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Manfreda/Palladino 22 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 15/12/2020 4. Sequenziamento del DNA: una delle tecnologie più interessanti che permette di sapere quali nucleotidi compongono un determinato filamento di DNA. Non esiste un metodo diretto che p...

Manfreda/Palladino 22 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 15/12/2020 4. Sequenziamento del DNA: una delle tecnologie più interessanti che permette di sapere quali nucleotidi compongono un determinato filamento di DNA. Non esiste un metodo diretto che permette di capire se la sequenza è ATCG oppure GCAT. Per farlo si usano delle tecniche indirette. Si ha un filamento ignoto, di cui non si sa la sequenza di acidi nucleici presente all’interno. Si unisce il filamento con alcuni nucleotidi di diverso tipo. Ci sono nucleotidi “normali” del DNA (deossinucleotidi) che sono caratterizzati dall’essere dNTP (adenina, citosina, guanina, timina). Inoltre, ci sono dei nucleotidi “speciali” con due caratteristiche peculiari: ognuno di questi nucleotidi è fluorescente ad una determinata lunghezza d’onda a seconda della base azotata. Ad esempio: il nucleotide della citosina emette su una lunghezza d’onda di colore rosa; il nucleotide che contiene guanina ha una fluorescenza blu; il nucleotide con base azotata timina ha una fluorescenza sul verde; il nucleotide con adenina sul giallo. Inoltre, quando uno di questi nucleotidi speciali viene accoppiato al filamento ignoto, si interrompe la replicazione. Inserendo il filamento ignoto in questo mix di reazione, inizia la replicazione del filamento finché non viene inserito uno di questi nucleotidi speciali. Lasciando tutto il sistema per un lungo periodo nelle fasi di reazione, si avranno i vari nucleotidi speciali legati alle posizioni successive ottenendo dei filamenti di DNA complementari al filamento stampo, ma tutti caratterizzati dall’avere l’ultimo nucleotide fluorescente con una determinata colorazione. Questa colorazione permette di conoscere il nucleotide complementare 12 Manfreda/Palladino 22 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 15/12/2020 nel filamento stampo in quella posizione. Quindi, dopo aver lasciato il mix di reazione per lungo tempo, si prendono tutti i frammenti di DNA e attraverso un gel elettroforesico si ordinano per lunghezza (dal più lungo al più corto) e poi si fa un’indagine sulla fluorescenza di questi frammenti. Percorrendo l’esempio in figura: si eccita il filamento più lungo, il quale emette una colorazione gialla e questo vuol dire che l’ultimo nucleotide è un’adenina; il filamento successivo nuovamente emette una colorazione gialla, si tratta ancora di adenina; il filamento ulteriormente più corto emette colorazione verde e quindi si tratta di timina. Tutto ciò permette di conoscere la composizione del filamento complementare al filamento stampo: da qui si possono ricavare poi le informazioni relative al filamento stampo. Si evince che si tratta di un processo lungo e molto laborioso. 5. Sintesi in fase solida degli acidi nucleici: si possono riprodurre alcune piccole sequenze artificiali di acidi nucleici sfruttando un sintetizzatore, connesso ad un computer che gli dà una sequenza di acidi nucleici. Ad esempio, in questo modo si possono produrre artificialmente i primer utili per la PCR. L’assemblaggio chimico di ogni singola catena oligonucleotidica si può suddividere in due stadi: il primo consiste nella sintesi automatica in fase solida dell’ON, il secondo invece consiste in una operazione manuale di deprotezione e distacco dell’oligonucleotide dal supporto solido sul quale si è sviluppato. Domanda: Qual è il principio di funzionamento di quest’ultimo metodo? Risposta: è una reazione di polimerizzazione tra nucleotidi, quindi con formazione di legame fosfodiesterico (assomiglia alla replicazione del DNA): si ha una sorta di stampo, che è ovviamente complementare rispetto al primer che si vuole produrre, e di fatto fa una sorta di polimerizzazione. Dapprima c’è un’interazione tra questo supporto e i singoli nucleotidi complementari e poi si ha la formazione del legame fosfodiesterico. Domanda: Si tratta di un processo laborioso e non utilizzabile per lunghe catene? Risposta: Viene utilizzato per primer che sono di fatto costituiti da una ventina di nucleotidi. È anche molto costoso. I primer, poi ad un certo punto sono noti quindi vengono prodotti anche con tecniche più semplificate e meno custom made. Però effettivamente per riuscire a fare una cosa custom made si utilizzano principalmente questi sintetizzatori. 13 Manfreda/Palladino 22 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 15/12/2020 IDENTIFICAZIONE DELLA SPECIE TRAMITE DNA MITOCONDRIALE Per distinguere specie animali tra loro bisogna fare un esame del DNA mitocondriale: vista la matrilinearità dell'ereditarietà del genoma mitocondriale, i genetisti e gli antropologi hanno utilizzato il DNA del mitocondrio in studi di genetica delle popolazioni e d'evoluzionistica ma esso viene anche impiegato nel campo delle scienze forensi specie in casi in cui il materiale biologico sia molto degradato. L'analisi del DNA del mitocondrio permette di far luce sui gradi di parentela, sulle migrazioni e discendenze delle popolazioni e può venire usato anche per dirimere casi di determinazione del sesso. Questo esempio combina ciò che è stato detto sul DNA mitocondriale con le tecniche di esplorazione dei geni. Alcuni dispositivi medici sono prodotti a partire da materiali detti di origine naturale, ovvero materiali che vengono estratti dal tessuto di un altro organismo. Molti dispositivi medici disponibili in commercio sono prodotti a partire da materiali di origine naturale, di cui il principale materiale è sicuramente il collagene. Il collagene è una proteina strutturale che compone la matrice extracellulare e che ha delle ottime proprietà di biocompatibilità, di risposta cellulare. In queste immagini si trovano alcune applicazioni che sfruttano il collagene per la loro fabbricazione: si possono realizzare dei filler, sia per la medicina estetica ma anche per le applicazioni dentali per riempire eventuali lacune; si utilizzano per formare delle membrane che possono avere degli utilizzi anche per la rigenerazione del tessuto termico; si possono utilizzare per la fabbricazione di membrane utilizzate ad esempio nella cura dei difetti erniali; infine si possono utilizzare per la formazione di questi cuscinetti, che vengono utilizzati ad esempio nella cura di difetti associati alla mancanza o ad una bassa funzionalità del tessuto cartilagineo. Il collagene può essere modificato, ristrutturato e realizzato in strutture diverse. Il collagene può essere estratto da diverse fonti, da diversi animali: in particolare può essere estratto da fonte bovina, porcina o equina. Pensando ad uno di questi dispositivi medici, si deve pensare che all’azienda che li produce arrivano i tessuti che si presume siano derivati dal cavallo, dai quali deve essere estratto il collagene. Si tratta di un tessuto già manipolato e trattato, pertanto è difficile identificare a priori se effettivamente si tratta di un tessuto che deriva dal cavallo. Per fare questo tipo di analisi è necessario andare a vedere a livello genico se effettivamente il tessuto deriva da un equino: è importante perché quando l’azienda produce questo dispositivo medico e lo certifica dicendo che si tratta di collagene equino, i prodotti devono essere certamente formati da collagene equino. Per discriminare la provenienza del tessuto si può fare attraverso il DNA mitocondriale: una parte del DNA mitocondriale codifica il citocromo b. Il citocromo b ha una sequenza di specie specifica: l’uomo ha un citocromo b con una certa sequenza, gli equini hanno un citocromo b con una sequenza specifica, e così i bovini, ecc. Quindi si può sfruttare il citocromo b per identificare a 14 Manfreda/Palladino 22 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 15/12/2020 livello genico la provenienza del tessuto. Si deve quindi capire qual è la sequenza del citocromo b in quel tessuto che è stato consegnato all’azienda e confermare o meno che quel tessuto deriva da un equino. Per far ciò si devono seguire alcune fasi: la prima fase sarà l’estrazione del DNA, perché all’interno del tessuto ci sono le cellule, matrice extracellulare, proteine, lipidi, ecc. Pertanto, la prima cosa da fare è far rilasciare dalle cellule gli acidi nucleici, utilizzando una soluzione ipotonica per far rompere le membrane cellulari per osmosi. Poi si possono utilizzare dei detergenti per sciogliere i grassi, degli enzimi per la digestione delle proteine. Infine, attraverso l'utilizzo dell’isopropanolo si può far avvenire la precipitazione gli acidi nucleici, così da separare gli acidi nucleici da tutte le altre componenti del tessuto. A questo punto si deve identificare il citocromo b e questo si può fare attraverso la PCR: si scrivono i primer che vengono sintetizzati col sintetizzatore in fase solida per tutti i citocromi che appartengono a un equino, a un porcino, ecc. Una volta introdotti i primer e gli acidi nucleici del tessuto si deve attivare l’amplificazione: i vari primer andranno a legarsi al tessuto, ma solo il primer del tessuto corretto sarà quello che si legherà, perché gli altri ovviamente non avranno la sequenza corretta. Il processo di amplificazione avviene a partire da tutte queste soluzioni: È interessante notare che la DNA polimerasi che svolge l'attività di elongazione dopo che il primer si è legato quindi effettivamente amplifica il gene di interesse, è una DNA non umana perché deve lavorare a 65°C. Quindi questo processo avviene in maniera funzionale perché esiste a livello biologico in un organismo una DNA polimerasi che riesce a polimerizzare ad alte temperature. Quindi si amplifica il citocromo b di interesse, attraverso la PCR, e una volta ottenuto il citocromo amplificato si può a controllare che sia avvenuta l’amplificazione in modo corretto, attraverso elettroforesi su gel, controllando che le lunghezze dei frammenti di DNA amplificati siano uguali alla lunghezza del citocromo b che ci si aspetta. Si può poi fare un’analisi di sequenziamento: si identificano i nucleotidi che compongono la sequenza del citocromo b che è stata amplificata. A questo punto, con la tecnica del sequenziamento vista prima, si può conoscere la sequenza degli acidi nucleici e poi, una volta ottenuta, la si confronta con i citocromi dei diversi animali: in questo modo si conosce quindi la fonte del tessuto che si vuole decellularizzare per ottenere il collagene e ottenere poi il dispositivo medico. 15 Rigano/Buzio 23 Bioingegneria chimica (Boffito) 17/12/2020 Lipidi e membrane cellulari Lipidi I lipidi sono biomolecole, costituiscono un gruppo eterogeneo di sostanze accomunate dalla proprietà fisica di essere insolubili nei solventi polari (es. acqua) (molecole definita come idrofobiche) e solubili nei solventi organici (es eteri e cloroformio) (lipofilicità). In realtà non tutti i lipidi presentano entrambe queste caratteristiche. Che ruoli svolgono a livello biologico? Siccome la famiglia dei lipidi è molto eterogenea, lo sono anche i ruoli svolti. Essi infatti rappresentano le molecole combustibile che entrano in gioco nel rifornire l’organismo di energia, si trovano nei meccanismi di trasporto dei segnali, sono i componenti della membrana cellulare, sono i costituenti delle lipoproteine (macromolecole di natura lipidica e proteica deputate al trasporto ematico dei lipidi stessi), sono i precursori di alcuni ormoni e rappresentano il veicolo obbligato di alcune vitamine liposolubili (A,D, E, K). A seconda della natura specifica dei lipidi considerati, sono diversi i ruoli che vengono svolti a livello biologico. Esistono diversi tipi con i quali è possibile effettuare una classificazione. In base al ruolo biologico svolto all’interno dell’organismo si possono distinguere in: Lipidi di deposito: svolgono una funzione di deposito di energia o protettiva. I principali componenti di questa categoria sono i trigliceridi. I lipidi di deposito rappresentano la maggioranza dei lipidi (circa i 98%). Lipidi strutturali: svolgono dei ruoli strutturali (sono lipidi che costituiscono le membrane cellulari e intracellulari). A questa categoria appartengono fosfolipidi, glicolipidi e colesterolo. Rappresentano solo il 2% dei lipidi nell’organismo. Esiste un’altra forma di classificazione dei lipidi che non fa riferimento alla funzione biologica che svolgono ma alla loro struttura chimica cioè la presenza o meno di acidi grassi: Lipidi saponificabili: sono lipidi che contengono al loro interno delle molecole di acidi grassi legati covalentemente con dei legami esterei oppure, in alcuni casi, ammidici. Tra essi annoveriamo gli acilgliceroli, i fosfogliceridi e gli sfingolipidi. I lipidi saponificabili possono essere classificati in semplici e complessi a seconda che la molecola sia solo di natura lipidica oppure se ci sia una componente lipidica e altre componenti (es componenti di natura proteica). Tra i lipidi semplici ci sono le cere e i trigliceridi, tra quelli complessi gli sfingolipidi e i fosfogliceridi. Lipidi non saponificabili: lipidi che non contengono di acidi grassi legati covalentemente. Ad essi appartengono gli steroidi e terpeni. 1 Rigano/Buzio 23 Bioingegneria chimica (Boffito) 17/12/2020 Analisi immagine Lipidi saponificabili: trigliceridi, fosfolipidi e cere. Lipidi non saponificabili: steroidi. TRIGLICERIDI →famiglia di lipidi deputata a lavorare come fonte di energia (costituiscono la maggior parte dei lipidi che vengono introdotti con la dieta) ma lavorano anche come riserva di energia a livello del tessuto adiposo. Svolgono quindi anche un ruolo nella produzione del calore per dare isolamento termico agli organismi. Si distinguono in grassi e oli in base alla natura che hanno a temperatura ambiente: grassi sono solidi a temperatura ambiente mentre gli oli sono liquidi. Sono esteri del glicerolo, è possibile identificare uno scheletro dato dal trialcol del glicerolo al quale sono legate delle molecole di acidi grassi: in base alla natura di questi ultimi cambia il tipo di trigliceride e il ruolo svolto all’interno dell’organismo. A seconda della natura della catena dell’acido grasso ci saranno trigliceridi che contengono acidi grassi saturi, senza doppi legami, (sono gli acidi grassi detti “cattivi”), e trigliceridi che contengono acidi grassi insaturi, con doppi legami, (sono gli acidi grassi detti “buoni”, tipo quelli che troviamo nella frutta secca). FOSFOLIPIDI → sono lipidi saponificabili complessi costituiti da code (formate da acidi grassi) e da una testa non lipidica e idrofilica. I fosfolipidi verranno analizzati meglio in seguito essendo i componenti delle membrane biologiche. CERE → sono lipidi molto semplici, costituiti da lunghe catene carboniose che conferiscono una spiccata idrofobicità determinante la loro idrorepellenza. Le cere sono solide a temperatura ambiente. Esse svolgono dei ruoli di protezione e si trovano infatti nelle bucce dei frutti, sule foglie, sulle penne dei volatili. STEROIDI→ hanno uno scheletro costituito da 4 anelli carboniosi condensati tra loro, è un nucleo policiclico condensato formato da tre anelli esatomici (6 atomi di carbonio) e un anello pentatomico. Gli steroidi sono non saponificabili quindi non presentano molecole di acidi grassi legate allo scheletro ma possono esserci altri sostituenti legati ai vertici del complesso policiclico. Agli steroidi appartengono il colesterolo, gli ormoni sessuali, la vitamina D e il cortisone. 2 Rigano/Buzio 23 Bioingegneria chimica (Boffito) 17/12/2020 I lipidi possono essere quindi classificati in base al ruolo biologico, alla composizione chimica ma anche in base alla loro polarità. Si distinguono quindi in: Lipidi neutri: trigliceridi e colesterolo Lipidi polari: fosfolipidi (glicerolofosfolipidi e sfingolipidi) e glicolipidi (galattolipidi) I galattolipidi sono una sottofamiglia costituita da uno schema comune di glicerolo a cui sono legate due molecole di acido grasso e un mono o disaccaride. Essi sono i principali costituenti delle membrane vegetali. I lipidi polari mostrano delle caratteristiche anfipatiche cioè sono solubili sia in acqua che in solventi apolari e in alcuni casi alcuni lipidi polari sono insolubili in solventi organici e solubili in acqua. Esiste anche una classificazione dei lipidi in: Lipidi semplici: molecole che sono solo ed esclusivamente di natura lipidica. Alcuni esempi sono gliceridi, steroidi, cere, terpeni. Lipidi complessi: molecole nelle quali è possibile distinguere una parte lipidica ed una di natura diversa (proteica, glucidica o derivato dell’acido fosforico). Alcuni esempi sono i fosfolipidi, i glicolipidi e le glicoproteine. Uno dei componenti che caratterizza la maggior parte dei lipidi è la presenza o meno di un acido grasso. Acidi grassi Sono dei costituenti essenziali dei lipidi che si trovano in una buona parte di essi, in particolare in tutti quelli saponificabili. Un acido grasso è un acido monocarbossilico la cui catena è costituita da un lungo scheletro atomi di carbonio (più di tre). In ogni acido grasso si possono distinguere due componenti: una testa idrofilica data dal carbossiterminale (COOH) e una coda idrofobica costituita dallo scheletro degli atomi di C. Il fatto che essi abbiano una testa idrofilica e una coda idrofobica implica che gli acidi grassi giocano un ruolo molto importante nel determinare le proprietà idrofobiche dei lipidi. La formula generale è 𝐶𝐻3 (𝐶𝐻2 )𝑛 𝐶𝑂𝑂𝐻 dove n definisce quanti gruppi CH2 sono presenti all’interno della catena alifatica. La catena alifatica può essere satura o insatura, a seconda che siano presenti o meno doppi legami, ma ci possono essere anche catene lineari, cicliche o ramificate. Nei tessuti dei mammiferi gli acidi grassi più frequenti sono a catena lineare saturi o insaturi e contengono tipicamente un numero pari di atomi di carbonio. Una delle caratteristiche che accomunano gli acidi grassi è la presenza di una lunga catena con un terminale carbossilico la cui presenza rende il loro comportamento acido, in particolare li rende acidi deboli. La costante di dissociazione acida (pkA) del gruppo carbossilico è di circa 4.5. In condizioni fisiologiche (PH di circa 7.4) gli acidi grassi si presentano quindi nella forma ionizzata quindi con il gruppo carbossilico nella forma deprotonata COO-. 3 Rigano/Buzio 23 Bioingegneria chimica (Boffito) 17/12/2020 Gli acidi grassi all’interno dell’organismo non sono mai presenti in forma libera a meno che non siano il prodotto di degradazione di un lipide più complesso. Quando sono all’interno del corpo sono legati covalentemente a delle piattaforme dando origine a macromolecole lipidiche complesse e quando vengino liberate è perché il lipide complesso è stato degradato tramite meccanismi di idrolisi mediata da specifici enzimi. Gli acidi grassi per effetto della loro struttura che presenta una testa idrofilica e una coda idrofobica, quando vengono messi in soluzione acquosa tendono ad agglomerare creando delle strutture micellari. Ciò deriva dal fatto che vengono messe in soluzione acquosa delle molecole con porzioni aventi comportamenti opposti. Le proprietà anfipatiche portano quindi le molecole a organizzarsi in micelle in cui le teste idrofiliche sono poste verso l’esterno, per massimizzare il contatto e le interazioni con le molecole d’acqua, mentre le code idrofobiche tendono a posizionarsi verso l’interno, dando origine a un cuore idrofobico, minimizzando il contatto con l’ambiente acquoso circostante. Domanda: “Come fanno a formarsi le micelle se le teste sono ionizzate e quindi espongono una carica negativa che può originare delle forze di repulsione?” Possiamo fare riferimento a ciò che è stato visto negli amminoacidi. I fenomeni di protonazione e deprotonazione non sono dei meccanismi on/off ma sono fenomeni che avvengono progressivamente con delle variazioni di PH. A un determinato PH non ho tutte le teste ionizzate e quindi non tutte possono respingersi tra loro. D’altra parte, facendo delle micelle ad esempio per incapsulare dei farmaci, si può “giocare” sul PH a cui far formare le micelle e quindi posso mettermi in condizioni favorevoli avendo ad esempio tante teste nella forma COOH. Dall’atra parte entra in gioco anche un altro elemento di stabilizzazione della struttura: all’interno della micella ci sono code idrofobiche che interagiscono molto fortemente tra di loro con interazioni di tipo idrofobico, di Van der Waals e quindi la forte stabilizzazione all’interno contribuisce a una stabilizzazione generale di tutta la struttura. Gli acidi grassi possono essere saturi o insaturi. Quando parliamo di acidi grassi saturi parliamo di acidi grassi che non presentano dei doppi legami ma solo legami semplici C-C. Parliamo di acidi grassi insaturi quando sono presenti uno o più doppi legami. Ciò implica che possiamo parlare di configurazioni diverse del doppio legame e in base al numero di legami si definiscono monoinsaturi, se è presente un solo doppio legame, oppure polinsaturi se ci sono due o più doppi legami. La presenza dei doppi legami implica il dover definire in che configurazione ci si trova: CIS o TRANS. CIS quando i due idrogeni legati ai carboni del doppio legame si trovano della stessa parte del doppio legame stesso; una conseguenza di ciò è che la catena idrocarburica ha una curva, una piega (configurazione CIS definita anche come piegata). Nella configurazione TRANS i due idrogeni legati ai carboni si trovano in posizione opposta al doppio legame; questa conformazione viene anche detta conformazione dritta perché non va a indurre piegamenti nella catena. 4 Rigano/Buzio 23 Bioingegneria chimica (Boffito) 17/12/2020 La maggior parte degli acidi grassi che va a costituire i lipidi dell’organismo sono in configurazione CIS e il numero di doppi legami è variabile. Per ogni legame di tipo CIS la catena effettua un ripiegamento. I lipidi in base al loro contenuto in acidi grassi possono presentarsi in forme diverse macroscopicamente. Le sostanze che contengono acidi grassi saturi possono essere definite semplicemente come grassi e si manifestano solide a temperature ambiente. Viceversa, le sostanze lipidiche che contengono acidi grassi insaturi si presentano liquide a temperatura ambiente e vanno sotto il nome di oli. Questa correlazione tra lo stato fisico di una sostanza lipidica e il suo contenuto di acidi grassi può essere ricondotto alla natura della catena idrocarburica degli acidi grassi. Immaginando le catene degli acidi grassi, in condizioni sature la catena idrocarburica è allungata e quindi può essere impacchettata finemente rispetto alle altre: la struttura è molto più stabile e a temperatura ambiente è solida. Viceversa, quando le sostanze lipidiche presentano al loro interno acidi grassi insaturi, l’impacchettamento è inevitabilmente inferiore perché i punti di insaturazione (doppi legami) vanno a indurre dei ripiegamenti all’interno della catena originando degli impedimenti sterici all’impacchettamento delle catene: a temperatura ambiente si manifestano allo stato liquido come oli. Gli acidi grassi insaturi contengono al proprio interno doppi legami: nella configurazione cis, più frequente, o trans. I grassi trans non sono molto frequenti, li troviamo in alcuni derivati della carne (dal momento che questi grassi sono prodotti da alcuni batteri presenti all’interno dello stomaco dei ruminanti), li troviamo in concentrazione molto bassa nel latte e negli oli idrogenati e nelle margarine. Gli acidi grassi trans sono grassi non buoni perché tendono ad aumentare la concentrazione del colesterolo LDL (colesterolo cattivo) e diminuiscono la concentrazione del colesterolo HDL (colesterolo buono); di conseguenza l’assunzione di grandi quantità di acidi grassi trans può sfavorire i meccanismi di aggregazione piastrinica, l’aumento del peso corporeo e i processi di tipo arteriosclerotico. Gli acidi grassi della forma cis sono più buoni e infatti essi tendono a diminuire la concentrazione del colesterolo cattivo e delle lipoproteine LDL e di conseguenza vanno a sfavorire i processi arteriosclerotici. Tra questi possiamo distinguere quelli monoinsaturi come l’omega 9 (nell’olio d’oliva, nell’avocado e nelle mandorle) e i polinsaturi come gli omega 6 (nell’olio di mais e di girasole; sono proinfiammatori e protumorali) e gli omega 3 (sono quelli buoni perché hanno caratteristiche antinfiammatori e antitumorali). 5 Rigano/Buzio 23 Bioingegneria chimica (Boffito) 17/12/2020 Nomenclatura acidi grassi Quando si va a definire il nome di un acido grasso si può fare riferimento a diversi tipi di nomenclatura: esistono dei nomi comuni, nomi sistematici secondo il sistema IUPAC e una indicazione stenografica. Secondo la nomenclatura IUPAC, per dare un nome sistematico all’acido grasso, occorre fare riferimento al nome dell’idrocarburo da cui deriva, e modificare la desinenza -O con -OICO. Esiste un’altra indicazione, quella stenografica, che in maniera coincisa fornisce tutte le informazioni necessarie: Lunghezza della catena carbionosa (numero atomici di C) Presenza e numero di doppi legami Posizione del doppio legame e configuazine CIS/TRANS Occorre numerare gli atomi di carbionio a partire dal C del gruppo carbossilico, detto quindi carbionio 1 o carbionio 𝛼; l’ultimo cabonio è quello metilico e viene detto carbonio ω. Esempio: 18:1 ∆n -18 indica il numero di atomi di carbonio presenti nella catena -il numero dopo i “:” indica il numero di doppi legami, in questo caso 1 -∆ significa che la numerazione parte mettendo 1 sull’atomo carbossilico -l’esponente di ∆ dice in che posizione si trova il doppio legame -cis/trans spiega che tipo di configurazione si tratta Esempio: C18:2C ∆9,12 -18 atomi di carbonio -2 indica il numero di doppi legami -C sta per CIS cioè il tipo di configurazione -∆ significa che la numerazione parte dal carbonio carbossilico (se ci fosse ω si inizierebbe la numerazione dal metile terminale) - i doppi legami sono tra il carbonio 9 e 10 e tra quello 12 e 13 La nomenclatura stenografica condensa quindi in una serie di numeri e siglie le informazioni di carattere strutturale degli acidi grassi. Per precisione non si dovrebbe parlare, per esempio, di acido stearico o acido oleico ma di stearato e di oleato perché in condizioni fisiologiche abbiamo gli acidi grassi in forma ionizzata e quindi non in forma di acidi carbossilici ma di acidi carbossilici deprotonati. 6 Rigano/Buzio 23 Bioingegneria chimica (Boffito) 17/12/2020 La maggior parte degli acidi grassi che troviamo all’interno dei sistemi biologici continene un numero di atomi di carboio pari anche se ci sono delle eccezioni con numero di carboni dispairi. Tipicamente le catene sono molto lunghe con un numero di atomi di carbonio compreso tra 14 e 24; sono molto frequenti gli acidi grassi che hanno 16 e 18 atomi di carbonio. Negli acidi grassi animali la catena idrocarburica è lineare e la configurazione dei doppi legami è quasi sempre CIS con alcune eccezioni. Negli acidi grassi polinsaturi i doppi legami sono sempre separati tra loro da almeno un gruppo metilenico. La natura della catena alifatica che costituisce la coda idrofobica dell’acido grasso è un determinante delle caratteristiche fisiche degli acidi grassi che a loro volta vanno a determinare anche come vengono influenzate le caratteristiche dei lipidi di cui fanno parte e il comportamento delle membrane biologiche. Il fatto che la catena idrocarburica sia più o meno lunga o contenaga uno o più doppi legami va a spostare significativamente il punto di fusione. Possiamo vedere come la presenza di doppi legami vada a influenzare significativamente il punto di fusione infatti confrontando l’acido grasso C18:0 (saturo) con C18:1, si osserva come la temperatura di fusione passa da circa 70°C a 16°C quindi la presenza di doppi legami a parità di lunghezza della catena abbassa i punto di fusione. Inoltre più la catena è lunga più il punto di fusione aumenta. Quindi catene più corte e catene che hanno più doppi legami, quindi un grado di saturazionepiù elevato, sono caratterizzati da una maggiore fluidità e una minore temperatura di fusione. Il fatto che delle sostanze lipidiche contengano acidi grassi a catena più corta o a più alto grado di insaturazione comporta che siano sostanze lipidiche più fluide quindi con temperature di fusione più basse. Ciò ha dei risvolti anche dal punto di vista pratico, infatti lipidi diversi a temperatura ambiente hanno uno stato diverso che è correlabile alla composizione, in termini di acidi grassi. 7 Rigano/Buzio 23 Bioingegneria chimica (Boffito) 17/12/2020 Dove abbiamo acidi grassi saturi essi possono impacchettersi finemente dando originie a struttutre ben definite e organizzate. Viceversa quando sono presenti doppi legami (cis), il grado di impacchettamento è inferiore perché le varie curvature lungo la catena idrocarburica vanno a dare orgine a degli ingombri che impediscono l’interazione tra gli acidi grassi. Ciò influenza il grado di fluidità e la funzionalità delle membrane. La presenza di catene idrocarburiche di acidi grassi insaturi fa si che si possa raggiungere un grado di impacchettamento inferiore rispetto a quello ottenibile laddove siano presenti catene idrocarburiche di acidi grassi saturi. Dal punto di vista dell’organizzazione spaziale gli acidi grassi si posizionano nello spazio per minimizzare il loro contenuto energetico; è per questo che gli acidi grassi saturi hanno la loro catena idrocarburica a bastoncino perché a questa configurazione corrisponde un minor contentuto energetico. Si raggiunge una condizione di questo tipo perché nella catena di acidi grassi saturi non ci sono doppi legami: il grado di mobilità della catena è molto alto perché a livello di ogni legame C-C abbiamo una libera rotazione intorno al legame stesso quindi la catena può srotolarsi e allungarsi per raggiungere la condizione a minor contenuto energetico. Ciò non accade con il doppio legame perché impedisce la rotazione intorno al legame stesso e infatti ci sono delle curvature. Esteri del glicerolo Acidi grassi presenti in grandi quantità all’interno degli organismi che vengono assunti con la dieta e costituiscono la fonte di energia. In particolare possiamo avere trigliceridi o sostanza lipidiche simili ad essi ma con un numero di molecole di acidi grassi legate allo scheletro minore. Quando parliamo di acilgliceroli ci rifermiamo a lipidi in cui gli acidi grassi sono legati covalentemente ad uno scheletro comune di glicerolo (un trialcol) del quale ciascun ossidrile può legarsi a una molecola di acido grasso tramite un legame di tipo estereo. Quindi possiamo avere dei monogliceridi, digliceridi o trigliceridi a seconda che siano legati uno, due o tre acidi grassi allo scheletro di glicerolo. La reazione che porta alla formazione di queste sostanze lipidiche è una reazione di esterificazione in cui il gruppo ossidrile del glicerolo reagisce con il gruppo carbossilico dell’acido grasso con la liberazione di una molecola d’acqua. Gli acidi grassi non sono mai liberi ma in forma legata (sono liberi solo se la sostanza lipidica viene degradata tramite reazione di idrolisi mediata da un enzima detto lipasi). 8 Rigano/Buzio 23 Bioingegneria chimica (Boffito) 17/12/2020 Tra gli esteri del gligerolo, i trigliceridi sono quelli che troviamo più abbondantemente e sono quelli che svolgono le funzioni di riserva energetica, sono fonte di enegia perchè costituiscono la maggior parte dei lipidi assunti con la dieta, e svolgono funzioni in termidi di isolamento termico e protezione dell’organismo. I trigliceridi possono essere saturi o insaturi in base alla natura delle loro molceole di acido grasso: se queste sono tutte e tre sature si parla di trigliceride saturo, se tra le molecole almeno una presenta doppi legami si parla di trigliceridi insaturi. Se le catene sono tutte e tre uguali si parla di trigliceridi semplici, altrimeni sono detti trigliceridi misti. Lipidi come costituenti delle membrane biologiche I lipidi che costituiscono le membrane biologiche di batteri ed eucarioti sono tre: fosfolipidi glicolipidi colesterolo Tra i fosfolipidi verranno analizzati i glicerolofosfolipidi e sfingolipidi (che a seconda dei gruppi che legano sono dei fosfolipidi o glicolipidi). Esise poi una particolare famiglia di lipidi di mebrana che sono i lipidi con legame etere che non verranno analizzati perché non costituiscono le membrane biologiche di eucarioti e batteri ma degli archea. Essi sono organismi unicellulari appartenenti al regno degli archeobatteri1. Questi lipidi sono diversi da quelli che costituiscono le membrane biologiche di eucarioti o batteri perché mentre in questi ultimi ci sono legami estere o legami ammidici, questi lipidi particolari presentano come tipo di legame che unisce le catene apolari con il glicerolo con legami di tipo etere e inoltre le catene sono estremamente ramificate e non linerari. Ci sono tutte queste diferenze perchè le condizioni di vita di questi organismi unicellulari sono estremamente drastiche (alte temperature, PH molto acidi, alte concentrazioni saline ecc) e quindi servono delle membrane molto più resistenti. Come principali componenti delle membrane cellulari abbiamo fosfolipidi e glicolipidi, che sono sponificabili, e il colesterolo, che è uno steroide, quindi un lipide non saponificabile. 1 Batteri e archea costituiscono la famiglia dei procarioti. 9 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 LIPIDI, MEMBRANE, MECCANISMI DI TRASPORTO LIPIDI COME COSTITUENTI DELLE MEMBRANE BIOLOGICHE In questa lezione si affronteranno quali sono le principali caratteristiche di ciascuna delle tre famiglie di lipidi costituenti le membrane biologiche:  Fosfolipidi  Glicolipidi  Colesterolo FOSFOLIPIDI I fosfolipidi sono, tra le tre famiglie viste, quella principale, cioè quella che va a costituire per la maggior parte le membrane biologiche. Da cosa sono costituiti? Quando si parla di fosfolipidi si intendono i lipidi di cui è possibile identificare una piattaforma, cui sono legate delle molecole di acido grasso che vanno a costituire una parte idrofobica all’interno della molecola. A questa piattaforma è anche legata una componente di natura idrofilica. A seconda della natura della piattaforma cui vanno a legarsi queste componenti, è possibile parlare nello specifico di fosfogliceridi e di sfingolipidi Nei fosfogliceridi la piattaforma a cui sono legate la parte idrofobica e la parte idrofilica è una piattaforma di glicerolo, quindi un trialcol (tre atomi di C) che ha tre terminali ossidrilici, i quali vengono utilizzati nella costituzione dei fosfogliceridi per andare a legare la parte idrofobica e la parte idrofilica. In particolare, nel caso dei fosfogliceridi si ha che i gruppi ossidrilici degli atomi di carbonio in posizione 1 e 2 legano due molecole di acido grasso e il legame avviene tra il gruppo OH del glicerolo e il gruppo COOH dell’acido grasso (legame di tipo estereo). In posizione 3 va ad 1 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 attaccarsi un alcol fosforilato, cioè un gruppo fosfato a cui è legato tramite legame estereo un alcol. I fosfogliceridi sono dunque dei lipidi di membrana che comprendono acidi grassi legati con legame estere ad una piattaforma (in questo caso al glicerolo), un gruppo fosfato ed un alcol legato al fosfato stesso. Nel caso in cui la piattaforma sia di natura diversa si parla di sfingolipidi e la piattaforma che viene utilizzata è la sfingosina, un amminoalcol contenente una lunga catena idrocarburica insatura. Come si vede infatti nella figura a pag. 1 la sfingosina presenta una catena in alto idrocarburica insatura (perché presenta un doppio legame) che fornisce idrofobicità alla molecola ed è un amminoalcol perché presenta un –OH e un –NH2. In particolare negli sfingolipidi il gruppo amminico va a legare un acido grasso (R1 nell’immagine) e, a differenza dei fosfogliceridi, quest’ultimo è legato alla piattaforma attraverso un legame ammidico. Inoltre sul gruppo OH è legato un altro gruppo (R2) che conferisce una parte idrofilica alla molecola. Qual è la natura della componente idrofilica? Si ha sempre il gruppo fosfato cui è legato un alcol. In realtà esiste un fosfogliceride che non ha l’alcol legato e quindi termina con un gruppo fosfato (invece dell’alcol si ha un idrogeno). Il composto risultante è il fosfogliceride più semplice e prende il nome di fosfatidato (o diacilglicerolo 3-fosfato o acido fosfatidico). Il fosfatidato non è molto presente nelle membrane cellulari, la maggior parte dei fosfogliceridi che vanno a costituire le membrane biologiche sono dei fosfogliceridi dove al posto dell’atomo di idrogeno c’è un alcol che è legato al gruppo fosforico del fosfatidato tramite un legame di tipo estereo. 2 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 La natura del gruppo sostituente di testa è molto variabile. Quindi a seconda della natura della componente idrofilica che è legata al gruppo fosfato cambia nella pratica il nome del fosfogliceride che viene preso in esame. Non è richiesto di sapere a memoria il nome dei fosfogliceridi; bisogna sapere che il fosfogliceride più semplice è quello ha l’idrogeno come gruppo sostituente di testa, che prende il nome di acido fosfatidico o fosfatidato. Diversamente, il gruppo sostituente di testa sarà un alcol legato al gruppo fosfato tramite un legame di tipo estereo. In figura è riportata la struttura principale dei fosfogliceridi (in giallo). È graficato in arancione il glicerolo che è legato su un lato a due catene di acidi grassi (che possono essere di natura diversa) e sull’altro lato il gruppo fosfato a cui si va a legare il gruppo sostituente di testa (azzurro) che va a costituire la componente idrofilica del fosfogliceride, che può avere natura diversa a seconda del gruppo sostituente che va ad attaccare il gruppo fosfato. Per quanto riguarda gli sfingolipidi, invece, sono una categoria di lipidi che appartiene sia ai fosfolipidi sia ai glicolipidi. Cosa determina il fatto che siano annoverati come fosfolipidi o come glicolipidi? La natura della testa idrofilica che è legata alla sfingosina. Si vede infatti che si ha in tutti i fosfolipidi la piattaforma di sfingosina cui è legato un acido grasso e al tutto è legata una componente di natura idrofilica. A seconda della natura della componente idrofilica si può avere uno sfingolipide che ha il comportamento e la natura dei fosfolipidi, oppure degli sfingolipidi che invece hanno la struttura tipica dei glicolipidi. In particolare gli sfingolipidi che appartengono ai 3 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 glicolipidi hanno una componente idrofilica di natura saccaridica, glucidica. Diversamente quando si hanno sfingolipidi che appartengono ai fosfolipidi, la componente idrofilica è formata da un gruppo fosfato (PO4) cui è legata una molecola di colina. Gli sfingolipidi sono dunque formati dallo scheletro della piattaforma sfingosina (identificato in arancione) in cui è presente una catena idrocarburica insatura che è parte della sfingosina stessa e che conferisce idrofobicità. In aggiunta a questa catena si ha un acido grasso legato al gruppo amminico della sfingosina tramite un legame ammidico (cerchiato in rosso) tra il gruppo amminico NH2 della sfingosina e il gruppo carbossilico dell’acido grasso, che contribuisce anch’esso a dare idrofobicità. Dopodiché si ha un gruppo sostituente di testa che va a costituire la porzione idrofilica del lipide e, in base alla sua natura, si possono avere o degli sfingolipidi che appartengono ai fosfolipidi (es. la sfingomielina che ha come gruppo sostituente di testa un gruppo fosfato cui è legata una molecola di colina), o degli sfingolipidi il cui gruppo di testa sostituente è un gruppo di testa di natura glucidica (in questi casi si parla di glicosfingolipidi) che appartengono ai glicolipidi. Quindi in questi sfingolipidi si ha sempre un acido grasso legato al gruppo NH2, mentre il gruppo sostituente legato al gruppo ossidrilico della sfingosina è un gruppo costituito da una catena saccaridica che comprende una o più molecole di zucchero. Il glicosfingolipide più semplice è la ceramide in cui non è presente un gruppo di testa sostituente quindi il gruppo X, di fatto, corrisponde ad un idrogeno (dunque il terminale è di tipo –OH). Le ceramidi a livello biologico funzionano come segnalatori cellulari nei processi di differenziamento, proliferazione ed apoptosi cellulare. Entrando più nel dettaglio di quali sono i ruoli che queste macromolecole svolgono a livello biologico, essi entrano in gioco nei processi di protezione della membrana, hanno degli effetti di natura elettrica (vanno ad alterare il campo elettrico e la concentrazione di ioni), lavorano come isolanti elettrici (questo nel caso specifico nella mielina) o entrano in gioco nei meccanismi di adesione, proliferazione cellulare come visto nel caso delle ceramidi. 4 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 SFINGOMIELINA Entrando più nel dettaglio, si sono descritti gli sfingolipidi come elementi che vanno a creare isolamento elettrico e in particolare va a costituire l’isolamento elettrico delle fibre nervose un particolare sfingolipide che è la sfingomielina. La sfingomielina è quel lipide che costituisce la guaina mielinica che avvolge le fibre nervose e che costituisce il loro isolamento elettrico. Danni a livello della guaina stessa o a livello dei geni che codificano la sintesi di questo particolare sfingolipide sono gli elementi che poi portano all’insorgenza di patologie associate all’isolamento termico delle fibre nervose. GLICOSFINGOLIPIDI Si è trattato degli sfingolipidi come degli elementi appartenenti al cappello dei glicolipidi quando la componente idrofilica è costituita da una parte di natura glucidica. All’interno di questi glicosfingolipidi si può identificare il più semplice che prende il nome di cerebroside, che ha come componente zuccherina legata al gruppo OH un singolo residuo di zucchero, o glucosio o galattosio. Altrimenti esistono glicosfingolipidi più complessi che contengono catene di residui di zucchero, fino a un massimo di 7, che possono essere ramificate. A livello della membrana questi lipidi vanno ad orientarsi in maniera tale che la componente glucidica sia rivolta verso l’esterno. Quindi i glicosfingolipidi sono sempre posizionati in maniera tale che la componente zuccherina sia verso l’ambiente extracellulare della membrana. COLESTEROLO Il colesterolo è un lipide che appartiene alla famiglia degli steroidi, di conseguenza è un lipide non saponificabile. Gli steroidi sono costituiti da uno scheletro che è comune a tutti (nella figura è rappresentato dagli anelli ABCD legati tra loro). Gli steroidi si differenziano in base ai sostituenti che legano questi anelli. In particolare nel caso specifico del colesterolo al nucleo tipico degli steroidi (nucleo steroideo) è legata una catena laterale alchilica che conferisce un comportamento fortemente 5 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 idrofobico in aggiunta a quel comportamento idrofobico che già viene dato dal nucleo steroideo, mentre dall’altra parte è legato un gruppo ossidrile che va a costituire una testa polare. Il posizionamento del colesterolo è tale per cui la testa polare OH viene rivolta verso la testa idrofilica dei lipidi di membrana in modo tale da interagire con la testa polare idrofilica dei lipidi di membrana con dei legami a idrogeno. Quali sono le funzioni che il colesterolo svolge all’interno della membrana? Il colesterolo interviene nella formazione e nella riparazione delle membrane cellulari, è il precursore della vitamina D, degli ormoni steroidei e degli ormoni sessuali, è contenuto nell’emoglobina ed è il precursore dei sali biliari. Nelle membrane la catena è orientata parallelamente alla catena di acidi grassi dei fosfolipidi, mentre il gruppo -OH interagisce con i gruppi di testa dei fosfolipidi. Come è fatta nella pratica la membrana e come cambia il comportamento e lo stato di aggregazione dei fosfolipidi o dei glicolipidi che la costituiscono in funzione della temperatura? Quello che avviene se si è a basse temperature, in generale, è che le catene degli acidi grassi sono ben organizzate (cioè sono ben impacchettate, c’è un elevato grado di ordine) e interagiscono fortemente tra loro, la consistenza della membrana è di tipo gel. Diversamente, quando aumenta la temperatura, aumenta lo status di movimento delle catene degli acidi grassi e quindi le membrane perdono il grado di ordine che avevano e di conseguenza se prima si poteva dire che la membrana aveva la consistenza di un gel ci si trova a dire che la membrana è di consistenza di tipo fluido. A livello biologico (quindi alla temperatura fisiologica di 37°C) le membrane hanno una consistenza di tipo fluido perché questa è necessaria per consentire il passaggio di alcune sostanze attraverso la membrana stessa e soprattutto per favorire il processo di crescita e di riproduzione. Il colesterolo a livello delle membrane biologiche si posiziona parallelamente alle molecole di acido grasso e, in particolare, la sua testa polare che è costituita da un gruppo ossidrilico è posizionata in maniera tale che possa interagire con le teste idrofiliche polari dei lipidi di membrana tramite delle iterazioni come il legame a idrogeno che vanno a conferire stabilità anche al posizionamento del colesterolo all’interno della membrana stessa. La presenza del colesterolo è un fattore determinante per la fluidità delle membrane: il fatto stesso che tra i vari lipidi di membrana ci siano intercalate delle molecole di colesterolo va a diminuire la fluidità a temperature troppo elevate. Alle temperature più basse invece va a favorire 6 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 la fluidità perché il fatto stesso che tra i vari lipidi di membrana ci siano delle molecole di colesterolo va a disturbare i processi di impacchettamento tra i lipidi di membrana e di fatto va a ridurre la tendenza alla gelificazione. Inoltre il colesterolo per il fatto stesso di posizionarsi tra i vari lipidi di membrana va a creare una sorta di disordine rispetto all’impacchettamento dei lipidi e crea quindi delle lacune (degli spazi) tra i lipidi che vanno a creare dei piccoli canali attraverso i quali piccoli ioni possono attraversare il doppio strato lipidico. STRUTTURA DEI LIPIDI DI MEMBRANA I lipidi di membrana solo delle molecole in cui si può distinguere una componente idrofilica ed una componente idrofobica. Il fatto stesso che ci siano queste due componenti di comportamento opposto fa sì che quando i lipidi si trovano in un ambiente di natura acquosa tendono ad organizzarsi nell’ottica di minimizzare il contatto delle parti idrofobiche con l’ambiente acquoso e massimizzare il contatto delle parti idrofiliche con l’ambiente acquoso. Il fatto che si formino strutture di natura diversa dipende dal tipo di molecola anfipatica che si considera e dal suo ingombro spaziale. Si è visto nel caso degli acidi grassi singoli che in ambiente acquoso tendono ad organizzarsi in forma di strutture micellari. Quando si parla invece di lipidi di membrana (macromolecole più complesse e grosse) la tendenza è quella di organizzarsi in dei doppi strati lipidici costituiti da due monostrati, che prendono il nome di foglietti, che vanno ad assemblarsi in maniera tale da identificare un doppio strato interno di natura idrofobica e sull’esterno idrofilica. Esiste un’altra possibile struttura che va sotto il nome di liposomi che non si formano spontaneamente ma bisogna indurne la formazione tramite dei processi di sonicazione. Nel settore biomedicale strutture di questo tipo vengono utilizzate per applicazioni nel rilascio di farmaco (applicazioni di tipo clinico o sperimentale). Gli acidi grassi tendono a costituire micelle mentre i lipidi di membrana tendono ad organizzarsi in doppi strati lipidici. Questa diversa tendenza va correlata con il loro ingombro sterico: mentre nel caso degli acidi grassi la struttura è una struttura di tipo cono (una testa e una coda) che insieme vanno a posizionarsi dando origine a una struttura di tipo sferico micellare, nel caso dei lipidi di membrana la struttura è assimilabile a quella di un cilindro (una testa e più code). Strutture di tipo cilindrico faticano ad organizzarsi in una sfera ma tendono a dare origine al doppio strato. 7 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 Il doppio strato si forma quindi in maniera spontanea tramite un processo di autoassemblaggio che avviene molto rapidamente ed è anche un processo cooperativo: quando i lipidi di membrana si trovano all’interno di un ambiente acquoso tendono spontaneamente a cooperare per dare origine a una struttura che va a minimizzare il contenuto energetico. Le forze che concorrono a dare origine al doppio strato sono: forze idrofobiche, forze di Van der Waals, attrazioni elettrostatiche e legami idrogeno. Cosa può attraversare la membrana? Il doppio strato fosfolipidico è permeabile soltanto a una piccola selezione di molecole che devono avere particolari proprietà per riuscire ad attraversare il doppio strato. In questa immagine si vede identificate col colore azzurro tutte le famiglie di molecole che possono attraversare il doppio strato lipidico liberamente: tra esse troviamo: i gas (ossigeno e anidride carbonica), le molecole idrofobiche apolari (es. benzene, riescono ad attraversare la membrana perché sono liposolubili) e piccole molecole polari (es. l’acqua, che però passa anche attraverso specifici canali). Perché queste molecole polari prive di carica possono attraversare la membrana nonostante la loro non affinità con il doppio strato lipidico? Perché sono piccole, perché non presentano cariche e soprattutto perché c’è un’elevata concentrazione di molecole di questo tipo e questo va a favorire la possibilità di attraversare la membrana stessa. Diversamente, non attraversano la membrana le grosse molecole polari (es. amminoacidi e glucosio), molecole che presentano cariche e ioni. Quando ci si trova ad avere qualcosa che attraversa spontaneamente la membrana quello che succede è descritto brevemente in queste poche righe: 8 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 Laddove ci sono molecole che devono attraversare la membrana ma non lo possono fare semplicemente attraversando direttamente il doppio strato lipidico è necessario sfruttare delle proteine di membrana che svolgono il ruolo di elemento trasportatore. Le proteine di membrana:  Trasportano sostanze (nutrienti e cataboliti) ed informazioni attraverso la membrana  Bloccano l’entrata di materiale indesiderato e mantengono all’interno metaboliti essenziali  Mantengono la giusta composizione ionica, il corretto pH e la corretta pressione osmotica del citosol A seconda della natura della membrana biologica cambia il contenuto di proteine in maniera tale che essa possa svolgere correttamente il proprio compito. Come possono essere queste proteine di membrana? Possono essere di natura estremamente diversa, in particolare possiamo avere delle proteine integrali di membrana che vanno ad attraversare completamente il doppio strato lipidico (transmembranali) o attraversano completamente un monostrato. Dall’altra parte si possono avere delle proteine periferiche di membrana che possono essere associate o a delle altre proteine di membrana con delle interazioni di tipo non covalente, idrofobico o legami idrogeno (come si vede nell’immagine), oppure a dei lipidi tramite delle interazioni di tipo debole (es. interazioni elettrostatiche o legami a idrogeno o legami covalenti). 9 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 La slide seguente riassume le funzioni delle proteine di membrana. Tutte le membrane biologiche presentano di fatto delle caratteristiche comuni:  Sono impermeabili alla maggior parte dei soluti carichi o polari ma sono permeabili a gas, composti non polari o molecole polari molto piccole non cariche (come l’acqua);  Hanno uno spessore variabile tra 5 e 8 nm. Esiste una teoria che va a descrivere il comportamento e la natura di tutte le membrane biologiche che va sotto il nome di modello a mosaico fluido. Le membrane biologiche vengono assimilate a delle soluzioni bidimensionali di lipidi orientati e di proteine globulari. Il doppio strato lipidico funziona da solvente per le proteine integrali di membrana e come barriera di permeabilità. La fluidità del mosaico è data dal fatto che le interazioni tra i suoi componenti sono non covalenti. Questo implica che le componenti della membrana siano componenti che hanno una discreta mobilità. A contribuire alla fluidità entra in gioco il ruolo del colesterolo. 10 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 Il fatto che ci siano delle interazioni non covalenti fa sì che si abbia mobilità nelle componenti della membrana e in particolare i movimenti che possono avvenire sulle componenti della membrana biologica sono dei movimenti liberi di rotazione o di traslocazione (cioè di diffusione laterale). Questi movimenti avvengono a livello sia dei lipidi sia delle proteine di membrana a meno che queste non siano vincolate da specifiche interazioni. Diversamente si possono ottenere processi di diffusione trasversale (“flip-flop”) quando si ha che il componente che è per esempio nel versante extracellulare passa nel versante intracellulare. Il movimento è più difficile dal momento che è necessaria una traslocazione. È un processo più lento che avviene a livello dei lipidi, in particolare nel caso delle molecole di natura fosfolipidica questo processo di flip-flop avviene una volta ogni parecchie ore. Nel caso delle proteine è richiesto un apporto di energia superiore rispetto alle molecole fosfolipidiche poiché presentano regioni polari più estese; inoltre il loro posizionamento nella membrana è ben definito e specifico per far si che il movimento di ciò che la attraversa avvenga nella direzione corretta, quindi la traslocazione provocherebbe un’inversione di questi flussi. Questa versatilità posizionale delle componenti della membrana va a contribuire alla natura asimmetrica della membrana stessa. Questa asimmetria è sia strutturale che funzionale. Nel caso delle proteine esse hanno un orientamento peculiare, il loro posizionamento va poi a determinare la direzione del movimento delle molecole attraverso le membrane biologiche stesse. Le rotazioni di tipo flip-flop sulle proteine (sulle pompe di membrana) sono molto rare e rese difficili sia dalla necessità di fornire energia ma anche sconvenienti perché andrebbero a invertire il flusso corretto delle molecole e ioni attraverso le membrane stesse. I lipidi tendono a spostarsi e in particolare il fatto che un lipide tenda a spostarsi di più o meno rispetto a un altro è legato alla natura delle sue componenti idrofiliche ed idrofobiche (soprattutto la componente idrofilica), specialmente per quanto riguarda il movimento flip-flop (i lipidi tendono a stare solo nella parte del foglietto extracellulare e ad avere la parte di natura glucidica, lo zucchero, rivolta verso la parte extracellulare essendo la parte più idrofilica della molecola). Il colesterolo non ha preferenze, lo si trova presente sia sul foglietto rivolto verso lo spazio intra- cellulare, sia sul foglietto rivolto verso lo spazio extra-cellulare. 11 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 GLICOPROTEINE DI MEMBRANA Le glicoproteine sono delle particolari macromolecole presenti sulla membrana. Sono il risultato della combinazione di una componente glucidica e una componente proteica. Sono delle particolari proteine di membrana dove la componente proteica (come si vede nell’immagine) è immersa all’interno del doppio strato lipidico mentre la componente di natura glucidica è esposta verso l’esterno. Svolgono ruoli di:  Stabilizzazione strutturale della cellula tramite formazioni di legami a idrogeno tra glicoproteine e glicolipidi  Mantenimento della coesione dei tessuti (l’estensione della rete di legami che conferisce stabilità anche alle cellule adiacenti permette fenomeni di adesione cellula/cellula e stabilizza i tessuti)  Coinvolti nella comunicazione intercellulare (le catene glucidiche sono il target di molecole segnale che permettono la comunicazione attraverso ad esempio le vie ormonali)  Interazione con meccanismi patogeni (esistono virus e batteri che sfruttano le glicoproteine come bersaglio per poter interagire con la cellula). TRASPORTO ATTRAVERSO LE MEMBRANE Quando si parla di meccanismi di trasporto attraverso la membrana cellulare si intendono quei meccanismi di trasporto che possono avvenire in due modi differenti:  Trasporto passivo: quando si fa riferimento al trasporto di molecole attraverso la membrana che avviene secondo gradiente di concentrazione (da dove la concentrazione è più alta verso l’ambiente dove la concentrazione è più bassa). È un meccanismo di trasporto che non richiede fornitura di energia per avvenire, avviene in maniera spontanea ed è equilibrante (cioè tende a portare la molecola verso una distribuzione uniforme tra i due ambienti separati dalla membrana stessa).  Trasporto attivo: è necessaria, affinché il trasporto possa avvenire, una fornitura di energia metabolica. Nei meccanismi di traporto attivo si ha il movimento delle molecole contro gradiente di concentrazione. I trasporti attivi sono disequilibranti perché le particelle vengono accumulate da un lato e non sono spontanei in quanto richiedono energia dall’esterno. 12 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 Quando si parla di trasporto passivo, si fa riferimento a un trasporto che sfrutta processi di diffusione affinché il passaggio possa avvenire. Si parla di diffusione semplice o diffusione facilitata. Se si parla di trasporto attivo, si fa riferimento a quei meccanismi di trasporto che sfruttano la formazione di vescicole affinché possa avvenire il passaggio attraverso la membrana o meccanismi di trasporto attivo che possono essere di natura primaria o secondaria che vanno a sfruttare particolari proteine di membrana per consentire il trasporto contro gradiente di determinate molecole. I meccanismi di trasporto a prescindere dal fatto che siano attivi o passivi possono essere di tipo: uniporto, simporto e antiporto in base a ciò che viene trasportato, come spiegato nell’immagine. 13 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 TRASPORTO PASSIVO Il trasporto di tipo passivo è un trasporto che avviene tramite diffusione. La diffusione può essere di tipo semplice (passaggio diretto di certe sostanze attraverso la membrana senza bisogno di alcun “aiuto” ma determinato esclusivamente dalla natura della sostanza) o facilitata (mediata dalla presenza di specifiche proteine di membrana che vanno a costituire dei canali attraverso i quali determinate molecole possono attraversare la membrana stessa per effetto di un gradiente di concentrazione). Diffusione semplice attraverso la membrana: la sostanza passa direttamente attraverso il bilayer fosfolipidico (riguarda alcuni gas, molecole apolari liposolubili non cariche come il benzene, piccole molecole idrosolubili prive di carica e con peso molecolare minore di 100-120 Da) Diffusione facilitata: diffusione attraverso canali costituiti da proteine integrali di membrana organizzate in subunità che attraversano da parte a parte la membrana e determinano pori proteici attraverso di essa. Esistono due tipi di diffusione facilitata: a) tramite un canale di tipo ionico che mette direttamente in comunicazione i due ambienti extra-cellulare e intra-cellulare. Si ha cioè una proteina che presenta al proprio interno un canale di passaggio tale per cui la specie che può attraversarlo tende a muoversi liberamente dall’ambiente in cui è presente a concentrazione più alta verso quello dove è presente a concentrazione più bassa; b) attraverso delle proteine carrier che consentono il passaggio da una parte all’altra solo in determinate condizioni. Come si vede dall’immagine, la proteina è una proteina integrale di membrana che non crea un tunnel continuo. In particolare la proteina nel caso specifico di questa immagine è inizialmente aperta verso l’ambiente extra-cellulare. Nel momento in cui la specie che deve 14 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 passare entra, la proteina la riconosce e tende a cambiare la sua conformazione andando a chiudersi sull’ambiente extra-cellulare e aprirsi sull’ambiente intra-cellulare. Questo (b) è il meccanismo attraverso il quale avviene il trasporto di glucosio attraverso le membrane biologiche. Il glucosio viene trasportato in maniera facilitata attraverso delle specifiche proteine carrier che prendono il nome di trasportatori glucosio permeasi. Il meccanismo è descritto dall’immagine. Si ripetono le molecole che passano per diffusione semplice:  gas  molecole liposolubili (benzene, vitamine liposolubili A, D, K, ormoni steroidei). Data la loro natura sono solubili all’interno del doppio strato lipidico, quindi nel momento in cui vanno incontro a desolvatazione (rimozione del guscio d’acqua che le avvolge) riescono a entrare nella membrana, si solubilizzano all’interno del doppio strato e riescono ad attraversarlo  piccole molecole polari prive di carica con peso molecolare minore di 100-120 Da, come acqua e etanolo Il trasporto passivo mediato da proteine carrier è un trasporto passivo altamente specifico. Questo perché i sistemi che operano in questo modo funzionano sono nel momento in cui entra nella proteina carrier quella specifica molecola che può essere trasportata. Quindi il comportamento di queste proteine integrali di membrana va a richiamare quello che è il comportamento che si è descritto nel caso degli enzimi. Il trasporto passivo mediato da carrier sarà dunque caratterizzato da:  Specificità: il trasporto è affidato ad un sistema che opera solo per una particolare sostanza o gruppo di sostanze simili  Saturazione: l’intensità del flusso non aumenta in modo proporzionale al gradiente di concentrazione della sostanza trasportata, ma al crescere del gradiente tende asintoticamente ad un limite massimo  Competizione: quando due sostanze simili utilizzano lo stesso sistema di trasporto, il trasporto dell’una tende ad inibire il trasporto dell’altra 15 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 Tutti i trasporti mediati (cioè che sfruttano proteine come canali) hanno il comportamento rappresentato nel grafico seguente, cioè vanno incontro a saturazione. Osmosi attraverso la membrana o attraverso acquaporina: l’acqua è una di quelle poche molecole polari che riescono ad attraversare la membrana liberamente. Lo fanno per diffusione semplice che, nel caso specifico dell’acqua, prende il nome di osmosi. D’altra parte l’acqua può anche attraversare la membrana mediante delle specifiche proteine di membrana che trasportano selettivamente l’acqua, che prendono il nome di acquaporine. TRASPORTO ATTIVO Quando si parla di trasporto attivo ci si riferisce a quella categoria di meccanismi di trasporto che ha bisogno di una fornitura di energia affinché il trasporto possa avvenire. Questo perché il trasporto attivo avviene contro-gradiente ed è, quindi, un trasporto disequilibrante che spontaneamente non avverrebbe. Esistono due tipi di trasporto attivo:  Trasporto attivo primario: si ha una fornitura di energia che va a determinare la possibilità di una molecola di passare da un ambiente all’altro contro-gradiente. La fornitura di energia avviene andando a degradare una o più molecole di ATP. Uno dei tre gruppi fosfato che sono legati alla molecola di ATP viene staccato e essendo i legami tra questi gruppi fosfato dei 16 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 legami ad alto contenuto energico, nel momento in cui avviene la rottura di uno di questi legami e la conseguente liberazione di un di gruppo fosfato, viene liberato un discreto quantitativo di energia che consente alla cellula di mettere in atto dei processi indispensabili, tra cui anche i processi di trasporto attivo. Il trasporto attivo primario può avvenire tramite delle specifiche pompe di membrana ATP- dipendenti che a seconda di come lavorano vengono classificate in maniera diversa. Non si deve sapere nel dettaglio come funzionano ma solo quanto riportato nelle slide che seguono. Per quanto riguarda le proteine ABC-ATPasi il trasporto prevede l’accoppiamento dell’ATP su certe subunità e delle variazioni conformazionali della pompa per far sì che la specie che entra all’interno della pompa possa poi essere rilasciata dall’altra parte. Alcuni di questi trasportatori di tipo ABC, detti Multidrug Trasporters, contribuiscono alla resistenza farmacologica delle cellule tumorali in quanto sono in grado di espellere dalla cellula i farmaci antitumorali. Le pompe di tipo P sono specializzate nel trasporto degli ioni. Appartengono a questa categoria la pompa Na+/K+, la H+/K+, la pompa degli ioni calcio e la pompa Sodio-Potassio (Na+-K+). La pompa Sodio-Potassio è una pompa di tipo antiporto: si hanno due specie, ioni sodio e ioni potassio, che si muovono tra l’ambiente intra-cellulare ed extra-cellulare. Il passaggio delle due specie avviene in contemporanea sfruttando lo stesso canale ma in direzioni opposte: gli ioni sodio vengono portati dall’interno all’esterno della cellula (dall’ambiente intra all’ambiente extra), viceversa, gli ioni potassio vengono portati dall’esterno verso l’interno della cellula (dall’ambiente extra all’ambiente intra). La pompa sodio-potassio è una pompa che può essere definita elettrogenica dal momento che, come si vede dall’immagine, va a trasportare nello stesso ciclo tre ioni sodio e due ioni potassio. 17 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 Il ciclo di attività di questa pompa è rappresentato in figura: Durante il passaggio la pompa subisce delle variazioni conformazionali che provocano delle variazioni di affinità per gli ioni Na e K. Ruolo fisiologico: crea gradienti per Na+ e K+ necessari per potenziali di membrana, potenziali d’azione, potenziali sinaptici.  Trasporto attivo secondario: si tratta di un trasporto che permette di trasportare una o più molecole contro-gradiente di concentrazione accoppiandole al trasporto di un’altra sostanza che avviene secondo-gradiente (trasporto accoppiato). La specie secondo-gradiente va di fatto a fornire quell’energia necessaria affinché anche la sostanza contro-gradiente possa muoversi. Le molecole cotrasportate possono andare nello stesso verso attraverso la membrana (simporto) oppure in verso opposto (antiporto). 18 Maniscalco/Musso 24 Bioingegneria Chimica (Tonda Turo) 21/12/2020 TRASPORTO MEDIATO DA VESCICOLE La membrana si invagina a formare una cavità nella quale sono presenti macromolecole/aggregati. La membrana poi si chiude formando una vescicola la quale alla fine si distacca dalla membrana stessa e può muoversi dall’esterno verso l’interno o viceversa. Esistono diversi tipi di endocitosi (rappresentati in figura): 19 Martinengo/Sacco 25 Bioingegneria chimica 07/01/2021 Metabolismo -una visione d’insieme- È un’analisi dei criteri generali, le linee guida della filosofia con cui l’energia nei sistemi viventi viene prodotta e trasformata e poi utilizzata per svolgere le funzioni che a questi competono. Il metabolismo energetico è un’attività che si svolge all’interno delle cellule principalmente e ha una forte coordinazione, cioè a questo sistema partecipano tantissime reazioni, che di fatto svolgono tre funzioni principali: Ricavano energia da una fonte esterna, che può essere, nel caso delle piante (gli autotrofi), la trasformazione da energia luminosa a energia chimica, oppure sfruttando l’energia contenuta nei nutrienti, sostanze ad alta energia demolite tramite la rottura dei legami chimici che le costituiscono (gli eterotrofi). Le attività di demolizione riguardano l’idrolisi di polimeri biologici, polisaccaridi, proteine e acidi nucleici che sono tenuti insieme da legami chimici che attraverso l’idrolisi, quindi la reazione di scissione mediata dall’acqua, possono generare delle specie a peso molecolare più basso, delle specie più piccole che chiamiamo monomeri che sono appunto per i polisaccaridi, i monosaccaridi o gli zuccheri, per le proteine sono gli aminoacidi e per gli acidi nucleici sono i nucleotidi. I trigliceridi sono delle molecole un po' particolari, non sono veri e propri polimeri ma sono degli assemblati delle macromolecole ottenute dalla reazione di glicerolo con acidi grassi. Funzione contraria: partire da molecole piccole e di costruirne di più grandi: alcune di queste molecole grandi le assumiamo con la dieta altre siamo in grado di sintetizzarle da soli. Possiamo sintetizzare polisaccaridi, proteine, acidi nucleici a partire dai loro monomeri, e ovviamente costruire trigliceridi facendo reagire il glicerolo con gli acidi grassi: reazione di idrolisi o reazioni di condensazione tra cui per esempio il glicerolo e gli acidi grassi creano una reazione di esterificazione (vedi chimica organica). Queste reazioni non avvengono in unico stadio, sono in genere il risultato di una sequenza di reazioni e quindi di tanti piccoli passaggi che vengono chiamati vie metaboliche o pathway metabolico ed ogni tappa è caratterizzata da uno specifico enzima; quindi tutte le reazione chimiche che troviamo nel metabolismo hanno una loro catalisi enzimatica e il prodotto che si forma di un passaggio è il reagente del passaggio successivo fino a che non si arriva al prodotto finale della via metabolica (→ quello che succede quando noi abbiamo delle trasformazioni metaboliche). Le strategie trofiche. In base a queste strategie, quindi in base a come un organismo o un essere vivente può ricavare energia si classificano gli organismi: - Organismi autotrofi: che sono in grado di sintetizzare tutti i loro componenti, quindi le molecole che gli servono per le funzioni vitali a partire da piccole molecole; quindi può essere acqua H2O, anidride carbonica CO2 o in casi più particolari l’ammoniaca NH3 e l’acido solfidrico H2S. 1 Martinengo/Sacco 25 Bioingegneria chimica 07/01/2021 - Una classe specifica di organismi autotrofi sono i fotoautotrofi (le piante), cioè sono quelli che sintetizzano scheletri carboniosi a partire da anidride carbonica e da acqua. - I chemiolitotrofi sono invece in grado di ossidare i composti inorganici per generare composti organici (es. prendono C dal carbonato) e poi proseguire nella strada di sintesi. - Organismi eterotrofi sono in grado di trasformare molecole organiche, come gli esseri umani; gli eterotrofi quindi dipendono dagli autotrofi, cioè dipendono dal nutrimento, dai materiali che vengono sintetizzati da questi ultimi. Quindi, i fotoautotrofi dalla CO2 con l’utilizzo della luce possono produrre sostanze che possono poi essere utilizzate dagli eterotrofi sotto forma di polimeri biologici, carboidrati, lipidi e proteine per generare anidride carbonica e ricavare energia. Lo stesso, ma in maniera più particolare, anche i chemiolitotrofi, a partire da sostanze diverse come NH3, H2S o CO2, possono produrre sostanze nutrienti disponibili per gli eterotrofi. Gli autotrofi possono essere aerobici o anaerobici, cioè sfruttare un metabolismo che utilizza ossigeno oppure che non lo utilizza. Le vie metaboliche. Lo schema indica le vie metaboliche presenti nei sistemi biologici: sono estremamente complesse, ci sono degli intrecci notevoli che sono comuni a tutti gli organismi; in alcuni casi ci sono delle particolarità per certi organismi e tutti questi processi avvengono all’interno delle cellule. Negli organismi cellulari più complessi possono avvenire in dei compartimenti cellulari come mitocondri, e quindi si hanno delle vie chiamate compartimentate e queste vie sono caratterizzate da reazioni chiave, cioè reazioni che indicano le direzioni di una via. Ci sono due vie principali: una via diretta, che produce energia demolendo i nutrienti e una via inversa che sintetizza i nutrienti utilizzando l’energia prodotta nei precedenti processi. Ci sono dei passaggi, delle reazioni che indicano la via. 2

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