Fisica Teorica dello Stato Condensato PDF
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Università degli Studi di Bari Aldo Moro
2007
Giuseppe Nardulli
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These lecture notes cover the theoretical physics of condensed matter, specifically focusing on quantum field theory methods. The course material explores topics such as many-body theory, superfluidity, superconductivity, and the mechanics of fluids.
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Corso di Fisica Teorica dello Stato Solido Laurea Specialistica in Fisica Indirizzo Fisica della Materia Universitá di Bari, A.A. 2006-2007 Introduzione alla Teoria dello Stato Condensato Giuseppe Nardulli This work is licensed under a Creative Commons “Attribution...
Corso di Fisica Teorica dello Stato Solido Laurea Specialistica in Fisica Indirizzo Fisica della Materia Universitá di Bari, A.A. 2006-2007 Introduzione alla Teoria dello Stato Condensato Giuseppe Nardulli This work is licensed under a Creative Commons “Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Un- ported” license. Indice I Teoria quantistica dei campi in materia condensata 1 1 Le teoria a molti corpi: Preliminari 3 1.1 Motivazioni per la formulazione a molti corpi...... 3 1.2 Spazio di Fock per un sistema di bosoni identici..... 5 1.3 Seconda quantizzazione di un sistema di fermioni identici 11 1.4 Esercizi........................... 13 2 Superfluidità 15 2.1 Superfluidità........................ 15 2.1.1 Modello microscopico............... 15 2.1.2 Trasformazioni di Bogoliubov........... 18 2.1.3 Spettro delle quasiparticelle............ 21 2.2 Lagrangiana per i superfluidi............... 23 2.3 Rottura spontanea della simmetria e teorema di Goldstone 25 2.4 Esercizi........................... 27 3 Superconduttività 29 3.1 Descrizione fenomenologica della superconduttività... 29 3.1.1 Funzione d’onda del condensato.......... 29 3.1.2 EÆetto Meissner.................. 31 3.1.3 Quantizzazione del flusso del campo magnetico. 33 3.2 Coppie di Cooper...................... 35 3.3 Teoria BCS......................... 37 3.3.1 Il modello...................... 37 3.3.2 Trasformazione di Bogoliubov........... 38 3.3.3 Equazione di gap.................. 40 3.3.4 Soluzioni dell’equazione di gap a T = 0..... 41 3.3.5 Significato fisico del parametro di gap...... 42 3.3.6 Proprietà termodinamiche............. 44 3.4 Simmetria di gauge locale e meccanismo di Higgs Anderson 45 i 3.5 Esercizi........................... 47 II Solidi 49 4 Introduzione alla teoria dell’elasticità 51 4.1 Tensore delle deformazioni................. 51 4.2 Tensore degli sforzi..................... 53 4.3 Tensore di elasticità.................... 56 4.4 Compressioni uniformi, deformazioni omogenee..... 59 4.5 Proprietà elastiche dei cristalli.............. 61 4.6 Equazioni del moto in un corpo elastico......... 62 4.7 Soluzione delle equazioni del moto: onde elastiche nei solidi............................ 64 4.8 Azione per un solido cristallino isotropo......... 66 4.9 Esercizi........................... 68 4.10 Soluzioni di esercizi scelti................. 68 5 Fononi e loro interazioni 71 5.1 Quantizzazione del campo fononico libero........ 71 5.2 Interazioni e schema d’interazione............. 74 5.3 Formula di Dyson...................... 77 5.4 Second’ordine perturbativo................ 79 5.5 Teorema di Wick...................... 79 5.6 Propagatore del fonone................... 82 5.7 Teoria perturbativa..................... 86 5.8 Diagrammi di Feynman.................. 90 5.9 Esercizi........................... 92 III Fluidi 95 6 Meccanica dei fluidi non viscosi 97 6.1 Statica dei fluidi...................... 97 6.2 Fluidi perfetti........................ 99 6.3 Vorticità, moto potenziale, circuitazione......... 102 6.4 Soluzione delle equazioni del moto per fluidi perfetti non viscosi............................ 103 6.5 Flusso stazionario, linee di flusso e teorema di Bernoulli 104 6.6 Linee di vortice....................... 106 6.7 Flusso di energia...................... 107 ii 6.8 Flusso d’impulso...................... 108 6.9 Esercizi e complementi................... 109 7 Moti browniani 111 7.1 Moti browniani....................... 111 7.2 Random walk........................ 112 7.3 Relazione diÆusione-dissipazione............. 115 7.4 Legge di Fick e legge di diÆusione............. 117 7.5 Distribuzione gaussiana.................. 118 7.6 Trasporto di calore ed altri fenomeni di trasporto.... 120 7.7 Esercizi e complementi................... 121 8 Dinamica dei fluidi viscosi 123 8.1 Fluidi viscosi........................ 123 8.2 Equazione di Navier-Stokes................ 125 8.3 Leggi di scala e numero di Reynolds........... 126 8.4 Il caso limite di bassi numeri di Reynolds........ 128 8.5 Moto ad alti numeri di Reynolds: strato limite e turbolenza129 8.6 Esercizi e complementi................... 131 iii Premessa Oltre ai volumi richiamati nelle note si possono consultare, ad integrazione di queste lezioni: Yu. B. Rumer, M. Sh. Ryvkin, Thermodynamics, Statistical Physics, and Kinetics, Mir Pub., Moscow, 1980. A. Zee, Quantum Field theory in a Nutshell, Princeton Un. Press, 2003. E. Lifschitz, L.P.Pitaevskij Fisica Statistica: parte seconda, Edd. Riuniti Mir, Roma 1981 (si tratta del IX volume del corso di Fisica Teorica di Landau e Lifschitz). L. Landau et E. Lifschitz,Théorie de l’élasticité, Ed. Mir, Moscou, 1967. The Feynman lectures on Physics, Addison-Wesley, 1965, Voll. II, III. C. Nayak, Lectures, Physics 242, Univ. California, reperibili on line sul sito dell’autore (o da Altman Simons). L. Landau et E. Lifschitz,Mécanique des fluides , Ed. Mir, Moscou, 1971. P. Nelson, Biological Physics, New York, USA, 2004. A.H. Shapiro, Profili veloci, Bologna, 1965. Parte I Teoria quantistica dei campi in materia condensata 1 Capitolo 1 Le teoria a molti corpi: Preliminari 1.1 Motivazioni per la formulazione a molti cor- pi Scopo del corso è fornire un’introduzione alla teoria quantistica dei campi (o teoria a molti corpi) in fisica dello stato condensato. La teoria quantistica dei campi è una tecnica largamente diÆusa, la si uti- lizza infatti non solo in fisica dello stato solido o dei liquidi quantistici (studieremo esempi in entrambi i casi), ma anche in fisica nucleare ed in fisica delle particelle elementari. L’elemento che distingue la teoria a molti corpi dagli approcci elementari (ad esempio la meccanica quantis- tica non relativistica: MQ) è il seguente. In MQ si studia l’interazione di una o piú particelle con un potenziale esterno. La reazione della/e particelle interagenti con la sorgente del potenziale non viene presa in considerazione o, quando lo si fa, si assume che la trasmissione del- l’interazione avvenga con velocità infinita (forze agenti a distanza). Si tratta ovviamente di una approssimazione. Quando è necessario tener conto degli eÆetti relativistici, ad esempio perché le velocità delle par- ticelle sono elevate, questa approssimazione non è piú valida, dato che nessuna interazione può propagarsi con velocità maggiore della veloc- ità della luce nel vuoto. In fisica delle particelle elementari le velocità sono di norma relativistiche e questa è la prima ragione per usare la teoria quantistica dei campi, un approccio che va oltre la MQ e tien conto simultaneamente di tutte le particelle. Una seconda ragione è la seguente. Quando si tien conto della relatività il numero delle particelle 3 in gioco non può essere considerato fisso, perché è possibile la trasfor- mazione di massa in energia e viceversa. Se quindi consideriamo, ad esempio, l’urto di due particelle, occorre tener conto degli eÆetti di tutte le particelle che potrebbero essere prodotte durante l’urto o mediante la trasformazione dell’energia delle due particelle collidenti in massa o anche in violazione della legge di conservazione dell’energia per tempi molto brevi1. La MQ non consente una descrizione del genere perché il numero delle particelle è sempre fisso. Occorre una descrizione più avanzata, ed essa è oÆerta dalla teoria quantistica dei campi. Anche in fisica dello stato condensato è necessario, per una de- scrizione accurata, andare oltre la MQ. In questo caso la motivazione non risiede nell’elevata velocità delle particelle, dal momento che, in questo caso, esse sono non relativistiche. Per trovare anche in questo caso una motivazione facciamo un esempio. Consideriamo lo stato fon- damentale di un sistema di bosoni identici a temperatura T = 0. Sup- poniamo che essi siano liberi e non relativistici. Essi tenderanno ad occupare tutti lo stesso livello energetico fondamentale caratterizza- to da p=0 (in meccanica statistica questo fenomeno viene chiamato condensazione di Bose-Einstein). Se ora introduciamo nel formalismo l’interazione tra i bosoni, si comprende subito che sarebbe artificioso descrivere il moto di un singolo bosone mediante un potenziale. Tutti i bosoni sono infatti tra loro interagenti e sono tutti sullo stesso piano. Analogamente se consideriamo degli elettroni in un reticolo cristallino, in prima approssimazione possiamo descriverli mediante la MQ, im- maginando gli elettroni immersi in un una regione di spazio in cui è presente un potenziale periodico. Questa descrizione elementare, tut- tavia, non tien conto del fatto che il moto degli elettroni altera la dispo- sizione degli ioni nei siti reticolari e di questa retroazione occorre tener conto. Anche in questi casi sono le tecniche della teoria quantistica dei campi o teoria a molti corpi a fornire gli strumenti adatti. A parte l’uso o il non uso della relatività, c’è un altro aspetto che distingue l’utilizzo della teoria di campo in fisica delle particelle ed in fisica dello stato condensato. In fisica delle particelle normalmente di lavora a T = 0, il che vuol dire che si tien conto delle fluttuazioni quantistiche, ma non delle fluttuazioni termiche2. Invece in fisica dello stato solido occorre tener conto di entrambe. Un’altra diÆerenza tra 1 Ciò è consentito dalla relazione di incertezza energia tempo, che asserisce che per in un tempo ¢t sono ammesse violazioni della legge di conservazione dell’energia dell’ordine di ¢E ª ~/¢t. 2 In meccanica statistica classica invece si tien conto delle fluttuazioni termiche, ma non di quelle quantistiche. 4 queste parti della fisica è costituita dalle scale di energia coinvolte. In fisica delle particelle energie tipiche sono il GeV (109 eV) (o il TeV=1012 eV); in fisica nucleare il MeV (106 eV), in fisica dello stato solido, le energie tipiche sono inferiori all’elettron-Volt. Le scale spaziali sono invece tipicamente r >> Å. Ovviamente scale energetiche e spaziali (o temporali) sono collegate: se una aumenta l’altra deve diminuire in ragione delle relazioni di indeterminazione. 1.2 Spazio di Fock per un sistema di bosoni identici Consideriamo un sistema di N bosoni identici, ad esempio un sistema costituito da atomi di 4 He; supponiamo per ora che si possa trascurare P̂2 la loro interazione. Se N = 1 siano P̂ e Ĥ = gli operatori impulso 2m ed energia. Se |ki sono gli autoket dell’impulso con hk|k0 i = ±(k ° k0 ) , (1.1) si ha3 P̂|ki = k|ki (1.2) k2 Ĥ|ki = |ki (1.3) 2m Se invece N = 2 scriveremo 2 X P̂ = P̂j (1.4) j=1 2 X P2j Ĥ = (1.5) 2m j=1 e se |k1 , k2 i sono gli autoket dell’impulso con hk1 , k2 |k01 , k02 i = ±(k1 ° k01 )±(k2 ° k02 ) + ±(k1 ° k02 )±(k2 ° k01 ) , (1.6) 3 Notiamo che in teoria quantistica dei campi si usa comunemente il seguente sistema di unità di misura, detto relativistico: ~=c=1, che nel seguito adotteremo. 5 si avrà P̂|k1 , k2 i = (k1 + k2 )|k1 , k2 i (1.7) µ 2 ∂ k1 k22 Ĥ|k1 , k2 i = + |k1 , k2 i. (1.8) 2m 2m È evidente che se il numero delle particelle del sistema non è fisso, ques- ta procedura non risulta praticabile. Consideriamo allora lo spazio di Hilbert generato dalle combinazioni lineari dei ket |ki, |k1 , k2 i, |k1 , k2 , · · · kn i. L’insieme dei vettori {|0i , |ki , |k1 , k2 i, |k1 , k2 , k3 i, |k1 , k2 , · · · kn i, · · · } (1.9) dicesi spazio di Fock. La rappresentazione in cui i vettori di base siano i vettori dello spazio di Fock si chiama di seconda quantiz- zazione. Lo spazio di Fock è costituito da tutti gli stati che risultano autostati di impulso ed energia, qualunque sia il numero delle parti- celle del sistema. Occorre definire ora l’azione degli operatori impulso ed energia sui vettori di questo spazio. Per far questo introduciamo l’operatore di creazione â†k definito nel modo seguente â†k |0i = |ki , â†k2 |k1 i = |k1 , k2 i ,... (1.10) In generale si ha â†kn...â†k2 â†k1 |0i = |k1 , k2 , · · · kn i (1.11) di modo che gli operatori di creazione generano tutti i vettori dello spazio di Fock a partire dallo stato di minima energia (stato di vuoto) avente ket |0i. Si noti che gli operatori a†k commutano tutti tra di loro perché il sistema è costituito da bosoni identici. Introduciamo inoltre un nuovo operatore, ak , che chiameremo op- eratore di distruzione. Esso opera nel modo seguente: âk |0i = 0 , âk |ki = |0i ,... (1.12) In generale si ha âkn...âk2 âk1 |k1 , k2 , · · · kn i = |0i. (1.13) 6 Anche gli operatori âk commutano tra di loro. Occorre infine postulare una regola di commutazione tra operatori di creazione e di distruzione. Assumiamo [âk1 , â†k2 ] ±(k1 ° k2 ) (1.14) mentre, come abbiamo già notato, [â†k1 , â†k2 ] = 0 , [âk1 , âk2 ] = 0. (1.15) Proprietà. Energia ed impulso si possono scrivere nel modo seguente: Z Z † Ĥ = 3 d k !k âk âk , P̂ = d3 k k â†k âk , (1.16) con k2 !k =. (1.17) 2m Dim. Occorre provare che, qualunque sia n, se (1.16) definiscono P̂ e Ĥ, si ha P̂|k1 , k2 , · · · kn i = (k1 + k2 · · · + kn )|k1 , k2 , · · · kn i (1.18) µ 2 2 2 ∂ k1 k k Ĥ|k1 , k2 , · · · kn i = + 2 · · · + n |k1 , k2 , · · · kn i(1.19) 2m 2m 2m La prova è per induzione e la svolgeremo solo per l’eq. (1.19). Si vede subito che Z Ĥ|0i = d3 k !k a†k ak |0i = 0 , (1.20) e che inoltre Z Z ≥ ¥ Ĥ|k1 i = d k !k âk ak âk1 |0i = d3 k !k â†k ±(k ° k1 ) + â†k1 âk |0i 3 † † k12 = !k1 â†k1 |0i = |k1 i. (1.21) 2m Dunque, la proprietà vale per n = 0, 1. Supponiamo che la (1.19) sia vera per n = m. Allora : Ĥ|k1 , k2 , · · · km+1 i = Ĥâ†km+1 |k1 , k2 , · · · km i Z = d3 k !k â†k âk â†km+1 |k1 , k2 , · · · km i Z ≥ ¥ = d3 k !k â†k ±(k ° km+1 ) + â†km+1 âk |k1 , k2 , · · · km i 7 Z = !km+1 |k1 , k2 , · · · km+1 i + â†km+1 d3 k !k â†k âk |k1 , k2 , · · · km i = !km+1 |k1 , k2 , · · · km+1 i + â†km+1 Ĥ|k1 , k2 , · · · km i Xm = !km+1 |k1 , k2 , · · · km+1 i + â†km+1 !k |k1 , k2 , · · · km i k=1 m+1 X = !k |k1 , k2 , · · · km+1 i ) (1.22) k=1 Definiamo ora l’operatore numero d’occupazione N̂ Z N̂ = d3 k â†k âk (1.23) mentre N̂k = â†k âk (1.24) dicesi operatore numero d’occupazione dello stato di numeri quanticik. È chiaro che tutti i vettori dello spazio di Fock sono autoket di N̂ con autovalore pari al numero totale di particelle nello stato. La pro- va è simile a quella della proprietà precedente ed è omessa per bre- vità. Notiamo infine che anziché ak , a†k , Nk scriveremo anche talora a(k), a† (k), N (k). A partire dagli operatori di creazione e distruzione costruisco i seguenti campi: Z ˆ d3 k ©(x, t) = âk e°i(!k t°k·x) (1.25) (2º)3/2 Z ˆ † d3 k † +i(!k t°k·x) © (x, t) = â e. (1.26) (2º)3/2 k ˆ ©(x, t) soddisfa l’equazione ˆ @ ©(x, t) r2 ˆ i =° ©(x, t) (1.27) @t 2m Questa equazione è formalmente analoga all’equazione di Schroedinger, ma, al posto della funzione d’onda abbiamo qui un operatore4. Questo risultato permette di guardare all’intera procedura secondo un altro punto di vista, quello di una teoria di campo. Questo punto di vista sarà da noi seguito adottato nel seguito. 4 Per questa ragione © vien detta funzione d’onda di seconda quantizzazione. 8 ˆ Infatti ©(x, t) è un operatore cui classicamente corrisponde un cam- ˆ po ©(x, t). L’esistenza di un analogo classico per ©(x, t) deriva dal fatto che stiamo considerando un sistema di bosoni. Infatti i bosoni identici manifestano la tendenza ad addensarsi nello stesso stato quantistico, cioè a possedere gli stessi umeri quantici. Questo implica che la fun- zione d’onda di un sistema di bosoni ha un sighificato macroscopico5. In questo caso essa non è un operatore ma una vera e propria funzione, derivabile da una azione. Si vede subito che l’azione classica sarà nel nostro caso Z µ ∂ r2 S[©, ©† ] = dtd3 r©† i@t + © (1.28) 2m che permette di ottenere un’equazione per ©, che è poi l’equazione di Schrödinger per la particella libera. Per ottenere invece l’equazione (1.27) occorre passare ad una teoria quantistica e fare una ulteriore ipotesi, cioè che © e ©† siano operatori. Ovviamente, quando si pro- muovono le funzioni al rango di operatori, le decomposizioni (1.26), che nel caso classico hanno il significato di trasformate di Fourier di funzioni, divengono equazioni operatoriali e i coe±cienti di Fourier ak e i loro complessi coniugati assumono il significato di operatori. Prima di riassumere i risultati ottenuti osserviamo che nel seguito supporremo spesso che il nostro sistema di bosoni identici sia contenuto in una volume finito V. Quindi i numeri quantici k sono quantizzati: k = 2ºn ; (1.29) le autofunzioni dell’impulso sono6 1 √k (r) = p eik·r (1.30) V e soddisfano Z dr√k§ (r) √k 0 (r) = ±k k 0 mentre l’analogo delle eqq. (1.14)-(1.15) è dato da [ak1 , a†k2 ] = ±k1 ,k2 , [a†k1 , a†k2 ] = 0, [ak1 , ak2 ] = 0 (1.31) 5 Ad esempio la funzione d’onda di un gas di fotoni è nel limite classico il campo elettromagnetico. Il carattere classico deriva dal fatto che, assumendo k discreto, ak a†k = a†k ak + 1 = N̂k + 1 ' Nk , dal momento che sullo spazio di Fock N̂k è un numero ed è molto grande (N̂k conta il numero di particelle con impulso k). Ne segue che a†k , ak commutano. Dunque tutti gli operatori della teoria commutano tra di loro e siamo perciò in fisica classica, caratterizzata per l’appunto da osservabili che sono funzioni e non operatori. 6 A rigore queste sono autofunzioni dell’impulso solo per V ! 1. 9 Si osservi che per ogni fissato k ak e a†k soddisfano le stesse regole di commutazione degli operatori di creazione e distruzione per l’oscilla- tore armonico. È questa la ragione per cui, come abbiamo osservato, l’operatore N̂k = a†k ak (1.32) ha autovalori N = 0, 1, 2... e va interpretato come operatore numero di particelle con impulso k. Riscriviamo l’operatore di campo introdotto in (1.25) nel caso dis- creto e calcoliamolo al tempo t = 0: X ˆ ©(r) = √p (r) ap. (1.33) p L’operatore di campo è utile perché permette di esprimere gli operatori relativi al sistema di particelle in maniera semplice. Consideriamo ad esempio l’operatore X N̂ = N̂p (1.34) p Si ha Z N̂ = ˆ † (r)©(r) dr © ˆ. (1.35) Difatti X X X N̂ = N̂p = a†p ap = a†p ap ±p,q p p p, q X Z Z = a†p aq dr √p§ (r)√q (r) = ˆ † (r)©(r) dr © ˆ. p, q Questo risultato si generalizza facilmente a tutti gli operatori additivi, cioè della forma X A = A (1.36) in cui la somma è estesa a tutte le particelle. Si ha infatti Z A = dr ©ˆ † (r)A©(r) ˆ. (1.37) Per provare questa formula supponiamo di aver scelto come funzioni √p le autofunzioni di A: A√p = Ap √p. (1.38) 10 Si ha: Z X Z ˆ † (r)A©(r) dr © ˆ = Aq a†p aq dr √p§ (r)√q (~r) = pq X X X = Aq a†p aq ±pq = Ap a†p ap = Ap Np. pq p p E’ chiaro che questo operatore è proprio A nella rappresentazione della seconda quantizzazione, e ciò termina la prova. Abbiamo già incontrato due esempi: l’operatore impulso totale e l’ energia cinetica: X P̂ = kN̂k , (1.39) k X k2 Ĥcin = N̂k. (1.40) 2m k Si prova infine che se tra le particelle c’è una energia d’interazione che dipende solo dalla distanza reciproca X Hint = W (rij ) , (1.41) i6=j allora nella rappresentazione della seconda quantizzazione si ha: Z Z 1 ˆ † (r1 )© ˆ † (r2 )W (r12 )©(r ˆ 2 )©(r1 ) , Ĥint = dr1 dr2 © (1.42) 2 che si può scrivere anche nel modo seguente: 1 X Ĥint = W (k1 , k10 , k2 , ~k20 )a†k 0 a†k 0 ak2 ak1 , (1.43) 2 1 2 in cui la somma è su tutti gli impulsi e Z 0 W (k1 , k01 , k2 , k02 ) = V ±k1 +k2 , k01 +k02 dr W (r) ei(k1 °k1 )r. (1.44) La dimostrazione di queste formule è lasciata come problema al lettore. 1.3 Seconda quantizzazione di un sistema di fermioni identici Esaminiamo ora il formalismo della seconda quantizzazione per un sis- tema di fermioni identici. Il formalismo bosonico si estende facilmente, 11 ma c’è una diÆerenza sostanziale. Gli operatori di creazione e dis- truzione devono soddisfare in questo caso a regole di anticommutazione, anziché di commutazione: ap ap0 + ap0 ap = 0 , (1.45) a†p a†p0 + a†p0 a†p = 0, (1.46) ap a†p0 + a†p0 ap = ±p p0. (1.47) Si noti che in questo caso p denota un set completo di numeri quantici, incluso lo spin. Introduciamo, accanto a questi operatori, l’operatore numero di occupazione: N̂p = a†p ap. (1.48) Sussiste l’identità ≥ ¥2 N̂p = N̂p. (1.49) Difatti ≥ ¥2 N̂p = a†p ap a†p ap = a†p (1 ° a†p ap ) ap ; (1.50) abbiamo qui usato la proprietà che segue dalle relazioni di anticommu- tazione a2 = a† 2 = 0. (1.51) A causa di questa equazione gli autovalori di Np sono 0 e 1: in al- tre parole le relazioni di anticommutazione assicurano la validità del principio di esclusione di Pauli. I vettori di base dello spazio di Fock hanno ora la forma | N1 N2 ,..., Np ,.. > , (1.52) con Nk = 0, 1. Gli operatori a e a† operano nel modo seguente: ak | N1 N2 ,..., 1k ,... > = | N1 N2 ,..., 0k ,... > ; ak | N1 N2 ,..., 0k ,... > = 0 ; a†k | N1 N2 ,..., 1k ,... > = 0 ; a†k | N1 N2 ,..., 0k ,... > = | N1 N2 ,..., 1k ,... >. E‘ ovvio che le funzioni d’onda di questi sistemi di particelle risultano antisimmetriche per scambio di una coppia qualsiasi di particelle; sup- poniamo infatti di scambiare due particelle negli stati k e j; partiamo dallo stato | N1 N2 ,..., 1k ,... , 1j ,... > , (1.53) 12 e supponiamo che tra 1k e 1j vi siano un certo numero di zeri e ` 1. Si ha chiaramente | N1 N2 ,..., 1k ,... , 1j ,... > = a†n1 a†n2...a†k a†m1...a†m`...a†j a†n0...| 0 > , 1 (1.54) in cui abbiamo scritto tutti gli operatori di creazione relativi ai livelli occupati n1 , n2 ,..., k, m1 ,...m` , j,..., n01 ,... Ora scambiare le particelle j e k implica un fattore (°1)2`+1 , come è immediato accorgersi, e, quindi un segno meno, il che è all’orig- ine dell’antisimmetria della funzione d’onda di un sistema di fermioni identici. Non ci soÆermiamo ulteriormente sulla seconda quantizzazione di un sistema di fermioni identici, che ripercorre il formalismo già descritto per i bosoni. 1.4 Esercizi 1) Provare che dall’azione (1.28) deriva l’equazione di Schroedinger. 13 14 Capitolo 2 Superfluidità 2.1 Superfluidità La superfluidità è la proprietà che ha l’elio liquido a basse temperature di scorrere nei capillari senza attrito e, quindi, senza perdita di ener- gia. L’elio 4 manifesta questa proprietà al di sotto di una temperatura critica pari a circa 2.2 K (l’altro isotopo, l’elio 3, diviene superfluido a temperature molto inferiori). 2.1.1 Modello microscopico Esporremo ora la trattazione teorica della superfluidità dell’elio 4 basa- ta sulle idee di Landau, nella formulazione di N. N. Bogoliubov. Essa si basa sull’ipotesi che le molecole di He4 costituiscano un gas di bosoni con una debole interazione dipendente dalla distanza: 1 X Vint = W (rij ). (2.1) 2 i6=j Nel formalismo della seconda quantizzazione, questa energia d’inter- azione dà luogo al seguente operatore hamiltoniano, espresso mediante gli operatori di creazione e di distruzione di quanti di impulso ~k: H = Hcin + Hi , con X Hcin = !k N̂ (k) , (2.2) k 1 X Hi = W (|k1 ° k01 |)a† (k01 )a† (k02 )a(k2 )a(k1 ) (2.3) 2V k1 +k01 =k2 +k02 15 in cui la somma è su tutti gli impulsi, N̂ (k) = a† (k)a(k) è l’operatore numero relativo all’impulso k, !k l’energia cinetica del singolo atomo: k2 !k = , (2.4) 2m e Z W (k) = d~r W (r) eik·~r (2.5) è la trasformata di Fourier dell’energia di interazione. Ovviamente ci poniamo nell’ipotesi di basse (T ' 0 K) temperature. Sappiamo che i bosoni tendono ad addensarsi negli stessi stati quantici; per temper- ature vicine allo zero assoluto si tratta dello stato di minima energia, cioè lo stato fondamentale. Se N è il numero totale di molecole, allora N0 ' N , (2.6) se N0 è il numero di molecole nello stato fondamentale; in altre parole N ° N0 ø 1. (2.7) N0 Il significato fisico dell’eq. (2.6) è il seguente: l’operatore numero di particelle dello stato fondamentale N̂ (0) cessa di essere un operatore giacché in ogni stato quantico esso ha sempre lo stesso valore N0 ' N. Se ora | N0 > è l’autoket dell’operatore N̂ (0) relativo all’autovalore N0 : N̂ (0) | N0 > = a† (0)a(0) | N0 > = N0 | N0 > , (2.8) si ha a(0) a† (0) | N0 > = (1 + a† (0)a(0)) | N0 > = (N0 + 1)| N0 >. (2.9) Dal momento che N0 ' N ¿ 1, possiamo porre N0 + 1 ' N0. Ne segue che non solo N (0) è un numero, ma tali sono anche gli operatori di creazione e distruzione dello stato fondamentale a† (0) e a(0), dal momento che essi commutano tra di loro (oltre che con tutti gli altri operatori a† (k) e a(k), con k 6= 0). Ne segue che possiamo porre p p a† (0) = a(0) = N0 = N (0). (2.10) L’approssimazione della teoria di Bogoliubov consiste nel considerare gli operatori a† (k) e a(k) (con k 6= 0) piccoli rispetto a a† (0) = a(0) e, 16 quindi nel conservare nelle somme (2.2) e (2.3) solo i termini i termini quartici e quadratici in a(0). Si ha quindi: 1 n h i2 Hi = W (0) a† (0)a(0) + 2VX + 2 [W (0) + W (k)] a† (0)a(0)a† (k)a(k) + k6=0 X n oo + W (k) [a(0)]2 a† (k)a† (°k) + [a† (0)]2 a(k)a(°k) = k6=0 1 n = W (0)N02 + 2V X h i + N0 [W (0) + W (k)] a† (k)a(k) + a† (°k)a(°k) + k6=0 X n oo + N0 W (k) a† (k)a† (°k) + a(k)a(°k). (2.11) k6=0 Difatti nella somma X W (|k1 ° k10 |)a† (k10 )a† (k1 + k2 ° k10 )a(k2 )a(k1 ) , (2.12) k1 ,k10 ,k2 esistono 6 possibilità di ottenere due degli argomenti degli operatori di creazione/distruzione nulli: 1) k1 = k10 = 0; 2) k1 = k2 = 0; 3) k2 = k10 = 0; 4) k2 = 0 e k1 = k10 ; 5) k1 = 0 e k2 = k10 ; 6) k10 = 0 e k1 = °k2. Consideriamo ora l’operatore numero di particelle, che indichiamo con N̂ ; si ha 1 Xn † o N̂ = N0 + a (k)a(k) + a† (°k)a(°k). (2.13) 2 k6=0 Da questa equazione ricaviamo N0 e lo sostituiamo nella precedente, trascurando tutti i termini che non contengono N̂ 2 o N̂ : 1 n X h i Hi = W (0)N̂ 2 + N̂ W (k) a† (k)a(k) + a† (°k)a(°k) + 2V k6=0 X n oo + N̂ W (k) a† (k)a† (°k) + a(k)a(°k). k6=0 Per ottenere l’operatore hamiltoniano occorre sommare a questo risul- tato l’energia cinetica; si ottiene: W (0)N 2 H = + 2V 17 ∑ ∏ 1 X W (k)N h † i + !k + a (k)a(k) + a† (°k)a(°k) 2 V k6=0 1 X W (k)N h † i + a (k)a† (°k) + a(k)a(°k). (2.14) 2 V k6=0 Si noti che abbiamo scritto nuovamente N̂ = N sfruttando il fatto che N ' N0. 2.1.2 Trasformazioni di Bogoliubov Si presti attenzione al terzo termine nella (2.14). Mentre i primi due descrivono termini di conteggio, il terzo descrive la formazione (o la distruzione) di una coppia di particelle con k 6= 0. Per semplificare la trattazione si ricorre allora ad una trasformazione degli operatori a† e a in favore di nuovi operatori ª † e ª. Questi descrivono la creazione e la distruzione di eccitazioni collettive (dette anche quasiparticelle) del liquido quantistico. Tale trasformazione dicesi di Bogoliubov-Valatin ed è definita dalle seguenti relazioni: a(k) = ª(k) cosh ¡(k) + ª † (°k) sinh ¡(k) , a† (k) = ª † (k) cosh ¡(k) + ª(°k) sinh ¡(k) , (2.15) in cui ¡ è una funzione reale di |k| (non un operatore). Si prova facilmente che [ª(k), ª(k 0 )] = 0 , [ª † (k), ª † (k 0 )] = 0 , [ª(k), ª † (k 0 )] = ±k ,k 0. (2.16) Queste equazioni esprimono il fatto che la trasformazione di Bogoliubov- Valatin è canonica. Ricavando a e a† dalle (2.15) e sostituendo nella equazione precedente si ottiene W (0)N 2 1 Xh W (k)N i n H = + !k + 2 sinh2 ¡ + 2V 2 V k6=0 ° ¢h i + cosh2 ¡ + sinh2 ¡ ª † (k)ª(k) + ª † (°k)ª(°k) + h io + 2 sinh ¡ cosh ¡ ª(k)ª(°k) + ª † (k)ª † (°k) + X W (k)N̂ n + 2 sinh ¡ cosh ¡£ 2V k6=0 18 h i £ 1 + ª † (°k)ª(°k) + ª † (k)ª(k) + ° ¢h io + cosh2 ¡(k) + sinh2 ¡(k) ª † (k)ª † (°k) + ª(°k)ª(k). Tenendo conto delle ben note relazioni cosh2 ¡ + sinh2 ¡ = cosh 2¡, 2 cosh ¡ sinh ¡ = sinh 2¡, e 2 sinh2 ¡ = °1 + cosh 2¡, si ricava, quindi, il seguente risultato: W (0)N 2 H = + 2V nh 1 X W (k)N ih i + !k + ° 1 + cosh 2¡ + 2 V k6=0 W (k)N o + sinh 2¡ + V 1 X nh≥ W (k)N ¥ + !k + cosh 2¡ + 2 V k6=0 W (k)N i h † io + sinh 2¡ ª (k)ª(k) + ª † (°k)ª(°k) + V 1 X nh≥ W (k)N ¥ + !k + sinh 2¡ + 2 V k6=0 W (k)N i h io + cosh 2¡ ª(k)ª(°k) + ª † (k)ª † (°k). V Finora non abbiamo fatto ipotesi sulla dipendenza funzionale di ¡(k). Se però scegliamo ¡(k) soluzione della seguente equazione ≥ W (k)N ¥ W (k)N !k + sinh 2¡ + cosh 2¡ = 0 , (2.17) V V ossia, equivalentemente W (k)N tanh 2¡(k) = ° , (2.18) V !k + W (k)N allora, utilizzando un risultato discusso nella sezione dei problemi, si ottiene W (0)N 2 1 Xh W (k)N i H = ° !k + ° !(k) + 2V 2 V k6=0 1X h i + !(k) ª † (k)ª(k) + ª † (°k)ª(°k) , (2.19) 2 k6=0 19 avendo posto s∑ ∏2 ∑ ∏2 k2 W (k)N W (k)N !(k) = + ° = 2m V V r k4 k 2 W (k)N = +. (2.20) 4m2 mV A parte un termine costante, non operatoriale: W (0)N 2 1 X h W (k)N i H0 = ° !k + ° !(k) , 2V 2 V k6=0 che rappresenta l’energia dello stato fondamentale (si tratta di una costante additiva inessenziale), questo hamiltoniano coincide con quello di un gas di quasiparticelle (aventi operatori di creazione e distruzione ª † e ª), libere (mancano infatti i termini di interazione) e con energia data dalla (2.20). L’equazione r k4 k 2 W (k)N !(k) = + , 4m 2 mV che fornisce la dipendenza dell’energia dall’impulso per le quasiparti- celle dicesi legge di dispersione. Studiamo il comportamento della legge di dispersione per vari valori di k. Per k ª 0 si ha, se W (0) è finito, !(k) ª vs k , (2.21) con r W (0)N vs =. (2.22) mV ! è l’energia delle quasiparticelle alle quali, essendo sistemi quantici, competono proprietà sia ondulatorie, sia corpuscolari; in particolare la loro frequenza è proporzionale all’energia. Una dipendenza della frequenza dall’impulso di tipo lineare è tipica delle onde sonore nei materiali. Le quasiparticelle si comportano, per questi valori dell’im- pulso, come onde sonore e sono dette, per questa ragione, fononi. Per grandi valori dell’impulso noi vogliamo che queste onde si comportino come vere e proprie particelle (si noti l’analogia con l’ottica: per grandi impulsi (∏ ! 0) i fotoni hanno proprietà spiccatamente corpuscolari: è l’approssimazione dell’ottica geometrica). Se allora supponiamo che W (k) cresca al più come ª k (per k ! 1), si ha: k2 !(k) ª. 2m 20 2.1.3 Spettro delle quasiparticelle Assumiamo quindi1 la seguente forma per la trasformata di Fourier dell’energia di interazione tra le molecole W (k) = c1 ° c2 k. Sotto questa ipotesi la legge di dispersione ha la forma in figura 4.1. ω 2 2 h k ω∼ ______ 8π 2 m A ω∼ k k Fig. Legge di dispersione per le quasi particelle responsabili della su- perfluidità secondo l’ipotesi di Landau Per piccoli k l’andamento risulta lineare, per grandi k quadratico ! ª ~2 k 2 /(2m). Dimostriamo ora che con una legge di dispersione del tipo di quella ipotizzata da Landau il gas di bosoni debolmente interagenti manifesta la proprietà della superfluidità. Supponiamo che l’elio 4 liquido scorra in un capillare con una temperatura inferiore alla temperatura critica. Se la temperatura del liquido è esattamente T = 0 K, N0 è esattamente (non approssimativamente come nella trattazione precedente) uguale a N e non vi sono quasiparticelle. Per T piccolo, ma diverso da zero, possono esistere invece le quasiparticelle. Supponiamo che il fluido scorra nel capillare con velocità V. Poni- amoci nel sistema di riferimento in cui il liquido è in quiete e le pareti si muovono con velocità v = °V rispetto al liquido. Supponiamo che, per attrito, le pareti perdano una certa quantità di impulso ¢P e di energia ¢E, quantità che vengono assorbite dal liquido. Dal momen- to che il liquido è costituito da quasiparticelle libere, l’unico modo in 1 Questa ipotesi è dovuta a L.D. Landau. 21 cui il liquido può aumentare la sua energia è costituito dalla creazione di quasiparticelle. Sia n(k) il numero di quasiparticelle di impulso ~k create in questo modo; si avrà: X ¢P = n(k)~k (2.23) k X ¢E = n(k)!(k). (2.24) k Tra l’energia di queste quasiparticelle, il loro impulso e la velocità delle pareti sussiste una relazione notevole. Infatti si ha µ ∂ M v2 ¢E = ¢ = v·P 2 ossia ¢E ° v · P = 0. Ne segue che X n(k) [!(k) ° ~k · v] = 0. k Si deve quindi avere, introducendo l’angolo µ tra v e k: !(k) = ~k · v = ~vk cos µ. Possiamo ricavare quindi v: !(k) !(k) v = ∏ , ~k cos µ ~k in cui l’ultimo passaggio segue dal fatto che 1 ∏ cos µ > 0. Introduci- amo ora la velocità critica vcr cosı̀ definita: !(k) vcr = min. ~k Ne segue che perché il liquido possa cedere impulso ed energia alle pareti del recipuente deve risultare v ∏ vcr (2.25) mentre in caso contrario tale cessione non avviene ed il fluido risulta un superfluido. In conclusione abbiamo provato che condizione necessaria dell’esistenza di attrito tra il liquido e le pareti del capillare è che il liquido scorra con una velocità superiore a vcr. Se vcr = 0, questa 22 condizione è sempre verificata ed il fenomeno della superfluidità non può aver luogo. Se, invece, vcr 6= 0, e se la velocità del liquido non supera vcr allora la creazione di quasiparticelle non avviene ed il liquido quantistico scorre senza attrito nel capillare, cioè è superfluido. In conclusione il fenomeno della superfluidità ha luogo se vcr ∏ v > 0 ; (2.26) quindi, necessariamente deve risultare vcr > 0 (2.27) perché ci sia la superfluidità. Ora a piccole temperature solo le parti- celle meno energetiche (i fononi) possono essere eccitate, e per esse vcr = vs > 0. (2.28) Dunque per velocità del fluido non troppo elevate e basse temperature l’elio 4 è superfluido. Le considerazioni fin qui svolte si riferivano alla temperatura T ' 0 K; a temperature superiori, ma inferiori alla temperatura critica 2.2 K, oltre a quelle già descritte, che non possono scambiare energia ed impulso con le pareti, esistono anche quasiparticelle che possono invece farlo. Il liquido quantistico ha un comportamento simile ad una mis- cela di due fluidi: uno superfluido (e di questo comportamento sono responsabili le quasiparticelle non interagenti con le pareti) e l’altro normale, di cui sono responsabili le quasi particelle che possono scam- biare energia con le pareti. Il ruolo di queste ultime cresce al crescere della temperatura, fino a che, raggiunta la temperatura di transizione, il fenomeno della superfluidità scompare. Osserviamo infine che mentre le quasiparticelle con legge di dis- persione !(k) = vs k sono dette fononi, le quasiparticelle con legge di dispersione corrispondente al minimo della figura 2.1.3 sono dette rotoni. In realtà fononi e rotoni non sono quasiparticelle distinte, ma quasiparticelle che si riferiscono a parti diverse dello spettro. E’ chiaro, comunque che alle basse temperature il ruolo dei rotoni risulta trascurabile, mentre esso cresce col crescere della temperatura. 2.2 Lagrangiana per i superfluidi La densità di lagrangiana per un gas di bosoni liberi che appare in (1.28) può essere riscritta nel modo seguente, a meno di una divergenza totale 1 L0 = ©† i@t © ° @i ©† @i ©. (2.29) 2m 23 Vogliamo ora includere il termine d’interazione 2. Sulla base della (1.42) il termine d’interazione è presente nell’azione con un termine di larangiana (non di densità di lagrangiana Z Z 1 ˆ † (r1 )© ˆ † (r2 )W (r12 )©(r ˆ 2 )©(r1 ) Lint = ° dr1 dr2 © (2.30) 2 in cui W è l’interazione responsabile della repulsione tra i bosoni. Poiché essa è a corto raggio possiamo fare l’approssimazione 1 W (r12 ) = g 2 ±(r2 ° r1 ) (2.31) 2 Notiamo incidentalmente che nella (2.30) gli operatori di campo sono calcolati ad un istante di tempo fissato; nello schema di Heisenberg essi ovviamente hanno anche una dipendenza temporale. Quindi la densità di lagrangiana per un sistema di bosoni a spin zero con repulsione è 1 ≥ ¥2 L = ©† i@t © ° @i ©† @i © ° g 2 ©† © ° Ω̄. (2.32) 2m Abbiamo aggiunto un termine +2g 2 Ω̄©† © corrispondente ad un poten- ziale chimico µ = 2g 2 Ω̄ > 0 ed un termine costante inessenziale. L’eq. (2.32) mostra che la configurazione di campo p © = Ω̄ (2.33) rende nulla la lagrangiana e minima l’energia. Infatti la densità di hamiltoniana vale 1 ≥ ¥2 @i ©† @i © + g 2 ©† © ° Ω̄ , (2.34) 2m è definita positiva e si annulla in corrispondenza della soluzione (2.34). Incidentalmente questa equazione mostra anche che il termine +2g 2 Ω̄©† © da noi aggiunto corrisponde ad un termine °µ©† © con µ il potenziale chimico, dato da µ = 2g 2 Ω̄ > 0 (si vedano gli esercizi 3), 4) nella sezione finale del capitolo). p Il valore del campo Ω̄ che minimizza l’energia classica corrisponde in MQ, in cui il campo è un operatore, al valor medio di questo oper- atore nello stato ci vuoto, cioè di minima energia. La configurazione di campo (2.33) viene detta valore d’attesa del campo nel vuoto o in inglese vacuum expectation value (vev). Dunque, classicamente la configurazione favorita è la (2.33). 2 L’interazione descritta dalla funzione W è repulsiva, come si vede dal fatto che W > 0 e che, con W > 0, il sistema diventa maggiormente stabile se il ter- mine d’interazione diminuisce, il che avviene se le particelle si allontanano, dato che l’interazione è a corto raggio. 24 2.3 Rottura spontanea della simmetria e teo- rema di Goldstone La lagrangiana mostra una invarianza sotto il gruppo U (1), che trasfor- ma il campo nel modo seguente: © ! eiÆ ©. (2.35) La configurazione di vuoto (2.33) non è invece invariante sotto U (1). Ogni qualvolta questo avviene, cioè ogni volta che la lagrangiana ha proprietà di simmetria, ma gli stati fisici, in particolare lo stato di vuoto, non sono invarianti sotto il gruppo di simmetria, si parla di rottura spontanea di simmetria. In presenza di rottura spontanea di simmetria un importante teore- ma, il teorema di Godstone, assicura l’esistenza di modi a massa nulla3. Abbiamo già in precedenza, cfr. (2.21) l’esistenza di questo modo, il fonone, caratterizzata da una legge di dispersione lineare ! = vs k (2.36) Vogliamo ora riottenere questa caratteristica a aprtire dalla lagrangiana (2.32). Per far ció facciamo un cambiamento di variabili p © = Ω eiµ (2.37) in modo da avere µ ∂ 1 1 L = °Ω@t µ ° (@i Ω)2 + Ω(@i µ)2 ° g 2 (Ω ° Ω̄)2 (2.38) 2m 4Ω dopo aver trascurato un termine di derivata totale 2i @t Ω che non mod- ifica le equazioni di campo. In meccanica quantistica altre configurazioni sono possibili 4 ed in genere esse diÆeriranno poco dalla configurazione classica. Scriviamo quindi 5 p p Ω = Ω̄ + h (2.39) 3 Il teorema di Goldstone è generale ed assicura l’esistenza di tante particelle senza massa (o modi gapless) quanti sono i generatori rotti spontaneamente. Nel nostro caso il gruppo di simmetria ha un solo generatore. 4 La situazione è analoga alla meccanica quantistica di una particella: accanto alla traiettoria classica esistono altre traiettorie, proibite classicamente, ma possibili in MQ, si pensi all’eÆetto tunnel. 5 Le quantità che appaiono in queste equazioni sono funzioni e non operatori, ma teniamo in conto gli eÆetti quantistici considerando non solo la configurazione classica, ma anche configurazioni che vi si discostano di poco. 25 p ed espandiamo (2.38) attorno al valore Ω̄: Si ottiene p h Ω̄ 1 L = ° 2 Ω̄ h @t µ ° (@i µ)2 ° (@i µ)2 ° (@i h)2 ° 4g 2 Ω̄h2 + · · · 2m 2m 2m (2.40) dove abbiamo trascurato un termine Ω̄@t µ che è una derivata temporale e non modifica le equazioni di Euler-Lagrange e abbiamo tenuto conto p che h ø Ω̄. Ci si accorge subito che il campo h non è un campo dinamico. Esso può quindi essere eliminato mediante le equazioni di Euler-Lagrange @L @L = @i , (2.41) @h @@i h che nel presente caso danno p µ ∂ Ω̄ 1 h = ° @2 @t µ + (@i µ)2 (2.42) ° 2m + 4g 2 Ω̄2 4m Sostituendo nella (2.40) si ha all’ordine più basso negli impulsi6 del campo µ 1 Ω̄ 1 Ω̄ L = (2°1)Ω̄@t µ @t µ° (@i µ)2 º (@t µ)2 ° (@i µ)2. (2.43) 4g Ω̄ 2 2m 4g 2 2m Dunque, abbiamo un solo campo, µ(t, r) con equazioni di campo ≥ 1 Ω̄ 2 ¥ @t 2 ° @ µ = 0. (2.44) 4g 2 2m i In altri termini, mentre il modulo di © non è un campo, la sua fase lo.̀ Per trovare la legge di dispersione delle particelle associate al cam- po, cerchiamo soluzioni di tipo onda piana ei!t°k·r. Si ha !(k) = vs k (2.45) con r 2g 2 Ω vs =. (2.46) m E’ chiaro che questa equazione riproduce la (2.22) dal momento che 2 Ω̄ = N/V e W (0) = g2. Dunque il campo µ ha modi gapless (o massless) e le particelle associate (cioè i fononi in questo caso) sono note come i bosoni di Goldstone o di Nambu-Goldstone. 6 Siamo interessati ai modi di grande lungheszza d’onda, ossia di piccolo impulso. 26 2.4 Esercizi 1) Dimostrare le (2.16). 2) Si dimostri l’identità p Æ cosh √ + Ø sinh √ = Æ2 ° Ø 2 , valida purché Æ sinh √ + Ø cosh √ = 0. Si utilizzi questa identità per provare che con una scelta opportu- na della funzione ¡(k) la hamiltoniana che descrive il fenomeno della superfluidità è costituita da quasiparticelle libere, si veda l’eq. (2.19). 3) Calcolare l’energia dello stato fondamentale H0 nell’approssimazione in cui W (k) = W (0). P R Suggerimento Con la sostituzione k ! V d3 k/(2º)3 si ha Z mvs2 N V d3 k ≥ k2 m3 vs4 ¥ H0 = + !(k) ° ° mvs 2 + (2.47) 2 2 (2º)3 2m k2 in cui sµ ∂2 k2 !(k) = + vs2 k 2 (2.48) 2m e si è aggiunta una costante di sottrazione per rendere l’integrale convergente. 4) EÆettuare il calcolo dell’integrale (2.48) e dalla formula @H0 µ= (2.49) @N che fornisce il potenziale chimico dell’elio 4 a T = 0, provare che µ > 0. 5) Provare la (2.40). 27 28 Capitolo 3 Superconduttività 3.1 Descrizione fenomenologica della supercon- duttività 3.1.1 Funzione d’onda del condensato Alcuni metalli, a basse temperature diventano superconduttori: la cor- rente elettrica vi può circolare senza dissipazione di energia. Questo fenomeno, la superconduttività, fu scoperto nel 1911 da K. Onnes. La temperatura critica al di sotto della quale alcuni metalli diventano su- perconduttori dipende dal metallo ed è in genere di alcuni gradi K. Negli anni ’80 del secolo scorso il fenomeno della superconduttivita è stato osservato in un’altra classe di materiali: in questo caso il compor- tamento superconduttore si può osservare a temperature relativamente più elevate (comunque al di sotto dello 0 C): noi ci occuperemo qui solo della superconduttivita a basse temperature che è fenomeno rel- ativamente ben compreso teoricamente. Nelle prime sezioni di questo capitolo ci limitiamo ad una descrizione fenomenologica, mentre alla fine del capitolo esporremo la teoria microscopica dovuta a Bardeen, Cooper e SchrieÆer. Gli elettroni di conduzione sono relativamente liberi di muoversi nei metalli, mentre i nuclei occupano posizioni fisse, aventi simmetrie definite che danno al metallo una caratteristica struttura di reticolo cristallino. E’ possibile provare, ma ce ne asteniamo per brevità, che gli elettroni, interagendo con il reticolo, subiscono delle forze che, ten- dono a legarli debolmente in coppie 1. Queste coppie di elettroni, dette 1 Le forze sono dovute allo scambio di fononi, presenti nel metallo a causa delle vibrazioni dei nodi reticolari, si vedano i capitoli successivi di queste lezioni. 29 coppie di Cooper, possono esistere nonostante la repulsione elettrostat- ica dovuta alla forza di Coulomb. In eÆetti gli elettroni di una coppia sono separati in media da una distanza superiore alla distanza media tra le coppie e gli eÆetti repulsivi non sono significativi. Come vedremo le coppie di Cooper sono alla base del fenomeno della superconduttività; il motivo per cui questo fenomeno si instaura solo a basse temperature nasce dal fatto che gli elettroni possono acquistare per fluttuazioni termiche energie dell’ordine di kT (k = costante di Boltzmann). Le fluttuazioni termiche, al crescere della temperatura, possono risultare maggiori dell’energia di legame delle coppie di Cooper e, quindi, distruggerle. Le coppie di Cooper hanno spin intero e sono quindi bosoni. Dunque, essi tendono ad occupare tutti lo stesso stato. In queste condizioni, poiché tutti i bosoni hanno la stessa funzione d’onda, essa acquista un significato macroscopico (i bosoni tendono ad avere gli stessi nu- meri quantici). Per ragioni che saranno chiare in seguito la funzione d’onda √ dicesi funzione d’onda del condensato. A causa del suo carat- tere macroscopico si può interpretare |√|2 dV come la frazione di bosoni presenti nel volumetto dV ; se scriviamo p √= Ωeiµ(r) (3.1) possiamo allora interpretare Ω = |√|2 non come densità di probabilità, ma come densità di carica divisa per q. Esaminiamo il significato fisico di µ. Sostituiamo la (3.1) nell’e- quazione 1 j = (√ § v√ + √(v√)§ ) , (3.2) 2 che dà la densità di corrente di probabilità per una particella in un campo elettromagnetico; a questo proposito ricordiamo che q mv = °i~r ° A. (3.3) c Notiamo che in questa sezione ripristiniamo la costante di Planck e la velocità della luce c. L’espressione 3.3 deriva dal fatto che, in presenza di un campo magnetico, se P è l’impulso canonico coniugato alla po- sizione, allora l’impulso cinetico p = mv non coincide con P ma è dato da p = P ° qc A. La sostituzione q p = P° A (3.4) c 30 è talvolta detta regola di spostamento minimo2 e fornisce la regola con cui il campo e.m. si accoppia alla materia, sia in fisica classica, sia in fisica quantistica. Dunque, otteniamo ~Ω ≥ q ¥ j= rµ ° A. (3.5) m ~c Se Ω può essere interpretata, a meno di un fattore, come densità di car- ica, j nella (3.2) si potrà interpretare come densità di corrente. Densità di corrente e di carica di una particella sono legate in elettromagnetismo classico dalla formula j = Ωv. Ne segue che il vettore velocità è dato da ~ ≥ q ¥ v= rµ ° A (3.6) m ~c e, quindi ~rµ si può identificare con l’impulso canonico della particella. Si noti che in questa approssimazione l’impulso canonico e la velocità sono funzioni e non operatori. Notiamo altresı̀ che, con questa inter- pretazione, il gradiente della fase della funzione d’onda diventa una quantità misurabile. 3.1.2 EÆetto Meissner Una proprietà fondamentale della superconduttività è costituita dall’ef- fetto Meissner. Nel 1933 Meissner e Ochsenfeld osservarono il seguente fenomeno. Si consideri un metallo superconduttore al di sopra della temperatura critica, nella fase cioè in cui esso è un comune condut- tore. Immergiamo il metallo in una regione in cui è presente un campo magnetico B e, successivamente, abbassiamo la temperatura al di sot- to della temperatura critica. Il fenomeno che si osserva è che, alla fine dell’esperimento, B = 0 all’interno del superconduttore: il campo B viene espulso da metallo e si trova solo al suo esterno. Per spiegare questo eÆetto partiamo dalla (3.5). Osserviamo che si può assumere Ω uniforme nel cristallo, cioè indipendente da r, dal momento che il cristallo è un reticolo regolare e non ci si aspetta che esistano forti dis- omogeneità nella distribuzione degi elettroni. Applichiamo il rotore ad ambo i membri della (3.5), tenendo conto del fatto che rot grad f = 0, qualunque sia f. Otteniamo qΩ r^j=° r^A , (3.7) mc 2 La regola dello spostamento minimo vale anche per l’energia H e il potenziale scalare ': H ! H + q', cfr. la sezione esercizi di questo capitolo. 31 ossia qΩ r^j=° B, (3.8) mc equazione ottenuta da London e London nel 1935. Prendiamo il rotore 4º di ambo i membri dell’equazione di Maxwell rot B = j (siamo nel c caso E = 0); utilizziamo l’identità r ^ r ^ B = r(r · r) ° r2 B ; (3.9) otteniamo in questo modo 4º r2 B = ° r^j. (3.10) c Mediante l’equazione di London si ricava 1 r2 B = B, (3.11) d2 con mc2 d2 =. (3.12) 4ºqΩ Per risolvere questa equazione scegliamo il piano yz tangente alla super- ficie del metallo superconduttore in un punto assegnato ed orientiamo gli assi in modo che l’asse x sia rivolto verso l’interno del metallo. Per ragioni di simmetria B dipende solo da x e non da y e z. La condizione r·B = 0 fornisce @Bx = 0. @x Derivando rispetto alla variabile x otteniamo @ 2 Bx = 0 @x2 che, assieme all’equazione di London, dà: Bx = 0. Dunque, le uniche componenti non nulle del campo magnetico sono quelle tangenti alla superficie: By e Bz. Questo risultato teorico è in accordo con i dati sperimentali. Torniamo ora alla (3.11) che, per quanto detto sinora, ha la forma d2 B 1 2 = 2B. (3.13) dx d 32 Questa equazione si integra e si ottiene, per la componente tangenziale del campo: B = B0 e°x/d. (3.14) Dunque, ad una distanza di poche unità di d, il campo B all’interno del metallo risulta praticamente trascurabile. Ciò spiega l’eÆetto Meissner. Una stima numerica di d si puo ottenere dalla densità del piombo che è di circa 11g/cm3 , da cui, ponendo Ω = N , numero di atomi per cm3 , si ha Ω = 3 1022 atomi/cm3. Se ciascun atomo contribuisce con 1 elettrone, si ottiene, ponendo q = carica dell’elettrone e m = massa dell’elettrone, d = 10°6 ° 10°5 cm. (3.15) Questo numero fornisce l’ordine di grandezza dello spessore a contat- to con la superficie esterna nel quale può trovarsi un piccolo campo magnetico. 3.1.3 Quantizzazione del flusso del campo magnetico Descriviamo ora un eÆetto particolarmente interessante, che mostra come, in determinate circostanze, in presenza di superconduttori, il flusso magnetico risulta quantizzato. Supponiamo di avere un materi- ale superconduttore avente la forma di un cilindro cavo; il supercondut- tore sia immerso in un campo magnetico le cui linee di forza siano rette parallele all’asse del cilindro. Se raÆreddiamo il materiale sotto della temperatura critica, il campo sarà espulso dall’interno del materiale su- perconduttore e le linee di forza avvolgeranno il materiale fino alla sua superficie laterale, sia quella rivolta verso l’esterno, sia quella rivolta verso la cavità. Se infine eliminiamo la sorgente del campo magnetico, le linee di flusso che si trovavano all’interno della cavità restano intrap- polate; esse si chiuderanno su se stesse, avvolgendo completamente il cilindro cavo; osserviamo che le linee devono richiudersi su se stesse per eÆetto della natura solenoidale del campo magnetico. Il motivo per cui le linee di campo restano intrappolate è il seguente. Consideriamo la legge di Faraday I @©B = ° E · d` @t e scegliamo la curva chiusa all’interno del metallo, in cui, come in tutti i conduttori, E = 0. Ne segue che il flusso magnetico attraverso una superficie che si appoggi sulla curva chiusa deve restare costante, e ciò implica che le linee di campo devono restare nella cavità. In assenza di 33 B B B B=0 B=0 Sorgente del campo presente T tale stato. Ora il valor medio di ¢̂ nello stato di vuoto, denotato con ¢(k̂) risulta non nullo 1 X ¢(k̂) = < 0N |¢(k)|0N >= w < 0N |0N °1 >6= 0 (3.24) 2V in virtú del fatto che N è molto grande. Nella teoria BCS si fa l’ap- prossimazione di campo medio, il che corrisponde a sostituire gli operatori ¢ con i valori medi. Dunque, a meno di termini costanti la (3.23) diviene X X≥ † † ¥ Ĥ ° µN̂ = ≤k (a†k ak + b†°k b°k ) ° âk b°k ¢(k) + ¢? (k)b°k ak , k k (3.25) in cui ¢, ¢? sono numeri complessi. 3.3.2 Trasformazione di Bogoliubov EÆettuiamo anche in questo caso una trasformazione di Bogolubov- Valatin scrivendo † ak = ªk cos ¡k + ¥°k sin ¡k † b°k = °ªk sin ¡k + ¥°k cos ¡k (3.26) ed analoghe equazioni per a† , b†. I nuovi operatori ª, ¥ si ottengono invertendo queste equazioni: ªk = ak cos ¡k ° b†°k sin ¡k † ¥°k = ak sin ¡k + b†°k cos ¡k. (3.27) Si noti che ªk , ªk† , ¥k , ¥k† sono operatori di creazione e distruzione di quasi particelle, ottenute sovrapponendo a e b. Ad esempio ªk cor- risponde o a distruggere un elettrone di spin +1/2 ed impulso +k o a creare un elettrone di spin -1/2 ed impulso °k. Cioè ªk riduce di una unità lo spin e di k l’impulso (analogamente ¥k incrementa di una unità lo spin e dimnuisce di k l’impulso). Lasciamo al lettore la prova che 38 le trasformazioni di Bogoliubov sono canoniche nel senso che lasciano invariate le regole di anticommutazione {ªk , ªk0 }+ = 0 {ªk† , ªk† 0 }+ = 0 {ªk , ªk† 0 }+ = ±kk0. (3.28) Relazioni analoghe valgono per gli operatori ¥, ¥ † mentre gli operatori ª, ª † anticommutano con tutti gli operatori ¥, ¥ 0. Se ora esprimiamo l’eq. (3.26) mediante i nuovi operatori, otteni- amo dopo un poco di algebra: X≥ ¥ Ĥ ° µN̂ = ≤k [1 ° cos 2¡k ] ° ¢(k) sin 2¡k k X≥ ¥≥ ¥ + ≤k cos 2¡k + ¢(k) sin 2¡k ªk† ªk + ¥°k † ¥°k k ≥ ¥≥ ¥ X + ≤k sin 2¡k ° ¢(k) cos 2¡k ªk† ¥°k† + ¥°k ªk (3.29) k Per ragioni che saranno chiare in seguito abbiamo supposto ¢ reale. Scegliamo inoltre ¡ in modo che3 ¢(k) tan 2¡k = (3.30) ≤k da cui si trae ¢(k) ≤k sin 2¡k = , cos 2¡k = , (3.31) Ek Ek con sµ q ∂2 k2 Ek = ≤2k + ¢2 (k) = ° µ + ¢2 (k). (3.32) 2m In questo modo si ottiene subito X X ≥ † † ¥ Ĥ ° µN̂ = (≤k ° Ek ) + Ek ªk ªk + ¥°k ¥°k k k ≥ ¥ X X = (≤k ° Ek ) + Ek N̂ª (k) + N̂¥ (k). (3.33) k k Il primo termine è l’energia del vuoto, il secondo descrive un sistema di quasi particelle non interagenti con operatori numero N̂ª , N̂¥. Il termine che conteneva la creazione o la distruzione di una coppia di quasi particelle è sparito. 3 Questa condizione corrisponde ad un minimo dell’energia libera per un dato valore dell’entropia, si veda L.D. Landau, E.M. Lifšits, Vol. IX, Edd. Riuniti, Ed. Mir, Roma, 1981, pag. 193. 39 3.3.3 Equazione di gap Torniamo ora alla (3.21). Si ha 1 X ¢̂(k) = w(k, k0 )b°k0 ak0 = 2V 0 k 1 X = w(k, k0 )[°ªk† 0 sin ¡(k 0 ) + ¥°k0 cos ¡(k 0 )]£ 2V 0 k † £ [ªk0 cos ¡(k 0 ) + ¥°k 0 0 sin ¡(k )] 1 X h = w(k, k0 ) ° sin ¡(k 0 ) cos ¡(k 0 ){ªk† 0 ªk0 ° ¥°k0 ¥°k † 0} 2V 0 k i ° sin2 ¡(k 0 )ªk† 0 ¥°k † 0 + cos 2 ¡(k 0 )¥ 0 °k kª 0. (3.34) Stiamo lavorando nell’approssimazione di campo medio, in cui ¢ è un numero, non un operatore. Nella base delle quasi particelle questo implica che gli ultimi due termini sono assenti e si ha 1 X ¢(k) = w(k, k0 ) sin 2¡(k 0 ) [1 ° nª ° n¥ ] (3.35) 4V 0 k Allo zero assoluto non vi sono quasiparticelle, esse appaiono se T = 1/Ø > 0 (costante di Boltzmann=1). In tal caso ¢ risulta funzione anche di T mentre 1 nª = n¥ ¥ nk = , (3.36) eEk Ø +1 in cui è evidente che allo zero assoluto non vi sono quasi particelle. In (3.36) Ek diÆerisce dall’espressione in (3.32) per il fatto che ora ¢ = ¢(k, T ). In conclusione ¢(k, T ) soddisfa l’equazione integrale (detta equazione di gap, perché ¢ dicesi parametro di gap): 1 X ¢(k0 , T ) Ek 0 ¢(k, T ) = w(k, k0 ) tanh (3.37) 4V 0 Ek 0 2T k che segue dal fatto che Ek 1 ° 2nk = tanh (3.38) 2T e dalla prima delle (3.31): ¢(k0 , T ) sin 2¡(k 0 ) =. (3.39) Ek0 40 Per trovare una soluzione dell’equazione di gap facciamo un’approssi- mazione, ossia sostituiamo w(k, k0 ) con un suo valore medio, chiami- amolo g. Questo risulta lecito perché questa funzione risulta non nulla solo quando k e k0 si trovano in sottili gusci sferici intorno alla superficie di Fermi. Si ha allora g X ¢(k0 , T ) Ek0 ¢(k, T ) = tanh (3.40) 4V 0 Ek0 2T k e, dal momento che il secondo membro non dipende da k, non vi dipende neanche il primo. Dunque, in questa approssimazione, il parametro di gap dipende solo dalla temperatura. L’equazione di gap ammette sempre la soluzione ¢ = 0 che corrisponde alla fase normale, ma, se ¢ 6= 0 si ha g X tanh E k 1= 2T (3.41) 4V Ek k con sµ q ∂2 k2 Ek = ≤2k + ¢2 (T ) = ° µ + ¢2 (T ). (3.42) 2m 3.3.4 Soluzioni dell’equazione di gap a T = 0 Scrivendo ¢(0) = ¢0 e tenendo conto che nel limite V ! 1 Z 1 X dk ! (3.43) V (2º)3 k si ha Z kF +ø g k 2 dk 1= 2 q (3.44) 8º kF °ø ≤2k + ¢20 k2 in cui kF è l’impulso di Fermi, definito da µ = F , ø ø kF è un 2m parametro di cutoÆ introdotto per l’ipotesi che solo le particelle attorno alla superficie di Fermi partecipano all’interazione, e k 2 ° kF2 ≤k =. (3.45) 2m Con buona approssimazione possiamo scrivere ≤k ' vF (k ° kF ) (3.46) 41 in cui vF = kF /m è la velocità di Fermi. Si ha Z kF +ø Z +vF ø gk 2 dk gk 2 d≤ 1 = F2 q = 2F q k (3.47) 8º kF °ø ≤2k + ¢20 8º vF °vF ø ≤2k + ¢20 Con le posizioni 4vF º 2 4º 2 §= = (3.48) kF2 mkF q ed il cambio di variabile ≤k = ¢0 sinh µ in modo che ≤2k + ¢20 = ¢0 cosh µ e d≤k = ¢0 cosh µdµ si ha g vF ø 1 = arcsinh. (3.49) § ¢0 Dal momento che sperimentalmente p di norma risulta vF ø ¿ ¢0 e che, per x ¿ 1, arcsinhx ¥ log[x + x2 + 1] º log 2x si ottiene ¢0 = 2vF ø e°§/g (3.50) equazione che mostra il carattere non perturbativo del parametro di gap. 3.3.5 Significato fisico del parametro di gap Consideriamo la media termica (con l’ensemble di Gibbs) dell’operatore Ĥ ° µ in (3.33). Il risultato è una energia libera X X Ek ET = [≤k ° E(k, T )] + 2 (3.51) k k eEk /T + 1 in cui sono state usate le(3.36); Ek è dato dalla (3.42) mentre ≤ è dato dalla (3.45), equazioni che qui riscriviamo sµ ∂2 q k2 Ek = ≤k + ¢ (T ) = 2 2 ° µ + ¢2 (T ) (3.52) 2m k 2 ° kF2 ≤k = (3.53) 2m per comodità del lettore. A T = 0 si ha semplicemente l’energia libera (a rigore: il gran potenziale) dello stato di vuoto X∑ q ∏ E0 = ≤k ° ≤k + ¢0. 2 2 (3.54) k 42 nel caso ¢0 = 0 si ha Ø X kF X Ø E0 Ø = [≤k ° |≤k |] = 2 ≤k. (3.55) ¢0 =0 k k=0 Questa soluzione corrisponde a tutti i livelli nella sfera di Fermi occu- pati e tutti quelli esterni liberi. È chiaro comunque che Ø Ø Ø Ø E0 Ø < E0 Ø , (3.56) ¢0 6=0 ¢0 =0 il che implica che allo zero assoluto la soluzione energeticamente fa- vorita è quella in cui ¢0 6= 0. Le leggi di dispersione Ek con e senza gap a T = 0 sono ripor- tate in Fig. 3.2. La porzione di figura in alto, che si riferisce al caso ¢0 6= 0, mostra l’esistenza di un gap energetico, da cui il nome del parametro ¢. Osserviamo ora che a T appena al disopra dello zero 1.5 1.25 1 0.75 0.5 0.25 0.6 0.8 1.2 1.4 Figura 3.2: - Le leggi di dispersione con e senza gap. In ascissa k/kF. assoluto cominciano ad apparire le quasiparticelle; la figura si modi- fica, ma continua a sussistere un gap energetico ¢. La più piccola e energia delle quasiparticelle è proprio ¢. Quindi perché l’energia del sistema si modifichi occorre cedere almeno l’energia 2¢ (occorre creare una coppia per avere spin 0). L’esistenza di un gap energetico implica il fenomeno della super- conduttività. Infatti supponiamo che vi sia una corrente nel metallo. Perché ci sia perdita di energia per eÆetto Joule, cioè una perdita di energia da parte della corrente a causa della resistenza elettrica, una certa quantità di energia ± deve essere ceduta alle quasiparticelle. Ma se ± < 2¢ questa energia non è su±ciente a creare la coppia. Dunque la corrente non può dissipare energia e diviene superconduttrice. La 43 situazione è simile al fenomeno della superfluidità; in eÆetti si può dire che la superfluidità si manifesta in questo caso sotto la forma della superconduttività. 3.3.6 Proprietà termodinamiche Scriviamo le equazioni gap per il caso T 6= 0 e per T = 0: Z g d3 p 1 1 = q 4 (2º) 3 ≤2p + ¢20 Z g d3 p 1 ° 2np 1 = q (3.57) 4 (2º)3 ≤2 + ¢2 p In cui np è dato dall (3.36), ¢ viene calcolato alla temperatura T e ¢0 a T = 0. Se ne trae 0 1 Z Z g d3 p @ 1 1 A= g d3 p 1 q ° q ° ¢ q 4 (2º) 3 ≤2 + ¢ 2 ≤2 + ¢ 2 2 (2º) e≤p /T + 1 3 ≤2 + ¢2 p p 0 p (3.58) in cui ≤p è dato da (3.53). Si ricava che µ ∂ g ¢0 g ¢ ln = 2I (3.59) § ¢ § T con Z 1 dy I(x) = p p. (3.60) 0 y2 + x2 (exp x2 + y 2 + 1) Calcoliamo la temperatura critica, ossia la temperatura Tc alla quale si ha la transizione dalla fase superconduttrice alla fase normale, carat- terizzata da ¢ = 0. Occorre sviluppare in serie I(x) per x piccolo (si veda il problema in sezione 3.5). Si ha 1 ºT 7≥(3) ¢2 I(x) º ln + (3.61) 2 ∞¢ 16º 2 T 2 in cui ln ∞ = C = 0.577 è la costante di Eulero-Mascheroni, ≥(3) = 1.205. Si ricava ∞¢0 7≥(3) ¢2 ln = (3.62) ºT 8º 2 T 2 e la temperatura critica è ∞ Tc = ¢0 = 0.57¢0. (3.63) º 44 Sviluppando poi la (3.62) attrorno a Tc si ricava subito che nelle vici- nanze del punto critico s µ ∂ r 8º 2 T T ¢ = Tc 1° = 3.06 Tc 1 ° , (3.64) 7≥(3) Tc Tc il che implica che la transizione di fase è del secondo ordine, cioè contin- ua. Il parametro di gap è quindi il parametro d’ordine della transizione: Se ¢ 6= 0 si è nella fase superconduttrice, altrimenti nella fase normale. 3.4 Simmetria di gauge locale e meccanismo di Higgs Anderson Nel paragrafo 3.1.1 abbiamo osservato che la funzione d’onda del sis- tema bosonico costituito dalle coppie di Cooper ha un significato macro- scopico. Ad essa corrisponde un campo ™ ed una densità di hamilto- niana (o meglio di energia libera) che in analogia con quanto detto nel caso della superfluidità ha la forma (2.34) ≥ ¥2 † † F = @i ™ @i ™ + b ™ ™ ° Ω̄ 2. (3.65) Supponiamo ora che sia presente un campo magnetico, descritto dal tensore Fij = ≤ijk Bk. La densità di energia del campo vale 14 Fij2 cha va sommata a secondo membro della (3.65). V’è tuttavia un’altra modifica da apportare. Essa riguarda il fatto che, dal momento che le coppie di Cooper hanno carica elettrica 2e e quindi si accoppiano al campo magnetico. L’accoppiamento è dato dalla regola (3.4), che in meccanica quantistica diviene (c = 1) @i ™ ! Di √ = (@i ° i2eAi )™. (3.66) La derivata Di dicesi derivata gauge covariante. Con questa sosti- tuzione l’energia libera diviene 1 ≥ ¥2 F = Fij2 + |Di ™|2 + b2 ™† ™ ° Ω̄. (3.67) 4 L’energia libera (3.67) possiede invarianza sotto il gruppo di trasfor- mazioni U (1), ma essa è più forte che nel caso del campo superfluido, dal momento che, a diÆerenza che in (2.35) ora Æ può dipendere dalla 45 posizione r. Occorre tuttavia che il campo elettromagnetico sia sotto- posto allo stesso tempo ad una trasformazione di gauge, in altri termini c’è invarianza sotto la trasformazione ™ ! e2ieÆ ™ Ai ! Ai + @i Æ. (3.68) Questa proprietà si dice simmetria di gauge locale. Anche in questo caso il gruppo di simmetria è U (1) ed esso è rotto spontaneamente dal momento che la configurazione di minima energia p ha Fij = 0 e ™ = Ω̄ =cost con un valore dell’energia del vuoto pari a 1 2 F0 = F + 4e2 Ω̄A2i. (3.69) 4 ij p Questo stato di vuoto è degenere (™ = Ω̄eiØ è anch’esso uno sta- to di vuoto, qualunque sia Ø) e chiaramente non è invariante sotto trasformazioni di gauge locali. Ci si può chiedere se il teorema di Goldstone valga anche in questo caso. La risposta è positiva, ma il teorema assume una nuova forma. Infatti la (3.69) mostra che non c’è nessun modo gapless, cioè nessun bosone di Goldstone. In compenso appare un termine m2 2 A (3.70) 2 i p con m = 2e 2Ω̄. Questo termine rappresenta un termine di massa per il campo magnetico. Infatti esso modifica l’equazione per il potenziale vettore che anziché essere (nella gauge ¡ = 0, r · A = 0) 2A = 0 (3.71) ha la forma (2 + m2 )A = 0. (3.72) Dal momento che la (3.72) determina la legge di dispersione del fotone, concludiamo che il fotone ha acquistato una massa m. Dunque, il grado di libertà scalare predetto dal teorema di Goldstone appare qui come grado di libertà longitudinale del fotone. Il meccanismo descritto è generale: ogni volta che una simme- tria di gauge locale viene rotta spontaneamente, il ruolo dei bosoni di Goldstone viene giocato dai gradi di libertà longitudinali dei bosoni vettoriali di gauge (in questo caso il fotone), che acquistano massa. 46 Questo meccanismo viene detto detto meccanismo di Higgs o di Higgs-Anderson4. Concludiamo osservando che il meccanismo di Higgs-Anderson sp- iega naturalmente l’eÆetto Meissner. Supponiamo infatti di essere a T > Tc. Allora non ci sono coppie di Cooper, nello stato di minima energia il valor medio del campo del condensato di coppie si annulla ™ = 0 (valore invariante di gauge). Dunque, non c’è rottura spon- tanea di simmetria e Ω̄ = 0. Quanto all’energia dello stato di vuoto, se c’è un campo magnetico costante B, essa vale5 ª V B 2 (V = volume del materiale), Supponiamo invece che T < Tc , che implica Ω̄ 6= 0. Il meccanismo obbligherebbe allora il fotone ad acquistare massa. Ma se B = rotA=cost., allora Ai cresce con la distanza ed il termine di massa del fotone cresce come V 5/3 >> V (V è grande). Questa situ- azione non è energeticamente favorita ed il superconduttore preferisce espellere il campo dal suo interno, in modo da raggiungere il minimo dell’energia. Dunque l’eÆetto Meissner si spiega con il meccanismo di Higgs e con il fatto che il fotone acquista una massa. A causa della sua origine la massa del fotone m viene detta massa di Meissner. 3.5 Esercizi 1) Dimostrare che la forza di Lorentz si può ottenere mediante le equazioni di Hamilton a partire dalla seguente hamiltoniana: 1 ≥ ~ q ~ ¥2 H(~r, P~ ) = P ° A + q' , (3.73) 2m c che si ottiene dalla hamiltoniana della particella libera p2 H= 2m mediante la regola dello spostamento minimo: q p = A,P° (3.74) c H ! H +q'. (3.75) Qui P è l’impulso generalizzato, cioè la coordinata canonicamente coniugata a r, mentre p dicesi impulso cinetico. 4 Il meccanismo di Higgs è alla base del modello standard di Glashow, Salam e Weinberg delle interazioni elettrodeboli. 5 Infatti sotto queste ipotesi la densità di energia vale F = 12 B 2. 47 drj Suggerimento Introdurre la velocità v di componenti v j = dt @H(r, P) @ h 1 ≥ ~ q ¥2 i P ° q/cA v= = P ° A + q' =. @P @P 2m c m (3.76) Notiamo esplicitamente che l’impulso generalizzato P non coin- cide con mv, ma è dato dalla formula q P = mv + A, (3.77) c in accordo con la (3.74) in cui p = mv. 2) Provare lo sviluppo (3.61). 3) Provare l’invarianza della (3.67) per trasformazioni di gauge locali (3.68). 48 Parte II Solidi 49 Capitolo 4 Introduzione alla teoria dell’elasticità 4.1 Tensore delle deformazioni Consideriamo un corpo solido che, sottoposto ad un campo di forze es- terne, ne sia deformato. Ogni punto del corpo subirà uno spostamento, che, per campi di forze non troppo intensi, ha la