Summary

These notes cover the topic of Conservative Dentistry, focusing on the terminology, morphology of permanent incisors, cavity descriptions, classifications and diagnosis related to cavities in the tooth. The document also includes information on treatment procedures and an introduction to the topic of dental care.

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ODONTOIATRIA CONSERVATIVA 1 LORENZO BRESCHI 1 Indice Terminologia………………………………..……………………………..3 Morfologia dei denti permanenti: incisivi………………..…..6 Carie definizione…………………..……………………………………..9 Carie dellosmalto……………………………………..……………..…11 Carie della dentina……………………………………………..…….…15 Classificazioni...

ODONTOIATRIA CONSERVATIVA 1 LORENZO BRESCHI 1 Indice Terminologia………………………………..……………………………..3 Morfologia dei denti permanenti: incisivi………………..…..6 Carie definizione…………………..……………………………………..9 Carie dellosmalto……………………………………..……………..…11 Carie della dentina……………………………………………..…….…15 Classificazioni della carie………………………..……………………17 Diagnosi di carie…………………………………………..……………..20 Indicazioni e controindicazioni al trattamento ……………28 Diga di gomma……………………………………………..……………..30 Strumenti in conservativa: strumenti rotanti…….…………36 Strumenti in conservativa: strumenti manuali………...……40 Polimerizzazione…………………………………..……….……………..45 Sistemi adesivi………………………………………………..………….…49 Sigillatura……………………………………………………..………………58 Prime classi………………………………………………………………..…61 Seconde classi……………………………………………………………...66 Trattamento conservativo dei settori anteriori (Monari)73 2 La conservativa comprende l’insieme dei procedimenti clinici atti alla conservazione dei denti naturali e al mantenimento della loro funzione, nell’ottica di preservare sia la salute orale sia quella generale del paziente; questo è evidente non solo dal punto di vista dell’organizzazione dello studio ma generale, in quanto sarà la prima branca da affrontare da neolaureati. Gli obiettivi della conservativa sono: Prevenzione e salvaguardia dell’integrità dell’organo dentale (considerando anche i tessuti). Trattamento curativo e risanamento. Restauro dei tessuti perduti (conservativa indiretta, al limite con la protesi). Mantenimento dello stato di salute dentale. Si procede poi con il trattamento della lesione cariosa nella maggioranza dei casi, ma talvolta si tratta anche di traumi: importante saper fare correttamente la diagnosi di carie, il trattamento (parte più manuale e pratica) e il mantenimento/controllo. Come per tutte le altre branche è prevista la suddivisione in fase diagnostica, fase terapeutica e fase di mantenimento e controllo: queste tre fasi sono cruciali in quanto ci permettono di garantire, soprattutto grazie all’ultima parte, come trattare un paziente. Fondamentale è definire il rischio di carie e di lesione, in modo da saper indicare dopo quanto tempo va rivisto il paziente. TERMINOLOGIA • Vestibolare: superficie esterna dei denti che guarda il vestibolo della bocca. • Palatale: superficie esterna dei denti che guarda il palato. • Linguale: superficie esterna dei denti che guarda il pavimento della bocca. • Corona. Può essere divisa in: —Corona anatomica: parte del dente rivestita dallo smalto. —Corona clinica: parte del dente visibile in cavità orale. La corona anatomica è maggiore della corona clinica in eruzione o in caso di dente intruso, mentre la corona clinica è maggiore dell’anatomica in recessione e malattia parodontale. • Radice. Può essere divisa in: —Radice anatomica: parte del dente rivestita di cemento. —Radice clinica: parte del dente all’interno del processo alveolare. Non coincidono praticamente mai perché la radice clinica è quella che vediamo nella lastra, situazione in cui vediamo il processo alveolare e la porzione inserita al suo interno; la definiamo radice clinica in quanto è la porzione di radice che dà effettivamente sostegno al dente (si ricava unendo picchi ossei mesiali e distali). • Biforcazione o triforcazione. Punto in cui le radici del dente si separano. • Cuspide. Rilievo della corona sulla superficie occlusale (se in altre superfici si chiama tubercolo) che presenta due versanti: esterno (vestibolare o linguale/palatino) e intern (occlusale). • Cresta. Rilievo allungato sulla faccia di un dente, distinto in: —Cresta marginale: rilievo lineare al confine tra la faccia occlusale (denti posteriori) o linguale (denti anteriori) e le facce mesiali e distali. Una cuspide è formata da 3 creste, quindi è una piramide con 3 spigoli: quando la cresta marginale sale sulla cuspide si chiama cuspidale, poi arriva all’apice della cuspide e tornando giù si ha di nuovo la cresta cuspidale (questi due spigoli dividono la faccia occlusale dalla faccia vestibolare o linguale). Ogni cuspide ha poi una cresta che dall’apice va verso il centro, prendendo il nome di cresta triangolare. —Cresta triangolare: rilievo che dall’apice della cuspide si dirige verso la parte centrale della faccia occlusale. —Cresta trasversale: insieme di due creste triangolari vestibolari e linguali, che congiunge nei denti posteriori le rispettive creste cuspidali V e L. —Cresta obliqua: rilievo presente nei molari superiori che unisce la cuspide MP alla cuspide DV (es. ponte di smalto). 3 —Cresta cuspidale o MD: creste rivolte in senso mesiale e distale al confine tra la faccia vestibolare e linguale della faccia occlusale propriamente detta. Un molare inferiore ha 5 cuspidi, di cui 3 vestibolari e 2 linguali: la DV è la più piccola, poi MedioV e MesioV e infine le due linguali. Dall’apice della cuspide partono due creste che separano la faccia occlusale propriamente detta (dentro le cuspidi) dalla faccia occlusale totale che è quella che guardo se vedo il dente in proiezione, in cui vedo anche porzioni di faccia vestibolare e linguale. Continuando ho la cresta marginale poi una nuova cresta cuspidale fino all’apice, di nuovo una cresta cuspidale, salgo ancora per cuspidale, cuspidale, cuspidale e poi torna la marginale; ricomincio con cuspidale, cuspidale e cuspidale (ogni cuspide ha due creste cuspidali e le creste si raccordano nelle due marginali mesiali e distali). Introduciamo poi le creste triangolari che sono le creste che dall’apice della cuspide si portano verso il centro, dividendo i due versanti della cuspide: se pensiamo a una singola cuspide e la isoliamo otteniamo una piramide con tre spigoli, ovvero due spigoli cuspidali e uno triangolare. Le creste triangolari nei molari inferiori sono unite molto spesso a formare la cresta trasversale, ovvero un’unione che attraversa trasversalmente il dente, mentre nel molare superiore c’è quello che si chiama “ponte di smalto”, il quale non è trasversale ma è obliquo (il ponte di smalto tipico dei superiori è quindi la cresta obliqua). Considerando che il dente è bombato, la superficie occlusale su cui mangiamo (faccia occlusale totale) è superiore alla superficie occlusale propriamente detta in quanto essa è la proiezione sul piano orizzontale. • Solco. Profonda incisura nelle facce vestibolari, linguali e occlusali dei denti, distinto in: —Solco principale o intercuspidale: divide in maniera geometrica le varie cuspidi. Il solco principale ha un decorso in senso V-L/P o mesio-distale: nel primo caso separa le cuspidi mesiali da quelle distali, mentre nel secondo caso separa le cuspidi vestibolari da quelle linguali o palatali. In presenza di 4 cuspidi i solchi principali rappresentano praticamente una croce, ma bisogna considerare che le 4 cuspidi sono molto diverse tra loro nel molare superiore proprio in relazione alla presenza del ponte di smalto: la MP è molto più grande della D, quindi si ottiene una croce totalmente asimmetrica. —Solco secondario: si origina dal solco principale e divide le creste marginali nel versante occlusale (non divide le cuspidi tra loro). Possono essere più di uno e hanno una profondità variabile che determina la formazione delle fosse. I solchi secondari sono divisi in due gruppi: solchi a U e solchi a V. I primi decorrono sui versanti mesiali e distali delle cuspidi delimitanti la cresta triangolare con direzione dal basso all’alto, mentre i secondi hanno origine dalle fosse triangolari e marcano i versanti delle creste marginali dividendoli in più lobi. I secondi presentano una V molto accentuata a coda di rondine, pertanto sbagliarli vuol dire sbagliare l’andamento della cresta marginale, la quale determina il punto di contatto (se il punto di contatto non va bene entra del cibo tra un dente e l’altro, cosa noiosissima che il paziente lamenterà). Un’altra importante suddivisione è in: —Solchi di lavoro: hanno un decorso trasversale e sono vestibolari nei superiori e linguali negli inferiori. —Solchi di non lavoro o di bilanciamento: hanno un decorso obliquo e sono vestibolari negli inferiori e palatali nei superiori. • Fossa. Depressione rotondeggiante sulla faccia occlusale, distinta in: —Fossa centrale: depressione nella porzione centrale della faccia occlusale situata all’intersezione dei solchi principali. —Fosse marginali o triangolari: depressioni a forma piramidale triangolare in corrispondenza delle creste marginali. 4 —Fossetta: depressione sulla faccia linguale dei denti anteriori o sulla faccia linguale/ vestibolare dei denti superiore. • Superficie occlusale: —Faccia occlusale propriamente detta: è la superficie masticatoria delimitata dalle creste marginali e cuspidali. —Faccia occlusale totale: superficie masticatoria dei premolari o molari visibili in proiezione. — Margine incisale libero o margine dei denti anteriori (incisivi e canini): delimita il confine tra la faccia vestibolare e quella linguale. —Mammellone: rilievo rotondeggiante presente sul margine incisale degli incisivi. —Cingolo o tubercolo linguale: rilievo sulla faccia linguale di incisivi e canini. Non è una cuspide in quanto situato sulla faccia linguale e non sulla faccia occlusale. Il cingolo è un piccolo rilievo di smalto presente nel terzo cervicale della superficie linguale e palatale degli anteriori, mentre il tubercolo è una piccola protuberanza che si estende oltre il normale contorno del perimetro coronale (il più famoso è quello del Carabelli sul superiore). • Colletto. Area appartenente sia alla corona che alla radice e circondante il dente; ha uno spessore massimo di 2 mm e si trova 1 mm sopra e 1 mm sotto la giunzione smalto-cemento. É inoltre separato in due. • Superficie o zona di contatto. Piccolissima area con la quale le facce prossimali di due denti contigui vengono a contatto: più è piccola e maggiore è la pressione perché riduciamo la superficie. • Spazio di svasatura o di deflusso. Area tra due denti contigui determinata dalla convergenza delle facce prossimali nella superficie di contatto (una V con l’apice verso il basso sopra il punto di contatto). • Spazi interprossimali. Aree di forma triangolare delimitate dalle pareti di due denti contigui (lati del triangolo) e dalla superficie di contatto (vertice del triangolo). Si tratta di uno spazio a V con il vertice che è il punto di contatto e la base che sono le strutture parodontali: il dente anteriore prevede una sola papilla triangolare con un solo apice (il punto di contatto è il punto più alto della papilla), mentre il dente posteriore prevede un colle che sta sopra il punto di contatto e una doppia papilla con affossamento (papilla vestibolare e papilla linguale con colle). • Area/punto di contatto. Importante ricordare che il contatto tra i denti non è puntiforme. MORFOLOGIA PERMANENTI DEI DENTI Incisivi • Erompono fra 6-9 anni, prima nella femmina poi nel maschio. • Sono monoradicolati. • Il terzo occlusale è appiattito e presenta un margine tagliente. • Funzioni sono prensione e taglio del cibo, estetica e fonetica (fondamentali per la pronuncia di S, V e F). • Presentano tre mammelloni che spariscono nel tempo. La descrizione di ogni elemento dentario parte dalla faccia occlusale nei posteriori e dal margine libero negli anteriori, ma prima ancora sono fondamentali le dimensioni. 11-21 - Le dimensioni vanno sapute a memoria: lunghezza di 23.5 mm con rapporto corona-radice di 10.5 mm (corona) e 13 mm (radice molto lunga), larghezza di 6.5 mm e spessore di 7 mm. L’incisivo centrale superiore è praticamente un cilindro con un cingolo che non va fatto troppo appiattito, con tre mammelloni evidenti che si completano con incisure sul lato vestibolare. - Ha un margine libero che decorre con un’angolazione di 6°-9° verso l’alto e distalmente: essendo inclinato di 6°-9° l’angolo mesiale e l’angolo distale sono molto diversi tra loro in quanto il mesiale è quasi di 90° mentre il distale è molto più morbido (sbagliare la costruzione dell’angolo vuol dire sbagliare completamente il sorriso del paziente). Servono margini diversi per fare angoli diversi, pertanto il margine mesiale è diritto mentre il margine distale è più arrotondato per finire in un angolo più arrotondato; se cambiano le angolazioni dei margini cambiano le altezze dei punti di contatto, considerando che un margine rettilineo ha un punto di contatto diverso da un margine convesso. - Angoli incisali: mesiale acuto, distale arrotondato. - Margine mesiale liscio, rettilineo e con punto di contatto prossimo al terzo incisale. - Margine distale convesso e con punto di contatto più lontano dal margine incisale, tra il terzo incisale e il terzo medio. 6 In sezione sagittale: - Faccia vestibolare: convessa soprattutto nel terzo cervicale, poi diventa rettilinea. - Faccia linguale: convessa-concava-convessa. Tale faccia è convessa in presenza del cingolo e presenta la fossa linguale (depressione centrale) delimitata da: cingolo che può essere doppio o triplo per la presenza di piccole fossette che determinano la formazione del foro cieco, e creste marginali che sono mesiale (più vicina alla linea mediana, rettilinea e termina direttamente sul margine) e distale (si perde nell’angolo incisale). - Radice: ha una forma conica, inclinata distalmente. - Polpa: segue la forma della radice con larghezza M-D maggiore di quella V-L. - Posizione nell’arcata: sul piano sagittale è inclinato V-L di 28° in senso L, mentre M-D 2° con apice in senso M. 12-22 - Dimensioni: 22 mm (1.5 mm più corto dell’incisivo centrale), con corona di 9 mm e radice di 13 mm, larghezza di 6.5 mm e spessore di 6 mm. - Presenta tre mammelloni meno evidenti del centrale. - Angoli incisali: mesiale acuto e distale arrotondato e molto convesso. - Faccia mesiale leggermente convessa con punto di contatto tra terzo incisale e terzo medio. - Faccia distale molto convessa con punto di contatto al terzo incisale/medio (rispetto al centrale le facce mesiale e distale sono più arrotondate). In sezione sagittale: - Faccia linguale: cingolo ben sviluppato, unico, con creste marginali mesiali e distali molto sviluppate che accentuano la profondità della fossa centrale. - Faccia vestibolare: convessa con due piccoli solchi che individuano i tre lobi. - Posizione nell’arcata: VL 25-26° in senso L, MD 5-7° in senso M. Andando posteriormente i denti sono sempre più “in piedi” perché hanno una funzione meno di guida e più di masticazione. - Variabilità: molto variabile, radice molto sottile, cingolo molto sviluppato, frequente agenesia. 7 - Mammelloni e traslucenze nel terzo incisale indicano un paziente di 8-11 anni. - Il mammellone centrale dell’incisivo laterale è sempre più piccolo. - Si vedono le strie di Retzius: striature dello smalto orizzontali (quasi dei graffi) sempre presenti sullo smalto dei centrali. - Un anziano ha un sorriso molto più orizzontale appiattendo il margine dei superiori, con i centrali lunghi come i laterali: questo perché il centrale rispetto al laterale è slivellato (maggiore nei ragazzi, minore nell’adulto). Incisivo centrale e laterale fanno parte del volto e una lesione del volto è uno sfregio in medicina legale: un trauma agli incisivi centrali o laterali comporta non solo un difetto funzionale ma anche una problematica estetica, che dal punto di vista assicurativo è molto differente. - La tessitura di superficie (come è fatto lo smalto di superficie) è molto difficile da riprodurre con il composito e ci vuole una certa esperienza. - Più i denti sono quadrati e più il sorriso è aggressivo, più i denti sono a forma di cuore e più il sorriso è dolce e morbido; più gli angoli sono differenziati e più il sorriso è dolce, più gli angoli sono uguali e più il sorriso è importante e anziano. - L’incisivo centrale deve avere un'inclinazione di 28°, poi sono molto importanti anche l’inclinazione del canino e la bozza canina; l’inclinazione dell’incisivo sostiene il labbro inferiore e la sua posizione è determinata dall’inclinazione degli incisivi. Il labbro superiore è importantissimo nella determinazione dell’estetica, quindi anche i criteri stessi di estetica sono molto cambiati: una volta i dentisti erano molto più estrattivi con profili molto più piatti (denti più in piedi, alla Claudia Schiffer), mentre oggi i profili sono molto più aggressivi con labbra molto più marcate (alla Belen). 31-41 - Dimensioni: lunghezza di 21 mm (9 mm di corona e 12 mm di radice), larghezza di 5.4 mm e spessore di 6 mm. - Rischio di trauma molto importante in quanto sono i primi denti a erompere in arcata, essendo anche i più piccoli incisivi. - Margine libero orizzontale. - Angoli incisali mesiale e distale di 90°. - Margine mesiale liscio, rettilineo, con punto di contatto prossimo al terzo incisale. Margine distale analogo e simmetrico. - Il dente è quasi simmetrico, inoltre avendo 4 incisivi inferiori è molto difficile capire quale è uno e quale l’altro (in realtà i laterali sono un po’ più grandi ma molto simili). In sezione sagittale: - Faccia vestibolare: alquanto convessa nel terzo cervicale, appiattita verso il margine incisale. - Faccia linguale: concava nei due terzi incisale e medio, convessa nel terzo cervicale per la presenza del cingolo che delimita la fossa linguale. - Radice: forma conica, unica e appiattita in senso MD. Presenta un apice inclinato verso distale e presenta una depressione longitudinale nella faccia distale. - Posizione: VL di 22° in senso L, MD di 2° in senso M. - L’angolo con il superiore determina la guida incisiva, fondamentale per i movimenti di protrusione. CARIE La carie è la patologia più diffusa al mondo: si tratta di una patologia multi-fattoriale a origine batterica che in condizioni favorevoli può svilupparsi portando alla perdita del tessuto duro e successivamente del dente. Ha un costo sociale elevatissimo e la cura della carie è la seconda motivazione di assenza dal lavoro dopo le malattie dell’apparato respiratorio (es. raffreddore). Il DMF-T (Decayed, Missed, Filled, Teeth) ha come punteggio massimo 1 (per ogni singolo dente) ed è indicato in maiuscolo per i denti permanenti e in minuscolo per i decidui: l’indice DMFT/dmft è stato introdotto nel 1938 da Klein e Palmer e per la sua semplicità e riproducibilità è tuttora la misura di scelta, particolarmente utilizzato per la valutazione della dentatura in soggetti giovani dato che i denti cariati od otturati possono essere accuratamente identificati e i denti mancanti sono stati persi quasi esclusivamente per la carie. Come indice “globale” dello stato di salute dentale di una popolazione viene assunto il livello DMFT/dmft ovvero il numero medio per soggetto in una determinata fascia di età, che l’OMS consiglia a 5 anni per i decidui, a 12, 15, 35-44 e 65-74 anni per gli elementi permanenti. Per quanto riguarda la prevenzione della carie l'OMS ha posto per la Regione Europea i seguenti obiettivi per il 2010: • Obiettivo 1: a 5- 6 anni di età il 90% della popolazione dovrà essere esente da carie. • Obiettivo 2: a 12 anni il DMFT non dovrà essere superiore a 1 unità (DMFT <=1). A seconda della definizione del DMFT a 12 anni distinguiamo il rischio di carie in: • Molto basso (minore di 1.2). • Basso (1.2-2.6). • Moderato (2.6-4.4). • Alto (maggiore di 4.4). I paesi con indice maggiore di 4.4 sono paesi ad alto sviluppo di carie: la stragrande maggioranza dei paesi industrializzati ha un valore basso perché la prevenzione funziona, come Stati Uniti ed Europa (valori molto bassi si riscontrano nei paesi scandinavi, mentre valori di rischio moderato in America Latina e in oriente). Tuttavia a 35-44 anni il valore cambia in quanto in una fascia di età adulta cambia la distribuzione: nonostante i paesi industrializzati abbiamo sistemi di prevenzione efficaci fino ai 12 anni, Stati Uniti ed Europa hanno un rapporto invertito, in particolare tra Europa dell’Est e dell’Ovest, diventando alto nei paesi con elevato consumo di zuccheri e restando più basso in altri paesi, indice che l’alimentazione porta a un ribaltamento della situazione. Una combinazione differente di prevenzione e dieta ha portato alla differenza di valori tra DMFT adulto e infantile. • Molto basso (minore di 5). • Basso (5-8.9). • Moderato (8.9-13.9). • Alto (maggiore di 13.9). La carie è una patologia in importante diminuzione, infatti guardando trend e DMFT a 12 anni nei vari paesi, negli ultimi 40 anni si vede come i dati dell’OMS dimostrino che le politiche di prevenzione siano efficaci nel ridurre le problematiche. In uno studio nazionale del 1994-1995 in 10 regioni centro-settentrionali si aveva un DMFT a 12 anni di 2.12 con il 36.5% dei pazienti caries-free. Il declino è paragonabile a quello di altri paesi europei e i livelli più bassi di DMFT si trovano nei paesi del Nord-Europa per una maggiore prevenzione pubblica (OMS 1997). L’articolo di Campus (National Pathfinder survey of 12-year-old Children's Oral Health in Italy), pubblicato in Caries Res nel 2007, è riferito all’Italia con distinzioni tra Nord e Sud: si osserva a 12 anni il 57% di caries-free e un DMFT di 1.02. Da vari lavori si è ricavato che il DMFT italiano a 20-30 anni è tra 4 e 7 (media nazionale). Definizione L’OMS definisce la lesione cariosa come un processo patologico esterno e localizzato che insorge dopo l’eruzione del dente e che comporta un rammollimento dei tessuti duri con conseguente formazione di una cavità: per distruggere un tessuto mineralizzato quale dentina o 9 smalto servono degli acidi che permettono di solubilizzare la componente minerale e delle proteasi come le collagenasi per distruggere il collagene (lisi proteica), pertanto si osserva un continuo bilanciamento tra acidi che rimuovono la componente minerale ed enzimi che rimuovono la parte proteica, portando alla cavitazione. Si tratta di una malattia multifattoriale descritta con il diagramma di Keys nel 1960, il quale afferma che per avere la lesione cariosa servono alcune caratteristiche: • Ospite (terreno ricettivo): quantità e qualità della saliva, qualità della superficie dei denti. • Dieta: assunzione frequente di carboidrati fermentabili. • Microrganismi: micro-flora batterica specifica acidogenica e acidurica che colonizza le superfici dentarie. • Tempo di esposizione agli acidi organici prodotti dai batteri della placca dentaria (avviene in qualche minuto-ora). Si pensa che tra le varie e importanti diversità legate all’ospite, in rilievo sono: • Saliva: potere tampone, qualità e quantità, immunocompetenza. In passato si riteneva fosse più importante il versante dente, mentre oggi è riconosciuta la maggiore importanza del versante saliva in quanto si sono studiati pazienti che hanno subito delle radioterapie testa-collo per lesioni tumorali importanti del cavo orale con conseguente notevole riduzione del flusso salivare poiché le ghiandole salivari vengono fortemente colpite; allo stesso modo alcuni farmaci riducono in maniera significativa il flusso salivare. In generale nell’anziano il flusso salivare può essere ridotto e tutto questo influisce in maniera importante: ogni volta che si modifica il flusso salivare il rischio di carie aumenta, indice di un importantissimo ruolo nella gestione della carie. • Mineralizzazione dei tessuti: tessuti più o meno mineralizzati portano a HA o a fluoroapatite se durante la crescita il bambino ha assunto fluoro con denti ipomineralizzati, ma si può osservare anche una situazione di amelogenesi/dentinogenesi imperfetta (ci sono molte situazioni in cui quantità e qualità della mineralizzazione sono variabili). • Biofilm: la flora batterica del singolo individuo può essere più acidofila (si procede verso la carie) o più basofila/anaerobia (si procede verso tartaro e malattia parodontale), fattore legato al micro-ambiente orale. Si è visto che modificare la flora batterica residente è molto complesso, infatti se si nasce con una flora acidofila è difficile nel tempo modificare l’ecosistema orale: le procedure di igiene possono ridurre la quantità di batteri ma difficilmente agiscono sulla qualità. • Zuccheri: per produrre degli acidi bisogna partire da zuccheri semplici, quindi in loro assenza i batteri possono anche essere presenti ma non produrranno acidi. Featherstone nel 1999 afferma che la carie va considerata come una malattia, pertanto come in tutte le malattie possiamo rappresentare la bilancia che da una parte vede i fattori protettivi (aspetti di immunità classica legati al fluido salivare, ma anche procedure meccaniche di igiene orale, dieta, flusso salivare e tutto ciò che fa da contorno in quanto la malattia cariosa non attacca l’intero organismo ma soltanto una zona, rendendo il micro-ambiente assolutamente unico con peculiarità proprie) e dall’altra i fattori patologici (batteri che producono acidi e proteasi). L’odontoiatra spesso non cura la malattia cariosa ma la lesione provocata dalla malattia cariosa, ovvero l’effetto: curare la malattia vuol dire curare ciò che sta a monte, controllare il paziente nel tempo e istruirlo sull’igiene, mentre curare la lesione è banalmente “chiudere il buco” (l’otturazione o il restauro è il rimedio al problema ma non l’eliminazione della causa). 10 Eziopatogenesi della carie dello smalto Si osserva una classica cascata di eventi: • Presenza di batteri cariogeni a livello della superficie capaci di acidificare il micro-ambiente così da demineralizzare il tessuto dentale. • Presenza di zuccheri nella dieta che fungono da substrato metabolico per i batteri. • La caduta del pH è legata alla fermentazione dei carboidrati che porta alla formazione di acidi organici e alla caduta del pH, poi si ha effetto tampone nella placca e saliva, ulteriore caduta del pH, raggiungimento del livello critico di 5.5 sotto il quale si ha la dissoluzione della superficie mineralizzata • Vari fattori legati all’ospite: qualità e morfologia del dente, affollamento, proprietà della saliva. In generale sembra più importante la qualità della placca batterica più che la quantità: per vedere la placca si usano dei coloranti vitali che colorano tutte le strutture organiche, ad esempio ematossilina-eosina per la microscopia ottica colorando i vetrini oppure i tipici colorati usati dall’igienista in compresse o in liquidi in grado di pigmentare la presenza di placca per far vedere al paziente dove deve pulire bene. La placca acidogena si forma sulla superficie del dente in diverse fasi: 1. Deposizione di una sottile pellicola glicoproteica di origine salivare (durata di alcuni secondi): si tratta di una pellicola acquisita o primaria che avvolge il dente. 2. Colonizzazione della pellicola salivare da parte di alcune specie batteriche (alcuni minuti): tali proteine sono i recettori dei batteri, ovvero l’ancora tramite la quale i batteri si legano alla superficie dentale. Essendo minimo l’intervallo di tempo tutti noi abbiamo tutti i giorni queste prime due situazioni: 8-12 ore è l’intervallo tra uno spazzolamento e l’altro e teoricamente questo non permette sviluppo e confluenza di colonie batteriche. 3. Sviluppo e confluenza delle colonie batteriche (due giorni): vi sono zone che non raggiungiamo con il normale spazzolamento, quindi molto spesso viene a mancare il passaggio in determinate zone quali le zone interdentali in quanto non tutti passano correttamente il filo (dopo 2 giorni si presenta questa fase). 4. Sviluppo e differenziazione di alcune colonie batteriche (si superano le 48 ore). 5. I batteri che per primi colonizzano sono Streptococcus Sanguis e alcuni Actinomyces: esistono infatti alcune specie batteriche potenzialmente in grado di provocare carie e parodontopatie (gli actinomycetes colpiscono in particolare la radice del dente). 6. La composizione della placca muta nel tempo ed è sito-specifica: la placca sul solco/superfici concave è diversa da quella sulle superfici lisce. Se sono presenti zuccheri questi fermentano e acidificano la placca, selezionando così batteri acido-produttori e acido-tolleranti, prima Streptococcus Mutans e successivamente Lactobacilli Casei: quest’associazione è la peggiore per quanto riguarda la carie in quanto sinergicamente determinano la lesione cariosa. 7. E’ stato dimostrato come diete ricche di zuccheri portino alla selezione di S. Mutans a scapito di S. Sanguis e Actinomyces Viscosus: fattore determinante per il cambiamento della placca è l’apporto di zucchero. In base a questo possiamo quindi distinguere la placca saprofita considerata “buona” da quella considerata “cattiva”. Oggi esistono materiali da otturazione con proprietà antibatteriche: in realtà siccome è impossibile avere un cavo orale sterile, oggi non cerchiamo più di ridurre la quantità ma di modulare la qualità dei batteri cercando di avere batteri buoni, stessa cosa che viene fatta a livello intestinale quando cerchiamo di avere una flora batterica intestinale residente buona per avere un equilibrio corretto. Una serie di studi sull’argomento ha portato ad alcune conclusioni: • È stato dimostrato che in pazienti con elevata presenza di carie a cui si è somministrata una dieta povera di carboidrati, il numero di lattobacilli è diminuito (Finn, 1965). • Eliminando grandi cavità con restauri e non modificando la dieta il numero di S.Mutans e Lattobacilli diminuisce: questo prova che sono anche in grado di annidarsi in cavità, quindi una bocca sana è più facile da mantenere sana nel tempo rispetto a una bocca con patologia (affollamento o lesione cariosa pre-esistente in quanto zone di difficile pulizia). • I batteri sono capaci di sintetizzare i polimeri del glucosio (glucani) mediante glicosil-transferasi extracellulare e i polimeri del fruttosio (fruttani) mediante la fruttosil-transferasi. Con una dieta 11 povera di zucchero ma ricca di amidi aumentano gli attinomicetii che portano a un aumento del volume di placca. • Keyes nel 1960 dimostra che la carie è trasmissibile nel ratto, quindi la madre infetta il bambino. Lo smalto è solubile in una soluzione e può acquisire facilmente un protone, pertanto quando lo smalto prende un protone si demineralizza; ai fini dell’incidenza della carie non conta quanti zuccheri prendiamo ma la loro frequenza di assunzione. Uno smalto perfettamente mineralizzato contiene un numero di porosità pari solo al 10% del suo volume; si evince che i denti sono più fragili nel momento della loro eruzione, per questo parleremo di sigillature (primo restauro che faremo). In un paziente con carie bisogna sempre chiedere come è organizzata la dieta: di solito seguono una merenda a base di cioccolata anche una volta all’ora, e sappiamo che la quantità di zuccheri ha effetto sulla bilancia mentre la modalità di assunzione ha effetto sulla carie. Si osservano 2 ore di demineralizzazione e 22 ore di mineralizzazione portando a un equilibrio. Uno dei meccanismi difensivi più famoso è dato dallo xilitolo: i batteri non sono in grado di metabolizzarlo quindi con aggiunta di ioni calcio e fosfato e con la presenza di saliva (tutte le reazioni chimiche necessitano di acqua) il pH sale. Una volta che sale gli ioni riversati nella saliva possono riprecipitare sul dente e quindi remineralizzare il dente. Avremo 6 ore di demineralizzazione e 18 ore di mineralizzazione che portano invece a carie. White Spot. Nelle prime fasi si staccano i prismi dello smalto e la superficie appare ruvida al sondaggio con specillo/sonda cariologica: abbiamo una prima lesione bianca, primissimo accenno di lesione cariosa. Si tratta di una zona che si deterge meno, tipica lesione del colletto con sensazione di uno smalto che diventa poroso e gessoso; questa è ritenuta da molti reversibile, mentre nel momento in cui si ha la perdita di sostanza con cavitazione la lesione diventa irreversibile e il processo non può più rientrare. La linea di demarcazione tra intervento e non intervento è proprio a livello della white spot: • Adesione. • Colonizzazione. • Demineralizzazione. • Remineralizzazione. • White spot. • Lesione dello smalto. • Lesione della dentina. • Lesione della polpa. Dalla white spot in poi si passa alla necessità di interventi di conservativa e protesi, quindi la white spot è il primo momento di lesione cariosa iniziale della superficie (entriamo nel campo della terapia interventistica); potremmo avere una terapia anche nella remineralizzazione, ma oggi non siamo in grado di avere materiali che remineralizzano le lesioni cavitate (possiamo farlo solo sulle lesioni non cavitate). Anatomia Patologica. La classificazione anatomo-patologica della carie dello smalto si viene a evidenziare secondo varie modalità: • A livello delle superfici lisce si presenta come una chiazza chiara biancastra-opaca che nel tempo può cavitarsi o pigmentarsi. • A livello dei solchi e delle fossette lo smalto presenta un aspetto colorato bruno (aree scure) spesso difficilmente valutabile clinicamente, con eventuale coinvolgimento della dentina sottostante; può evolvere in cavitazione, mentre in altre sedi si ha un andamento cronico. Mentre in una superficie è facile da diagnosticare, in un solco è complesso perché o si tratta di anatomia o di carie, senza capire bene se si estende o meno alla dentina. In entrambe le situazioni e nel caso di lesioni iniziali la superficie esterna risulta apparentemente intatta rendendo difficile per l’operatore una precisa valutazione del reale approfondimento nei tessuti profondi: molto dipende dall’esperienza dell’operatore ma anche dal paziente, ovvero prendendo in considerazione la stessa lesione di un soggetto magari a basso rischio di carie e di uno ad alto rischio di carie, in un caso viene trattata e in un caso viene controllata (bisogna capire verso dove sono indirizzati i pazienti, se demineralizzazione o se remineralizzazione, basandosi 12 sul DMFT e non solo). In conclusione una cosa è la diagnosi e una cosa è la scelta terapeutica: prima si fa diagnosi (nel solco in particolare è difficile), poi si applica la scelta terapeutica. Possiamo distinguere tre tipologie di lesioni cariose: • Carie del solco, tipica del bambino e dell’adolescente. • Carie interprossimale, tipica dell’adulto. • Carie della radice, tipica dell’anziano. La lesione del solco è proprio quella che vogliamo evitare anche grazie alla sigillature, ed essendo tipica del giovane non ha senso sigillare i denti all’anziano. Si tratta della tipica lesione del giovane per una serie di fattori: - Mancanza di abilità a spazzolarsi. - Morfologia dei solchi: man mano che mangiamo si consumano creste e cuspidi, quindi la morfologia dentale di un elemento appena erotto è completamente diversa da un paziente di 60-70 anni. Il trattamento ortodontico determina una scarsa igiene e favorisce qualunque tipo di lesione cariosa. - Mancanza dell’antagonista o meglio occlusione non stabile sull’antagonista (se non abbiamo l’antagonista o comunque se non striscia in maniera corretta sul dente): il movimento di chiudere i denti automaticamente pulisce le superfici dentali, quindi è impossibile avere carie in superfici di sfregamento. Più i denti sono consumati e più sono puliti nelle superfici occlusali, meno i denti toccano e meno il dente è pulito perché la superficie occlusale diventa come le altre superfici prive di detersione meccanica. Queste tre sono le cause per cui fino a circa 20 anni si ha il rischio aumentato di carie nel solco, mentre dai 20 anni in poi l’occlusione è abbastanza stabilizzata e i punti di sfregamento occlusali fanno sì che la morfologia si ammorbidisca, facendo diventano più a rischio le superfici interprossimali in quanto le più difficili da pulire (serve il filo interdentale). Nell’adulto/anziano abbiamo poi una serie di problemi favorenti come recessione, malattia parodontale, calo della saliva ed esposizione di radici: la radice esposta nell’anziano non prevede cemento in quanto il cemento si porta via con curette e spazzolino in poco tempo, a maggior ragione se parodontopatico, pertanto si ha dentina (la dentina esposta è più suscettibile alla lesione cariosa dello smalto perché è meno mineralizzata). Lo studio di una lesione cariosa dipende dal tipo di paziente e dall’andamento, pertanto va controllata nel tempo prima di agire: • Carie sottominante o carie a mina. Nei solchi e nelle fossette la penetrazione in profondità è più rapida e può raggiungere la dentina quando ancora non si è sviluppata una vera e propria cavità dello smalto: il solco ha spesso un’immagine a goccia, quindi sembra molto stretto ma in realtà sotto si apre in maniera importante e aprendosi abbiamo una cisterna al di sotto della strettoia del solco che fa sì che si raggiunga facilmente e velocemente la dentina. Nel solco riscontriamo un micro-ambiente favorente e una minor presenza di smalto, pertanto la strada da fare è minore. Il processo carioso può estendersi in profondità e lateralmente rapidamente e distruggere vaste zone di dentina privando lo smalto circostante del suo naturale sostegno; la cavità che si forma in questo caso si presenta come un cono con vertice verso la superficie esterna e base verso la dentina (giunzione smalto-dentina). • Carie a cono. Se la lesione cariosa si è instaurata su una superficie liscia di smalto, tipicamente a livello interprossimale o dei colletti, la cavità si approfondisce fino a raggiungere il confine amelo-dentinale per proseguire poi rapidamente nella dentina sottostante: apice verso la giunzione smalto-dentina e base verso la superficie dello smalto. Quando la lesione cariosa arriva alla giunzione smalto-dentina si allarga in maniera molto significativa perché la giunzione smalto-dentina è molto poco resistente all’espansione della carie: se siamo nella carie a mina (forma più che altro rotondeggiante) che si espande lungo la giunzione, la carie ha un andamento molto più espanso in dentina con una “piramide” la cui base è verso la giunzione e il vertice verso la cavità pulpare, mentre nel caso della superficie si ha un doppio cono con entrambe le basi verso l’esterno ed entrambi gli apici verso la polpa. La forma è dovuta principalmente all’andamento dei prismi dello smalto e all’effetto di contenimento che il solco fa sui batteri (la carie decorre longitudinalmente ai prismi dello smalto). Quando abbiamo una lesione tipica avremo una forma rotondeggiante, quindi l’accesso di questa cavità è generalmente molto più piccolo dell’estensione in termini di dentina (entreremo con la 13 fresa cilindrica e poi rosetta per pulirla): avendo un accesso piccolo e un’estensione ampia dobbiamo usare una fresa rotonda perché con la cilindrica per coprire un’ampia estensione dovremmo aprire anche l’imbocco. Istologia. All’esame istologico la carie dello smalto è caratterizzata da una graduale decalcificazione dei prismi dello smalto, i quali perdono progressivamente i loro caratteri morfologici, si disgregano e vanno incontro al disfacimento completo; con l’inizio della decalcificazione dello smalto avviene la penetrazione in esso dei batteri, i quali si annidano dapprima fra i singoli prismi penetrando successivamente all’interno dei prismi stessi in via di disfacimento. Man mano che la cavitazione va avanti i batteri possono penetrare nella cavità e man mano diventare sempre più irraggiungibili dalle manovre di igiene e sempre di più costituiscono un ecosistema proprio. La prima manifestazione di un processo carioso colpisce una superficie liscia ed è rappresentata da un mutamento di colore e di trasparenza: in questi casi è possibile osservare una piccola macchia bianco-gessosa (white spot) che tende a divenire bruna per il depositarsi di depositi di pigmenti. Questa lesione iniziale contrasta con la levigatura e la brillantezza del tessuto circostante. Successivamente la superficie dello smalto si presenta come erosa e con la fine punta di uno specillo è possibile avvertire la scabrosità della lesione. La lesione iniziale dello smalto presenta tre zone: • Zona traslucente: zona più interna che si trova nel fronte di avanzamento della lesione. Non è riconoscibile clinicamente o radiologicamente e ha una porosità dell’1%, maggiore dello 0.1% dello smalto. • Zona scura: è più superficiale e si estende fino alla superficie dello smalto in ogni lato. Viene detta zona positiva in quanto è sempre presente; ha una porosità aumentata, pari al 2-4%. • Corpo della lesione: è notevolmente demineralizzato e si trova tra la zona scura e la superficie apparentemente integra dello smalto (generalmente noi vediamo il corpo della lesione). Carie della dentina 14 Forma acuta: Quando la carie si estende in dentina a livello macroscopico normalmente viene divisa in: • progressiva, a rapida evoluzione, tipiche lesioni dei giovani con aspetto bianco giallastro o brunastro e consistenza molle (prendendo un escavatore dentale, un cucchiaio per rimuovere la carie e arrivare in profondità, togliamo una poltiglia di dente). • Forma cronica o carie arrestata: frequente nell’adulto con andamento evolutivo dentale, colore brunonerastro e consistenza più dura-secca. Alcuni autori suddividono in tre fasi distinte il processo di progressione della carie (classificazione anatomopatologica macroscopica): • Fase 1: demineralizzazione. • Fase 2: cambiamento di colore. • Fase 3: invasione batterica A livello microscopico nella dentina si ha sempre lo stesso comportamento con una forma conica con l’apice rivolto verso la camera pulpare; possiamo seguire la classificazione di Carlier. Lo schema di Carlier del 1954 descrive schematicamente 5 zone caratteristiche distinguendole in direzione corono-apicale: - Una porzione detta zona disorganizzata (A). - Una porzione sottostante costituita da dentina detta zona rammollita (B). - A un livello più basso si apprezza la zona d’invasione batterica (C). - Ancora più in profondità zona trasparente (D) con iniziale obliterazione dei tubuli dentinali. - Segue la zona dura (E), indice di reazione pulpare. Quando andiamo a escavare dovremmo teoricamente arrivare alla zona dura, in realtà non è proprio cosi perché le linee guida stanno cambiando (si vedrà in seguito). Data la sua particolare struttura canalizzata e la sua minore calcificazione la dentina va rapidamente incontro alla distruzione cariosa, per quanto i tessuti dentinali siano in grado di reagire con talune modifiche strutturali che possono venire interpretate come un fenomeno reattivo di fronte al processo carioso. La cavità tende ad avere una forma rotondeggiante e mostra un colore scuro formato da detriti alimentari e residui di sostanza dentinale in disfacimento; le pareti della cavità sono tappezzate da dentina rammollita. L’esame microscopico di una sezione longitudinale di dente cariato consente di osservare dall’esterno verso l’interno vari strati. La velocità dello smalto è 4 volte inferiore a quella della dentina, perché i tubuli sono praticamente delle autostrade per i batteri. 15 La dentina superficiale presenta soprattutto dentina intertubulare con molto collagene e molta mineralizzazione (spugna poco porosa); la dentina profonda presenta invece tanta dentina peritubulare e poca dentina intertubulare con molta acqua, pertanto vista la diversa permeabilità dentinale l’avanzamento della malattia cariosa nella dentina periferica è diverso da quello nella dentina profonda. Il numero dei tubuli è sempre lo stesso ma cambia la densità passando da meno di 20.000 per mm2 a circa 45.000 per mm2: allargandosi la densità varia, ma è sempre lo stesso tubulo che arriva dalla polpa. A differenza dello smalto la dentina non è un tessuto omogeneo: • 20% di matrice organica. • 12% di acqua. • 70% di matrice inorganica (HA). Il tubulo è il residuo della struttura glicoproteica del processo di Tomes che si è portato centripicamente verso l’interno. I tubuli sono disposti in maniera radiale dalla polpa e hanno un diametro di 0.8-2.5 micron: considerando che un globulo rosso ha un diametro di circa 7 micron, tale cellula non potrà entrare nel tubulo. Il numero di tubuli varia dai 20.000 della dentina superficiale ai 45.000 della dentina profonda (sempre per mm2) dividendo una dentina peritubulare da una dentina intertubulare. La densità raddoppia e quindi cambia completamente la struttura della dentina, infatti in periferia sono radi e piccoli, in profondità fitti e grandi: • Dentina superficiale: 96% intertubulare, 3% peritubulare, 1% acqua. • Dentina profonda: 12% intertubulare, 66% peritubulare, 22% acqua. La pressione pulpare è di 25-30 mmHg o 34-40 mmH2O. Le varie aree di classificazione sono distribuite a strati, dall’esterno all’interno: • Zona di distruzione: formata da una massa di dentina completamente destrutturata con detriti alimentari, residui di smalto e cellule epiteliali di sfaldamento del cavo orale. • Zona di rammollimento: formata da dentina molto alterata, parzialmente demineralizzata inondata da una ricchissima flora batterica. I tubuli dentinali appaiono invasi da germi, presentano dilatazioni e piccole cavità piene di masse necrotiche, che tendono a confluire tra loro formando caverne di maggiori dimensioni. • Zona di intorbidamento: a questo livello compaiono i primi fenomeni di totale calcificazione e i canalicoli dentinali sono in parte invasi da microrganismi (questa è la prima fase della carie nella sua progressione). • Zona di trasparenza: può essere considerata come una zona di reazione, si osserva la precipitazione di sali calcarei sotto forma di cristalli nei tubuli dentinali che tendono così a obliterarsi. Al di sotto di quest’ultima zona si possono talora osservare alterazioni delle fibre di Tomes, sotto forma di degenerazione grassa, mentre la polpa reagisce con formazione più o meno abbondante di dentina terziaria. La carie progredisce maggiormente nel soggetto giovane perché c’è più camera pulpare e meno dentina, ma è anche maggiore perché c’è più materia organica in quanto i tubuli sono più ampi: la dentina secondaria è quella che si forma durante la vita del paziente, infatti dopo i 22 anni la camera pulpare è già ridotta e tende ancora a ridursi con apposizione di dentina centripetamente che riduce la camera palpare. Man mano che si riduce il tubulo diventa più piccolo perché l’odontoblasta si allontana e riducendosi il lume dei tubuli la “spugna” diventa a maglie più strette. Nell’ultima zona gli odontoblasti sentono l’arrivo della lesione cariosa o dell’otturazione e reagiscono producendo la dentina terziaria, quella in risposta a stimoli irritativi quali lesione cariosa o lesone da spazzolamento: la dentina secondaria si produce per l’età in tutta la polpa, mentre la dentina terziaria si può produrre in una zona specifica della polpa. Nello sviluppo sottominante le pareti smaltee dell’orifizio, private del naturale sostegno, crollano. Classificazione anatomo-patologica: Si osservano lesioni bianche, lesioni brunastre e lesioni nere, con avanzamenti diversi fino alla lesione conclamata. Tecniche di spazzolamento aggressive creano non solo recessioni ma anche lesioni in cui si portano via smalto e dentina (si studierà in seguito). Classificazioni della carie 16 • Topografica: le più conosciute sono quella di Black e quella di Mount e Hune (1998). • Sintomatologica: iniziale (asintomatica), conclamata (sintomatica). Se sintomatica spesso è necessario procedere con l’endodonzia. • Clinica: la classificazione di Baume e Holtz prevede carie iniziale (reversibile), superficiale (supera la giunzione smalto-dentinale), profonda (dentina), penetrante (reazione dell’organo pulpare), perforante (esposizione pulpare). • Radiografica: la classificazione di Martahler e Lutz prevede D0 (assenza di radiotrasparenza), D1 (metà esterna dello smalto), D2 (metà interna dello smalto), D3 (metà esterna della dentina), D4 (metà interna della dentina). Si tratta di una classificazione pre-clinica che viene usata nel momento della diagnosi. Topografica G.V. Black (1836-1915) fu un odontoiatra di Chicago che introdusse questa classificazione in generale per le lesioni, siano esse di natura cariosa o traumatica. • Classe 1. Depressioni anatomiche, solchi e fossette dei denti posteriori; solchi e forami dei denti anteriori. Si apprezza anche in un cingolo (fuori-cerchi) di incisivo e canino: sono le lesioni tipiche dei solchi che si evitano con sigillature, tipicamente nel bambino e nell’adolescente. • Classe 2. Cavità prossimali (mesiali o distali) di molari e premolari; è la lesione tipica dell’adulto che presenta lesioni tra un dente e l’altro legate principalmente all’uso del filo. • Classe 3. Cavità prossimali di incisivi e canini senza coinvolgimento dell’angolo incisivo: sono le “seconde classi degli anteriori”. • Classe 4. Cavità prossimali di incisivi e canini con interessamento di un angolo incisivo. Normalmente la classe 3 ha un’eziologia cariosa, mentre la classe 4 ha un’eziologia traumatica: si riscontra tipicamente nel giocatore di basket che ha subito una gomitata o nel bambino che cade con gli incisivi appena erotti. La lesione cariosa è generalmente prima di classe 3 e poi in un secondo momento di classe 4, ma per avere una classe 4 la condizione di igiene deve essere sostanzialmente pessima. • Classe 5. Cavità interessanti il terzo gengivale vestibolare o linguale di tutti i denti: è la classica carie del colletto, una lesione tipicamente estesa anche in radice superando la giunzione smalto-cemento (non è sempre di origine cariosa in quanto le quinte classi non cariose sono sempre più frequenti). • Classe 6. Questa classe è stata aggiunta più tardi non da Black e riguarda le cavità sulla sommità delle cuspidi dei posteriori e/o sui margini dei settori anteriori. Si trova nell’apice delle cuspidi in quanto zona di traumatismo occlusale: durante l’abrasione il paziente bruxista abraderà non solo lo smalto ma a un certo punto anche la dentina, considerando che smalto e dentina avranno due tessuti diversi e pertanto il processo andrà avanti a ritmi diversi con lo smalto che resisterà di più. Quando si ha solo smalto in porzione apicale cuspidale l’abrasione è orizzontale, ma quando si espone la dentina si formano dei piccoli crateri in quanto la dentina si abrade sempre più rapidamente, e man mano che si perde dente, ovvero man mano che la porzione di smalto diminuisce, la cavità in dentina aumenta (sesta classe): le porzioni di smalto vestibolare e palatale dell’incisivo si separano con dentina esposta, e questa porzione incisale si viene a incavare. Mount e Hune introdussero una classificazione in parte clinica nel 1998, secondo la quale le lesioni vengono classificate e distinte in base alla localizzazione/posizione e alla dimensione (tuttavia è la classificazione meno utilizzata). • Posizione 1: solchi occlusali degli elementi posteriori e superfici lisce degli elementi anteriori (prime e quarte classi di Black). • Posizione 2: superfici interprossimali e punti di contatto (terze e seconde classi di Black). • Posizione 3: terzo cervicale e radici esposte (quinte classi di Black). • Size 1: piccole dimensioni, minimo coinvolgimento della dentina. • Size 2: medie dimensioni, coinvolgimento moderato della dentina. • Size 3: grandi dimensioni, interessamento importante della dentina. • Size 4: lesioni molto estese, perdita massiva di struttura dentaria. Per fare un esempio una lesione sarà indicata come 1.2, ovvero posizione 1 e size 2. Sintomatologica • Carie iniziale dello smalto: —Asintomatica. —Con aree scure pigmentate nei solchi. —Con zone biancastre lattescenti sulle superfici lisce, soprattutto interprossimali. Se il paziente è sveglio si accorge già della carie in questa fase, un vantaggio in quanto se la carie si ferma a questo livello non serve l’anestesia, se invece si estende fino in dentina servirà necessariamente l’anestesia. • Carie conclamata della dentina: Sintomatologia più evidente che orienta nella diagnosi per le caratteristiche del dolore dentinale: — Provocato da stimoli esogeni. —Dolore localizzato: il paziente riesce a riferire con precisione la zona in cui ha fastidio. —Dolore immediato: cessa immediatamente dopo stimolazione. —Dolore che non varia con il tipo di stimolazione. —Dolore che non è classificabile secondo una scala di intensità. —In riposta a stimolazione meccanica (masticazione o spazzolamento), stimolazione chimica (classicamente cibi dolci o acidi, con presenza di dolore più intenso dopo l’applicazione dello stimolo) e stimolazione termica. Si tratta pertanto di una risposta a uno shock osmotico: questo ci fa capire che si è superata la giunzione smalto-dentinale e pertanto servirà l’anestesia. Se il paziente sente male allo stimolo soltanto durante lo stimolo e appena questo finisce termina il dolore allora siamo in fase iniziale, se invece il dolore continua dopo la stimolazione come un eco allora siamo già in pulpite irreversibile (si prova con spray di aria e batuffolo con ghiaccio). Clinica Baume e Holtz hanno introdotto una classificazione dell’università di medicina dentale di Ginevra basata sul grado di penetrazione della carie: essa è di grande aiuto nella quotidianità ed è abbastanza utilizzata anche per scegliere il piano di trattamento (ex divisione tra otturazione semplice od otturazione complessa), infatti indica l’aspetto economico e il tempo richiesto per il restauro, pertanto se troppo ampia riesce a indicarci la necessità di un restauro magari indiretto. • Carie iniziale: senza cavità, interessa solo lo smalto, con aspetto di macchia biancastra ruvida e gessosa, è l’unica reversibile con fluorizzazione. Normalmente si procede con restauri diretti. • Carie superficiale: supera la giunzione smalto-dentinale e inizia a invadere la dentina pertanto si può già iniziare a utilizzare l’anestesia. Si prevedono restauri diretti. • Carie profonda: si estende in profondità interessando il corpo dentinale. Possono essere proposti restauri diretti o indiretti. • Carie penetrante: determina una reazione da parte dell’organo pulpo-dentinale con una reazione di dentina terziaria e retrazione della polpa. Generalmente si prevedono restauri indiretti. • Carie perforante: comporta l’esposizione pulpare. Generalmente si prevedono restauri indiretti e molto spesso sia la carie perforante che la carie penetrante possono necessitare di un trattamento endodontico (più evidente nella carie perforante). Radiografica Martahler e Lutz hanno introdotto una classificazione che va conosciuta in quanto è la più importante dopo la classificazione di Black: la bite-wing è lo strumento di diagnosi fondamentale 18 sopratutto per le lesioni interprossimali, pertanto valutando l‘estensione della lesione la prima cosa da fare è una radiografia. • D0: assenza di radiotrasparenza. • D1: radiotrasparenza nella metà esterna dello smalto (detta anche E1-enamel). • D2: radiotrasparenza nella metà interna dello smalto (detta anche E2-enamel). • D3: radiotrasparenza nella metà esterna della dentina (detta anche D1-dentin). • D5: radiotrasparenza nella metà interna della dentina, ovvero per più del 50% della profondità della dentina (detta anche D2-dentin). Da un punto di vista clinico l’immagine RX sottostima la reale estensione del processo carioso in atto e secondo alcuni autori le valutazioni D0 e D4 sarebbero le più affidabili, mentre le valutazioni D1-D2-D3 presenterebbero una minor coincidenza, attorno al 5-10%, tra profondità radiologica e profondità clinica. Vedere una lesione indica già che non si tratta di una D0, mentre una D1 è una lesione molto superficiale a livello interprossimale in quanto lo spessore dello smalto è di 0.1-0.2, pertanto rapidamente si raggiunge una D3-D4. Anusavice e Benn hanno introdotto nel 2005 una classificazione in considerazione dei concetti di miniinvasività e della possibilità di re-mineralizzazione delle lesioni non cavitate; sulla falsa riga della precedente ha individuato 2 stadi per lo smalto, 3 per la dentina e 1 per il coinvolgimento pulpare: • E1: lesione cariosa che interessa solo la prima metà dello spessore dello smalto. • E2: lesione cariosa che interessa solo lo smalto per più della metà del suo spessore. • D1: lesione cariosa che interessa la dentina per 1/3 del suo spessore. • D2: lesione cariosa che interessa la dentina per 2/3 del suo spessore. • D3: lesione cariosa che interessa tutta la dentina. • P: lesione cariosa che interessa l’organo pulpare. 19 Diagnosi di carie La diagnosi è un processo volto a caratterizzare compiutamente la natura e/o gli esiti di una determinata condizione morbosa onde consentire un’adeguata stratificazione prognostica e un appropriato approccio terapeutico: si basa su anamnesi, colloquio ed esame clinico. Dobbiamo verificare la presenza e l’estensione della lesione, piuttosto difficile nell’ambito della lesione cariosa, ad esempio in caso di white spot. - Sensibilità: capacità di individuare la malattia. È la probabilità di un test diagnostico di indicare un risultato positivo (anomalo) nei soggetti colpiti dalla malattia (veri positivi); un esame molto sensibile esiterà in un basso numero di falsi negativi (alta probabilità all’esame che sia affetto dalla patologia). - Specificità: capacità di individuazione della salute. È la capacità di un test di dare un risultato normale (negativo) nei soggetti sani; un esame molto specifico esiterà in un basso numero di falsi positivi (alta probabilità che un soggetto negativo all’esame non sia affetto dalla patologia). Ovviamente bisogna sempre bilanciare per non diagnosticare dove non è necessario. La diagnosi di carie si può suddividere in tre settori, i quali vanno tutti valutati in quanto in presenza di un solo settore positivo potremmo non dover intervenire: 1 - Diagnosi di presenza La diagnosi di presenza si basa sull’esame obiettivo e sull’esame strumentale: Esame obiettivo. Prevede l’osservazione diretta delle superfici accessibili previa corretta pulizia, asciugatura e illuminazione delle stesse, ricordando che oggi è obbligatorio un buon sistema ingrandente: nell’esame obiettivo le superfici devono essere ben deterse e asciutte, ben illuminate e meglio ancora se osservate con un ingrandimento. Nell’esempio si osserva un 6 inferiore ancora in eruzione con la gengiva distale che indica la non completa eruzione, con visibili white spot (tipiche lesioni dell’adolescente); il dente non è in occlusione perché il superiore arriva dopo 1-2 anni, pertanto non è ancora presente la detersione meccanica occlusale e

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