Hegel, Kant, Schopenhauer PDF

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This document provides an overview of the life and philosophical work of Georg Wilhelm Friedrich Hegel. It details his early influences, religious and political interests, and his evolving philosophical ideas from his early writings to his later works.

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GEORG WILHELM HEGEL (Stoccarda 1770 - Berlino 1831) Si laurea in filosofia e teologia all’università di Tubinga, dove fa amicizia con due importanti filosofi Schelling e Holderlin. Ci fu un evento che lo colpì particolarmente e che tracciò in modo indelebile la sua vita e la sua filosofia: la Rivol...

GEORG WILHELM HEGEL (Stoccarda 1770 - Berlino 1831) Si laurea in filosofia e teologia all’università di Tubinga, dove fa amicizia con due importanti filosofi Schelling e Holderlin. Ci fu un evento che lo colpì particolarmente e che tracciò in modo indelebile la sua vita e la sua filosofia: la Rivoluzione francese e i suoi principi fondanti cioè libertà e uguaglianza, infatti da giovane si esercitò come oratore in difesa di questi principi. Hegel sposa totalmente questi principi rivoluzionari che faranno parte della sua filosofia. È il maggior esponente dell'idealismo tedesco. È stato docente di filosofia prima all'università di Heidelberg e poi di Berlino. Prime opere: sono soprattutto scritti teologici La vita di Gesù, La positività della religione cristiana Lo spirito del Cristianesimo e il suo destino Opere successive: Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, De orbitis planetarum Collaborò con Schelling presso il Giornale critico della filosofia Opera principale: Fenomenologia dello spirito Opere della maturità: L'enciclopedia delle scienze filosofiche; Scienza della logica; La filosofia della storia; Lineamenti di filosofia del diritto Le opere giovanili Negli scritti giovanili prevalgono in Hegel interessi di ordine religioso-politico. Si dimostra insoddisfatto dell'opposizione stabilita dall'Illuminismo tra fede e religione razionale o naturale. Si preoccupa invece di stabilire una continuità nello sviluppo religioso dell'umanità, dalle forme religiose primitive a quelle del suo tempo. Vede i germi del sorgere della religione nella religione di popolo, che è fondata sull'amore, capace in quanto tale di costituire l'unità di un popolo, configurando in tal modo una sorta di "anima dello Stato". Gradatamente il pensiero religioso di Hegel si orienta verso il panteismo, in termini di unità fra Dio e uomo. Coglie tale unità nell'amore, quale espresso dal cristianesimo. L'amore è la vita stessa di Dio nell'uomo e nella comunità umana. È l'amore che unifica Dio e l'uomo. L'unità del divino e dell’umano non si è realizzata una sola volta nella persona di Gesù, ma si realizza continuamente nello spirito umano tutte le volte che esso si solleva all'amore, poiché sull'amore è fondato il sacro, la religione. La religione è la stessa unità dello spirito divino e dell'umano. La fede del divino è possibile in quanto il divino è nel credente stesso. Per Hegel tuttavia l'unità del divino e dell’umano è reale solo nella forma del sentimento e non è esprimibile nel linguaggio filosofico. In luogo dell' argomentazione filosofica ricorre pertanto all'esortazione, ponendo il tema del rinnovamento morale e religioso dell'uomo come fondamento della rinnovamento politico. Non ritiene possibile alcuna rivoluzione o trasformazione politica se non basata su una rivoluzione del cuore e dell'animo. Per le particolari condizioni della 1 Germania, poi, religione e politica avevano una connessione profonda. I paesi tedeschi erano stati al centro della Riforma protestante, sicché le Chiese riformate e i principi tedeschi costituivano un insieme politico-religioso omogeneo. L'aspirazione dei popoli a una vita migliore e alla libertà deve diventare realtà vivente attraverso progetti di riforma che spazzino via il vecchio ordine sociale, fondato sulla rigidità delle classi e sulla supremazia del potere nobiliare. Il nuovo ordine deve scaturire da una nuova forma di religione che ispiri un diffuso sentimento comunitario, incarnato in istituzioni sociali nuove fondate sulla libertà e sull'uguaglianza, sentimento che può sorgere solo da una rinnovata libertà interiore. Hegel critica duramente le strutture delle Chiese cristiane storicamente affermatesi dopo la morte di Gesù. Gesù ha predicato l'amore e la fratellanza come progetto di vita e superamento della vecchia legge esteriore, fatta di precetti e comandi, attraverso la nuova legge dell'amore, fatta di intensa vita interiore. Le Chiese hanno invece costruito una religione positiva dominata da dogmi rigidamente fissati e da precetti del tutto esteriori, facendo sparire così il sentimento religioso profondo del divino, che non può essere vissuto se non soggettivamente nell'interiorità di ciascuno. Alle origini dello spirito del cristianesimo gli Ebrei hanno pensato Dio contrapponendolo alla natura: Dio è tutto, l'uomo e la natura sono niente. Per tale motivo gli Ebrei hanno scelto di vivere in inimicizia con la natura e in ostilità con gli altri popoli. Il loro Dio è "geloso": ogni rapporto di amicizia con gli altri uomini è giudicato in contrasto con il rapporto di fedeltà esclusiva dovuta al loro Dio, implicando inoltre un'indebita commistione con gli dei di altri popoli. Il popolo eletto è solo quello ebreo. Le prime due opere scritte da Hegel sono La vita di Gesù e La positività della religione cristiana dove passa da una visione kantiana ad una post kantiana e della sua critica a Kant. L’opera giovanile più interessante pubblicata tra il 1798 e il 1799 a Francoforte è “Lo spirito del cristianesimo e il suo destino”. In quest’opera, Hegel ripercorre a livello filosofico la storia del popolo ebraico contenuta nella Bibbia, dal diluvio universale fino ad arrivare alla diaspora. Secondo Hegel, il diluvio universale segna una scissione (una divisione) tra il popolo ebreo e la natura, una natura che si ribella, una natura che uccide attraverso un diluvio che spazza via ogni cosa che incontra tranne l’arca di Noè e le persone e gli animali che erano al suo interno. questo evento così drammatico per il popolo ebraico lo ha portato a rifugiarsi nella fede, a credere in Dio e trovare rifugio in lui. Quindi, secondo Hegel, la natura cattiva, imprevedibile e castigatrice viene contrapposta alla figura di un Dio che salva che protegge che ama e a cui è sottomesso non solo l’uomo ma anche la natura stessa. Sempre secondo Hegel, il popolo ebreo ha quindi scelto di focalizzare la sua attenzione su un Dio amorevole ma anche molto geloso che vuole che gli ebrei si dedichino a lui in modo totale allontanandosi anche dagli altri popoli, perché si crea così un divario tra il popolo eletto da Dio, che è appunto il popolo ebreo e tutti gli altri popoli. In questo modo il popolo ebreo non solo ha come nemico la natura ma si è persino inimicato tutti gli altri popoli. Praticamente, secondo Hegel, il destino segnato degli Ebrei è un destino che si sono scelti loro con le loro decisioni, con la loro chiusura in sé stessi. Però ad un certo punto 2 succede qualcosa, arriva una rivoluzione e questa rivoluzione ha il nome di Gesù che porta un messaggio di amore e di fratellanza di tutti gli esseri umani che sono uguali di fronte a Dio a prescindere dalla razza. E qui si contrappongono due mentalità diametralmente opposte: da un lato la mentalità chiusa e ovattata degli ebrei e dall’altra la mentalità di Gesù che si avvicina molto alla mentalità greca dell’epoca, una mentalità aperta e libera dove il rapporto con la natura è un rapporto armonioso e rispettoso della natura stessa, in “spirito di bellezza” come dice lui stesso. Quindi da un lato abbiamo l’ebraismo che rappresenta la scissione, la divisione e quindi l’infelicità mentre dall’altro abbiamo la grecità che rappresenta l’armonia tra gli uomini, l’armonia tra uomo e Dio e l’armonia tra uomo e natura. Hegel esprime quindi una forte ammirazione per la grecità dell’epoca solo che bisogna poi ammettere che sia i Greci che Gesù furono “sconfitti” alla fine dal Cristianesimo. I greci e la loro armonia e spirito di bellezza sono stati soverchiati dall’età moderna che secondo Hegel va proprio rivista, riformata. Dall’altro abbiamo Gesù che è stato ucciso per mano proprio del suo popolo, dal popolo eletto perché non ne ha capito il suo messaggio rivoluzionario e di amore. Però Hegel è ottimista nella possibilità, nell’età moderna, di ritrovare quello spirito di bellezza che avevano i Greci e che aveva il messaggio di amore di Gesù Cristo. Per fare ciò è necessaria una rivoluzione religiosa che crei una nuova religione che basa proprio sulla figura di Gesù che dovrebbe essere il collante di tutto, il collante tra gli uomini, tra l’uomo e Dio e tra il dovere razionale e la natura sensibile. Nella sua maturità, Hegel invece propone una nuova soluzione e la propone nell’opera Fede e sapere. In quest’opera è la filosofia la soluzione, il collante di tutto, l’unica che può conciliare e unire gli uomini e l’uomo con Dio. Quindi se l’Hegel giovane sosteneva che dovesse essere la religione a far partire la rivoluzione dello spirito dell’uomo e dei popoli, l’Hegel maturo confida nella ricerca filosofica e nell’evoluzione storica, entrambe caratterizzate da un pensiero più scientifico e rigoroso rispetto alla religione. Gesù ha rifiutato, col suo avvento, la scelta esclusivista del suo popolo e ha predicato la legge dell'amore universale. La figura di Gesù appare a Hegel vicina al mondo greco, che ha fatto una scelta diametralmente opposta a quella ebraica. I Greci hanno vissuto il loro rapporto con la natura in spirito di bellezza, in sereno accordo con essa. Tuttavia tanti i Greci quanto Gesù sono stati storicamente sconfitti dal Cristianesimo. Le Chiese moderne, anche quelle nate dalla riforma protestante, sono condannate perché pensano di Dio come lo pensavano gli Ebrei. Occorre quindi una nuova religione e un nuovo messaggio d'amore. Nei Greci e in Gesù bisogna ritrovare l’Armonia della Natura. Gesù muore solo, ama anche se tradito e abbandonato dagli amici. Gesù = Amore universale, armonia e bellezza oltre il particolarismo. L’uomo deve riconciliarsi con la Natura, con Dio Gesù figura di conciliazione, di unità di sintesi:(tesi antitesi sintesi) Armonia Natura Uomo Cristianesimo per Hegel Sintesi: mondo greco Armonia : mondo ebraico Scissione Gesù= sintesi Uomo/Natura 3 In seguito, nella sua maturità, Hegel non si attende più che il rinnovamento dello spirito e dei popoli nasca dalla religione, ma dall'evoluzione storica e dalla filosofia, in quanto capace di pensare razionalmente il corso del mondo. Propone una nuova soluzione e la propone nell’opera Fede e sapere. In quest’opera è la filosofia la soluzione, il collante di tutto, l’unica che può conciliare e unire gli uomini e l’uomo con Dio. Quindi se l’Hegel giovane sosteneva che dovesse essere la religione a far partire la rivoluzione dello spirito dell’uomo e dei popoli, l’Hegel maturo confida nella ricerca filosofica e nell’evoluzione storica, entrambe caratterizzate da un pensiero più scientifico e rigoroso rispetto alla religione. I presupposti della filosofia di Hegel Tre sono i presupposti, ossia le concezioni fondamentali, che stanno alla base della filosofia di Hegel: 1. il carattere globale della realtà e la risoluzione (l'assorbimento) del finito nell'infinito, l’Assoluto è ciò che coincide con l’infinito 2. la dialettica, che è sia il metodo, la legge con cui spiegare la realtà, ma è anche la struttura stessa della realtà, il modo in cui la realtà è costituita, è il processo attraverso il quale si attua la ragione 3. il principio dell'identità tra razionale e reale. 1. La realtà come totalità, come sistema globale, Reale è solo l’intero. La risoluzione del finito nell'infinito. La realtà, afferma Hegel, non è fatta di sostanze (enti, cose) tra di esse distinte e separate, ma è costituita dalla totalità degli enti, i quali tutti insieme costituiscono un organismo ed un sistema globale unitario. Nessuna cosa è definibile e conoscibile solo in se stessa, bensì in relazione con tutte le altre cose e soprattutto con il loro opposto. Ad esempio, il bene si definisce in contrapposizione al male; il bello in opposizione al brutto; il giusto per differenza dall'ingiusto. Più in generale, ogni ente è collegato almeno ad un altro e quest'altro ad altri ancora, cosicché, alla fine, tutti gli enti, tutte le cose sono direttamente o indirettamente collegate fra loro: il seme è collegato al fiore, il fiore al frutto, il frutto all'albero, l'albero alla terra, la terra agli uomini che ci vivono, ogni uomo è collegato ai suoi genitori, ai parenti, agli amici e ai conoscenti, ogni azione umana è collegata con quelle precedenti e con quelle successive, eccetera. Consegue che gli enti finiti del mondo, della realtà, sono fra di essi, direttamente o indirettamente, totalmente collegati. E poiché ogni ente o categoria di enti è in particolare collegato col proprio opposto, deriva che tutti gli enti finiti sono collegati con l'infinito: non è possibile definire ciò che è finito se non si ha l'idea di infinito e viceversa. Pertanto finito e infinito coincidono, nel senso che ogni ente finito quando cessa non scompare nel nulla ma viene assorbito nell'infinito di cui 4 fa parte. La coincidenza e l'unità di finito e infinito non va intesa come un aggiungersi al finito dell'infinito, che di per sé sta al di là, bensì nel senso che l'infinito assorbe, supera e annulla continuamente il finito entro di sé nel movimento di sviluppo della realtà. Significa che la vera realtà è dunque quella dell'infinito, chiamato anche "Spirito assoluto", poiché i vari enti finiti sono soltanto manifestazioni e realizzazioni provvisorie dell'infinito. Il finito di per sé non esiste, in quanto, essendo parte dell'infinito, esiste solo in collegamento con l'infinito stesso; il finito come parte non può esistere se non in connessione col Tutto, soltanto in rapporto al quale ha vita e senso: la realtà del finito è quella di diventare infinito, di esserne assorbito, cosicché l'Assoluto è sia l'artefice ma anche il contenuto, l'oggetto stesso del mondo. L'infinito è la Totalità che tutto contiene in sé, ogni ente presente così come, altresì, l'intero passato e futuro, e che nulla ha fuori di sé (se l'infinito è il Tutto, la Totalità, in esso sono quindi contenuti tutti gli enti finiti, passati, presenti e futuri). "Il vero, dice Hegel, sta nell'intero", nella globalità o totalità dell'infinito. Essendo una parte del tutto che è l’infinito, possiamo dire che il finito in sé non esiste. Questo pensiero hegeliano è una forma di monismo panteistico perché il mondo che è finito è una manifestazione di Dio che è infinito. Qui sembra che la filosofia di Hegel sia simile a quella di Spinoza. In realtà c’è una differenza sostanziale data dal fatto che per Spinoza l’Assoluto è una sostanza statica mentre per Hegel è una sostanza dinamica, in divenire, in continua trasformazione, è un processo continuo di autoproduzione. Ogni ente esistente, come pure ogni pensiero e sapere, è parte dell'infinito di cui è provvisoria manifestazione. Infatti la realtà, quella autentica e cioè l'infinito, lo Spirito assoluto, non è una sostanza statica e immutabile, quale è stata concepita ad esempio da Spinoza, ma è attività, continuo movimento e processo mediante il quale lo Spirito realizza progressivamente se stesso, trasformando ed assorbendo continuamente in sé gli enti finiti. Tuttavia la comprensione dell'infinito, ossia la comprensione che tutti gli enti finiti sono prodotti, sviluppati e quindi assorbiti dall'unico e medesimo Spirito assoluto, principio e causa prima della realtà, non si raggiunge, obietta Hegel, in modo immediato, ossia per intuizione diretta, come perlopiù ingenuamente ritenuto secondo la sensibilità romantica, ma solo gradualmente e passando attraverso tutti gli stadi, le fasi e le tappe, mediante i quali gradatamente lo Spirito assoluto si realizza nel mondo e col mondo. L'Assoluto come puro spirito è indeterminato e quindi non si può distinguere se non assume specifiche determinazioni e caratteristiche che, in via preliminare, devono essere singolarmente e consecutivamente conosciute. In quanto movimento e attività che perpetuamente dà luogo alla realtà, lo spirito produce il finito, il determinato, ma poi nel suo incessante moto lo supera producendo una nuova determinazione, una nuova entità. Ogni ente è così solo un momento, una tappa della totalità della realtà e del suo sviluppo. Per ciò stesso, appunto, l'ente finito di per sé non esiste, è provvisorio, instabile, giacché è continuamente trasformato nel corso dell'ininterrotto processo di produzione della realtà nella quale lo Spirito assoluto progressivamente si manifesta. Per questo motivo 5 Hegel paragona il proprio sistema filosofico ad una processo circolare o a spirale che raggiunge il suo termine in quella stessa realtà da cui inizia. Anche per Hegel, come per i filosofi dell'idealismo tedesco in generale, lo Spirito assoluto infinito non è trascendente bensì immanente nel mondo: è, si può dire, lo Spirito dell'umanità, il suo sapere ed il suo fare complessivi; è l'Intelligenza complessiva che sta dentro il mondo e ne guida lo sviluppo per realizzare in tal modo anche se stessa. Se la realtà vera è l'intero, la totalità, l'unione di finito e infinito, allora la filosofia non deve occuparsi di aspetti particolari ma deve essere un sistema globale, capace di ricomprendere ogni aspetto, finito e infinito, della realtà. Quindi i fenomeni contingenti (che possono o non possono sussistere o accadere) e accidentali (secondari) non possono essere oggetto della filosofia, essendo solo illusione e apparenza, fugace caducità. La filosofia deve invece giungere a comprendere ciò che è essenziale, fondamentale; deve saper cogliere l'assoluto, ciò che è sostanziale, immutabile ed eterno quale viene a manifestarsi, attraverso una serie infinita di forme e di gradi, in ciò che è temporale e transitorio. Ossia deve comprendere che il fondamento e il principio della realtà è lo Spirito assoluto, che è attività incessante che si realizza e si manifesta producendo, trasformando ed assorbendo continuamente in sé gli enti finiti, tutti collegati fra di essi e tutti partecipi dello Spirito assoluto medesimo. Per Hegel quindi l'infinito (lo Spirito assoluto) non è inconoscibile come per Kant, ma anzi è l'unica autentica realtà che la ragione, cioè la filosofia, è in grado di cogliere. Sappiamo che per Kant, invece, la facoltà che presiede la conoscenza è l'intelletto e non la ragione perché essa pretende di andare oltre la conoscenza fenomenica per cogliere le realtà assolute e l'infinito. Il principio, unico fondamento della realtà = è la Ragione o Assoluto o Idea In tal senso Hegel critica le filosofie precedenti. Critica l'Illuminismo e il razionalismo di Kant, perché basano la conoscenza non sulla ragione ma sull'intelletto, il quale però non coglie, non riesce a comprendere la totalità infinita della realtà, la coincidenza e l'unità del finito con l'infinito, in quanto l'intelletto procede per concetti rigidi, che distinguono e separano gli enti finiti, i fenomeni, e non si accorge che essi sono invece tutti collegati fra loro e sono infine collegati con l'infinito. Solo quella dell’Assoluto, della Totalità, è per Hegel la realtà autentica (e non la semplice realtà fenomenica come per Kant): niente vi è al di fuori di essa e della coscienza assoluta. La filosofia illuministica e kantiana è valutata come filosofia del finito mentre quella di Hegel vuole essere filosofia dell'infinito. Critica anche i romantici, i quali hanno sì avvertito l'esigenza di pensare la realtà come assoluta, come totalità e quindi come infinita, ma però hanno ingenuamente ritenuto di poter cogliere l'infinito per intuizione immediata, in un colpo solo, e non gradualmente, seguendo passo per passo tutte le tappe attraverso cui l'infinito, lo Spirito assoluto, si manifesta e si realizza. 6 Accusa Fichte perché concepisce l'infinito come méta ideale, come limite al quale progressivamente ci si avvicina sempre di più però senza mai raggiungerlo e coglierlo pienamente. In particolare, dice Hegel, Fichte non ha capito l'unità che sussiste tra finito e infinito; non ha capito che l'infinito non è al di là, oltre il finito, ma che invece è quella totalità nella quale stanno anche gli enti finiti, i quali sono continuamente in essa assorbiti. Perciò, commenta Hegel, quello di Fichte è un "cattivo infinito". Critica altresì Schelling, perché ha concepito l'infinito (l'Assoluto) come unità indifferenziata di spirito e natura, di ideale e reale, di soggetto e oggetto, per cui non si capisce come da questa unità indifferenziata possano derivare gli enti finiti, cioè le cose del mondo che sono invece molteplici e fra di esse differenziate. L'Assoluto indifferenziato di Schelling, dice Hegel, è un concetto oscuro, buio come la notte, nella quale "tutte le vacche sono nere" e non consente, perciò, di cogliere le differenze. Anche Schelling non ha capito che l'unità di fondo della realtà non è tra spirito e natura ma tra finito e infinito e che questa unità va individuata nei singoli enti finiti in cui l'infinito si manifesta e si realizza e che continuamente riassorbe in sé. Per Hegel il vero, cioè la realtà autentica, il fondamento, non è l'Assoluto in sé, tantomeno quello indifferenziato di Schelling, ma è l'Assoluto nel suo divenire, nel suo sviluppo. Affermare che il vero è l'intero, che cioè la realtà va considerata nel suo sviluppo, significa allora che l'Assoluto è il risultato e non il principio di tale sviluppo. In tal senso l'Assoluto non è unità indifferenziata, al contrario contiene in sé tutto le differenze, cioè tutte le serie dei singoli eventi e delle singole cose concrete e particolari attraverso cui l'intera realtà si è sviluppata e viene a svilupparsi. L'assoluto indifferente di Schelling invece, obietta Hegel, annulla le determinazioni (le specifiche differenze) e la ricchezza della realtà. Per conoscere lo Spirito assoluto è dunque necessario procedere per gradi, seguendo i successivi passaggi e momenti in cui lo Spirito, l'infinito, si realizza sempre di più producendo gli enti finiti e riassorbendoli in sé: a tale scopo è necessario un metodo conoscitivo e questo metodo è la dialettica. 2. La dialettica (i tre momenti attraverso i quali la ragione diviene) Tradizionalmente la dialettica è stata intesa come arte del ragionamento tramite l'intelletto, come metodo per giungere alla conoscenza attraverso la deduzione e l'induzione. Ma tale modo di intendere la dialettica presuppone di considerare gli enti (le cose) della realtà come statici. L'intelletto infatti, in base al principio di identità e di non contraddizione, procede per astrazioni e per connessioni (di causa effetto o di relazione) successive una all'altra, creando definizioni, cioè concetti rigidi e fissi per 7 ogni ente, concepito staticamente e separatamente da ogni altro. Però, come già sottolineato, per Hegel l'intelletto non è la principale facoltà conoscitiva, bensì è la ragione. L’intelletto è il grado più basso della ragione è un pensiero rigido, per Hegel l’intelletto rappresenta il finito, il limitato, parziale e astratto.È la ragione che per Hegel sa andare oltre i singoli concetti rigidi e isolati e sa comprendere che la vera realtà è divenire, è movimento e sviluppo continuo, in cui tutti gli enti sono collegati ed in relazione. La ragione è un pensiero che riesce a definire gli opposti e a unirli insieme facendone una sintesi, la ragione rappresenta l’infinito. Hegel prende atto altresì che il divenire (lo sviluppo) della realtà non è caotico e disordinato, ma segue determinate regole nel processo di trasformazione dei vari enti, destinati a diventare qualcosa d'altro (ad esempio, il seme diventa fiore e poi frutto). Se ogni cosa è destinata a diventare qualche altra cosa diversa, si può anche dire che ogni cosa è dunque destinata a negare se stessa, ad opporsi a sé, ad uscire fuori di sé per diventare qualche cosa d'altro (il seme, diventando fiore, nega se stesso come seme, esce fuori di sé e diventa un'altra cosa): questa è la dialettica. La dialettica, cioè, è il processo, il modo in cui tutta la realtà diviene, ossia si trasforma e si sviluppa continuamente. L'Assoluto per Hegel è fondamentalmente divenire, sviluppo della realtà e la legge che regola tale divenire è la dialettica: il processo dialettico è il metodo per superare la rigidità dei concetti posti dall'intelletto. Hegel individua tre momenti nello sviluppo di tale processo: 1. ogni ente si presenta dapprima in se stesso, si dice che "pone se stesso" (ad esempio, il seme si presenta come tale, si pone come seme); questo primo momento della dialettica è chiamato "tesi"; 2. ogni ente poi nega se stesso, si oppone a sé, esce fuori di sé per diventare qualcosa d'altro (il seme, prima di diventare fiore, deve negare se stesso come seme, deve uscire fuori di sé); questo secondo momento della dialettica è chiamato "antitesi"; 3. infine, dall'unione degli opposti, cioè dall'unione fra tesi e antitesi, emerge una nuova cosa, un nuovo ente; questo terzo momento della dialettica è chiamato "sintesi". Quindi la dialettica è il processo, lo sviluppo della realtà che avviene in tre momenti, la tesi, antitesi e la sintesi, chiamati anche triade o serie triadica o schema triadico. In particolare, dal punto di vista logico-gnoseologico (conoscitivo): 1. la tesi è il momento astratto o intellettuale: una certa cosa si presenta davanti all'intelletto, si "pone" davanti all'intelletto, il quale la definisce in se stessa, la riferisce cioè ad un concetto fisso, separatamente dalle altre cose e dagli altri concetti; cioè si concepisce ciò che è esistente in modo statico e con una molteplicità di aspetti separati tra loro (intelletto=momento più basso della ragione) 2. l'antitesi è il momento dialettico o negativo razionale: ogni cosa individuata e definita dall'intelletto (ossia gli stati delle singole cose, dei singoli enti quali 8 individuati e definiti dall'intelletto, che sono tecnicamente chiamati "determinazioni") è messa in relazione con le altre e specialmente con quella opposta, venendo così negata e superata; quindi le determinazioni statiche e rigide del momento astratto vengono messe in discussione e in relazione con altre determinazioni(bene/male bello/brutto) 3. la sintesi è il momento speculativo o razionale positivo produce un nuovo ente, una nuova cosa, come risultato dell'unione, della combinazione fra tesi e antitesi. Grazie alla sintesi ci si rende conto che le singole cose (le singole determinazioni) non sono rinchiuse ed isolate in se stesse ma che sono aspetti e fanno parte di una realtà più ampia a cui la sintesi giunge unificando e sintetizzando gli opposti (tesi e antitesi) in una nuova e superiore entità, in una nuova cosa o determinazione. (AUFHEBUNG) Ogni sintesi poi diventa a sua volta una nuova tesi a cui si contrappone una nuova antitesi; dall'unione fra la nuova tesi e la nuova antitesi deriva una nuova sintesi e, così via, il processo dialettico triadico continua, per cui si realizzano sintesi di grado sempre più elevato, che unificano (collegano) un numero sempre maggiore di enti, fino a quella sintesi che unifica, che collega fra di loro tutti gli enti finiti e fino alla successiva sintesi suprema che collega il finito con l'infinito, mostrando che il finito (gli enti finiti) fa parte dell'infinito. La tesi e l'antitesi non hanno in se stesse realtà concreta (non sono enti reali che si vedono e si toccano); sono soltanto momenti, passaggi logici astratti. Nella realtà concreta ci sono solo le singole sintesi ed il passaggio da una sintesi ad un'altra. La dialettica ci fa comprendere due cose: 1. che gli enti della realtà non sono statici ed isolati ma sono in continuo movimento, si trasformano continuamente e sono tutti collegati fra di essi; 2. che il divenire (lo sviluppo) della realtà avviene secondo una legge precisa, cioè secondo i tre successivi momenti della tesi, dell'antitesi della sintesi. Allora la dialettica non è soltanto il metodo con cui conoscere la realtà, ma essa corrisponde ed indica contemporaneamente la struttura stessa della realtà (come la realtà è fatta), che è continuo divenire, continua trasformazione e continuo sviluppo delle cose. La dialettica, come legge di sviluppo della realtà e come metodo di conoscenza della realtà, non riguarda solo la realtà naturale (la natura), ma anche la realtà storica (la storia umana) ed altresì quella del pensiero (i modi in cui il pensiero si sviluppa e si arricchisce). Ma se la dialettica è processo continuo, continuo sviluppo della realtà, essa procede all'infinito o ha un termine? Per Hegel il movimento, il processo dialettico della realtà non procede infinitamente perché allora l'infinito sarebbe un punto limite al quale, come per Fichte, ci si avvicina sempre di più ma che non si raggiunge mai. Per Hegel il processo dialettico ha invece un andamento circolare, o a spirale, per cui, quando si giunge alla sintesi suprema che unifica (collega) il finito con l'infinito, il processo termina e ricomincia da capo ad un livello superiore. 9 E poiché la dialettica, nella sintesi, unifica e concilia gli opposti, ed è destinata a svilupparsi fino a collegare il finito con l'infinito, essa rappresenta allora una visione ottimistica che Hegel ha della realtà. 3. L'identità di razionale e reale È il terzo presupposto della filosofia di Hegel che egli esprime con la celebre frase: "Tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale". Questa espressione non significa semplicemente che la realtà può essere spiegata con la ragione ma significa molto di più: ossia che la ragione non è solo una facoltà conoscitiva con la quale si cerca di comprendere la realtà, ma che è altresì l'essenza della realtà, cioè la forma stessa della realtà, la struttura della realtà. Ciò vuol dire che la realtà, quale essa è, è proprio come dovrebbe essere: non vi è differenza fra essere e dover essere della realtà. l soggetto spirituale infinito, alla base della realtà, viene chiamato da Hegel “Idea” o “Ragione”. La ragione è l’unica forma che può esistere nella realtà, non l’astrazione, non l’idealità ma è la ragione che governa e gestisce il mondo, c’è una sostanziale identificazione tra Ragione e Realtà. Ciò che è reale è razionale = il suo focus sta nella caratteristica della realtà che non è caotica e disordinata ma ha un ordine razionale e preciso, una struttura razionale che coincide con il Tutto Perciò, conclude Hegel, la realtà va compresa così come è e non servono né le arti né i sentimenti né le morali che ci dicano come invece la realtà dovrebbe essere. Pertanto il compito della filosofia non è di cambiare e trasformare la realtà, il mondo, bensì di comprenderlo nella sua razionalità di fondo. Anzi, afferma Hegel, la filosofia arriva sempre troppo tardi, quando ormai la realtà è già compiuta, per cui non resta che prenderne atto. Dice Hegel con un paragone famoso, "La filosofia è come la nottola (la civetta) di Minerva che si alza in volo la sera, quando la giornata è ormai finita". La filosofia può solo vedere le cose della realtà come stanno perché la filosofia, secondo Hegel, è come la nottola di Minerva (che una specie di civetta) che inizia a volare al crepuscolo, quando cala il sole, quando fa buio e quando quindi la realtà ormai si è già fatta da sola. La nottola di Minerva può solo guardare la natura, osservarla, comprenderla ma non può determinarla né influenzarla. Ecco qual è il compito della filosofia che non è quello di guidare o determinare la realtà ma è quello di accettare la realtà per quella che è, osservandola, studiandola, organizzando il pensiero in modo razionale sulla base delle esperienze che si fanno con la realtà e dimostrando così che intrinsecamente la realtà è razionale. Quindi la filosofia ha una funzione giustificatrice della realtà perché serve a giustificare in modo razionale ciò che esiste. 10 Affermando che il reale è sempre razionale, la filosofia di Hegel può apparire come una giustificazione di fatto, programmatica, della realtà, anche negli aspetti più crudeli, dolorosi e ingiusti. In tal senso è stato anche criticato ed accusato di essere un conservatore, giustificando ogni aspetto della realtà. Bisogna tuttavia precisare che per Hegel non tutti gli aspetti della realtà sono da accettare e da giustificare. I fatti accidentali e contingenti non rientrano nel principio dell'identità tra razionale e reale, non rientrano nella razionalità perché tali fatti non modificano la struttura di fondo della realtà. La struttura di fondo della realtà è invece costituita dalla sua essenza di fondo, dal suo processo dialettico di sviluppo nonché dai suoi aspetti logici e sostanziali costitutivi: sono questi gli elementi che Hegel identifica come sempre razionali (ad esempio le istituzioni sociali, lo Stato, ecc.), mentre i fatti accidentali e contingenti possono benissimo essere anche irrazionali. I due modi hegeliani di descrizione della realtà Hegel è consapevole che la conoscenza non può partire dall'Assoluto, dalla causa e principio primo, in quanto non è immediatamente conoscibile; alla conoscenza dell'Assoluto si deve giungere invece gradatamente, partendo dalle conoscenze più immediate, finite e particolari. I fondamentali aspetti della realtà, vale a dire quelli della globalità del reale, dell'unità e coincidenza tra finito e infinito, della struttura e dello sviluppo dialettico della realtà, dell'identità di razionale e reale, sono descritti da Hegel in due modi: 1. Come storia romanzata dello sviluppo (del cammino) della coscienza e della conoscenza umana, che attraverso tappe successive, chiamate anche "figure", da coscienza individuale primitiva ed empirica giunge a diventare autocoscienza e poi ragione, cioè coscienza assoluta, la quale arriva a comprendere che la realtà non è fatta di enti fra di essi separati ed esterni alla coscienza, ma che sono invece tutti collegati in un'unica totalità, non estranea ma interna alla coscienza stessa, nel senso che la realtà e gli enti della realtà non sono veramente qualcosa d'altro (antitesi) rispetto alla coscienza bensì (nella sintesi) sono sue manifestazioni e realizzazioni, sono un suo prodotto (non esiste alcuna realtà al di fuori della coscienza; ogni cosa esiste solo se è pensata e presente nella coscienza); questo primo modo di descrivere la realtà è quello che Hegel ha seguito nell'opera "La fenomenologia dello spirito". 2. Come descrizione e rappresentazione sistematica, articolata in tutte le sue parti, della complessiva struttura della realtà, costituita da successivi schemi 11 triadici (viene cioè descritta la struttura della realtà secondo le fondamentali e principali successioni di tesi, antitesi e sintesi conseguenti una all'altra); questo secondo modo di descrivere la realtà è quello che Hegel ha seguito nell'opera "L'enciclopedia delle scienze filosofiche". Il primo modo è di tipo storico: Hegel descrive la storia, lo sviluppo storico della coscienza e della conoscenza umana; il secondo modo è di tipo sistematico: Hegel descrive il sistema complessivo, cioè la complessiva struttura secondo cui la realtà è costituita. La fenomenologia dello spirito Fenomenologia dello spirito significa letteralmente lo studio dei modi e dei fenomeni attraverso cui, dialetticamente, lo SPIRITO ASSOLUTO (RAGIONE O IDEA) è venuto a manifestarsi alla coscienza e a realizzarsi nel corso della storia umana e lungo lo sviluppo della conoscenza umana. Il termine "fenomenologia" significa infatti manifestazione. La Fenomenologia è il romanzo che narra la genesi e l'evoluzione della coscienza dell'uomo moderno; è l’esposizione del percorso che la coscienza deve compiere per giungere alla speculazione filosofica, o come la chiama Hegel, al sapere Assoluto. È la storia del “viaggio” percorso dallo spirito attraverso la coscienza umana, per giungere a comprendere se stesso quale Assoluto In questo senso, la Fenomenologia è la narrazione dell’uscita della coscienza dalla “caverna” (cioè dalla sua inadeguata visione del mondo) e del suo salire alla scienza; o anche la storia delle esperienze che la coscienza deve attraversare sulla strada del sapere filosofico. Queste esperienze, non sono solo di tipo teorico, ma investono anche la dimensione pratica dell’esistenza. In qualche modo è la storia dell’umanità che ogni individuo ripercorre personalmente della storia della sua vita. La triade iniziale è costituita dalla coscienza, tesi, dall’autocoscienza, antitesi, e dalla ragione, sintesi. 1) Punto di partenza della Fenomenologia dello spirito è la coscienza, che Hegel colloca come tesi iniziale. La coscienza, come nella Fenomenologia è chiamato lo Spirito o l'Idea, è la prima evidenza, la prima certezza. Agli inizi della sua storia e della sua evoluzione, così come agli inizi dell'esistenza individuale, la coscienza è primitiva, rozza, fatta soprattutto di sensazioni superficiali e non ancora capace di riflessione. È una coscienza confusa, percepisce che c'è un mondo, che ci sono delle cose che le appaiono esterne a se stessa, ma che non sa ancora conoscere in modo chiaro e sulle quali non sa ancora riflettere, così come non sa ancora riflettere su se stessa e diventare quindi autocoscienza. L'attenzione della coscienza primitiva è rivolta essenzialmente verso le cose sensibili, verso i fenomeni naturali. 2) Un po' alla volta, nel corso della sua storia, la coscienza impara a conoscere i fenomeni e, come ha spiegato Kant, impara che essa sa conoscere i fenomeni grazie al modo di funzionare dell'intelletto, che classifica ed organizza i fenomeni (i dati 12 sensibili, le sensazioni) trasformandoli in concetti. La coscienza impara quindi a riflettere su se stessa, sulle sue facoltà conoscitive e diventa allora autocoscienza. L'autocoscienza è l'antitesi della coscienza perché, mentre la coscienza (primitiva) è interessata soprattutto alle cose sensibili, l'autocoscienza è invece interessata a conoscere se stessa e le coscienze degli altri uomini. L'interesse principale quindi non è più verso la natura, verso il mondo naturale, ma verso gli uomini, verso la società e la storia umana. 3) Quando infine l'autocoscienza giunge a concepire l'infinito, cioè si rende conto di saper pensare l'infinito, e poi comprende l'unità di finito e infinito e comprende che tutta la realtà (la totalità) è dentro di sé, è cioè una sua manifestazione, è il suo modo di realizzarsi, allora l'autocoscienza diventa ragione, cioè coscienza assoluta, che è la sintesi di coscienza e a autocoscienza. Qui si chiude la prima parte della Fenomenologia dello spirito, nella quale la coscienza, l'autocoscienza e la ragione prese in considerazione sono ancora quelle individuali. Coscienza, autocoscienza e ragione sono la tesi, l'antitesi e la sintesi fondamentali, ma ognuna di esse si sviluppa in molteplici serie triadiche particolari, cioè in molteplici tappe lungo tutto lo sviluppo storico della coscienza. Le tappe dello sviluppo storico della conoscenza sono chiamate da Hegel anche "figure". Esaminiamo brevemente, di seguito, le principali serie triadiche in cui la Fenomenologia dello spirito è articolata. La coscienza si sviluppa a sua volta secondo la seguente serie triadica: 1. la sensazione, tesi, che è la generale capacità di percepire; 2. la percezione, antitesi, per cui l'oggetto è percepito con molte proprietà (grande, piccolo, duro, morbido, eccetera) ma confuse tra di esse; appare come molte cose una sull'altra; 3. l'intelletto, sintesi, che organizza tutte le proprietà dell'oggetto percepito in modo unitario; in questa tappa l'oggetto è percepito e conosciuto solo come fenomeno e non come cosa in sé, tuttavia riconoscendo che l'unificazione delle proprietà dell'oggetto è opera sua, allora l'intelletto riflette su di sé e diventa autocoscienza. La serie triadica di sviluppo dell'autocoscienza è la seguente: 1. l’autocoscienza, cioè la coscienza di sé e dell'altro, in particolare degli altri uomini, delle altre coscienze, è la tesi: non avviene in base ad un sentimento di amore e di fratellanza, ma gli altri sono inizialmente percepiti in contrapposizione a sé, considerati come esseri che minacciano la supremazia individuale; in questa tappa si ha la celebre figura del "rapporto servopadrone"; 2. la liberazione della coscienza dalla dipendenza dalle cose sensibili e materiali è l’antitesi; tale fase si sviluppa attraverso un’ulteriore serie triadica: lo stoicismo, tesi, che cerca la virtù in luogo del piacere materiale, perseguendo 13 uno scopo di autosufficienza e libertà; ma si tratta di una libertà interiore, astratta, perché la natura seguita ad essere concepita come realtà esterna indipendente, rimanendone di conseguenza condizionati; lo scetticismo, antitesi, per cui niente è certo, neppure la virtù; la coscienza infelice, sintesi, altra celebre figura, che esprime il contrasto sentito tra l’infinito (Dio) da una parte ed il finito (l'uomo) dall'altra; 3. l’autonomia e l’indipendenza della coscienza è la sintesi la Ragione: l'aspirazione inappagata verso l'infinito e verso Dio (ascetismo) consente alla coscienza di riconoscere tuttavia il suo valore poiché è in grado di concepire l'infinito indipendentemente dalla sua subordinazione a Dio; la ragione dunque nasce nel momento in cui la Coscienza acquisisce “la certezza di essere ogni realtà” (unità di pensiero ed essere); tale tappa è storicamente rappresentata dall'avvento dell'Umanesimo e del Rinascimento, che attribuiscono all'uomo dignità in se stesso e non più solo in quanto creatura di Dio. La ragione infine ha il seguente sviluppo triadico: 1. ragione osservativa, tesi: osserva e studia la natura e comprende che essa è razionale e comprensibile (naturalismo rinascimentale); 2. ragione attiva, antitesi: comprende che l'unità di soggetto e oggetto, cioè di uomo e natura, non è una cosa data ma da realizzare; agisce sulla natura per trasformarla e utilizzarla (rivoluzione scientifica); delusa dalla scienza cerca poi il piacere (materialismo), che delude anch'esso; cerca allora la virtù e il benessere sociale, la solidarietà e la fratellanza umana uscendo dagli egoismi individuali; ma ciò che è bene è giudicato in modo ancor individualista, diverso da persona a persona (Romanticismo); 3. ragione in sé e per sé, sintesi: scopre l'armonia e l'unità fra uomo e natura e scopre le leggi dialettiche della realtà; scopre che la coscienza è artefice, contenitore e contenuto di tutta la realtà, in quanto niente esiste al di fuori della coscienza stessa; realizza in tal modo l'unità tra finito e infinito e diventa coscienza assoluta assumendo in sé ogni realtà; rimane tuttavia una coscienza individuale e perciò inadeguata, che non riesce ad uscire da se stessa e diventare oggettiva, cioè coscienza sociale, collettiva. Nella prima parte della Fenomenologia la coscienza, ancorché divenuta ragione, seguita ad esprimere punti di vista sulla realtà che rimangono prevalentemente individuali, quindi relativi e non ancora universali, oggettivi. Se ci si pone dal punto di vista dell'individuo si è inevitabilmente condannati a non raggiungere mai l'universale; esso si trova solo nella fase dello "spirito", cioè in quella che, nella Enciclopedia delle scienze filosofiche, Hegel e nominerà "Spirito oggettivo", intendendo che la ragione si realizza concretamente nelle istituzioni storico-politiche di un popolo e soprattutto nello Stato. La ragione autentica non è per Hegel quella dell'individuo, ma quella dello spirito oggettivo, in particolare dello Stato, che dello spirito oggettivo è la più alta manifestazione storica. L'oggettivazione della coscienza, ossia il passaggio da coscienza individuale a coscienza collettiva, viene descritto nella seconda parte della Fenomenologia dello 14 spirito, in base alla triade fondamentale: 1) spirito, tesi (coscienza sociale, collettiva, che si identifica quindi con la storia dell'umanità); 2) religione, antitesi; 3) sapere assoluto. L'oggettivazione della coscienza ed il suo successivo divenire coscienza e conoscenza dell'Assoluto è peraltro meglio descritto nella Enciclopedia delle scienze filosofiche, alla cui relativa esposizione si fa pertanto rinvio. Per una configurazione schematica generale delle fasi o figure in cui si svolgono le principali serie triadiche di tesi, antitesi e sintesi, attraverso le quali procede la storia della coscienza e della conoscenza umana, si può ricorrere ad un qualsiasi manuale scolastico. Le più importanti e famose figure della Fenomenologia dello spirito sono, come preannunciato, quelle del "rapporto servo-padrone" e della "coscienza infelice". Entrambe sono tappe dello sviluppo dell'autocoscienza. La figura del "rapporto servo-padrone". Si è visto che, allorquando la coscienza diventa consapevole di sé e degli altri, ossia delle altre coscienze, vale a dire degli altri uomini, li concepisce inizialmente come una minaccia contro la propria volontà di prevalere, per cui si instaura uno stato di conflitto e di contrapposizione. Tale stato di iniziale conflitto tra sé e gli altri è simboleggiato dalla figura del "rapporto servo-padrone". Questo rapporto caratterizza la società del mondo antico. Nella lotta primitiva per la sopravvivenza e la supremazia, il padrone è colui che è riuscito ad imporsi. Il servo, per paura di essere ucciso, si sottomette al padrone e ne diventa schiavo in cambio della protezione della vita. Il servo si riconosce (autocoscienza) come dipendente dal padrone, ma anche il padrone si riconosce (autocoscienza) come dipendente dal servo dal cui lavoro è mantenuto. Attraverso il lavoro, poi, il servo acquista consapevolezza e si rende conto del suo valore e quindi si emancipa, diventa indipendente, mentre il padrone, dipendendo dal lavoro del servo, perde sempre più la propria autonomia e superiorità. Il rapporto così si capovolge: il servo diventa padrone e il padrone diventa servo. Va precisato che dal punto di vista oggettivo ed esteriore il padrone seguita a rimanere tale così come il servo; ciò che nel rapporto si modifica e si capovolge è piuttosto la coscienza, la consapevolezza soggettiva interiore relativamente al rapporto stesso: è un “sentirsi”, più che un essere, emancipato da parte del servo ed è un “sentirsi” dipendente e condizionato dal servo per quanto concerne il padrone. Questa figura ha esercitato una grande influenza sulla filosofia di Marx con riguardo alla sua concezione circa il valore del lavoro e della lotta di classe. La coscienza infelice 15 Quando nel prosieguo del suo cammino storico la coscienza giunge a concepire l'infinito, che identifica in Dio, si rende conto che essa è invece finita, mortale e imperfetta. Aspira all'infinito ma sente che ciò è impossibile. La coscienza avverte che c'è un insuperabile contrasto tra Dio, infinito, ed essa stessa, finita ed imperfetta. È questa la figura della "coscienza infelice": è infelice perché si sente limitata, inadeguata, imperfetta. Questa figura caratterizza in particolare il mondo medievale, in cui l'uomo è considerato un peccatore che deve espiare i propri peccati nella fatica e nella sofferenza in questa terra, concepita come una "valle di lacrime". Ma, si può dire, la coscienza infelice simboleggia e riassume il senso di tutta la Fenomenologia dello spirito: è infelice perché nella maggior parte dei casi, ed ancor oggi, la coscienza non è capace di diventare ragione; si sente limitata e non sa ancora comprendere di essere tutta la realtà e di coincidere quindi con Dio e con l'infinito. Solo la coscienza di chi sa pensare filosoficamente può diventare ragione e comprendere di essere stessa, come Spirito dell'umanità, la vera realtà infinita. Mentre la figura del servo-padrone ha particolarmente ispirato la filosofia di Marx e dei marxisti, la figura della coscienza infelice ha soprattutto ispirato gli esistenzialisti e la loro filosofia (l'esistenzialismo), volta a riflettere sulla condizione finita e limitata dell'esistenza umana. L'Enciclopedia delle scienze filosofiche In quest'opera viene descritto il sistema dialettico generale di Hegel. Come si è detto, per Hegel la filosofia deve essere un sistema globale di spiegazione della totalità della realtà e non limitarsi ad aspetti particolari. La filosofia deve spiegare la completa e sistematica costituzione della realtà in tutte le sue articolazioni, in tutte le sue parti. In questo senso, la stessa "Fenomenologia dello spirito" è parte del sistema generale della realtà, di cui può essere considerata un'introduzione. La "Fenomenologia" riguarda figure, cioè tappe, fasi storiche e culturali di sviluppo della coscienza; "l'Enciclopedia delle scienze filosofiche" riguarda appunto la descrizione della struttura dialettica complessiva della realtà, che coincide con la razionalità. Al centro del sistema hegeliano sta l’Idea di una Razionalità che si dispiega progressivamente nel Reale. Questa “Idea“si esprime e agisce all’interno della “Natura”, traducendosi poi in “Spirito”, o Autocoscienza, nell’essere umano, e in tutta la gamma delle sue attività sociali, politiche, culturali e artistiche. La triade di base dell'Enciclopedia è costituita: 1. dall'Idea in sé, tesi, che è studiata dalla Logica; 16 2. dall'Idea fuori di sé, antitesi, che è studiata dalla Filosofia della Natura; 3. dall'Idea che ritorna in sé e si fa Spirito, sintesi, che è studiata dalla filosofia dello Spirito. Questi tre momenti non sono da intendersi in senso cronologico ma concettuale, ideale; sono tre diversi punti di vista che riguardano tuttavia la medesima realtà. Come sappiamo, per Hegel ciò che esiste concretamente nella realtà sono soltanto le sintesi, ovvero soltanto la serie delle diverse sintesi, fino alla sintesi suprema che è appunto lo Spirito, ossia l'Idea che ritorna in sé, mentre la tesi e l'antitesi sono solo momenti logici e presupposti astratti del processo dialettico della realtà. La sintesi, ossia l'insieme di questi tre momenti costituisce l'Assoluto, cioè la totalità della realtà. 1) Il punto di partenza della dialettica (o del processo dialettico) dell'Enciclopedia, cioè la prima tesi, è il presentarsi, ossia il "porsi" del pensiero, della facoltà di pensare, che Hegel chiama l'Idea in sé: prima di tutto, ancor prima della realtà, c'è il pensiero, la capacità di pensare, cioè l'Intelligenza, lo Spirito che è dentro il mondo, il quale dapprima pensa e progetta il mondo e poi lo realizza come sua manifestazione secondo il proprio progetto. È l’idea pura incontaminata dal mondo esterno. Qui Idea significa razionalità, ossia ciò che rimane di eterno, sostanziale e immutabile pur nel divenire e continuo trasformarsi degli enti finiti; l'Idea è il "logos", quindi è il momento della logica con i suoi fondamentali principi di identità e di non contraddizione. L'Idea in sé è il mondo delle idee, degli intellegibili (dei concetti). Con una frase suggestiva, Hegel dice che l'Idea in sé "è Dio (l'Assoluto) prima della creazione", come egli è nella sua eterna essenza, prima della creazione della natura e di uno spirito finito (l'uomo). Dio, l'Idea, è insomma l'impalcatura logica del mondo. Essa costituisce una sorta di progetto: il mondo pensato prima della sua realizzazione., 2) Ma l'Idea in sé, cioè la pura capacità di pensare, essendo attività deve poter agire, deve cioè pensare qualcosa, ossia opporre a se stessa qualcosa di diverso da sé per farne oggetto del proprio pensiero. Si ha così la fondamentale antitesi che è l'Idea fuori di sé, la quale produce e si manifesta nella Natura, fatta oggetto del suo pensiero. L'Idea produce il mondo acquisendone coscienza. Il mondo dunque sta sempre dentro la coscienza, quindi non è realtà autentica ma apparenza, è ciò che appare alla coscienza ed è da essa prodotto ("prodotto", si rammenta, da intendersi in senso figurato più che materiale). È la manifestazione spazio-temporale della realtà, che ci circonda; quindi l’Idea si aliena, esce da sé stessa per scoprire il mondo in modo empirico; si contrappone all’idea in sé e per sé, perché non è più pura, chiusa in sé stessa, ma è dentro il mondo 3) Quando infine l'Idea si accorge che la natura non è veramente qualcosa di diverso e di distinto da se stessa, ma costituisce invece insieme con essa una totalità infinita, si giunge alla sintesi suprema che è l'Idea che ritorna a sé: l'idea, dopo essere uscita fuori di sé nella natura, negli enti finiti, ritorna a se stessa come coscienza e spirito dell'umanità, l’Idea che ritorna in sè è lo Spirito che si fa Natura e ritorna 17 all’uomo, acquisisce consapevolezza dui sé, si fa coscienza nell’uomo: dapprima nello Spirito soggettivo, cioè la coscienza individuale; poi nello Spirito oggettivo, cioè la coscienza collettiva, che si realizza nella società e nella storia umana e soprattutto nello Stato; infine diventa Spirito assoluto, che contiene in sé tutta la realtà, scoprendo che tutti gli enti finiti, quelli della natura ma anche della storia, del pensiero e della conoscenza umana, sono collegati tra loro e con l'infinito stesso di cui fanno parte. A questo punto il processo dialettico termina per ricominciare da capo ad un livello superiore. L'idea in sé, l'idea fuori di sé e l'idea che ritorna a sé sono, rispettivamente, la tesi, l'antitesi e la sintesi fondamentali, quelle di base, ma ognuna si suddivide a sua volta in innumerevoli tesi, antitesi e sintesi particolari. L'Idea in sé: la logica Costituisce il processo dialettico attraverso cui si sviluppa il pensiero, studiato dalla logica. La logica di Hegel si differenzia in modo marcato dalle logiche precedenti. È stato già sottolineato che per Hegel, posta l'identità di reale e razionale, la logica non è solo un metodo per studiar la realtà ma è anche il modo in cui, nella propria essenza di fondo, la realtà è fatta, è strutturata, perciò coincide con la metafisica sia come ontologia (scienza dell'essere) sia come teologia, tuttavia non trascendente bensì immanente. La triade di base dello sviluppo dell'idea in sé è la seguente: 1. l'essere, tesi; 2. l'essenza, antitesi; 3. il concetto, sintesi. L'essere, quale tesi iniziale dello sviluppo della logica, è l'essere puro, il puro pensiero, la sola capacità di pensare che però non contiene ancora alcun pensiero: è il principio più vuoto ed astratto. In tal senso è diverso dal concetto di essere di Aristotele, secondo cui l'essere si presenta in molti modi, comprende cioè tutte le determinazioni (tutte le specifiche particolarità), mentre qui l'essere di Hegel è assolutamente indeterminato e si presenta in un modo solo. L'essere si sviluppa a sua volta in: 1. essere puro, tesi; 2. non essere, antitesi; 3. divenire, sintesi. L'essere puro (tesi) è ancora vuoto di pensiero, è del tutto indeterminato, per ciò stesso trapassa nel non essere (antitesi), cioè nel nulla, nel non essere ancora il pensiero di qualcosa. Dalla sintesi tra essere puro e non essere scaturisce il divenire, che già gli antichi definivano come passaggio dall'essere al nulla e viceversa (le cose prima ci sono e poi non ci sono più, diventano nulla e, viceversa, prima non c'erano, erano nulla, e poi ci sono). In questo contesto l'essere e il divenire sono considerati ancora nel loro isolamento, al di fuori di ogni relazione. 18 L'essere inizia ad entrare in relazione con gli altri enti allorché diviene essenza (antitesi). Infatti, l'essere come pura possibilità e potenzialità di pensiero è attività, è movimento che, per realizzarsi e conoscersi, si determina, si attua e si realizza, per effetto del divenire, nei singoli fenomeni, producendo la realtà: diventa concreta esistenza fenomenica. Tuttavia l'Idea in sé non si accontenta dell'apparenza fenomenica (non si accontenta dei fenomeni nella loro esteriorità, non si accontenta cioè delle cose come ci appaiono); invece studia e analizza il pensiero e vuole vedere cosa c'è sotto la superficie dei singoli fenomeni, arrivare al fondo di essi, cioè giungere alle loro essenze. Giunge all'essenza (antitesi) quando l'essere, riflettendo su se stesso, prende coscienza non solo di sé ma scorge anche le proprie relazioni di qualità, quantità, causalità, ecc. con l'altro da sé, con gli altri enti, determinandosi (diventando) come esistenza concreta. Dunque, mentre nella logica dell'essere puro sono studiati i concetti più generali e astratti di essere, di non essere e di divenire, nella logica dell'essenza sono studiati i concetti più concreti di sostanza (l'essere dapprima "pare", determinandosi nell'esistenza), di causa (l'essenza poi "ap-pare" come fenomeno e si determina come rapporto di causa-effetto tra un fenomeno e l'altro) e di relazione (si scorgono e si studiano le relazioni che sussistono tra essenza ed esistenza e tra sostanza e accidente). La logica dell'essenza è tuttavia, ancora, la logica dell'intelletto, che esamina una realtà (quella fenomenica) che appare distinta ed opposta ad esso. L'essenza diventa concetto (sintesi) quando l'Idea in sé, mediante la ragione, comprende il collegamento che esiste fra tutti gli enti finiti, e le loro essenze, e comprende che essi esistono solo in quanto sono pensati e presenti nell'Idea (coscienza) stessa, comprendendo altresì la loro unità con l'infinito, con la totalità della realtà, ossia con lo "Spirito vivente della realtà". Riassumendo, l'essere è puro essere (tesi), è il puro pensiero ancora vuoto, senza determinazioni, senza "pensati", che coincide perciò col nulla, col non essere ancora qualcosa di determinato ma solo pura possibilità di essere, di esistere. Il non essere, il nulla, contrapponendosi all'essere consente il divenire, quale sintesi tra essere e non essere (tra essere e nulla). In questo senso l'essere è potenzialità e possibilità dell'esistenza e del suo divenire. L'essenza (antitesi) è l'attuarsi dell'essere come esistenza, come fenomeno ma anche come sostanza e quindi, per l'appunto, come essenza che collega causa ed effetto, sostanza e accidente, essenza ed esistenza. L'essenza diventa poi concetto (sintesi), inteso come ragione capace di cogliere il collegamento fra tutti gli enti ed essenze finite nonché la loro unità con l'infinito, con lo Spirito. L'Idea fuori di sé: la Filosofia della Natura Costituisce il processo dialettico secondo cui si sviluppa il mondo naturale. Come si è visto, lo Spirito, coincidendo con la realtà autentica, non ha niente fuori di sé. Però 19 lo Spirito, cioè il pensiero, l'Idea, deve pur sempre essere pensiero di qualcosa. Per realizzarsi e non rimanere essere puro e vuoto, così come per conoscersi, l'Idea deve uscire da sé, deve determinarsi e specificarsi nei "pensati", deve cioè produrre e contrapporre a se stessa cose ed enti per farne l'oggetto del suo pensiero, ossia deve "porre" e produrre la Natura, in cui l'Idea viene a manifestarsi e determinarsi, diventando per l'appunto "Idea fuori di se" (antitesi). Gli enti della natura mediante cui l'Idea, contrapponendoli a se stessa, viene via via a conoscersi e realizzarsi sono enti finiti, continuamente trasformati in nuovi enti (nuove sintesi) dall'incessante attività dello Spirito. Proprio perché sono finiti, contingenti e provvisori, cioè sono fenomeni, tali enti finiti, benché necessari nel processo dialettico come indispensabile antitesi, non costituiscono la realtà autentica e non possono essere l'oggetto autentico della filosofia: sono soltanto illusione e apparenza, anche se, sia pur come apparenza, la natura è comunque anch'essa una realtà. La natura, il finito, è un insieme di puri accidenti (aspetti secondari) passeggeri, mentre la realtà autentica è lo Spirito assoluto, la Totalità, che di volta in volta assorbe e ricomprende in sé tutti gli enti finiti (la vera realtà è l'unità di finito e infinito). La caratteristica fondamentale della natura è l'esteriorità, l'apparenza esteriore, l'essere "altra cosa" rispetto all'Idea. La natura è la realtà più lontana dal pensiero, di cui è negazione-contrapposizione (antitesi). La natura come materia è in qualche misura una sorta di decadenza dell'Idea, ciò in analogia altresì con l'attuale teoria della materia come decadimento dell'energia che all'Idea può per taluni aspetti essere assimilata. Hegel (e l'idealismo in genere) non nega l'esistenza della materia (la natura è realtà apparente ma è comunque una realtà), nega però l'autonomia della materia, della natura, che è esteriorità, un derivato dello Spirito. Hegel non dimostra un particolare interesse per la natura, come invece Schelling e la gran parte dei romantici. Proprio perché è il regno dell'accidentale e del contingente, la natura non è da divinizzare e nemmeno da considerare una via privilegiata per la conoscenza della realtà più autentica. Per Hegel è assurdo voler conoscere Dio dalle opere naturali, in quanto le più basse manifestazioni dello Spirito servono meglio allo scopo. Anche i fenomeni più grandiosi della natura sono frutto di una necessità inconsapevole, di cui la natura non ha coscienza. Rispetto ad essi anche le più misere azioni degli uomini sono superiori, perché derivano da atti coscienti e liberi. Persino il male degli uomini è superiore agli eventi naturali perché è un atto di libertà, di libera scelta, anche se sbagliata e colpevole. Lo sviluppo dialettico di base dell'Idea fuori di se o natura è il seguente: 1. meccanica, tesi; 2. fisica, antitesi; 3. fisica organica, sintesi. La meccanica considera l'esteriorità, che è l'essenza propria della natura, nei suoi elementi fisici più generali: spazio e tempo; materia e movimento. La meccanica si sviluppa poi come fisica, che considera i fenomeni fisici specifici: il peso specifico, il suono, il calore, quali derivano dalla combinazione di materia e movimento. 20 La sintesi fra meccanica e fisica è costituita dalla fisica organica, che considera il passaggio dalla materia inorganica a quello organica e alla biologia (natura vegetale e animale). Quantunque realtà inautentica e finita, caratterizzata dall'esteriorità, dal contingente e dall'accidentale, appare nel suo sviluppo complessivo un finalismo della natura che, muovendo dagli organismi più semplici, ha come punto di arrivo la produzione dell'uomo, nel quale l'Idea torna ad emergere e attraverso il quale può intraprendere il cammino verso il ritorno a se stessa come Idea autocosciente, cioè come Spirito. L'Idea che ritorna in sé: la Filosofia dello Spirito È il processo dialettico attraverso il quale si sviluppa la consapevolezza piena che l'Assoluto giunge ad avere di sé. Attraverso i suoi vari gradi (meccanica, fisica, fisica organica o biologia) la natura produce organismi sempre più complessi fino all'uomo, attraverso il quale l'Idea, uscita fuori di sé per diventare natura, ritorna in sé diventando Spirito, cioè autocoscienza e autoconsapevolezza piena e completa di sé. Diventando Spirito l'Idea acquista coscienza che la natura non è realtà distinta e contrapposta a sé, ma che deriva da sé medesima; comprende che la natura esiste solo in quanto è pensata e quindi, in qualche modo, prodotta dall'Idea stessa. In tal modo l'Idea si riconosce come Spirito assoluto che ricomprende in sé tutta la realtà, la totalità. La triade di base dell'Idea che ritorna in se è la seguente: 1. Spirito soggettivo, tesi, che si presenta come coscienza individuale; 2. Spirito oggettivo, antitesi, che si presenta come coscienza sociale o collettiva; 3. Spirito assoluto, sintesi, che compie il passaggio dal finito all'infinito e diventa consapevole di ricomprendere in sé il Tutto, la Totalità, cioè sia i pensieri (la logica) sia i pensati (la natura). A differenza della natura, la cui essenza è l'esteriorità e la necessità delle leggi meccaniche che la governano, l'essenza dello Spirito è la libertà dei modi che esso sceglie per realizzarsi e svilupparsi. Lo Spirito è il momento della consapevolezza ed emerge dalla natura attraverso l'uomo, che comincia a diventare cosciente prima a livello particolare, come Spirito soggettivo, poi nell'unità con gli altri, nelle istituzioni sociali e nello Stato, come Spirito oggettivo, infine, quale sintesi di questi due momenti, come Spirito assoluto, che è la consapevolezza complessiva dell’umanità, l'insieme della conoscenza umana; è l'Idea che si riconosce come tale e conosce tutto l'esistente (tutta la realtà) nel suo svolgimento e nel suo percorso (nel suo divenire) avendone consapevolezza. Secondo le espressioni variamente usate da Hegel, Spirito oggettivo e umanità sembrano coincidere, però in termini solo esemplificativo-figurativi: in effetti, se lo Spirito si manifesta nelle istituzioni sociali e nella storia e si rivela nell'umanità, tuttavia non coincide con essa. 21 Lo Spirito soggettivo ed oggettivo costituiscono lo Spirito finito; lo Spirito assoluto costituisce lo Spirito infinito, che scopre l'unità, la coincidenza di finito e infinito. Di seguito sono brevemente illustrati, uno per uno, lo Spirito soggettivo, lo Spirito oggettivo e lo Spirito assoluto. Lo Spirito soggettivo: la coscienza individuale Lo Spirito soggettivo è quello della coscienza individuale, considerata nel suo lento e progressivo emergere e superamento della natura, attraverso un processo che va dalle forme più primitive di coscienza alle più elevate attività conoscitive e pratiche. L'articolazione dialettica dello spirito soggettivo è la seguente: 1. antropologia, tesi, che considera l'uomo ancora condizionato dalla natura e dalle proprie passioni ed istinti, dalle sensazioni e abitudini acquisite nell'ambiente in cui si trova a vivere; 2. fenomenologia, antitesi, che considera l'emergere della coscienza ed autocoscienza dell'uomo allorquando la coscienza individuale riflette su se stessa (secondo il percorso visto nella Fenomenologia dello spirito) ed acquisisce una conoscenza fenomenica, da cui appunto la denominazione di "fenomenologia", che Hegel chiama anche "sapere apparente"; 3. psicologia, sintesi, che considera e studia l'attività teoretica e pratica, attraverso le quali l'uomo acquista la propria libertà e si emancipa dai condizionamenti della natura e dell'ambiente. Acquistando la libertà dai condizionamenti della natura, l'uomo diventa consapevole dell'esistenza anche delle altre coscienze, cioè degli altri individui e dell'organizzazione degli stessi nella società: lo Spirito soggettivo diventa quindi Spirito oggettivo. Lo Spirito oggettivo: la coscienza collettiva o coscienza sociale L'individuo e la libertà individuale si realizzano pienamente solo entro lo Spirito oggettivo, cioè solo nella società e nel rapporto con gli altri individui. Nella società lo Spirito si attua attraverso le istituzioni sociali concrete, individuate nella famiglia, nella società civile e nello Stato. Lo Spirito oggettivo è realtà visibile però spirituale, che non si riduce a natura perché ha una propria storia coincidente con la storia umana. La filosofia hegeliana dello Spirito oggettivo ha avuto grande influenza sulla cultura e sulla filosofia posteriori, specie per le concezioni sullo Stato e sulla storia. I tre momenti dialettici di suddivisione dello Spirito oggettivo sono i seguenti: 1. il diritto, tesi: consente che la libertà dei singoli trovi il suo equilibrio nel riconoscimento della libertà e dei diritti anche degli altri (sono libero purché la 22 mia libertà rispetti anche la libertà altrui); il diritto si esprime e si attua attraverso le sue leggi, che però, in un primo momento, il singolo individuo avverte come limiti imposti dall'esterno alla propria libertà; 2. la moralità, antitesi: l'individuo riconosce che il fondamento di un comportamento giusto non sta solo nella legge ma soprattutto nel sentimento morale di ciò che è bene e ciò che è male; ma si tratta di un sentimento, di un modo di sentire, che è ancora soggettivo e variabile da individuo ad individuo; 3. l'eticità, sintesi: con il passaggio all'eticità, la morale individuale soggettiva diventa morale sociale oggettiva, riconosciuta cioè da tutti nello stesso modo; il bene e il dovere morale non sono più solo un sentimento individuale ma collettivo e condiviso: diventano bene e dovere sociali, perseguiti dalle istituzioni sociali nell'ambito dei costumi del popolo cui l'individuo appartiene, costituenti tutte altrettante realizzazioni dello Spirito nella storia umana. L'eticità infatti si sviluppa secondo l'ulteriore e seguente schema dialettico triadico: 1. famiglia, tesi; 2. società civile, antitesi; 3. Stato, sintesi. La famiglia è l'istituzione in cui l'individuo vive una prima forma di eticità, ossia di vita e di morale collettiva, annullando a favore della famiglia stessa e l'egoismo personale. Valore fondamentale assume l'educazione dei figli, che garantiscono, nel diventare adulti, la fondazione di nuove famiglie. L'insieme delle famiglie degli individui costituisce la società civile. In essa si attua però anche lo scontro, la contrapposizione di opposti interessi particolari, che provocano conflitti economici e di classe sociale. Nella società la convivenza non deriva da un sentire comune, da una socievolezza naturale, ma dalla convenienza. I conflitti economici di classe sociale trovano soluzione nello Stato, concepito come una grande famiglia allargata. Il passaggio dalla società civile allo Stato avviene attraverso un processo di formazione dell'individuo che in un certo senso ne cambia la natura. Nonostante il prevalere dei particolarismi, nella società civile il singolo avverte che tutti i settori sociali sono comunque in rapporto reciproco e oggettivo. Questo sentire si presenta in un primo tempo come semplice mezzo per il soddisfacimento di bisogni individuali, ma in seguito questo sentimento si eleva e diventa un sentire comune. Lo Stato è il regolatore della convivenza sociale, indirizza gli interessi particolari, spesso contrapposti, verso il bene comune. Per Hegel lo Stato non nasce per garantire i diritti, spesso egoistici, degli individui: quindi non è fondato sul "contratto sociale", come per le teorie contrattualistiche; non è uno strumento al servizio dei cittadini, ma al contrario sono i cittadini ad essere al servizio dello Stato. Al di fuori dello Stato i cittadini sono soltanto una realtà caotica e disordinata. Per Hegel dunque la sovranità dello Stato non deriva dal popolo (contratto sociale) o dalla volontà generale di Rousseau, ma deriva dallo Stato medesimo, poiché, 23 secondo Hegel, lo Stato è la più alta manifestazione dello Spirito oggettivo nella storia umana che, proprio attraverso lo Stato, persegue il bene universale. Come manifestazione più elevata dello Spirito nella storia, lo Stato incarna lo spirito (la cultura) di un popolo e della sua storia. Come si può notare, il modello di stato presentato da Hegel non è un modello di Stato liberale o democratico come oggi si intende poiché, in quanto manifestazione dello Spirito, la sovranità dello Stato non può provenire dal popolo. Però, secondo Hegel, lo Stato, pur ricevendo la propria sovranità non dal popolo ma direttamente dallo Spirito, proprio per questo non è uno Stato dispotico perché agisce ed opera in base alla legge (Stato di diritto), legge che, se non è l'espressione (il prodotto) della volontà popolare, è assai di più espressione dello Spirito medesimo, da cui deriva l'autentica "anima" del popolo. Per Hegel la forma migliore di Stato è la monarchia costituzionale, che prevede la divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) ma non una partecipazione dei cittadini al potere se non indirettamente, attraverso le associazioni sociali e le corporazioni. Lo Stato è autonomo e non può esistere per Hegel un organismo sovranazionale (come ad esempio, oggi, l'O.N.U.) che possa giudicare uno Stato e i conflitti fra gli Stati. Infatti per Hegel lo Stato, essendo una diretta realizzazione dello Spirito, che già di per sé è quindi razionale, non può essere sottoposto a giudizio da nessuno. Solo la storia, in cui lo Spirito si realizza, seleziona i popoli e gli Stati attraverso la guerra: lo Stato che prevale dimostra la propria superiorità su quello che perde; le guerre sono perciò considerate il motore della storia perché la rendono dinamica, ne consentono lo sviluppo. I rapporti esterni tra gli Stati non possono dunque essere regolati, secondo Hegel, da un diritto internazionale fondato sul diritto naturale, perché non esiste alcun diritto se non quello interno dello Stato. Il vero protagonista della storia è lo Spirito oggettivo, concepito come "Spirito del mondo", che si incarna di volta in volta in un popolo il quale, anche attraverso la guerra, prevale e domina sugli altri. Quando tale popolo avrà compiuto la propria missione, ossia sarà giunto al suo declino, allora lo Spirito del mondo lo abbandonerà e si incarnerà in un altro popolo e così via. La teoria hegeliana dello Stato è la massima esaltazione dello Stato nazionale (nazionalismo) ed è stata perciò anche criticata, specialmente quando Hegel afferma sia l'indipendenza dello Stato dai principi della morale, sia l'inesistenza di un diritto internazionale, sia la giustificazione della guerra come fattore di sviluppo sociale e storico. Inoltre lo Stato, come realizzazione dello Spirito nella storia dei popoli, che in quanto tale esprime e rappresenta il carattere e la mentalità di un popolo, ha il compito di regolare non solo la convivenza pubblica, la vita sociale, ma anche la stessa vita individuale, anche i pensieri e le opinioni dei singoli individui. In tal senso assume la forma di "Stato etico", che pretende di dirigere anche gli atteggiamenti e comportamenti privati (come lo Stato ideale di Platone o come gli 24 Stati di tanti filosofi utopisti). Ma il rischio di uno Stato etico è quello di diventare uno Stato totalitario, che vuole regolare tutto, sia la vita pubblica sia la vita privata degli individui, limitando la stessa libertà individuale di pensiero e di parola. D'altronde Hegel non poteva concepire lo Stato in modo diverso poiché esso, quale più elevata manifestazione dello Spirito razionale, non può avere limiti né l'obbligo di rispettare le idee dei singoli individui o dei singoli gruppi sociali. La concezione della storia e della filosofia come storia della filosofia La storia umana, per Hegel, è sempre guidata dallo Spirito, anzi è il luogo e lo strumento mediante cui lo Spirito oggettivo realizza se stesso. Hegel ha dunque una concezione finalistica della storia: la storia non è uno svolgersi casuale di avvenimenti ma ha uno scopo, un fine preciso, ossia quello della piena realizzazione dello Spirito oggettivo nello Stato. La storia pertanto è un processo razionale anche se non si tratta di un progresso lineare, come per gli illuministi, bensì di un progresso dialettico, comprendente cioè momenti negativi (le antitesi). Questi sono ciò che comunemente chiamiamo male, che però è solo apparente poiché è in realtà finalizzato alla realizzazione di un bene maggiore. Lo Spirito oggettivo, operando nella storia, si serve di individui eccezionali (ad esempio Alessandro Magno, Cesare, Napoleone, ecc.) attraverso i quali realizza se stesso. Tali individui credono con le loro azioni di realizzare i propri progetti, ma in realtà sono strumenti di cui lo Spirito si serve per realizzare il suo proprio progetto: in questo senso Hegel parla di "astuzia della ragione" (dello Spirito). Il fine ultimo della storia, si è detto, è la piena realizzazione della libertà dello Spirito, nel senso che sceglie liberamente i modi in cui realizzarsi nella storia, e tale libertà si realizza essenzialmente nello Stato. Da questo punto di vista la storia umana è la successione di diverse forme di Stato, le quali costituiscono momenti progressivi del divenire dello Spirito: 1. il mondo orientale, l'antico oriente, in cui lo Stato ha assunto la forma dello Stato dispotico: solo il sovrano è libero; 2. il mondo greco-romano, in cui lo Stato riserva la libertà solo ad alcuni (non agli schiavi e ai plebei); 3. il mondo cristiano-germanico, in cui tutti gli uomini sanno di essere liberi (uguaglianza di diritti), dopo che la monarchia è giunta ad abolire i privilegi dei nobili a seguito dell'ascesa della borghesia e dell'avvento della monarchia moderna. 25 La libertà acquisita da tutti cittadini nella monarchia moderna (in verità acquisita pressoché esclusivamente dalla borghesia) si può realizzare, secondo Hegel, solo nello Stato etico, in cui il bene dello Stato prevale sugli interessi del singolo individuo, e non in uno Stato liberale, come quello sorto in Inghilterra, nel quale, sempre secondo Hegel, il singolo pretende di far prevalere i propri interessi e i propri bisogni particolari. Conformemente alla propria ispirazione nazionalistica, la più completa realizzazione dello Stato e della libertà si è attuata, per Hegel, nello Stato prussiano, visto come la sintesi più alta dello sviluppo storico dello Spirito. Così come la storia è continuo ma graduale progresso in termini di manifestazione dello Spirito, anche il sapere e la filosofia procedono gradualmente, progredendo col progredire storico, per cui non sono immutabili e non possono essere acquisiti una volta per tutte. Pertanto le filosofie che nel tempo vengono dopo sono sempre più progredite di quelle precedenti. La filosofia progredisce sempre di più man mano che procede la sua storia. Cosicché, per Hegel, la filosofia in effetti è e coincide con la storia della filosofia. Lo Spirito assoluto Lo Spirito, dopo essersi manifestato dapprima nella coscienza soggettiva individuale (Spirito soggettivo) e poi nella coscienza sociale oggettiva e nello Stato (Spirito oggettivo) diventa Spirito assoluto allorché giunge alla piena coscienza di sé: l'Idea ritorna completamente a se stessa e comprende che tutta la realtà è entro di sé, scoprendo che tutti gli enti finiti sono collegati fra di essi e sono collegati a loro volta all'infinito, cioè allo stesso Spirito assoluto di cui fanno parte; l'Assoluto riconosce se stesso come attività puramente spirituale. L'acquisizione di tale consapevolezza non è immediata ma, anche qui, è il risultato di un processo dialettico. Lo sviluppo dialettico dello Spirito assoluto è il seguente: 1. arte, tesi; 2. religione, antitesi; 3. filosofia, sintesi. Questi tre momenti dialettici non si differenziano per il loro contenuto, per il loro oggetto, poiché tutti e tre hanno per oggetto l'Assoluto, cioè l'Infinito, ma si differenziano per il modo in cui ognuno rappresenta l'Assoluto: l'arte lo rappresenta come intuizione sensibile; la religione come rappresentazione; la filosofia come puro concetto. L'arte. 26 L'arte è rivelazione dello Spirito assoluto nella forma dell'intuizione sensibile, dell'esteriorità, attraverso colori, suoni, musica, parole. Consente all'uomo di superare la contrapposizione tra natura e spirito, tra materia e libertà. L'arte è capace di conciliare il finito e l'infinito perché l'opera d'arte mostra significati profondi, eterni, che vanno oltre l'apparenza sensibile ed il tempo momentaneo. L'intuizione artistica è capace di esprimere il senso dell'infinito. Hegel distingue tre momenti dialettici nella storia dell'arte: 1. l'arte simbolica, tesi: è tipica del mondo orientale antico, caratterizzata dall'inadeguatezza e dall'insufficienza dei mezzi espressivi, ossia del contenuto, ancora primitivo, rispetto all'ispirazione artistica, ossia rispetto alla forma (l'artista non sa ancora rappresentare adeguatamente nelle sue opere le sue emozioni e sentimenti); da ciò deriva il continuo ricorso a simboli, che esprimono però in modo inadeguato l'ispirazione artistica; 2. l'arte classica, antitesi: è tipica del mondo greco-romano, caratterizzata dall'equilibrio tra ispirazione artistica (forma) e rappresentazione, ossia capacità tecnico-espressiva (contenuto); 3. l'arte romantica, sintesi: è caratterizzata, questa volta, dall'insufficienza della capacità tecnico-espressiva rispetto all'ispirazione artistica, perché ormai lo Spirito ha pienamente compreso l'Assoluto, l'Infinito, e si rende conto che nessuna forma e tecnica artistica può essere capace di esprimerlo pienamente. Perciò Hegel è indotto a ritenere e a teorizzare la morte dell'arte. La religione. La religione è rivelazione dello Spirito assoluto nella forma della rappresentazione, cioè della raffigurazione di Dio e degli attributi divini, rappresentazione che deve essere comunque fondata su basi razionali. Da ciò il rifiuto di una religione intesa come puro sentimento, soltanto come fede, ed invece la simpatia per la teologia scolastica, caratterizzata dalla compatibilità tra ragione e fede. Ma la rappresentazione concepisce Dio, ossia l'Assoluto, ancora come trascendente e non come immanente e identico al Soggetto, cioè al mondo e all'umanità. Anche per la religione Hegel distingue tre momenti dialettici di relativo sviluppo storico: 1. le religioni orientali (feticismo e panteismo), caratterizzate dalla confusione tra naturale e divino; 2. le religioni ebraica e greco-romana, caratterizzate dalla trascendenza: Dio non è più confuso con i fenomeni della natura, ma è concepito come persona distinta e al di sopra della natura; 3. il cristianesimo, considerato come la religione più perfetta, in cui Dio si manifesta come puro Spirito, simile allo Spirito assoluto, con la differenza però 27 che il Dio del cristianesimo è trascendente, mentre lo Spirito assoluto di Hegel è immanente. Comunque il dogma della trinità, per Hegel, è già una sorta di rappresentazione della dialettica e Cristo, l'uomo-Dio, già esprime in qualche modo l'identità di finito e infinito. Però nella religione Dio è oggetto solo di fede e non di spiegazione razionale. Nella religione la verità è conosciuta nella forma della rivelazione, che è ancora inadeguata, e non nella forma del concetto, cioè della comprensione razionale. Pertanto la religione deve essere superata dalla filosofia. La filosofia Solo la filosofia giunge alla comprensione adeguata e razionale dell'Assoluto. La filosofia è l'Idea che, ritornando a se, pensa se stessa e diventa consapevole che tutto è Spirito, che non vi è nulla al di fuori di esso; è la totalità autentica che contiene in sé ogni realtà. La filosofia è conoscenza dell'identità di soggetto ed oggetto, di razionale e reale. Anche la filosofia, come l'arte e la religione, passa attraverso fasi e momenti dialettici di continuo perfezionamento e progresso. La storia della filosofia non è un susseguirsi disordinato di sistemi filosofici tra di essi differenti e senza continuità, ma la filosofia rappresenta il continuativo progresso della conoscenza umana. Le differenti filosofie del passato sono in realtà, ad uno sguardo più approfondito, un'unica filosofia secondo diversi gradi di svolgimento. Da ciò, come si è visto, l'affermazione dell'identità tra filosofia e storia della filosofia. Da tale affermazione deriva altresì l'identità di filosofia e di storia. La storia infatti è lo sviluppo dello Spirito nelle sue manifestazioni finite, cioè nel mondo; la filosofia è la comprensione razionale di questo sviluppo, la quale comprende come la progressione dei vari sistemi filosofici sia un processo necessario verso la verità. La successione dei sistemi filosofici che si manifesta nella storia è identica alla successione dei momenti in cui si sviluppa l'Idea fino a diventare Spirito assoluto. La concezione della storia e della filosofia come storia della filosofia La storia umana, per Hegel, è sempre guidata dallo Spirito, anzi è il luogo e lo strumento mediante cui lo Spirito oggettivo realizza se stesso. Hegel ha dunque una concezione finalistica della storia: la storia non è uno svolgersi casuale di avvenimenti ma ha uno scopo, un fine preciso, ossia quello della piena realizzazione dello Spirito oggettivo nello Stato. La storia pertanto è un processo razionale anche se non si tratta di un progresso lineare, come per gli illuministi, bensì di un progresso dialettico, comprendente cioè momenti negativi (le antitesi). Questi sono 28 ciò che comunemente chiamiamo male, che però è solo apparente poiché è in realtà finalizzato alla realizzazione di un bene maggiore. Lo Spirito oggettivo, operando nella storia, si serve di individui eccezionali (ad esempio Alessandro Magno, Cesare, Napoleone, ecc.) attraverso i quali realizza se stesso. Tali individui credono con le loro azioni di realizzare i propri progetti, ma in realtà sono strumenti di cui lo Spirito si serve per realizzare il suo proprio progetto: in questo senso Hegel parla di "astuzia della ragione" (dello Spirito). Il fine ultimo della storia, si è detto, è la piena realizzazione della libertà dello Spirito, nel senso che sceglie liberamente i modi in cui realizzarsi nella storia, e tale libertà si realizza essenzialmente nello Stato. Da questo punto di vista la storia umana è la successione di diverse forme di Stato, le quali costituiscono momenti progressivi del divenire dello Spirito: 4. il mondo orientale, l'antico oriente, in cui lo Stato ha assunto la forma dello Stato dispotico: solo il sovrano è libero; 5. il mondo greco-romano, in cui lo Stato riserva la libertà solo ad alcuni (non agli schiavi e ai plebei); 6. il mondo cristiano-germanico, in cui tutti gli uomini sanno di essere liberi (uguaglianza di diritti), dopo che la monarchia è giunta ad abolire i privilegi dei nobili a seguito dell'ascesa della borghesia e dell'avvento della monarchia moderna. La libertà acquisita da tutti cittadini nella monarchia moderna (in verità acquisita pressoché esclusivamente dalla borghesia) si può realizzare, secondo Hegel, solo nello Stato etico, in cui il bene dello Stato prevale sugli interessi del singolo individuo, e non in uno Stato liberale, come quello sorto in Inghilterra, nel quale, sempre secondo Hegel, il singolo pretende di far prevalere i propri interessi e i propri bisogni particolari. Conformemente alla propria ispirazione nazionalistica, la più completa realizzazione dello Stato e della libertà si è attuata, per Hegel, nello Stato prussiano, visto come la sintesi più alta dello sviluppo storico dello Spirito. Così come la storia è continuo ma graduale progresso in termini di manifestazione dello Spirito, anche il sapere e la filosofia procedono gradualmente, progredendo col progredire storico, per cui non sono immutabili e non possono essere acquisiti una volta per tutte. Pertanto le filosofie che nel tempo vengono dopo sono sempre più progredite di quelle precedenti. La filosofia progredisce sempre di più man mano che procede la sua storia. Cosicché, per Hegel, la filosofia in effetti è e coincide con la storia della filosofia. La storia Non esiste un solo Stato, e il rapporto tra gli Stati non è qualcosa di statico: dalla molteplicità degli Stati, in dinamica evoluzione nasce la storia. 29 E' possibile comprendere la storia, la sua logica. Infatti solo apparentemente la storia è un succedersi di eventi casuali, contingenti. Esiste una Filosofia della Storia Che cosa è allora la storia? In generale essa è attuazione e manifestazione progressiva della ragione, dell'Assoluto, dello Spirito. Infatti Dio diviene, si realizza, nella storia. L'Assoluto è quindi esaurientemente nella storia. Non esiste perciò niente di metastorico. Non esiste giustizia metastorica (lo si è già visto: non esiste un diritto naturale metastorico): piuttosto "la storia universale è in giudizio universale". Dunque: o tutto ciò che accade nella storia ha una sua ragione, una sua necessità, come momento inevitabile del dispiegarsi della Ragione assoluta; o anche la guerra è giustificata, ed è bene, né può essere eliminata (in ciò H. si stacca non solo dal Cristianesimo ma anche da Kant). Il fine della storia in questa prospettiva è "che lo spirito giunga al sapere di ciò che esso realmente è … manifesti oggettivamente sè stesso", ossia è la piena automanifestazione dello spirito in una realtà storicooggettiva. La modalità attraverso cui si giunge a tale fine è: il succedersi di vari popoli (in effetti l'azione dell'individuo, dice H., è tanto più efficace, quanto più si innerva nella vita del suo popolo), in cui via via si incarna lo Spirito universale; quest' ultimo si serve anche di motivazioni passionali e particolari per raggiungere attraverso di esse dei fini universali: si attua così l' astuzia della ragione; nella storia si evidenziano dei personaggi di speciale portata, degli eroi o weltgeschichtlichen individuen (individui storicouniversali), che sanno cogliere il senso in cui va la storia, e sanno collocarsi su un punto di vista superiore (benché in qualche modo anche loro soggiacciano alla Astuzia della Ragione); il loro segno è il successo, 30 e la gente comune sente che li deve seguire (si pensi a personaggi come Alessandro Magno, Cesare, Napoleone). In particolare Hegel ripartisce la storia in tre grandi momenti Il mondo orientale Caratterizzato dalla sottomissione di tutti (al monarca, solo libero) Il mondo greco-romano Caratterizzato dalla libertà di alcuni (accanto però alla schiavitù di altri) Il mondo cristiano-germanico Caratterizzato dalla libertà di tutti La Filosofia della Storia Così come lo Spirito si dispiega nello spazio, da luogo alla natura, allo stesso modo lo Spirito che si dispiega nel tempo, da luogo alla Storia. La Storia è dunque il cammino dello spirito nel tempo, il processo dello spirito che si distende per riconquistarsi come autocoscienza. La Storia è storia dello Spirito incarnato nel tempo; in ogni evento storico, in ogni epoca storica c’è una determinazione dello spirito che procede dialetticamente volgendo tutto al meglio: la storia è progresso. E’ questo lo storicismo di Hegel che si identifica con il suo ottimismo in virtù del quale non solo il presente è migliore del passato ma si può avere certezza che il futuro sarà migliore del presente. Se ogni avvenimento è razionale, se ogni epoca storica è una determinazione della ragione, non esistono fatti, epoche storiche che possono essere considerati negativamente. (Rivalutazione del Medioevo). Qualche epoca storica che in sé può sembrare negativa, ha egualmente una funzione positiva perché è il momento antitetico rispetto a un altro momento positivo che serve a preparare un’età migliore. Se nella storia tutto è razionale, tutto è necessario; resta da chiedersi quale posto resta per la libertà: la libertà come Hegel la concepisce non si identifica con il libero arbitrio cioè con la capacità individuale di orientare la propria volontà; se tutto è nella storia necessario perché razionale non c’è posto per il libero arbitrio. Eppure Hegel parla ripetutamente di libertà definendo la sua stessa filosofia come filosofia della libertà. La 31 libertà di cui parla Hegel è la libertà dello Spirito che si identifica con la Storia, con la razionalità della storia e quindi con la necessità: chi comprende che il divino cioè la ragione determina tutto, è libero; chi invece ritiene di essere dotato di libero arbitrio, realizza la coscienza infelice. Tutto è predestinato, nella Storia tutto è stato già scritto e la libertà sta nel comprendere questa necessità razionale. Hegel alla luce di questa filosofia della Storia analizza e individua 3 tappe: 1) la storia del mondo orientale, 2) la storia del mondo grecoromano e infine 3) la storia del mondo cristiano- germanico. In ogni epoca storica uno Stato ha assolto la funzione di guida su tutti gli altri, il più civile tra tutti si è assunto la responsabilità di guidare tutti gli altri verso la civiltà e la cultura: questo popolo è il popolo eletto cioè il popolo nel quale si incarna lo spirito del mondo. Ma questo popolo è destinato a cedere il suo scettro ad un altro popolo che svolgerà ciò che esso svolgeva prima; la consegna della funzione di guida tra un popolo e l’altro avviene attraverso la guerra, a vincerla non sarà il popolo più forte ma il popolo più civile. E’ stata la volta del popolo ebraico, poi di quello greco, di quello romano e infine è il momento del popolo tedesco. La guerra dunque non è un evento negativo ma è il tribunale della ragione la quale tramite la guerra stabilisce a quale popolo affidare la funzione di guida. La ragione si serve per realizzare i suoi fini di vari strumenti che possono essere i popoli o i singoli uomini che Hegel definisce cosmici perché incarnano la volontà dello Spirito (Alessandro Magno, Giulio Cesare…) la ragione si serve delle loro passioni, ambizioni per realizzare disegni razionali che si identificano con il destino. Conclusioni. Hegel nel pensiero contemporaneo Quello di Hegel è stato l'ultimo grande sistema filosofico. Dopo di lui le produzioni filosofiche sono state per lo più di carattere settoriale. L'influenza di Hegel nella cultura moderna e contemporanea è profonda e radicata. I temi hegeliani più dibattuti dalla cultura e dalla filosofia contemporanea sono quelli relativi alla dialettica (la realtà concepita come continuo movimento, come continuo divenire e sviluppo triadico di tesi, antitesi e sintesi), alla razionalità della realtà e della storia, alla conciliazione e unità dell'uomo con la Totalità e l'Infinito attraverso i momenti e le forme di sviluppo dell'eticità. Oltre che sui discepoli (destra e sinistra hegeliana) l'influenza di Hegel è stata profonda su Marx, sul neo-idealismo italiano (Croce e Gentile) sul neo-marxismo, sulla cosiddetta "Scuola di Francoforte". Per reazione, Hegel influenzò anche quanti ne contestarono il sistema e che, rovesciandone i principi razionali e dialettici, hanno dato origine all'irrazionalismo, come Schopenhauer e Kierkegaard. 32 Kant 1. Vita e opere Immanuel Kant rappresenta il punto di arrivo della filosofia moderna ed il punto di partenza della filosofia contemporanea; il crocevia della filosofia occidentale sul quale convergono e dal quale si diramano le varie correnti del pensiero moderno e contemporaneo. Pur avendo vissuto un’esistenza sedentaria e monotona, la sua opera costituisce un punto di riferimento inevitabile per tutti i segmenti della filosofia ed i vari modi di interpretarla. Nato Königsberg nel 1724 da

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