Diritto Penale Maria Unito PDF
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Università degli Studi di Torino
Maria
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Questi appunti trattano il diritto penale, includendo il sistema penale, i principi fondamentali, la nascita del diritto penale, la distinzione tra delitti e contravvenzioni, le pene, la funzione della pena e la storia dell'evoluzione del sistema penale. I concetti sono presentati in modo teorico, con riferimenti agli autori chiave e ai principali sviluppi del sistema normativo, specialmente nel sistema italiano.
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Diritto Penale CAPITOLO PRIMO: il sistema penale e i principi fondamentali Il sistema penale include il diritto penale, la procedura penale, l’ordinamento penitenziario, l’ordinamento giuridico e la prassi (secondo una prospettiva sociologica). La nozione di sistema penale è una nozione elaborata da...
Diritto Penale CAPITOLO PRIMO: il sistema penale e i principi fondamentali Il sistema penale include il diritto penale, la procedura penale, l’ordinamento penitenziario, l’ordinamento giuridico e la prassi (secondo una prospettiva sociologica). La nozione di sistema penale è una nozione elaborata dalla cultura giuridica, riguarda cioè il diritto penale come un settore della “scienza”, che ne ha definito nel tempo i principi e i criteri. Quindi essi sono essenziali nella definizione del diritto penale come “sistema”. I principi possono essere considerati come delle norme fondamentali e li troviamo scritti: nel Codice penale (1930), nella Costituzione (1948), nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950), ovvero li ricaviamo dal complesso del sistema penale e costituzionale. Oggi tendiamo a dare del “sistema” una definizione sociologica, che riguarda le pratiche, le convenzioni e i soggetti sociali. Il diritto penale nasce perché ci vuole un controllo da parte dell’autorità sui reati cioè, su dei comportamenti che vanno puniti. Infatti, esso è una branchia del diritto pubblico che disciplina fatti costituenti reato. Il diritto penale vuole fermare in qualche modo i problemi che danneggiano la stabilità sociale. Il reato è, formalmente, un fatto cui la legge riconnette una sanzione penale. Sono sanzioni penali le pene e le misure di sicurezza. Le pene si distinguono in principali e accessorie. Quelle principali sono: l’ergastolo la reclusione la multa l’arresto l’ammenda (cui si aggiungono la permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità); Le pene accessorie sono: le pene detentive (ergastolo, reclusione e arresto) comportano la privazione della libertà personale, le pene pecuniarie (multa e ammenda) consistono nel pagare una somma di denaro allo Stato. Il reato invece si distingue in delitti e contravvenzioni, in linea di massima i delitti sono i reati più gravi, di contro le contravvenzioni sono i reati meno gravi. La differenza tra delitti e contravvenzioni si trova in base al criterio di imputazione: per il delitto è essenziale il dolo (salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo previsti dalla legge); per le contravvenzioni è indifferente il dolo o la colpa del soggetto. La differenza tra i due è più di tipo formale (dipende dalla pena prevista per il reato): l’ergastolo, reclusione e multa (previste per i delitti) arresto e ammenda (previste per le contravvenzioni) Perché si punisce? Per una funzione di retribuzione: cioè, il reo deve subire una pena per ciò che ha fatto Per una funzione di prevenzione: con un approccio utilitaristico che si divide in generale e speciale, cioè, per non far commettere lo stesso errore ad altre persone e non farlo di nuovo commettere al reo, fare un esempio di come non ci si deve comportare. Una funzione di rieducazione (risocializzazione): secondo l’art. 27 cost.: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.” Ma come si è giunti all’assetto normativo attuale? Dalla vendetta privata alla pena pubblica attraverso la legge del taglione (codice di Hammurabi, che regnò fra il 1792 e il 1750 a.C. circa). La legge del taglione consisteva nella possibilità riconosciuta a una persona che avesse ricevuto intenzionalmente un danno causato da un'altra persona, di infliggere a quest'ultima un danno, uguale all'offesa ricevuta. Illuminismo (Montesquieu, Beccaria, Kant). Gli illuministi evidenziarono i problemi della legalità e della funzione della pena. Montesquieu: Sottolineò gli errori della legislazione e dell’amministrazione della giustizia penali: l’enormità delle pene, la mancanza di proporzione con la gravità dei reati, l’uso della tortura, le condanne degli innocenti; e attribuì ai giudici un ruolo puramente ricognitivo, del fatto e della legge. Cioè, il giudice non deve interpretare il dato normativo (che deve essere già chiaro) ma lo deve soltanto applicare. Se si dà al giudice il potere di interpretare il dato normativo, gli si attribuisce un potere enorme perché interpretare significa dare senso alla norma. Beccaria: Si ribella al sistema incerto che caratterizzava la storia di quei tempi. Il suo pensiero in particolare era riferito alla pena di morte, che per lui andava eliminata per due motivi: 1. Dà un segnale di crudeltà e violenza da parte delle istituzioni, è un illecito che viene fatto all’individuo da parte di un potere, che stimola l’uso della violenza; 2. Per una ragione di tipo filosofico (egli fu influenzato da Rousseau per il contratto sociale). Egli riteneva che alla base della società ci fosse il contratto sociale. Ma se il fondamento della società è il contratto, come può avere accettato l’uomo (che ha stipulato il contratto) di essere ucciso dopo aver trasgredito alcune norme del contratto? Capiamo che vi è un’impossibilità legata quindi all’origine filosofica. Inoltre, per Beccaria affinché una pena sia “giusta” e non violenta contro la persona deve essere: pubblica, necessaria, proporzionata ai delitti commessi (bisogna punire con una pena che sia proporzionata all’offesa prodotta) e dettata dalle leggi. Il concetto era che il fine della pensa servisse per impedire al reo di commettere altri errori e distogliere gli altri da commetterne o farne di simili (oggi corrisponde alla nostra funzione preventiva speciale e generale). E soprattutto non si deve ricorre alle intenzioni del soggetto agente perché esse non sono conoscibili e variano da persona a persona, quindi ha una visione oggettivistica. Altri autori invece ritenevano che fosse importante considerare l’intenzione del reo, come Filangeri, che riteneva che il grado dell’intensità criminosa giustificherà una pena più o meno grave, si basa sulla colpevolezza del reo; e anche Romagnosi che ha una visione soggettivistica perché la misura della pena deve essere rapportata unicamente all’intenzione criminosa del reo. Beccaria voleva delle leggi che fossero chiare, semplici, comprensibili da tutti e di immediata applicazione (così che il giudice non abbia nessun potere interpretativo). Premeva sull’esigenza che le leggi fossero pronte (esigenza di celerità) non doveva intercorrere troppo tempo tra il momento in cui veniva commesso il fatto ed il momento in cui la responsabilità veniva accertata. Perché la pena deve essere effettuata il prima possibile, quando ancora il reo ha la percezione di quello che ha fatto. Kant: Criticava Beccaria perché l’idea che la pena dovesse essere utile è solo un sentimentalismo. Secondo Kant la pena deve retribuire, cioè, ci deve essere una perfetta relazione tra il torto che ha realizzato il soggetto e la reazione da parte dell’ordinamento. La risposta sanzionatoria deve essere uguale e contraria a quella del reato commesso, cioè, se egli ha ucciso deve morire. Egli sosteneva la legge del taglione per determinare la qualità e la quantità della punizione. La Codificazione (codici napoleonici, preunitari, sardo-italiano e codice Zanardelli): Le idee di Beccaria della necessità che il sistema giuridico fosse semplificato, ha determinato a partire alla fine del 700 e inizi 800, la nascita della codificazione, cioè, per mettere ordine alle fonti di produzione del diritto, bisognava creare un testo normativo onnicomprensivo (capibile da tutti). L’ordine si creava attraverso l’attività di produzione razionale e sistemica delle norme per settori generali omogenei del diritto, con lo scopo di produrre testi legislativi completi, accessibili e certi, in modo da superare i problemi di stratificazione, libero arbitrio e incertezza dell’ancien regime. Il primo vero tentativo si ebbe con Napoleone, infatti, si parla di codici napoleonici (1804-1810). Dopo la caduta di Napoleone (anni successivi al congresso di Vienna) i vari stati preunitari (regno delle due Sicilie, regno di Sardegna, Toscana) iniziarono ad adottare anche loro dei codici. Nel 1839 entrò in vigore il Codice penale sardo nel regno di Sardegna; che poi nel 1859 fu estesi anche ad altre province italiane. Il primo Codice penale dell’Italia unita fu il Codice Zanardelli, da nome del ministro guardasigilli, entrato in vigore nel 1890 in cui non era prevista la pena di morte. Scuola classica (Carrara): L’800 è un secolo significativo per il diritto penale perché nascono due scuole di pensiero Scuola classica e scuola positiva: si differenziano innanzitutto dal punto di vista temporale: La scuola classica si sviluppa nella prima metà dell’800, la scuola positiva nella 2° metà dell’800. “Scuola classica” non era stato coniato dagli studiosi che ne appartenevano, ma in seguito. Il massimo esponente della scuola classica italiana è stato Francesco Carrara. Il punto di partenza della scuola classica è l’idea del libero arbitrio. L’individuo effettua scelte consapevoli, quindi quando commette il reato sceglie di farlo, la commissione di un reato esprime la sua volontà. L’individuo può scegliere di agire bene o di agire male. Quando l’individuo sceglie di commettere un reato, la reazione dell’ordinamento non può che essere un’azione punitiva, secondo la logica retributiva, che serve ad emendare il soggetto che viene sanzionato (riparazione dell’errore). Questo orientamento della scuola classica risulta essere molto influenzato dalla Chiesa cattolica, molta della terminologia del sistema penale rimanda alla cultura cattolica esempio: il diritto penitenziario fa riferimento alla “penitenza”, si faceva per espiare la colpa. La scuola classica, quindi, si fonda sull’ideale assoluto di giustizia, sul principio del libero arbitrio, sulla finalità rieducativa della pena. Scuola positivista (Lombroso, Garofalo, Ferri): Nella seconda metà dell’800 iniziano a svilupparsi le scienze sociali come la psicologia, la sociologia, l’antropologia, che mettono in discussione l’impalcatura scientifica tradizionale. Iniziano ad affermare l’idea che non è vero che l’uomo è libero di scegliere (libero arbitrio), molti comportamenti sono condizionati da elementi sui quali l’uomo non ha il controllo. Mentre nella scuola classica il libero arbitrio, costituisce il fondamento della responsabilità dell’aver violato o scelto di violare la norma giuridica; nella concezione della scuola positiva, il reato non è frutto di una scelta, ma è causato da fattori esterni. Nascono tre correnti: 1) corrente bio-antropologica con Lombroso: Lombroso formulò la teoria del delinquente nato, cioè che il soggetto è spinto a delinquere da una necessità naturale, connessa all’arresto dello sviluppo fisico e psichico ad un grado primitivo. Disse che il comportamento criminale è causato da alcune caratteristiche biologiche che portano a delinquere. Si delinque non perché si sceglie di farlo ma perché si hanno delle caratteristiche biologiche e psichiche primitive che ti portano a farlo. Il comportamento criminale deriva da questa alterazione fisica: la fronte alta, schiacciata, la mascella prominente, e tutta una serie caratteristiche fisiche. Lombroso arriva a questa conclusione perché fa una serie di autopsie sui detenuti defunti e individua tutta una serie di caratteristiche che li accomunano tanto da elaborare questa teoria. Coloro che hanno queste caratteristiche fisiche sono coloro che appartengono a classi sociali più umili, dato che fanno lavori più di fatica assumono una muscolatura più esagerata, assumono lineamenti meno delicati, hanno atteggiamenti sociali più aggressivi. Questa teoria ha i suoi limiti ovviamente. Per parità di genere, egli descrisse sia l’uomo criminale che la donna criminale, però riteneva che la delinquenza della donna si esprimesse attraverso la prostituzione. Quindi, Lombroso concepiva il delitto come una manifestazione di anormalità, il problema della pena si pone in termini di difesa sociale. 2) Corrente piscologica con Garofalo: Garofalo analizzò in modo particolare il tipo psicologico del delinquente, la sua vita sociale. Rilevò anomalie psichiche dalle loro azioni delittuose. Secondo Garofalo, il comportamento delinquenziale era determinato, non tanto da alterazioni fisiche, ma da alterazioni psichiche (qualsiasi cosa costituisse un malfunzionamento delle funzioni intellettive). 3) Corrente sociologica con Enrico Ferri: Egli sosteneva che la causa del comportamento criminale dipendono dall’ambiente nel quale l’individuo si forma, ovvero i ‘fattori del delitto’ vengono individuati in elementi esterni (fisici, psicologici e sociali) che inducono l’individuo a tenere determinate condotte piuttosto che altre. Nega il libero arbitrio, sostenendo che, se sei nato ricco non hai bisogno di rubare, se sei nato povero il bisogno di rubare può sussistere. Quindi, la causa del comportamento delinquenziale è la necessità, in particolare i fattori socioeconomici inducono alla condotta delinquenziale. Ferri elaborò il sistema dei sostitutivi penali, ovvero di interventi di carattere sociale che contribuiscono alla diminuzione della delittuosità. Riteneva che per ridurre il tasso di criminosità fosse opportuno utilizzare strumenti preventivi piuttosto che la pena che interviene quando il fatto è già accaduto. “Il diritto penale interviene quando le politiche sociali falliscono.” Il problema se ci sono delle buone politiche sociali non nasce, non si creano le condizioni affinché il diritto penale intervenga. Ferri sostiene infine la necessità di un sistema vario di sanzioni; che prendesse in considerazione oltre alla qualità del delitto anche a quella dei delinquenti, e che quindi si dovrebbe distinguere in 5 categorie: pazzi, nati, abituali, d’occasione, per passione. Queste idee le troviamo espresse anche nel codice Rocco. Accanto alle pene furono stabilite le misure di sicurezza per i soggetti socialmente pericolosi. Il sistema delle pene insieme alle misure di sicurezza fu definito del ‘doppio binario’. Ovvero, da una parte abbiamo l’individuo capace di intendere e di volere, avendo scelto di commettere il reato (libero arbitrio) è imputabile e quindi va punito con una pena che deve assolvere ad una finalità retributiva. Ci sono anche soggetti che non sono capaci di intendere e di volere e che sono socialmente pericolosi. Nei confronti di questi soggetti, che non hanno quindi il libero arbitrio, ma che sono pericolosi, non si può utilizzare la pena, ma si usa uno strumento diverso, ovvero la misura di sicurezza. Il sistema del doppio binario è un elemento innovativo ed è stato mantenuto fino ad oggi. Indirizzo tecnico giuridico (Rocco, Manzini): Per merito di Rocco e Manzini si affermò in Italia l’”Indirizzo tecnico-giuridico”, caratterizzato dal rifiuto del razionalismo della scuola classica e dall’adesione al dato normativo, considerato l’unico oggetto della scienza del diritto. Questo indirizzo ha avuto tanto successo, ha influenzato molto la dottrina penalistica fino ai nostri giorni. “Non esiste altro diritto penale all’infuori di quello raccolto nella legislazione dello stato”. Codice penale Rocco del 1930: Entrato in vigore il 1° luglio 1931. È una sintesi degli ideali della scuola classica, della scuola positiva e dell’indirizzo tecnico giuridico. Il Codice penale è strutturato in 3 libri: il primo contiene le regole generali, il secondo è dedicato ai delitti, il terzo libro è dedicato alle contravvenzioni. I delitti del secondo libro sono collocati in ordine di gravità: dai reati più gravi a quelli meno gravi. (delitti contro lo Stato (nell’epoca fascista era il bene più importante lo stato), delitti contro la PA, delitti contro l’amministrazione della giustizia… i delitti contro la persona sono il penultimo titolo del libro secondo, dopo questi ci sono i delitti contro il patrimonio. Se si dovesse scrivere un Codice penale oggi questa sequenza verrebbe cambiata. Cambierebbe l’assetto valoriale che il codice deve esprimere. Il Codice penale ha subito delle modifiche grazie agli interventi della Corte costituzionale, le riforme dell’ordinamento penitenziario, la legislazione sulla repressione di fenomeni di criminalità organizzata terroristica e mafiosa, il sistema penale di tipo accusatorio introdotto con il nuovo codice di procedura penale del 1988, in cui vi è la nuova disciplina del processo penale a carico di minorenni. CAPITOLO SECONDO: principi fondamentali del diritto penale Principio di legalità: a) Art. 1 c.p. “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite.” b) Art. 119 c.p. “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dai casi dalla legge stessa preveduti.” c) Art. 25 comma 2 Cost. “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.” Comma 3 “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.” d) Art. 101 comma 2 Cost. “I giudici sono soggetti soltanto alla legge.” e) Art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) “Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui e+ stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno e internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.” È il principio su cui si sono battuti tanto gli illuministi: Montesquieu e anche Beccaria hanno affermato la necessità che il sistema penale si fondasse sulla legalità. Legalità significa che la regola si deve stabilire prima di applicarla. Proprio per evitare che il sovrano o il potere possa fare ciò che vuole. In quell’epoca di confusione normativa, il principio di legalità serviva per mitigare lo strapotere delle monarchie assolute, che decidevano a posteriori che il comportamento di quel soggetto fosse sbagliato, senza nessuna pre-definizione del comportamento. Il principio di legalità corrispondeva all’epoca ad una certezza del diritto: ogni cittadino deve sapere se il comportamento che intende realizzare costituisce reato e se corrisponde o meno ad una sanzione e a quali conseguenze. Oggi invece corrisponde alla garanzia del cittadino: predefinire una regola garantisce il cittadino da abusi di potere. Il principio di legalità si articola in altri sotto principi: Riserva di legge: Significa che solo la legge formale del parlamento può essere fonte di norme penale. Perché a fondamento della scelta di incriminazione vi deve essere la volontà popolare, per il principio di legittimazione democratica del diritto penale. Il principio di riserva di legge in materia penale è stato costituzionalizzato, nell’art. 117 Cost., questo articolo ha riservato alla regolamentazione statale la materia penale. Proprio per questo, leggi regionali o regolamenti comunali non possono essere fonti di norme penali perché verrebbero compromessi il principio di uguaglianza e di unitarietà dello stato, ogni regione avrebbe il suo regolamento penale. Contraddizioni alla riserva di legge: è l’utilizzo degli atti aventi forza di legge in materia penale, ovvero decreto-legge e decreto-legislativo. Essi sono utilizzati per introdurre norme penali e mai la Corte costituzionale ha detto che questa prassi viola il principio di legalità. a. Nel caso del d. legge: (atto del Governo avente forza di legge al pari di una legge ordinaria, utilizzato in casi di necessità e di urgenza) Una volta che viene emanato dal Governo, entra in vigore ed entro 60 giorni viene convertito in legge dal Parlamento. Se viene convertito, diventa una legge, se non viene convertito, decade con effetti retroattivi. La necessaria conversione del testo del d. legge in legge ordinaria realizza il principio di legittimazione democratica. b. Nel caso del d. legislativo: è il Parlamento che delega il Governo ad emanare il d. legislativo (utilizzato per disciplinare materie di grande complessità tecnica). Il Parlamento nella legge delega stabilisce le regole, i principi, l’oggetto, i tempi e tutto ciò che serve e poi il Governo farà la normativa nel dettaglio. Poi sarà la Corte costituzionale a verificare la divergenza tra la legge di delegazione del Parlamento e il decreto legislativo e dichiarare quest’ultimo illegittimo (per eccesso di delega). Anche in questo caso è presente un controllo da parte del Parlamento (attraverso la legge delega) anche se realizzato in forma anticipata, e quindi viene rispettato il principio di legittimazione democratica. La riserva di legge può essere assoluta o relativa. È relativa quando: se viene richiesto al legislatore di dettare con legge o con atto avente forza di legge solo i criteri generali che disciplinano una determinata materia, l’attuazione può avvenire con regolamenti autorizzati o fonti secondarie, all’interno, tuttavia, dei principi e dei criteri individuati con legge. La riserva di legge in materia penale è tendenzialmente assoluta, esclude la possibilità che venga integrata da fonti di rango inferiore alla legge, ma vi sono però dei casi in cui la fonte subordinata può avere uno spazio operativo. Cioè, abbia una natura meramente tecnica (esempio il decreto del ministero della sanità che individua le sostanze stupefacenti). Divieto di analogia: L’analogia, presente nel art.12 delle preleggi, viene usata come criterio di integrazione dell’ordinamento si divide in analogia legis e analogia iuris: a. Nel caso dell’analogia legis, si applica la regola che disciplina il caso simile. b. Quando invece non ci sono casi simili, si parla di analogia iuris, in questo caso si applicano i principi generali dell’ordinamento giuridico. L’analogia però non può essere utilizzata in materia penale. Perché altrimenti il giudice che si trova a disciplinare il caso concreto avrebbe un potere enorme. Potrebbe dire che quel comportamento costituisce reato perché è simile ad un altro comportamento che costituisce reato. Ci sarebbe una violazione del principio di legalità perché verrebbe creata una fattispecie laddove non c’è. Il divieto di analogia può essere inteso in modo assoluto e in modo relativo: Assoluto: Significa che qualsiasi disposizione che riguarda la materia penale non può essere applicata analogicamente. Relativo: Coerente al principio del favor rei, significa che sono applicabili per analogia tutte le disposizioni che contengono elementi a favore dell’imputato. Esempio: le cause di giustificazione, le circostanze attenuanti, ciò che è vantaggioso per il reo. Quindi, l’analogia in bonam partem è consentita, quella in malam partem no. La funzione della legalità è quella di garantire il cittadino dagli abusi, nessun rischio di abuso vi è applicando analogicamente le norme penali di favore, ma non tutte le norme penali possono essere applicate analogicamente, perché alcune di queste hanno carattere eccezionale anche se sono più favorevoli per l’imputato. Esempio: le immunità personali si applicano a determinati soggetti e non sono estendibili analogicamente perché hanno carattere eccezionale. Nel nostro ordinamento colui che ha un’immunità totale è il sommo pontefice, ma essa non è estensibile ad altri. Irretroattività: La norma deve disporre esclusivamente per il futuro, non deve avere effetto retroattivo. È necessario che la regola sia definita prima della sua applicazione. Il principio di irretroattività è sancito nell’art. 2 c.p, nell’art. 25 comma 2 Cost, e nell’art. 11 Preleggi. Nei settori diversi da quello penale, il legislatore può introdurre una disposizione rispetto alla quale preveda l’effetto retroattivo. L’elemento necessario è che ci sia una espressa previsione che deroghi al contenuto dell’art. 11 delle preleggi che stabilisce l’operatività futura delle disposizioni, questo si può fare attraverso una fonte di par grado. Il principio di irretroattività è stato costituzionalizzato nell’art. 25 della Costituzione: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che è entrata in vigore prima del fatto commesso.” Nell’art. 2 c.p. vengono disciplinate varie situazioni: abrogazione della norma e modifica. Il principio di irretroattività della legge penale incontra il limite della retroattività della legge più favorevole al reo: a. Abrogazione della norma incriminatrice – effetto retroattivo: “Nessuno può essere punito per un fatto che, con una legge successiva, non costituisce più reato.” Se la norma incriminatrice di quel fatto è abrogata, si applicherà anche a coloro che hanno già avuto una sentenza definitiva passata in giudicato (travolge il giudicato). A nessuno può restare una condanna per un fatto che con una legge successiva viene esclusa la rilevanza penale. Esempio: prima era considerato un illecito penale l’adulterio, se il marito tradiva la moglie, poi tali leggi vennero abrogate, e coloro i quali avevano commesso adulterio e si trovavano in carcere nel momento in cui è stata abrogata la norma dell’adulterio vennero scarcerati perché il fatto non costituiva più reato. Quindi, il caso dell’abrogazione produce effetti favorevoli anche retroattivamente. La legge che elimina l’antigiuridicità si applica anche ai casi in cui vi sia una sentenza definitiva passata in giudicato, poiché la sua applicazione richiede un intervento semplice esterno al processo (non si deve riaprire il processo). b. Modifica della disciplina penale – effetto retroattivo solo se è favorevole e se la sentenza non è definitiva: Nell’ipotesi in cui la legge successiva, senza far venir meno il carattere di reato del fatto, modifichi la disciplina penale si applicherà al reo la legge più favorevole, tranne che la sentenza sia definitiva. Per i fatti che verranno compiuti dopo la modifica della disposizione si applicherà solo quest’ultima. Cioè, il reo se commette reati dopo quello che ha già commesso ma ancora non gli è stata data una sentenza definitiva, si applica la legge più favorevole al reo. Per i processi ancora in corso, si può adottare la modifica della disciplina penale per modificare la sentenza definitiva. Per capire se una legge è più favorevole al reo, si deve valutare in concreto, cioè in base alla disposizione che il giudice intende applicare. Per esempio, nel caso di un processo ancora in corso, se la nuova legge prevede un minimo della pena più basso della vecchia legge, e un massimo della pena più elevato della vecchia legge, il giudice può applicare la nuova legge se intende punire con il minimo (perché è più favorevole al reo), non può applicare la nuova legge se intende punire con il massimo della pena, perché non è più favorevole al reo. Il giudice dovrà adottare per intero una delle due leggi. La pena detentiva si converte in pena pecuniaria. Inserita nel 2006. c. Applicazione retroattiva della legge più favorevole non si applica per le leggi eccezionali o temporanee: L’applicazione retroattiva della legge più favorevole al reo non si applica nelle ipotesi di leggi eccezionali o temporanee. Le leggi eccezionali sono quelle che riguardano una necessità da far fronte, una guerra, un terremoto, un’alluvione, un’epidemia. Le leggi temporanee sono quelle la cui vigenza ha un termine prefissato, ceduto il quale la legge cessa di avere efficacia. Nell’ipotesi in cui sia più favorevole la legge eccezionale o temporanea, non si potrà comunque applicare ai fatti precedenti, data la sua giustificazione con riferimento ad una situazione particolare e a un tempo determinato. Si applicano solo ai fatti e al periodo a cui si riferiscono. d. Applicazione retroattiva della legge più favorevole non si applica ai casi di decreto-legge non convertito o convertito con emendamenti: In passato era prevista l’applicazione della legge più favorevole al reo anche nei casi di decreti-legge non convertiti, oggi, con la sentenza dell’85 della Corte costituzionale è stata dichiarata l’illegittimità dell’ultimo comma. Quindi, non è ammessa l’applicazione retroattiva di d. legge non convertiti o convertiti con emendamenti. Tutte le disposizioni più favorevoli introdotte in un decreto-legge che poi non viene convertito in legge potranno essere applicate solo ai fatti commessi in quel lasso temporale, non potranno essere applicati ai fatti precedenti. Il decreto-legge non convertito perde efficacia ex tunc e i suoi effetti decadono a partire dal momento della sua emanazione. Tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie: Il principio di tassatività della previsione penale equivale al bisogno che la norma penale non deve dare luogo a dubbi o ad equivoci in modo da soddisfare l’esigenza di certezza del diritto. Sufficiente determinatezza: riguarda la struttura interna della norma, cioè come è strutturata. Deve essere determinata, descritta in modo dettagliato affinché il cittadino possa capire precisamente qual è il comportamento vietato. Il cittadino deve poter capire la norma in modo da poter scegliere come comportarsi consapevolmente. Se la norma non è chiara e comprensibile si rischia di vanificare il senso di legalità. Ci sono varie tecniche: a) Elementi di tipo descrittivo che sono elementi che fanno riferimento a dati oggettivi della realtà esterna e quindi più facilmente comprensibili. Es. il termine “uomo”. b) Elementi di tipo giuridico che sono elementi che vanno compresi attraverso il riferimento ad altre disposizioni presenti nell’ordinamento giuridico. Ad esempio, nel furto viene detto che è punito ai sensi del furto colui che si impossessa della cosa mobile altrui ecce cc; in questo caso la costa mobile altrui si può dedurre da altri elementi normativi presenti in altre disposizioni. c) Ci sono anche elementi normativi extragiuridici: sono quelli i quali la comprensione del significato di un determinato elemento non può essere dedotto da altre disposizioni presenti nell’ordinamento ma in norme sociali, convenzionali. Esempio: la rissa, comune senso del pudore, quindi in questi casi il rischio di divergenze è maggiore. Una contraddizione al principio di sufficiente determinatezza sono le norme penali in bianco. Le norme penali in bianco sono quelle dove è definita la sanzione con rinvio totale o parziale ad una fonte di rango inferiore in cui è definito il precetto. Nelle norme penali in bianco è prevista la sanzione ma non il precetto. Principio di frammentarietà: Cioè, la previsione penale deve riguardare un singolo fatto determinato, tanto più precisa e dettagliata è la norma incriminatrice, tanto meno completa sarà la tutela del bene giuridico. Esempio: chi uccide con armi da fuoco (livello di tassatività superiore) – chi uccide con le armi (livello di tassatività inferiore) – chi uccide (livello di tassatività minimo ma una più ampia tutela del bene protetto). Il difetto di tassatività e di determinatezza è stata la ragione per il quale alcune norme del c.p. sono state dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale. La più importante di queste è l’art. 603 del c.p. che puniva il plagio – diritti contro la schiavitù. Il plagio è quella situazione nella quale un soggetto riusciva a ridurre un’altra persona in uno stato di totale soggezione psicologica, lo condizionava totalmente. La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale questa disposizione perché questa prevede un’ipotesi non verificabile, non vi sono mezzi empirici e strumenti conoscitivi per verificare questa situazione di plagio. Vi è quindi un difetto di determinatezza. Questa disposizione non è verificabile e non è tassativa, perché fa riferimento ad un’idea non riscontrabile nella realtà. Per questo è necessario il requisito della determinatezza della fattispecie; l testo normativo deve riguardare qualcosa di verificabile, che abbia un senso reale, che non sia soltanto puramente ipotetico. ALTRI PRINCIPI: Principio di territorialità - Art. 6 c.p: Per quanto riguarda l’applicazione della legge penale nello spazio, vale in generale il principio di territorialità. La legge italiana si applica a coloro, sia cittadini che stranieri, che abbiano commesso il reato nel territorio dello Stato. In alcuni casi l’autorità giudiziaria italiana deve intervenire anche per fatti commessi all’estero qualora questi fatti potessero nuocere allo Stato (ovvero i delitti contro lo stato e quelli di falsità di monete aventi corso legale). Oggi molti reati hanno carattere transnazionale. Principio dell’obbligatorietà dell’azione penale: Collegato al principio di territorialità, vi è il principio dell’obbligatorietà della legge penale dell’art. 3 c.p. Chiunque, cittadino o straniero, si trovi sul territorio dello stato deve obbedire alle leggi penali e osservare i precetti. Nell’art. 12 c.p. è disciplinato il riconoscimento delle sentenze penali straniere per tutti gli effetti che può avere la sentenza di condanna. Nell’art. 13 è disciplinata l’estradizione. L’estradizione non è ammessa se il fatto per cui è richiesta non è preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici; l’estradizione del cittadino può essere consentita solo se espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Principio della presunzione di conoscenza della legge penale: " Ignorantia legis non exusat” (art. 5 c.p.) vi è una presunzione di conoscenza della legge penale. L’ignoranza può essere considerata inevitabile nei casi di particolare complessità, o oscurità, del testo normativo, di mancato recapito delle gazzette ufficiali, di contrasti giurisprudenziali non risolti, di una precedente decisione di segno opposto per un fatto dello stesso tipo. Ci possono essere delle situazioni in cui per il singolo è impossibile rendersi conto dell’esistenza della sanzione, e in questi casi il suo comportamento verrebbe scusato. Principio del giudice naturale: Art. 25 cost. comma 1 stabilisce che “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. Non si potrà sostituire con un’altra autorità, dà la garanzia. Principio di personalità della responsabilità penale: È contenuto nell’art. 27, primo comma, della Cost. “La responsabilità penale è personale”. Ognuno risponde delle proprie azioni, non si risponde mai di ciò che altri hanno fatto. Mentre a livello civile, i genitori rispondono dei danni provocati dal figlio minorenne, a livello penale no. Se i minorenni sono imputabili risponderanno loro. I genitori non rispondono penalmente al posto dei figli minorenni. Principio di colpevolezza: Collegato al principio di personalità della responsabilità penale vi è il principio di colpevolezza. Purché un soggetto possa essere considerato penalmente responsabile per un fatto da lui compiuto è necessario che egli sia qualificato colpevole. Cioè, deve aver voluto compiere quel fatto (Dolo) o deve aver violato una regola di diligenza (colpa). Per essere considerati pienamente responsabili, non solo il fatto lo devo aver commesso io, ma deve essere un fatto colpevole, doloso o colposo. Principio di presunzione di non colpevolezza: è contenuto nel secondo comma dell’art. 27 della Costituzione. Se una persona dovesse subire un procedimento penale, sarebbe colpevole soltanto al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Presunzione di non colpevolezza del condannato fino alla condanna definitiva. Principio della libertà personale: Art. 13 cost. è stabilito che qualsiasi forma di restrizione della libertà personale è possibile solo nei casi e nei modi previsti dalla legge e per atto motivato dalla autorità giudiziaria. “In casi eccezionali di necessità e di urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati e privi di ogni effetto”. “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.” “La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”. Principio del giusto processo: I principi del giusto processo (art. 111 cost.): legalità, contraddittorio delle parti, parità fra le parti, terzietà del giudice, ragionevole durata, assicurazione del diritto di difesa. La giustizia è amministrata in nome del popolo e i giudici sono soggetti soltanto alla legge, art. 101. Il processo penale prima era di tipo inquisitorio, la prova si formava già nella fase istruttoria, il processo era scritto. Il nuovo sistema è di tipo accusatorio, come quello anglosassone, è un processo di parti, fondato su principi di parità tra accusa e difesa e terzietà del giudice, ed è un processo orale, le prove si formano nel dibattimento, e quindi vi è il contraddittorio tra le parti. Principio di sussidiarietà e di meritevolezza della pena: Il sistema penale deve avere il carattere della extrema razio si deve ricorrere alla sanzione tipica del carcere soltanto nell’ipotesi in cui gli strumenti presenti in altri rami dell’ordinamento (strumenti civili e amministrativi) non dovessero essere efficaci rispetto allo scopo perseguito. Si utilizza la sanzione penale laddove la sanzione civile o quella amministrativa non riescono a sortire l’effetto auspicato. Per questo si parla di sussidiarietà del diritto penale, o addirittura di funzione accessoria del diritto penale. Però non si può applicare in ogni caso la sanzione penale. Per esempio, nel caso della sanzione per chi fa male la raccolta differenziata, non è una sanzione elevata, ma non si potrebbe prevedere il carcere. Perché accanto al principio di sussidiarietà dell’intervento penale, è necessario rispettare anche il principio della meritevolezza della pena, cioè la possibilità di ricorrere alla sanzione penale è subordinata dalla giustezza della soluzione incriminatrice rispetto all’entità del bene protetto. La raccolta differenziata non è un bene così significativo da meritare la sanzione penale. Principio di materialità: Nessuno può essere punito per il fatto di aver pensato di commettere un reato. Il sistema penale può intervenire solo nel momento in cui il comportamento criminoso è oggettivamente rilevabile o nelle forme di diritto tentato (ci devi almeno aver provato). Principio di offensività: Un fatto è punibile nella misura in cui è riuscito ad offendere il bene giuridico protetto (ledere o esporre a pericolo il bene protetto). CAPITOLO TERZO: concorso di norme L’art. 15 c.p. disciplina il concorso apparente di norme penali. Quando più leggi o più disposizioni della medesima legge penale riguardano e regolino la stessa materia vi è un concorso di norme. Potrebbe accadere che uno stesso fatto sia riconducibile a più norme incriminatrici. Se ciò avviene, si applicano dei criteri per risolvere il concorso, per capire quale norma applicare. Criterio della specialità: Art.15 c.p la legge o la disposizione di legge speciale prevale sulla legge o la disposizione di legge generale. Contiene tutti gli elementi di quella generale ma con elementi ulteriori definisce un contenuto più ristretto. Esempio: per l'associazione di stampo mafioso: la cui previsione rientra nell’art. 416 bis c.p., ma può rientrare anche nell’art. 416 ove è disciplinata l’associazione per delinquere comune. Vi sono quindi due disposizioni: art. 416 e art. 416 bis. Tra l’art. 416 e l’art. 416 bis può esserci un rapporto di specialità: perché l’art. 416 è una norma di carattere generale, l’art. 416 bis è una norma di carattere speciale. Criterio della sussidiarietà: Questo principio non è presente nel codice, ma è una rielaborazione di come le norme sono scritte. Il criterio impone che la norma “sussidiaria” si applichi solo nell’ipotesi in cui non ci sia una norma prevalente. In molti casi il legislatore dice salvo il fatto costituisca più grave reato. Quindi bisogna verificare che il comportamento non rientri già in una norma più consistente. Se costituisce più grave reato si applica la norma più grave, se invece il comportamento non rientra in quella norma più grave allora si potrà applicare quella in cui è presente la clausola di salvaguardia. Criterio della consunsione o assorbimento: Secondo questo criterio il reato meno grave viene assorbito nella previsione penale del reato più grave. Esempio: una persona uccide la vittima pugnalandola. Pugnalandola le distrugge i vestiti. Quindi in teoria colui che uccide la persona, dovrà rispondere di omicidio e danneggiamento. Il principio di consunsione e assorbimento implica che in situazioni come queste non dovrai imputare il danneggiamento perché il legislatore quando ha definito la pena per l’omicidio ha anche considerato nel quantificare l’ammontare della pena tutte le possibili modalità con le quali questa soluzione si poteva realizzare. Quindi la pena per il danneggiamento è come se fosse già inglobata nella pena prevista nell’ambito dell’omicidio. STRUTTURA DEL REATO: L’unico criterio che possiamo utilizzare per definire il reato è un criterio di tipo formale. Qualsiasi tentativo di dare un contenuto sostanziale è fallimentare. Si è in presenza di un reato solo quando quel fatto previsto dalla legge è accompagnato dalla previsione di una sanzione penale. Bisogna distinguere tra due tipi di soggetti all’interno del reato: Soggetto attivo: è colui che lo commette, da solo o con altri. Il reo, ovvero l’autore, il responsabile, a cui è attribuita la responsabilità del reato. Può essere responsabile nel nostro ordinamento solo la persona fisica, la responsabilità penale per le persone giuridiche, per le società non esiste. Nel nostro sistema vige il principio “societas delinquere non potest” la società non può commettere reati. È presente la responsabilità amministrativa per le persone giuridiche per i delitti inerenti all’attività dell’impresa, concussione, corruzione, truffa in danno allo Stato, frode ecc. Soggetto passivo: è la persona offesa dal reato o vittima del reato. Il danneggiato è colui che ha subito il danno, ma è una nozione prevalentemente civilistica. Esempio: nell’omicidio il morto è il soggetto passivo, la vittima o la persona offesa; mentre i parenti sono i soggetti danneggiati. Ci sono delle teorie analitiche del reato, ovvero: La bipartita: è la teoria che considera il reato formato da due elementi: elementi oggettivi ed elementi soggettivi. L’elemento oggettivo: è l’accadimento, ciò che si è verificato storicamente (il fatto storico, percepibile all’esterno). L’elemento soggettivo: è il coefficiente psicologico con il quale il fatto storico viene realizzato o voluto (dolo, colpa). Da un punto di vista oggettivo si può parlare di: Oggetto giuridico: L’oggetto giuridico del reato è il bene protetto dalla previsione penale, offeso o leso o messo in pericolo con la realizzazione del reato. Oggetto materiale: quello su cui ricade materialmente l’azione del reato (l’auto nel furto di auto). Bene giuridico: il bene tutelato attraverso la previsione penale, offeso, leso o messo in pericolo con la realizzazione del reato. Questi bene giuridici sono quelli contenuti o ricavabili dalla Costituzione. Condotta: è il comportamento, che può consistere in una azione o una omissione. L’azione consiste in un movimento, l’omissione in un’inerzia considerata a confronto ad un obbligo o dovere di agire. Evento: L’evento inteso in senso naturalistico è la modificazione del mondo esterno che è rilevante per il diritto (esempio: la morte di una persona costituisce l’evento naturalistico del delitto di omicidio). L’evento in senso giuridico è l’offesa del bene tutelato o interesse protetto con la previsione normativa. La tripartita: A partire dagli anni 70 in Germania si sviluppò questa teoria, un po’ più complessa, importata in Italia intorno agli anni ’80. Secondo tale teoria il reato è formato da tre elementi: La tipicità: si intende la necessità che il fatto storico sia conforme alla previsione normativa astratta e generale. È quindi come l’elemento oggettivo della teoria bipartita, poiché si guarda l’accadimento in maniera oggettiva. L’antigiuridicità: Oltre a verificare che il fatto storico sia conforme alla previsione normativa astratta e generale, si deve verificare che quel fatto storico non sia stato reso lecito da una norma diversa presente nell’ordinamento giuridico. Esempio: quando la polizia arresta una persona corrisponde al reato di sequestro di persona, ma il comportamento del carabiniere non costituisce reato perché esiste nell’ordinamento un’altra norma giuridica che rende lecita quella condotta. E quindi questo fatto non è antigiuridico. E quindi in questo caso un fatto esattamente tipico non lo è più guardando l’ordinamento giuridico nell’insieme. In questa teoria l’antigiuridicità assume un ruolo autonomo, ma nella teoria bipartita l’antigiuridicità è inglobata nell’elemento oggettivo, perché il giudice dovrà verificare che il fatto sia accaduto, che sia conforme ad una norma giuridica e che non sia reso lecito da un’altra disposizione. Nella teoria bipartita questi elementi che escludono l’antigiuridicità (che nella teoria tripartita hanno un ruolo autonomo) vengono chiamati elementi negativi del fatto. La colpevolezza: sarebbe l’elemento soggettivo della teoria bipartita (dolo e colpa). Teoria quadripartita: oltre i tre elementi della teoria tripartita ne esiste un quarto, ovvero la punibilità. Vi possono essere situazioni in cui pur esistendo questi tre elementi (tipicità, antigiuridicità e colpevolezza) non vi è la punibilità. CLASSIFICAZIONE DEI REATI: Si possono distinguere tra: Reato di evento e reati di mera condotta: Secondo la concezione naturalistica dell’evento. I reati di evento sono quelli dove vi è una modificazione della realtà esterna: Reati con evento naturalistico: sono quelli in cui alla condotta tipica segue una modificazione della realtà esterna, come nell’omicidio. Reati con evento giuridico: sono quelli in cui alla condotta segue l’offesa (la lesione o l’esposizione a pericolo) del bene protetto. Reati a forma libera: Sono reati di evento a forma libera quelli in cui è punito il verificarsi di un effetto indipendentemente dal modo in cui si sceglie di produrre questo effetto (nell’omicidio è punito chiunque cagioni la morte di un uomo, a prescindere dal modo in cui si provochi il decesso: veleno, pugnale, pistola, pugno etc.). Questi reati servono a garantire la massima protezione del bene tutelato. Reati a forma vincolata: Sono reati di evento a forma vincolata quelli in cui la punibilità è condizionata dalla realizzazione del reato con determinate modalità previste nella norma incriminatrice (per es., il reato di epidemia, deve realizzarsi tramite la diffusione di germi patogeni). Riducono l’intervento repressivo perché, in mancanza delle modalità indicate nella norma, il fatto non è punibile I reati di mera condotta sono quelli in cui è punito un dato comportamento indipendentemente dalla modificazione della realtà esterna. Sono reati di mera condotta i reati d’azione e di omissione. Reati comuni e reati propri: La gran parte dei reati sono reati comuni. Sono reati comuni quelli che possono essere commessi da «chiunque» (omicidio, furto, rapina etc.) Sono reati propri quelli che possono essere commessi solo da chi riveste una data qualifica, una data funzione (il peculato dal pubblico ufficiale, l’incesto dai consanguinei etc.) Reati commissivi (o di azione) e reati omissivi: Sono reati commissivi (o d’azione) quelli rispetto i quali è punita una condotta attiva, il fare (la gran parte dei reati è di questo tipo). Sono reati omissivi quelli che consistono in un non fare, in un rimanere inerti. Si distinguono in: Reati omissivi propri: il cui non attivarsi e il non fare è punito espressamente dalla norma incriminatrice: omissione di soccorso, omissione di atti d’ufficio, ecc. Reati omissivi impropri (detti anche commissivi mediante omissione): Potrebbe accadere che un fatto disciplinato in forma commissiva (per esempio l’omicidio) possa essere realizzato mediante omissione. Esempio: un genitore può uccidere il figlio anche non dandogli da mangiare; quindi, non ha fatto qualcosa di attivo provocando la morte, non ho dato da mangiare. La punizione dipende dalla combinazione della norma di parte speciale, ove è prevista l’incriminazione del fatto in forma commissiva (per esempio l’omicidio), e la norma di parte generale dell’art. 40, “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Reati di danno e reati di pericolo: Sono reati di danno: quelli dove si realizza il danneggiamento del bene giuridico protetto; Il danno, secondo la sua accezione civilistica, è la lesione di una situazione giuridica soggettiva, che legittima la pretesa risarcitoria. Vi possono essere danni patrimoniali e non patrimoniali, l’azione civile nel processo penale è esercitata mediante la costituzione di parte civile. Sono reati di pericolo: quelli in cui si realizza l’esposizione a pericolo del bene protetto. Il pericolo può essere definito come la valutazione circa la possibilità o probabilità del verificarsi un evento dannoso. I reati di pericolo si distinguono in: (la differenza tra queste dipende dal ruolo che viene riconosciuto al giudice) 1) Reati di pericolo concreto: sono quelli che presuppongono la dimostrazione dell’esposizione a pericolo del bene tutelato, il giudice dovrà motivare la sentenza di condanna circa la sussistenza del pericolo. 2) Reati di pericolo astratto: sono quelli in cui è descritta la condotta, la cui realizzazione viene definita un pericolo per il bene tutelato o per l’interesse protetto dalla legge stessa. La pericolosità è dovuta dalla realizzazione, il giudice non deve fare nessuna verifica, il comportamento vietato è pericoloso per legge. 3) Reati di pericolo presunto: sono quelli la cui realizzazione si ritiene sia una presunzione di pericolo. Sono fondamentalmente la stessa cosa dei reati di pericolo astratto, con la differenza che qui il legislatore definisce la pericolosità del fatto, che è quindi presunta, ma all’imputato è consentito di dimostrarne l’insussistenza. Reati uni-sussistenti, reati abituali e reati permanenti: Reati uni-sussistenti: consistono di un’unica azione, un’unica condotta, giuridicamente significativa (furto) Reati abituali: la loro integrazione è condizionata dalla reiterazione nel tempo di singoli comportamenti. Reati permanenti: richiedono la protrazione nel tempo della condotta incriminata perché sia integrato l’illecito penale (sequestro di persona). Reato continuato: Se ne parla nel concorso di reati. È un’ipotesi particolare di concorso materiale (cui un soggetto con più azioni od omissioni attua diversi illeciti penali) di reati punito con il cumolo giuridico delle pene. Consiste nelle violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge realizzate, anche in tempi diversi, in esecuzione di un “medesimo disegno criminoso” Il soggetto, quindi, tiene più condotte autonome, ma queste condotte sono tutte esecutive di un medesimo disegno criminoso, hanno un unico fine criminoso. Esempio: Tizio vuole commettere una rapina in banca: sequestra la figlia del direttore di banca (sequestro di persona), ruba una macchina, si procura una pistola, e fa la rapina. In linea di principio, dato che corrisponde ad un concorso materiale, si dovrebbe applicare il criterio “Tot crimina, tot poenae” e quindi punire il soggetto per ogni reato. Ma invece, si applica il cumulo giuridico delle pene (soluzione benevola) in modo da diminuire la pena. RAPPORTO DI CASUALITÀ: La teoria della responsabilità è fondata sulla nozione di causalità. Il rapporto di causalità è il legame logico conoscitivo tra l’evento e la condotta, secondo cui il verificarsi dell’uno costituisce una spiegazione del verificarsi dell’altro. All’art. 40 del c.p. viene sancito (articolo già citato nei reati omissivi). Sono state elaborate nel corso del tempo varie teorie sul rapporto di causalità: Teoria della “condicio sine qua non” o anche condizionalistica: è stata formulata da Von Buri. Questa teoria utilizza il metodo dell’eliminazione mentale di Mill – cioè, un accadimento può essere considerato causa di un evento se quell’accadimento è condizione senza la quale l’evento non si sarebbe qualificato, cioè, è condizione senza la quale l’altro non si sarebbe verificato. Oggi definito metodo di falsificazione, che consiste nella contraddizione ipotetica dell’avvenuto svolgersi dei fatti. Non è però così semplice, perché non si possono conoscere tutti gli antecedenti di un evento ed è quasi impossibile selezionare quali possono essere rilevanti e quali no. Il limite della condicio sine qua non è che non consente di individuare quali antecedenti prendere in considerazione. Teoria della causalità adeguata: è stata formulata da von Kries, costituisce una obiezione alla teoria precedente. L’esempio tipico, fatto da Kries, è: il conducente della carrozza si addormenta e questa vaga per la campagna, dove scoppia un temporale e un fulmine colpisce un passeggero della carrozza, uccidendolo. Se il conducente non si fosse addormentato la carrozza non si sarebbe trovata nel luogo e nel momento in cui è caduto il fulmine, tuttavia non può considerarsi il fatto che il conducente si sia addormentato come causa della morte del passeggero. Secondo la teoria della condicio sine qua non: se il cocchiere non si fosse addormentato probabilmente l’evento morte non si sarebbe verificato. Quindi secondo questa teoria l’addormentamento del cocchiere è causa della morte del passeggero. Secondo la teoria della causalità adeguata: se a causa dell’addormentamento del cocchiere la carrozza si sarebbe ribaltata allora sarebbe da considerarsi causa dell’evento morte. Ma il fulmine avrebbe potuto colpire dovunque il passeggero, quindi non si può considerare come antecedente adeguato. La teoria della causalità adeguata dice che tra tutti gli infiniti antecedenti che intervengono nella casualità dell’evento bisogna considerare soltanto quelli adeguati/idonei alla produzione dell’evento. Cerca di circoscrivere la responsabilità ai soli eventi che possano considerarsi conseguenza normale/idonea della condotta dell’agente. Infatti, il Codice penale ha una impostazione che corrisponde alla teoria della causalità adeguata. Si può considerare antecedente solo ciò che è rilevante, non si possono prendere in considerazione tutti gli elementi. Teoria della causalità umana: formulata da Antolisei, secondo cui una condotta è causa di un evento in quanto ne sia condizione senza la quale l’evento non si sarebbe verificato e l’evento non si sia comunque verificato per l’intervento di fattori eccezionali, estranei al controllo dell’autore. Si devono escludere gli antecedenti che hanno una natura eccezionale. Gli antecedenti che si possono considerare significativi dal punto di vista penale sono solo quelli dominabili dall’uomo. Esempio: tizio, ferito da Caio, muore per l’incidente dell’ambulanza che lo trasporta all’ospedale. Ma non tutte le leggi scientifiche sono universali, infatti, invece di dire che un certo fatto si presenta in TUTTI i casi, una legge dovrebbe affermare che un fatto si presenta solo in una certa percentuale di casi. Per cui, il nesso di causalità quando il giudice fa una ricostruzione deve essere ricondotto ad una legge scientifica di tipo universale o di tipo probabilistico o statistico. Quindi si deve prendere in considerazione: le modalità di successione e riproduzione degli avvenimenti, la generalizzazione, ovvero l’esperienza dei casi simili e il criterio controfattuale (che sarebbe il criterio di eliminazione mentale). Causalità dell’omissione: Nel 2° comma dell’art. 40 c.p. (non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo). L’obbligo giuridico, di impedire il verificarsi di un evento, può derivare direttamente dalla legge, da un contratto (esempio: l’obbligo di vigilanza di un istituto bancario). Quindi si può dire che l’evento è attribuibile alla condotta individuale se l’evento non si sarebbe verificato senza il verificarsi dell’omissione. Responsabilità: è un concetto che ha due interpretazioni: “essere responsabile” e quindi essere la causa; o “essere fatto responsabile” e quindi portare il peso di qualcosa. Colpevolezza è la riconducibilità del fatto alla coscienza e alla volontà dell’autore. All’art. 42 c.p. viene sancito che “Nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”. “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale e colposo espressamente preveduti dalla legge.” Ipotesi di mancanza di coscienza e volontà del fatto (quindi non punibilità dell’autore) quelle di costringimento fisico e di forza maggiore. La responsabilità presuppone la responsabilità di agire diversamente. La responsabilità può avere diverse forme dal punto di vista soggettivo. Il dolo è la forma che costituisce il criterio normale, generale, della responsabilità penale. La colpa è invece un criterio di minore gravità, che riguarda determinate ipotesi previste dalla legge per la protezione di beni di maggiore rilevanza, cioè la vita e l’incolumità personale. La preterintenzione e le altre forme di responsabilità oggettiva riguardano l’attribuzione oggettiva di un evento non voluto che è la conseguenza della realizzazione di un delitto doloso. Per responsabilità oggettiva si intende la responsabilità senza dolo né colpa. Le altre forme di responsabilità oggettiva sono le ipotesi di delitti aggravati dall’evento, cioè dal verificarsi di un evento diverso rispetto a quello voluto. Il presupposto che implica la colpevolezza è la responsabilità penale, quindi l’imputabilità (capacità di intendere e di volere). Il soggetto incapace di intendere e di volere dal punto di vista penale è la capacità del soggetto di subire il meccanismo psicologico dell’intimidazione penale e la rieducazione attraverso la pena. ELEMENTI SOGGETTIVI: Art. 43 del c.p. sono distinti DOLO, COLPA e PRETERINTENZIONE. Il delitto doloso è definito “secondo l’intenzione” – il delitto colposo è definito “contro l’intenzione” – il delitto preterintenzionale è definito “oltre l’intenzione”. Il dolo è l’elemento soggettivo più importante. Il dolo è un criterio ordinario di attribuzione della responsabilità penale di tutti i reati (sia delitti che contravvenzioni). Ogni qual volta venga commesso un delitto o una contravvenzione non è necessario che la norma incriminatrice riporti il coefficiente soggettivo doloso. Per aversi dolo è necessario che il soggetto ha previsto e voluto la realizzazione dell’evento dannoso. Elementi strutturali del dolo: Previsione e volontà dell’evento costitutivo del delitto. Oggetto del dolo: è l’evento dannoso o pericoloso (il fatto tipico) risultato dell’azione o dell’omissione. Essi si dividono in: Dolo diretto: Si ha quando l’evento costitutivo del delitto è lo scopo per cui il soggetto agisce. Vi è la piena volontà di realizzare l’evento che costituisce reato. È quindi un dolo intenzionale, diretto, prevale l’elemento volitivo. Il giudice per valutare l’ammontare della pena tra gli elementi che prende in considerazione vi è l’intensità del dolo: se il dolo con il quale il soggetto ha agito è il dolo diretto, massima la dimensione volitiva, pena più vicina al massimo. Dolo indiretto: è più rilevante l’elemento rappresentativo che quello volitivo. Cioè, l’autore ha agito per un altro fine ma pur sapendo che avrebbe ucciso. L’elemento volitivo c’è comunque, ma ha minore significato. Esempio di dolo indiretto: l’armatore che distrugge la propria nave con una bomba per frodare l’assicurazione, sapendo che l’equipaggio era sulla nave, e che li avrebbe uccisi. L’autore sapeva che l’equipaggio era un costo da pagare per truffare l’assicurazione. L’armatore non aveva come obiettivo provocare la morte dell’equipaggio. Il suo obiettivo era frodare l’assicurazione, uccidere l’equipaggio era una conseguenza. Rispetto all’equipaggio, non vi è un’intenzione piena. Il giudice in questo caso applicherà una pena minore rispetto a quella del dolo diretto, poiché l’aspetto volitivo è meno consistente. Dolo d’impeto: quando il soggetto agisce con coscienza e volontà di produrre l’evento in preda ad un impulso emotivo e non frutto di calcolo. Il giudice, in questi casi, applicherà una pena minore. Dolo di proposito: il soggetto agisce lucidamente, con animo freddo e pacato per il proseguimento di un fine. (è la premeditazione) Qui la dimensione dolosa diventa più significativa, poiché il soggetto ha avuto il tempo di rifletterci. Dolo specifico: è quello richiesto dalla norma. Il legislatore prevede oltre alla volontà dell’evento, un fine ulteriore. Esempio: “Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri”. Al fine di trarne profitto definisce il dolo specifico del delitto di furto. Questo fine ulteriore non è essenziale per la realizzazione del reato. Dolo generico: la gran parte delle fattispecie sono strutturate nel dolo generico. Il soggetto per essere considerato responsabile deve prevedere e volere gli elementi del fatto tipico. Vi è l’elemento della volontà, non vi sono ulteriori fini specificati nella norma. Dolo eventuale: è una categoria non presente nel codice. Si parla di dolo eventuale nell’ipotesi in cui un soggetto non vuole il realizzarsi dell’evento ma ne accetta il rischio. Esempio: nell’ipotesi di prima, l’armatore che decide di mettere la bomba nella nave, la mette in un giorno in cui pensa non ci sia nessuno, ma potrebbe esserci qualcuno, lui accetta la possibilità che potrebbe esserci qualcuno, questa possibilità che ci sia qualcuno non lo fa desistere, accetta il rischio del verificarsi dell’evento. (Se fosse sicuro che sulla nave non c’è nessuno si parlerebbe di colpa). Nei delitti la colpa è un criterio eccezionale. Un delitto per essere punito a titolo di colpa richiede la previsione espressa nella norma incriminatrice. (Ovvero, l’omicidio colposo è punito poiché vi è l’articolo che lo punisce). Quando viene commesso un reato, questo è punibile a titolo di dolo anche senza che sia scritto nella norma incriminatrice della fattispecie del reato perché è un criterio generale. Per le contravvenzioni, la colpa, è un criterio generale di attribuzione della responsabilità penale. Il legislatore ha stabilito che per le contravvenzioni è indifferente l’elemento soggettivo. Per i delitti, la colpa, è un criterio eccezionale di attribuzione della responsabilità penale. La colpa è rilevante solo se espressamente prevista con riferimento ai delitti. Si ha colpa nei casi in cui un soggetto, pur potendo prevedere che la sua azione era tale da produrre conseguenze dannose o pericolose, ha agito con scarsa attenzione o con leggerezza, senza cioè adottare quelle misure e quelle precauzioni che avrebbero impedito il verificarsi dell’evento. La definizione di colpa è data dall'articolo 43 c.p. Nella colpa manca la volontà – assenza di volontà del fatto tipico. Ovvero l’autore non vuole realizzare l’evento, ma ne è comunque responsabile per negligenza, inosservanza, disattenzione, mancanza di cautela, o per una violazione di una regola di diligenza. La colpa è quindi la violazione di una norma cautelare nello svolgimento di un’attività. Elementi strutturali della colpa: è necessario che l’evento sia prevedibile ed evitabile. La colpa è specifica quando deriva dall'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline ovvero di norme che impongono determinate cautele. È quindi fissata da una norma giuridica scritta. Ad esempio, la circolazione stradale nel codice nella strada. Si tratta quindi di regole cautelari, volte ad evitare il verificarsi di eventi dannosi. La colpa è generica, invece, quando deriva da imprudenza, negligenza o imperizia. Gli elementi strutturali della colpa sono la prevedibilità e l’evitabilità. Nella nozione di colpa non c’è niente che riguarda l’atteggiamento psicologico del soggetto agente. La colpa è una nozione sociologica. Il concetto di cautela è definito dalle condizioni culturali, professionali, della società. La possibilità di prevedere o evitare l’evento si basano sulle conoscenze e le capacità medie dei soggetti, si utilizza il parametro dell’uomo medio: la regola di prudenza va tarata sulle caratteristiche del soggetto. È un parametro ideale, che rende poco soggettivo il parametro della colpa. La colpa è un criterio sociale dell’attribuzione della responsabilità penale. L’attribuzione della responsabilità colposa dipende dalla violazione di una regola condivisa dalla società. Colpa impropria: il fatto è commesso volontariamente ma per effetto di un errore determinato da colpa, Si ha quando l’evento è voluto dall’agente (e si dovrebbe quindi rispondere a titolo di dolo) ma la legge stabilisce, in via eccezionale, che l’agente risponde a titolo di colpa. Colpa cosciente o con previsione dell’evento: La colpa cosciente è prevista nell’art 61 c.p., ed è una circostanza aggravante nei delitti colposi che determina l’aumento della pena. La colpa cosciente si ha nel caso in cui il soggetto agisce prevedendo la possibilità del verificarsi dell’evento, ma con la convinzione che l’evento stesso non si verificherà. Esempio tipico è il soggetto che fa affidamento alle proprie capacità di guida, e agisce con la consapevolezza che attua una situazione di pericolo ma con il presupposto e il convincimento che l’evento non si verificherà. La colpa cosciente è una categoria confinante con il dolo eventuale. Colpa cosciente: il soggetto agisce prevedendo la possibilità del verificarsi dell’evento, ma nella convinzione che esso non si verificherà. Dolo eventuale: il soggetto agisce non sapendo se l’evento si verificherà, ma accettandone il rischio. Per distinguere le due ipotesi si utilizza una formula: la formula di Frank. Se dall’esame del carattere del reo e dal modo in cui ha perseguito il suo fine, risulta che avrebbe agito ugualmente anche se avesse previsto l’evento come necessariamente connesso alla sua azione, si parla di dolo; mentre si ha colpa con previsione, qualora risulta che il soggetto qualora avesse previsto l’evento come connesso alla sua azione, si sarebbe astenuto dal compierlo. Questo però non è un criterio attendibile, poiché non è semplice capire le intenzioni, dato che colpa significa “contro l’intenzione”. La configurazione del dolo eventuale e della colpa cosciente come categorie confinanti appare contraddetta dalla distanza tra la pena minima prevista per la forma dolosa e la pena massima prevista per la forma colposa dell’omicidio. Ipotesi di colpa impropria: Eccesso colposo: (Se ne parla nelle cause di giustificazione, nello stato di necessità). È un’ipotesi di colpa impropria. Si parla di eccesso colposo quando si supera la proporzionalità della difesa rispetto all’offesa o del fatto rispetto al pericolo. Se l’eccesso è dovuto a colpa il soggetto risponde a titolo di colpa del delitto cagionato, quando questo è previsto nella legge in forma colposa (come l’omicidio e le lesioni personali). Se l’eccesso è doloso, il soggetto risponde del delitto in forma dolosa. Lo stato di necessità non può essere invocato a propria scusa da chi abbia posto in essere volontariamente la situazione di pericolo. Invece, la legittima difesa può essere invocata da chi ha attuato in origine la situazione di conflitto. Esempio: Tizio insulta Caio, caio lo vuole ferire, tizio reagisce a quest’ultima situazione potendo invocare la legittima difesa, anche se ha dato causa al conflitto. Errore sulla presenza di una causa di giustificazione dovuto a colpa: È un’altra ipotesi di colpa impropria. Questo è disciplinato nell’art. 59 c.p. che disciplina le circostanze non conosciute o erroneamente supposte. Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a suo favore. Esempio: il soggetto ritiene di agire in presenza di una causa di giustificazione. Ritiene di essere minacciato perché ad esempio l’altro impugna una pistola giocattolo. Il soggetto, quindi, ritiene di essere in presenza di una situazione che, se esistesse veramente sarebbe scriminante. Responsabilità oggettiva: Nella responsabilità oggettiva si è puniti per avere causato materialmente un fatto, indipendentemente dal coefficiente soggettivo: è una responsabilità senza colpevolezza, senza dolo né colpa (per questo ritenuta in sé incostituzionale per il contrasto con i principi di personalità della responsabilità penale e di rieducazione). Nel codice, però, non sussistono casi di responsabilità oggettiva pura, ma alla base delle relative incriminazioni vi è sempre un fatto comunque doloso. Nell’art. 42 viene sancito che la legge determina i casi in cui l’evento è posto a carico dell’agente come conseguenza della sua azione od omissione. I casi di responsabilità penale oggettiva sono: il reato preterintenzionale (quando dalla propria azione deriva un evento più grave di quello voluto – omicidio preterintenzionale); le ipotesi di delitti aggravati dall’evento, cioè evento diverso rispetto a quello voluto (aberratio ictus e aberratio delicti). Nella preterintenzione: contenuta nell’articolo 43 del c.p., sta in mezzo tra il dolo e la colpa. Il delitto è preterintenzionale quando si è verificato un evento più grave di quello che l’autore voleva perseguire. L’unica figura preterintenzionale prevista nel Codice penale è quella dell’omicidio preterintenzionale: chiunque con atti diretti a commettere percosse o lesioni personali cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da 10 a 18 anni. La pena è intermedia tra quella del delitto colposo e quella del delitto doloso. Se dagli atti diretti a commettere i delitti dolosi di percosse o di lesioni personali ne derivi la morte, significherà che le modalità della condotta siano state tali che la morte, non voluta, che ne è derivata possa essere considerata un rischio tipico. DISCIPLINA DELL’ERRORE: L’errore si distingue in: errore vizio della volontà ed errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato. Errore vizio della volontà: può accadere che un soggetto commetta un fatto previsto come reato a causa di un errore di percezione della realtà. E quindi viene escluso il dolo perché, se agisco per errore non vi può essere dolo poiché il processo volitivo è viziato dalla sussistenza dell’errore. L’errore vizio della volontà si divide in: Errore di fatto: disciplinato dall’art. 47, è un errore sulla percezione della volontà ed esclude la punibilità dell’agente. Esempio: il cacciatore che spara contro la siepe pensando che dietro vi è la selvaggina ma invece c’è un altro cacciatore e lo uccide il cacciatore ha sparato perché riteneva per errore che dietro la siepe ci fosse la selvaggina. In questo caso la responsabilità di omicidio volontario è da escludere. Se l’errore è stato determinato da colpa (imprudenza, negligenza) il cacciatore risponderà di omicidio colposo. Questa è un’ipotesi di colpa impropria, perché il fatto è commesso volontariamente, ma per effetto di un errore determinato da colpa. Errore di diritto: è l’errore su una norma penale. L’errore di diritto è punibile, perché nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della norma penale (art. 5 c.p), già visto nel principio di presunzione di conoscenza della legge penale. Nell’art. 47 viene indicato un altro tipo di errore di diritto: l’errore su una norma extra- penale. “L’errore su una legge diversa da quella penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”. Errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato (art. 82): Il reato aberrante è quel reato commesso per un errore di esecuzione del reato, e che va a colpire un soggetto diverso dal previsto o che viene eseguito con modalità diverse. Esso si divide in: Aberratio ictus (Aberratio, in latino, indica qualcosa di diverso, di sbagliato): un errore nel colpo, La forma di aberratio ictus mono lesiva si ha quando un soggetto compie un errore di esecuzione e offende una persona diversa di quella a cui l’offesa era diretta. Il colpevole risponde come se avesse commesso il reato alla persona che voleva offendere. La forma plurilesiva si ha quando il soggetto compie un errore di esecuzione e commette il reato offendendo sia la persona a cui l’offesa era diretta sia altra persona. Il colpevole risponderà della pena per il reato più grave aumentata fino alla metà. Aberratio delicti (Evento diverso da quello voluto dall’agente): Nella forma monolesiva si cagiona evento diverso da quello voluto per un errore nell’uso di mezzi di esecuzione del reato. Esempio: Tizio ha lanciato una pietra per colpire una vetrina di un negozio e invece colpisce un passante, dovrà rispondere del tentativo di danneggiamento e del delitto di lesioni personali colpose. Nella forma plurilesiva il soggetto per un errore di esecuzione cagiona sia l’evento che originariamente aveva in mente ma anche un evento diverso da quello voluto. Si applicano in questo caso le norme sul concorso dei reati: ovvero il criterio del cumulo giuridico delle pene: la pena del reato più grave viene aumentata fino al triplo. Aberratio delicti concorsuale (Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti. (art. 116 c.p.) riguarda il concorso di persone nel reato): Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi voleva il reato meno grave.” Esempio tipico: rapina commessa con armi. Se uno dei rapinatori uccide una vittima. Rispetto a coloro che sapevano che c’erano delle armi, l’omicidio può considerarsi un rischio tipico, ovvero una conseguenza che costituisce uno sviluppo prevedibile del reato. L’omicidio è rischio tipico di una rapina con armi. Esempio non tipico: se un rapinatore fa violenza sessuale su una vittima, la violenza sessuale non è un rischio tipico della rapina; quindi, in questo caso della violenza sessuale risponderà solo chi l’ha commessa, non era prevedibile dagli altri. È stata sollevata la questione di legittimità costituzionale su questa norma. La Corte non dichiara la norma illegittima, a condizione però che la norma venga interpretata nel modo indicato dalla Corte. Con tale sentenza la corte dice che l’art. 116 va bene nella misura in cui l’evento che si è realizzato venga accollato a chi non lo volle a condizione però che quell’evento costituisca uno sviluppo logicamente prevedibile di quello programmato. La corte introduce un coefficiente soggettivo: l’evento che si è realizzato doveva essere in qualche modo prevedibile, se era prevedibile c’è una responsabilità. Se invece questa prevedibilità non c’è, l’evento ulteriore non va accollato al soggetto che volle il reato diverso. CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA: Esse si dividono in: Il caso fortuito: è un’ipotesi di mancanza di colpa, relativa al verificarsi di un evento del tutto imprevedibile. Esempio: Tizio guida una auto con le massime cautele ma investe un bambino che attraversa improvvisamente la strada correndo. La forza maggiore: è un’ipotesi di mancanza di coscienza e di volontà del fatto, del comportamento. Esempio: un operaio cade da una impalcatura e ferisce un passante. Il costringimento fisico: mancanza di coscienza e di volontà del fatto, che dipende dalla costrizione mediante violenza fisica da parte di un’altra persona. Infatti, non è punibile chi ha commesso un fatto per esservi stato costretto, mediante violenza fisica, alla quale non poteva resistere o sottrarsi (art. 46 c.p.). In questi casi del fatto commesso dalla persona costretta risponde l’autore della violenza. CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE: Le cause di giustificazione rendono lecito un fatto che, in loro assenza, costituirebbe reato. Possono essere comuni, se sono previste nella parte generale del codice (art. 50,51,52,53,54) e sono applicabili a tutti i reati, e speciali, se sono previste nella parte speciale del codice o nella legislazione complementare e sono applicabili ai soli reati cui si riferiscono. Tra queste le più importanti sono le prime due, esse si dividono in: Legittima difesa: presente nell’articolo 52 c.p per potersi parlare di legittima difesa è necessario che ci sia una aggressione e un soggetto che reagisce (cioè, che si difende dall’aggressione). Affinché questa difesa sia legittima è fondamentale che vi sia proporzione tra la difesa e l’aggressione. L’aggressione deve essere attuale. L’oggetto dell’aggressione può essere qualunque diritto, sia personale che patrimoniale, o anche altrui. Non può essere trascorso, se si fosse già manifestato sarebbe una specie di vendetta. Si devono valutare i mezzi utilizzati da entrambe le parti. Per quanto riguarda la legittima difesa domiciliare trova applicazione solo se l’aggressione viene fatta nell’abitazione della persona che si difende o all’interno di altri luoghi che possano essere equiparati alla propria abitazione. Nel 2006 l’art. 59 sanciva che quando l’aggressione avviene in questi luoghi, il padrone di casa può utilizzare un’arma se è legittimamente detenuta o un altro mezzo idoneo per difendersi, ma le può utilizzare solo se a difesa della propria incolumità o di altri (dei familiari) o se sta difendendo il patrimonio (i propri beni o altrui) a condizione però che il ladro non ha receduto dal suo intento e ha manifestato un atteggiamento aggressivo. Nel 2019 viene modificato il 2° comma dell’art. 52 inserendo l’avverbio sempre. Se il ladro che entra in casa usa violenza o minaccia, la reazione del padrone è SEMPRE legittima. La riforma riguarda solo la legittima difesa domiciliare e l’idea del legislatore era quella di rendere il più possibile immune da responsabilità e conseguenze sfavorevoli colui che si difende da un’aggressione nel domicilio. Queste regole sulla legittima difesa domiciliare si applicano anche nel caso in cui il fatto avviene all’interno di luoghi dove viene esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Stato di necessità: articolo 54 c.p. Non può essere punito chi ha commesso un fatto perché era in una situazione di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave. Il danno grave alla persona deve essere attuale, e non causato volontariamente dal soggetto né evitabile. Il fatto, inoltre, deve essere sempre proporzionato al pericolo. Esempio tipico: il naufrago che per salvarsi fa annegare un altro naufrago aggrappato alla stessa zattera perché non sopporta il peso di tutti. Oppure: la manovra di emergenza di un automobilista che per evitare un camion sterza bruscamente investendo un passante. Differenza rispetto alla legittima difesa: Nella legittima difesa vi è un interesse che viene difeso da un aggressore. Nello stato di necessità non c’è l’aggressore, vi è una situazione di pericolo. La legittima difesa consente di tutelare qualsiasi diritto, proprio o di altri, sia patrimoniale che personale. Lo stato di necessità consente di tutelare solo il rischio alla vita e gravi danni alla persona propria o di altri. L’attualità del pericolo riguarda entrambe le situazioni, anche la proporzionalità riguarda entrambe le situazioni. La proporzionalità riguarda la comparazione tra il bene giuridico pregiudicato e il bene difeso (comparazione fra beni) e la considerazione dei mezzi usati dal soggetto per respingere o evitare il pericolo (comparazione fra i mezzi). La legittima difesa non dà origine a nessun risarcimento, mentre per lo stato di necessità è previsto l’indennizzo, la cui misura viene decisa dal giudice. Lo stato di necessità non può essere invocato a propria scusa da chi abbia posto in essere volontariamente la situazione di pericolo. Invece, la legittima difesa può essere invocata da chi ha realizzato in origine la situazione di conflitto. Esempio: Oppure: Tizio insulta Caio, caio lo vuole ferire, tizio reagisce a quest’ultima situazione potendo invocare la legittima difesa, anche se dato causa al conflitto. Lo stato di necessità non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi a pericolo, per esempio i vigili del fuoco. Consenso dell’avente diritto: articolo 50 del c.p. “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne.” Esempio: se io ho un bene e acconsento che altri lo distruggano o lo mettono in pericolo, coloro i quali fanno ciò non sono punibili. Perché sono io che ho autorizzato la distruzione o la compromissione del bene. Condizione purché l’art. 50 operi è la disponibilità del diritto di cui si discute. Quindi, bisogna distinguere tra diritti disponibili e diritti indisponibili. Quelli disponibili sono ad esempio il patrimonio, tra gli indisponibili: la vita, l’integrità fisica. Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere: articolo 51 del c.p. “L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità.” Di un fatto commesso per un ordine illegittimo risponde chi ha dato l’ordine sempre, chi lo ha eseguito risponde salvo che per errore di fatto abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine. Colui che appartiene a quella amministrazione di pubblica sicurezza e riceve un ordine la cui esecuzione costituirebbe un reato è tenuto a non eseguirlo ed informare immediatamente i superiori. Uso legittimo delle armi: articolo 53 del c.p. Questa causa di giustificazione giustifica l’uso delle armi solo da parte dei pubblici ufficiale, che sono autorizzati a ricorrere all’uso della forza per i loro doveri istituzionali. Questa scriminante si applica anche a coloro che prestano assistenza al pubblico ufficiale. Le ipotesi in cui è considerato legittimo ricorrere all’uso delle armi: quando il pubblico ufficiale deve respingere una violenza che può essere tanto diretta contro il pubblico ufficiale quanto contro cose o persone che egli ha il dovere istituzionale di proteggere o vincere una resistenza e impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona. I requisiti necessari sono la necessità e la proporzionalità. La necessità significa che la violenza da respingere e la resistenza da vincere devono essere di portata tale da essere obbligato il ricorso alle armi. La proporzionalità richiede una valutazione caso per caso della condotta del pubblico ufficiale rispetto al pericolo derivante dalla violenza o resistenza. REGOLE GENERALI IN MATERIA DI CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE: Rilevanza oggettiva (art. 59, primo comma, c.p.): Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell'agente, anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti. La situazione va valutata oggettivamente. Andare a vedere, visto che sono una ripetizione, le ipotesi di cause improprie, citate sopra. In riferimento alle cause di giustificazione si può parlare di: Eccesso colposo: ad esempio, per la legittima difesa, per capire se vi è stato un superamento dei limiti si dovrà guardare l’inadeguatezza della reazione difensiva e anche i mezzi utilizzati. Esempio tipico: furto dei cavolfiori. Un signore decide di rubare i cavolfiori nell’orto del contadino, il contadino se ne accorge e prende il fucile, inizia a sparare, il ladro scappa e il contadino lo insegue. Il ladro ad un certo punto spara al contadino e lo ferisce. È legittima difesa. La colpa è originata dal ladro, ma la reazione del contadino è stata esagerata, tanto che la condizione si è trasformata da vittima di reato a costruttore di un illecito. Ladro legittimato a difendersi, poiché non c’è proporzione tra la reazione della vittima e l’azione dell’aggressore. Errore sulle cause di giustificazione: esempio: Tizio, proprietario di una gioielleria. Una sera entra un uomo con il volto coperto e gli punta una pistola. Tizio temendo per la propria incolumità e quella dei clienti estrae la pistola che nascondeva sotto il banco e spara all’uomo. Solo successivamente si rende conto che l’uomo aveva una pistola giocattolo e che aveva simulato una rapina. In questo caso il proprietario della gioielleria è convinto di essere vittima di una rapina, quindi agisce pensando di doversi difendere. In questo caso si applica lo stesso la causa di giustificazione della legittima difesa. FORME DI MANIFESTAZIONE DEL REATO: Rientrano sotto questo titolo gli istituti del: delitto tentato, delle circostanze del reato e del concorso di persone nel reato. Essi integrano la previsione normativa del delitto. Queste forme di manifestazione del reato hanno assunto carattere generale, cioè, trovano applicazione in qualsiasi possibile reato. La configurazione del delitto tentato, del concorso di persone nel reato, e delle circostanze avviene in riferimento alla norma che li prevede. Infatti, si parla di “combinato disposto” tra la norma che li prevede e la norma che prevede il delitto. DELITTO TENTATO: È disciplinato nell’art. 56. È l’ipotesi di un delitto che non ha avuto consumazione, non è giunto a compimento per ragioni indipendenti dalla sua volontà. L’autore del reato viene comunque punito poiché ha posto in essere una condotta pericolosa con l’intenzione di compiere il reato. Il delitto tentato va contrapposto al delitto consumato. Il delitto tentato dal punto di vista sostanziale non si è verificato l’evento o non si è perfezionata la sua azione; dal punto di vista formale ci si riferisce alla figura generale del tentativo e a quella della previsione delittuosa di tipo speciale. La forma tentata è prevista solo per i delitti, non per le contravvenzioni. Il colpevole del tentativo è punito con la reclusione non inferiore a 12 anni se per il reato consumato è previsto l’ergastolo, e negli altri casi con una pena diminuita da un terzo a due terzi. È comunque il giudice ad avere uno spazio di discrezionalità sulla misura della pena per il delitto tentato. L’elemento soggettivo del delitto tentato è il dolo, perché vi è la volontà di compiere il fatto. Il tentativo colposo non è raffigurabile, tra colpa e tentativo vi è una incompatibilità strutturale. Per avere il tentativo vi deve essere necessariamente volontà. Si ha delitto tentato quando l’autore compie atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, ma l’azione non si compie. Atti idonei significa che devono essere atti adeguati alla realizzazione del delitto, gli atti devono essere tali che ne possa conseguire l’evento, in caso contrario si parla di reato impossibile. Gli atti diretti in modo non equivoco sono quegli atti volti a commettere il delitto in cui non devono sussistere dubbi sull’intenzione dell’autore (ad esempio chi prende la mira per sparare ma poi viene interrotto dalla polizia). L’orientamento soggettivistico sostiene che il fondamento della punibilità del tentativo è la pericolosità del soggetto; l’orientamento oggettivistico invece ritiene la punibilità del tentativo perché il reo ha messo in pericolo il bene giuridico protetto. Tentativo compiuto = punito: Quando il reo ha attuato tutte l’iter criminoso fino alla fine ma l’evento non si è verificato. Esempio: Tizio spara Caio, viene subito soccorso e non muore. Tentativo incompiuto = punito per gli atti compiuti: Quando il reo non ha portato a termine la condotta criminosa, ma questo mancato compimento non è voluto dal reo, cioè non interrompe volontariamente la sua azione. Il reo sarà punito solo per gli atti compiuti se sono reati. Esempio: Tizio vuole uccidere Caio ma interviene la polizia e l’azione non si compie. Se interrompe volontariamente si ha l’ipotesi di desistenza volontaria. Desistenza volontaria = punito per gli atti compiuti: È sancito nell’art. 56. Quando ancora la condotta non è stata compiuta e il colpevole volontariamente desiste dall’azione si ha la desistenza volontaria. Il colpevole in questo caso sarà punito solo per gli atti compiuti, se costituiscono reato. Non si punisce anche per stimolare chiunque a desistere. La desistenza volontaria può essere sia legata ad un pentimento del soggetto, sia ad un calcolo utilitaristico. Esempio: il soggetto che sta compiendo un furto preferisce allontanarsi perché vede passare due volte l’auto della polizia. Quindi deve essere presenta l’azione del soggetto che sceglie di interrompere l’azione delittuosa. Il soggetto risponderà solo per gli atti compiuti: esempio un furto in appartamento, il soggetto desiste volontariamente ma risponderà della violazione del domicilio. Recesso attivo = punito Art. 56: Si parla di recesso attivo quando un soggetto realizza l’evento del reato ma poi agisce in senso contrario per limitare i danni causati. Esempio: Tizio getta a mare Caio che non sa nuotare per farlo annegare, ma poi si tuffa e lo salva. Il recesso attivo è in questi casi punito, perché il soggetto ha attuato un pericolo. Reato supposto erroneamente = non punito: Disciplinato all’art. 49: Il reato supposto erroneamente si ha quando un soggetto attua una certa azione nella sbagliata convinzione che si tratti di reato. L’agente commette un fatto lecito, non punito, ma per errore, è convinto di aver violato una norma penale da cui la legge fa discendere una sanzione. Questo tipo di reato non è quindi punibile. Reato impossibile = non punito, ma misura di sicurezza: Quando gli atti posti in essere non sono idonei e adeguati alla realizzazione del delitto, l’evento è considerato impossibile, pone un tentativo inidoneo. Nel caso del reato impossibile è possibile applicare una misura di sicurezza (la libertà vigilata) qualora il soggetto sia socialmente pericoloso. Esempio: non è possibile uccidere a distanza enorme rispetto alla portata di un’arma CIRCOSTANZE DEL REATO: Le circostanze sono elementi non essenziali dell’esistenza del reato che servono a valutarne la gravità del reato e la determinazione della misura della pena. Quando vi sono delle circostanze si è in presenza di un reato circostanziato. La pena, infatti, per ciascun reato, ha un limite minimo e un limite massimo. Il giudice decide la pena base, su cui aggiunge o diminuisce in base alle circostanze presenti. Le circostanze del reato si distinguono in: 1. Circostanze aggravanti = determinano l’aumento della pena, la cui presenza significa una maggiore gravità del reato. 2. Circostanze attenuanti = determinano la diminuzione della pena, la cui presenza significa una minore gravità del reato. Le circostanze del reato, sia aggravanti che attenuanti, possono essere distinte in: comuni o speciali, disciplinate nell’art. 61 e 62. Sono circostanze comuni = quelle stabilite in generale per qualsiasi tipo di reato. Sono potenzialmente applicabili a tutti i reati. Sono circostanze speciali = quelle stabilite per i singoli tipi di reati o per gruppi particolari di reati. Un’altra distinzione che riguarda le circostanze riguarda la misura della variazione della pena. Art. 64 e 65. L’aumento della pena per una sola circostanza aggravante: se l’aumento non è determinato dalla legge si aumenta la pena per il reato fino a un terzo. La diminuzione della pena per una sola circostanza attenuante: se non è determinato dalla legge si può: la pena dell’ergastolo è sostituita da 20 a 24 anni; le altre pene sono diminuite di massimo un terzo. Sono circostanze indipendenti quelle che comportano l’applicazione una pena di specie diversa da quella prevista per il reato base. All’art. 70 è definita la distinzione tra circostanze oggettive e soggettive. Circostanze oggettive: quelle che riguardano le modalità dell’azione, la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo, la gravità del danno o del pericolo. Circostanze soggettive: quelle che riguardano l’intensità del dolo o il grado di colpa, le condizioni e le qualità personali del colpevole, i rapporti tra il colpevole e l'offeso, ecc. All’art. 62bis sono disciplinate le circostanze attenuanti generiche: introdotte nel 1944 subito dopo la caduta del fascismo, in seguito alle critiche dell’eccessivo rigore delle pene e dei criteri di attribuzione di responsabilità del codice Rocco. Servono a contrastare il rigore sanzionatorio del codice. Infatti, viene attribuito al giudice il potere di ridurre la pena prendendo in considerazione altre circostanze diverse qualora le ritenga tali da giustif