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This document is a lecture or course material focusing on the Italian Alps. It provides an overview of the alpine environment encompassing aspects of geography, culture, and history of the Italian Alps. It also provides an overview and information on mountain legislation and the role of the teacher.

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L’ambiente alpino La montagna non è mai uguale, ciascuna valle cambia e i versanti hanno le loro peculiarità irriproducibili. Ogni territorio è sempre particolare ed originale, ogni angolo montano non ha nulla in meno rispetto ad altre stazioni famose. Molto spe...

L’ambiente alpino La montagna non è mai uguale, ciascuna valle cambia e i versanti hanno le loro peculiarità irriproducibili. Ogni territorio è sempre particolare ed originale, ogni angolo montano non ha nulla in meno rispetto ad altre stazioni famose. Molto spesso però, questo essere piccolo, di nicchia, si traduce in tali unicità, che per essere notate, devono essere promosse da qualcuno che le conosca, che ne sia competente e che le abbia a cuore. Nel nostro caso, è il maestro che diviene il tramite tra il territorio, l’ignoranza del turista e le sue esatte o errate credenze. Deve suscitare la sua curiosità, stuzzicandogli anche il palato (ottima scusa per farsi offrire una cena), scatenando in lui la voglia di scoprire di più a proposito della stazione sciistica dove si trova e dei luoghi circostanti. L’ospite della montagna deve tornare a casa soddisfatto, sicuro di aver vissuto un’esperienza irripetibile, a meno di non ritornare nel medesimo luogo, da raccontare orgoglioso agli amici. Il passaparola, é uno strumento di marketing importantissimo, una delle migliori (o peggiori) pubblicità. Conoscere il territorio dove si opera è fondamentale per diventare una guida completa e stimata. Accennare il nome di una montagna, citare qualche piccolo aneddoto di storia locale, raccontare le tradizioni, il folklore del paese, spiegare le attività estive, permette al turista ignaro, di percepire l’ambiente alpino, il nostro territorio, come un qualcosa di vivo, che va ben oltre all’immagine stereotipata proposta dal catalogo dell’agenzia di viaggio. IMPORTANTE: questa dispensa, insieme con la presentazione usata per la lezione e all’uscita sul territorio costituisce un insieme di informazioni di varia natura per riuscire a farsi un’idea circa la complessità dell’ambiente alpino. Vuole essere il punto di partenza affinché ognuno di voi, cominciando ad osservare, inizi a porsi delle domande, prenda in mano qualche pubblicazione o parli con qualche esperto (talvolta basta un nonno) per approfondire le proprie conoscenze. MODALITA’ D’ESAME Preparatevi su tutto il materiale fornito (dispensa, presentazione, appendici) e relativo alle lezioni. Inoltre ognuno dovrà aver approfondito l’ambiente alpino (cioè gli aspetti naturalistici, geografici, storici, culturali, turistici, enogastronomia, altre particolarità locali, e chi più ne ha più ne metta!!!) del luogo in cui andrà a svolgere la sua professione. Se ci sono argomenti che vi stanno a cuore, che ritenete fondamentali o che semplicemente vi appassionano molto, potete, anzi dovete, approfondirli ulteriormente! L’obiettivo di questo corso è farvi diventare degli esperti delle vostre zone, dovrete essere quindi in grado di rispondere alle domande di un allievo curioso. Francesca Casse - Pagina 1 di 16 «Non esistono proprie montagne, si sa, esistono però proprie esperienze. Sulle montagne possono salirci molti altri, ma nessuno potrà mai invadere le esperienze che sono e rimangono nostre». Walter Bonatti «La montagna insegna a vivere: questa frase l'ho udita spesso, ma... non è vera. C'è gente che frequenta i monti da una vita e non ha imparato un tubo! La montagna al massimo regala emozioni a chi è sensibile ed educato». Mauro Corona LA MONTAGNA “LEGALE” Con la Costituzione Italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, si parla di montagna senza definizioni, all’interno della prima parte ovvero quella dei diritti e doveri dei cittadini. L’art. 44 dichiara: “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostruzione delle unità produttive, aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.” La Legge 991 del 1952, “Provvedimenti a favore delle zone montane”, definisce per la prima volta i Comuni montani come quelli che sono situati per non meno dell’80% della loro superficie al di sopra dei 600 m d’altitudine, che hanno un dislivello altimetrico almeno di 600 m e considera inoltre il reddito imponibile medio per ettaro: questo non deve superare una soglia prefissata del reddito dominicale e del reddito agrario. Vengono quindi disposti particolari aiuti, misure, contributi in favore dei suddetti territori. Con la Legge 1102 del 1971, “Nuove norme per lo sviluppo della montagna”, nascono le Comunità Montane e viene delegato alle singole Regioni di definire in base a criteri di omogeneità sociali ed economiche quali sono questi territori. Dal ’71 al ’90 il numero dei comuni montani in Italia cresce poiché vi rientrano anche alcuni che soddisfano solo parzialmente le condizioni del ’52, il territorio definito come montano supera in questo modo il 50% della superficie nazionale. La Legge 97 del 1994, “Nuove disposizioni per le zone montane”, per la prima volta considera la montagna come una risorsa e non come un problema, istituisce il Fondo nazionale per la montagna, stanzia una serie di incentivi ed aiuti per chi ha aziende agricole, premi per l’insediamento, aiuti per i servizi ecc… Per il Piemonte è inoltre importante la Legge Regionale 16 del 1999, “Testo unico delle leggi sulla montagna”, poiché costituisce il riferimento generale, sul funzionamento della Comunità Montana e di tutte le azioni regionali per la montagna, la sua tutela ed il suo sviluppo. Il riferimento attuale più completo per ogni attività rurale è il P.S.R. - Piano di Sviluppo Rurale - che periodicamente si aggiorna (quello in corso vale per il periodo 2014-2020) e rappresenta il metodo per utilizzare i fondi europei. Ogni regione lo gestisce in maniera autonoma attivando le varie misure che sono contenute nel Regolamento Europeo di riferimento. Le misure che vengono attuate, con i relativi bandi pubblici, mirano a stimolare la competitività del settore agricolo, garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali e l’azione per il clima, realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato delle economie e comunità rurali (per approfondire http://www.regione.piemonte.it/agri/psr2014_20/). In particolare le misure espressamente dedicate alla montagna sono: M04 - Investimenti in immobilizzazioni materiali, per le infrastrutture necessarie all’economia montana (strade, acquedotti, infrastrutture per l’alpeggio); M07 - Servizi di base e rinnovamento dei villaggi nelle Francesca Casse - Pagina 2 di 16 zone rurali, per sostenere dal punto di vista dei servizi di base, ma anche ricreativi e culturali, i villaggi, i comuni e le borgate montane; M13 - Indennità a favore delle zone soggette a vincoli naturali o ad altri vincoli specifici, si tratta di pagamenti compensativi in zone montane; M19 - Sostegno allo sviluppo locale LEADER che prevede il sostegno allo “sviluppo locale partecipativo” – Leader, realizzato attraverso i Gruppi di Azione Locale (GAL) del territorio, che elaborano specifici Programmi di Sviluppo Locale (PSL). DEFINIZIONI … solo alcuni spunti per incominciare ad interrogarsi e a riflettere. Ambiente Da un punto di vista antropologico, è tutto ciò che ci circonda materialmente e intellettualmente, accade, si vede, viene pensato, si esprime intorno a noi, può influenzarci. Dal punto di vista biologico invece è l’insieme dei fattori fisici, chimici, dinamici che caratterizzano quella parte del globo terrestre, ovvero della biosfera, dove sussistono le condizioni indispensabili alla vita vegetale e animale e si svolge la vita di tutti gli organismi, compreso l’uomo. Ormai però è impensabile separare la componente ecologica da quella culturale, basti pensare all’influenza esercitata continuamente da parte dell’uomo che ha progressivamente sfruttato e interferito negli ambienti creandone di nuovi artificiali. Possiamo quindi giungere alla definizione più generale di ambiente inteso come sistema dinamico costituito da un complesso reticolo di relazioni, interdipendenze, scambi di energia tra realtà naturale e realtà antropica. (Regione Emilia - Romagna, l’Educazione ambientale in poche parole, 2005) L’ambiente alpino in particolare viene considerato come uno straordinario terreno di gioco e conoscenza in cui poter praticare attività fisiche e nel contempo acquisire esperienze formative: imparare a conoscere e accettare i propri limiti e le proprie doti, rispettare la natura, approfondire la geografia, le geologia, la flora, la fauna, il lavoro dell’uomo sulla montagna. (CAI Pordenone) Territorio Questo termine tradizionalmente indica una specifica area geografica, della quale un aggettivo in seguito precisa limiti amministrativi o connotazioni fisiche, storiche culturali e socio economiche. Un’accezione più moderna tende a designare un’entità dai confini più sfumati, che comprende tutto ciò che non è urbano, il forte significato simbolico ultimamente acquisito, richiama l’importanza delle relazioni che nel tempo si stabiliscono fra tutti i soggetti in esso presenti. (Regione Emilia - Romagna, l’Educazione ambientale in poche parole, 2005) Paesaggio La definizione del termine è aperta, come la vastità che esso rappresenta, è controversa in quanto lascia il campo a numerose interpretazioni, è usato talvolta impropriamente o scambiato con altri concetti come quello di panorama. Le maggiori interpretazioni di paesaggio sono in conflitto sull’esistenza o meno dello stesso anche in assenza di un osservatore esterno. Se sì allora si deve arrivare ad una serie di criteri catalogatori indipendenti. Se no, il suo valore è dato caso per caso dalle emozioni e sensazioni che in ogni spettatore esso provoca anche in relazione alla sua cultura, alle sue esperienze. Per mediare, possiamo definirlo come il prodotto della tensione tra soggetto e oggetto, tra il filtro culturale proprio di ogni osservatore ed il campo naturale. (da http://topos.blog.excite.it/permalink/99231) La Convenzione europea del paesaggio, lo definisce come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (Convenzione europea del paesaggio, Firenze 20/10/2000) Francesca Casse - Pagina 3 di 16 Il paesaggio rurale è un sistema complesso, che assomma aspetti produttivi, culturali e ambientali. Esso costituisce un elemento fondamentale di interconnessione fra l’attività umana e il sistema ambientale, in cui la capacità dell’uomo di influire sul territorio si esplica con modalità diverse, che possono variare in relazione alle diverse situazioni ambientali e alle diverse tecniche produttive, ma che comunque si basano sulla necessità di trovare un equilibrio con le condizioni dell’ambiente in cui si opera. Così, in parallelo con la piena tutela degli ambiti a vocazione naturalistica integrale, la salvaguardia dell’azienda agricola diventa un presupposto essenziale della tutela dell’ambiente e del paesaggio. Il mondo rurale esprime comunque una serie di valori culturali di enorme rilievo, legati soprattutto ad un insieme di aspetti riconducibili alle tecniche di coltivazione, all’artigianato tipico, alle tecniche architettoniche e costruttive, alle produzioni agroalimentari (tradizionali e non), alle forme di controllo e di gestione ambientale, alla cultura e alle tradizioni delle aree rurali. La riscoperta del mondo rurale è un passaggio necessario per lo sviluppo sostenibile1. (da www.paesaggio.net) Il paesaggio alpino è sostanzialmente un paesaggio agricolo, ricco di elementi quali insediamenti, strade, confini, espressione materiale delle complicate relazioni economiche, sociali e culturali della comunità locale. E’ un paesaggio particolarmente suggestivo, grazie alla varietà dei punti di osservazione che solo la montagna può offrire. Ogni vallata ha la sua specifica configurazione, che genera un sistema territoriale complesso in equilibrio fra i diversi assetti della vegetazione spontanea e coltivata e dai vincoli insediativi che quest’ultima ha sempre introdotto. BIODIVERSITA’ Gli ambienti montani sono importantissimi serbatoi di biodiversità. Proviamo a definirla. La prima definizione di biodiversità fu coniata durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e sullo sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992: ”Per diversità biologica si intende la variabilità degli organismi viventi, degli ecosistemi terrestri, acquatici e i complessi ecologici che essi costituiscono; la diversità biologica comprende la diversità intraspecifica, interspecifica e degli ecosistemi”. (da http://www.legambiente.it/temi/natura/biodiversita) E’ il frutto dei processi evolutivi che, sotto la spinta della selezione naturale, agiscono sulle caratteristiche genetiche e morfologiche delle specie, permettendo così alle forme di vita di adattarsi al cambiamento delle condizioni ambientali. La biodiversità è fondamentale per noi e per tutti gli esseri viventi della Terra, è il pilastro della salute del nostro pianeta. Dalla varietà animale e vegetale, dipendono sia la qualità dell'esistenza umana sia la nostra stessa possibilità di sopravvivenza. Se la varietà della vita è più ampia, ogni ecosistema reagisce meglio alle minacce. La biodiversità è minacciata da: irresponsabili pratiche di allevamento, agricoltura, disboscamento e pesca, dall’inquinamento, dai cambiamenti climatici, da dissesti idrogeologici oppure dall’introduzione di specie aliene e/o OGM. LA FLORA ALPINA La grande varietà floristica delle Alpi è dovuta a diversi fattori. La quota ha sicuramente una grande rilevanza, conta molto anche l’esposizione del versante, visto che le stesse piante riescono a salire più in alto sui pendii esposti a sud; vi sono poi i fattori pedologici ovvero le caratteristiche del terreno o delle rocce e si devono considerare le influenze nel tempo dovute ai cambiamenti climatici. Non si può però dimenticare la massiccia e costante azione esercitata dall’uomo e dalle sue attività da millenni. 1 Sviluppo sostenibile: Secondo la definizione proposta nel rapporto “Our Common Future” pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo (Commissione Bruntland) del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo in grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri» (www.treccani.it) Francesca Casse - Pagina 4 di 16 Per quanto riguarda i limiti altimetrici, si può così schematizzare: Strato nivale, oltre i 3000 metri di quota dove si trovano generalmente i ghiacciai. Strato alpino, fra i 3000 e i 2000 metri di quota. In esso troviamo le rocce nude, che ospitano piante che hanno sviluppato alcuni adattamenti, come lunghe radici per ancorarsi e trovare il nutrimento. Nei pascoli si trovano erbe e fiori dai colori e profumi intensi, adattamenti utili per attirare gli insetti impollinatori. Nelle vallette nivali invece, così chiamate poiché qui la neve si ferma anche più di otto mesi, si trovano piante che sono adattate per compiere il loro ciclo vitale in poche settimane. Strato subalpino, fra i 2000 e i 1500 metri di quota. Qui si incontrano spesso distese di arbusti quali i rododendri, i mirtilli, l’ontano al bordo dei ruscelli. Scendendo sono presenti le foreste di conifere, piante caratterizzate dalle foglie trasformati in aghi (resistono meglio al freddo perché la loro superficie è contenuta). Strato montano, fra i 1500 e gli 800 metri di quota. E’ la zona delle foreste di alberi a latifoglie, miste anche con conifere quali per esempio l’abete. Qui si trovano i migliori prati da sfalcio. CULTURA ALPINA Elementi del paesaggio montano Il paesaggio montano è il risultato del sistema economico tradizionale che era essenzialmente (quanto più possibile) autarchico e definibile come agro-silvo-pastorale. La sua propria identità è stata plasmata da secoli di lavoro umano. E’ l’opera di costruzione dell’uomo nel corso dei secoli che trasforma il territorio in paesaggio. Il paesaggio è il risultato di modifiche dell’ambiente operate in funzione dell’uso delle risorse del territorio: risultato che può essere più o meno apprezzabile in quanto se ne può fruire in modo occasionale o permanente, ricavandone un godimento, un piacere che nasce da una certa disponibilità all’osservazione. Così come la musica non è un qualsiasi rumore, il paesaggio non è un qualsiasi spazio. Orti Elemento fondamentale per l’economia familiare. Di solito l’orto è adiacente all’abitazione ed è recintato. Prati stabili da sfalcio Se non vengono sfalciati ogni anno vengono prima invasi dagli arbusti (rosa canina, ginepri…), per essere definitivamente invasi dal bosco in qualche decennio. Spesso gli uomini partivano di notte per poter sfalciare all’alba con la rugiada che facilita il lavoro, i bambini portavano la colazione e l’acqua, le donne il pranzo e aiutavano ad essiccare l’erba e riunirla in fasce. Campi da coltivo Arati o con vanga e zappa se pendenza non lo permette. Dal 1700 con il modificato sistema ereditario i frazionamenti dei fondi hanno portato alla “polverizzazione fondiaria” ovvero un’eccessiva frammentazione della proprietà agricola, che unita al richiamo dell’industria è una delle principali cause dell’abbandono della montagna. Terrazzamenti sistemazioni del terreno pendente mediante la costruzione di muri a secco fatti con le pietre ricavate in loco con il lavoro di dissodamento del campo; sono la più intensiva utilizzazione agricola dei suoli coltivati e la più incisiva e duratura trasformazione morfologica del territorio agricolo. Tipici del paesaggio viticolo. Gradoni sistemazioni del terreno in pendenza con il riposizionamento del terreno fertile in modo da ridurre la pendenza e facilitare il lavoro agricolo. Boschi Fondamentali nell’economia montana perché fonti di molteplici risorse: legna da usare per le costruzioni, per gli attrezzi, per i mobili, legna da ardere, frutti e semi eduli; in alcuni boschi Francesca Casse - Pagina 5 di 16 mantenuti radi si praticava agricoltura o potevano pascolare gli animali, i boschi hanno anche una importantissima funzione di protezione idrogeologica. Pascolo Terreno coperto di erbe spontanee, che non vengono falciate ma sono direttamente pascolate dal bestiame (da www.treccani.it). Territorio in alta quota liberato dal bosco per utilizzare la prateria per il nutrimento del bestiame che vi viene portato per un numero variabile di mesi a seconda delle esigenze e della quota. Gli ovini prediligono specie più semplici e secche, i bovini invece hanno bisogno di erbe pingui. I pascoli alpini sono quindi molto più ampi di quanto sarebbero naturalmente, è l’esigenza stessa di avere ampi pascoli in cui portare le mandrie nel periodo estivo cha da secoli ha fatto lavorare l’uomo per contenere il bosco Se abbandonato evolve lentamente verso il bosco, passando da una fase più o meno lunga in cui viene invaso dagli arbusti (mirtillo, rododendro,..). Il pascolo è importantissimo: aumenta la biodiversità, contiene il bosco, mantiene strade e camminamenti, rende possibile la tipicità dei formaggi, sostiene il commercio locale, forma la rugosità dei terreni e quindi ha una funzione antivalanga/idrogeologica. Camminamenti segni, anche molto simili a veri e propri sentieri, creati dalle bestie che ripetitivamente passano sui pendii in fila attraversandoli lungo le curve di livello. Possono essere molto estesi nei pascoli frequentati da grandi mandrie di bovini, ma vengono anche creati dal passaggio di greggi o da selvatici. Pied de vache in patois. Canali sistemi per portare l’acqua nei campi, variano in dimensione, profondità e lunghezza, a seconda delle esigenze del luogo. Viabilità storica Una rete di strade carrozzabili – da quelle di interesse locale agli antichi valici transalpini – strade militari, mulattiere, sentieri che uniscono i centri abitati fra di loro, con i luoghi di interesse economico/di lavoro. Costruita nei secoli, mano a mano che i versanti venivano strappati al bosco originario per ricavare territori utili ai fini agro/silvo/pastorali, senza dimenticare le altre attività umane come quella mineraria.Ora rappresentano una risorsa turistica preziosa ad esempio per chi pratica escursionismo ed altri sport di montagna ad ogni quota e quindi in ogni stagione. La Regione Piemonte definisce ancor meglio ogni elemento. Definire e conoscere è il punto di partenza per la manutenzione (prima), valorizzazione e promozione (poi). Sentiero. Una via stretta, a fondo naturale, tracciata fra prati, boschi, rocce, ambiti naturalistici o paesaggi antropici; in pianura, collina o montagna, non classificato nella viabilità ordinaria, generatasi dal passaggio di uomini o animali, ovvero creata ad arte dall’uomo ai fini della viabilità. Viabilità minore. La rete di mulattiere, strade ex militari, carrarecce, piste, strade di norma classificate come comunali ed iscritte negli appositi elenchi del Comune, ovvero parte del Demanio Comunale e identificate nel Catasto Terreni, ovvero vicinali (suolo privato ma soggetto a servitù di passaggio) o interpoderali. Percorso. Tracciato escursionistico ben definito che si svolge in gran parte su sentieri e sulla viabilità minore, composto da elementi minimi dette “tratte” ed inserito nel Catasto e nella rete Regionale dei Percorsi Escursionistici. Tratta. Porzione omogenea di percorso definita da un punto iniziale e finale, caratterizzata da una serie di elementi che la connotano come la tipologia di tracciato, di fondo e la difficoltà escursionistica. Itinerario. L’unione di percorsi o tratte appartenenti a percorsi esistenti e compresi nel Catasto regionale dei percorsi escursionistici, che si sviluppa prevalentemente in ambiente naturale e semi- naturale, anche antropizzato, di forte impatto attrattivo e che si inserisce e si integra con l’offerta turistica sul territorio di riferimento. L’itinerario, della durata di uno o più giorni, deve essere opportunamente segnalato, infrastrutturato e supportato da adeguati servizi all’escursionista Francesca Casse - Pagina 6 di 16 Tappa. L’unità minima in cui si articola l’itinerario ai fini della razionale fruizione dell’itinerario stesso. Nel caso di itinerario di più giorni, la tappa corrisponde al tratto percorribile nella giornata, in funzione della localizzazione delle strutture di appoggio e dei tempi di percorrenza; nel caso di itinerario della durata di poche ore, deve essere prevista un’unica tappa. Variante. Tracciato alternativo che si dirama da quello principale dell’itinerario e si riconnette allo stesso dopo un tratto di lunghezza variabile, oppure un ramo di collegamento che costituisce una possibile via di accesso o di fuga intermedia (vedi schema sottostante). Via ferrata. tratto di percorso prevalentemente artificiale, segnalato, che conduce il fruitore su pareti rocciose o su creste, cenge e forre, preventivamente attrezzate con funi, scale o pioli. Via di arrampicata. tracciato su roccia più o meno verticale di lunghezza e difficoltà variabile, caratterizzato da appigli per le mani e appoggi per i piedi d’ogni forma e dimensione, naturali e no, atti a facilitare la progressione. Sito di arrampicata. insieme di aree caratterizzate da vie di arrampicata sportiva mono-tiro con caratteristiche di sicurezza e di percorribilità tali da essere anche considerate idonee alla facilitazione dell’apprendimento della pratica sportiva. Elementi di architettura alpina La casa in pietra Rappresenta la tipologia più diffusa in tutto l’arco alpino. Ciò è dovuto essenzialmente alla facilità di reperimento della materia prima che trovandosi direttamente sul posto é quindi la più economica. Le varianti sono molteplici, i canoni e i modi di costruzione variano a seconda delle zone in relazione all’influenza culturale e al tipo di roccia presente sul territorio. Ne è un esempio la differenza fra i tetti in lose, grandi lastre ricavate dalla pietra scistosa, con i tetti in piode o beole, ovvero pietre di dimensioni minori lavorate piatte e ottenute da rocce di natura differente. Queste ultime hanno diffusione nel nord del Piemonte, mentre nelle valli occidentali grazie alle rocce scistose si trovano tetti in lose. - tetti in lose, grandi lastre ricavate dalla pietra scistosa, quindi diffusi nelle valli occidentali del Piemonte - tetti in piode o beole, ovvero pietre di dimensioni minori lavorate piatte e ottenute da rocce di natura differente, hanno larga diffusione nel nord del Piemonte; - tetti in paglia, diffusi in tutto il Monregalese; nella zona di Roccaforte Mondovì, Frabosa si trovano i rarissimi tetti “racchiusi”, con i muri frontali della casa, coperti da lastre di pietra, che salgono più alti rispetto alle falde del tetto, queste ultime coprono quindi solo i muri laterali. La casa in legno Questa tipologia è molto più diffusa nelle Alpi orientali perché di chiara discendenza germanica, ma come eccezione alla regola è presente in Piemonte in vari punti quali per esempio in alcune testate delle valli dell’Alta Val Susa. Questo per via della grande abbondanza di ottimo legno da opera quale il larice. Cultura Walser I Walser sono un popolo di origine alemanna che fra il XII ed il XIV secolo emigrarono dall’Alto Vallese verso più destinazioni d’alta montagna. Per quanto riguarda l’attuale Piemonte, essi si stabilirono nelle valli meridionali del Monte Rosa ad Alagna, Rimella e Macugnaga, Rima e Ornavasso. Originariamente le case tipiche erano in legno, ma la struttura principale poteva subire delle varianti e presentare parti in pietra, in funzione dalle disponibilità dei materiali nel luogo di arrivo. Va inoltre considerata l’evoluzione subita nel corso del tempo, per esempio l’innalzamento delle abitazioni a tre livelli nel corso del‘500. Era necessaria un’estrema solidità nelle loro dimore, poiché abitavano in alta montagna, dove le condizioni climatiche erano tutt’altro che facili, i walser erano Francesca Casse - Pagina 7 di 16 infatti giunti in zone fino ad allora utilizzate solo come alpeggi. Inizialmente essi erano sostanzialmente pastori, nel corso del ‘400 però si diffuse la coltivazione dei cereali. Si può indicare, quale esempio di elemento caratteristico frequente della loro architettura, le caratteristiche balconate in legno, molto facilmente riconoscibili per esempio in Val Sesia. Queste strutture caratteristiche servivano per permettere di essiccare il fieno al riparo delle frequenti piogge estive tipiche del clima di quelle valli. La Val d’Ossola Comprende la Valle Anzasca, sul lato del Monte Rosa e caratterizzata dalle cultura walser, la Valle Antrona e la Valle Bognanco, famose per le terme e le acque minerali, la Valle Divedro, attraversata dal tunnel del Sempione, la stretta Valle Antigorio, la Val Formazza primo insediamento walser del XII sec e dove si trovano le cascate del Toce, la Valle Isorno e la Val Vigezzo, chiamata la valle dei pittori. Le Valli di Lanzo Sono la Val Grande, la più larga, la Val d’Ala, stretta e ripida, la Val di Viù. In passato sono state i primi luoghi di villeggiatura della società torinese, sono note infatti molte ville, ex residenze estive di aristocratici. La loro vicinanza alla città giocava un ruolo favorevole in un’epoca dove i trasporti non erano immediati e comodi come ora. Per le loro caratteristiche morfologiche inoltre, non si può sottovalutare l’importanza di questi siti nella tradizione alpinistica. Dal punto di vista linguistico fanno parte delle valli arpitane, ovvero quelle dove si parlava la lingua francoprovenzale. Le otto valli arpitane da nord a sud sono: Val Soana, Valle Orco, Val Grande, Val d'Ala, Val di Viù, Val Cenischia, bassa Val Susa, alta Val Sangone. Inoltre segnaliamo la Daunia arpitana: una minoranza francoprovenzale nei Monti Dauni in Puglia stanziata nel XII sec. nei due piccoli comuni di Celle San Vito e Faeto (nel territorio appenninico della val Maggiore - Foggia) e parlante rispettivamente i dialetti cellese e faetano della lingua francoprovenzale. Le Valli Occitane Sono: Valle di Susa (più precisamente l’Alta Valle), Val Pellice, Val Chisone, Val Germanasca, Valle Po, Val Varaita, Valle Maira, Valle Grana, Valle Stura di Demonte, Valle Gesso, Valle Vermenagna, Valle Pesio, Valle Ellero, Val Corsaglia. L’Occitania, termine che compare per la prima volta nel 1290, è il nome usato per indicare l’insieme delle regioni dove si parlava la lingua d’oc, a partire dall’est della Spagna, comprendendo tutto il sud della Francia, per arrivare alle vallate alpine italiane. La storia delle valli occitane piemontesi è legata anche alle vicende dei Savoia e dei Delfini di Francia per le vallate che fecero parte degli Escartons brianzonesi. Gli Escartons – cenni di storia I Delfin, ovvero i Conti d’Albon, aristocratici del Viennese, furono i sovrani che governavano su questo territorio a partire dalla fine del X secolo, dopo aver sconfitto i saraceni cominciano ad espandere la loro influenza e alla fine dell’XI secolo occupano tutta la Val d’Oulx fino a Chiomonte. Lentamente le comunità si espandono anche nelle valli minori e cominciano ad affermarsi gli Escartons di Briançon, del Queyras, di Casteldelfino, d’Oulx e di Pragelato (anche se quest’ultimo si separerà solo in futuro da quello di Oulx). Gli Escartons sono organizzazioni di comunità che si raggruppano per le divisione delle tasse (ecarter=dividere in quarti) e per la difesa dei loro interessi; sono dunque federati sotto il Grande Escarton Briançonnese e Briancon ne rappresenta la “capitale”. Nel 1343 i rappresentanti dei cinque cantoni richiesero e ottennero dal Delfino Umberto II un riconoscimento ufficiale e definitivo, in nome della loro condotta da sempre esemplare, con la “Grande Charte”, transazione che sanciva la libertà di tutti gli abitanti, dichiarandoli liberi, franchi e borghesi, esenti da tutte le imposizioni e dei servizi del feudalesimo, il Delfino in cambio si Francesca Casse - Pagina 8 di 16 riservava alcuni diritti e alcune tasse, oltre a doni in fiorini. Con questo documento ogni abitante era definito franco borghese, ovvero con pieni diritti di libertà. Questo fatto rappresenta una situazione estremamente avanzata per l’epoca, ricordiamoci infatti che ovunque era diffuso il feudalesimo. Dopo vari accadimenti riguardo alla dinastia dei delfini, nel 1349 Umberto II, dopo aver perso il suo unico figlio, decise di ritirarsi a vita monastica, donando gli Escartons ai figli primogeniti del Re di Francia, a patto che prendessero il suo titolo di delfino ed il suo stemma (da qui l’abbinamento del giglio di Francia e del delfino). Nel 1349 quindi tutta la Confederazione degli Escartons passa alle dipendenze francesi, mantenendo per circa 400 anni l’autonomia amministrativa, (ancora adesso infatti il patois nei due versanti alpini risulta essere molto simile). Gli Escartons vivranno perfettamente integrati nel regno di Francia fino al 1713. Nel 1713 con il trattato di Utrecht gli Escarton dalla parte francese delle alpi, cioè quello di Briançon e quello del Queyras rimangono alla Francia, mentre quelli di Oulx, Casteldelfino e Pragelato passano al Piemonte in cambio della valle di Barcelonette. Le garanzie e gli antichi privilegi furono mantenuti e confermate dalle Regie Patenti del 28 giugno 1737 da Carlo Emanuele III ma queste terre non torneranno più francesi se non con la breve parentesi napoleonica. Seguirono invece le vicende dei Savoia e dell’Unità d’Italia vedendo sparire a poco a poco le loro istituzioni e le loro autonomie. Nel 1860 l’insegnamento nelle scuole del francese fu sostituito all’italiano ed il patois cominciò la sua lenta agonia. Le Valli Valdesi (vedi appendice) Un accenno particolare va alle Valli Chisone, Pellice e Germanasca che sono state caratterizzate nei secoli dalla presenza massiccia dei valdesi. Questi devono il loro nome a Valdo, mercante lionese che riscoprì l’esperienza evangelica e che nel 1179 andò a Roma per il III Concilio Lateranense. Qui venne approvato il loro stile di vita, ma proibito di predicare in quanto troppo ignoranti e di confessare in quanto non sacerdoti. Nonostante ciò, tornati nelle Alpi, essi continuarono come prima. Anche se scomunicati non abbandonarono mai le dottrine fondamentali della Chiesa. Nel corso del XIV sec. cominciarono le persecuzioni delle eresie. Nel 1532 aderirono formalmente alla riforma protestante. Furono perseguitati per secoli, ma tutto ciò non riuscì a scoraggiarli, sopravvissero fino ad oggi passando attraverso vicissitudini quali le false conversioni ed emigrazioni anche temporanee. Ora sono una delle minoranze religiose nazionali più attive dal punto di vista sociale e culturale. Si veda l’appendice per i cenni di storia. MONUMENTI PIEMONTESI DI PARTICOLARE INTERESSE. Impossibile fare un riassunto visto il loro numero, la scelta é fatta secondo mia discrezione e dai suggerimenti che negli anni ho avuto da voi stessi. Abbiamo l’obiettivo di cogliere delle curiosità che possiamo far nostre per valorizzare ancor più la regione ed il nostro lavoro che è strettamente connesso al turismo, più che al mondo più ristretto degli sportivi. Santuario Di Oropa, con la statua della Madonna nera, fondato nel IV secolo Santuario di Vicoforte, a Mondovì, con cupola ellittica più grande al mondo I SITI DEL PIEMONTE ISCRITTI ALLA LISTA DEL PATRIMONIO MONDIALE DELL’UMANITÀ Il Piemonte ha avuto nel corso degli ultimi decenni alcuni riconoscimenti importanti da parte dell’UNESCO. Fanno parte del patrimonio mondiale dell’umanità: dal 1997 le Residenze Sabaude (a Torino Palazzo Reale, Palazzo Madama, Palazzo Chiablese, Palazzo Carignano, Armeria Reale, Archivio di Stato, Palazzo della Prefettura, la Cavallerizza, l’ex Accademia Militare, l’ex Zecca di Stato, la facciata del Teatro Regio, il Castello del Valentino e Villa della Regina. Fuori città e nel resto del Piemonte si trovano il Castello di Moncalieri, il Castello di Stupinigi, la Reggia di Venaria Reale, Borgo Castello alla Mandria, il Castello di Rivoli, il Castello di Agliè, il Castello di Racconigi, il Castello di Govone, l’Agenzia di Pollenzo); dal 2003 i Sacri monti del Piemonte (Belmonte, Crea, Domodossola, Ghiffa, Oropa, Orta e Varallo) e della Lombardia; Francesca Casse - Pagina 9 di 16 dal 2011 i siti palafitticoli preistorici dall’arco Alpino (Viverone –TO e Mercurago –Arona NO); dal 2014 i Paesaggi vitivinicoli delle Langhe-Roero e del Monferrato; dal 2018 Ivrea, città industriale del XX secolo. I siti sono 1121 nel mondo, suddivisi fra culturali (869), naturali (213) e misti(39). 55 di questi si trovano in Italia che per questo è prima in classifica. Inoltre dobbiamo citare il Programma Unesco Man and Biosphere che nel 2013 ha certificato l’eccellenza del territorio “Riserva della Biosfera del Monviso”, transfrontaliera tra Francia e Italia. Ha una grande varietà di ecosistemi in diverse condizioni climatiche (il territorio va dai 450 ai 3841 metri sul livello del mare). STORIA DEL TURISMO MONTANO (da J.P. Lozato-Giotart, Geografia del turismo. Dallo spazio visitato allo spazio consumato, 1999, Franco Angeli ed., Milano, Italy) Le origini del turismo montano sono abbastanza recenti. Come data simbolo possiamo citare la conquista del Monte Bianco grazie all’iniziativa di De Saussure nel 1786. L’alpinismo diede così il via alla scoperta della media e alta montagna, fu così che ad esempio le prime guide di Chamonix accompagnavano i primi alpinisti a vedere il “mare di ghiaccio”, pur mantenendo le loro attività agricole. L’ultima grande cima alpina, il Cervino, venne conquistata ad opera di Edward Whymper nel 1865. Fu solo nei primi trenta anni del XX secolo che, con lo sviluppo delle tecnologie nei mezzi di trasporto, nell’edilizia e negli impianti di risalita, la montagna venne invasa dai primi sciatori. Le stazioni sciistiche di prima generazione nacquero fra il 1864 e l’inizio del ‘900, ne sono un esempio Saint Moritz, Cervinia, Chamonix. Esse sorgevano innestate su antichi villaggi agro- pastorali, raramente al di sotto dei 1000 metri d’altitudine e solitamente vicino alle grandi vallate. Erano caratterizzate da un carattere polinucleare e multipolare, erano cioè dotate di alberghi, terme, casinò, teatri, trampolini di salto, impianti di risalita, tutto per permettere anche un piacevole soggiorno in estate Le stazioni sciistiche intermedie di seconda generazione sorgono invece tra gli anni 1930-39 per il crescente interesse per gli sport invernali e per la correlata necessità di estendere le piste da sci. Vengono quindi pianificate numerose attrezzature tra i 1000 e i 2000 metri, creando anche nuove stazioni specializzate, come ad esempio l’Alpe d’Huez e Sestriere (uninuclearità). Furono caratterizzate da una maggiore specializzazione nei confronti dello sci (unipolarità), da inedite pianificazioni per le opere da costruire, da consorzi fra i privati e i comuni per la gestione degli impianti. Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale queste conoscono una rapida moltiplicazione, soprattutto in Francia. Le stazioni villaggio polivalenti nascono nel 1973 secondo il progetto di nove comuni della Savoie, (Association Stations Villlages Savoie), che si curarono di conservare la società rurale del luogo, mantenendo entro certi limiti la capacità ricettiva e i condomini e diversificando le piste nello spazio circostante. Queste sono caratterizzate dalla bipolarità piste – villaggio e dalla polivalenza con lo sci e l’agricoltura – artigianato, il tutto adatto ad un tipo di turismo familiare e verde. Le stazioni invernali di terza generazione invece compaiono per rispondere agli imperativi economici, redditività e commerciali, sci integrale. Nel 1964 in Francia la Commissione interministeriale coordinò, fino al 1980, la creazione delle nuove stazioni integrate, grazie al Piano Neve. Sono installate fra i 1500 e i 2000 metri di quota per garantire un innevamento durevole, sono molto specializzate (unipolarità), spesso sono progettate e promosse da un unico personaggio, presentando quindi elementi architettonici urbani che permettono una forte concentrazione degli edifici nello spazio (mononulcearità). Ne sono esempi Tignes, Isola 2000, La plagne. ARCHITETTURA CONTEMPORANEA Francesca Casse - Pagina 10 di 16 Dalla “Ricerca sull’architettura alpina contemporanea” di R. Chionne, reperibile dal sito internet www.montagnedoc.it, si possono trovare alcuni esempi caratteristici della nuova architettura di montagna (limitatamente alla zona dell’Atl2 Montagnedoc e cioè Valli Susa, Chisone, Pellice e Germanasca): opere di famosi architetti talvolta giudicate superficialmente “strane” perché completamente distaccate dal contesto, imponenti edifici carichi di simboli del periodo fascista, residenze concepite per il turismo create riproponendo un’estetica ispirata alla tradizione, ma anche nuovissimi edifici funzionali realizzati o da realizzarsi per l’evento olimpico. Tutto si inserisce in quell’ampio contesto della testimonianza materiale lasciata negli anni dall’uomo, ne confermano l’evoluzione e l’innovazione. L’architettura si può quindi considerare parte del vasto patrimonio alpino, tutt’altro che marginale. Le Alpi infatti hanno sempre rappresentato un richiamo molto forte per le società di tutti i tempi, risultano perciò essere un insieme incredibilmente molteplice di segni più o meno visibili, in continua evoluzione: é raro trovare un così vasto esempio simile in altre zone, come tale abbiamo quindi il compito di tutelarlo e valorizzarlo per le sue uniche particolarità. LE MONTAGNE Le cime del Piemonte, importanti per l’alpinismo o per altri aspetti quali geologici o storici, sono molteplici, per schematizzare però se ne possono indicare alcune fra quelle più conosciute. In particolare facendo un rapido escursus da nord a sud, si trovano i seguenti. Il Monte Leone (3552 m) nell’alta Ossola, sul confine con la Svizzera, famoso per essere attraversato dalla galleria più lunga del mondo, ovvero il tunnel del Sempione, lungo 19.770 m. Alla testata della Val Sesia, sul confine con la Svizzera e la Valle d’Aosta, si trova il massiccio del Monte Rosa (4634 m punta Dufour), conquistato nel 1855 da una cordata inglese guidata da C. Hudson. Qui vi è la Capanna Margherita, sulla punta Gnifetti a 4559 m, progettata, voluta e iniziata da Gaudenzio Sella nel 1891, totalmente rifatta nel 1979, dal 2004 questa rappresenta la più alta biblioteca d’Europa grazie a donazioni di editori italiani ed esteri e privati. Fra la Valle Orco e Soana e la Valle d’Aosta c’è il Gran Paradiso (4061 m), anch’esso conquistato da inglesi, Cowell e Dundas, nel 1860. Già dal 1856 Vittorio Emanuele II vi istituì la “Riserva Reale di caccia” e vennero costruiti numerosi sentieri ancor oggi utilizzati. Nel 1884 si inaugurò il rifugio Vittorio Emanuele II. Oggi è il simbolo del protezione e della valorizzazione dello stambecco, grazie alla creazione del Parco Nazionale il cui Ente è stato costituito con Regio Decreto nel 1922. Oggi l’area protetta italiana insieme con il confinante Parco francese della Vanoise, supera a 123.000 ha. Il Rocciamelone (3538 m) è la montagna più alta della Valle di Susa. Il 1° settembre 1358 venne conquistata da Bonifacio Rotario d’Asti per sciogliere un voto fatto da prigioniero in terra santa: se mai fosse stato liberato avrebbe scalato la più alta cima delle Alpi. Questo testimonia che in passato si credeva che fosse la cima maggiore delle Alpi. Durante l’ascesa egli costruì un ricovero, il primo “rifugio” della storia, qui ora c’è il Rifugio Cà d’Asti. Sulla vetta inoltre portò il Trittico raffigurante la Vergine e nel 1899 fu innalzata sulla vetta una grande statua della Madonna, grazie alle donazioni di 130.000 bambini e trasportata dagli alpini. Domina alla testata della Valle Po il Mon Viso (3841 m), ben visibile sull’orizzonte delle Alpi Cozie. Nella conca di Pian del Re, sono situate le sorgenti del Po, a 2020 m di altezza. Anche se la montagna può essere scalata senza grosse difficoltà, il primo tentativo avvenne nel 1834 e la scalata nel 1861, questo perché l’immaginario collettivo era impregnato di miti e leggende spaventose. Il fautore dell’impresa fu l’Avv. Simondi, che volle proprio dimostrarne la fattibilità. LE VIE PRINCIPALI PER ATTRAVERSARE LE ALPI Fra i Colli principali per attraversare le Alpi ricordiamo i seguenti. Verso la Liguria il Colle del San Bernardo (957 m). Francesca Casse - Pagina 11 di 16 Verso la Francia il Colle di Tenda (1871 m), il Colle della Lombarda (2351 m), il Colle della Maddalena (1996 m), il Colle dell’Agnello (2748 m), il Colle del Monginevro (1854 m), il Colle del Moncenisio (2082 m). Verso la Svizzera la Statale per il Passo del Sempione (2005 m) Fra i trafori ferroviari inoltre troviamo quello del Sempione, con la prima galleria iniziata nel 1898 e finita nel 1906, la seconda nel 1921. Lungo quasi 20 Km detiene il primato mondiale. Il Frejus invece, iniziato nel 1857 e finito nel 1871, fu il prima a permettere l’attraversata alpina in treno. CENNI DI GEOLOGIA e GEOMORFOLOGIA ALPINA Riassumere in poco spazio la geologia alpina è quasi impossibile. L’Orogenesi Alpina, dovuta allo scontro fra la zolla di crosta terrestre dell'Africa contro quella dell'Europa, è iniziata nel Miocene (24–5 m a fa) ed é tuttora in corso - quella principale risale a 15-5 milioni di anni fa. Ci limiteremo quindi ad individuare e definire alcune tra le forme più interessanti, soprattutto dal punto di vista di un personaggio come il maestro di sci che è direttamente a contatto con un turista spesso ignaro di ciò che lo circonda. Le nozioni essenziali qui di seguito elencate sono quindi utili per cogliere ed osservare in modo più approfondito il territorio alpino. Ghiacciaio. Definizione formulata dal Servizio Glaciologico Lombardo nel 1998: “massa compatta, plurimetrica, permanente di ghiaccio naturale, derivante dal metamorfismo della neve, che si origina sulla terra ferma ed è soggetta a deformazioni gravitazionali”. Rock glacier. Massa di detriti rocciosi caratterizzata dalla presenza di ghiaccio in profondità, quest’ultimo, a causa di ripetuti cicli di gelo – disgelo e in condizioni di pendenza, provoca un movimento della struttura stessa verso valle, di conseguenza si rendono visibili le caratteristiche forme che essa assume come lobi, archi, lingue. Talvolta è ben riconoscibile grazie ai fianchi dai profili molto ripidi. Laghi glaciali: Ripetute fasi di avanzata e di ritiro glaciale hanno dato origine ad un paesaggio molto articolato, costituito da forme di deposito (morene) e da forme di erosione. Ne deriva una topografia caratterizzata da numerose conche e depressioni entro le quali si raccolgono le acque di fusione glaciale, nivale e meteoriche. Le dimensioni dei laghi connessi al glacialismo e la loro persistenza sono molto variabili in quanto la loro vita oscilla tra l’ordine delle settimane e quello delle migliaia di anni. Masso erratico. Blocco roccioso riconoscibile per la natura litologica diversa da quella delle rocce su cui giace. I massi erratici vengono trasportati anche per chilometri sulla superficie del ghiacciaio. Possono raggiungere dimensioni notevoli. Roccia montonata. Rocce situate sotto al ghiacciaio sufficientemente resistenti e per questo levigate dal passaggio del ghiaccio che gli fa assumere una caratteristica forma da “cetaceo”. Morena. Ammasso di detriti, caratterizzato dalla mescolanza caotica di detriti delle dimensioni più svariate, formato dal ghiaccio che trasporta i detriti rocciosi verso valle. Vi sono le morene frontali, laterali, mediane e di fondo. Circo glaciale: Largo avvallamento dal fondo piatto e poco inclinato, circondato da rocce ripide a monte e da rocce montonate e/o depositi morenici prima del ripido che lo raccorda alla valle principale, che possono determinare la formazione di laghi. E’ una delle formazioni tipiche di alta montagna. Valle glaciale. Valle dalla caratteristica forma ad “U” dovuta all’erosione completa di tutta la depressione nella quale scorre il ghiacciaio. Valle fluviale. Valle dalla caratteristica forma a “V”, con pareti ripide e fondo molto stretto, dovuto all’erosione del corso d’acqua che scorre in mezzo. Valli sospese o pensili. Sono delle vallate glaciali secondarie, che confluiscono in una vallata principale, anch’esse sono modellate ad “U”. Possiedono un fondo valle più elevato a causa della minore escavazione da loro subita rispetto alla vallata principale. Esempi Alpe Devero e Veglia (Baceno), Val Fredda (Bardonecchia), Val d’Otro (Alagna). Francesca Casse - Pagina 12 di 16 Corridoio glaciale. La Valle Vigezzo è una valle a "U" e si differenzia dalle altre valli ossolane per la sua particolare orografia, unica in Piemonte. Non è infatti una valle percorsa dal corso di un torrente dalla testata allo sbocco, con gli abitati posti a diverse altezze, bensì da due torrenti che scorrono in sensi opposti generando un'ampia vallata pianeggiante nella quale sorgono i comuni principali. Frana. Distacco o caduta, lungo un pendio e con accumulo alla base, sia di masse rocciose che di materiali sciolti, per azione prevalente della gravità. Conoide di deiezione. Accumulo di detriti ai piedi dei ripidi canali scavati dai torrenti, l’acqua perde energia quando la pendenza diminuisce e rilascia a monte i detriti più grandi, trasportando a valle quelli più piccoli. I conoidi hanno una caratteristica forma convessa - a ventaglio - e la loro pendenza varia in funzione della quantità e dalla tipologia di detriti trasportati, nonché dallo spazio da riempire che il torrente ha a disposizione. ENOGASTRONOMIA Prendiamo per esempio il maestro quando è al bar: qui inizia un momento particolare, forse uno dei più difficili. Si scopre la persona oltre che il professionista. Anche davanti ad un tagliere il maestro può far nascere nei sui allievi il desiderio di scoprire di più del luogo in cui stanno vivendo la vacanza e anche di ritornarci. E’ quindi importante essere a conoscenza dei prodotti tipici piemontesi, di quelli locali che difficilmente si trovano citati su internet o in qualche brochure, le ricette della tradizione, i sapori e le ricette casalinghe. Non sottovalutiamo l’aspetto enogastronomico poiché è uno degli ingredienti fondamentali di una vacanza ben riuscita in Italia, inoltre teniamo conto che in montagna solitamente il turista si aspetta di provare qualche sapore inedito. La certificazione europea dei prodotti alimentari: DOP – IGP – STG (dati presi dal sito www.quattrocalici.it) La Denominazione di Origine Protetta (DOP) e la Indicazione Geografica Protetta (IGP ) sono due marchi collettivi pubblici, di rilevanza comunitaria, che identificano un prodotto agricolo o alimentare per la sua origine geografica, e sono stati istituiti ai sensi del Reg. CE 510/06 (ex Reg. CE n. 2081/92), che stabilisce le norme relative alla "protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli ed alimentari". Grazie a questo Regolamento sono nati due strumenti, le DOP e le IGP, che permettono di valorizzare le produzioni agroalimentari, legate a uno specifico territorio, con una procedura univoca, omogenea, valida e utilizzabile da tutti gli Stati membri dell'Unione Europea. La definizione di Denominazione di Origine Protetta (DOP) è dunque: Riconoscimento assegnato ai prodotti agricoli e alimentari la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengono in un'area geografica determinata e le cui qualità o caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente all'ambiente geografico, comprensivo dei suoi fattori naturali e umani. Per poter ottenere il riconoscimento DOP, tutte le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione del prodotto devono avere luogo nella zona da cui il prodotto prende il nome, pertanto tutte le sue caratteristiche devono dipendere dall'ambiente geografico comprendente i fattori naturali e umani. Deve sussistere un collegamento oggettivo e molto stretto ("essenzialmente o esclusivamente", art. 2 Reg. CE 510/06) fra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica. L’IGP è invece un riconoscimento assegnato ai prodotti agricoli e alimentari la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono in un'area geografica determinata e le cui qualità, la reputazione o un'altra caratteristica possono essere attribuite all'origine geografica comprensiva dei suoi fattori naturali e umani, non quindi necessariamente tutte le fasi devono avvenire nella zona da cui il prodotto prende il nome, tanto che il collegamento fra il prodotto e la zona geografica può consistere semplicemente nella reputazione di cui questo gode. Francesca Casse - Pagina 13 di 16 Esiste ancora una forma di certificazione, costituita dalle STG Specialitá Tipiche Regionali, un marchio di origine introdotto dall'Unione europea e volto a tutelare produzioni caratterizzate da composizioni o metodi di produzione tradizionali. La STG identifica un prodotto o alimento che viene ottenuto utilizzando materie prime o ingredienti utilizzati tradizionalmente oppure servendosi di un metodo di produzione, trasformazione o una composizione che corrispondono a una pratica tradizionale. Si rivolge quindi a prodotti agricoli e alimentari che abbiano una "specificità" legata al metodo di produzione o alla composizione legata alla tradizione di una zona, ma che non necessariamente vengano prodotti solo in tale zona. Tali specialità, se prodotte nel rispetto del disciplinare, possono essere elaborate in tutto il territorio nazionale. L'insieme degli elementi tradizionali del prodotto devono però essere in uso sul mercato nazionale per almeno 30 anni. Questa certificazione è disciplinata dal Regolamento UE 1151/2012 (che sostituisce il precedente 509/2006). Anche una preparazione STG deve essere conforme ad un preciso disciplinare di produzione. La Mozzarella e la Pizza Napoletana sono le uniche due STG italiane. Fra i formaggi famosi prodotti nelle zone di montagna del Piemonte possiamo ricordare: Bettelmatt, Bra d’alpeggio DOP, Bra tenero o duro DOP, Caprino Ossolano, Grasso d’Alpe, Castelmagno DOP, Cevrin di Coazze, Murianengo o Moncenisio, Raschera DOP, Robiola di Roccaverano, Toma Piemontese DOP, Seirass del fen, Toumin del Mel,... E’ fondamentale capire la differenza fra formaggio d’alpeggio da formaggio “di latteria”. Senza esprimere un valore assoluto, bisogna riconoscere ai formaggi di alpeggio una qualità in più: le vacche al pascolo mangiano erba fresca di alta montagna, che ha quindi delle caratteristiche di sapori e odori che vanno giocoforza a differenziare il prodotto finale. Inoltre la pratica dell’alpeggio è indispensabile per mantenere i pascoli che hanno una funzione paesaggistica e turistica di grande rilievo. La certificazione europea dei prodotti alimentari: Biologico Per entrare nel settore biologico ed avere l'opportunità di commercializzare i prodotti come biologici, le aziende agricole, agro-zootecniche e di trasformazione devono rispettare le norme tecniche contenute nel regolamento comunitario REG. CEE 2092/91 e sottoporsi al controllo di un ente autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole Forestali. L’agricoltura biologica è un metodo di produzione agricola:  che esclude l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi come fertilizzanti, diserbanti, insetticidi e anticrittogamici per la concimazione dei terreni, per la lotta alle infestanti, ai parassiti animali e alle malattie delle piante.  di tipo estensivo che - attraverso la rotazione delle colture, l’utilizzo di sostanza organica, le ridotte lavorazioni - si integra nei processi naturali in modo compatibile e rispetta l’ambiente (il terreno, l’acqua, l’aria), la salute degli agricoltori e quella dei consumatori.  pone elevata attenzione alla salvaguardia dei sistemi e dei cicli naturali, al benessere e al rispetto delle esigenze etologice degli animali e all'equilibrio tra essi. Agli animali viene garantita una vita conforme alle esigenze specifiche delle singole specie, avendo quindi cura del loro benessere. L’allevamento con metodo biologico rispetta le esigenze nutrizionali degli animali nei vari stadi fisiologici. L’alimentazione degli animali, a base di prodotti bio, è finalizzatala ad una produzione di qualità e non a massimizzare la resa. Nei rari casi di malattia l’animale viene curato con prodotti fitoterapici, omeopatici e oligoelementi. La certificazione dei vini DOCG, DOC, IGT Il Piemonte è una delle regioni italiane a maggior vocazione vitivinicola (una utile pagina internet: http://www.regione.piemonte.it/agri/area_tecnico_scientifica/osserv_vitivin/elenco.htm in cui sono contenuti tutti i disciplinari di produzione, documenti e altre informazioni su ogni vino piemontese) e si individuano sei macro-aree principali: 1) l'area pedemontana tra Saluzzo e Torino; 2) il Monferrato Astigiano; 3) l'alto Monferrato; 4) il Roero; 5) le Langhe; 6) l'Alto Piemonte. Il numero di vini DOCG (denominazione di origine controllata e garantita) piemontesi supera di gran lunga quello delle altre Francesca Casse - Pagina 14 di 16 regioni, ad ampliare l’offerta le numerose DOC prodotte in tutta la regione per un ventaglio di vini di qualità diverse capaci di arrivare ai consumatori di tutto il mondo. I vini D.O.C.G., a Denominazione di Origine Controllata e Garantita, sono regolamentati da un disciplinare e sono contraddistinti da una zona di origine ben precisa, anche con indicazione di sottozona, fino a restringere l'area a un comune, una frazione, una fattoria, un podere o una vigna; la zona tipicamente è abbastanza ristretta ed è quella maggiormente avocata alla produzione di quel vino. Una D.O.C.G. può essere una restrizione della stessa D.O.C., per es. può essere relativa ad una porzione più di territorio ristretta dell'area della D.O.C., o può essere solo quella relativa a una denominazione (per es. Superiore). I disciplinari dei vini D.O.C.G. ricoprono le stesse tipologie di regole di quelli D.O.C. ma i valori da rispettare sono più stringenti. La legge prevede che la denominazione D.O.C.G. può essere attribuita a un vino che da almeno 5 anni è già riconosciuto come D.O.C.; per i vini D.O.C.G. è previsto un doppio esame, il secondo in fase di imbottigliamento. In etichetta è obbligatoria anche l'indicazione dell'annata (tranne per i vini bollicine). I vini D.O.C., a Denominazione di Origine Controllata, sono regolamentati da un disciplinare e sono contraddistinti da una zona di origine ben precisa, anche con indicazione di sottozona, fino a restringere l'area a un comune, una frazione, una fattoria, un podere o una vigna. E' evidente che più diventa circoscritta l'area di origine e più aumentano le indicazioni, più si restringe il numero dei produttori e la quantità di vino che può essere prodotta; tutto ciò è sinonimo di crescente qualità del vino che viene prodotto. I vini D.O.C. sono soggetti a esami chimico-fisico ed organolettici durante la fase di produzione; tali esami sono eseguiti da apposite commissioni. I vini IGT a Identificazione Geografica Tipica sono regolamentati da un disciplinare e sono contraddistinti da una zona di produzione, in genere abbastanza ampia. La DOC Denominazione di origine controllata contraddistingue i vini prodotti in zone delimitate, solitamente di piccole e medie dimensioni, indicate con il loro nome geografico. I DOCG sono vini con "particolare pregio qualitativo" ottenuti da uve coltivate in una zona viticola particolarmente vocata. Le caratteristiche dei vini DOC e DOCG sono strettamente connesse con l'ambiente naturale in cui nascono e vengono normate e definite nei disciplinari di produzione. Il Piemonte è in testa alla classifica italiana con 22 DOCG, seguono la Toscana con 18, il Veneto con 15 e la Lombardia con 10. Sempre nel campo degli alcolici citiamo la birra biellese Menabrea, fondata nel 1846 e vincitrice di vari riconoscimenti mondiali, oltre ai sempre più numerosi piccoli birrifici artigianali meno conosciuti, ma capaci di offrire prodotti di nicchia di grande valore. Fra gli infiniti prodotti e ricette caratteristiche citiamo alcuni esempi: la Nocciola Piemonte, i Gianduiotti, le Mele del Piemonte, i Marroni cuneesi, i Tartufi delle Langhe, il Lardo della Val Vigezzo, il Prosciutto crudo della Val di Susa, la Bagna Cauda, gli Agnolotti del Plin, le Cajettes, il Bollito misto alla piemontese, le paste di Meliga, il Torrone Sebaste, i Torcetti, i Baci di Dama, i Nocciolini di Chivasso, la Polenta d’Oropa.... E’ importante ricordare che in termini di tradizione e di storia la cucina di montagna è decisamente differente da quella di collina/pianura essendo quest’ultima molto più ricca di ingredienti base dai quali partire per comporre le pietanze. I piatti più famosi di solito non sono quelli di montagna, vedi la bagna cauda, il bollito, ecc… Nei piatti della montagna piemontese si ritrovano i pochi ingredienti che accomunano un po’ tutte le zone alpine, sapientemente combinati in modo da regalare un’offerta di pietanze tipiche di grandissimo valore storico/culturale e interesse turistico. Slow Food Slow Food è un’associazione internazionale eco-gastronomica, no profit, fondata nel 1989 per contrastare la cultura del fast food e della fast life, la scomparsa delle tradizioni gastronomiche Francesca Casse - Pagina 15 di 16 locali e la perdita di interesse per il cibo, per la sua provenienza, il suo sapore e per le conseguenze delle nostre scelte alimentari sul resto del mondo. E’ impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali. Ogni giorno Slow Food lavora in 150 Paesi per promuovere un’alimentazione buona, pulita e giusta per tutti. I Presìdi sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi frutta. I prodotti che sottoscrivono il disciplinare e le buone pratiche Slow vengono contrassegnati da un simbolo caratteristico. Il disciplinare di produzione è improntato al rispetto della tradizione e della sostenibilità ambientale. Il Piemonte annovera ben 33 Presidi, tra ortaggi, latticini, carni e lavorati, razze animali e vitigni, lascio a voi il piacere della scoperta!. Francesca Casse - Pagina 16 di 16

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