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I MERCATIDELL’ENERGIA PRODOTTI DA FONTI RINNOVABILI Biomasse , Teleriscaldamento 07 maggio 2024 Ing. Francesca Bottega BIOMASSE Le biomasse (legno, residui legnosi, scarti e rifiuti...

I MERCATIDELL’ENERGIA PRODOTTI DA FONTI RINNOVABILI Biomasse , Teleriscaldamento 07 maggio 2024 Ing. Francesca Bottega BIOMASSE Le biomasse (legno, residui legnosi, scarti e rifiuti di origine vegetale o animale, ma anche produzioni agricole dedicate e frazione organica dei rifiuti urbani) costituiscono una risorsa ben distribuita e spesso ampiamente disponibile a livello locale e possono essere trasformate, con tecnologie scelte in relazione alle loro caratteristiche chimico-fisiche, in energia e/o combustibili. Le biomasse combustibili si suddividono in 3 categorie principali: biomasse vegetali; biomasse animali; biomasse microbiotiche. BIOMASSE BIOMASSA VEGETALE Include tutti i materiali di origine vegetale utilizzati per la produzione di energia. Le biomasse vegetali possono essere suddivise ulteriormente in diverse sottocategorie, come: Biomassa legnosa: che comprende legno, scarti di lavorazione del legno, paglia, corteccia e altri materiali legnosi. Biomasse agricole: che includono residui di colture come residui di mais, paglia di riso, canna da zucchero, gusci di noci, scarti di frutta e verdura. Biomassa energetica dedicata: si riferisce a piante coltivate appositamente per la produzione di energia, come il miscanto di piante erbacee ad alto rendimento, coltivate in appositi terreni per la produzione di biomassa. BIOMASSE BIOMASSA ANIMALE Include tutti i materiali di origine animale. Alcuni esempi di biomasse animali includono: Scarti e residui di lavorazione dell’industria alimentare, come gusci di uova, scarti di macellazione, scarti di caseifici, ecc. Letame e deiezioni animali, che possono essere utilizzati come biomassa per la produzione di biogas tramite processi di digestione anaerobica. BIOMASSA MICROBIOTICA Questo tipo di biomasse deriva dai suoli e trae origine dagli elementi del terreno, quali lo zolfo e l’azoto, oltre a funghi, batteri e l’intera comunità di microbi presenti al loro interno. Ogni suolo in cui le piante crescono e si degradano, occasionalmente accompagnato dalla decomposizione di animali e feci, contiene una varietà di nutrienti che possono diventare potenziali fonti energetiche. BIOMASSE BIOMASSA LIQUIDA Sono biomasse che derivano da materie organiche liquide o facilmente liquidifacibili, come: Oli vegetali: ottenuti da semi o frutti di piante oleaginose, come olio di girasole, olio di colza, olio di palma e olio di soia per la produzione di biodiesel. Bioetanolo: ottenuto principalmente dalla fermentazione di materie prime zuccherine e utilizzato come additivo per la benzina o come carburante per motori a benzina. Biogas: composto principalmente da metano e anidride carbonica è prodotto dalla fermentazione anaerobica della materia organica, come scarti agricoli, rifiuti organici, letame e fanghi di depurazione. BIOMASSE USI Le biomasse sono utilizzate per la produzione di: 1. Energia Le biomasse possono essere bruciate per generare energia termica e elettrica attraverso impianti di combustione, riducendo l’uso di combustibili fossili. 2. Biocombustibili Le biomasse possono essere convertite in biocarburanti, come il biodiesel e l’etanolo, utilizzati per il trasporto e per sostituire i combustibili fossili. 3. Produzione di calore e biogas Se sottoposte a processi di digestione anaerobica producono biogas, una miscela di metano e anidride carbonica utilizzabile per la produzione di calore, elettricità o come carburante per veicoli. 4. Prodotti chimici e materiali Materiali e prodotti chimici, come bioplastiche, prodotti farmaceutici, oli essenziali, solventi, e altro ancora possono essere prodotti a partire dalle biomasse. 5. Fertilizzanti e sostanze organiche per il suolo Compostate o convertite in fertilizzanti organici, le biomasse migliorano la fertilità del suolo e ridurre la necessità di fertilizzanti chimici. 6. Recupero di rifiuti organici Recuperando rifiuti organici, come scarti alimentari e agricoli, riducono il volume di rifiuti da smaltire e contribuiscono alla gestione sostenibile dei rifiuti. 7. Biomateriali Possono essere trasformate in materiali da costruzione, imballaggi biodegradabili, tessuti e altre applicazioni industriali, riducendo l’uso di risorse non rinnovabili e promuovendo l’economia circolare. BIOMASSE VANTAGGI E SVANTAGGI Secondo uno studio condotto da Mike Berners-Lee, esperto di carbon footprinting, un tweet medio di 140 caratteri emette approssimativamente 0,02 grammi di CO21. BIOMASSE TRASFORMAZIONE IN ENERGIA Sono diversi i processi che è possibile applicare per trasformare le biomasse in energia elettrica. Caratteristica della biomassa disponibile Scala dell’impianto Requisiti energetici Principali metodi di trasformazione sono: - COMBUSTIONE la biomassa viene bruciata in una caldaia, producendo calore che viene poi utilizzato per generare vapore ad alta pressione. A questo punto, il vapore fa girare le pale di una turbina collegata a un generatore, che produce l’energia elettrica. - GASSIFICAZIONE La biomassa può essere anche convertita in un gas combustibile, noto come syngas, con processo di gassificazione. Il syngas viene poi bruciato in una caldaia sempre per produrre vapore e alimentare una turbina che genera l’elettricità necessaria. - DIGESTIONE ANAEROBICA utilizzata principalmente quando i materiali di partenza sono rifiuti organici e biomasse umide. La biomassa viene degradata biologicamente da batteri in un ambiente privo di ossigeno e produce biogas contenente principalmente metano. Il biogas viene quindi bruciato in un motore a combustione interna o in una turbina a gas per produrre elettricità. - PIROLISI un processo termochimico che converte la biomassa in carbone vegetale e in biogas ricco di idrocarburi. Infine, alcune biomasse possono essere utilizzate per alimentare celle a combustibile, un dispositivo che converte l’energia chimica della biomassa in energia elettrica e calore utilizzando una reazione elettrochimica. In particolare, con riferimento alle caratteristiche delle biomasse a disposizione, le biomasse fermentescibili possono essere convertite in biogas tramite il processo di digestione anaerobica, mentre quelle lignocellulosiche possono essere utilizzate direttamente come combustibili o gassificate per ottenere il cosiddetto “syngas”. Il biogas può anche, se sottoposto a opportuni trattamenti di purificazione (clean-up) e rimozione della CO2 (upgrading), essere immesso nella rete di distribuzione del gas naturale come “biometano”. Resa indicativa in biogas (mc per ton. Di solidi volatili per le varie biomasse e scarti organici. Maggior contenuto di sostanza organica maggiore è il potenziale energetico in termini di produzione di biogas. La produzione di biometano richiede da un lato l’ottimizzazione dei processi di digestione anaerobica e dall’altro lo sviluppo di sistemi di trattamento che consentano di ottenere il gas della qualità necessaria per l’immissione in rete. Sulla base dell’esperienza maturata con differenti tipologie di biomassa, è possibile affermare che le migliori prestazioni nel processo di conversione si raggiungono comunque utilizzando porzioni differenti di sostanza organica; proprio per questo ad esempio la codigestione di effluenti zootecnici con altri scarti organici, al fine di aumentare la produzione di biogas, è una pratica standard in Europa ormai da diversi anni. Vantaggi - Con la codigestione si ha una vendita di maggior quantità di biogas, che unitamente agli introiti ricevuti dai produttori del rifiuto organico utilizzato come co–substrato, permette di ottenere guadagni maggiori rispetto a quelli realizzabili utilizzando una sola specie organica. - La miscelazione di diversi prodotti, inoltre, consente di compensare eventuali fluttuazioni stagionali nella disponibilità di biomassa, si mantiene così più stabile e costante il processo di conversione, evitando sovraccarichi o al contrario carichi inferiori alla capacità stessa del digestore. Svantaggi - Possono nascere problemi legati all’utilizzo non congruo delle varie matrici; un’aggiunta incontrollata di oli e grassi, ad esempio, può determinare un’eccessiva formazione di schiume, mentre rifiuti contenenti considerevoli quantità di inerti, quali sabbia, pietre e terra, possono favorire la formazione di sedimenti nel digestore con conseguente riduzione del volume attivo o addirittura blocco di valvole e tubazioni. (ad esempio se si impiega come co–substrato un quantitativo eccessivo di deiezioni avicole, a causa dell’elevata concentrazione di ammoniaca che queste determinano, è possibile che si arrivi addirittura alla morte dell’intera flora metanigena contenuta all’interno del reattore). Le matrici attualmente più utilizzate nella codigestione di effluenti zootecnici sono gli scarti organici agroindustriali e le colture energetiche Gli scarti organici da utilizzare come cosubstrati provengono dalle più svariate fonti e possiedono quindi forti differenze nella composizione chimica e nella biodegradibilità. Alcune sostanze quali percolati, acque reflue, fanghi, oli, grassi e siero sono facilmente degradabili mediante digestione anaerobica senza richiedere particolari pretrattamenti, altre invece, come gli scarti di macellazione, i residui colturali e la frazione organica dei rifiuti solidi urbani, richiedono vari step di pre–trattamento tra i quali anche la necessità di effettuare una forte diluizione con il substrato base (effluenti zootecnici liquidi), al fine di limitare la formazione di metaboliti inibitori del processo di conversione (si veda ad esempio l’ammoniaca). Se si manda in codigestione la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) il materiale deve essere sottoposto a pressatura– spremitura. Il materiale subisce in questo caso una vera e propria spremitura (ad opera di una coclea posta all’interno di un cilindro forato) attraverso la quale si separano due frazioni: la frazione liquida, ottima per l’invio a digestione anaerobica, e la frazione solida che viene invece destinata al compostaggio. Nonostante il grande interesse però, il ricorso a questo trattamento specifico è ad oggi ancora limitato soprattutto a causa del numero ridotto in Italia di impianti a doppia linea anaerobica–aerobica. TIPOLOGIE DI PROCESSI Di DIGESTIONE ANAEROBICA: 1. processi di digestione ad umido (wet), che si utilizzano quando il substrato in digestione ha un contenuto di sostanza secca inferiore al 10%; tipico è l’utilizzo di questa tecnologia per il trattamento di liquami zootecnici; 2. processi di digestione a secco (dry), che invece si applicano con substrati aventi un contenuto di sostanza secca superiore al 20%. Esistono anche i processi a semisecco (semi–dry), molto meno comuni, che operano con substrati aventi un contenuto di parti solide intermedio ai valori precedentemente visti (quindi tra il 10% e il 20%). Il processo di digestione anaerobica può anche essere suddiviso in: processo monostadio, in cui le fasi di idrolisi, fermentazione acida e metanigena avvengono contemporaneamente in un unico reattore; processo bistadio, nel quale l’idrolisi e la fermentazione del substrato organico avvengono in un primo reattore, mentre la fase metanigena viene condotta separatamente in un secondo digestore. Oppure con distinzione tra le diverse tecniche di alimentazione, che può essere in continuo o in discontinuo, che la modalità con la quale la biomassa si dispone all’interno del reattore; in quest’ultimo caso infatti è possibile avere o un substrato completamente miscelato, oppure un substrato, in movimento lungo l’asse longitudinale, che attraversa fasi di processo via via diverse (flusso a pistone). La digestione anaerobica può, inoltre, essere condotta a diverse condizioni di temperatura: si hanno pertanto sia condizioni mesofile (con temperatura media di processo di circa 35 °C), che termofile (temperatura compresa tra 50 e 65 °C), le quali determinano in genere anche la durata (tempo di residenza) del processo di conversione. Ciò modifica la durata del processo da 40-50 giorni in mesofilia a < 20 giorni in termofilia. La gassificazione è una tecnologia di conversione termochimica per mezzo della quale legno, biomasse lignocellulosiche coltivate, residui agricoli o rifiuti solidi urbani sono trasformati in un gas combustibile, noto come syngas o gas di gasogeno, a basso contenuto energetico, ma molto più versatile da utilizzare rispetto alle materie prime da cui deriva. Il processo di gassificazione consiste di fatto in una ossidazione incompleta che si realizza ad una temperatura variabile tra 800–1.000 °C e ad una pressione che dipende dal tipo di tecnologia impiegata. Indipendentemente comunque dalle modalità con cui avviene questa conversione termochimica, una volta introdotta all’interno del reattore, la biomassa subisce quattro fasi: essiccazione, pirolisi, ossidazione (parziale) e riduzione. La fase di essiccazione determina, per temperature superiori ai 100 °C, l’eliminazione per evaporazione del contenuto d’acqua residuo presente nella biomassa (5–35%); questa subisce quindi una decomposizione pirolitica in assenza di ossigeno che produce, finché la temperatura all’interno del gassificatore è intorno ai 600 °C, la vaporizzazione dei componenti più volatili della sostanza organica con formazione di gas di pirolisi (syngas a basso potere calorifico variabile tra 3,5 e 9 MJ/Nm3) e char ( parte carbonizzata). La parte carbonizzata (char) e le ceneri (non vaporizzabili) entrano in contatto con il mezzo di gassificazione che può essere aria, ossigeno, vapore o una miscela di questi tre elementi. Da questa parziale ossidazione si sviluppa il calore necessario a mantenere attivo l’intero processo di conversione; calore che viene poi assorbito dalle reazioni endotermiche di riduzione dalle quali si formano i costituenti del gas di sintesi. Quando avviene in questa modalità, ovvero con il calore necessario prodotto all’interno del gassificatore, la gassificazione si dice diretta, se invece l’energia termica è generata esternamente al reattore, la gassificazione si dice indiretta o pirolitica. Il contenuto energetico del syngas è però estremamente variabile; esso può arrivare infatti anche a 14 MJ/Nm3, se si adopera ossigeno puro, o addirittura ridursi fino a circa 4 MJ/Nm3 quando si adoperano i comuni gassificatori ad aria. Il biogas e il syngas possono essere poi utilizzati in sistemi cogenerativi di piccola taglia, della potenza massima di qualche centinaio di kW, per la produzione distribuita di energia elettrica e calore. Centrale elettrica a biomassa La combustione di materiali organici, legno, scarti agricoli, rifiuti organici e residui forestali avviene all’interno delle centrali elettriche a biomasse e biogas, dove si mette in moto il processo di produzione e trasformazione in elettricità. Si parte sempre dall’approvvigionamento e dalla raccolta da varie fonti, come foreste gestite, residui agricoli o scarti organici da attività umane, della biomassa. Successivamente il materiale viene sottoposto a un pre-trattamento, che può includere processi di triturazione, essiccazione o tritovagliatura per migliorare la sua gestibilità e il suo potere calorifico. Dopo essere stata pre-trattata, la biomassa viene bruciata in una caldaia ad alta temperatura. Durante la combustione, rilascia calore che trasforma l’acqua in vapore ad alta pressione. Il vapore ad alta pressione fa girare le pale di una turbina collegata a un generatore per generare energia elettrica. In alcuni impianti a biomasse, si adotta anche il sistema di cogenerazione. L’energia termica prodotta durante la combustione della biomassa viene utilizzata per scopi diversi dall’elettricità, come il riscaldamento degli edifici o l’approvvigionamento di acqua calda, rendendo così il processo più efficiente ed economico. Il cogeneratore a biomasse, in particolare, presenta dei vantaggi molto interessanti, tra cui: Più efficienza: Sfruttare sia l’energia elettrica che quella termica prodotta dalla stessa fonte di biomassa aumenta l’efficienza globale dell’impianto. Minori emissioni: La cogenerazione a biomassa riduce le emissioni La cogenerazione consente risparmi di energia primaria pari a di CO2, poiché si sfrutta l’energia residua che altrimenti andrebbe circa il 32% del consumo originale: persa. rendimento termico standard: 85 % Maggiore indipendenza energetica: La cogenerazione permette di rendimento elettrico standard: 40 % utilizzare l’energia termica per scopi locali, riducendo la rendimento termico con cogenerazione: 45 % dipendenza da altre fonti di riscaldamento. rendimento elettrico con cogenerazione: 38 % La situazione dell’energia elettrica da biomasse in Italia è abbastanza sviluppata e mostra un trend costante negli ultimi anni. Secondo gli ultimi dati diffusi da Terna sui consumi elettrici nel nostro Paese, per quanto riguarda la produzione da fonti di energia rinnovabile la ripartizione in termini percentuali risulta: 40,3% idrico 28,1% fotovoltaico 14,6% eolico 12,6% biomasse 4,4% geotermico Dal rapporto statistico effettuato dal GSE (Gestore dei Servizi Energetici), aggiornato a fine 2020, si evince che nel settore termico le biomasse solide, utilizzata soprattutto in ambito domestico sotto forma di legna da ardere e pellet, ha coperto il 65% dei consumi termici da fonti di energia rinnovabili, seguita dalle pompe di calore (24%). Lungo tutta la Penisola si contano oltre 2500 tra centrali a biogas e biomassa, mentre con uno sguardo alla distribuzione regionale, i primi tre posti sono occupati da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. È indubbio, dunque, che l’impatto sull’ambiente della combustione delle biomasse sia inferiore rispetto alle risorse fossili, oltre a ridurre la dipendenza da questo tipo di soluzione e permetterci di scegliere tra opzioni diversificate e più valide guardando al futuro. I sistemi cogenerativi devono basarsi su impianti affidabili, di facile gestione e competitivi, e il loro sviluppo richiede l’ottimizzazione dei processi di produzione e purificazione del gas, la messa a punto di tecnologie di generazione/cogenerazione a elevata efficienza e l’integrazione tra i vari sottosistemi. La cogenerazione è quindi una tecnologia che consente di produrre contemporaneamente energia elettrica e termica, cioè calore. La trigenerazione è poi un particolare campo dei sistemi di cogenerazione che, oltre a produrre energia elettrica, permette di usare l’energia termica anche per produrre energia frigorifera. In entrambi i casi, il risparmio di energia primaria rispetto alla produzione separata è senza dubbio notevole, ma c’è un però… Occorre avere necessità di energia e calore, anzi fabbisogni fissi e quotidiani, perché la cogenerazione (o la trigenerazione) diventi un investimento economicamente profittevole. Quindi consumo contemporaneo, costante e continuo di energia e calore. La cogenerazione è soprattutto utilizzata in ambito industriale dove, per buona parte dei processi, c’è bisogno di avere a disposizione una quantità costante di energia termica. Molto meno nel settore residenziale, in particolare in un Paese come l’Italia, caratterizzato da un clima mite in buona parte delle sue regioni persino d’inverno, per non parlare dei mesi primaverili ed estivi. In questo caso, la necessità, piuttosto, è quella di avere a disposizione aria fresca e condizionata, che risulta utile – peraltro – anche in molti processi industriali, specialmente quelli che hanno a che fare con la conservazione e la trasformazione alimentare. I vantaggi energetici della cogenerazione sono sviluppati appieno attraverso il teleriscaldamento. Le reti di teleriscaldamento che utilizzano centrali a cogenerazione favoriscono il raggiungimento di una maggior efficienza energetica globale. Per teleriscaldamento si intende un sistema di unità di riscaldamento a distanza. Attraverso una rete di condutture, trasporta il calore generato da grandi centrali di cogenerazione (anch’esse gestite “da remoto”) alle singole strutture che necessitano del calore; possono essere industrie, ospedali, alberghi, scuole o quartieri residenziali. Una centrale di cogenerazione, o teleriscaldamento, è un grande impianto che produce calore ed energia elettrica e lo distribuisce all’area urbana circostante. Dalla centrale, il calore viene trasmesso al fluido termovettore (può anche non essere acqua). Questo, poi, viene distribuito attraverso una rete di condotte verso le utenze finali. Ad un certo punto, la rete di tubazioni primaria incontra quella secondaria degli utenti e avviene lo scambio di calore attraverso le sottocentrali installate presso i diversi edifici. Il calore viene trasferito nell’acqua delle tubazioni secondarie degli utenti e può essere utilizzato per riscaldare gli ambienti o per costituire acqua calda sanitaria. Infine, il fluido termovettore, che ha ormai perso il suo calore, torna verso la centrale di teleriscaldamento. Qui potrà essere nuovamente riscaldato e ridistribuito. La rete primaria di tubazioni è quella che parte dalla centrale di cogenerazione e si distribuisce lungo tutto la superficie urbana, arrivando fin sotto gli edifici, alla centralina di scambio. La rete secondaria è quella che, partendo dagli impianti di riscaldamento degli utenti, si collega alla rete primaria attraverso la centralina di scambio. Quest’ultima gestisce lo scambio di calore tra il fluido termovettore, proveniente dalla centrale di cogenerazione, e gli ambienti da riscaldare. Il teleriscaldamento riduce gli sprechi energetici e ha un minor impatto ambientale rispetto ai tradizionali metodi di riscaldamento a caldaia singola. Infatti, nelle centrali possono essere usati diversi tipi di combustibile a seconda delle disponibilità sul territorio e della disponibilità sul mercato. Inoltre, vengono ridotti i costi di trasporto e di manutenzione rispetto alla caldaia per ogni appartamento. Risultano evidenti le economie di scala che si instaurano concentrando la funzione di riscaldamento in un unico impianto per diverse unità abitative. Se adeguatamente realizzate, le centrali di cogenerazione garantiscono livelli di inquinamento estremamente contenuti. Il teleriscaldamento è un sistema di trasporto a distanza del calore che può essere utilizzato per il riscaldamento, il raffrescamento e la produzione di acqua calda sanitaria. Ciò che lo caratterizza è il sistema di produzione e distribuzione di calore, che viene generato in modo efficiente, sfruttando differenti fonti energetiche, rinnovabili e non rinnovabili. Si tratta di un sistema semplice, meno inquinante, economico e sicuro per climatizzare gli edifici, soprattutto se residenziali. Alla base del funzionamento del teleriscaldamento ci sono le centrali di cogenerazione nelle quali viene prodotto calore che successivamente viene immesso nella rete di distribuzione e, da qui, alle singole unità abitative. Le centrali di cogenerazione possono funzionare con diverse tipologie di combustibile in base alla disponibilità presente sul territorio. Il funzionamento è così riassunto: nelle centrali di cogenerazione viene prodotto e distribuito un liquido, più generalmente acqua, ad una temperatura di 80°C- 90°C oppure a 120°C-130°C quando surriscaldata. Il calore può essere prodotto attraverso centrali a caldaia (a combustibile fossile, biomassa o da termovalorizzazione RSU), sistemi a pompa di calore (che sfruttano l’energia geotermica per esempio) o solare termico; il liquido viene trasportato attraverso una rete di tubazioni (rete di distribuzione primaria) fino a raggiungere gli edifici allacciati al teleriscaldamento; una volta giunto a destinazione, il liquido, cede il calore all’impianto dell’abitazione che può sfruttarlo per riscaldare gli ambienti e l'acqua domestica; il liquido termovettore, raffreddato per aver ceduto il calore alle abitazioni, ritorna poi alla centrale per essere riportato alla massima temperatura e ricominciare il ciclo. Inoltre, è opportuno sottolineare che il sistema di distribuzione del calore può essere di due tipologie: di distribuzione diretto: in questo caso, è un unico circuito idraulico a collegare la centrale di produzione dell’energia termica con il corpo scaldante dell’utente (ad esempio il termosifone); di distribuzione indiretto: in questa seconda evenienza, esistono due o più circuiti separati che comunicano attraverso degli scambiatori di calore. Per avere un’idea dell’efficacia delle centrali di teleriscaldamento si pensi alle centrali di Torino e Brescia che sono capaci di soddisfare il fabbisogno energetico dei cittadini di entrambe le città, riuscendo quindi a coprire un’area abbastanza vasta.

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