordatario. - Tale nuovo atteggiamento favorì, comunque, la nascita dei presupposti delle nuove condizioni emergenti: - Caduta dei vieti preconcetti laicisti ed anticlericali; - Favore popolare verso il Cattolicesimo, favorito anche dalla testimonianza cristiana di sacerdoti e giovani cattolici uccisi durante la guerra; - La progressiva democratizzazione dello Stato con l’introduzione del suffragio universale che 1912 aprì la porte alla partecipazione politica delle masse popolare cui corrispose la caduta del non expedit (cioè il divieto ai cattolici politici d’impegnarsi in politica successivamente alla questione romana), ovvero la c.d. conciliazione silenziosa. - La condizione giuridica della Chiesa in Italia e le varie libertà furono al centro del programma politico del Partito Popolare Italiano di Luigi Sturzo. I tempi maturarono anche per affrontare la Questione Romana: era necessario garantire alla Santa Sede, una effettiva ed indiscutibile libertà ed indipendenza alla Santa Sede più completa ed efficace di quella contenuta nelle Leggi delle Guarentigie. La Santa Sede, il Movimento Cattolico ed il mondo politico italiano convergevano nella soluzione di un accordo internazionale e della ricostituzione di una minuscola sovranità temporale del Papa. Tale convergenza sembrò concretizzarsi nell’incontro tra mons. Cerretti, in rappresentanza della Santa Sede, e di Vittorio Emanuele Orlando, Presidente del Consiglio, a Parigi in occasione della Conferenza di Pace del maggio-giugno 1919. 6. Il Fascismo e la firma dei Patti Lateranensi Il lento ma progressivo processo di ‘normalizzazione’ dei rapporti tra Stato e Chiesa nel quadro del sistema separatista liberale venne bruscamente interrotto a causa 8 degli eventi politici del 1922 e dei mutamenti politico-istituzionali che seguirono, cui fece seguito una spinta per un rinnovo della politica e legislazione ecclesiastica in senso più favorevole alle tradizioni cattoliche del Paese: tra il 1923 ed il 1929 viene progressivamente abbandonato l’atteggiamento separatista e agnostico, quando non decisamente anticlericale, che aveva caratterizzata la politica e la legislazione ecclesiastica precedenti. In tal senso hanno contribuito una serie d’iniziative legislative che prevedevano: - la reintegrazione delle festività religiose nell’elenco delle festività civili; - norme sull’esposizione del crocefisso nei luoghi pubblici; - il riconoscimento giuridico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; - la riorganizzazione e ampliamento dell’assistenza spirituale nelle forze armate; - norme penali e misure di sicurezza pubblica a tutela della religione cattolica, preludio alla normativa del codice penale del 1930 sulla tutela penale del sentimento religioso. Si giunse così all’11 febbraio 1929 alla stipula dei Patti Lateranensi che comportarono: - per l’Autorità Statale Italiana la chiusura della Questione romana e la normalizzazione dei rapporti con la Chiesa con il fine primario di acquisire il consenso delle masse cattoliche e consolidare il regime. - per la Chiesa da un lato garanzie più solide per l’indipendenza e autonomia della Santa Sede e dall’altro costituì l’unica soluzione per garantirsi la propria libertà in un contesto politico che stava degenerando. 7. Contenuto dei Patti Lateranensi I Patti Lateranensi constavano di due distinti documenti: il Trattato che riconosceva l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede e fondava lo Stato della Città del Vaticano; il Concordato che definiva le relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa 9 ed il Governo; la Convenzione Finanziaria che regolava le questioni sorte dopo le spoliazioni degli enti ecclesiastici a causa delle leggi eversive. Il contenuto di tali accordi fu recepito nell’ordinamento italiano con tre fondamentali leggi di attuazione datate 27 maggio 1929: - L. n. 810 per la piena esecuzione del Trattato e del Concordato; - L. n. 847, c.d. legge matrimoniale, per il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio canonico e delle sentenze di nullità e di dispensa del matrimonio rato e non consumato; - L. n. 848, sugli enti ecclesiastici e sulle amministrazioni civili dei patrimoni destinati ai fini di culto. Il Trattato (in ventisette articoli e una premessa, cui seguono quattro allegati) riconosce la necessità, “per assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza”, di costituire un territorio autonomo sul quale il pontefice possa esercitare la sua piena sovranità. Veniva così creato lo Stato della Città del Vaticano. Si confermava inoltre l’articolo 1 dello Statuto albertino, in virtù del quale “la religione cattolica, apostolica e romana” era considerata la sola religione dello Stato (principio non più in vigore con la firma del Protocollo addizionale dell’Accordo di Villa Madama del 1984). La persona del Papa era dichiarata sacra e inviolabile (art. 8), particolari privilegi venivano concessi alle persone residenti nella Città del Vaticano, e il patrimonio immobiliare della Santa Sede (di cui veniva fornito un elenco dettagliato) godeva di numerose esenzioni specie dal punto di vista tributario. La convenzione finanziaria liquidava le pendenze economiche fra le due parti mediante un cospicuo versamento da parte del governo italiano e la cessione di una congrua quantità di titoli quale indennizzo dei danni subiti dalla Santa Sede con l’annessione degli Stati ex pontifici all’Italia e la conseguente liquidazione di gran parte dell’asse patrimoniale ecclesiastico. Il Concordato (quarantacinque articoli e una premessa), destinato a regolare i rapporti tra la Chiesa e lo Stato, assicura alla Chiesa la libertà nell’esercizio del potere spirituale, garantendo alcuni privilegi agli ecclesiastici (esonero dalla leva militare, speciale trattamento penale ecc.); riconosce gli effetti civili del matrimonio religioso e delle sentenze di nullità dei tribunali ecclesiastici; assicura infine l’insegnamento della religione 10 cattolica nelle scuole statali di ogni ordine e grado, come pure l’assistenza spirituale alle forze armate e agli ospedali. Dopo i Patti Lateranensi, lo Stato italiano approvò legge n. 1159 del 24 giugno 1929 sui culti ammessi, contenente disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi. 8. La Costituzione La nascita della Repubblica (1946) e l’entrata in vigore della Costituzione (1948) segnano una nuova epoca nelle relazioni tra Stato e Confessioni religiose. In seno all’Assemblea costituente acceso è il dibattito sulla disciplina costituzionale del fattore religioso, in relazione alla circostanza che la legislazione 1929-1930 in materia ecclesiastica risultava in contrasto con i principi e le norme costituzionali, quali il principio di uguaglianza e quello di laicità. Il dibattito assunse i termini di tale questione: recepire o meno nell’art. 7 dei Patti Lateranensi, stante l’evidente contrasto tra disposizioni pattizie e costituzionali (cfr. Manuale, Dalla Torre, capitolo primo). La soluzione è nota: accettazione della formula nel testo con il richiamo ai Patti Lateranensi e relativo impegno a revisionare il testo del 1929, come soluzione alle rilevate ‘antinomie’ tra Concordato e Costituzione. La Costituzione Italiana approvata manifestava il suo interesse nei confronti del fenomeno religioso: Principio della eguale libertà per tutte le Confessioni religiose; Principio di indipendenza ed autonomia organizzativa e normativa delle Istituzioni religiose (art. 7, commi 2 e 3; art. 8, commi 2 e 3). 9. La revisione del Concordato e l’Accordo di Villa Madama del 1984 Un più ampio rinnovamento della legislazione ecclesiastica si ebbe solo al termine degli anni ‘60, quando al centro del dibattito non solo giuridico, ma anche politico, emerse in modo sempre più pressante il problema della revisione del Concordato. Il 11 quadro politico e le trasformazioni sociali da una parte e l’evento conciliare (Concilio Vaticano II 1962-1965) dall’altra, crearono le condizioni per una sostanziale revisione del Concordato del 1929. Dopo che le trattative per la revisione del Concordato portarono alla formulazione di diverse bozze di revisione si giunse finalmente alla firma degli Accordi di Villa Madama del 18 febbraio 1984. Si tratta di un vero e proprio nuovo Concordato tra Stato e Chiesa che si compone di: un Preambolo; 14 articoli; un Protocollo addizionale di 7 punti. Si tratta di un Concordato più agile rispetto al precedente che – invece – contemplava 45 articoli. Con la L. 25 marzo 1985 n. 121 è stata data piena e intera esecuzione all’Accordo. Nello stesso periodo in cui si mettono in moto le trattative per la revisione del Concordato (1976) si mette in moto il procedimento per la stipulazione delle Intese di cui al comma 3, dell’art. 8 cost.: la stessa Delegazione italiana che tratta con la Santa Sede è incaricata di trattare con la Tavola Valdese e l’Unione delle Comunità israelitiche: il 21 febbraio 1929 venne firmata la prima Intesa, quella con la Tavola Valdese, cui seguirono quelle con le altre confessioni religiose di minoranza. Gli anni successivi sino ad oggi, sono marcati piuttosto che dall’intervento del legislatore, che pure non è mancato, dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, cui si deve per molti aspetti il maggior apporto nell’innovazione dell’ordinamento anche per ciò che attiene alla materia ecclesiastica. 12 Lezione 4 La libertà religiosa istituzionale Parte I. Principi generali. Il tema affrontato in questa lezione concerne la dimensione istituzionale della libertà religiosa e, quindi, delle Confessione Religiose e dei loro rapporti con lo Stato italiano. Il livello di tale lezione è di tipo introduttivo: saranno affrontati cioè i profili giuridici delle modalità di relazione tra tali entità, rinviando per maggiori approfondimenti al manuale (Dalla Torre) ed alle prossime lezioni. Partiamo, preliminarmente, dal concetto di Confessione Religiosa. Cosa s’intende con tale espressione? La dottrina e la giurisprudenza formulano in merito varie definizioni. La definizione dottrinale più accredita è quella dell’insigne ecclesiasticista Francesco Finocchiaro, secondo il quale con tale espressione deve intendersi: “comunità stabili dotate o no di una organizzazione e normazione propria ed aventi una propria ed originale concezione del mondo basata sull’esistenza di un Essere trascendente in rapporto con gli uomini o sulla ricerca del Divino nell’immanenza”1. Non tutte le Religioni tuttaviaassumono un volto istituzionale e, quindi, non divengono Confessioni Religiose: fedeli o, più in generale, gli aderenti ad una determinata religione non sempre rivestono giuridicamente le loro scelte religiose, esprimendosi in termini di diritti ed obblighi, ovvero, individuando organi con funzioni 1 Cfr. F. FINOCCHIARO, Manuale di Diritto Ecclesiastico, Bologna, 2000, p. 75. 1 regolanti le dinamiche del gruppo religioso cui appartengono. Per altre religioni, invece, il profilo giuridico del loro agire ha una rilevanza imprescindibile: è il caso della Chiesa Cattolica, per la quale l’aspetto giuridico-istituzionale della propria realtà assume finanche una valenza teologica (….comunità gerarchicamente organizzata): organi e funzioni, doveri e diritti dei fedeli costituiscono, infatti, l’espressione istituzionale della religione cattolica, il suo ordinamento giuridico. Dopo questo breve, ma necessaria premessa, passiamo ora ad analizzare la disciplina giuridica che il nostro ordinamento prevede per le Confessioni Religiose. Possiamo iniziare col dire che la nostra Costituzione presta particolare attenzione agli ordinamenti delle Confessioni religiose: Cattolica (art. 7, comma 1, cost.) e acattoliche (art. 8, comma 2, cost.). E questo per vari motivi riconducibili a principi che strutturano tutta l’architettura costituzionale del nostro ordinamento giuridico. Pensiamo al concetto di ‘sovranità’ che permea di sé tutta istituti e norme previste dalla costituzione e che si esplica nel riconoscimento di ampi spazi di libertà ed autonomia di enti diversi da quelli propriamente statali; a quello di ‘pluralismo’ da cui proprio discende la ‘estraneità’ del fenomeno religioso organizzato rispetto allo Stato. La condizione giuridica delle Confessioni Religiose è diversa a seconda della istituzione confessionale di riferimento. Tuttavia, vi è un principio che riguarda tutte le Confessioni religiose, senza differenza alcuna: è quello contenuto nell’art. 8, comma 1 della Cost. laddove è stabilito che “Tutte le Confessioni Religiose sono ugualmente libere davanti alla legge’. Richiamerei la vostra attenzione sull’inciso ‘ugualmente libere’: la disposizione costituzionale in esame, infatti, non potrebbe affermare che le Confessioni ‘sono uguali’, perché, altrimenti, violerebbe il principio di laicità, che impone allo Stato di riconoscersi incompetente in materia religiosa. Con tale norma il Legislatore ha voluto, così, riconoscere ad ogni Confessione il diritto di esprimere la propria identità, senza rischi d’intaccare il principio di uguaglianza in materia religiosa. Ritornando al tema della posizione giuridica delle Confessioni, è necessario riferire della distinzione, operata dalla stessa Costituzione, tra Confessione Cattolica e 2 Confessioni acattoliche (con/senza Intesa): alla Chiesa Cattolica è riconosciuta dal nostro ordinamento una posizione di indipendenza e sovranità, come previsto dall’art. 7, comma 2, cost.; mentre alle Confessioni Acattoliche è riconosciuto il diritto di organizzarsi secondo propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano (art. 8, comma 2, cost.). Per quanto concerne l’ultimo inciso di tale ultima disposizione, è importante richiamare la sentenza della Corte Costituzionale che ha ritenuto di dover identificare le norme del’ordinamento giuridico italiano con i quali le norme dello Statuto non possono contrastare con ‘ i principi fondamentali’: si tratta della sentenza n. 43 del 21 gennaio 1988, cui rinvio. Quindi dalle disposizioni costituzionali esaminate (art. 7, comma 1; art. 8, comma 2) emerge come l’ordinamento italiano considera le Confessioni religiose non come semplici gruppi o formazioni sociali, ma come veri e propri ordinamenti autonomi rispetto a quello dello Stato, quindi titolari di una sfera di autonomia istituzionale, su cui lo Stato stesso non potrebbe intervenire. In via generale, ancora, è bene precisare i principi in materia di rapporti tra Stato e Confessioni religiose, vale a dire, il principio di laicità ed il principio pattizio: in base a quello di laicità, lo Stato si riconosce incompetente in materia religiosa, per cui come conseguenza il legislatore statale non procede a disciplinare in via unilaterale il fenomeno religioso; in relazione al secondo, invece, quello pattizio, il metodo della trattativa e lo strumento giuridico dell’accordo si configurano per lo Stato gli strumenti idonei da utilizzare in tale settore dell’ordinamento giuridico. Anche con riguardo a tali principi, è necessario procedere ad una distinzione in base alla Confessioni di riferimento: per la Chiesa Cattolica vale la garanzia dei Patti Lateranensi, medianti i quali lo Stato Italiano, oltre a trattare con la Santa Sede la condizione giuridica della Chiesa Cattolica in Italia, ha riconosciuto alla medesima, la personalità giuridica internazionale e la giurisdizione esclusiva sullo Stato Città del Vaticano, come previsto dall’art. 4 del Trattato Lateranense, accompagnandola con una serie di garanzie personali, reali e territoriali volte ad assicurare il libero ed indipendente esercizio delle funzioni di governo sulla Chiesa Universale da parte del Sommo 3 Pontefice. Per le altre Confessioni, invece, è stabilito che i rapporti tra Stato Italiano e Confessioni acattoliche sono regolate per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze attraverso le quali tali Confessioni assumono uno statuto di autonomia organizzativa e di una serie di prerogative sostanzialmente analoghe a quelle previste per la Chiesa Cattolica. Ma quale normativa si applica invece alle Confessioni religiose prive d’Intesa con lo Stato italiano? Ricordiamo che, l’inciso dell’art. 8, comma 2, cost., fa riferimento ad un diritto di organizzarsi secondo i propri statuti. Quindi: la Confessioni religiosa che non volesse stipulare un’ intesa ben potrebbe farlo, optando di non regolamentare i propri rapporti con lo Stato. In questo caso, dunque, si applicherà la legge ‘unilaterale’ statale, vale a dire, la Legge n. 1159/1929 e relativo R.D. n. 289/1930, così come emendata dalla Corte costituzionale. Tale normativa, in particolare, prevede che il riconoscimento di tale tipologia di Confessioni è subordinato ad una valutazione del Governo: occorrerà un DPR su proposta del Ministero dell’Interno, uditi il Consiglio di Stato ed il Consiglio dei Ministri, cui compete, altresì, l’approvazione delle nomine dei relativi ministri di culto; ma , soprattutto, non consente l’accesso ad una serie di prerogative e agevolazioni generalmente previste per la normativa pattizia. Per questi motivi, da alcuni anni sta emergendo la necessità di giungere ad una riforma di tale normativa (cfr. il progetto di legge sulla libertà religiosa). Parte II. I rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica: l’art. 7 Cost. Fondamentale in materia è l’art. 7 della Costituzione Italiana: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.” Nel primo comma troviamo il riconoscimento da parte dello Stato dell’indipendenza ed dell’autonomia della Chiesa Cattolica e, quindi, del carattere originario e primario di quest’ultima. Ciò implica, altresì, 4 il riconoscimento da parte dello Stato della sua estraneità, e dunque incompetenza della sfera religiosa. Con il 1° comma dell’articolo 7 della Costituzione lo Stato viene a riconoscere l’esistenza, nella realtà sociale, di due diversi e distinti ordini di rapporti relativamente ai quali lo Stato stesso e la Chiesa, istituzioni entrambe indipendenti e sovrane, esplicano, ciascuna però limitatamente al proprio ordine, la potestà di regolamento giuridico. Da ciò discendono alcune conseguenze: a) Lo Stato riconosce la Chiesa quale societas iuridice perfecta, cioè come un istituto a sé estraneo, provvisto di sovranità originaria e organizzato con ordinamento giuridico primario (diritto canonico) nel perseguimento dei suoi fini propri, col quale esso Stato può entrare, come con ogni altro istituto di eguale natura (ordinamenti giuridici primari) in relazioni di diritto esterno di tipica natura reciproca pattizia. b) L’esistenza di due potestà supreme, operanti in materie diverse ma nello stesso territorio e sugli stessi soggetti, fa sì che il complesso dei rapporti costituente l’ordine proprio ecclesiastico si ponga necessariamente come limite alla potestà dello Stato nell’ambito dello stesso diritto interno2. c) Anche se la dottrina ha voluto ipotizzare che l’ordine proprio della Chiesa possa coincidere, grosso modo, con i rapporti spirituali e religiosi, in concreto la determinazione dei rapporti costituenti l’ordine statuale e quello ecclesiastico (e quindi dei confini tra l’uno e l’altro campo) si presenta difficilissima, se non impossibile. (F. Del Giudice – S. Gallo). Dunque, alcune materie si presentano con aspetti che potrebbero farle ritenere appartenenti sia all’uno che all’altro campo (all’ordine proprio della Chiesa e all’ordine proprio dello Stato); possono quindi determinarsi diversità di 2 Vi è, in effetti, un ordine, cioè un complesso di materie e di rapporti che, anche nel diritto interno, è sottratto a priori alla competenza dello Stato e ritenuto di competenza esclusiva della Chiesa, ordine relativamente al quale lo Stato dichiara di ritenere che abbia vigore di diritto obiettivo, anche nei suoi riguardi, ciò che la Chiesa stabilisce. 5 apprezzamenti o insorgere addirittura conflitti di competenza, dello Stato e della Chiesa, nella disciplina delle materie stesse. 3 Il secondo comma dell’art. 7, invece, stabilisce che i rapporti tra i medesimi sono regolati dai Patti Lateranensi che si articolano in : Trattato; Concordato; Convenzione Finanziaria. Il Trattato risolse finalmente la c.d. Questione Romana. Con esso, infatti, viene riconosciuta alla Santa Sede una serie di garanzie personali e reali, tra le quali, in primo luogo, la costituzione di uno Stato indipendente e sovrano: lo Stato Città del Vaticano. Con il Concordato viene disciplinata la posizione della Chiesa Cattolica in Italia e tutta una serie di materie d’interesse per la Chiesa: la libertà di esercizio della sua missione; la condizione degli ecclesiastici e dei religiosi; lo status degli enti ecclesiastici; il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio canonico; l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. Con la Convenzione, lo Stato Italiano riconosce, invece, un indennizzo alla Santa Sede per i danni subiti nel 1870 a seguito della perdita dello Stato Pontificio. I Patti Lateranensi sono stati ratificati e resi esecutivi in Italia con la Legge del 27 maggio 1929, n. 810. In relazione al principio pattizio è bene soffermare poi la nostra attenzione sull’ comma 2 dell’art. 7. In esso, proprio in forza di quell’estraneità dello Stato alla sfera religiosa, cui abbiamo accennato, si ritiene che per le materie che sono espressione di questa particolare dimensione dell’esperienza umana, sia sotto il profilo individuale che sociale, lo strumento giuridico più adatto è certamente l’accordo. Sempre il comma 2 dell’art. 7 fa invece riferimento alla modificazione dei Patti, all’eventualità, cioè, che si vogliano apportare delle modifiche al contenuto delle 3 Si tratta delle c.d. materie miste (res mixtae) come ad esempio il matrimonio, gli enti ecclesiastici, il patrimonio ecclesiastico, sulle quali avremo modo di soffermarci ampiamente nelle prossime lezioni. Non tutte le materie miste sono regolamentate bilateralmente. In caso di insorgenza di conflitti su quelle materie attualmente regolamentate dall’Accordo di Villa Madama (che ha modificato il Concordato del 1929) è previsto il ricorso all’art. 14 (dell’Accordo) che prevede “se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di una amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata». 6 disposizione in essi contenuti. La regola qui, come accennato, è quella di ricorrere allo metodo delle trattative ed allo strumento dell’accordo, cosicché in caso di modifiche non sarà necessario ricorrere al procedimento di revisione costituzionale previsto dall’art. 138 cost. Ed è proprio per questa ragione che, in dottrina, le fonti di produzione bilaterale, cioè quelle frutto di accordo o intese con le Confessioni religiose, sono state definite atipiche o rinforzate, in quanto appunto il previo accordo e intesa con la Confessione interessata, aggravando il loro iter di formazione conferisce loro un grado di resistenza passiva all’abrogazione superiore a quella delle norme ordinarie di pari grado. Dunque, per modificare tale tipologia di norme occorre che il Legislatore attenda previamente all’accordo o intesa con l’Istituzione religiosa ovvero in alternativa procedere unilateralmente alla modifica delle disposizioni costituzionali di cui agli art. 7 e 8 ricorrendo unilateralmente alla procedura di cui all’art. 138. La peculiarità di tali fonti, poi, sta nel fatto che le norme che fanno riferimento allo strumento pattizio, regolatore dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, godono – come già accennato in precedenza – di una particolare stabilità o copertura costituzionale, nel senso che pur non essendo state formalmente costituzionalizzate – tant’è che la loro modifica, se ‘concordata’, non richiede il procedimento di revisione costituzionale – presentano un grado di resistenza passiva all’abrogazione superiore non solo alle leggi ordinarie, potendo anche contrastare con le norme della costituzione che non siano, tuttavia, espressione dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico costituzionale. Diversamente è previsto per le leggi che approvano le Intese con le Confessioni acattoliche: ma a questa tematica dedicheremo un’apposita lezione. Particolare attenzione merita poi la problematica relativa al richiamo dei Patti Lateranensi nella Costituzione sollevata in seno all’Assemblea costituente. Per le posizioni assunte in merito rinvio al primo capitolo del nostro manuale (Dalla Torre) ed ad una prossima lezione. Attualmente i rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica sono regolati – oltre che dall’art. 7 Cost. – dall’Accordo di Villa Madama del 1984 che ha modificato il Concordato del 1929 (dell’Accordo del 1984 parleremo nella prossima lezione). 7 Lezione 5 La libertà religiosa istituzionale Lo Stato e la Confessione Cattolica: l’Accordo di Villa Madama In questa lezione affronteremo il tema dei rapporti tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica, analizzando, in particolare, lo strumento giuridico che disciplina i rapporti tra le medesime autorità: l’Accordo di Villa Madama. 1. Verso la modifica del Concordato del 1929 Fino al 1948 i rapporti tra lo Stato italiano e Chiesa Cattolica, come sappiamo, erano regolati dai Patti lateranensi del 1929. L’entrata in vigore della Costituzione significò, però, non soltanto la sostanziale modifica dell’assetto istituzionale (passaggio dalla monarchia alla repubblica), ma anche e, soprattutto, l’introduzione ovvero la formalizzazione costituzionale di principi e norme rilevanti (anche) per il fenomeno religioso. Inizia, così, quella che in dottrina è stata definita la ‘nuova stagione’ delle relazioni tra Italia e Santa Sede. E’ bene precisare che già in seno all’Assemblea costituente, nel momento in cui doveva delinearsi la disciplina riguardante il fenomeno religioso e, quindi il rapporto tra lo Stato e le Confessioni religiose, venne in rilievo il problema della legislazione ecclesiastica riguardante il periodo del biennio 1929-1930. Tale legislazione, infatti, alla luce dei principi costituzionali, di libertà ed uguaglianza ed in particolare quello di laicità (il quale pur non essendo stato formalmente costituzionalizzato, ben poteva intendersi sotteso a molte norme costituzionali) presentava delle antinomie con l’adottanda Costituzione italiana. Il problema emerse, in particolare, quando si trattò di formulare l’attuale art. 7 della Costituzione: i termini della questione riguardavano il richiamo (o meno) dei Patti Lateranensi nella Costituzione, per il richiamo in essi contenuto dell’art. 1 dello Statuto Albertino che affermava essere la religione cattolica la sola religione di Stato. Per quanto concerne le posizione degli esponenti delle varie aree politiche in sede di discussione, vi rimando al primo capitolo del nostro manuale (Dalla Torre), soffermandoci oggi soltanto sull’esito di tale discussione, ovvero sulla soluzione adottata dai Padri costituenti: si optò, cioè, per il richiamo dei Patti Lateranensi nel testo dell’attuale art. 7 della Cost., con l’impegno, tuttavia, di revisionare il testo del 1929. La citata ‘nuova stagione’ nei rapporti tra Stato Italiano e Santa Sede inizia così intorno agli anni ’60, quando nel dibattito politico, si faceva sempre più centrale la questione circa la compatibilità tra la legislazione del 1929-1920 e i citati principi costituzionali concernenti il fenomeno religioso. In quegli anni, poi, numerose leggi contribuirono a creare le condizioni per un sostanziale intervento normativo che riequilibrasse la situazione (legge sul divorzio; la riforma della scuola materna e secondaria; obiezione di coscienza al servizio militare; la riforma sul diritto di famiglia; l’istituzione dei consultori familiari; legge sull’obiezione di coscienza, sull’assistenza e beneficienza). In tale contesto prende l’avvio il ‘lungo’ periodo delle trattative tra la Santa Sede ed il Governo Italiano. La Camera dei Deputati approvò una mozione per la revisione del Concordato; mentre il Ministro di Grazia e Giustizia verso la fine del 1968 istituisce una Commissione di Studio (che s’insedio nel marzo 1969) presieduta dall’onorevole Gonnella, proprio per analizzare, i presupposti, contenuti, le modalità, per poter procedere - alla luce delle procedura previste dalle norme costituzionali - alla revisione del Concordato del 1929 per adeguarlo, come detto, allo ‘spirito’ della Costituzione. Tali lavori si conclusero nel luglio del 1969 con una relazione presentata allo stesso Ministro. Immediatamente dopo, cominciano ad emergere profili di tensione tra Stato e Chiesa al momento dell’approvazione della legge sul divorzio: il Governo venne così incaricato di promuovere un negoziato con la Santa Sede per poter procedere alla necessaria modifica. I lavori delle due delegazioni si protraggono fino al 1983 e il 18 febbraio 1984 , il Presidente del Consiglio, l’onorevole Bettino Craxi, siglava l’Accordo di Villa Madama, ratificato e reso esecutivo con la Legge 121/1985. Per la Santa Sede l’Accordo veniva firmato dal Segretario di Stato Cardinale Agostino Casaroli. 2. L’Accordo di Villa Madama L’Accordo di Villa Madama (detto anche Accordo del 1984 o Nuovo Concordato): 1) è stato firmato a Roma (Villa Madama) il 18 febbraio 1984, dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal Segretario di Stato Cardinale Agostino Casaroli; 2) intitolato ‘Accordo di modificazioni del Concordato lateranense’; 3) ratificato e reso esecutivo in Italia con la Legge n. 121 del 25 marzo 1985, pubblicata in Gazzetta Ufficiale – Suppl. ord. – n. 85 del 10 aprile 1985; 2.1 Contenuti dell’Accordo A differenza del Concordato del 1929 – composto di ben 45 articoli – l’Accordo del 1984 si articola in 1 preambolo, 14 articoli ed 1 Protocollo addizionale di 7 punti. Vista l’esiguità degli articoli, in dottrina si è parlato di accordo-quadro: in esso sarebbero contenuti i principi per la disciplina delle singole materie, rinviando per la disciplina di dettaglio, a successivi accordi o intese tra le autorità competenti dei due ordinamenti. Nel Preambolo, si fa riferimento alla trasformazione della società italiana a partire dalla Costituzione repubblicana e all’importanza del Concilio Vaticano II nella vita della Chiesa cattolica Nei 14 articoli sono concentrati i principi ispiratori dei nuovi rapporti tra Stato e Chiesa in Italia: Indipendenza e sovranità delle due Parti ciascuno nel proprio ordine e principio della reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese (art..1) Riconoscimento da parte dello Stato alla Chiesa della libertas Ecclesiae (alla Chiesa) della piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione; é assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero, del ministero spirituale e della giurisdizione in materia ecclesiastica, di libertà di comunicazione e di corrispondenza, di libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa, di piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero, del particolare significato che Roma sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità. (art. 2 ) Principi generali riguardanti le circoscrizioni delle diocesi e delle parrocchie e la nomina delle autorità ecclesiastiche (art.3) Principi e norme riguardanti gli ecclesiastici (art.4) Principi e norme riguardanti gli edifici di culto (art. 5) Riconoscimento delle festività religiose determinate da intese tra le Parti (art. 6) Principi e norme riguardanti gli enti ecclesiastici, istituzione di una Commissione paritetica italo-vaticana per la formulazione di norme riguardanti enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici (art. 7) Regolamentazione della materia riguardante il matrimonio concordatario (art. 8) Principi riguardanti le scuole cattoliche e l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (art. 9) Principi riguardanti gli istituti universitari, i seminari, le accademie, i collegi e gli altri istituti per ecclesiastici e religiosi, nomine docenti e riconoscimento dei titoli accademici ecclesiastici (quest’ultimo aspetto demandato ad intese tra le Parti) (art. 10) Principi riguardanti la tutela della libertà religiosa nelle Istituzioni segreganti (Forze amate, polizia, ospedali, istituti di pena) e l’assistenza religiosa nelle stesse (art. 11) Principio della collaborazione per la per tutela del patrimonio storico ed artistico. Demando a successive intese tra le Parti per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche e per la conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche (art. 12). Previsione di ulteriori intese tra le Parti per ulteriori materie per le quali si manifesti l’esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato (art. 13.2). In caso d’insorgenza di difficoltà d’interpretazione o di applicazione delle disposizioni inserite nell’Accordo la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata (art. 14). Il Protocollo addizionale consta di 7 articoli aventi lo scopo di assicurare con opportune chiarificazioni la migliore applicazione dei Patti lateranensi e delle convenute modificazioni e di evitare ogni difficoltà di interpretazione. Tale Protocollo fa parte integrante dell'Accordo. Le precisazioni e chiarimenti riguardano gli artt. 1, 4, 7, 8, 9 e 10 dell’Accordo Le precisazioni più rilevanti e dettagliate riguardano la materia matrimoniale (art. 4 del Prot. add. in relazione all’art. 8 Acc.) e quella scolastica (art. 5 del Prot. add. in relazione all’art. 9 Acc.). 2 Accordi e intese attuative Successivamente all’entrata in vigore dell’accordo, numerosi sono stati gli Accordi e le Intese stipulate tra Stato e Chiesa Cattolica ‘attuative’ dell’Accordo - rispettivamente ratificate e rese esecutive ed approvate in materia di : a) Riforma degli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero b) Nomine ecclesiastiche c) Festività religiose d) Insegnamento della Religione Cattolica e) Assistenza Spirituale f) Beni culturali Qui appresso riportiamo l’elenco delle Intese attuative dell'Accordo tra l'Italia e la Santa Sede: Riforma degli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero - L 20 maggio 1985, n. 222 Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi. - DPR 13 febbraio 1985, n. 33 Regolamento di esecuzione della legge n.222 - Nomine ecclesiastiche - Scambio di note del 23 dicembre 1985 tra il Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa e l'Ambasciata italiana presso la Santa Sede. - Festività religiose - DPR 28 dicembre 1985 n. 792 Riconoscimento come giorni festivi di festività religiose determinate d'intesa tra la Repubblica italiana e la Santa Sede ai sensi dell'art. 6 dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984 e ratificato con legge 25 marzo 1985, n.121. - Insegnamento religioso - DPR 16 dicembre 1985, n. 751 Esecuzione dell'intesa tra l'autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. - DPR 24 giugno 1986, n. 539 Approvazione delle specifiche ed autonome attività educative in ordine all'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche materne. - DPR 8 maggio 1987, n. 204 Approvazione delle specifiche ed autonome attività d'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche elementari. - DPR 21 luglio 1987, n. 350 Approvazione del programma di insegnamento della religione cattolica nella scuola media pubblica. - DPR 21 luglio 1987, n. 339 Approvazione del programma d'insegnamento della religione cattolica nelle scuole secondarie superiori pubbliche, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d'arte. - DPR 26 febbraio 1988, n. 161 Norme ed avvertenze per la compilazione dei libri di testo per l'insegnamento della religione cattolica nella scuola elementare. - DPR 23 giugno 1990, n. 202 Esecuzione dell'intesa tra l'autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. - DPR 30 marzo 2004, n. 121 Approvazione degli obiettivi specifici di apprendimento propri dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole dell'infanzia.. - DPR 30 marzo 2004, n. 122 Approvazione degli obiettivi specifici di apprendimento propri dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole primarie. - DPR 14 ottobre 2004, n. 305 Approvazione di obiettivi specifici di apprendimento propri dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole secondarie di I grado. - Assistenza spirituale - DPR 27 ottobre 1999, n. 421 Assistenza spirituale al personale di religione cattolica appartenente alla Polizia di Stato. - Beni culturali - DPR 26 settembre 1996, n. 571 Esecuzione dell'intesa fra il Ministro per i beni culturali ed ambientali ed il Presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 13 settembre 1996, relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche. - DPR 16 maggio 2000, n. 189 Esecuzione dell'intesa fra il Ministro per i beni e le attività culturali e il presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 18 aprile 2000. - DPR 4 febbraio 2005, n. 78 Esecuzione dell'intesa fra il Ministro per i beni culturali ed ambientali ed il Presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 26 gennaio 2005, relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche firmata il 13 settembre 1996, relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche.. Il complesso delle norme pattizie di cui sopra disciplinano, dunque, la condizione giuridica della Chiesa Cattolica in Italia e le c.d. res mixtae, vale a dire i settori, le materie di comune interesse per lo Stato e per la Chiesa Cattolica, perché rilevanti sia sotto il profilo politico che religioso1. 1 Le c.d. res mixtae (cose miste), sono materie di competenza dell’ordinamento civile, ma dove l’elemento religioso è così importante che lo Stato limita la sua autonomia per collaborare con le autorità ecclesiastiche per meglio tutelare la libertà religiosa di tutti. Tra le res mixtae rientrano materie come ad esempio: il matrimonio, assistenza religiosa, beni culturali, gli enti ecclesiastici, l’istruzione religiosa, le nomine vescovili. Più recentemente sono state individuate anche nuove materie che possono rientrare nel novero delle c.d. res mixtae come la bioetica, la privacy, l’obiezione di coscienza e l’immigrazione. Inoltre, l’art. 13, n.2 che “ulteriori materie per le quali si manifesti l’esigenza di collaborazione tra la Chiesa Cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza Episcopale Italiana”. E nel caso insorgessero problematiche è stato anche previsto: ‘Se in avvenire sorgessero difficoltà d’interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata’ (art. 14) L’Accordo, per la disciplina di dettaglio o attuativa di alcune materie in conformità ai principi in esso enunciati, individua le autorità competenti dei due ordinamenti: a) per la Chiesa Cattolica: la Conferenza Episcopale Italiana ovvero le Conferenze Episcopali Regionali (autonomamente o su mandato della prima) ovvero i singoli Vescovi nell’ambito della propria diocesi; b) per lo Stato: il Ministro competente ovvero le singole Regioni. Le intese che ne sono derivate sono state distinte in dottrina in due categorie: 1) intese paraconcordatarie: di carattere normativo contengono la disciplina di dettaglio in una determinata materia sulla base dei principi dell’Accordo o previo accordo apicale, assumendo rispetto ad essi una funzione attuativa/integrativa e natura di accordo derivato (si tratta degli Accordi che operano in chiave complementare rispetto al nuovo Concordato e che si riferiscono agli artt. 6, 10.2, 11.2, 12.1, 13.2 dell’Accordo e al punto 5, lettera b, del Protocollo); 2) intese procedimentali: riguardano la presenza dell’autorità ecclesiastica nell’ambito di procedure amministrative, onde consentire la rappresentanza degli interessi ecclesiali in vista dell’adozione di un provvedimento amministrativo (art. 5, n. 3, Acc.): ‘L’Autorità civile terrà conto delle esigenze religiose delle popolazioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica, per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali ( esempio: provvedimenti statali di requisizione, riparazione, espropriazione e demolizione di edifici di culto; oppure le intese ex art. 11.2 e art. 5 lettera a del Protocollo addizionale per la nomina di assistenti spirituali e insegnanti di religione). Rispetto a tali accordi derivati o sotto-intese, ci si è posti il problema di stabilire se la copertura costituzionale di cui godono i Patti Lateranensi ed il successivo Accordo di revisione, in forza dell’artt. 7 sia ad essi estensibile. Due le posizioni: 1) negativa: la copertura opera solo ed esclusivamente per le leggi di esecuzione dei Patti; 2) positiva: la copertura si estenderebbe alle fonti sub-concordatarie in forza della natura di accordo-quadro dell’Accordo del 1984, legati, dunque, da un nesso di logica consequenzialità. A tal proposito è stato affermato che sembra ‘…in ogni caso difficile poter escludere a priori effetti riflessi della copertura costituzionale sulle fonti sub- concordatarie che diano diretta attuazione alla legge n. 121/1985, soprattutto in quelle ipotesi in cui è lo stesso testo dell’Accordo a rinviare esplicitamente a successive intese per la disciplina di dettaglio della singola materia sulla base di principi da esso enunciati. In questi casi infatti la fonte sub concordataria, nella misura in cui si attua i principi dell’Accordo, realizza in forma compiuta la disciplina della singola materia concordataria, andando a collocarsi all’interno dello spazio normativo, dedicato alla disciplina dei “rapporti” tra lo Stato e la Chiesa (e analogo discorso va fatto per quanto riguarda le intese con le altre confessioni religiose, ex art. 8, comma 3, cost.), che lo stesso art. 7 cpv. riserva integralmente al legislatore pattizio. In sostanza l’ambito della copertura costituzionale di cui all’art. 7 cost. sembra debba individuarsi non solo sulla base del criterio formale della fonte ivi espressamente richiamata (i “Patti Lateranensi”), ma anche tenendo conto di quello sostanziale della materia ad essa riservata, ossia la disciplina dei “rapporti” tra lo Stato e la Chiesa, come individuata dalle parti negli originali patti nelle loro modifiche da esse concordate” (Dalla Torre). Lezione 6 La libertà religiosa istituzionale. Lo Stato e le Confessioni acattoliche I principi e le norme fondamentali che disciplinano i rapporti dello Stato con le Confessioni acattoliche sono fissate nell’art. 8, commi 2 e 3: ‘Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze’. Le questioni più rilevanti della tematica de qua riguardano: 1) La nozione di confessione religiosa diversa dalla cattolica; 2) La condizione giuridica delle confessioni acattoliche ed i loro rapporti con lo Stato; 3) La natura giuridica delle Intese e della posizioni delle leggi di approvazione nelle fonti del diritto. 1) Il concetto di Confessione religiosa diversa dalla cattolica. Secondo autorevole dottrina tale perifrasi, troppo generica nella sua formulazione potrebbe si riferirebbe ai gruppi confessionali che, al tempo dell’entrata in vigore della Costituzione, rappresentavano la minoranza rispetto alla religione cattolica, che costituiva invece l’opzione religiosa più diffusa nel contesto sociale italiano (Finocchiaro) ed alla quale è stata dedicata un’apposita disposizione: l’art. 7 cost.. 2) La condizione giuridica delle Confessioni acattoliche ed i loro rapporti con lo Stato La dottrina s’è posta la questione della capacità a stipulare le «intese», che, secondo alcuni autori, spetterebbe, anche in vista del collegamento istituibile tra il secondo e il terzo comma dell’ art. 8, solo alle confessioni religiose organizzate, ossia ai gruppi che, avendo già usufruito della libertà di organizzazione garantita dalla prima delle disposizioni ora ricordate, abbiano assunto un preciso assetto istituzionale e). Questa tesi sembra accettabile per almeno due motivi. Anzitutto, perché sarebbe strano che un gruppo con fini di religione o di culto, il quale volesse essere solo una comunità spirituale, non contaminata dall’ ombra di diritti e di doveri che leghino i soci fra di loro ed il gruppo verso i terzi, sentisse il bisogno di una legge disciplinatrice dei suoi rapporti con lo Stato. In secondo luogo, perché un gruppo anorganico difficilmente potrebbe esprimere quei rappresentanti che dovrebbero concordare le «intese» con 1’autorità statuale. Invero, per individuare chi siano costoro occorre aver riguardo _ argomentando, per analogia ex art. 36, 38 cod. civ., dal minor fenomeno giuridico delle associazioni non riconosciute - agli statuti della confessione religiosa. Se questa ne fosse priva, anche per quel minimo necessario a stabilire, sia pur in modo rudimentale, a chi competa il munus di rappresentare la confessione, nel suo insieme, nei confronti dei terzi, non sarebbe possibile far luogo alle intese, poiché lo Stato non avrebbe con chi trattare in modo valido, sia secondo il proprio ordinamento, sia secondo i prindpi che regolano i rapporti fra ordinamenti indipendenti. Intese plurime Altro problema è quello di vedere se le intese possano concernere solo i rapporti tra lo Stato e una confessione religiosa, ovvero se possano essere stipulate con il concorso di più confessioni religiose e dar luogo ad una legge che le concerna. Qualche autore sostiene la prima tesi o considerando che le intese possono avere come oggetto solo «questioni particolari di carattere facoltativo» (2), o in vista del fatto che ogni confessione ha un carattere specifico e le intese devono tener conto della natura, obiettivi, scopi ed esigenze di ciascun gruppo confessionale (J), o perché una legge generale, approvata senza che lo Stato regolasse sulla base di intese i rapporti con le singole confessioni religiose, sarebbe in contrasto con il3° comma dell’art. 8 (4). Queste difficoltà, però, non sembrano insormontabili, sia perché il carattere specifico di ogni confessione, ovvero 1’oggetto delle intese, non escludono che tutte le confessioni di minoranza, o un gruppo rilevante di esse, come 1’esperienza insegna (5), possano avere interessi comuni, sia perché non esclude che tutte le confessioni acattoliche esistenti in Italia possano addivenire ad un’intesa collettiva con lo Stato (6), o che, stipulata un’intesa con una data confessione, a questa aderiscano altre o che la stessa sia riprodotta con altre confessioni. In ogni caso, è evidente che la legge risulterà applicabile solo a quegli organismi confessionali che siano stati parte delle intese. Il costituente - preliminarmente affermando che ‘tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge’ (art. 8, comma 1, cost.) - con la previsione dell’art. 8, comma 2, ha voluto sancire il riconoscimento dell’autonomia istituzionale (organizzativa e normativa) delle Confessioni acattoliche: autonomia, tuttavia, diversa da quella sancita per la Chiesa Cattolica (art. 7 cost.). Per l’autonomia riconosciuta alla Chiesa Cattolica, il testo costituzionale utilizza concetti quali indipendenza e sovranità, caratteristiche ordinamentali proprie ed esclusive di questa realtà confessionale, per le ragioni storico-giuridiche cui abbiamo accennato nelle precedenti lezioni. Alle Confessioni acattoliche, invece, è riconosciuto il ‘diritto di organizzarsi secondo propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano’ (art. 8, comma 2, cost.). Inoltre è anche previsto che ‘I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze’ (art. 8, comma 3, cost.). Tale norma, costituisce, altresì, una garanzia per le tali Confessioni sotto due profili: a) poiché non sancisce l’obbligatorietà, bensì la facoltà di procedere alla ‘formalizzazione’ delle relazioni tra le medesime e lo Stato, mediante la stipula di Intese; b) ponendosi quali limite al potere statale di legiferare in materia religiosa, e, nella fattispecie, di disciplinare la vita interna delle medesime. L’autonomia di tali realtà confessionali trova tuttavia un limite nella compatibilità dei loro statuti con l’ordinamento giuridico italiano, come previsto dall’ultimo inciso della disposizione de qua. Su tale limite, poi, si è molto discusso in dottrina: cosa s’intende per ordinamento giuridico italiano? Quale il suo contenuto? Triplice è la posizione della dottrina. L’ordinamento giuridico italiano coinciderebbe con: a) ordine pubblico e buon costume; b) i principi dell’ordinamento costituzione; c) i principi generali dell’ordinamento giuridico. La giurisprudenza costituzionale ha affrontato e risolto il problema con la nota sentenza n. 43 del 21 gennaio 1988, con la quale la Consulta ha affermato che il contenuto del limite de quo coinciderebbe con i principi generali dell’ordinamento giuridico e ‘non anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative’. A tutt’oggi risultano approvate le Intese ex art. 8.3 Cost. tra la Re

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