Econometria - Copia PDF
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This document discusses techniques for analyzing international markets, focusing on the role of Infosys Technologies in globalization. It explores the concept of Global Value Chains (GVCs), and the factors driving their development, such as reduced costs, advanced communication, and trade liberalization. The document also analyzes the impacts of protectionism and the rise of Foreign Direct Investment (FDI).
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Tecniche di Analisi dei Mercati Internazionali 1 → Panoramica generale: la Infosys Technologies e la Globalizzazione La Infosys Technologies è una delle oltre 100 IT companies situate attorno a Bangalore, che è l’epicentro del settore informatico indiano. Ad oggi fattura annualmente circa $10.2 mili...
Tecniche di Analisi dei Mercati Internazionali 1 → Panoramica generale: la Infosys Technologies e la Globalizzazione La Infosys Technologies è una delle oltre 100 IT companies situate attorno a Bangalore, che è l’epicentro del settore informatico indiano. Ad oggi fattura annualmente circa $10.2 miliardi, nonostante sia stata fondata nel 1981 con sole ₹1,000. Per via dell’esiguo costo della manodopera, negli anni ‘80 le imprese americane andavano lì a testare i software. Ciò ha portato, tramite il knowledge spillover1, le aziende locali ad acquisire le conoscenze e le competenze utili per poter sviluppare software loro stessi. Tra i fattori che hanno contribuito abbiamo: A) L’abbondante formazione di Human Capital (400 mila ingegneri all’anno); B) Il conveniente costo del lavoro (nel 2008 un ingegnere indiano costava l’88% in meno); C) La vicinanza linguistica (l’inglese, insieme all’hindi, è una delle lingue ufficiali). Da ciò si evince un processo di globalizzazione dei mercati, ossia di passaggio da economie self-contained a un sistema economico globale integrato. Le aziende si riforniscono da tutto il mondo per capitalizzare le differenze nazionali in termini di costo e qualità dei fattori di produzione: questa co-dipendenza si chiama Catena Globale del Valore (GVC). Tale modello di commercio contribuisce alla specializzazione dei Paesi che scambiano perlopiù semilavorati con beni finali correlati. Il valore finale dell’export, quindi, comprenderà una componente domestica (DVA, Domestic Value Added) e una estera (FVA, Foreign): io non è che tutto ciò che esporto l’ho prodotto, ma parte l’ho importata da altri Paesi. L’import incorporato nell’export è un indicatore dell'integrazione economica: ci informa sulle GVC, dove le fasi della produzione sono dislocate in diversi Paesi. La diffusione delle GVC è dovuta a tre motivi: A) Riduzione dei costi complessivi: ci si può spostare dove si hanno più vantaggi competitivi; B) Avanzamento delle telecomunicazioni: si riducono le barriere all’ingresso e le distanze fra i mercati; C) Riduzione delle barriere al commercio e agli investimenti. Nuovi trattati sul commercio e sugli investimenti, tariffe globali più basse ed economie liberalizzate nei mercati in via di sviluppo, come Cina e India, hanno consentito alle aziende di accedere a mercati prima chiusi. Perché è accaduto questo? Baldwin riconosce due processi di disaggregazione (unbundling): A) First Unbundling (in due ondate: 1850 – 1914; 1960 – oggi), per il calo dei costi di trasporto; B) Second Unbundling, per il calo dei costi di comunicazione. Ricapitolando: dagli anni ‘20 c’è stata una forte tendenza protezionistica da parte delle potenze economiche: molte politiche erano volte all’introduzione di tariffe alle importazioni, che, tuttavia, si rivelarono ritorsive, poiché furono tra le cause della Grande Depressione degli anni ‘30. Si cominciarono, quindi, nel 1948, a ridurre le barriere attraverso il GATT (General Agreement on Tarifs and Trade). Analizziamo l’impatto del GATT sulla percentuale delle aliquote medie. Tutto ciò suggerisce che le imprese delocalizzano parte della produzione, le economie diventano sempre più interdipendenti, e aumentano gli Investimenti Diretti Esteri (FDI). Da tali fenomeni ne consegue lo spostamento dei Paesi più rilevanti nel contesto economico globale e l’aumento delle quote di produzione dei Paesi in via di sviluppo, come la Cina (China shock). 2→ Economia e politica 2.1→ Sistema economico e politico, EFS (Economic Freedom Score) e FIW (Freedom In the World) 1 Diffusione non intenzionale di risorse, materiali o immateriali, fra due soggetti attraverso incontri, collaborazioni o percorsi formativi condivisi. 1 Il sistema politico è il sistema di governo di una nazione. Si classificano in base al grado di concentrazione del potere (Monarchia; Repubblica; Democrazia; Autocrazia; Oligarchia; Teocrazia; Totalitarismo; Tirannide; Aristocrazia; Oclocrazia). Il sistema economico, invece, si ramifica in tre sottocategorie: A) Economie di mercato, quando si dà libera iniziativa ai privati e la produzione è data dall’incontro tra domanda e offerta. Il Governo interviene solo per incoraggiarne la concorrenza, ma non nelle loro scelte; B) Economie pianificate, quando il Governo stabilisce il livello di produzione e il prezzo di vendita. Le attività sono statali e il Governo distribuisce le risorse per “il bene della collettività”. Poiché le imprese hanno bassi incentivi al contenimento dei costi, si possono attraversare fasi di stagnazione; C) Economie miste, dove il Governo interviene solo nei settori ritenuti di importanza strategica. Dalla fine degli anni ‘80 ci sono state due tendenze: A) Spinta verso economie market-based. Basti pensare al NAFTA (tra USA, Canada e Messico) e al Doi Moi (Vietnam). L’EFS misura la libertà economica; B) Rivoluzione demografica, a causa del fallimento dei totalitarismi e per il fatto che le nuove tecnologie hanno ridotto la capacità dello Stato di controllare l'accesso alle informazioni non censurate. Il FIW misura la libertà attraverso due variabili: il riconoscimento dei diritti politici (trasparenza del processo elettorale, pluralismo e partecipazione, trasparenza nell’operato del Governo) e delle libertà civili (libertà di espressione, di credo, diritti civili e di libera associazione, rispetto delle norme, libertà individuali). L’EFS e il FIW non sono sovrapponibili; infatti, per esempio, i primi due stati nell’EFS, Hong Kong e Singapore, non sono classificabili come politicamente liberi. 2.2→ Caso studio del Vietnam e DBI (Doing Business Indicators) Il Vietnam ha attraversato una profonda trasformazione, avviata un decennio dopo la guerra (1955 – 1975), da economia socialista pianificata centralizzata a un sistema più orientato al mercato. Alla fine degli anni ’80 era uno dei Paesi più poveri; infatti, con un Reddito pro capite di $100 e l’inflazione oltre il 700%. Inoltre, non solo il Partito Comunista aveva esercitato uno stretto controllo sull’economia e sulla politica, ma gli USA avevano anche imposto un embargo commerciale. Tutto ciò ha portato, nel 1986, ad avviare una serie di riforme di liberalizzazione del mercato (Doi Moi), privatizzando le imprese e i terreni agricoli, rimuovendo molti controlli sui prezzi, fino ad arrivare all’entrata nel WTO nel 2007. Tali politiche hanno aumentato gli standard di vita e indebolito parecchio il monopolio. Poi, con una popolazione di 100 milioni e un'età media di 30 anni, il Vietnam sta emergendo come un mercato potenzialmente significativo per i beni di consumo. I DBI ci dicono quanto un Paese sia attrattivo per gli investimenti da un punto di vista istituzionale. Questi considerano alcune caratteristiche principali, come l’apertura di un’attività, l’ottenimento di un luogo fisico dove aprirla, l’accesso ai finanziamenti, l’avere a che fare con le operazioni quotidiane e la possibilità di operare in un sistema economico protetto. Nella classifica dei DBI, notiamo che più della metà dei primi 20 viene dell’OCSE, oltre a Singapore, Hong Kong, Malaysia, Mauritius, Taiwan, Georgia, Estonia ed Emirati Arabi Uniti. Invece, gran parte degli ultimi viene dall'Africa subsahariana. Se, tuttavia, suddividiamo fra “Low and Middle Income” e “High Income”, notiamo che il gap nel costo medio richiesto per aprire un’attività sta diminuendo sempre di più. 2.3→ RNL, PIL e HDI (Human Development Index) Gli indicatori più comuni usati per misurare il livello dello sviluppo economico sono due: A) RNL o (GNI) = PIL + Redditi Netti dall’estero – Redditi netti verso l’estero, ossia il reddito totale annuo percepito dai cittadini di un Paese. Vengono considerati sia i redditi percepiti operando all’interno che all’estero. Tuttavia, l’RNL non considera le differenze nel costo della vita. A ragione di ciò, occorre modellare i dati con la Purchasing Power Parity (PPP), che consente di comparare Paesi con valute diverse rispetto al potere di acquisto di un Paese di riferimento. 2 B) Il PIL (o GDP). Esistono tre metodi per calcolarlo: 1) Metodo della spesa (dal lato della domanda): PIL = C + I + G + NX (consumi, investimenti, spesa pubblica e Bilancia Commerciale Netta, ossia EXP – IMP); 2) Metodo del Valore Aggiunto (dal lato dell’offerta): PIL = Somma di tutti i VA prodotti; 3) Metodo dei Redditi (dal lato dei fattori di produzione): PIL = Retribuzioni + Redditi da Capitale. Il premio Nobel Amartya Sen sostiene che occorra includere nelle misure del benessere delle nazioni delle dimensioni che trascendano la ricchezza. L’ONU usa tali idee per sviluppare l’HDI (tra 0 e 1), che è la media geometrica di: Aspettativa di vita, media degli anni previsti ed effettivi di istruzione, e GNI PPP pc. 3→ Scelte strategiche 3.1→ Definizione e obiettivi La strategia di un’impresa è l’insieme delle azioni intraprese per raggiungere gli obiettivi (redditività e crescita dei profitti). La redditività è il ritorno finanziario potenziale da un investimento, misurabile col ROE (utile netto/patrimonio netto). Se ROE > 0, l’impresa sta costruendo ricchezza. Come livello di efficienza, tuttavia, va considerato il livello di inflazione (ROE > Inf). Per massimizzarla, un'azienda deve scegliere una posizione praticabile sulla frontiera efficiente, che è l’insieme delle combinazioni di valori (sulle y) e costi (sulle x, decrescenti), considerate le possibilità produttive (sotto la curva). Poiché si hanno rendimenti decrescenti, quando un'azienda ha già un alto valore nell’offerta, aumentarlo di una piccola quantità richiede parecchi costi aggiuntivi. Quando, invece, ha già dei costi contenuti, per ridurli ulteriormente deve rinunciare a molto valore. Per quanto riguarda i profitti, invece, le aziende possono mirare o a una maggiore profittabilità (riducendo i costi o aumentando il valore, aumentando anche i prezzi), o a più profitti, aumentando le vendite in mercati già serviti, o espandendosi sui mercati internazionali. Il valore creato è la differenza fra la qualità percepita dai consumatori e i costi di produzione. Non avrebbe senso porre un prezzo maggiore del valore percepito, perché il consumatore non lo comprerebbe mai: il suo surplus deve essere positivo. È doveroso considerare che sia impossibile imporre il prezzo della situazione estrema di monopolio, e che sia altrettanto impossibile segmentare il mercato a tal punto che si possa addebitare a ogni cliente il suo prezzo di riserva. Sapendo ciò, abbiamo che: A) Vu è il valore del prodotto percepito dal consumatore medio; B) Pu è il prezzo medio addebitabilegli, data la concorrenza e la capacità di segmentare il mercato; C) Cu è il costo medio unitario della produzione; D) πu = Pu – Cu è il profitto unitario; E) Scu = Vu – Pu è il surplus unitario del consumatore. È tanto minore quanto lo è la concorrenza; F) CVu = Vu – Cu è il valore unitario creato. Per aumentare la redditività, va massimizzato CVu. Per massimizzare la creazione di valore, (riducendo i costi o aumentando il valore percepito), vengono sfruttate sempre di più le GVC: occorre stabilire quali attività realizzare in modo concentrato (in un solo Paese) e quali in modo disperso, (replicandole in ogni Paese). Internazionalizzandosi, le imprese possono: 1) Aumentare i mercati serviti, differenziandosi grazie alle core competencies; 2) Realizzare economie di localizzazione; 3) Realizzare economie di scala, che si basano sulla ripartizione dei costi fissi su un grande volume, sull’uso intensivo degli impianti e sull’aumento del potere contrattuale coi fornitori; 4) Realizzare economie di apprendimento. La curva dell'esperienza è inclinata negativamente: all’aumentare dell’output cumulato, si abbattono i costi attraverso il learning by doing. 3.2→ Strategie basate sul livello della pressione concorrenziale 3 Le strategie possono essere attuate anche solo nel breve periodo, poiché la situazione concorrenziale è costantemente dinamica. Le aziende che competono nei mercati globali devono affrontare due tipi di pressioni concorrenziali. La pressione sui costi, tipica di: 1) Settori che producono beni per bisogni universali, dove il prezzo è la principale arma competitiva; 2) Quando i principali concorrenti hanno sede in località a basso costo; 3) Dove c’è una costante excess capacity; 4) Dove i consumatori hanno un forte potere e affrontano bassi switching costs. Invece, la pressione sulla reattività alle caratteristiche del mercato locale è tipica di quando: 1) I gusti dei consumatori differiscono parecchio tra i Paesi; 2) Ci sono differenze significative nelle infrastrutture e/o nelle pratiche tradizionali tra i Paesi; 3) Ci sono differenze nei canali di distribuzione; 4) Viene richiesta dagli stessi Governi dei Paesi ospitanti. Pressione sui costi Alta Bassa Global Transnationalization Standardization Internationalization Localization Bassa Alta Pressione sulla reattività A) La Global Standardization consiste nel fare economie di scala, di apprendimento e di localizzazione; B) La Localization consiste nell’adattare i beni alle richieste locali; C) La Transnationalization consiste nel fare economie di scala, di apprendimento e di localizzazione, adattando i prodotti alle richieste locali e promuovendo flussi di competenze tra le varie filiali; D) La Internationalization consiste in un export con una personalizzazione minima. 3.3→ Strategie basate sul livello di coordinamento e di concentrazione delle attività Poiché le GVC sono oggetto di scelte localizzative internazionali, sorge il bisogno del coordinamento. La strategia per l’ingresso, quindi, deve considerare non solo il grado di concentrazione o dispersione delle attività, ma anche il livello di coordinamento, che aumenta all’aumentare della dispersione della GVC. Coordinamento Alto Basso Global Standardization Delocalizzazione (concentrata) Replicazione Export Bassa Alta Concentrazione A) Nell’Export la produzione viene realizzata nel Paese home e si raggiungono i Paesi target con l’export. È la scelta più adottata dalle piccole e medie imprese, poiché ha un livello di rischio contenuto; B) Nella Replicazione la catena viene ricostruita in ogni Paese di competenza, riconoscendo a ogni sede ampia autonomia per adattarsi alle condizioni locali di mercato e ambientali. L’impegno finanziario e organizzativo la rende accessibile solo alle imprese maggiori; C) La Delocalizzazione si caratterizza per una prevalente concentrazione di attività rilevanti per la competitività dell’impresa, per le quali vengono cercati vantaggi comparati da sfruttare. Le modalità di delocalizzazione dipendono dalla scelta fra investimenti ed esternalizzazione dell’attività (make or buy), mantenendone il controllo attraverso gli FDI, o affidandosi al mercato, quindi “comprando” l’attività da fornitori esterni, che possono incaricarsi di gestirla per conto dell’impresa (outsourcing offshoring). 4 D) La Global Standardization è una combinazione di concentrazione (per attività a monte) e dispersione (a valle), e richiede non solo un elevato livello di coordinamento, ma anche ingenti risorse ed organizzazione, alla portata solo delle grandi imprese. 4→ Foreign Direct Investment (FDI, o IDE) 4.1→ Gli FDI: cosa sono? Analizzando gli FDI, possiamo esaminare il cambiamento delle posizioni delle varie aree geografiche, e come cambia la rilevanza dei diversi attori economici come Paesi target o di origine degli investimenti. Alla base della crescente integrazione ci sono sicuramente la riduzione delle barriere agli investimenti e all’abbattimento dei costi di trasporto e di informazione, che ha condotto a una progressiva regionalizzazione dei flussi: siccome già di per sé gli FDI sono impegnativi e rischiosi, più si va lontano e più si hanno dei costi da sostenere, e, quindi, per le GVC si sono creati dei poli internazionali (Europa, Nord America e Asia). Ma cosa sono gli FDI? Gli FDI quantificano i flussi finanziari cross-border, se volti a stabilire un interesse duraturo in un’impresa residente all’estero. Si distinguono dai flussi di portafoglio (più immediati) e hanno tre componenti: investimenti di capitale, utili reinvestiti e prestiti interaziendali tra imprese madri e affiliate estere. È possibile misurarli in flussi (la quantità di FDI intrapresi in un dato periodo) e stock (il valore accumulato in un dato momento). I flussi, a loro volta, si distinguono in deflussi (outflows, DA) e afflussi (inflows, VERSO). I flussi (o transazioni) informano sull'attrattività di un’economia: A) Mostrano gli investimenti netti in entrata e in uscita con attività e passività in un dato periodo; B) Aiutano a monitorare gli sviluppi economici; C) Sono volatili e richiedono informazioni aggiuntive per essere interpretati correttamente; D) Sono disponibili anche con frequenza trimestrale. Gli stock (o posizioni) consentono un'analisi strutturale dell'economia domestica nei Paesi esteri: A) Mostrano le posizioni in un determinato momento (fine anno o trimestre); B) Includono l'accumulo di investimenti nel tempo, ma anche i movimenti dei tassi di cambio e altre variazioni di prezzo derivanti da guadagni o perdite di detenzione. I governi possono influenzare gli FDI. Possono incoraggiare gli I-FDI, offrendo incentivi alle imprese straniere, così da trarre vantaggio dal trasferimento di risorse e dagli effetti sull'occupazione; e possono limitarli con vincoli di proprietà e requisiti di prestazione, o non offrendo adeguate condizioni (tecnologiche, infrastrutturali). Inoltre, possono incoraggiare gli O-FDI con programmi assicurativi per coprire i potenziali principali rischi, e limitarli limitandoli, manipolando le norme fiscali o vietandoli proprio. 4.2→ Motivazioni alla base degli FDI Le motivazioni alla base degli FDI sono l’aumento dei ricavi e la riduzione dei costi. Per quanto riguarda i ricavi, perché si decide di investire all’estero? A) Per espandere la domanda potenziale: + domanda → + reddito → + domanda etc. Molte EME, come Argentina, Cile, Messico e Cina, sono state percepite come fonti interessanti di nuova domanda, attraendo molte multinazionali; B) Per entrare in mercati redditizi. Quando una multinazionale nota che altre affini stanno profittando parecchio in un certo Paese, potrebbe decidere di vendere lì anch’essa i suoi prodotti. Se crede che i concorrenti stiano applicando prezzi troppo alti, potrebbe competervi sui prezzi; 5 C) Per sfruttare potenziali posizioni monopolistiche. Se un'azienda possiede tecnologie avanzate e ha sfruttato tale vantaggio nel mercato domestico, può farlo anche nei mercati internazionali con una tecnologia meno avanzata; D) Per reagire a politiche commerciali restrittive, come per aggirare le barriere al commercio; E) Per diversificare a livello internazionale. Diversificando, un'azienda può rendere i flussi di cassa netti meno volatili. Pertanto, la possibilità di una carenza di liquidità è meno probabile. Per quanto riguarda i costi, si decide di investire all’estero per: A) Avere più economie di scala; B) Avere fattori produttivi più accessibili; C) Avere materie prime e tecnologie non disponibili sul mercato domestico; D) Per reagire ai tassi di cambio. Quando un'impresa percepisce che una valuta estera è sottovalutata, può considerare gli FDI in quel Paese, poiché la spesa iniziale dovrebbe essere relativamente bassa. 4.3→ Paradigma OLI Tuttavia, non c’è stata uniformità sul perché alcune imprese si internazionalizzassero e altre no, o perché alcune scegliessero certe strategie più di altre. Da qui deriva lo studio di Dunning, che propone il paradigma OLI (Ownership – Location – Internalization), con cui sostiene che l’azienda realizza un’analisi dell’investimento basandosi sul suo obiettivo canonico: trasformare input in output di maggiore valore, creando profitto. Dunning considera tre tipi di vantaggi: A) Di Ownership (proprietà). Perché un’impresa possa competere all’estero, deve possedere anzitutto un vantaggio legato alla sua natura o nazionalità. L’impresa deve valutare la struttura produttiva, le caratteristiche della produzione, il proprio know-how, i brevetti etc.. Qualora tutto ciò le consenta di avere vantaggi nel mercato domestico, può proseguire nella valutazione; altrimenti, no. B) Di Location (del mercato specifico), ossia il luogo target degli FDI. I vantaggi includono l’ampliamento della domanda, la riduzione dei costi, l’accesso a conoscenze particolari etc. Qualora non conviene indirizzarli lì, ma può avvantaggiare in altri modi, conviene produrre in casa ed esportare. C) Di Internalization (legati alla possibilità di internalizzare la produzione e le conoscenze acquisibili all’estero). L'impresa, così, si assicura un maggiore controllo sulla propria attività e una maggiore protezione dei vantaggi competitivi. Gli FDI possono permettere di aggirare vari costi connessi ad altre modalità di contrattazione, come l’export e il licensing. 4.4→ Classificazione degli FDI in base alla finalità Dunning ne identifica di 4 tipi: A) Efficiency seeking, che ricercano vantaggi nei costi di produzione; B) Market seeking, che vogliono aggirare barriere doganali, abbattere costi di trasporto e avvicinarsi ai clienti esteri; C) Resource seeking, che vogliono assicurarsi l’approvvigionamento di risorse non disponibili in patria; D) Knowledge seeking, che vogliono acquisire brevetti, tecnologie e conoscenze (asset). Vantaggio specifico del Paese Alto Basso 6 Vantaggio specifico dell’impresa Basso Alto Resource seeking Market seeking Asset seeking Efficiency seeking No FDI No FDI 4.5→ FDI Greenfield e Brownfield Greenfield (Quando si crea un’attività nuova) Vantaggi Svantaggi Più controllo sulle operazioni aziendali, sulla qualità, Alto rischio sull’immagine e sul personale Più potenziali economie di scala e di scopo Possibile bypass delle restrizioni commerciali Più potenziali posti di lavoro per l’economia del Paese estero Brownfield (Quando avvengono acquisizioni o fusioni) Vantaggi Svantaggi Potenziali vincoli di Meno rischioso dimensionamento ed espansione per le strutture già costruite Potenziali inefficienze operative Più barriere Rapido accesso al mercato se l'impianto non è adattabile all’ingresso alle esigenze della produzione Potenziali regolamenti Potenziali regolamenti Potenziali problemi fiscali e governativi contrari governativi favorevoli normativi imprevisti Meno CF per l’uso di strutture Possibili costi di manutenzione Potenziali alti CF già stabilite e meno costi di per l’obsolescenza dell’oggetto personale e di formazione 4.6→ Variabili da considerare per la scelta degli FDI Nella scelta degli FDI occorre considerare i vantaggi (economici, politici etc.) e gli svantaggi (barriere, costi in ingresso, costi di adattamento etc.). Tra i vantaggi c’è la possibilità di espandere il mercato, analizzabile attraverso la sua dimensione e la sua crescita. Esistono varie proxy per misurarne la dimensione: A) Il PIL, che misura il valore della produzione di beni e servizi finali di un Paese nel periodo considerato; B) La densità e la composizione della popolazione informano sulla concentrazione del mercato del lavoro e dei consumatori; C) PIL pc. Tuttavia, questo non considera le differenze di reddito o altre differenziazioni del mercato (un Paese con 100 mil di abitanti e 1 bil di PIL ha lo stesso PIL pc di uno con 10 mil abitanti e 10 bil di PIL). Un altro aspetto da considerare sono le barriere: A) Protettive. Ogni Paese ha delle agenzie governative che monitorano fusioni e acquisizioni, le quali possono impedire a una multinazionale di acquisire delle società se credono che ciò possa licenziare i dipendenti o ledere la competizione nel mercato locale. Possono anche limitare la proprietà straniera di eventuali aziende locali. In Italia abbiamo, per esempio, l’AGCM e la CONSOB; B) Burocratiche, come i requisiti procedurali e di documentazione, diversi per ogni Paese; C) Normative, come le tasse e i diritti dei dipendenti; D) Ambientali, come sulla costruzione e sullo smaltimento degli scarti di produzione. Esse costringono le filiali a sostenere ulteriori costi; E) Industriali. Le imprese locali possono essere usate dai governi per prevenire la concorrenza delle MNE; F) Etiche. Non ci sono standard consensuali applicabili ovunque (una pratica può essere immorale in un Paese ma accettata in un altro). 4.7→ Il RRI (Regulatory Restrictiveness Index) e il CPI (Corruption Perception Index) Da considerare è anche la stabilità delle istituzioni politiche. Un indicatore per misurare la portata delle restrizioni è il RRI (tra 0 e 1), sviluppato dall’OCSE: copre 30 sotto-settori (tranne sanità ed istruzione), che vengono poi aggregati in 22 settori. Ne considera di quattro tipi: A) Restrizioni sul possesso di azioni da parte di investitori stranieri; B) Discriminazioni sugli investimenti se effettuati da soggetti esteri; C) Restrizioni sull'impiego di personale chiave estero (come per il dirigente o il CEO); D) Altre restrizioni come limiti all'acquisto di terreni o al rimpatrio di profitti e capitali. 7 Un altro fattore importante è il livello di corruzione, misurabile con il CPI (100 a 0). Per il calcolo si considera: A) Corruzione; B) Deviazione di fondi pubblici; C) Prevalenza di funzionari che usano cariche pubbliche per guadagno privato senza conseguenze; D) Capacità dei governi di contenere la corruzione; E) La burocrazia che potenzialmente può aumentare le opportunità di corruzione; F) Nomine meritocratiche contro nepotistiche nella PA; G) Efficacia azione penale per funzionari corrotti; H) Adeguate leggi sull'informativa finanziaria e sulla prevenzione dei conflitti di interesse per i funzionari pubblici; I) Tutela legale per chi segnali casi di concussione e corruzione; J) Controllo dello Stato da parte di interessi ristretti; K) Accesso della società civile alle informazioni sugli affari pubblici. 4.8→ Costi e benefici degli FDI Tra i costi per il Paese home abbiamo che la bilancia dei pagamenti può risentirne, poiché possono ridursi le esportazioni dirette e aumentare i deflussi di capitale. Tra i benefici, invece, abbiamo i Knowledge Spillover e l’effetto positivo sul conto capitale derivante dai guadagni dell’investimento. Fra i costi del Paese host: A) Effetti avversi sulla concorrenza: le filiali di multinazionali straniere possono avere un potere economico maggiore rispetto ai concorrenti locali (come la Apple a Salerno); B) Effetti negativi sulla bilancia dei pagamenti, come quando una controllata estera importa parecchio; C) Perdita percepita dell'autonomia nazionale: se l’investitore è di grandi dimensioni, le decisioni sul Paese Host potrebbero essere influenzate da un soggetto straniero su cui il Governo non ha un controllo reale. Tra i benefici del Paese host: A) Effetti del trasferimento di risorse: gli FDI portano capitale, tecnologie e risorse di gestione; B) Effetti sull'occupazione: gli FDI possono portare posti di lavoro; C) Effetti sulla bilancia dei pagamenti: gli FDI possono aiutare a ottenere un avanzo delle partite correnti; D) Effetti sulla concorrenza e sulla crescita economica: gli FDI Greenfield aumentano la concorrenza, abbassando i prezzi e migliorando il benessere dei consumatori. Questo può portare a una crescita della produttività e all’innovazione di prodotti e processi. 4.9→ FDI e sostenibilità Gli FDI possono svolgere un ruolo cruciale nel compiere progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDG) dell’Agenda 2030 dell’ONU. Dal punto di vista del Paese host, possono promuovere la crescita e l'innovazione, creare posti di lavoro di qualità, sviluppare il capitale umano e aumentare il tenore di vita e la sostenibilità ambientale. Il modo in cui gli FDI si relazionano allo sviluppo sostenibile non è ancora chiaro. Per colmare ciò, l'OCSE ha lanciato, nel 2019, l'iniziativa FDI Qualities, che comprende 4 pilastri (Indicatori; Policy Toolkit; Dialogo politico e Attuazione) strutturati sulle 3 P dell'Agenda 2030 (Prosperità, Persone e Pianeta). Gli indicatori di qualità degli FDI si concentrano su cinque cluster: A) Produttività e innovazione. L'attività estera è più diffusa nei settori capital-intensive nelle economie avanzate, e nelle EME nei labour-intensive; B) Occupazione e qualità del lavoro. Gli FDI Greenfield generano occupazione, ma non uniformemente tra i Paesi (di meno in settori capital-intensive che nei labour-intensive); 8 C) Competenze. Le competenze consentono l'innovazione e facilitano il trasferimento di conoscenze. Gli FDI possono aiutare a svilupparle offrendo opportunità di formazione, e influenzando la domanda di competenze tecniche e manageriali. Nei Paesi OCSE, gli FDI sono concentrati in settori con meno lavoratori qualificati (manager, tecnici ed esperti); D) Uguaglianza di genere. Gli FDI non sembrano contribuire a ridurre le discriminazioni: settori con un'occupazione femminile più elevata tendono ad essere meno qualificati e con salari inferiori; E) Climate change. Gli FDI influenzano le emissioni tramite l’aumento della scala dell'attività economica; influenzando la struttura dell'attività economica; inducendo l'adozione di nuove tecnologie per il risparmio energetico; influenzando l'assorbimento di fonti di energia pulita. Negli ultimi anni c’è stato un aumento degli FDI (soprattutto Greenfield) nei settori energetici. La maggioranza dei Paesi mostra più FDI in settori a minore intensità energetica (più efficienti dal punto di vista energetico). Un'eccezione è l'Islanda, dove il 60% degli FDI va alla produzione di ferro e acciaio, che è ad alta intensità energetica. 5→ Analisi di Mercato 5.1→ Approcci quantitativi e qualitativi Le imprese che puntano all'export devono distinguere tra un gran numero di combinazioni possibili (prodotto/settore – mercato), e, spesso, solo un numero limitato di queste può essere esplorato. È possibile categorizzare i modelli di selezione dei mercati con due tipi di approcci: qualitativo e quantitativo. La maggior parte degli approcci qualitativi inizia tipicamente con l’identificazione di un elenco di Paesi e degli obiettivi e dei vincoli per esportare un prodotto verso ognuno di essi. Le fonti di informazioni usate includono fonti governative, agenzie, camere di commercio, banche, distributori, clienti, esperti internazionali e visite al mercato estero. Poiché le informazioni sono spesso basate su valutazioni non quantitative, a volte tali approcci vengono considerati incompleti. Tuttavia, dopo aver selezionato i mercati su base quantitativa, gli aspetti qualitativi possono essere preziosi per fornire informazioni specifiche non sempre quantificabili. Gli approcci dovrebbero, quindi, essere complementari. Gli approcci quantitativi comportano l’analisi e il confronto di dati secondari sul commercio. Possono essere divisi in due categorie: market grouping e market estimation. Per il market grouping, i Paesi sono raggruppati sulla base di somiglianze negli indicatori sociali, economici e politici. I livelli di domanda vengono ignorati. Tuttavia, tali modelli: A) Si affidano quasi solo ad indicatori nazionali generali, rispetto agli indicatori specifici del prodotto; B) Potrebbero richiedere dati difficilmente reperibili ed affidabili; C) Rischiano di trascurare opportunità redditizie in Paesi con altre caratteristiche. I metodi di market estimation possono essere: A) Firm-level, che fanno riferimento a obiettivi propri dell'azienda (redditività, esperienza e conoscenza dei manager, standard e atteggiamenti dei clienti e requisiti di adattamento del prodotto); B) Country-level. Questi hanno un’applicazione più generale e si concentrano su uno specifico Paese esportatore. Le variabili tipicamente usate sono: dimensioni e crescita del mercato, indicatori economici di sviluppo, consumi interni, fattori di produzione, barriere, tassi di cambio, distanze tra Paesi e dati correnti sul commercio internazionale. La maggior parte di questi studi basa il processo di valutazione su tre fasi: 1) Screening preliminare, analizzando l’ambiente demografico, politico, economico e sociale dei Paesi; 2) Screening approfondito, analizzando il potenziale del mercato, la concorrenza, la facilità di accesso etc.); 3) Selezione finale, analizzando la vendita potenziale, la redditività e il possibile adattamento del prodotto. 9 5.2→ Global Screening Model Il Global Screening Model identifica 3 criteri: A) Dimensione e crescita del mercato (produzione interna, import, export e le loro share di spostamento); B) Fattori di produzione (costi, investimenti fissi lordi, offerta di moneta, riserve internazionali totali, popolazione, disoccupazione, retribuzione oraria media nel settore manifatturiero, superficie e densità); C) Sviluppo economico (PIL, PIL pc, e i settori di interesse considerati in % del PIL). I Paesi vengono poi accorpati in «cluster» e classificati in base alle potenzialità. 5.3→ Modello Trade-off L’analisi dei trade-off è basata sul potenziale di domanda (+) e sulle barriere commerciali (-): 1) Potenziale di domanda: A) Apparent Consumption: AC = DP (Produzione Domestica) + IMP – EXP; B) Import Penetration: IP = IMP/AC. Se è alto, c’è una maggiore apertura alle importazioni; altrimenti c’è una bassa competitività e un’elevata attrattività del mercato; C) Vantaggio dell’origine: OA = Xi/IMPw. L’OA riflette la quota dell’export di i nell’import di w. Se l’Italia detiene il 70% dell’import degli USA, significa che lì i prodotti italiani sono ben percepiti; D) Somiglianza di Mercato: a) Aspettativa di vita (per misurare la salute e il livello di Human Capital); b) RNL pc (per misurare il livello di consumo); c) La produzione di elettricità (per misurare il livello di produzione); d) Il rapporto IMP/PIL (per misurare l’apertura al commercio). 2) Barriere al commercio: A) Tariffarie; B) Non tariffarie, ossia politiche diverse dalle tariffe doganali ordinarie che, però, possono incidere sul commercio internazionale, sulla variazione delle quantità scambiate e/o sui prezzi; C) Distanza Geografica, che è una proxy per i costi di trasporto; D) Tasso di cambio. Tassi di cambio volatili possono accrescere il rischio dell’internazionalizzazione. Fatte tutte queste analisi, posso classificare i Paesi in 4 categorie (alto/basso potenziale e alte/basse barriere). Tale modello, però, ha dei limiti, come la necessità di avere dati secondari affidabili, aggiornati e a volte non disponibili (in particolare per Paesi meno sviluppati). 5.4→ ITC Model L’ITC aiuta le piccole e medie imprese (SME) e le EME a concentrare gli sforzi di promozione commerciale per estendere/diversificare le esportazioni. L'ITC usa entrambi i tipi di analisi: quantitativa e qualitativa. L’analisi qualitativa include una valutazione delle informazioni raccolte da sondaggi e interviste ad imprese. Spesso viene considerato il previsto impatto socio-economico (occupazione, povertà, impatto valutario, contributo all’industrializzazione) derivante da un aumento delle esportazioni. Le analisi quantitative di solito includono valutazioni delle "condizioni di offerta interna”, come la qualità del prodotto, i costi unitari del lavoro, costi di produzione, tecnologie di processo, costo dell'infrastruttura, collegamenti a monte/a valle tra le industrie e le prospettive di competitività. L’analisi, inoltre, si basa su degli indicatori che valutano il potenziale di esportazione: A) L'attuale andamento dell’export del Paese esportatore viene valutato in base alle dimensioni attuali delle esportazioni (valore esportato e quota di mercato mondiale), al dinamismo delle esportazioni (crescita 10 delle esportazioni e crescita relativa), alla bilancia commerciale, alla bilancia commerciale relativa (valore assoluto del saldo commerciale sul totale del commercio). B) Le caratteristiche del contesto internazionale sono valutate sulla base della dimensione del mercato (valore importato), dinamismo del mercato (crescita delle importazioni e crescita relativa) e facilità delle condizioni di accesso al mercato (tariffa media ad valorem applicata al Paese esportatore e tariffa media ad valorem applicata ai primi cinque concorrenti meno la tariffa applicata al Paese esportatore). Alla fine viene calcolato un indice composito per ogni mercato oggetto di indagine. Le variabili vengono standardizzate prima di essere aggregate, attraverso la formula: 100 * (Valore – Lower Limit)/(Upper Limit – Lower Limit). Ciò fornirà un valore compreso tra 0 (prestazione debole) e 100 (prestazione migliore) per ogni variabile. I prodotti più performanti del 5% definiscono il limite superiore e viceversa. La ponderazione dei diversi sotto-indici è determinata su base teorica, o in consultazione con esperti del settore. Per un determinato Paese, dopo aver identificato i settori con un maggiore potenziale, è possibile scalare l’analisi per diversi settori (es. Frutta) e prodotti (Uva fresca). Al contrario, è possibile selezionare i mercati per un determinato prodotto. Quali sono i limiti? A) L’uso di indici compositi include solo ciò che può essere quantificato e per cui è possibile reperire i dati; B) I dati usati rappresentano un’istantanea, e i fattori di ponderazione sono basati su valori legati al passato. Pertanto, le classifiche vanno interpretate con cautela, soprattutto quando le differenze tra i rispettivi indici sono piccole. 5.5→ Modello Shift-Share Attraverso quest’approccio, per ogni combinazione prodotto-Paese viene confrontata la crescita effettiva dell’export di un Paese, ge, con la crescita del mercato a livello globale, g*. La differenza tra la crescita effettiva e quella che avrebbe avuto se il tasso fosse stato pari alla crescita media del gruppo di mercati è lo spostamento netto (net shift), e sarà positiva per quelli chi ha guadagnato quote di mercato e negativa per chi le ha perse. 5.6→ L’analisi Constant-Market-Shares (CMS) L’analisi CMS identifica il posizionamento di un Paese sulla base di tre componenti: effetto competitività, effetto struttura ed effetto adattamento. L’effetto struttura è, a sua volta, separabile in una componente merceologica, una geografica e una di interazione strutturale. Nell’analisi è possibile, quindi, scomporre la variazione di una quota di mercato in: St – St – 1 = EC + ESM + ESG + EIS + EA. A) L’EC riflette i fattori di prezzo e qualità che determinano la competitività dei prodotti esportati; B) L’EA riflette la capacità di reattività; C) L’ESM riflette i mutamenti nella struttura della domanda (alcuni prodotti acquistano maggior peso a discapito di altri). È positivo se i prodotti in cui il Paese è maggiormente specializzato (detiene quote più elevate) acquistano peso sulle importazioni mondiali; D) L’ESG riflette i cambiamenti nella struttura geografica delle importazioni mondiali. È positivo se i mercati più dinamici sono quelli verso cui più si orientano le sue esportazioni; E) L’EIS riflette le interazioni fra i due sopra. È positivo se, a parità dell’ESG, aumenta in ogni mercato il peso dei prodotti esportati o, a parità dell’ESM, l’importanza dei mercati in cui il Paese è più forte. 5.7→ Il Modello di Supporto Decisionale (DSM) Il DSM parte dal presupposto che tutti i mercati abbiano un potenziale di opportunità di esportazione per un determinato Paese e, quindi, le combinazioni Paese-prodotto vanno considerate tramite un processo di filtraggio: 1) Vanno eliminati i mercati con un alto rischio politico e/o commerciale; 2) Vanno eliminati i mercati con dimensioni insufficienti e crescita dell’import contenuta; 11 3) Vengono esaminate le restrizioni commerciali, la concorrenza e l’accessibilità; 4) Vengono classificati i mercati rimasti in base all’importanza relativa e alle loro dimensione e crescita. 5.8→ Il Modello gravitazionale Il modello gravitazionale è consente di analizzare i flussi di commercio bilaterali tra due Paesi, gli effetti dei RTA, e i fattori che influenzano il commercio. In una formulazione generale, il modello spiega il commercio tra due Paesi i e j considerando le caratteristiche del Paese di origine, Oi, di destinazione, Dj, e i fattori che caratterizzano i flussi tra i due, Rij (tariffe, caratteristiche comuni, relazioni storiche, etc.). Il Trade sarà: Tij = f(Oi; Dj; Rij). Le variabili spesso includono fattori che influenzano la domanda e l’offerta (PIL, PIL pc, pop e dimensione), oltre a fattori che limitano i flussi commerciali (la distanza, costi di trasporto, tariffe, qualità delle infrastrutture, affinità storiche o linguistiche). L'idea ha origine dalla teoria della gravità di Newton: i flussi commerciali fra due Paesi dipendono dalle "masse" delle economie e dalla distanza, con Xij = G * (Si Mj) / (tij), dove Xij è la dimensione del commercio, G è una costante, Si e Mj sono le masse economiche (come il PIL), e tij riflette i costi (distanza, fattori politici etc.). 6→ Le GVC 6.1→ Make or Buy? Perché un’azienda dovrebbe produrre internamente (make)? La produzione interna: 1) Può ridurre i costi, se è più efficiente rispetto alle altre; 2) Facilita gli investimenti in asset specializzati, se sono richiesti grandi investimenti in risorse specializzate; 3) Protegge la proprietà tecnologica, se le componenti contengono una tecnologia proprietaria; 4) Facilita la pianificazione, il coordinamento e la programmazione dei processi adiacenti. Perché l’azienda dovrebbe rivolgersi a un soggetto esterno (buy)? 1) Possibilità di acquistare da fornitori indipendenti, ottenendo una maggiore flessibilità, soprattutto quando viene alterata l'attrattività delle fonti di approvvigionamento; 2) Si evitano molti costi di coordinamento e controllo di sub-unità aggiuntive e la mancanza di incentivi per i fornitori interni; 3) Aiuta l'azienda a processare ordini da clienti internazionali tramite delle unità esterne più vicine. 6.2→ Offshoring e Outsourcing L’Offshoring è la scelta di localizzare all’estero parte o tutta l’attività, spostandola ad una filiale tramite FDI («captive offshoring»), o affidandola a terzi. L’Outsourcing, invece, coinvolge terze parti, ma non per forza all’estero. Se l’attività venisse esternalizzata all’estero e a terzi, i due concetti si sovrapporrebbero (offshore outsourcing). Come capire cosa e dove esternalizzare? Il primo criterio è il costo totale: cerco di minimizzare il costo della produzione mantenendo invariata la qualità. Inoltre, posso fare una GVC se riesco a localizzare ogni fase dove questa è più efficiente. Il problema, quindi, diventa il coordinamento tra le varie fasi. Io mi posso integrare in due direzioni: A) Nella catena di fornitura upstream (o catena di approvvigionamento in entrata), che comprende tutte le organizzazioni e le risorse coinvolte dalle materie prime alla produzione; B) Nella catena di fornitura downstream (o catena di approvvigionamento in uscita), che comprende tutte le organizzazioni coinvolte dall'impianto di produzione al cliente finale (come il grossista e il dettagliante). 12 Nella definizione delle strategie, occorre analizzare fattori nazionali (differenze politiche, economiche, culturali, nei costi dei fattori, le barriere commerciali, le esternalità e i tassi di cambio), tecnologici (CF, scala minima efficiente, tecnologie di manifattura flessibili) e di prodotto (come e cosa produco). Quindi: A) Differenze culturali, economiche, la disponibilità di manodopera e industrie di supporto, barriere commerciali formali e informali, aspettative sulle future variazioni del tasso di cambio, costi di trasporto e regolamentazione; B) I CF. Se sono alti, conviene produrre in un solo luogo o in pochi luoghi; C) La scala minima efficiente, ossia il livello di produzione al quale si esaurisce la maggior parte delle economie di scala a livello di impianto. Quando è alta, convengono produzioni più centralizzate; D) La flessibilità della tecnologia, perché riduce i tempi di configurazione per apparecchiature complesse, aumenta l’uso delle macchine, migliora il controllo di qualità, consente di produrre un'ampia varietà di prodotti finali a un costo unitario relativamente basso; E) Il rapporto valore/peso del prodotto (influenza il costo di trasporto). Se è alto, convengono produzioni centralizzate e solo dopo esportarle (come i prodotti elettronici e farmaceutici). Se è basso, conviene fabbricare il prodotto in più località (come zucchero raffinato, prodotti del petrolio); A) Se il prodotto soddisfa esigenze universali, la necessità di reattività diminuisce e conviene concentrare. 6.3→ Le GVC La crescente frammentazione internazionale della produzione verificatasi negli ultimi decenni ha interessato sia il commercio che la produzione. Queste attività si sono sempre più organizzate attorno alle GVC. Una GVC è l’insieme delle fasi della produzione, ma dove ogni fase aggiunge valore e almeno due fasi sono in diversi Paesi. La quota complessiva del commercio GVC sul commercio mondiale totale è cresciuta parecchio negli anni ’90 e 2000, ma sembra essere stagnante o, addirittura, diminuita negli ultimi 10 anni. Tuttavia, circa la metà del commercio mondiale sembra correlato alle GVC. Cosa spiega il notevole aumento della partecipazione negli anni '90 e 2000? Una combinazione di fattori: diminuzione dei costi e dei tempi di trasporto, dovuti soprattutto alle innovazioni nel campo delle telecomunicazioni (ICT). Le fasi successive di liberalizzazione del commercio hanno determinato una rapida caduta degli ostacoli al commercio e agli investimenti. La riduzione dei costi di trasporto ha agevolato gli scambi di merci, mentre i servizi hanno beneficiato di minori costi di comunicazione. La digitalizzazione ha prodotto strumenti più economici e affidabili, nuovi software di gestione delle informazioni e computer sempre più potenti. Le aziende hanno, quindi, trovato più facile esternalizzare e coordinare attività complesse a distanza e garantire la qualità dei loro input. Ciò ha aperto possibilità di commercio in una varietà di servizi tradizionalmente non negoziabili. Un altro fattore significativo è stata la riduzione, dal 1948, delle barriere tariffarie e non tariffarie. Ad esempio, la creazione del mercato unico europeo e l'integrazione di Cina, India e Unione Sovietica nell'economia globale hanno creato un nuovo enorme mercato per i prodotti e del lavoro. Tutto ciò ha consentito alle imprese di poter vendere lo stesso bene a più persone, e di sfruttare economie di scala legate all’offerta di manodopera a basso costo, e ha incoraggiato la ricerca del profitto alle società tramite la localizzazione degli impianti, o tramite fornitori locali, in Paesi con condizioni più favorevoli. Tutti i Paesi partecipano alle GVC, disomogeneamente. Alcuni esportano materie prime per ulteriori lavorazioni; altri importano input per l'assemblaggio per poi esportarli di nuovo; altri ancora producono beni e servizi complessi. Inoltre, alcuni dipendono fortemente dalle GVC per il commercio, mentre altri esportano principalmente beni per il consumo. Questa tassonomia rivela chiare distinzioni tra regioni: 13 A) Asia orientale, Europa e Nord America sono più coinvolte in GVC per la produzione e servizi avanzati; B) Africa, Asia centrale e America Latina sono più coinvolte in GVC di materie prime e manifattura di base. L’integrazione può essere: A) Backward, quando le esportazioni contengono valore aggiunto precedentemente importato dall'estero. Ad esempio, se le biciclette esportate da Taiwan usano beni intermedi importati da altri Paesi, la partecipazione di Taiwan è Backward; B) Forward, quando le esportazioni di un Paese non sono interamente assorbite dal Paese importatore, ma vengono incorporate nelle esportazioni del Paese importatore verso Paesi terzi. Ad esempio, se l'India invia tubi di alluminio a Taiwan, dove vengono usati nella produzione della bicicletta successivamente esportata, la partecipazione dell'India è Forward, perché l’export avviene all’inizio della produzione. 6.4→ Fattori che influenzano l’integrazione: dotazione di fattori A) La manodopera poco qualificata è fondamentale per l’integrazione Backward in GVC labour-intensive. Tuttavia, l'aggiornamento delle abilità diventa necessario per GVC più complesse; B) L'abbondanza di risorse naturali; C) Il capitale straniero, se efficiency-seeking o resource-seeking, è positivamente correlato con l’integrazione Backward. 6.5→ Fattori che influenzano l’integrazione: dimensione del mercato Spesso i Paesi più grandi hanno una maggiore capacità industriale: tendono ad attrarre più fasi contigue e a ridurre le importazioni per minimizzare il trasporto dei semilavorati. Per le loro dimensioni, è probabile anche che siano geograficamente più vicini ai consumatori finali. La loro posizione più centrale dovrebbe renderli più inclini a specializzarsi nelle fasi a valle, incorporando più FVA. 6.6→ Fattori che influenzano l’integrazione: distanza geografica Ridurre la lontananza (giorni per importare un semilavorato) e migliorare la connettività aiutano l’integrazione. Distanze geografiche maggiori dalle principali GVC impattano negativamente sia Forward che Backward. 6.7→ Fattori che influenzano l’integrazione: qualità istituzionali Entrare in accordi commerciali preferenziali (Preferential Trade Agreements, PTA), può migliorare la qualità istituzionale e aumentare l’integrazione. I PTA coprono framework legali e regolamentari, armonizzano procedure doganali, e fissano le regole sui diritti di proprietà intellettuale. Le GVC sono particolarmente sensibili alla qualità delle istituzioni contrattuali. Settori che dipendono maggiormente dall'applicazione dei contratti vedono una crescita più rapida nella partecipazione alle GVC dei Paesi con una migliore qualità istituzionale. 6.8→ Il Valore Aggiunto La diffusione delle GVC ha messo in discussione come guardiamo e interpretiamo il commercio. Le misure convenzionali misurano solo il valore lordo degli scambi: non rivelano come i produttori a monte siano collegati ai consumatori finali. I dati doganali forniscono informazioni su dove è stato prodotto il bene, ma non su come, cioè su quali Paesi abbiano contribuito al suo valore. Analogamente, essi registrano verso dove si muove, ma non come sarà usato, se sarà completamente assorbito nel Paese importatore o se sarà riesportato. La crescente dispersione dei processi produttivi e lo scambio di semilavorati che sconfinano più volte hanno portato alla necessità di considerare il commercio estero in valore aggiunto. Facciamo l’esempio dell’iPhone. Molti prodotti hi-tech sono assemblati in Cina, ma il VA cinese rappresenta solo una piccola parte del loro valore, 14 perché incorporano anche componenti provenienti da Germania, Giappone, Corea e altre economie, avranno usato a loro volta importazioni intermedie o avranno acquistato semilavorati da fornitori nazionali. Supponendo che 10 milioni di iPhone 4 vengano esportati dalla Cina negli USA, il commercio rappresenta un deficit di $1,646 milioni per gli USA, calcolato come la differenza tra le esportazioni statunitensi di semilavorati in Cina, $229 milioni, e le importazioni statunitensi di iPhone assemblati, $1,875 milioni. Tuttavia, in termini di VA la Cina aggiunge solo una piccola quota, (l’assemblaggio). Il deficit commerciale degli USA, quindi, non è solo con la Cina, ma anche con Taipei, Germania, Corea e il resto del mondo. Il disavanzo commerciale complessivo (rispetto al mondo) resta comunque $1,646 milioni. Il VA viene misurato con le Tabelle Input-Output intersettoriali, che consentono di separare i beni intermedi da quelli finali: vengono combinate informazioni provenienti da uffici doganali con tabelle nazionali I/O per la costruzione di tabelle I/O a livello globale. I database più usati sono il World I/O Database, il Trade in Value Added (TiVA) dell’OCSE e quello di Eora. Nonostante l’uso diffuso, tali tabelle hanno due limitazioni: A) Si basano su dati aggregati, quindi la conseguente disaggregazione settoriale è grossolana. Pertanto si perdono informazioni sulle attività delle GVC nei settori aggregati a livello più ampio. Per esempio, si può calcolare l'origine dei "prodotti in metallo fabbricati" nella produzione di "veicoli a motore" negli USA, ma non da dove provengano componenti più specifici (pneumatici, motori o tergicristalli); B) I dati a volte sono incompleti: non sono riportati né dai dati doganali o né dalle tabelle nazionali I/O. 15