Biologia dello Sviluppo - PDF
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Lezione di biologia dello sviluppo, che approfondisce i concetti di embiogenesi, organogenesi e vita post-natale, analizzando anche l'importanza di modelli animali come mammiferi e anfibi.
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BIOLOGIA DELLO SVILUPPO – LEZIONE 05.10.2021 La biologia dello sviluppo è quella branca della scienza biologica che studia quelli che noi definiamo EMBIOGENESI e ORGANOGENESI (ma questa è solo una parte). In realtà la biologia dello sviluppo, soprattutto adesso, sta ponendo l’attenzione su quello c...
BIOLOGIA DELLO SVILUPPO – LEZIONE 05.10.2021 La biologia dello sviluppo è quella branca della scienza biologica che studia quelli che noi definiamo EMBIOGENESI e ORGANOGENESI (ma questa è solo una parte). In realtà la biologia dello sviluppo, soprattutto adesso, sta ponendo l’attenzione su quello che l’organismo vive nella fase post-natale, dove di fatto l’organismo non è mai in una condizione statica del raggiungimento del suo assetto definitivo, poiché anche durante la fase post-natale l’organismo deve continuamente ricercare la sua omeostasi (ad esempio in alcuni distretti la componente cellulare viene continuamente rinnovata poiché l’organismo può subire dei danni e quindi ci sono i processi di riparazione che riportano l’organismo all’omeostasi, inoltre l’organismo con il passare del tempo va incontro al processo di AGING (invecchiamento) che ne altera il metabolismo e la funzione). Tutti questi elementi appartengono alla biologia dello sviluppo della nuova era, ossia quella che è venuta alla luce nel momento in cui si è visto che i meccanismi definiti dalla biologia dello sviluppo potevano diventare uno strumento alternativo di tipo terapeutico e quindi la biologia dello sviluppo ha fornito di fatto le basi conoscitive per sviluppare una nuova branca molto importante riguardante la medicina rigenerativa e del tissue engineering. Quindi la biologia dello sviluppo va ben oltre la fase di sviluppo dell’organismo che si evidenzia durante la vita endofetale. Nella vita adulta dobbiamo tener conto che le modificazioni a cui va incontro l’organismo cambiano a seconda dei modelli. Abbiamo il MODELLO MAMMIFERO che è quello che si avvicina di più all’uomo e il MODELLO ANFIBIO che è quello più studiato (per lo studio della fecondazione il riccio di mare, per quanto riguarda l’organogenesi il modello di riferimento è lo zebrafish). Questi sono modelli molto lontani dal mammifero e quindi quando parliamo della vita post-natale in molti di questi modelli abbiamo anche modificazioni sostanziali a cui l’organismo adulto va incontro. Ad esempio, nel modello anfibio alla schiusa l’organismo esce sotto forma di un animale acquatico (girino), poi abbiamo una fase importante di metamorfosi in cui cambia l’assetto fisiologico di molti apparati di questo organismo che nella vita adulta diventa un organismo terrestre, per poi poter sviluppare anche una vita acquatica. Quindi in questi modelli inferiori che hanno rappresentato per molti anni i modelli di riferimento della biologia dello sviluppo nella vita post-natale non c’è solo lo studio del meccanismo di mantenimento dell’omeostasi ma c’è anche lo studio dei meccanismi alla base di questa metamorfosi, che sono dei veri e propri processi di organogenesi nella vita post-natale che però non appartengono ai mammiferi. Per quanto riguarda il MODELLO MAMMIFERO (il modello più studiato è il topo, anche se l’obiettivo è trarre dai modelli animali delle informazioni per avere delle basi molecolari fisiche e cellulari per scoprire le fasi vitali dell’organismo umano). Indipendentemente dal fatto che possiamo operare su modelli animali molto lontani nella scala evolutiva, da un punto di vista di biologia dello sviluppo si è fatto uno sforzo per uniformare un CICLO VITALE che possa essere riferibile, ovviamente con le dovute differenze, a tutti i modelli animali indipendentemente dalla loro appartenenza a classe e famiglia di riferimento. Il ciclo vitale in questo schema è quello di riferimento per tutti i modelli animali e ha al proprio interno delle sottofasi, ognuna delle quali sono oggetto di studio. 1 La PRIMA FASE è rappresentata da quello che è l’evento che da avvio al programma del nuovo individuo, ossia la FECONDAZIONE. Noi faremo riferimento esclusivamente a modelli animali che usano una riproduzione sessuata come approccio per generare un nuovo organismo e questo prevede che questi organismi siano in grado di differenziare e far maturare due cellule specializzate, ovvero il gamete femminile e il gamete maschile (oocita e spermatozoo), dalla cui fusione deriverà il genoma del nuovo individuo. I meccanismi di fecondazione sono estremamente importanti perché sono stati la base per dare l’avvio alle tecnologie di fecondazione assistita che attualmente sono in grado una risposta terapeutica a molte coppie affette da infertilità o da coppie che sono portatori di patologie genetiche di tipo recessivo che possono essere studiate in via preventiva durante lo sviluppo embrionale prima dell’insorgenza della gravidanza. Dopo la fecondazione, quindi dopo la fusione dei due gameti, inizia il programma di sviluppo embrionale attraverso la fase di SEGMENTAZIONE. Questa fase è caratterizzata dalla divisione mitotica della cellula uova fecondata (ZIGOTE); questa divisione mitotica è una proliferazione molto rapida, tanto rapida che durante la fase di segmentazione il ciclo cellulare viene modificato per garantire che queste divisioni possano susseguirsi con una certa velocità. Le divisioni mitotiche non vengono seguite da una fase di accrescimento e questo comporta che la cellula uovo zigote si divida in termini dimensionali all’interno di una struttura che ne impedisce l ‘aumento dimensionale. La fase di segmentazione è finalizzata ad aumentare il numero di cellule senza modificare l’assetto morfologico/dimensionale dello zigote, si conclude allo stadio di BLASTICISTI. Questo è uno stadio in cui abbiamo all’interno dell’embrione un primo grado di specializzazione: una parte delle cellule andrà a formare l’EMBRIOBLASTO, che sarà quella parte di blastomeri da cui origineranno tutti tessuti e organi del nuovo organismo; un’altra parte di cellule invece andranno a delimitare una cavità, la CAVITà DEL BLASTOCELE, che è la cavità entro cui i vari foglietti embrionali andranno a muoversi per collocarsi esattamente nella posizione idonea per sviluppare gli assi di riferimento dell’organismo, ossia asse antero- posteriore e asse latero-laterale. Dopo la blastocisti inizia una nuova fase, che è la fase di GASTRULAZIONE. Questa fase è finalizzata al differenziamento dei tre foglietti embrionali da cui deriveranno gli oltre 200 tessuti di cui ogni organismo è costituito. Durante la gastrulazione le cellule dell’embrioblasto devono andare incontro ad una specificazione differenziale che le impegnerà in tre direzioni diverse. I foglietti sono: il foglietto ectodermico, il foglietto mesodermico e il foglietto endodermico. Non solo le cellule si devono specializzare ma dovranno muoversi all’interno dell’embrione per trovare la collocazione utile al fine di generare organi e tessuti. La gastrulazione si conclude con l’avvio dell’ORGANOGENSI che si avvia con il differenziamento del primo tessuto dell’organismo, ossia il tessuto del sistema nervoso centrale. Quindi l’organogenesi si avvia con il differenziamento del sistema nervoso centrale attraverso il processo di neurulazione, ossia un processo che porta all’organizzazione sia di tipo spaziale che di tipo strutturale del sistema nervoso centrale e che si avvia nella regione apicale dell’organismo per poi coinvolgere l’intera struttura organica. L’organogenesi poi coinvolgerà, dopo la neurulazione, tutti gli altri tessuti e organi fino a portare l’organismo ad avere una sua autonomia funzionale e quindi l’organismo può a questo punto nascere. La nascita cambierà in modo sostanziale a seconda dell’organismo che abbiamo, avremo: la schiusa dell’uovo negli animali ovipari e il parto nei mammiferi. Nella vita post-natale noi consideriamo uno STADIO DI TIPO LARVALE, che appartiene come nomenclatura ai modelli inferiori. Lo stadio larvale nei mammiferi è quello stadio di vita che dura dalla nascita alla pubertà, ossia quando l’organismo del mammifero non si modifica in senso funzionale ma si accresce da un punto di vista dimensionale. Solo al termine dell’accrescimento corporeo l’organismo può raggiungere la MATURITA’, che viene definita dall’avvio della funzione riproduttiva. [ricordiamo che la funzione riproduttiva per l’organismo è una funzione secondaria anche se molto rilevante in quanto garantisce la sopravvivenza alla specie]. In alcuni modelli (anfibi) il passaggio dallo stadio 2 larvale allo stadio di maturità prevede uno stadio di metamorfosi, in cui l’organismo può modificare l’assetto morfo- funzionale. Ora vediamo singolarmente le varie fasi: LA FECONDAZIONE La fecondazione è l’evento di incontro dei due gameti. Per avere una fecondazione che avvenga con successo i due gameti devono specializzarsi e maturare all’interno dell’organismo e questo avviene durante tutta la vita dell’organismo nonostante queste cellule riproduttive siano le prime a comparire durante lo sviluppo embrionale. In un organismo come il mammifero già una settimana dopo la fecondazione abbiamo il differenziamento delle cellule germinali primordiali, ma queste cellule prima di diventare funzionali devono specializzarsi e differenziarsi in un organismo maturo. Questo perché è importante avere un assetto di tipo ormonale tale da poter determinare su questi gameti una fase di maturazione terminale e poi un altro elemento importante è il loro rilascio nell’ambiente esterno nel caso degli animali a fecondazione esterna oppure nell’apparato genitale femminile nel caso dei mammiferi. Quindi la gametogenesi rappresenta, di fatto, un processo che impegna l'organismo da pochi giorni dopo la fecondazione fino alla vita postnatale e diventa operativo quando l'organismo raggiunge lo stadio di maturità; quindi, quando l’organismo è in grado di riprodursi. I gameti sono cellule specializzate e hanno un livello di specializzazione molto diverso a seconda che siano un gamete femminile o maschile. Dal loro incontro, grazie al fatto che entrambi hanno un corredo genomico aploide, si instaura un nuovo genoma embrionale. Il nuovo genoma embrionale di fatto, come vedete in questa fotografia, lo abbiamo immediatamente dopo la fecondazione (In rosa abbiamo il nucleo della cellula uovo e in azzurro abbiamo il nucleo dello spermatozoo che entra nella cellula uovo). subito dopo la fecondazione questa cellula che prima si chiamava cellula uovo e ora si chiama ZIGOTE, possiede all'interno un genoma diploide che però inizialmente subito dopo la fecondazione è fisicamente separato; quindi, c'è bisogno che queste due componenti aploidi materni e paterni si avvicinano, che i due nuclei si fondano per venire a costituire fisicamente il corredo diploide del nuovo organismo. Questo processo di avvicinamento dei due pronuclei maschile e femminile e di fusione dei due patrimoni genomici di riferimento che prende il nome di singamia ed è di fatto l'evento che chiude la fase di fecondazione. Quindi la fecondazione la possiamo dividere in step: prima di tutto i due gameti maschile e femminile si devono riconoscere reciprocamente; quindi, vi è un meccanismo di riconoscimento reciproco che mette in sinergia la cella uovo e lo spermatozoo della stessa specie poi c’è la fusione dei due gameti rimodellamento dei due genomi maschile e femminile. Questo perché quando entrano sono due genomi non trascrivibili, per cui dovranno diventare leggibili fusione dei genomi attraverso il processo di singamia La fecondazione è un evento veloce, però richiede meccanismi sequenziali che sono molto importanti in quanto sono la base conoscitiva su cui si è sviluppata la possibilità di riprodurre questo evento anche al di fuori del corpo della femmina (riprodurre questi step all’interno di un laboratorio). SEGMENTAZIONE Grazie alla medicina della riproduzione, anche lo sviluppo embrionale di queste prime fasi riusciamo a riprodurle in laboratorio quindi riusciamo a documentarle. Si sono sviluppati degli incubatori che vanno a monitorare minuto per minuto la segmentazione, perché seguendo la tempistica della segmentazione, o comunque le prime fasi dello sviluppo embrionale dell’uomo, possiamo avere delle informazioni importanti sulla qualità futura dello sviluppo dell’embrione. Una corretta sequenza temporale di divisione è già di per sé un indicatore importante di quelle che 3 saranno le performance di sviluppo dell’embrione che una volta raggiunto lo stato di blastocisti deve essere ritrapiantato nel corpo della madre. Le segmentazioni partono nel momento in cui l’oocita viene ad essere fecondato e si trasforma in zigote, e lo zigote grazie all’evento fecondazione è in grado di esprimere una totipotenza, cioè può esprimere la capacità di guidare lo sviluppo embrionale fino alla nascita. La totipotenza è molto diversa in termini funzionali (se guardiamo un organismo inferiore rispetto ad un mammifero, la totipotenza in un organismo inferiore è semplicemente la capacità di originare un organismo vitale; mentre nei mammiferi oltre a questo ci deve essere la capacità, da parte di quell’embrione, di sviluppare gli annessi embrionali che sono essenziali affinché il processo di sviluppo possa avvenire.) Nei mammiferi vi è un annesso in particolare, la placenta, che è essenziale per garantire, attraverso lo sviluppo di un letto basale che collega la madre al feto, il supporto trofico del feto. Negli altri organismi non mammiferi il feto viene sostenuto da alcune numerose proteine di tipo energetico-nutrizionale che la cellula uovo accumula all’interno del tuorlo (all’interno del proprio citoplasma). La segmentazione viene attivata dalla fecondazione, grazie al l'avvio del programma di divisione embrionale che nella segmentazione avviene in maniera molto rapida (la tempistica è diversa da una specie all'altra; il mammifero alla tempistica più lenta rispetto ad altri modelli che studieremo ad esempio lo zebrafish o l'anfibio. La segmentazione avviene comunque con le stesse modalità; e costituita da divisioni mitotiche in cui il citoplasma si divide per CITOCINESI. alla fase di divisione embrionale non segue la fase di accrescimento cellulare; questo comporta due eventi biologici importanti: la divisione cellulare in mancanza della fase di accrescimento può avvenire in maniera molto rapida, ma d'altro canto senza la fase di accrescimento ad ogni divisione mitotica noi abbiamo una riduzione dimensionale della cellula che viene definita all'interno dell'embrione blastomero. I blastomeri quindi, a seguito delle divisioni si riducono da un punto di vista dimensionale e questa riduzione è essenziale Perché le prime fasi di divisione embrionale avvengono all'interno di una matrice extracellulare che impedisce all'embrione di aumentare da un punto di vista dimensionale. Questa matrice extracellulare è la zona pellucida, una struttura cellulare che impedisce l'accrescimento dell'embrione ma rappresenta un'importante barriera meccanica dell'embrione stesso che in questa fase può subire degli insulti dell'ambiente esterno (questi insulti sono fortemente limitati se pensiamo al mammifero perché lo sviluppo embrionale avviene all'interno dell'organismo, ma se pensiamo ad altri modelli lo sviluppo embrionale avviene nell'ambiente esterno e quindi questa protezione ha un ruolo molto importante. Vedremo che le zone pellucide di oociti di animali acquatici hanno al loro interno sostanze tossiche nei confronti di predatori, sostanze protetti nei confronti dei raggi solari. Quindi vediamo che non solo la zona pellucida è una barriera meccanica ma in alcune specie animali rappresenta anche una difesa chimico fisica rispetto all'ambiente esterno). Nei mammiferi a seguito della divisione ad un certo punto le cellule o i blastomeri dell'embrione iniziano a cavitarsi; si forma la cosiddetta cavità della blastocisti. La cavitazione è un processo attivo che prevede che all'interno dell'embrione ci sia un momento di specializzazione: alcuni blastomeri si distribuiscono a rivestire la cavità e prenderanno il nome di cellule del trofoblasto o trofectoderma (Nel mammifero saranno quelle cellule che andranno a differenziare gli annessi embrionali), mentre un'altra parte di blastomeri si organizzano al polo della cellula e andranno a costituire quello che viene definito l'embrioblasto o cellule della massa interna (inner cell mass). Queste ultime sono le cellule da cui si differenzieranno prima i tre foglietti embrionali da cui poi origineranno tutti i tessuti dell'organismo e gli organi. Quindi da una massa di cellule si svilupperà l'organismo, dall'altra massa di cellule si svilupperanno invece gli annessi embrionali. La cellula ter essere totipotente deve essere in grado riprodurre entrambe queste strutture. N.B. la cellula totipotente è quella cellula staminale in grado di dare luogo all' organismo vivente, Mentre le cellule pluripotenti non sono in grado di dare luogo ad un organismo in toto ma da loro riusciamo a differenziare tutte le cellule dell'organismo senza però poter originare un organismo in toto a causa dell'assenza della placenta Le cellule pluripotenti le troviamo nell’embrioblasto. Questo è l'ultimo momento prima che l'embrione entri in gastrulazione. quando l'embrione entra in gastrulazione questo blocco di cellule prenderà tre destini diversi: alcune di queste andranno a costituire l’ectoderma, alcune il mesoderma ed altre l’endoderma. A quel punto la cellula perderà la sua pluripotenza e diventerà una cellula multipotente, ossia una cellula che riuscirà a differenziare solo quei tessuti che derivano dal foglietto di riferimento. 4 Se io ho delle cellule ectodermiche, che quindi derivano dal foglietto ectodermico, la loro multipotenza in che direzione andrà? Con quelle cellule noi potremo fare neuroni ed epidermide. per avere gli altri tessuti avremo bisogno di cellule meso dermiche ed endodermiche. Le cellule pluripotenti sono invece precedenti in termini evolutivi a questa scelta di specializzazione, per cui possono di fatto originare tutti i tessuti dell'organismo contemporaneamente. Alla cavitazione segue il processo di differenziamento delle cellule del trofectoderma. Le cellule del trofectoderma sono delle cellule che hanno un’altissima concentrazione, nella loro membrana, di pompe sodio-potassio e grazie a queste pompe rilasciano nell’ambiente extracellulare elevate concentrazioni di sodio che dal punto di vista osmotico richiamano acqua, determinando la formazione di questa cavità (piena di acqua, o meglio avremo una composizione simile a quella del siero) che rappresenterà entro cui inizieranno a muoversi, nella fase successiva, i tessuti embrionali che deriveranno dalla specializzazione dell’embrioblasto. Come già detto, durante la segmentazione la divisione embrionale è estremamente veloce e questa velocità deriva dal fatto che durante la segmentazione il ciclo mitotico subisce delle modificazioni sostanziali. Il ciclo mitotico sappiamo essere divido in quattro fasi: - Due fasi attive: fase S (o fase di sintesi e duplicazione del DNA) e la fase M (fase di mitosi o di segregazione del DNA duplicato) - Due fasi gap: sono fasi di verifica dell’efficienza del ciclo cellulare; efficienza che viene valutata rispetto all’efficienza interna del ciclo ma anche rispetto alla presenza nell’ambiente extracellulare di un contesto idoneo alla moltiplicazione. Nella fase G1 la prima verifica interna è indirizzata a verificare che nella cellula in seguito alla citocinesi (divisione del citoplasma della cellula madre in due componenti) sia stata superata attivamente la riduzione dimensionale attraverso un processo di accrescimento. Quindi nella fase G1 viene verificato di fatto l’accrescimento cellulare e a quel punto la cellula può riprendere nuovamente il ciclo solo quando questo accrescimento si è completato. Nella fase G2 il controllo è finalizzato al fattore esterno. Il fattore esterno è: condizioni stimolatori che provengono dalle cellule contigue che consentono alla cellula di completare il ciclo mitotico. Il check interno è rivolto invece a verificare che la duplicazione del DNA sia venuta in modo completo e corretto. In entrambe le fasi gap la cellula mette in opera dei check-point molecolari che se non hanno una risposta di tipo positivo portano la cellula verso una morte programmata. Durante la segmentazione abbiamo un’alternanza delle due fasi attive senza che queste vengano seguite dalle fasi di gap. Questo è il meccanismo che rende estremamente veloce il ciclo cellulare ed è il meccanismo che evita che ad ogni citocinesi ci sia una fase di accrescimento, che richiederebbe la presenza della fase G1. Quindi una volta che l’oocita viene fecondato le prime divisioni embrionali sono delle divisioni che avvengono senza controllo, né interno né esterno. Ovviamente questo controllo, nelle fasi più avanzate dello sviluppo embrionale, riprenderà! La segmentazione termina quando il ciclo cellulare riacquista la sua normale tempistica, ossia riacquista le due fasi di gap e quindi la velocità viene ripristinata. Non avendo le due fasi di gap il ciclo cellulare sarà un ciclo cellulare semplificato, in cui abbiamo la presenza delle due fasi S ed M con le chinasi ciclina-dipendendenti che sono stabilmente presenti all’interno del citoplasma dei nostri blastomeri e con la presenza di tipo ciclico delle cicline attivatori. Ovviamente, in base al modello che prendiamo in considerazione, la segmentazione del citoplasma dello zigote può avvenire in maniera diversa. La segmentazione nel mammifero interessa l’intero citoplasma della cellula uovo zigote e quindi man mano che la segmentazione procede lo zigote viene a suddividersi in porzioni di dimensioni ridotte; questo tipo di segmentazione viene chiamata segmentazione totale (perché interessa l’intero citoplasma dello zigote) o segmentazione oloblastica. Questo tipo di segmentazione la abbiamo anche negli anfibi, ma non l’avremo nel modello zebrafish. In questo modello, infatti, la segmentazione non coinvolge l’intero citoplasma della cellula uovo ma solo il polo della cella uovo (la segmentazione coinvolge solo una parte della struttura cellulare); questo tipo di segmentazione viene definita segmentazione parziale o segmentazione meroblastica. Il motivo per cui le segmentazioni possono interessare tutto o parzialmente il citoplasma dello zigote è legato al diverso accumulo del tuorlo. Il tuorlo è un accumulo di lipidi e proteine che raggiungono concentrazioni e densità molto elevate in alcuni modelli animali e quando sono presenti questi aggregati 5 di proteine e lipidi il processo di citocinesi non può avvenire o avviene in modo ritardato (l’anfibio è un classico esempio in cui la segmentazione è di fatto totale ma laddove c’è il tuorlo la divisione della membrana cellulare, che segue la citocinesi, è un processo estremamente lento; dove non c’è il tuorlo è rapido). Questi due tipi di segmentazione sono due modelli estremi, ma ci sono dei modelli che si collocano in mezzo. Il tuorlo non solo condiziona le modalità con cui avviene la segmentazione, ma anche la modalità con cui si ha la separazione, quindi la citocinesi, durante le diverse divisioni embrionali. Va infatti a condizionare quello che è l’orientamento con cui avviene la divisione, questo perché il fuso mitotico, che rappresenta la struttura citoplasmatica che consente ai cromosomi di essere segregati ai poli della cellula in seguito alla citocinesi, si orienta secondo la maggiore disponibilità di citoplasma. Se la maggiore disponibilità di citoplasma è in senso trasversale, la citocinesi sarà di tipo trasversale perché deve avvenire in modo perpendicolare alla distribuzione del fuso; invece, se la maggiore disponibilità di citoplasma è in senso verticale la citocinesi avverrà in senso verticale. BIOLOGIA DELLO SVILUPPO – LEZIONE 06.10.2021 Le fasi di questo ciclo vitale sono comuni a tutti gli organismi viventi, anche se ovviamente ogni organismo vivente poi da un punto di vista evolutivo ha personalizzato le fasi di questo ciclo vitale in funzione delle strategie riproduttive ed evolutive; si differenziano quindi, non solo modelli animali lontani fra di loro nella storia evolutiva, ma anche animali all’interno di una stessa classe (come i mammiferi). Notevolmente diversa ad esempio, è la strategia dal punto di vista evolutivo di un topo che è un importante modello dal punto di vista biologico, dato che il genoma è interamente decodificato, è altamente controllabile ed omogeneo a seconda delle discendenze; ma soprattutto grazie al topo riusciamo a creare dei mutanti che riproducono in modo molto fedele alcuni percorsi patogenetici che accompagnano le malattie dell’uomo. Ora facciamo un’analisi generalista del ciclo vitale, e poi ogni volta che andremo a studiare un modello animale dovremo opportunamente tener conto delle differenze che si sono determinate dal punto di vista evolutivo. La segmentazione è avviata da un processo di fecondazione che permette all’ovocita di esprimere la propria pluripotenza, trasformandosi in zigote. Lo zigote attiva il programma di sviluppo embrionale attraverso questo processo di rapide divisione mitotiche, che va sotto il nome di “segmentazione”. La rapidità con cui avvengono le prime divisioni mitotiche dipendono dal fatto che il ciclo cellulare non riconosce in questa fase i momenti di gap, che rappresentano un momento importante di controllo del ciclo cellulare nelle cellule somatiche e nelle cellule staminali; questo rende estremamente rapido il processo di divisione mitotica soprattutto in alcune specie animali, (nell’arco di alcune ore riusciamo ad avere una blastocisti, mentre se parliamo dell’uomo e dei mammiferi ci vogliono almeno 5/6 giorni per arrivare a questo stadio di sviluppo). Questo processo di segmentazione avviene in modo molto rapido e avviene grazie a un processo di disponibilità di proteine del controllo del ciclo cellulare che di fatto sono state depositate nel citoplasma della cellula uovo e vengono semplicemente attivate e degradate a seguito del processo di fecondazione. Quindi, durante le prime fasi di sviluppo embrionale, cioè nella sottofase definita “segmentazione”, il programma di sviluppo embrionale è perlopiù legato al processo di utilizzo di informazioni che abbiamo depositato nel citoplasma della cellula uovo, senza che il nuovo genoma embrionale sia attivamente trascritto. Quindi è un processo estremamente rapido, controllato solamente da meccanismi post- traslazionali senza che ci sia attiva trascrizione. E questo è il motivo per cui la cellula uovo è totipotente, perché non ha bisogno di niente per esprimere un progetto. La segmentazione è comune a tutte le specie animali, però le modalità con cui avviene da un punto di vista spaziale è fortemente condizionato dalla tipologia di cellula uovo che consideriamo. Le cellule uovo che hanno un’abbondante tuorlo possono sviluppare delle segmentazioni che possono essere ritardate, soprattutto in quella porzione di cellula dove il tuorlo è posizionato spazialmente, fino addirittura ad interrompere la citocinesi e siamo nel contesto di divisione di tipo meroblastica, cioè quelle divisioni che avvengono soltanto ad un polo nella cellula. Il tuorlo condiziona quindi le modalità di segmentazione, ma anche l’orientamento con cui le segmentazioni avvengono, perché c’è una 6 regola biologica che ormai è stata definita dai biologi dello sviluppo, ovvero che il fuso mitotico in realtà si orienta all’interno del citoplasma distribuendosi/posizionandosi tenendo conto dell’asse dove ha la maggiore disponibilità di citoplasma; e quindi dato che il fuso mitotico guiderà l’orientamento della citocinesi, quest’ultima seguirà l’orientamento della distribuzione citoplasmatica nella cellula uovo. Nelle divisioni mitotiche in cui si realizza la segmentazione le divisioni rallentano fino a diventare totalmente sovrapponibili alla durata delle divisioni mitotiche nelle cellule somatiche che normalmente impegnano una cellula ad una divisione ogni 18-24 h (tempo con cui una cellula somatica si divide regolarmente in vitro). Questo progressivo rallentamento è legato ad un grado di progressiva specializzazione che i blastomeri all’interno dell’embrione. Il primo livello di specializzazione che abbiamo all’interno dei blastomeri è il fatto che ad un certo punto, il genoma embrionale viene attivato e viene attivamente trascritto. In molti animali, l’attivazione del genoma embrionale avviene tardivamente, mentre nei mammiferi di solito arriva allo stadio di morula (otto cellule). A questo punto quando inizia la trascrizione, il ciclo mitotico richiede che le proteine di controllo del ciclo cellulare vengano di volta in volta trascritte, sintetizzate e poi degradate, e quindi, questo processo rallenta la velocità con cui la divisione mitotica avviene. Al termine della fase di segmentazione, il ciclo mitotico è totalmente sovrapponibile per modalità di sintesi, di degradazione e di tempistiche di realizzazione a quello che avviene in una cellula somatica. Quand’è che la divisione mitotica, durante la segmentazione, passa da questo andamento molto rapido, totalmente dipendente dalle proteine che sono state accumulate nel citoplasma della cellula uovo, ad una organizzazione invece di dipendenza dalla trascrizione attiva del genoma embrionale? C’è un meccanismo di controllo all’interno di ciascun blastomero che è alla base di questo processo di innesco e trascrizione attiva del genoma embrionale, che viene chiamato “periodo di transizione zigote-embrione”. Finché siamo nello zigote, il programma di sviluppo embrionale è totalmente ereditato dalle proteine di origine materna, quando invece entriamo in fase di transizione zigote- embrione, ecco che le proteine del ciclo cellulare sono invece dipendenti da un’attiva di trascrizione del nuovo genoma. Qual è il meccanismo per cui si ha questa transizione? La cellula ha dei “check”, per valutare in quantità il volume di citoplasma: quando quest’ultimo si avvicina a quello del nucleo, ecco che il blastomero entra in questa fase di specializzazione che è appunto la trascrizione zigote-embrionale; e quindi a fronte di questa progressiva alterazione del rapporto nucleo-citoplasma, i geni embrionali vengono attivamente trascritti. La segmentazione, in tutti i modelli animali, termina allo stadio di blastocisti, che viene raggiunto con tempistiche diverse a seconda della specie animale considerata. Se guardiamo la blastocisti di un mammifero, questa struttura diventa di fatto completamente differenziata dal giorno 5 al giorno 7, quando la struttura acquisisce questa morfologia, molto specifica dell’embrione di mammifero. Mentre la blastocisti in altre specie animali, acquisisce un’organizzazione molto diversa; anche se in tutte le specie animali ovviamente all’interno della blastocisti come conseguenza di questo processo di divisione meiotica, si è passati da uno stato di totipotenza ad uno stato di pluripotenza, e quindi all’interno di tutte le blastocisti di tutti gli animali abbiamo cellule in grado, al termine della segmentazione, di specializzarsi e differenziarsi nei tre foglietti primitivi embrionali. La blastocisti del mammifero rappresenterà un modello di riferimento per quanto riguarda la biologia dello sviluppo; essa è costituita da strutture che troviamo in tutte le specie animali. Abbiamo una matrice extra-cellulare, che durante la fase di segmentazione impedisce all’embrione di aumentare da un punto di vista dimensionale. Quindi la segmentazione è caratterizzata da una divisione mitotica che comporta una progressiva diminuzione dimensionale delle cellule che lo costituisce. I blastomeri, man mano che si procede verso la segmentazione, si riducono di dimensione. Oltre alla zona pellucida, che è presente fino al giorno 7 nello sviluppo dei mammiferi quando viene degradata da enzimi proteolitici rilasciati dalle cellule del trophoblasto, e abbiamo un fenomeno della “schiusa della blastocisti”, che è una rottura della zona pellucida, che consente alla blastocisti di liberarsi di questa matrice extra- cellulare, e quindi a questo punto di proliferare accrescendosi anche dal punto di vista dimensionale. 7 Questa fase è estremamente importante, perché questa rapida proliferazione comporterà da parte della blastocisti una serie di segnali che nel mammifero, e più precisamente nell’organismo della madre, determineranno il blocco di tutto l’assetto ormonale, che ciclicamente attiva la funzione riproduttiva nella femmina, e bloccherà l’assetto ormonale della madre in un quadro che invece è adeguato per il mantenimento della gravidanza (che richiede un arresto della funzione riproduttiva ed un indirizzo di tutto il quadro ormonale verso l’impianto e l’accrescimento dell’embrione prima e la crescita del feto durante le fasi successive. Oltre alla zona pellucida, internamente i blastomeri durante la segmentazione allo stadio di blastocisti, una porzione dei blastomeri che si sono formati vanno a disporsi in monostrato alla periferia di questo embrione, che è caratterizzato da un’ampia cavità; i blastomeri, posizionati esternamente all’embrione a delimitare la cavità, sono andati incontro a un processo di specializzazione che prevede ovviamente che ci siano all’interno specifici determinanti molecolari, che sono le cellule del tropoblasto del trofoectodema. Queste cellule sono importanti nell’embrione di mammifero perché da quest’ultime deriverà la componente fetale della placenta, annesso embrionale essenziale per sostenere troficamente il feto durante la gravidanza. Il blastocele è un elemento importante, è una cavità piena di liquido; grazie a questo spazio, una volta che la blastocisti verrà liberata dalla matrice extra-cellulare e le cellule (sia del trofoectoderma che cellule dell’embrioblasto) inizieranno a proliferare, questa cavità consentirà loro di muoversi e posizionarsi all’interno dell’embrione in via di formazione, andando a costituire i primi tessuti primitivi, e poi i diversi organi in via di definizione (per quanto riguarda il trofoblasto e ipoblasto, gli annessi extra-embrionali essenziali, perché oltre alla placenta abbiamo l’allantoide, il sacco vitelino, importanti affinchè la gravidanza di un mammifero possa avvenire con successo. Ad esempio l’’allantoide è un annesso embrionale che serve al feto che nella vita intra-uterina non ha una propria dipendenza di tipo alimentare però ha una propria dipendenza di tipo metabolico per accumulare e stoccare tutte le molecole di deposito del feto durante il suo sviluppo; quindi è una sorta di “sede di scarto” dell’embrione). La blastocele ha un’importante funzione, tanto è che se noi creiamo dei mutageni e impediamo a questa cavità di formarsi, lo sviluppo embrionale non procede, e il programma di sviluppo si arresta; quindi il blastocele rappresenta di fatto uno degli elementi morfologici-spaziali essenziali affinchè il ciclo vitale nel mammifero possa avvenire in modo corretto. Il blastocele si forma in conseguenza della specializzazione delle cellule del trophoblasto-trofoectoderma, che sono ricche di questa pompa sodio-potassio che riversa nell’ambiente extracellulare ioni Sodio, che accumulati ad alte concentrazioni richiamano per proprietà osmotica acqua dall’ambiente extra-cellulare, determinando la formazione della cavità e l’accumulo all’interno della cavità di liquido. Questo ammasso di blastomeri aggregati che si posizionano, come conseguenza dello sviluppo della blastocele, ad un polo dell’embrione con un contatto sulle cellule periferiche del trofoectoderma; queste cellule vengono definiti “embrioblasto” o “Inner Cell Mass” (Cellule della massa interna) e rappresentano le cellule pluripotenti da cui deriveranno tutti i tessuti dell’embrione, prima passando da uno stadio bilaminare, poi attraverso uno stadio trilaminare (quindi la definizione dei tre foglietti), poi dai tre foglietti si definiranno i tessuti e gli organi che costituiscono, durante il ciclo vitale, l’organismo prima come feto, poi come organismo autonomo (quindi dopo la nascita). Queste sono tutte le strutture che compongono quindi l’embrione di mammifero al termine della fase di segmentazione, quando le cellule dell’embrioblasto devono perdere la loro pluripotenza, indirizzare la propria specificazione verso i foglietti embrionali, quindi fare una scelta di multipotenza tessuto-specifica. Perché riusciamo ad utilizzare ottimamente l’embrione di mammifero come modello di riferimento? (non solo per studiare la biologia dello sviluppo, ma anche per isolare cellule staminali pluripotenti di origine embrionali, da cui sono state sviluppate notevoli studi preclinici e sono in atto studi clinici di utilizzo di queste cellule, finalizzate alla cura di patologie degenerative, di tipo cronico-debilitanti).L’embrione di mammifero può essere attualmente prodotto e sviluppato al di fuori dell’organismo della madre, dove normalmente si trova, e può essere studiato in un contesto 8 extra-corporeo che rende possibile lo studio dei meccanismi che sono alla base della segmentazione e dei primi programmi di sviluppo embrionale. Ovviamente l’embrione di mammifero, grazie a queste tecnologie che sono definite “Assisted reproductive technology” (ART), tecnologie che consentono ai ricercatori di riprodurre le prime fasi della vita di un organismo al di fuori del corpo della madre (cosa che nel mammifero non è possibile), non superano tutti i limiti della complessità dello studio dell’embrione di mammifero. L’embrione di mammifero, a differenza dell’embrione di altri modelli animali a minor scala evolutiva, ha alcuni problemi insiti: il primo problema è la dimensione poiché la blastocisti di mammifero ha una dimensione piuttosto contenuta (dato che siamo nell’ordine dei 100 micron quando parliamo di embrione di topo, nell’ordine dei 120-130 micron quando invece parliamo dell’embrione di altre specie fra cui l’uomo). È ovvio che per queste dimensioni ogni tipo di manipolazione richiede una manipolazione al di sotto di un embrione per riuscire a raggiungere una possibilità di visualizzazione della struttura, che in natura non è compatibile con la nostra capacità visiva. Quindi tutto ciò che noi facciamo sugli embrioni di mammifero, prevedono l’interposizione di una lente di ingrandimento che otteniamo attraverso la manipolazione di questi embrioni sotto microscopio ottici o microscopi diretti/invertiti. Negli embrioni di altri modelli animali, pensiamo agli anfibi: stiamo parlando di cellule che possono essere manipolate ad occhio nudo, perché hanno dimensioni di millimetri fino ad arrivare all'estremo dell’uovo di pollo, di cui le dimensioni sono note. Quindi le cellule uovo dei modelli inferiori, hanno continuato per un certo tempo ad esercitare un certo fascino per la loro semplicità di studio e per la facilità con cui riusciamo a manipolare. La manipolazione sperimentale rappresenta un approccio importante per confermare alcune scoperte di tipo meccanicistico-biologico; ovviamente nell’embrione di mammifero il problema della manipolazione sussiste perché richiede tecnologie e abilità avanzate. Non solo, la numerosità degli embrioni è un altro limite del mammifero: in natura ogni mammifero rilascia, ad ogni ciclo ovulatorio, un numero limitato di ovociti ( esistono specie monovulatorie come la dona , in cui in ogni ciclo riproduttivo viene rilasciato un solo ooocita e si sviluppa un solo embrione, ed esistono specie poliovulatorie come il maiale che ad ogni ciclo riproduttivo rilascia più ovociti riuscendo ad ottenere un numero più alto di embrioni ma pur sempre contenuto, come dieci o massimo quindici). Come abbiamo superato questo limite biologico rappresentato dalla scarsa numerosità? Da un punto di vista sperimentale, la differenza è notevole. Il problema può essere superato tramite le tecnologie di riproduzione assistita, che hanno sviluppato dei meccanismi di controllo ormonali di tipo terapeutico per aumentare ad ogni ciclo riproduttivo il numero di oociti che vengono ovulati dalla femmina, quindi messi a disposizione della funzione riproduttiva di quell’organismo attraverso quei trattamenti che sono detti “di super-ovulazione” (impiego delle gonadotropine che normalmente regolano l’ovulazione nel corpo della femmina, che vengono dati ad alti dosaggi al fine di promuovere un reclutamento sovrannumerario di follicoli ovarici, quindi che ovuleranno e rilasceranno cellule uovo nel tratto genitale femminile). Ovviamente i protocolli di super-ovulazione non sono compatibili con una gravidanza naturale e spontanea, ma gli embrioni che vengono prodotti a seguito di questi trattamenti devono essere poi raccolti e utilizzati al di fuori del corpo della madre, e poi singolarmente trasferiti nuovamente nel corpo della ricerca. Immagine di un embrione di mammifero: la blastocisti si sta liberando dalla zona pellucida e, più precisamente da questa “breccia” che si è venuta a creare nella matrice extra-cellulare, a seguito del rilascio da parte delle cellule del tropolasto (mentre le cellule dell’embrioblasto sono ancora intrappolate all’interno della zona pellucida e stanno aspettando di fuoriuscire) che vanno a degradare chimicamente ed enzimaticamente la zona pellucida. Se a questo si aggiunge anche la pressione che la blastocisti, grazie alla presenza di liquido che si trova all’interno della cavità, esercita su questa struttura extra-cellulare, ecco che questi due effetti contemporaneamente promuovono intorno al 7° giorno post-fecondazione la rottura della zona pellucida e la liberazione dell’embrione da questa struttura. A 9 questo punto l’embrione è libero, e questa mancata limitazione fisica comporta soprattutto all’inizio alle cellule del tropoblasto di proliferare rapidamente (importante perché queste sono a produrre la gonadotropina corionica, hCG, utilizzata per fare delle diagnosi di gravidanza; questo ormone viene prodotto dal corion, la componente fetale della placenta, che ha la funzione di bloccare la capacità riproduttiva della madre e a farla orientare verso il sostegno esclusivamente della gravidanza). Per fare gravidanza infatti il corpo della madre deve essere in grado di produrre per periodi lunghi (nella donna 9 mesi) alti livelli di progesterone; normalmente ciclicamente rilasciata da un’alternanza di progesterone ed estrogeni nel ciclo fisiologico, mentre durante la gravidanza grazie a questa gonadotropina corionica, l’assetto ormonale riproduttivo della madre si fissa su alti livelli di progesterone, inizialmente rilasciati dal corpo luteo, struttura a funzione endocrina presente nell’ovaio; successivamente la placenta stessa, e quindi ancora il feto, che con una parte del suo contributo supporta il rilascio di alti livelli di progesterone. Quest’ultimo serve a fare più cose contemporaneamente che sono importanti per garantire a questo embrione di poter accrescersi durante la gravidanza, ma anche quando l’accrescimento sarà terminato e il feto verrà liberato ed inizierà la sua vita autonoma con successo. Per sostenere la gravidanza gli alti livelli di progesterone bloccano la funzione riproduttiva della madre, quindi non verrà più a formarsi all’interno dell’ovaio follicoli di accrescimento che producono estrogeni, e quindi la madre entrerà in uno stato di quiescenza riproduttiva, non potrà più accoppiarsi ed esporre a nessun rischio il feto durante la gravidanza. Il progesterone poi ha un ruolo importante sulle cellule muscolari dell’utero, che come tutte le cellule muscolari lisce, in risposta all’accrescimento del feto, danno una risposta innata di contrazione. L’utero però non può contrarsi a fronte del feto che sta accrescendo, altrimenti questo genererebbe un parto precoce, quindi un aborto. Il progesterone è in grado di iperpolarizzare le cellule del miometrio (quindi le cellule muscolari dell’utero) impedendo che lo stimolo cui è promosso dall’accrescimento del feto, promuova in queste cellule la contrazione. Quindi serve fondamentalmente ad evitare che le contrazioni possano determinare una interruzione della gravidanza. Sempre il progesterone è in grado di determinare, nel corso della gravidanza, lo sviluppo e la differenziazione e la specializzazione degli acini mammari, e quindi la ghiandola mammaria si accrescerà diventando una struttura funzionalmente attiva al momento del parto (fondamentale per i mammiferi perché l’autonomia nei primi mesi di vita è strettamente dipendente a un elemento semplice, rappresentato dal latte perché è vero che l’apparato intestinale di un mammifero si è sviluppato nel corso della vita intrauterina ma la composizione degli enzimi di un intestino di un soggetto appena nato non è sufficiente per sostenere un’alimentazione di tipo completa; quindi il latte rappresenta lo strumento per dare il tempo a questo nuovo individuo di raggiungere una maturità intestinale e potere quindi gestire un’alimentazione di tipo diversa). In conclusione possiamo affermare che il progesterone garantisce durante la gravidanza che la ghiandola mammaria possa aumentare da un punto di vista dimensionale, ma soprattutto da un punto di vista funzionale e diventare una ghiandola capace di secernere nel tempo, ad alti livelli, questo principio alimentare. Questa piccola struttura multicellulare (progesterone), grazie alle sue proprietà di tipo endocrino, è in grado di condizionare il successo della sua esistenza. La rimozione della zona pellucida conferisce la possibilità all’embrione di accrescersi, e le prime cellule che si accrescono in modo massivo sono quelle del trofoblasto, in minore misura all’inizio la proliferazione delle cellule dell’embrioblasto. Le cellule dell’embrioblasto sono soprattutto quando l’embrione esce dalla zona pellucida, e quindi il processo di segmentazione si interrompe e l’embrione entra nella nuova fase che definiamo “gastrulazione”; sono fondamentalmente impegnate a muoversi all’interno dell’embrione e a posizionarsi in quello che sarà il corretto contesto spaziale entro cui sviluppare i tessuti e gli organi di riferimento. Il blastocele quindi (cavità) ha un ruolo importante, perché questo movimento è possibile soltanto se le cellule hanno spazio entro cui muoversi. N.B. E’ sempre presente la nostra cavità (blastocele) che troviamo in tutte le blastocisti, in tutti i modelli animali anche quelli inferiori, perché rappresenta lo spazio fondamentale di movimento. Questa è una blastocisti di mammifero: cosa manca alla blastocisti di anfibio? L’assetto della blastocisti è completamente diverso, non abbiamo la struttura esterna del trofoblasto (gli anfibi non hanno bisogno di placenta e quindi questo livello di specializzazione non esiste), ma abbiamo due tipologie cellulari ben distinte: quello in azzurro 10 rappresenta le cellule pluripotenti, che daranno luogo a tutti i tessuti dell’embrione o più precisamente, all’ectoderma e al mesoderma, ed in questa struttura noi abbiamo invece cellule che vanno a contenere il tuorlo della cellula uovo, quindi tutte quelle molecole con funzione di sostegno trofico e nutrizionale che serviranno all’embrione durante gran parte dello sviluppo embrionale e anche in alcune specie animali, larvale. La blastocisti ha una struttura diversa in questo modello, su cui sono state sviluppate gran parte delle informazioni di biologia dello sviluppo quindi non può essere dimenticato (il famoso modello animale su cui è stato documentata per la prima volta la possibilità di riprogrammazione di una cellula somatica attraverso l’esperimento di clonazione eseguito dal professor Burnet, insieme al gruppo giapponese, a cui è stato conferito il premio Nobel perché la possibilità di riprogrammare una cellula somatica può avvenire con due modalità diverse: la clonazione oppure attraverso l’inserimento all’interno della cellula somatica di fattori di trascrizione che ne riprogrammano l’assetto genomico (gruppo che ha studiato e codificato la possibilità di sviluppare sperimentalmente cellule pluripotenti indotte, partendo da cellule somatiche). Quindi non possiamo dimenticare che storicamente, questo è il modello su cui abbiamo acquisito gran parte delle informazioni. Anche qui la cavità ha un ruolo importante, perché quando passiamo dallo di blastula allo stadio di gastrula, il ruolo delle cellule che compongono questo embrione è quello di iniziare a migrare all’interno di questa cavità, e grazie ai condizionamenti reciproci, all’interno di questo embrione iniziano a vedersi delle cellule nuove, la cui specificazione avviene attraverso questo attivo movimento. Queste cellule sono le “cellule del mesoderma”, e quindi a seguito della gastrulazione e di questo movimento, avremo all’interno dell’embrione i tre foglietti embrionali primitivi che sono codificati in modo standardizzato nella comunità scientifica (in azzurro, il foglietto ectodermico; in giallo, il foglietto endodermico; in rosso, – specificazione avviene attraverso attiva traslocazione delle cellule che compongono la blastula – il foglietto mesodermico). La gastrula o “gastrulazione” è quella fase dello ECTODERMA sviluppo embrionale in cui le cellule pluripotenti indirizzano la loro specificazione nei tre primitivi foglietti embrionali, da cui poi durante la fase MESODERMA GASTRULAZIONE successiva, che definiremo “organogenesi”, ENDODERMA Inizio invaginazione Zigote andranno a specificare ciascuno gli oltre 200 Blastula Gastrula tessuti che costituiscono un organismo adulto. Ogni foglietto originerà tessuti di riferimento. Ogni foglietto esprimerà quindi una multipotenza, che consiste nella capacità di generare tutti i tessuti che sono fisiologicamente derivati dal tessuto primitivo di riferimento. Se guardiamo il tessuto ectodermico, che cosa è in grado, esprimendo la sua multipotenza, di differenziare da un punto di vista tessutale? È posizionato al di fuori dell’embrione, quindi va a differenziare lo strato di rivestimento esterno del nostro organismo, più precisamente l’epidermide. Dal tessuto ectodermico, deriva anche attraverso un processo attivo di specificazione definito “neurolazione”, il sistema nervoso centrale periferico e tutte le sue cellule. La multipotenza del foglietto mesodermico, viene indirizzata a specificare e differenziare tessuti che hanno un ruolo importante sia durante lo sviluppo embrionale/fetale durante l’organogenosi, come ad esempio questo tessuto transitorio che troviamo soltanto durante l’organogenosi perché viene perso nell’organismo adulto, che è la “notocorda”: tessuto transitorio che si differenzia grazie alla multipotenza del 11 mesoderma, foglietto che darà al feto in via di sviluppo indicazioni di tipo molecolare relativamente al suo assetto antero-posteriore, latero-laterale, e quindi consentirà all’embrione di sviluppare gli organi ed i tessuti secondo degli assi predefiniti. Dal mesoderma poi derivano tutti i grandi e importanti tessuti che vanno a costituire la base muscolo- scheletrica dell’organismo, quindi abbiamo il tessuto osseo, il tessuto cartilagineo, il tessuto muscolare (varie tipologie di muscolo: striato, liscio e cardiaco). Dal tessuto mesodermico derivano anche le cellule staminali emopoietiche, da cui origineranno tutte le varie linee di cellule che abbiamo nel sangue, deputate a funzioni molto diversi l’una dall’altra (trasportatori dei gas, globuli rossi, che servono a trasportare ossigeno e anidride carbonica; cellule deputate al controllo emostatico dell’organismo, le piastrine; cellule deputate alla risposta immunitaria innata, granulociti e linfociti T; cellule del sangue deputate alla risposta infiammatoria di tipo adattativa, linfociti B – tutte queste cellule che compongono le cellule circolanti del sangue, che sono diverse non solo per tipologia ma per funzione, derivano tutte da una cellula staminale emopoietica che si differenzia dal foglietto mesodermico). Poi abbiamo anche il tessuto renale. Dall’endoderma si originano tutti i tessuti interni all’organismo, e più precisamente un organo importante che è il tubo digerente, quindi la cavità orale, l’esofago, l’intestino tenue e crasso; insieme al tubo digerente anche le ghiandole annesse sono di origine endodermica, e quindi il fegato. Abbiamo anche il sistema respiratorio e tutte le sue strutture (faringe, laringe, trachea, bronchioli e tessuto polmonare). I tre tessuti hanno un indirizzo, una specificazione molto diversa l’una dall’altra, ma l’insieme di questi tessuti poi comporta il differenziamento degli organi che funzionalmente conferiranno al nuovo organismo una vita autonoma. Le cellule germinali non derivano da nessun foglietto, ma si differenziano come cellule pluripotenti in fase precoce della segmentazione, e nei mammiferi nella gastrulazione; sono cellule pluripotenti che inizialmente compaiono come cellule germinali “primordiali”, senza che esse abbiano già ancora deciso se diventare gamete femminile o gamete maschile. Questo differenziamento avviene più tardivamente durante lo sviluppo embrionale: a quel punto la cellula germinale perde la sua pluripotenza e diventa una cellula unipotente, perché ciascuna cellula germinale ha come finalità quella di differenziare una cellula altamente specializzata che, a seconda del tipo di specificazione che ha intrapreso, andrà verso la linea spermatica (gamete maschile) o verso la linea oocitaria (gamete femminile). Quando guardiamo la gastrulazione nel modello mammifero, troviamo delle sovrastrutture che complicano il nostro embrione, che avevamo lasciato allo stadio di blastocisti (cellule dell’Inner Cell Mass e del trofoectoderma); siamo dal giorno 5 al giorno 7, e poi l’embrione diventa una struttura bilaminare: le cellule dell’Inner Cell Mass in realtà hanno specificato due strati distinti: le “cellule dell’Epiblasto o dell’Ectoderma primitivo” e le “cellule dell’Ipoblasto o dell’Endoderma primitivo”, sempre contornate dalle cellule del trofoectoderma, che è una sovrastruttura rilevante e indispensabile per lo sviluppo dei mammiferi, perché da qui dipenderà la componente fetale della placenta, mentre da queste altre strutture dipenderanno: dallo strato bilaminare l’embrione, dagli annessi embrionali che si differenziano e uno dall’Epiblasto è il sacco amniotico (struttura che andrà a rivestire completamente l’embrione e lasciarlo immerso in un liquido protettivo durante l’intera gravidanza), e quello derivato dalla proliferazione e migrazione delle cellule dell’Ipoblasto è il sacco vitellino. Le cellule germinali nel mammifero originariamente si svilupperanno fuori dall’embrione come cellule pluripotenti, e poi con un’attiva migrazione raggiungeranno successivamente l’embrione. Passando dal giorno 10 al giorno 15, siamo in un assetto di embrione trilaminare, e a questo punto i tre foglietti embrionali si sono differenziati, siamo in piena 12 gastrulazione nei mammiferi; più precisamente il foglietto mesodermico (rosso) si differenzia per proliferazione e migrazione delle cellule dell’Ectoderma, che vanno incontro a transizione epitelio-mesenchimale. A questo punto, l’embrione è notevolmente diverso, ma quello che rappresenta l’elemento importante di differenziamento di gastrulazione (realizzarsi attraverso la definizione dei tre foglietti embrionali), è comune sia a modelli inferiori che nel mammifero (nel mammifero abbiamo la complicazione di tutti gli annessi extra-embrionali che nei modelli inferiori non abbiamo). In quale distretto avvengono queste prime fasi dello sviluppo embrionale, che sono la segmentazione e la gastrulazione? L’oocita viene ovulato, quindi viene fondamentalmente liberato da un follicolo ovarico maturo nell’ovidotto; l’oocita scende lungo l’ovidotto fino a raggiungere metà di quest’ultimo, e arriva in questo distretto che si chiama ampolla, dove l’oocita può o non può incontrare lo spermatozoo (qui grazie alla fecondazione, può avviare il processo di segmentazione, prima passando dallo stadio di zigote poi due cellule poi morula morula compatta blastocisti). La blastocisti, che rappresenta il termine della segmentazione, conclude il suo ruolo durante lo sviluppo embrionale quando si priva della zona pellucida e siamo intorno al giorno 7. L’embrione durante la segmentazione scende lungo l’ovidotto, e allo stadio di morula raggiunge l’utero. Quando la blastocisti si libera della zona pellucida, l’embrione in realtà ha ormai raggiunto il corpo dell’utero, e perdendo questa matrice che aveva una funzione “isolante”, può entrare in contatto con le cellule che costituiscono la parete dell’utero, definite “cellule endometriali”. Grazie a questo attaccamento della blastocisti alle cellule dell’endometrio, la blastocisti potrà intimamente penetrare la parete uterina e grazie a questa penetrazione che viene definita “impianto della blastocisti”, si differenzierà la placenta, quindi si differenzierà quel tessuto che sarà in parte di origine fetale (derivato dal trofoectoderma) e in parte di origine materna (derivata da specializzazioni di cellule endometriali), che consentiranno al feto di avere una vita intrauterina grazie al supporto trofico della madre, che si realizza attraverso i specifici vasi che verranno a decorrere all’interno della placenta stessa. Ecco qui il “processo di annidamento” o “impianto della blastocisti”: la blastocisti si è liberata della zona pellucida ed entra in contatto con le cellule dell’endometrio; quando entra in contatto con le cellule dell’endometrio, il trofoectoderma inizia ad espandersi, penetra ed invade letteralmente le cellule dell’endometrio; il trofoectoderma viene a sua volta colonizzato dai vasi che compongono la parete uterina e all’interno del trofoectoderma in espansione, si andranno prima a formare delle lacune ricche di sangue che sosterranno troficamente l’embrione che continua ad ampliarsi. Poi, queste lacune si organizzeranno in veri e propri vasi, che andranno a definire quello che sarà il “letto vasale di pertinenza materno-fetale” (è un letto transitorio di vasi che porterà sangue ossigenato e allontanerà dal feto sangue ricco di 𝐶𝑂2 , e che rappresenterà il distretto vasale dipendente dalla madre che garantisce al feto di svolgere il suo sviluppo durante la vita fetale). Ovviamente il discorso che in seguito alla gastrulazione si formano i tre foglietti embrionali e che da ciascuno derivano i tessuti di riferimento, è una visione semplificata: ogni organo si compone di diverse tipologie cellulari (cellule somatiche di origine embrionale, ma anche tessutto connettivo, di supporto, nervi e vasi). Quindi un organo nella sua complessità, per essere completo e funzionare da un punto di vista fisiologico, ha bisogno che si organizzi grazie al differenziamento di distretti che originano da foglietti embrionali diversi l’uno dall’altro: se in un organo abbiamo dei vasi, derivano dal foglietto primitivo mesodermico; se abbiamo delle terminazioni nervose, presenti in qualsiasi distretto dell’organismo con funzioni diverse, derivano dal foglietto ectodermico; se siamo nel tratto intestinale, le cellule intestinali che tappezzano la mucosa dell’intestino derivano dall’endoderma. 13 Altro esempio sintomatico di come l’organogenosi sia un processo di “mutuo dialogo spazio-temporale” tra cellule specializzate che derivano da foglietti diversi: la cute. Essa è costituita da due strutture: quella esterna (a contatto con l’ambiente esterno) rappresentata dall’epidermide (strato pluristratificato di cellule somatiche che tendono a cheratinizzare), e quella sottostante rappresentato dal derma (tessutto connettivo ricco di vasi, di ghiandole, di terminazioni nervose, che rappresentano una struttura fondamentalmente legata all’epidermide, perché garantisce a quest’ultima di ricevere sostegno trofico grazie ai vasi, le informazioni sensoriali come termiche o dolorifiche o di tipo motorio grazie alle terminazioni nervose). Quindi la cute è costituita da due strati che sono complentamente diversi tra loro, e con funzioni diverse, ma interdipendenti tra di loro, e sono l’epidermide e il derma. Questo esempio di rivestimento periferico ci dice che in questo tessuto, un organo apparentemente così semplice deriva nella sua costituzione da due foglietti embrionali diversi: mentre l’epidermide deriva dalla specializzazione ectodermica (di rivestimento di tutto l’organismo), il derma invece è una struttura che si differenzia dalla specializzazione mesodermica. Organogenesi A seguito della definizione dei tre foglietti embrionali primitivi, la gastrulazione si completa, e si entra in un’altra fase del ciclo cellulare definita “organogenesi”. E’ quella fase del ciclo cellulare in cui dai tre tessuti di riferimento si organizzano tessuti ad un maggior livello di specializzazione, in cui cellule somatiche si aggregano fra loro e grazie all’intervento di altri distretti (vasale e nervoso), andranno a costituire gli organi. Questo processo interessa tutti i distretti dell’organismo, determinando la specializzazione definitiva che conferirà all’organismo la capacità di poter vivere una vita autonoma. Il primo organo che si viene a definire durante l’organogenesi è il sistema nervoso centrale, attraverso un processo molto lungo, che si avvierà alle fasi iniziali dell’organogenesi per poi completarsi qualche giorno prima della nascita o schiusa del nostro feto. Avremo poi la formazione anche del distretto vasale, dell’organo propulsore del sangue (cuore), del sistema locomotorio (cartilagini, tendini, ossa, masse muscolari), definizione degli organi interni (apparato respiratorio, apparato emuntorio, apparato intestinale). Quindi l’organismo deve, nella sua complessità, definirsi, e si definisce durante questa lunga fase dello sviluppo embrio-fetale che va sotto il nome di organogenesi. Non solo un organo deve strutturarsi durante questa fase del ciclo vitale dell’organismo, raggiungendo un target organizzativo specifico, ma la sua differenziazione sia in senso temporale che in senso spaziale deve seguire determinati criteri, che sono fissi e prestabiliti per garantire il successo dell’organogenesi. Il primo evento che fornisce le prime informazioni di tipo spazio-temporale rispetto all’organogenesi, è determinato dal differenziamento del mesoderma di un tessuto transitorio, che è la “notocorda”. Quest’ultima si va a differenziare circa a metà, in senso antero-posteriore/latero-laterale del nostro embrione in via di sviluppo. La notocorda avrà un ruolo molto importante di avvio ai meccanismi di organogenesi e di definizione di quelli che saranno i meccanismi spazio-temporali di differenziamento dei tessuti vicinori, perché la notocorda sarà in grado di rilasciare dei fattori solubili in grado di determinare la specificazione dell’ectoderma così come la specificazione delle cellule mesodermiche poste nella immediate vicinanze. La notocorda, ad esempio, essendo un tessuto di derivazione mesodermica, è a stretto contatto con l’ectoderma. Rilasciando dei fattori solubili, la notocorda indurrà nelle cellule che sono nelle sue immediate vicinanze, il differenziamento verso il sistema nervoso centrale (quindi le cellule dell’ectoderma che riceveranno segnali dalla notocorda andranno nella direzione di differenziarsi in senso neuronale; le cellule ectodermiche che non risentiranno di questo condizionamento andranno a costituire l’epidermide di rivestimento). Quindi la notocorda, grazie alla sua presenza e al suo differenziamento, indirizzerà da un punto di vista spaziale e temporale, il destino tessuto-specifico delle cellule dell’ectoderma. Parimenti la notocorda sarà importante per inviare informazioni alle cellule mesodermiche, che sono posizionate esattamente nelle vicinanze di questa struttura, ovvero i sclerotomi si differenzieranno nei miotomi (cioè differenzieranno la base scheletrica delle vertebre e la base muscolare che va a sostenere la colonna vertebrale, con un meccanismo differenziativo che prima coinvolgerà la porzione apicale dell’embrione per poi proseguire in senso apico-posteriore e quindi coinvolgere progressivamente tutta la struttura dell’organismo). 14 BIOLOGIA DELLO SVILUPPO – LEZIONE 12.10.2021 Lo zigote deriva dall’unione di due gameti maschili e femminili con corredo cromosomico aploide e solo all’atto della fecondazione si crea la prima cellula staminale che darà origine a tutto l’organismo costituito da migliaia di cellule differenti l’una dall’altra. A cavallo dal IXX secolo e del XX secolo gli scienziati capirono che in relatà i cromosomi presenti all’interno delle cellule somatiche derivavano per mitosi da una cellula uovo, da qui venne enunciato il postulato dell’equivalenza del genoma secondo il quale ogni nucleo di una cellula somatica diploide contiene gli stessi cromosomi e quindi lo stesso corredo genomico di tutte le altre tipologie di cellule (noi abbiamo circa 250 tipologie di cellule). Ma come questo intero corredo genomico uguale in tutte le cellule può dare origine alle varie tipologie cellulari di un organismo? L’esempio della globina è quello più lampante, perché il gene della globina viene espresso solo negli eritrociti quando poi è presente in tutte le altre tipologie di cellule? Questa differenza di espressione può spiegare come questo intero genoma viene regolato per dare origine alle varie tipologie cellulari e le varie proteine specifiche, ma può essere spiegata solo se si ammette l’esistenza di una espressione genica differenziale. Seguendo questa teoria dell’espressione genica differenziale possiamo enunciare 3 postulati fondamentali: - ogni nucleo contiene lo stesso genoma che si è formato nell’uovo fecondato - l’intero corredo genomico non viene né distrutto né mutato ma viene mantenuto in uno stato espressivo che può variare nel tempo a seconda dei segnali - solo una piccola percentuale all’interno di una cellula somatica viene trascritta e tradotta La regolazione dell’espressione genica avviene su 4 livelli: - Trascrizione genica differenziale (geni attivati o repressi) - Maturazione selettiva dell’RNA nucleare, non maturo, in mRNA (geni tessuto-specifici) - Traduzione selettiva degli mRNA (attivazione o inibizione della traduzione in proteina attraverso dei sistemi di regolazione) - Modificazione selettiva delle proteine (forma attiva o inattiva) Questi sono i quattro grandi meccanismi di regolazione che devono essere considerati per capire l’espressione differenziale genica che porta alla creazione di molte tipologie cellulari a partire da un’unica cellula. Il fatto che il DNA non venisse mai perso durante le replicazioni ha trascorsi lontani e sono dovuti agli studi effettuati sulla Drosophila, un organismo il cui genoma è stato completamente codificato e che durante le sue duplicazioni non perde mai il materiale genetico e crea dei cromosomi molto lunghi chiamati CROMOSMI POLITENICI. Poi con l’avvento di coloranti specifici per i cromosomi (bandeggio, colorazione Giemsa) o l’avvento delle ibridazioni in sito degli acidi nucleici che si è anche confermata questa teoria di conservazione dell’intero patrimonio genetico di una cellula all’interno del nucleo nonostante la differenza di tipologia cellulare. Ma dobbiamo arrivare al 1895 con l’embriologo Delage il quale per primo ipotizzò l’idea che se noi prendiamo una cellula somatica, preleviamo il suo nucleo e lo trasferiamo all’interno del citoplasma di una cellula uovo, pur derivando da una cellula somatica differente la cellula uovo con il nuovo nucleo (ovviamente enucleata del suo) è in grado di dare origine ad un nuovo organismo senza alterazioni. Questa idea ipotizzata da Delage venne confermata da due ricercatori, Briggs e King nel 1952, i quali dimostrarono che i nuclei di cellula di una blastula potevano dare origine a dei girini completi se venivano trasferiti nel citoplasma di rana attivato e provato del nucleo. Da qui deriva il concetto di CLONAZIONE, trasferimento del nucleo somatico di una cellula in una cellula uovo. Negli anni 90 infatti avremo la nascita del primo organismo clonato, la pecora Dolly. Cosa hanno fatto gli scienziati per creare Dolly? Non è 1 stato un unico tentativo riuscito, è stato l’unico su 434 tentativi. Questi scienziati, sempre sulle orme di Delage, King e Biggs, hanno prelevato cellule della ghiandola mammaria di un individuo ovino e ne hanno prelevato i nuclei somatici con corredo cromosomico diploide. Li hanno poi trasferiti nei citoplasmi di oociti provenienti da un altro animale della stessa specie enucleati. Quindi si aveva una cellula uovo enucleata con un nucleo somatico di altre tipologie cellulari. La cellula così creata ha prodotto cellule figlie creando un inizio di blastule (le prime cellule embrionali) e l’embrione è stato impiantato nell’utero di una pecora che ha trattenuto l’impianto e ha dato origine a una su 434 oociti clonati. Quindi solo una su 434 oociti è riuscita a svilupparsi senza alterazioni dando origine ad un embrione clonato. Dolly è morta all’età di 6 anni non per alterazioni dovute al suo strano modo di essere concepita ma per cause polmonari non correlate alla sua nascita. Questo conferma i postulati enunciati prima. Per capire come viene regolata l’espressione genica differenziale dobbiamo riprendere quella che è l’anatomia genica e come sono strutturati questi geni all’interno del nucleo. Dobbiamo parlare quindi dell’organizzazione del DNA. La cromatina è un ‘organizzazione del DNA che si associa a delle proteine istoniche, che sono delle proteine basiche (altrimenti l’interazione non può avvenire). In realtà il DN si associa ad u core istonico costituito da 8 istoni, si avvolge ad ogni ottamero per 2,5 giri e va a costituire l’unità strutturale della cromatina, ossi il nucleosoma. Più nucleosomi tra di loro sono legati da tratti di DNA nudo e costituiscono un filamento lineare di cromatina che prende il nome di eucromatina, che corrisponde alla trascrizione attiva. Questo perché è in una forma rilassata che permette l’accesso della DNA polimerasi affinché avvenga la trascrizione. Però la maggior parte delle cellule contengono lo stesso patrimonio genetico sotto forma di eterocromatina, ossia cromatina fortemente condensata e non trascrizionalmente attiva (ricordiamo che i cromosomi rappresentano il grado maggiore di condensazione della cromatina). Quanto più è impacchettata tanto meno è accessibile all’apparato della trascrizione. L’ impacchettamento è dovuto alla presenza degli istoni e soprattutto a particolari tratti di queste proteine, ossia le code istoniche, e a modifiche di queste code istoniche. Soprattutto modifiche a carico degli istoni H3 e H4, in particolare sui residui di lisina, possono regolare il rilassamento della cromatina oppure possono condensare i nucleosomi su sé stessi a formare delle strutture complicate non accessibili e quindi responsabili dello stato di repressione trascrizionale del tratto. L’insieme delle modifiche che si verifica a livello delle code istoniche viene denominato come CODICE ISTONICO. Le modiche possono essere acetilazioni, metilazioni, fosforilazioni in particolare sui residui di lisina, ma possono avvenire anche su arginina e serina. - L’acetilazione delle code istoniche avviene ad opera di enzimi particolari, chiamati acetiltransferasi, che aggiungono gruppi -COCH3 carichi negativamente generalmente sulle lisine. L’acetilazione è associata all’attivazione della trascrizione. Quindi le code degli istoni acetilate rilassano il legame tra i nucleosomi e danno accesso all’apparato trascrizionale - La metilazione degli istoni corrisponde all’aggiunta di gruppi -CH3 da parte di enzimi chiamati metiltransferasi istoniche. La metilazione può sia attivare che reprimere la trascrizione in base a quali code istoniche vengono metilate e dei residui di lisina che vengono metilati. Quando sull’istone H3 vengono metilate le lisina in posizione 4, 38 e 79 si verifica un rilassamento dei nucleosomi e quindi è indice di attivazione trascrizionale; quando invece vengono metilate le lisine in posizione 9 e 27 si verifica un impacchettamento della cromatina e quindi diventa meccanismo di repressione trascrizionale Per capire ancora meglio l’espressione di un gene andiamo a capire quali sono le regioni del DNA che portano le informazioni che danno poi inizio a questa espressione differenziale genica. La prima regione che tutti i geni devono possedere è una regione di riconoscimento e di aggancio alla RNA polimerasi; è una regione sul DNA caratterizzata da circa 30 nucleotidi specifici e viene chiamata TATA BOX ed è una regione promotrice. Quindi ogni gene è regolato dalla presenza di una sequenza promotrice, la quale però non si trova sempre vicino al gene ma può trovarsi a migliaia di basi distante dal gene che regola. Le sequenze TATA fungono da promotrici soltanto se sono vicine a sequenze a monte ricche in Guanina e Citosina (le cosiddette isole CpG). Oltre a queste isole CpG devono esserci anche dei siti specifici di legame per fattori di trascrizione che aiutano la RNA polimerasi a posizionarsi nel solco minore del DNA, a stabilizzare i legami della polimerasi con quella sequenza e a dare origine alla trascrizione. Quindi è un complesso di fattori che cooperano per regolare l’espressione genica differenziale. N.B. la RNA polimerasi è una proteina con funzione enzimatica 2 Queste regioni a monte della sequenza TATA insieme alle isole CpG vanno a costituire interamente la regione del promotore, al quale segue una breve sequenza chiamata sequenza a cappuccio che dà inizio alla trascrizione e che è spesso individuata perché contiene un nucleotide modificato, la 7 metil-guanosina. Alla regione di inizio della trascrizione segue poi una tripletta che codifica per l’amminoacido metionina che è sempre il primo amminoacido aggiunto in tutte le proteine. La regione interposta tra la sequenza cappuccio e il codone di inizio (codone ATG) è una sequenza chiamata untraslate region al 5’ ed è una sequenza leader. Quindi riassumendo abbiamo un promotore, una sequenza leader con delle regioni speicifche che codificano per queste strutture (cappuccio, codone di inizio). La sequenza leader non è uguale per tutti i geni. Seguono poi delle regioni di DNA con delle informazioni nucleotidiche per sequenze codificanti un’informazioni, chiamate ESONI, ed altre non codificanti, chiamate INTRONI (possono esserci tanti intorni tra sequenze esoniche). Nel secondo livello di regolazione, cioè nella creazione degli RNA messaggeri, le sequenze esoniche ed introniche sono importanti perché subiscono la rimozione di queste sequenze introniche con un meccanismo di splicing. Però la stessa sequenza genica può dare origine a tanti mRNA diversi grazie ad un meccanismo di splicing alternativo, che togliendo i vari introni può unire esoni differenti e dare origine a proteine diverse chiamate isoforme. Oltre agli esoni e agli introni proseguendo dall’estremità 5’ verso la regione 3’ riconosciamo una sequenza di terminazione della trascrizione che è sempre caratterizzata dalla sequenza TAA, segue poi una regione di nucleotidi che viene trascritta ma non tradotta in proteina ma è ricca di tanti nucleotidi che costituiscono la cosiddetta poliadenilazione. La poliadenilazione all’estremità 3’ ha un’azione nello stabilizzare l’RNA che si crea, nel trasferire l’mRNA dal nucleo al citoplasma per essere poi tradotto e consente la traduzione della proteina, perché il filamento di mRNA non caratterizzato dalla presenza dei residui di poliadenina non viene tradotto. Infine poi abbiamo una sequenza di terminazione della trascrizione che può anche continuare per migliaia di basi dopo il sito di poliadenilazione. La polimerasi per legarsi alla TATA BOX ha bisogno di fattori trascrizionali (es. tata binding protein) e soprattutto di proteine che legano la TATA BOX alla polimerasi per dare la possibilità alla RNA polimerasi di legarsi in modo specifico. Inoltre ci sono delle regioni specifiche sul DNA che regolano in cis l’attivazione del promotore e sono chiamati regolatori o sequenze enhancer. Perché è importante la presenza dell’enhancer? Perché la sequenza TATA può essere presente anche a migliaia di basi distante dalla sequenza che codifica l0intero gene e grazie anche al ripiegamento del DNA, queste regioni enhancer posssono regolare anche i promotori posti a distanza notevole dal gene. Le sequenze enhancer si possono trovare a monte del promotore, a valle del promotore, all’interno di sequenze introniche e sono importanti perché con la collaborazione tra fattori di trascrizione portano all’espressione tessuto-specifica e tempo-specifica. Uno dei principali metodi di identificazione degli enhancer consiste nel clonare le sequenze di DNA fiancheggianti il gene di interesse e fonderle con un gene reporter (es. LacZ, GFP etc...). I costrutti così creati possono essere inseriti in embrionie si può controllare l’espressione del gene reporter (es. EhnancerMyf5/LacZ nell’embrione di topo o ehnancer Cristallina/GFP nell’embrione di Xenopus Tropicalis. Le sequenze degli enhancer sono le stesse in ogni cellula, ciò che cambia è il modo diverso in cui si combinano i fattori di trascrizione che li legano. Ad esempio il gene Pax6 è espresso nella cornea, nel pancreas e nel tubo neurale e possiede diversi enhancer che ne regolano l’espressione differenziale. Nel casi di Pax6 gli ehnancer sono leggermente diversi perché contengono delle seuqneze che riconoscono fattori di trascrizione differenti; nella cornea, sempre grazie al costrutto lac-Z e beta-galattosidasi, si è potuto stabilire che Pax6 nella cornea necessita di fattori di trascrizione specifici quali Pbx1 e Mec1, mentre per farlo esprimere nel pancreas ha bisogno di altri fattori di trascrizione quali Pbx1 e Meis. Pax6 regola l’espressione del gene della somatostatina nel pancreas collaborando conPdx1 (specifico dell’endoderma pancreatico) e Pbx1. Quindi ehnancer diversi che regolano lo stesso promotore significa che si parla di modularità degli ehnancer , mentre i fattori di trascrizione devono essere combinatoriali ed è l’associazione della modularità insieme alla combinatorialità che guida l’espressione genica differenziale. Per quanto riguarda l’espressione di Pax6 a livello della cornea del cristallino è necessario Sox che si deve complessare con il fattore L-Maf (entrambi si devono legare all’ehnancer affinché Pax possa essere trascritto). I fattori di trascrizione oltre a riconoscere le sequenze ehnancer specifiche, sono necessari nel formare il complesso di inizio per la trascrizione. Normalmente questi fattori devono avere delle sequenze per legarsi a domini differenti sul DNA. Infatti, i fattori di trascrizione possono presentare fino a tre domini differenti: - Dominio di legame al DNA; 3 - Dominio di attivazione in trans(che attiva o reprime la trascrizione) e consente al fattore di trascrizione di interagire con proteine coinvolte nel legame con la RNA polimerasi; - Dominio di legame proteina-proteina(es: con altri fattori di trascrizione proteine che modificano gli istoni) Ritornando alle modificazioni degli istoni, alcune di queste possono portare al reclutamento di alcune proteine particolari che sono in grado di conservare la memoria dell’attivazione o della repressione trascrizionale durante le divisioni mitotiche e la trasferisce poi di generazione in generazione. Tali proteine si legano ai nucleosomi modificati e si dividono in due famiglie: - Trithorax, legano l’eucromatina e mantengono i geni in uno stato attivo; - Polycomb, legano nucleosomi condensati e mantengono i geni in uno stato inattivo Le proteine Trithorax contrastano l’effetto delle Polycomb modificando i nucleosomi o alterando le loro posizioni sulla cromatina, rilassandola. Altre proteine di questa famiglia mantengono l’istone H3K4 in uno stato trimetilato (attivo), impedendo la sua dimetilazione e quindi mantiene la cromatina sempre in uno stato lineare accessibile all’apparato trascrizionale (stato represso). Le proteine Polycomb fanno parte di due categorie che agiscono sequenzialmente per reprimere la trascrizione: - Il primo gruppo agisce come una metilasi istonica che metila le lisine H3K27 e H3K92. - Il secondo gruppo legano le code dell’istone H3 metilate ed amplificano la repressione anche ai nucleosomi adiacenti Oltre alla memoria epigenetica, oltre agli ehnancer, sono presenti dei fattori che riescono ad individuare le regioni promotrici che sono poche accessibili quando la cromatina è fortemente impacchettata. I master gene regulator sono fattori di trascrizione in grado di scovare all’interno di un DNA altamente compattato il loro sito di binding e dare il via ad una serie di meccanismi in grado di consentire, da quel momento in poi, l’instaurarsi di discendenze cellulari. L’esempio più principale è quello di MyoD. L’attivazione trascrizionale di MyoD che regola lo sviluppo del tessuto muscolare è inibita dalla presenza di una proteina inibitrice che inibisce l’attività di un fattore trascrizionale importante per lo sviluupo che è il Pbx. Pbx è un fattore di trascrizione che svolge un ruolo chiave nello sviluppo muscolare. È in grado di scovare il suo binding site e fungere da segnalatore molecolare per un altro master regulator della linea muscolare a livello embrionale, MyoD. MyoD non può legare il DNA in assenza di Pbx, il quale si lega ad elementi adiacenti alle sequenze riconosciute da MyoD. MyoD quando si combina con un altro fattore di trascrizione, E12, può associarsi alla proteina Pbx. In seguito, E12 recluta l’acetiltransferasi p300/pCAF che rilassano la cromatina e danno il via al differenziamento muscolare. Questo è solo un esempio per capire come la presenza di fattori trascrizionali e di master regulator gene sono importanti per attivare la trascrizione di un gene in un tratto di DNA che è condensato. Questo significa che i master regulator gene sono responsabili del cambiamento conformazionale della cromatina, passa da eterocromatina ad eucromatina a seconda del segnale che ricevono. (sappiamo infatti che la cromatina non rimane sempre nello stesso modo, ma passa da eterocromatina ad eucromatina e viceversa, tranne l’eterocromatina costitutiva che ritroviamo nel corpo di Bhar delle cellule femminili. 4 Oltre ai master regulator gene, dobbiamo avere un meccanismo di regolazione che impedisce l’anomala trascrizione di geni in tessuti che non devono esprimere quel gene, sono le cosiddette sequenze silenziatrici o silencer. Devono essere presenti perché come nel caso del promotore L1 che deve essere attivato solo nei neuroni, però la sequenza del gene è presente in tutte le cellule somatiche, però è espresso solo nei neuroni perché solo nei neuroni è presente questa sequenza segnale specifica che dice che quel promotore può essere attivato ed espresso; nelle altre cellule somatiche non è presente. Anche in questo, questi elementi sono stati individuati per la prima volta nel topo e sono chiamati elementi silenziatori o NRSE, e trascrivono per dei fattori di trascrizione inibitori chiamati REST (sempre attraverso costrutti con lac-Z e il promotore di L1 si è potuto stabilire che la sequenza repressiva è necessaria affinché lo sviluppo del sistema neurale si abbia solo nel tessuto neurale. Se viene costruito un costrutto contenente una porzione della sequenza regolatrice del promotore L1 necessario per lo sviluppo dell’encefalo fuso con il gene reporter Lac-Z in presenza della sequenza silenziatrice NRSE, poi traferito in embrioni di topo, il promotore viene attivato esclusivamente dove deve essere attivato; se invece il promotore viene fuso con il Lac-Z in assenza della sequenza silenziatrice il promotore sarà espresso in tanti punti, ma sarà un’espressione anomala (ci sarà lo sviluppo del tratto encefalico anche nel cuore, nella parte ventrale del tronco e negli arti); il colore blu del Lac-Z è molto diffuso nell’embrione nella situazione anomala. Quindi i silncer sono necessari per reprimere selettivamente un gene in cellule che non devono esprimere quel gene. Ora ci si chiede come può una cellula del cristallino rimanere tale e non attivare i geni specifii del muscolo, come possono essere le cellule soggette a cicli di mitosi e a conservare ancora le loro caratteristiche differenziate, come viene stabilizzato di generazione in ginerazione il profilo della trascrizione genica all’interno di un organismo? La riposta a tutte queste domande è il PROCESSO DI METILAZIONE DEL DNA. La metilazione del DNA è un processo attraverso il quale una cellula è in grado di conservare la sua memoria epigenetica attraverso numerosi cicli di mitosi e preservare così le proprie caratteristiche differenziate. In generale, i promotori di geni inattivi vengono metilati in corrispondenza dei loro residui di citosina e la metilcitosina che si viene a formare stabilizza il nucleosoma impendendone l’accesso all’apparato trascrizionale. Tale conversione può avvenire solo in corrispondenza di un’isola CpG ad opera di enzimi chiamati DNA metiltransferasi e quando un promotore viene metilato è inattivato. Ma la metilazione del DNA è reversibile e può modificarsi nel corso dello sviluppo, come nel caso dell’espressione delle catene globiniche. Durante lo sviluppo embrionale il promotore del gene per le catene globiniche non è metilato e a 6 settimane di sviluppo viene trascritto il gene della globina embrionale; a 12 settimane il promotore viene metilato per cui il gene per la globina embrionale viene represso e viene attivato invece il gene per la gamma- globina che è la globina fetale (quindi a seconda del periodo abbiamo un’espressione diversa). Quindi la metilazione regola l’attivazione o la repressione temporale di un gene. La metilazione del DNA è in grado di inibire la trascrizione attraverso diversi meccanismi: - Alcuni fattori di trascrizione non sono più in grado di legare le sue sequenze regolatrici in presenza di citosine metilate; - La metilcitosina è in grado di reclutare a livello dei nucleosomi metiltransferasi che aggiungono la metil-CP2 che rinconsce le metilcitosine presenti su un filamento e recluta altri enzimi per inibire ulteriormente la trascrizione, o deacetilasi. Tra le DNA-metiltransferasi più importnati abbiamo la DNA-metiltransferasi 3 e la DNA- metiltransferasi 1. La 3 è quella che inserisce ex ovo dei gruppi metili sulle citosine che verranno poi trasmesse nelle generazioni successive, mentre la 1 agisce allo stesso modo ma essa riconosce le metilcitosine su un filamento ed appone gruppi metili sulle citosine del filamento opposto di DNA (per questo le metilazioni avvengono su isole CpG), riuscendo in tal modo a tramandare il messaggio alle cellule figlie. Tutto questo rappresenta il primo livello di regolazione; poi abbiamo la maturazione selettiva dell’RNA nucleare. L’RNA primario nucleare deve essere trasformato in trascitto maturo, deve poter uscire dal nucleo e arrivare nel citoplasma, deve essere tradotto e deve dare una proteina funzionanate, che è regolata a sua volta da modificazioni post- traduzionali (fosforilazione, acetilazioni, ripiegamento). A tutti questi livelli ci sono sistemi di regolazione. 5 Il primo è lo SPLICING, ossia le sequenze introniche vengono eliminate ad opera di enzimi che riconoscono dei siti di taglio al 5’ e al 3’ per poter eliminare le regioni non codificantie poi unire gli esoni (attraverso le ligasi). In realtà il processo di splicing avviene ad opera di proteine speficiche che si legano a dei piccolo RNA chiamati snRNA (small nuclear RNA) e formano quello che è lo spliceosoma. Si produrrà a questo punto un mrna che traslocherà al nucleo sotto forma di una sequenza leggibile ma la presenza dello splicing alternativo può consentire anche la rimozione di alcuni tratti codificanti; quindi l’unione combinatoriale esonica fa sì che si creino dallo stesso gene e dallo stesso trascritto primario più mrna che codificano per proteine diverse, che in alcuni casi hanno anche funzione completamente diversa. È il caso del gene Bcl, che dà origine a due trascritti diversi; una forma più lunga di mrna che codifica per una proteina chiamata BclXL e una forma più corta (vengono tagliate anche sequenze codificanti) che codifica per una proteina chiamata BclXS. Nella cellula BclXL ha una funzione antiapoptotica (protegge le cellule dall’attivazione della morte cellulare), mentre BclXS ha una funzione proapoptotica (attiva la morte cellulare programmata). Un altro caso è quello della miostatina. La miostatina normalmente viene espressa a livello del tessuto muscolare nei petti di pollo. Uno splicing alternativo che lascia una breve sequenza intronica nell’ mrna della miostatina produce una proteina non funzionante che tradotto nello sviluppo dell’organismo porta ad una ipertrofia muscolare del petto di pollo. C’è una mutazione nello spliceosoma che non riconosce esattamente le sequenze introniche lasciando un pezzo intronico che contiene un codone di terminazione che termina in modo prematuro la trascrizione. Un altro esempio è quello del gene Dscam1 della Drosophila. Questo gene dà origine a 30.016 forme di splicing alternativo differenti. Questo perché la Drosophila è molto piccola e contiene solo 14.000 geni totali. Dscam1 impedisce ai dendriti della stessa cellula neuronale di non prendere contatti tra di loro. Consideriamo la miriade di neuroni che ci sono all’interno del piccolo organismo per giustificare le isoforme di splicing alternativo che devono essere create per mantenere questo stato. Una volta che è stato creato l’mrna deve essere trasportato nel citoplasma per essere poi tradotto. Attraverso lo spliceosoma l’mrna viene ancorato ai pori nucleari e si trasferisce nel citoplasma. Nonostante sia arrivato nel citoplasma però non è garantita la sua traduzione in proteina perché a questo livello, un ulteriore livello di regolazione, ci dice se l’mrna può o meno essere tradotto. Se l’mrna è stabile può essere tradotto. La stabilità dell’mRNA dipende da alcune sue strutture peculiari: La coda di poli(A) al 3’ UTR; Il cap di m7G al 5’ UTR. L’mRNA forma strutture circolari chiuse. Il capal 5’ si associa al fattore eucariotico di inizio della traduzione 4E (eIF4E), una proteina che lega eIF4A(unaelicasi) edeIF4Gche consente il legame con la subunità ribosomiale minore 40S. Anche la proteina che lega la coda dipoli(A) (PABP) si lega aeIF4G, consentendo la circolarizzazione. La circolarizzazione è un meccanismo di salvaguardia dell’mrna dall’azione di enzimi che lo possono degradare e se arriva un segnale che sblocca questa circolarità ci dice che l’RNA può essere tradotto. Negli oociti di alcuni anfibi, le estremità 5’ e 3’ del messaggero sono legate insieme da una proteina detta Maskin.Maskin si lega da un lato alla proteina citoplasmatica legante l’elemento dipoliadenilazione (CPEB) attaccata alla sequenza UUUUAU al 3’ UTR, e dall’altro alla eIF4E, impedendo il legame con eIF4G. In tale configurazione l’mRNA non può essere tradotto. Dopo stimolazione con progesterone degli oociti, una chinasi fosforila CPEB che recluta il fattore di specificità di taglio e poliadenilazione(CPSF). CPSF recluta la poli(A) polimerasi che allunga la coda di poli(A) per 200-300 residui. Tali adenine vengono legate dalle PABP che stabilizzano eIF4G e dare inizio alla traduzione. Poi ci sono i micro-RNA o RNA interference che regolano l’espressione o l’inibizone di una proteina. I miRNA legano sequenze nel 3’ UTR