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2021
Bonelli-Romagnolli
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Questo documento presenta un'introduzione alla biochimica, focalizzandosi sugli elementi di bioenergetica e sul primo principio della termodinamica. Esplora concetti come i sistemi aperti e isolati, e come gli organismi viven ottengono energia attraverso processi biologici e chimici. Sono inclusi esempi di organismi fotosintetici e chemiotrofi.
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1.biochimica 03.03.2021 ELEMENTI DI BIOENERGETICA: 1° PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA La biochimica è una branca della biologia che si occupa di studiare innanzitutto i...
1.biochimica 03.03.2021 ELEMENTI DI BIOENERGETICA: 1° PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA La biochimica è una branca della biologia che si occupa di studiare innanzitutto i componenti chimici degli organismi viventi (argomento già affrontato nella chimica organica), ma soprattutto tutta quella serie molto vasta di processi e di reazioni che permettono all'interno di organismi viventi e delle cellule di trasformare costantemente questi composti organici gli uni negli altri. Per molto tempo si è pensato che le reazioni che avvenivano all'interno degli organismi viventi potessero avvenire solo ed esclusivamente all'interno di cellule viventi. Questa idea è stata sfatata nel 1828 quando, per la prima volta, è stato possibile sintetizzare un composto organico, l’urea, il prodotto finale del catabolismo degli aminoacidi. È stato possibile sintetizzarla in vitro (cioè in un tubo di vetro, in un sistema completamente artificiale con componenti purificanti: si è visto che le reazioni che avvenivano all’interno degli organismi viventi potevano essere riprodotte artificialmente e dunque si può considerare questa la data di inizio della biochimica. Da un punto di vista biochimico, le molecole contenute all'interno degli organismi viventi possono essere fondamentalmente distinte in due grandi classi: le grandi molecole che vengono dette macromolecole biologiche: sono molecole grosse e complesse, ne sono un esempio gli acidi nucleici le proteine e i lipidi complessi. (Molecole già apprese durante il corso di chimica organica). tutti i composti a basso peso molecolare più semplici (glucosio, glicerolo, gli acidi grassi, gli aminoacidi…) che vengono detti metaboliti: sono i mattoni costitutivi che servono per formare le grandi macromolecole biologiche e che a loro volta si originano quando queste macromolecole biologiche vengono suddivise nei loro componenti più semplici. L'insieme di tutti questi processi biochimici che permettono ad un organismo di sintetizzare e demolire i propri componenti chimici prende il nome di metabolismo, quindi una buona parte dello studio della biochimica si occupa proprio di studiare il metabolismo degli organismi viventi. A sua volta il metabolismo può essere suddiviso in due grosse branche: 1. l'anabolismo: comprende tutti i processi biosintetici cioè tutti i processi di sintesi delle grosse macromolecole a partire dai metaboliti dal componente più semplice; 2. il catabolismo: comprende tutti i processi degradativi che portano alla degradazione delle grosse macromolecole biologiche nei componenti più semplici, che possono essere poi riutilizzati in vario modo. LAVORO ED ENERGIA Un concetto fondamentale è che gli organismi viventi, dalle cellule più semplici agli organismi pluricellulari più complessi, per poter rimanere vivi e per poter svolgere tutte le loro funzioni vitali (potersi riprodurre, accrescere, adattare all'ambiente…), devono costantemente compiere un lavoro. Il più semplice da comprendere intuitivamente è il lavoro meccanico durante la contrazione muscolare dei muscoli scheletrici striati volontari, però costantemente c'è anche la contrazione della muscolatura liscia, quella involontaria e a livello cellulare tutto l'insieme dei movimenti cellulari. Poi è necessario un lavoro per il trasporto attivo di molecole e ioni attraverso le membrane cellulari e le membrane biologiche in generale: le membrane cellulari sono delle membrane semipermeabili per cui c'è costantemente un passaggio secondo gradiente, quindi che non richiede energia (un trasporto passivo di molecole attraverso queste membrane biologiche). Gli organismi e le cellule per poter vivere hanno bisogno anche di un trasporto attivo, vale a dire contro gradiente, da dove determinate sostanze sono più diluite a dove sono più concentrate, e questo trasporto attivo invece richiede energia e avviene attraverso un lavoro. Vi è poi tutto l'insieme dei processi biosintetici: la sintesi delle biomolecole, delle macromolecole a partire dai metaboliti più semplici richiede un lavoro e quindi richiede energia. Bonelli-Romagnolli 1.biochimica 03.03.2021 L’energia è quindi la grandezza fisica che indica la capacità di un corpo, di un sistema fisico di compiere un lavoro, a prescindere dal fatto che tale lavoro sia o possa essere effettivamente svolto. Gli organismi viventi ottengono energia attraverso due modalità: 1. organismi fotosintetici o fototrofi: si pensi alle piante, che ottengono l'energia dalla luce solare attraverso un processo di fotosintesi clorofilliana 2. organismi chemiotrofi: ottengono l'energia attraverso l'ossidazione, cioè una combustione di sostanze nutritive, che possono essere state generate o direttamente dai fototrofi (organismi erbivori), oppure da altri chemiotrofi di cui si nutrono gli organismi carnivori. Durante il corso si cercherà di capire bene in dettaglio perché le ossidazioni biologiche sono reazioni che liberano una grande quantità di energia. SISTEMA Un sistema è una porzione ben definita, cioè dotata di confini chiari precisi, una porzione dell'universo. Le dimensioni non contano: si può trattare di un sistema molto piccolo, si pensi ad una cellula, ma anche a sistemi ancora più piccoli (addirittura l'atomo può essere considerato sistema), oppure sistemi più grossi (un organismo pluricellulare). Un sistema può anche essere un ecosistema, o la terra nel suo insieme, il sistema solare o anche l'universo nel suo insieme. Ciò però che caratterizza un sistema è il fatto di essere una porzione di spazio definito, delimitato da confini ben precisi. Un sistema può essere isolato o aperto. Un sistema isolato non scambia né energia né materia con l'ambiente circostante, mentre un sistema aperto scambia energia e materia con l'ambiente circostante. Tutti gli organismi viventi sono considerati dei sistemi in quanto hanno dei confini ben delimitati e sono sistemi aperti, perché scambiano sia energia che materia con l'ambiente circostante. CONCETTI DI TERMODINAMICA Alcuni concetti di termodinamica sono indispensabili per comprendere la bioenergetica, vale a dire le modalità attraverso le quali gli organismi ottengono e utilizzano l'energia. La biochimica non si occupa solamente di studiare da un punto di vista della materia le reazioni che costantemente avvengono all'interno delle nostre cellule e del nostro organismo, ma si occupa anche dell’energia, cioè come gli organismi ottengono l'energia necessaria affinché queste reazioni possano poi realmente di fatto avvenire. Ogni sistema contiene una certa quantità di energia che viene definita energia interna indicata con E. Questa energia comprende: l'energia cinetica di traslazione di atomi e molecole (in un gas o in un liquido gli atomi e le molecole sono costantemente in movimento e si spostano), l'energia di vibrazione e rotazione degli atomi, l'energia immagazzinata nei legami chimici di tipo covalente tra gli atomi, l'energia dei legami non covalenti quindi di tipo elettrostatico (forze di Van der Waals, interazioni idrofobiche…) energia immagazzinata nel nucleo atomico, questa però è una forma di energia di cui non si occupa il corso perché nessuna reazione di tipo chimico o biochimico influenza o modifica l'energia immagazzinata nel nucleo atomico. Questa parte si focalizza momentaneamente sull’energia immagazzinata nei legami chimici tra gli atomi, quindi legami di tipo covalente con messa in comune di elettroni e nei legami non covalenti tra le molecole o tra gli ioni. Questa energia viene definita energia di legame. L'energia di legame convenzionalmente viene definita positiva e si può considerare come il lavoro meccanico che deve essere compiuto per vincere le forze che tengono unite l'oggetto. In concreto vuol dire che se due atomi sono legati insieme da un legame chimico molto forte questo legame ha un contenuto energetico maggiore rispetto a un legame chimico più debole perché è Bonelli-Romagnolli 1.biochimica 03.03.2021 necessario compiere un lavoro maggiore, quindi fornire maggiore energia, per separare i due atomi tra di loro. Già attraverso lo studio della fisica si sa che l'energia interna di un sistema è un parametro che può essere calcolato in maniera precisa conoscendo almeno due delle tre variabili del sistema, che sono la temperatura, la pressione, il volume e poi la quantità di tutte le sostanze presenti, cioè la quantità di atomi di materia presente in quel sistema. L'energia viene misurata in joule, però per il calore che è una forma di energia è ancora spesso usata anche nei libri di testo la caloria (in questo caso si tenga presente che 1 cal corrisponde approssimativamente a 4,18 joule). È stato detto che in un sistema aperto possono esserci delle variazioni sia di materia che di energia con l'ambiente circostante; Adesso la spiegazione si concentra sulle variazioni di energia. PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA Un sistema aperto può veder variare la propria energia interna solamente attraverso due meccanismi: 1. il sistema può cedere o acquisire calore 2. il sistema può compiere un lavoro sull'ambiente, cioè si espande, o viceversa può ricevere un lavoro dell'ambiente circostante nel caso venga compresso. Queste sono le uniche due modalità (quindi scambi di calore e scambi di lavoro) attraverso le quali un sistema aperto può veder variare la propria energia interna e questo rappresenta nella sua forma più semplice il primo principio della termodinamica. Ogni volta che un sistema compie un lavoro sull’ ambiente esterno, cioè si espande oppure cede calore all'ambiente esterno, quindi si raffredda, il sistema cede energia e quindi l'energia interna di quel sistema diminuisce. Se invece avviene l’inverso, quindi viene compiuto un lavoro compiuto su quel sistema che viene compresso, oppure il sistema assorbe calore dall' ambiente esterno, questo assorbe energia e quindi l'energia interna del sistema aumenta. Il lavoro compiuto sul sistema o dal sistema viene indicato come W, il calore assorbito o ceduto dal sistema viene indicato con Q. Si può allora calcolare una variazione dell'energia interna indicato come: ∆E = Q+W (equazione del primo principio della termodinamica) Il primo principio della termodinamica indica che l'energia interna di un sistema aperto può variare, ma che questa energia non può essere né creata dal nulla né distrutta, semplicemente può essere trasformata da una forma ad un'altra o può essere trasferita. Come appena visto l’energia può essere ceduta o acquisita dall' ambiente circostante, quindi il primo principio della termodinamica è un principio di conservazione dell’energia. L'energia si trasforma e si trasferisce, ma non si crea dal nulla. Se una cellula o un organismo hanno bisogno di energia per svolgere tutte le proprie funzioni vitali (come si è visto prima accrescersi, muoversi, riprodursi, riparare a lesioni, adattarsi agli shock…), potranno acquisire questa energia dall’ ambiente circostante o sotto forma di radiazione luminosa di luce solare, oppure di energia immagazzinata nei legami chimici delle sostanze nutritive che vengono introdotti con l'alimentazione. Poi questi organismi o queste cellule potranno convertire l’energia in forme che siano più adatte agli scopi per cui sono richieste. In ogni caso nessuno organismo potrà mai creare dal nulla l'energia o distruggere l’energia che hanno acquisito dall’esterno. Banalmente questo significa che non è ipotizzabile da un punto di vista termodinamico un organismo che sia vivo, quindi che svolga tutte le proprie funzioni vitali, ma che non riceva energia sotto forma di luce o sotto forma di alimentazione. Bonelli-Romagnolli 1.biochimica 03.03.2021 ENTALPIA Le reazioni biochimiche avvengono a pressione costante, che corrisponde alla pressione atmosferica del luogo dove avvengono. Di conseguenza la maggior parte o la quasi totalità delle reazioni di cui si occupa la biochimica avvengono senza che ci sia una variazione di lavoro, cioè senza che venga compiuto un lavoro o venga ricevuto un lavoro dell'ambiente circostante. Quindi nell'ambito della biochimica, più che prendere in considerazione la variazione di energia interna del sistema, spesso si preferisce prendere in considerazione un secondo parametro che è l' entalpia, indicato come H. Le variazioni dell' entalpia riflettono la produzione o l’assorbimento di calore in una reazione a pressione costante. L’entalpia può essere considerata come il contenuto termico, cioè il contenuto di calore del sistema. Se una reazione rilascia calore viene definita esotermica: in questo caso la differenza di entalpia indicato come ∆H è negativa, perché ovviamente l'entalpia dei prodotti è minore di quella dei reagenti; se invece una reazione assorbe calore viene definita endotermica e in questo caso l'entalpia dei prodotti è maggiore di quella dei reagenti e quindi il ∆H è positivo. La differenza tra la variazione di energia interna e la variazione di entalpia (rappresentata nell’immagine accanto) consiste nel fatto che la variazione di energia interna tiene conto degli scambi tra il sistema e l'ambiente circostante, scambi che sono sia scambi di calore (Q) sia scambi di lavoro (W); viceversa la differenza di entalpia tiene conto solamente degli scambi di calore (Q). Siccome però la maggior parte delle reazioni biochimiche avvengono a pressione costante e non comportano scambi di lavoro con l'ambiente esterno (perché normalmente le reazioni biochimiche non comportano la produzione di gas o l’assorbimento di gas che farebbero variare il volume del sistema e quindi comporterebbero una variazione anche di lavoro rispetto all'ambiente circostante), alla fine si può considerare la variazione di lavoro (∆W) come trascurabile. A questo punto si considera con una buona approssimazione che la variazione di energia interna di una reazione biochimica può essere equiparabile alla variazione di entalpia della reazione stessa. In ambito biochimico quindi le variazioni di entalpia sono di fatto equivalenti alle variazioni di energia interna di quel sistema. Bonelli-Romagnolli 2.biochimica 10/03/2021 ELEMENTI DI BIOENERGETICA: 2° PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA, ENERGIA LIBERA DI GIBBS Il primo principio della termodinamica, trattato nella lezione precedente, è semplicemente una regola di contabilità dell’energia: durante una trasformazione chimica o una reazione, l'energia può essere trasformata, può essere trasferita ma non si crea e non si distrugge. Il primo principio della termodinamica non è in grado di rispondere a una domanda molto importante in biochimica: che cos'è che determina la direzione preferenziale di una determinata reazione? Ad esempio, se un cubetto di ghiaccio viene lasciato a temperatura ambiente (circa 25 °), dopo un certo periodo sarà completamente fuso e quindi si potrà osservare una macchia di acqua. Allo stesso modo, se ad un pezzo di carta viene dato fuoco si libera CO2, H2O e una grande quantità di energia. La direzione in cui queste due reazioni procedono spontaneamente è facilmente intuibile, perché questi due esempi sono situazioni normali che si affrontano tantissime volte nel corso della vita. Tuttavia, se si osserva una delle reazioni alla base della chimica, ovvero la reazione attraverso la quale il glucosio reagisce con il fosforo per formare un composto chiamato glucosio-6-fosfato, non è facilmente intuibile determinare la direzione spontanea della reazione. Infatti, è difficile determinare se spontaneamente, nelle nostre cellule avviene la reazione diretta, ovvero il glucosio reagisce col fosfato a formare il composto finale, oppure se, al contrario, il glucosio-6-fosfato spontaneamente si scinde a formare glucosio e fosfato. In una prima approssimazione si potrebbe supporre che i sistemi tendano sempre al più basso stato di energia, ovvero che sono privilegiate le reazioni nelle quali si ha una diminuzione delle dell'energia interna del sistema. Ad esempio, nel caso del foglio di carta a cui viene dato fuoco si avrà la liberazione di CO2, di H2O e di una grossa quantità di energia. Pertanto, in questo caso l'energia interna del sistema è diminuita. Tuttavia, una semplice diminuzione dell’energia interna del sistema non è sufficiente per spiegare la totalità delle reazioni chimiche. Infatti, nel caso del cubetto di ghiaccio che si fonde, ciò accade perché viene assorbito calore dall’ambiente circostante. Pertanto, in questo caso, l'energia interna del sistema, cioè dell'acqua, è maggiore di quella del ghiaccio di partenza. Per poter spiegare che cosa determina davvero la direzione spontanea termodinamicamente favorita di una reazione chimica è necessario introdurre il concetto di entropia. ENTROPIA L’entropia, viene indicata con S, è un parametro che misura il grado di disordine di un sistema. Il secondo principio della termodinamica afferma che l'entropia di un sistema isolato tende sempre ad aumentare fino a raggiungere un valore massimale. Tuttavia, i sistemi biologici (le cellule, i tessuti, gli organismi), come visto in precedenza, non sono mai dei sistemi isolati, ma sono dei sistemi aperti, perciò in questi sistemi, a certe condizioni, l’entropia può anche diminuire. La direzione dei processi termodinamicamente favoriti, cioè quelli che avvengono spontaneamente, dipende sia dalle variazioni di energia interna, ΔE o entalpia, sia dalle variazioni di entropia, ΔS. In generale, l'energia tende sempre a diminuire, perciò la differenza di energia interna tende ad essere negativa, mentre l'entropia tende ad aumentare, quindi ΔS tende ad essere positivo. Dal momento che, la direzione di una reazione tiene conto di entrambi i parametri, è necessario introdurre una nuova funzione di stato, cioè un nuovo parametro che tiene conto di entrambi questi fattori: l’l'energia libera di Gibbs, indicata con G, o energia libera. ENERGIA LIBERA DI GIBBS Il concetto fondamentale descritto dal secondo principio della termodinamica afferma che: le reazioni termodinamicamente favorite, cioè quelle che avvengono spontaneamente, sono quelle in cui alla fine si ha una diminuzione dell'energia libera di Gibbs. Ciò che determina una diminuzione Sbobinatore: Laura Garcia Garcia Revisore: Nicolò Vielmi 2.biochimica 10/03/2021 dell’energia libera di Gibbs può essere sia una diminuzione dell'energia interna o entalpia sia un aumento dell’entropia. Si può considerare ΔG, inteso come variazione di energia libera di Gibbs, dato dalla differenza tra l’energia libera dei prodotti e l'energia libera di reagenti: ΔG = G(P) – G(R). Pertanto, se ΔG è negativo, quindi se si è avuta una diminuzione netta dell’energia libera di Gibbs, la reazione decorre spontaneamente da sinistra verso destra. Invece, se ΔG è positivo, maggiore di zero, la reazione decorre da destra verso sinistra. Infine, se ΔG è pari a zero la reazione è all'equilibrio, cioè la quantità di reagente che diventa prodotto è uguale alla quantità di prodotto che torna indietro ridiventando reagente. In questo caso, la reazione è una reazione reversibile all'equilibrio. Se in una reazione vi è una diminuzione della dell'energia interna accompagnata da un aumento dell’entropia, il ΔG sarà necessariamente negativo. Quindi questa reazione sarà sicuramente una reazione spontanea. Invece, se osserviamo la situazione in cui vi è un aumento dell'energia interna accompagnato da una diminuzione dell’entropia, il ΔG sarà sicuramente positivo. Quindi la reazione diretta non è termodinamicamente spontanea favorevole e questa sarà una reazione non spontanea. Tuttavia, vi sono una serie di condizioni intermedie nelle quali la reazione può essere a ΔG negativo, quindi può essere spontanea, anche se vi sono delle diminuzioni dell'entropia o, eventualmente, degli aumenti di energia interna. Ad esempio, in una situazione in cui ad un aumento non molto marcato di energia interna vi sia in contemporanea un aumento molto marcato di entropia, il ΔG sarà comunque negativo perché l'aumento molto marcato di entropia bilancia e annulla il contemporaneo aumento dell'energia interna. Viceversa, nel caso di una reazione nella quale abbiamo una diminuzione molto forte di energia interna, una diminuzione piuttosto modesta di entropia viene mascherata e anche in questo caso il ΔG sarà negativo e la reazione sarà spontanea. Quando il ΔG di una reazione è negativo, la reazione viene definita esoergonica, quindi termodinamicamente spontanea favorita con diminuzione dell’energia interna. Quando il ΔG è positivo, la reazione viene definita endoergonica, quindi termodinamicamente non spontanea, perciò necessita di un apporto energetico dall'esterno perché possa comunque avvenire da sinistra verso destra. Il valore di ΔG indica la direzione spontanea in cui avviene una reazione, ma non dice niente sulla velocità della reazione stessa. Ad esempio, negli enzimi un ΔG anche molto negativo indica che quella reazione è spontanea, quindi termodinamicamente favorevole, ma questa può essere comunque una reazione che avviene molto lentamente. Considerando l’esempio iniziale del cubetto di ghiaccio si può osservare da un punto di vista termodinamico, perché esso, a temperatura ambiente, si scioglie. Ciò avviene poiché l'energia interna aumenta, infatti è necessaria dell’energia per rompere i legami idrogeno tra le molecole di acqua nel cristallo di ghiaccio e, contemporaneamente, l'entropia aumenta molto di più perché nell’acqua liquida le molecole sono in una situazione infinitamente più disordinata che non nella struttura paracristallina del ghiaccio in cui le molecole sono disposte in una maniera estremamente ordinata. La variazione complessiva di energia libera di Gibbs sarà estremamente negativa poiché l'aumento molto marcato dell’entropia ha permesso di bilanciare e di annullare l'aumento meno marcato dell'energia interna. Il secondo principio della termodinamica afferma che in un sistema chiuso l'entropia deve sempre aumentare. Invece in un sistema aperto (l’entropia), a certe condizioni, può anche diminuire. Ad esempio la cellula sintetizza, a partire da piccoli precursori, macromolecole molto più complesse e molto più grandi con le quali poi costruisce tessuti, organi e organismi nella loro interezza. In questi processi l'entropia diminuisce enormemente, e, contemporaneamente, si ha anche una diminuzione molto marcata dell’energia interna. Quindi, anche in questo caso, il ΔG risulterà negativo e per questo motivo queste reazioni avvengono spontaneamente. Da un punto di vista più ‘‘filosofico’’, si Sbobinatore: Laura Garcia Garcia Revisore: Nicolò Vielmi 2.biochimica 10/03/2021 può affermare che l'entropia a livello locale, in un sistema aperto diminuisce sempre a scapito di un aumento a livello generale dell'universo dell'entropia stessa. Pertanto, il secondo principio della termodinamica viene sempre mantenuto. Come detto precedentemente, le reazioni che hanno una ΔG positivo sono delle reazioni endoergoniche, quindi sono delle reazioni termodinamicamente sfavorite e che non dovrebbero avvenire e che non avvengono spontaneamente. Tuttavia, nelle nostre cellule avvengono anche moltissime reazioni che, se prese singolarmente, sono reazioni con ΔG positivo. Per spiegare come sia possibile questo, osserviamo la seguente immagine. Consideriamo la reazione numero 1, cioè la reazione mediante la quale il glucosio reagisce con il fosfato inorganico e si forma un composto detto glucosio-6-fosfato. La fosforilazione del glucosio è una reazione che presenta un ΔG positivo, quindi una reazione endoergonica e non è una reazione spontanea, ma termodinamicamente sfavorevole. Consideriamo anche la reazione numero 2, cioè la reazione mediante la quale un composto energeticamente molto importante (ATP – adenosintrifosfato) viene idrolizzato in ADP (adenosindifosfato) e in ortofosfato: questa è una reazione che ha un ΔG estremamente negativo, quindi una reazione molto esoergonica. che avviene con liberazione di moltissima energia libera di Gibbs. All’interno della cellula, il glucosio, invece che reagire semplicemente con un fosfato inorganico in una reazione che avrebbe ΔG positivo e che quindi sarebbe sfavorita, reagisce con l’ATP. In questo modo, la variazione complessiva dell’energia libera di Gibbs, nella reazione in cui il glucosio reagisce con l’ ATP e si forma glucosio-6-fosfato e ADP, è data dalla somma del ΔG1 con ΔG2 due e, dal momento che il ΔG2 è molto più negativo di quanto non sia positivo il ΔG finale, la variazione complessiva di energia libera di questa reazione è negativa, quindi la reazione può aver luogo. Nella cellula è molto più importante che il glucosio possa essere fosforilato e diventare glucosio-6-fosfato perché questo è il primo passaggio dell'utilizzo metabolico con fini energetici del glucosio stesso. Questo concetto di accoppiamento energetico tra le reazioni chimiche è un concetto molto importante: quando in una cellula è necessario che avvenga una reazione con ΔG positivo, quindi una reazione termodinamicamente sfavorita, normalmente la cellula fa avvenire questa reazione in contemporanea con una reazione a ΔG estremamente negativo in modo tale che la somma complessiva di variazione dell’energia libera risulti alla fine negativa e la reazione possa avvenire. ΔG può essere calcolato a concentrazione unitaria, cioè a una concentrazione fissa 1M di reagenti e prodotti, a una temperatura di 25 °C e 1ATM pressione. Questo viene definito variazione di energia libera standard ΔG0. Ogni reazione chimica ha un caratteristico valore di ΔG0 e, in biochimica, questi i valori sono espressi come joule/mole. La variazione dell'energia libera standard si ha quando i reagenti e prodotti si trovano alla concentrazione 1 M, questo è un valore che si può facilmente calcolare ed è un parametro che può Sbobinatore: Laura Garcia Garcia Revisore: Nicolò Vielmi 2.biochimica 10/03/2021 essere calcolato per una determinata reazione chimica ed è sempre lo stesso. Il problema è che fa riferimento a condizioni di concentrazione di reagenti e di prodotti che sono assolutamente non fisiologiche. E’ difficile, infatti, che in una normale reazione che avviene all'interno di una cellula i reagenti e i prodotti siano presenti alla concentrazione 1M. Viceversa, la variazione di energia standard reale è la variazione che si ha quando i reagenti e prodotti sono presenti alle concentrazioni fisiologiche reali all'interno di una cellula, il problema però è che calcolare il ΔG reale di una reazione chimica è estremamente difficile perché è difficile calcolare con precisione la concentrazione di determinati reagenti all'interno della cellula e poi perché queste concentrazioni cambiano variano costantemente. Il ΔG di una reazione chimica non ha un valore assoluto, ma dipende dalla concentrazione dei reagenti e dei prodotti. Ad esempio, prendiamo una reazione piuttosto semplice, nella quale i reagenti A e B si uniscono a formare il prodotto AB. Se almeno a concentrazioni molto elevate dei reagenti A e B e a concentrazioni molto basse del prodotto AB, il ΔG è negativo allora la reazione può iniziare e procede sinistra verso destra. Al tempo 1, nella fase iniziale della reazione, si ha un’energia libera di Gibbs complessiva dei reagenti maggiore di quella dei prodotti e perché inizialmente ci saranno molte molecole di reagenti e molte poche molecole di prodotti. Pertanto, l’energia totale dei reagenti sarà sicuramente maggiore dell’energia totale dei prodotti e quindi ΔG sarà sicuramente negativo. Dopo un certo periodo, man mano che la reazione avanza, i reagenti avranno sempre una quantità di energia maggiore rispetto a quella dei prodotti e quindi ΔG sarà comunque negativo. Tuttavia, la quantità di reagenti comincia a diminuire perché stanno reagendo tra di loro, mentre invece la quantità di energia dei prodotti comincia ad aumentare perché cominciano ad aumentare la concentrazione molare dei prodotti stessi. Più la reazione procede e più la quantità di reagenti diminuisce e la quantità di prodotti aumenta, il ΔG continua ad approssimarsi sempre di più allo zero. Sbobinatore: Laura Garcia Garcia Revisore: Nicolò Vielmi 2.biochimica 10/03/2021 Nel sistema tempo 4, la differenza di energia ΔG è pari al zero, anche se non è detto che la quantità di reagenti e quella di prodotti siano uguali, e la reazione è all'equilibrio: la concentrazione dei reagenti e dei prodotti non varia più perché la velocità della reazione diretta e di quella inversa si uguagliano. Qualunque reazione che avviene spontaneamente, cioè con una diminuzione di energia procede fino a quando il valore di ΔG raggiunge lo zero e si stabilisce all’equilibrio. Questo è molto importante perché una reazione che ha ΔG0, quindi variazione di energia libera di Gibbs in condizioni standard, positiva, quindi termodinamicamente sfavorevole, può avvenire comunque all'interno di una cellula perché è molto difficile che all'interno della cellula sia reagenti che prodotti abbiano una concentrazione 1M. Quindi, le reazioni, che si possono trovare indicate ad esempio sui libri, con variazione di energia libera standard ΔG0 positiva nelle cellule posso avvenire spontaneamente, normalmente in condizioni in cui la concentrazione di prodotti è molto bassa e la concentrazione dei reagenti è molto più alta. Tornando alla nostra reazione in cui i reagenti A e B formano il prodotto AB: quando il ΔG diventa pari a zero, la reazione è all'equilibrio, ciò vuol dire che la quantità di molecole di A e b che reagiscono insieme per formare AB è pari alla quantità di molecole di AB che tornano indietro e formano A e B. Apparentemente la reazione si è fermata perché la concentrazione dei due reagenti e del prodotto non variano più, ma in realtà è la velocità della reazione diretta che si eguagliata a quella della reazione inversa. A questo punto è possibile calcolare una costante di equilibrio Keq che è data dal rapporto tra la concentrazione del prodotto rispetto alla concentrazione dei due reagenti. Se Keq è maggiore di 1 significa che all'equilibrio prevalgono prodotti, se è minore di 1 significa che all’equilibrio prevalgono i reagenti, mentre se è pari a 1 significa che all’equilibrio reagenti e prodotti sono presenti nella medesima concentrazione. Nel nostro organismo è importante avere presente che comunque avvengono sempre e solo delle reazioni termodinamicamente possibile, cioè con ΔG complessivo negativo. Questo avviene per i due motivi, che sono stati indicati precedentemente, cioè: Reazioni con ΔG positivo possono avvenire perché vengono fatte accoppiare con reazioni che hanno ΔG molto più negativo, quindi il ΔG negativo bilancia quello positivo. Reazioni che possono avere apparentemente ΔG positivo se misurato in condizioni standard estremamente non fisiologiche, posso avere un ΔG che può risultare negativo in condizioni fisiologiche all’interno della cellula, nella quale normalmente i reagenti sono presenti in concentrazione molto elevata e i prodotti in concentrazioni molto basse perché normalmente essi vengono formati perché servono e per essere velocemente utilizzati. Sbobinatore: Laura Garcia Garcia Revisore: Nicolò Vielmi 2.biochimica 10/03/2021 ENZIMI Inizialmente è stato detto che un valore di ΔG anche molto negativo indica una reazione termodinamicamente favorevole spontanea, che può avvenire spontaneamente, ma non dice niente sulla velocità di reazione. Nelle nostre cellule, ci sono reazioni che hanno un ΔG estremamente negativo, ma che avverrebbero con dei tempi molto lunghi che non sono compatibili con la vita. Per rendere più veloci delle reazioni termodinamicamente possibili ma che avvengono molto lentamente entrano in gioco una composti: gli enzimi. Gli enzimi sono dei catalizzatori biologici la cui funzione non è quella di far variare il bilancio complessivo della variazione dell’energia libera di Gibbs, che rimane a quelle determinate concentrazioni di reagenti e di prodotti, ma è quella di rendere molto più veloci delle reazioni che avrebbero in maniera molto più lenta. Per capire com'è possibile che una reazione ΔG molto negativo avvenga molto lentamente e come fanno gli enzimi a rendere più veloci queste reazioni osserviamo il seguente grafico: Viene mostrata una reazione nella quale si ha una diminuzione di energia libera Gibbs che avviene attraverso una fase intermedia nella quale l'energia libera di Gibbs inizialmente aumenta. Una reazione normalmente per procedere deve superare una barriera energetica che viene detta energia di attivazione. Questo succede perché molto spesso gli atomi dei reagenti prima di potersi combinare a formare le molecole dei prodotti devono separarsi fra di loro e la rottura dei legami tra gli atomi presenti nei reagenti richiede energia. La velocità di una reazione dipende dal superamento di questa energia di attivazione e tanto più è alta questa energia di attivazione tanto più la reazione, per quanto termodinamicamente favorevole, procede molto lentamente. La reazione nella quale il reagente A diventa prodotto B è una reazione spontanea, esoergonica e con diminuzione del ΔG, tuttavia è necessario superamento di un'energia di attivazione molto elevata quindi sarà una reazione che avviene lentamente. Gli enzimi agiscono sulla barriera di attivazione abbassando l’energia di attivazione in maniera anche molto forte e, in questo modo, i reagenti riescono a scavalcare questa barriera energetica riuscendo a formare i prodotti con una velocità molto più elevata. L'enzima abbassa l'energia di attivazione poiché suo legame con lo stato di transizione, cioè situazione nella quale gli atomi dei reagenti sono già stati separati tra di loro ma non si sono ancora riuniti a formare le molecole dei prodotti, è un processo es organico e quindi libera molta energia e contribuisce a ridurre l'energia di attivazione. Le reazioni catalizzate da enzimi procedono con una velocità che varia tra 106 e 107 volte superiore rispetto a quello delle reazioni non catalizzate. L’enzima agisce esclusivamente sull’energia di attivazione, abbassandola, e permettendo ai reagenti di passare più velocemente e di trasformarsi più velocemente nei prodotti, ma non modifica lo stato iniziale e finale dell'energia libera di Gibbs, che è quello specifico per quella determinata reazione a quelle determinate concentrazioni di reagenti e di prodotti. Sbobinatore: Laura Garcia Garcia Revisore: Nicolò Vielmi 3.biochimica 18.03.2021 GLI ENZIMI Gli enzimi sono biocatalizzatori cioè delle molecole che permettono di rendere molto più veloce una reazione che senza avverrebbe troppo lentamente. Essendo biocatalizzatori partecipano alla reazione senza venire né creati né consumati durante la reazione stessa. Le principali caratteristiche degli enzimi sono: efficienza, perché aumentano la velocità della reazione (da 6 a 17 ordini di grandezza) specificità perché ogni enzima si può legare con un preciso substrato sono regolabili perché la loro azione può essere regolata in funzione alle necessità della cellula (quindi possono passare da attività nulla ad attività massima tramite specifici effettori o variazioni chimico fisiche). Da un punto di vista chimico gli enzimi sono delle proteine globulari idrosolubili; globulari perché per la loro azione è molto importante la presenza di una tasca sulla superficie esterna, idrosolubili perché agiscono in un ambiente ricco di acqua come l’interno della cellule. La proteina che costituisce l’enzima può essere composta da una sola catena polipeptidica oppure da più catene. Alcuni enzimi possono essere delle proteine semplici ovvero formate solo da sequenze amminoacidiche, glicoproteine, lipoproteine oppure altri tipi di proteine coniugate. Recentemente è stata scoperta l’esistenza di ribozimi, ovvero enzimi che non sono proteine, ma sono costituiti da molecole di RNA. Ci sono inoltre alcuni enzimi che necessitano di una porzione non proteica per poter esplicare la loro attività biologica; l’apoenzima, enzima privo della sua porzione non proteica, e l’oloenzima, complesso cataliticamente attivo tra apoenzima e porzione non proteica. La porzione non proteica di un oloenzima può essere definita come cofattore se è costituita da un metallo (come Fe++, Zn ++, Mg++) oppure coenzima (spesso derivato da vitamine) se è costituito da una piccola molecola organica (in questo caso agiscono come trasportatori transitori di specifici gruppi funzionali). I coenzimi che si associano all’apoenzima in maniera transitoria vengono detti co-substrati. Questi si dissociano dall’apoenzima in uno stato modificato (NAD+→NADH + H+). I coenzimi che si associano in modo permanente (con legame covalente) all’apoenzima vengono definiti gruppi prostetici. Questi, terminato un ciclo catalitico, tornano al loro stato iniziale (FAD + H2→FADH2). Lo zimogeno è un enzima sintetizzato in forma inattiva e successivamente trasportato nel distretto di azione, modificato chimicamente e trasformato nella forma attiva. Per complesso multienzimatico si intende un’associazione organizzata di enzimi che cooperano in modo sequenziale in una serie di reazioni (interazione strutturale e funzionale che porta ad un più veloce e coordinato processo metabolico). Per enzima polifunzionale si intende un enzima che presenta più unità catalitiche sulla stessa catena proteica. Molti enzimi, all’interno della cellula sono localizzati in specifici organelli cellulari. Questa compartizione è utile per poter tenere separati i substrati o i prodotti di reazioni tra loro in competizione. Ad esempio all’interno del nucleo di solito sono contenuti gli enzimi necessari per la sintesi degli acidi nucleici (sintesi del DNA e dell’RNA), nel citosol della cellula sono presenti enzimi per quelle reazioni che non sono di natura ossidativa (per esempio la glicolisi, Sbobinatore: Beatrice Pajardi Revisore: Federica Pettinelli 3.biochimica 18.03.2021 la sintesi degli acidi grassi...), mentre invece gli organelli dove è strettamente localizzato il metabolismo ossidativo sono i mitocondri. L’ATTIVITA’ ENZIMATICA È importante sapere come si può misurare l’attività di un enzima; innanzitutto è possibile indicare come attività enzimatica la quantità di substrato convertito per minuto in determinate condizioni standard (di temperatura, di pH e di forza ionica). Questa viene misurata in millimoli/min. L’attività enzimatica dipende anche da un altro fattore ovvero la quantità dell’enzima; se noi abbiamo una certa quantità di enzima, avremo una certa attività enzimatica, ma se noi duplichiamo o triplichiamo la quantità di enzima, anche l’attività enzimatica aumenterà in maniera proporzionale. Si parla quindi di attività specifica ovvero il rapporto tra l’attività enzimatica in funzione della quantità di proteina (enzima) consumata. Viene espressa in millimoli/min/mg di proteina. L’enzima riesce ad aumentare la velocità di una reazione grazie alla sua capacità di produzione di un ambiente ideale affinchè una determinata reazione sia energeticamente favorita. Tutto questo avviene grazie alla presenza di una tasca chiamata sito attivo dell’enzima o tasca legante il substrato, che rappresenta il sito di legame per il substrato, che contiene le catene laterali degli amminoacidi che partecipano al legame del substrato ed alla sua catalisi. Si viene a creare una tasca tridimensionale che si adatta al substrato e questo permette alla reazione di avvenire in maniera più efficiente. Ci sono inoltre degli enzimi costitutivi ovvero enzimi che sono perennemente presenti nelle cellule (svolgono quindi reazioni che avvengono costantemente nella cellula), e degli enzimi induttivi che invece compaiono solo se richiesti, ad esempio dalla presenza di un determinato substrato che richiede l’intervento di un enzima specifico per poterlo metabolizzare. Si distingue quindi una induzione enzimatica ovvero un processo che porta l’innesco della sintesi di un enzima e l’attivazione enzimatica che invece è l’aumento dell’attività dell’enzima che è già presente nella cellula. Per quanto riguarda l’induzione enzimatica essa è il processo che regola la quantità di un enzima presente all’interno della cellula modificandone la velocità di sintesi. Essa può essere infatti aumentata, quindi si parlerà l’induzione enzimatica, o ridotta, in questo caso si parla di repressione enzimatica. L’induzione enzimatica riguarda normalmente enzimi non sempre presenti nella cellula ma necessari solo in un determinato stadio dello sviluppo o in particolari condizioni fisiologiche (quando viene ad essere presente un particolare substrato o una sostanza che richiede la presenza di un enzima). Siccome l’induzione enzimatica richiede l’innesco di un enzima e gli enzimi sono per la maggioranza delle proteine, essa viene definita come una modalità di regolazione che avviene più lentamente a differenza dei processi di attivazione/inibizione che sono molto veloci. Tramite induzione enzimatica vengono regolati degli enzimi che sono necessari per tempi più lunghi e non in maniera molto veloce. L’azione dell’enzima, come detto precedentemente, è quella di rendere molto più veloce una reazione termodinamicamente favorevole, quindi una reazione con ∆G negativo, e che questo avviene perché l’enzima abbassa l’energia di attivazione (ovvero rende l’energia necessaria affinché gli atomi dei reagenti vengano separati e successivamente riassociarsi a formare i prodotti). Sbobinatore: Beatrice Pajardi Revisore: Federica Pettinelli 3.biochimica 18.03.2021 L’INFLUENZA DI UN ENZIMA SULLA VELOCITA’ DI REAZIONE Per quanto riguarda la sua influenza sulla velocità di reazione, si deve immaginare che la velocità di una reazione dipenda da quante molecole di reagente hanno un’energia sufficiente da poter superare la barriera dell’energia di attivazione. Quindi tanto più l’energia di attivazione è elevata, tanto meno saranno le molecole in grado di fare questo “salto”, ma se si abbassa il valore dell’energia di attivazione il numero di molecole dei reagenti in grado di fare velocemente questo salto aumenta e quindi complessivamente la velocità della reazione ne risulterà aumentata. Normalmente una reazione catalizzata da un enzima procede secondo delle tappe intermedie; ad esempio in una reazione semplice in cui il substrato S si trasforma nel prodotto P, la quantità di energia libera di Gibbs del prodotto è minore di quella del substrato (quindi è termodinamicamente favorevole). Se questa reazione avvenisse in maniera non catalizzata, l’energia di attivazione sarebbe molto elevata e quindi la reazione sarebbe molto lenta. In presenza di un enzima però questa reazione procede attraverso delle tappe intermedie, inizialmente il substrato si lega con l’enzima e si forma quindi un complesso enzima-substrato (ES), a quel punto l’enzima trasforma il substrato in prodotto e quindi si forma un complesso enzima-prodotto (EP), e a questo punto si ha poi la dissociazione dell’enzima dal prodotto e quindi il prodotto viene liberato. La reazione quindi non procede con un unico salto di energia di attivazione, ma procede attraverso vari salti più piccoli. Quindi quello che determina la velocità di reazione non è il numero degli stati intermedi di transizione, ma il salto energetico maggiore che deve essere superato. Perciò l’enzima fa abbassare questo salto energetico molto alto ma non modifica l’energia liberata nella reazione e l’equilibrio della reazione. COME GLI ENZIMI ABBASSANO DRASTICAMENTE L’ ENERGIA DI ATTIVAZIONE L’enzima presenta, come già detto in precedenza, un sito attivo (tasca legante un substrato). Innanzitutto si possono formare dei legami covalenti transitori tra i gruppi funzionali catalitici presenti sulle catene laterali dell’enzima presenti sul sito attivo e il substrato. Questi legami covalenti agiscono in vario modo per rendere la velocità della reazione minore (abbassare l’energia di attivazione): affinché due o più substrati reagiscano tra loro, devono toccarsi nella posizione e nel punto giusto. Normalmente l’enzima blocca i substrati in una posizione ottimale perché il contatto dia luogo alle reazioni chimiche che permettono la formazione del prodotto. Successivamente le catene laterali degli aminoacidi presenti nella tasca legante il substrato nel sito attivo, permettono di legare in maniera transitoria dei gruppi chimici che vengono Sbobinatore: Beatrice Pajardi Revisore: Federica Pettinelli 3.biochimica 18.03.2021 ceduti dal substrato e riacquisiti dal prodotto. Per esempio nella catalisi acido-base si ha un passaggio di idroginioni (H+) o di ossidrili (OH-) dal substrato alle catene laterali degli amminoacidi e poi nuovamente al substrato. La formazione di questi legami covalenti abbassa di poco l’energia libera dello stato intermedio. In realtà il fenomeno più importante nell’abbassare l’energia di attivazione è legato alla formazione di un numero molto elevato di interazioni di tipo non covalenti (elettrostatiche, idrogeno, forze di Van der Waals, idrofobiche) tra le pareti della tasca del sito attivo dell’enzima con il substrato. In questo modo si libera un’energia di legame molto forte perché questi sono tutti legami piuttosto deboli (con energia di legame debole) però sono moltissimi, e questo si ritiene oggi che sia il fatto preponderante che concorre ad abbassare l’energia di attivazione quando avviene il legame tra la tasca del sito attivo e l’intermedio di reazione. COME AVVENGONO I LEGAMI TRA SUBSTRATO ED ENZIMA Sono state formulate varie teorie che cercano di spiegare perché avvengano i legami tra substrato ed enzima. La teoria della chiave e della serratura sostiene che il sito attivo dell’enzima presenti una conformazione sterica tridimensionale perfettamente compatibile con quella del substrato. Quindi avviene un riconoscimento tridimensionale molto specifico come una serratura riconosce in maniera specifica la propria chiave. Questa teoria spiega molto bene perché un enzima leghi in maniera altamente specifica un singolo substrato e perché substrati simili richiedano enzimi diversi. Tuttavia non spiega perché, una volta che il substrato è stato trasformato in prodotto, il quale a sua volta si associa molto bene alla tasca dell’enzima, il prodotto venga espulso dal complesso enzima-prodotto. Per cercare di spiegare meglio questi secondo aspetto è stata elaborata una seconda teoria ovvero la teoria dell’adattamento indotto. Questa è un’elaborazione della teorica chiave- serratura secondo la quale la complementarietà iniziale dell’enzima con il substrato non è perfetta, ma inizialmente il substrato ha una conformazione tridimensionale che si adatta bene ma non benissimo alla tasca dell’enzima. Solamente a seguito del legame tra il substrato e l’enzima si ha una modificazione della tasca dell’enzima che a quel punto diviene perfettamente complementare con il substrato. A questo punto però la tasca dell’enzima tende a ritornare nella sua conformazione iniziale e quindi subito dopo aver catalizzato la reazione torna ad essere non perfettamente complementare al substrato e questo permette il rilascio del prodotto che si è formato. Un ulteriore modificazione della teoria dell’adattamento indotto prevede che la massima tridimensionalità sterica della tasca del sito attivo e il substrato si abbia né con il substrato né con il prodotto ma con lo stadio intermedio. Esso è la conformazione intermedia e instabile per cui il substrato non è più ormai substrato ma non è ancora pienamente prodotto. In questo stadio di transizione si vengono a creare moti legami questo libera energia di legame che abbassa l’energia di attivazione. Lo stadio di transizione è tuttavia per sua natura instabile Sbobinatore: Beatrice Pajardi Revisore: Federica Pettinelli 3.biochimica 18.03.2021 quindi tende inevitabilmente a trasformarsi in prodotto, a quel punto la complementarietà tra la tasca del prodotto ed enzima non è più perfetta e ciò facilita il rilascio del prodotto stesso. Sbobinatore: Beatrice Pajardi Revisore: Federica Pettinelli 4.BIOCHIMICA 26.03.2021 FATTORI CHE INFLUENZANO LA VELOCITA’ DELLE REAZIONI ENZIMATICHE L’azione di un enzima può essere influenzata dal: 1. Valore di pH 2. Valore di temperatura 3. Dalla concentrazione dell’enzima 4. Dalla concentrazione del substrato Il pH influenza: - La struttura terziaria dell’enzima (che è una proteina e quindi a pH estremi può essere denaturata); questo si realizza nel nostro stomaco poiché si raggiungono valori di pH intorno a 2-2,5 proprio per permettere la denaturazione delle proteine che in questo modo possono essere attaccate più facilmente dalle proteasi digestive (enzimi che idrolizzano i legami peptidici e tagliano la proteina in peptidi più piccoli). - La ionizzazione del sito attivo; spesso è necessario che alcuni gruppi attivi delle catene laterali degli amminoacidi siano ionizzati (importante nei meccanismi di catalisi acido-base). - Grado di dissociazione di eventuali gruppi acidi e basici sulle molecole di substrato. Normalmente ciascun enzima ha un valore ottimale di pH (= intervallo di valori in cui la reazione viene catalizzata con la massima efficienza) che fondamentalmente è il pH del distretto biologico dove svolge la propria azione. A questo proposito esiste un enzima proteolitico che prende il nome di pepsina e idrolizza i legami peptidici delle proteine alimentari a livello gastrico. La pepsina ha un’attività ottimale attorno a pH 2,5-3 mentre decresce velocemente per valori di pH più alti. Quasi tutti gli altri enzimi hanno come valore di pH ottimale la neutralità, quindi intorno al 7-7,2; fanno eccezione degli enzimi all’interno dei lisosomi che lavorano meglio a pH acido semplicemente perché l’ambiente stesso dei lisosomi è acido. Nell’intestino tenue, dove l’acidità viene tamponata e l’ambiente è più basico, agisce un’importante proteasi digestiva che è la tripsina, che a differenza della pepsina, ha un pH ottimale piuttosto basico. La tripsina, a valori di pH pari a quelli presenti nello stomaco, è inattiva perché viene denaturata, attorno a pH pari a 8-8,5 aumenta la propria attività e se il pH dovesse aumentare ulteriormente la sua attività diminuirebbe. La temperatura anche influenza l’attività degli enzimi. Aumentando la temperatura aumenta la velocità di una reazione perché aumenta il numero di molecole che possiedono un’energia sufficiente a superare la barriera energetica (stato di transizione). Gli enzimi sono però termolabili quindi, a temperature troppo elevate, possono andare incontro a denaturazione. Entro certi limiti un aumento di temperatura ha effetto positivo sulla velocità di catalisi, oltre una certa soglia l’enzima però si inattiva. L’azione della temperatura è espressa da una curva a campana con un massimo vicino alla T° corporea. In casi patologici si ha la febbre, ovvero un rialzo termico. Questo, con incremento di temperatura di qualche grado, permette agli enzimi del sistema immunitario, e in generale quelli del corpo, di incrementare la propria azione e di far fronte in maniera più efficiente all’infezione che si sta fronteggiando. Ad una temperatura però troppo alta non è compatibile con la vita (> 42 gradi per l’uomo). La temperatura ottimale per gli enzimi non è per tutti gli animali 37 gradi: nei pesci la temperatura ottimale è molto più bassa di quella dell’uomo (nella trota la T° ottimale è sotto i 10 gradi). Se la temperatura si abbassa l’attività dell’enzima rallenta, la proteina non si denatura e possono riprendere la loro attività se scaldati nuovamente. L’abbassamento della temperatura è utilizzato ad esempio per la conservazione degli alimenti, per rallentare i processi di maturazione o degradazione; l’innalzamento della temperatura invece viene utilizzato per la pastorizzazione e la sterilizzazione. Sbobinatore: Andrea Di Mauro Revisore: Giuliano Cicerchia 4.BIOCHIMICA 26.03.2021 La concentrazione dell’enzima influenza l’attività dello stesso. La velocità di una reazione è direttamente proporzionale alla concentrazione dell’enzima fino a quando tutto il substrato non è stato consumato (a quel punto la reazione si arresta). NOMENCLATURA DEGLI ENZIMI In passato il nome degli enzimi teneva conto della loro natura proteica e si aggiungeva la desinenza “-ina” che stava ad indicare proprio il termine “proteina” (esempi sono la pepsina, la tripsina e la papaina). Però esistono così tanti enzimi che tale nomenclatura non permise di poter individuare in maniera univoca ogni enzima. In seguito quindi si iniziò a dare il nome all’enzima riferendosi al substrato che viene catalizzato e aggiungendo alla fine la desinenza “-asi” (esempio la ureasi). Ad oggi si utilizza un metodo diverso per dare il nome agli enzimi, proposto dalla commissione per gli enzimi dell’Unione Internazionale di Biochimica e Biologia Molecolare (IUBMB) nel 1961, basato: Sul tipo di reazione catalizzata Sul nome del substrato di ciascun enzima È importante ricordare che non esiste nessun enzima, sia naturale che artificiale, che non possa essere classificato in una di queste 6 classi. In questo modo si istituirono 6 classi enzimatiche suddivise in: Sottoclassi Sottosottoclassi Singoli enzimi Le 6 classi sono: 1. Ossidoriduttasi 2. Transferasi 3. Idrolasi 4. Liasi 5. Isomerasi 6. Ligasi (In questa fase non è ancora necessario memorizzare le singole reazioni ma capire il meccanismo generale di azione di queste classi enzimatiche) Sbobinatore: Andrea Di Mauro Revisore: Giuliano Cicerchia 4.BIOCHIMICA 26.03.2021 Le ossidoriduttasi catalizzano reazioni di ossidoriduzione (deidrogenasi, ossidasi, reduttasi, perossidasi), ovvero reazioni in cui si ha un passaggio di elettroni da una molecola che si ossida ad una molecola che acquisisce questi elettroni e che quindi si riduce. In queste reazioni c’è la partecipazione di cofattori come NAD+, NADP+, FAD. Nell’esempio si vede l’acido lattico che cede due idrogeni, quindi anche due elettroni, al NAD+ (nicotinammide adenina dinucleotide), che in questo caso è ossidato, e si trasforma in NAD ridotto mentre l’acido lattico viene trasformato nella sua forma ossidata, ovvero l’acido piruvico (=piruvato). Questa reazione è catalizzata dall’enzima lattato-deidrogenasi che è quindi una ossidoriduttasi. Le transferasi catalizzano reazioni in cui avviene il trasferimento di un gruppo chimico da una molecola ad un’altra. Si può quindi avere il trasferimento di un gruppo carbossile (transcarbossilasi), acile (transacilasi), glicosile (transglicosilasi), gruppo amminico (transaminasi), gruppo fosforico (transfosforilasi). Nell’esempio si vede che un gruppo amminico viene trasferito da un amminoacido (alanina) a un alfa-chetoacido (l’alfa-chetoglutarato). L’alanina perde il suo gruppo amminico e si trasforma nel piruvato mentre l’alfa-chetoglutarato acquisisce il gruppo amminico e diventa un amminoacido (L glutammato). L’enzima che catalizza questa reazione è l’alanina transaminasi. Le idrolasi catalizzano reazioni di scissione idrolitica, ovvero rompono legami covalenti per introduzione di una molecola di acqua. Possiamo quindi avere scissione di un legame esterico (esterasi), fosfato (fosfatasi), legame peptidico di una proteina (proteasi). Nell’esempio il pirofosfato (= due fosfati inorganici legati tra di loro) e le sue due molecole di ortofosfato possono essere separate mediante l’addizione di una molecola di acqua e si formano due fosfati inorganici. L’enzima che catalizza questa reazione rompe un legame covalente tramite l’acqua ed è detto pirofosfatasi. Sbobinatore: Andrea Di Mauro Revisore: Giuliano Cicerchia 4.BIOCHIMICA 26.03.2021 La liasi catalizza reazioni in cui vengono rotti dei legami covalenti (C-C, C-N, C-S) ma non introducendo una molecola di acqua, oppure in cui vengono aggiunti gruppi ai doppi legami. Il piruvato può essere attaccato da una liasi detta piruvato decarbossilasi e staccare l’anidride carbonica e liberare l’acetaldeide, rompendo così il legame tra carbonio 1 e carbonio 2 senza però aver sommato una molecola di acqua. Le isomerasi catalizzano reazioni monomolecolari, cioè a carico di un solo substrato che viene trasformato in un prodotto di reazione suo isomero, ovvero un composto che ha lo stesso numero e tipo di atomi ma legati in maniera diversa. Alcuni esempi sono le isomerasi, le epimerasi, le racemasi e le mutasi (non tutte). Nell’esempio sono presenti il ribosio 5-fosfato isomerasi e il ribulosio 5- fosfato 3-epimirasi. Infine le ligasi catalizzano reazioni in cui avviene la formazione di legami covalenti (C-C, C-S, C-O, C-N). La formazione di legami covalenti è un processo estremamente endoergonico (ΔG positivo) ma queste reazioni avvengono grazie all’accoppiamento con la reazione di idrolisi dell’ATP (o suo analogo) che libera molta energia. Nell’esempio si vede il piruvato che acquisisce una molecola di anidride carbonica che viene fornita dal bicarbonato formando così un acido bicarbossilico che è l’ossalacetato. L’enzima che catalizza questa reazione prende il nome di piruvato carbossilasi ma, per legare la CO2 sul CH3 del piruvato, è necessario che venga fornito anche ATP. Sbobinatore: Andrea Di Mauro Revisore: Giuliano Cicerchia 4.BIOCHIMICA 26.03.2021 Ogni enzima risulta individuato da 4 numeri: classe sottoclasse sotto-sottoclasse n° progressivo di ciascun enzima nella sotto-sottoclasse Un esempio (non da memorizzare) è un enzima che defosforila il glucosio-6-fosfato che prende il nome di glucosio-6-fosfato fosfatasi (D-glucosio-6-fosfato fosfoidrolasi), che è classificato come EC 3.1.2.9 EC → Enzyme Commission 3 → III classe (idrolasi) 1 → I sottoclasse (esterasi) 2 → II sotto-sottoclasse (fosfatasi) 9 → nell’ambito di questa sotto-sottoclasse è il nono enzima che è stato scoperto N.B. Molti enzimi continuano ad essere indicati con i vecchi nomi entrati nell’uso comune. La conoscenza di determinati enzimi può rivelarsi uno strumento molto utile nella diagnosi clinica. Determinare la presenza oppure l’attività enzimatica di determinati enzimi è una procedura normale e comune che viene utilizzata a fini diagnostici per identificare determinate patologie, o comunque per aiutare la determinazione di una determinata malattia. È molto importante determinare quali enzimi sono presenti nel sangue. Gli enzimi presenti nel sangue appartengono a 2 classi: Enzimi attivamente secreti da certi tipi di cellule nel sangue dove svolgono una funzione fisiologia (es. il fegato secerne nel sangue gli enzimi della coagulazione). Enzimi liberati nel sangue durante il turnover cellulare degli organi che non svolgono una funzione fisiologica nel sangue. Questo secondo tipo di enzimi è presente nel sangue a livelli piuttosto bassi. Un’alta presenza nel sangue degli enzimi derivanti dal turnover cellulare può essere indice di un danno tissutale a carico dell’organo che è particolarmente ricco di quell’enzima. Ad esempio l’enzima alanina aminotransferasi (ALT) è abbondante nel fegato. In condizioni normali la sua concentrazione nel sangue è bassa. La comparsa di elevati livelli ematici di ALT è un chiaro indice di danno epatico (ad esempio cirrosi epatica, epatite virale acuta). ISOENZIMI Esistono delle molecole che vengono dette isoenzimi. Questi sono enzimi che catalizzano tutti la stessa reazione, cioè agiscono tutti sullo stesso substrato, anche se differiscono tra loro per quanto riguarda la loro struttura sia per quanto riguarda le loro proprietà cinetiche, cioè la velocità e l’efficienza con cui catalizzano la reazione. Spesso sono proteine oligomeriche che differiscono per: diversa composizione in subunità l’organo, il tessuto o il compartimento cellulare dove sono localizzati l’efficienza con cui catalizzano una certa reazione Prendiamo ad esempio la lattato deidrogenasi (LDH, ossidoriduttasi) presente nel citosol, formata da quattro subunità che costituiscono un tetramero che può essere formato da tutte le possibili combinazioni di due diverse catene polipeptidiche, la catena H (che è presente principalmente nel Sbobinatore: Andrea Di Mauro Revisore: Giuliano Cicerchia 4.BIOCHIMICA 26.03.2021 cuore, infatti la H sta per “heart”) e la catena M (presente principalmente nei muscoli, infatti M sta per “muscle”). Quindi ci sono delle forme come: H4 (LDH1): predominante nel muscolo cardiaco. M4 (LDH5): prevalente nel muscolo scheletrico e fegato. Poi possiamo trovare 3 ibridi diversamente distribuiti nei vari tessuti: HHHM (LDH2)= 3 catene H e una catena M HHMM (LDH3)= 2 catene H e una catena M HMMM (LDH4)= 1 catena H e 3 catene M Se ci si trova di fronte ad un paziente con un sospetto danno epatico, anche qui può essere utile andare a vedere quale isoforma di lattato deidrogenasi è presente nel torrente circolatorio, perché se è abbondante l’isoforma M4(LDH5) questo dice che l’animale ha un danno epatico. Viceversa la determinazione di H4(LDH1), principalmente diffusa nel muscolo cardiaco del cuore, è il tipico marker che si cerca nel caso si sospetti un infarto del miocardio acuto. In questo caso si ha un danno del parenchima del cuore e immediatamente i miocardiociti necrotici rilasciano in circolo elevati livelli di H4(LDH1) che viene individuata dopo pochissimo (un paio di ore) dall’infarto e questo permette di diagnosticare in maniera molto specifica l’infarto stesso. Sbobinatore: Andrea Di Mauro Revisore: Giuliano Cicerchia 5.biochimica 25.03.2021 CINETICA ENZIMATICA La cinetica enzimatica è la parte della biochimica che studia la velocità delle reazioni catabolizzate dagli enzimi. La velocità di una reazione (V) indica l’andamento della formazione del prodotto o il consumo di un reagente in una reazione chimica in funzione del tempo. Essa si misura in moli di prodotto formato (o reagente consumato) *litro al secondo, siccome moli su litro corrispondono alla concentrazione molare, la velocità di una reazione, si misura come variazione della concentrazione molare del reagente o del prodotto nell'unità di tempo. LA VELOCITÀ DI UNA REAZIONE La biochimica studia fondamentalmente reazioni che avvengono in soluzione acquosa, perché le reazioni avvengono all'interno della cellula, si potrà osservare (considerando una reazione semplice in cui il reagente A reagisce con il reagente B e si forma il prodotto AB) che man mano che i due reagenti A e B, solubili, reagiscono tra di loro si formerà il composto AB, questo composto può precipitare in quanto non più solubile oppure potrebbe essere un gas che può essere raccolto. Se AB è una sostanza non solubile che precipita si potrà, man mano che il tempo avanza, pesarlo, oppure, se è un gas, si potrà raccoglierlo e misurare progressivamente il volume. Normalmente il prodotto AB che si forma è solubile come i due reagenti, in questo caso allora si può sfruttare il colore particolare del prodotto oppure l’assorbimento della luce a una lunghezza d’onda diversa a quella dei due reagente del prodotto AB. L’assorbimento della luce a lunghezze d’onda diverse si può verificare facilmente utilizzando uno strumento che è lo spettrofotometro, con cui è possibile misurare l'aumento dell’assorbimento del prodotto e, con una curva di taratura, misurare quanto di questo prodotto si sta formando. Si consideri la reazione in cui il substrato A si trasforma nel prodotto B. Il grafico (a sinistra) mostra l’andamento della velocità di reazione (V), la formazione del prodotto B (riportato sull’asse delle ordinate) in funzione del tempo (asse ascisse). Dal grafico si deduce che la velocità della reazione procede inizialmente in una maniera lineare indicata come V0 (velocità iniziale della reazione). La velocità iniziale non è caratterizzata da un tempo molto breve o lungo ma dall’aumento della concentrazione del prodotto in maniera costante e proporzionale all'aumentare del tempo, la velocità ha quindi un andamento lineare. La prima fase, nella quale la reazione procede con un andamento lineare, viene indicata come stato stazionario ed è caratterizzato dal fatto che la concentrazione del complesso enzima più substrato rimane costante. A un certo punto lo stato stazionario termina (riferimenti al grafico a sinistra) e da quel momento in poi l'aumento della concentrazione del prodotto non è più lineare nel tempo ma man mano che il tempo aumenta la concentrazione del prodotto B aumenta sempre meno fino ad arrestarsi e non vi è più produzione del prodotto. Questo avviene perché tutto il reagente a disposizione è stato consumato e il prodotto B non si può più formare. Mentre nello stato stazionario la concentrazione del complesso enzima e substrato rimane costante da un certo punto in poi, siccome la quantità del substrato comincia a scarseggiare, la concentrazione del complesso enzima substrato non è costante ma comincia a diminuire e diminuisce anche la velocità della reazione. Quando tutto il substrato sarà stato convertito in prodotto la concentrazione del complesso enzima substrato sarà pari a zero, l'enzima sarà libero e non avrà substrato a disposizione da trasformare. Scquizzato-Migliore 5.biochimica 25.03.2021 VARIAZIONE VELOCITA’ DI REAZIONE NELLO STATO STAZIONARIO La velocità della reazione varia nello stato stazionario al variare della concentrazione del substrato. Nello stato stazionario la concentrazione del complesso enzima substrato rimane costante, questo, però, non vuol dire che tutto l'enzima sia legato al substrato. Il grafico a sinistra mostra la variazione della velocità iniziale di una reazione a concentrazioni costanti di enzima ma al variare della concentrazione del substrato. Inizialmente a una concentrazione pari a 1 del substrato si ha una velocità iniziale di 1, se si raddoppiasse la concentrazione del substrato anche la velocità iniziale raddoppierebbe, triplicando la concentrazione del substrato la velocità triplicherebbe e quadruplicando la concentrazione del substrato la velocità iniziale a sua volta quadruplica. Da un certo punto in poi però anche se si aumenta la concentrazione del substrato la velocità iniziale della reazione non aumenta più e questo perché l'enzima sarà stato saturato, tutte le molecole di enzima presenti nel sistema sono legate con una molecola di substrato, si potrà continuare ad aumentare la concentrazione di substrato ma la velocità della reazione non può più aumentare. Quando sarà saturato l'enzima (quando la concentrazione del complesso enzima substrato è la massima possibile e la concentrazione dell’enzima da solo non legato col substrato è pari a 0) aumenti successivi di substrato non determinano più un aumento della velocità iniziale, l'enzima sta lavorando alla sua massima velocità catalitica possibile in quelle determinate condizioni, sta lavorando alla sua velocità massimale. La velocità massimale di un enzima è la velocità che si raggiunge quando l'enzima è completamente saturato dal substrato, quando in quelle determinate condizioni la concentrazione del complesso enzima substrato è massimale e non esistono più molecole di enzima che non sono legate al substrato. L’EQUAZIONE DI MICHAELIS-MENTEN L’equazione di Michaelis-Menten descrive la variazione della velocità di reazione al variare della concentrazione del substrato, si applica alla velocità iniziale e prende in considerazione una reazione enzimatica nella quale un enzima, legandosi con un substrato e formando un complesso enzima substrato, trasforma il substrato in prodotto riformando l’enzima e liberando il nuovo prodotto. La condizione per la quale l'equazione di Michaelis-Menten è valida è che la formazione del complesso enzima-substrato sia la reazione più veloce mentre la trasformazione del substrato in prodotto e la sua liberazione sia la reazione più lenta, quella che limita la velocità complessiva del processo. (equazione di Michaelis-Menten a sinistra) Nell’equazione V è la velocità iniziale, la velocità nello stato stazionario 0 quando la concentrazione del complesso enzima substrato è costante, la velocità massimale è la velocità che si ha quando l'enzima è saturato, KM è la costante di Michaelis-Menten, è un parametro importante per capire come funzionano gli enzimi e per poter paragonare tra di loro enzimi che apparentemente potrebbero sembrare simili e invece possono avere delle caratteristiche chimiche differenti che influenzano l'attività biologica e le funzioni all'interno della cellula. La Km è una costante, ciò vuol dire che ogni enzima ha un caratteristico valore di K , e riflette l'affinità m dell'enzima per il suo substrato. La curva che viene generata dall' equazione di Michaelis-Menten è un'iperbole rettangolare. Scquizzato-Migliore 5.biochimica 25.03.2021 Si immagini di fare degli esperimenti nei quali si misura la velocità iniziale di una reazione enzimatica tenendo sempre costante la concentrazione dell'enzima ma aumentando progressivamente la concentrazione del substrato, si faranno varie misurazioni e poi sulla base dei risultati di queste misurazioni si disegnerà un grafico nel quale si avrà sull’ asse delle ordinate la velocità iniziale che si sta determinando sperimentalmente e sull’ asse delle ascisse la concentrazione substrato; man mano che si aumenta la concentrazione del substrato la velocità iniziale tenderà ad aumentare, successivamente l'aumento della velocità iniziale non sarà più proporzionale all'aumento del substrato perché l' enzima comincerà ad essere nelle condizioni di saturazione e, infine, a concentrazione piuttosto elevate di substrato la velocità iniziale non aumenterà più perché ormai l' enzima avrà raggiunto la sua velocità massimale. Nel grafico si può vedere che la velocità iniziale a concentrazioni basse di substrato aumenta velocemente per poi non aumentare più, tende ad un valore di velocità massima che è la velocità massimale. La velocità massimale è difficile da determinare sperimentalmente in quanto quando si fanno degli esperimenti si approssima sempre la velocità massimale perché per raggiungerla bisogna utilizzare concentrazioni di substrato che sono veramente elevatissime, non fisiologiche, per cui un parametro che è più utile per studiare l'attività di un enzima a concentrazioni fisiologiche dei suoi substrati non è la velocità massimale ma la semi-velocità massimale cioè la metà della velocità massimale. LA SEMI-VELOCITA’ MASSIMALE Il parametro che è utile per studiare l'attività di un enzima a concentrazioni fisiologiche dei suoi substrati è la semi-velocità massimale cioè la metà della velocità (½) di Vmax, poiché la velocità massimale è difficile da determinare sperimentalmente. Facendo degli esperimenti è difficile riuscire a raggiungere la velocità massimale pur aumentando la concentrazione di substrato. Per raggiungere la velocità massimale sperimentalmente bisogna utilizzare concentrazioni di substrato che sono elevatissime (molto distanti dai valori fisiologici). Km La Km è un valore di concentrazione del substrato alla quale la velocità dell’enzima è esattamente la metà della velocità massimale, esso si può ricavare empiricamente. Dal grafico (a sinistra) si deduce che (½) di Vmax corrisponde a una concentrazione di substrato che è pari alla Km. Nell’immagine a destra sono riportati i calcoli matematici: invece di Vmax si utilizza (½) di Vmax e si ottiene che la concentrazione di substrato è pari alla Km. La Km è un parametro importante per comprendere l’attività di un enzima, indica l’affinità dell’enzima per il suo substrato. Un enzima ha una Km piccola quando possiede un’elevata affinità per il suo substrato, cioè sono sufficienti concentrazioni molto Scquizzato-Migliore 5.biochimica 25.03.2021 basse di substrato per far sì che l'enzima catalizzi la reazione a una velocità notevole. Se il valore di Km è elevato significa che l’enzima ha una bassa affinità per il suo substrato e quindi necessita un’elevata concentrazione di substrato prima che l'enzima cominci a lavorare in maniera piuttosto efficiente. Dato che Km indica la concentrazione di substrato, viene indicata come molarità e per la maggior parte degli enzimi varia tra 10^-1 e 10^-7 molare. La Km è un valore costante, quindi non dipendente dalla quantità di enzima presente, è un valore che è caratteristico per ogni enzima con un suo determinato substrato (in condizioni definite di reazione) quindi può essere calcolato una volta ed è sempre quello. ESEMPIO Km Di seguito viene riportato un esempio che permette di capire perché la Km è un parametro importante per capire l'attività di un enzima all'interno di una cellula. Si prenda in considerazione una reazione nella quale un reagente A viene trasformato da un enzima all'interno delle nostre cellule nel prodotto B. In questo caso esistono due enzimi che catalizzano la stessa reazione: l'enzima 1 (E1) e l’enzima 2 (E2). All'interno della cellula l'evoluzione ha portato alla formazione di due enzimi che catalizzano la stessa reazione, apparentemente è uno spreco, è superfluo avere due enzimi per una stessa reazione. Vengono fatti degli studi cinetici per capire se ci sono differenze fra questi due enzimi. Vengono misurate le velocità iniziali delle reazioni a concentrazioni molto elevate di substrato e si vanno a determinare le velocità massimali dei due enzimi. A sinistra grafico esplicativo dello studio cinetico. Sull’ascisse la velocità di reazione e sulle ordinate la KM. Dal grafico si nota che a concentrazioni molto elevate di substrato i due enzimi raggiungono la stessa velocità massimale, sulla base di questa constatazione si è portati erroneamente a pensare che i due enzimi siano equivalenti, che agiscano nella stessa maniera e che sia indifferente che nella cellula ci sia l'E1 o E2 e si è stupiti che esistano due enzimi diversi per catalizzare la stessa reazione. La situazione è diversa se si fa riferimento all’equazione di Michaelis-Menten. Se si conducono gli esperimenti a concentrazioni di substrato più basse (che sono più vicine a quelle fisiologiche, cioè quelle che si avvicinano di più alle reali condizioni all’interno della cellula) si nota che a concentrazioni basse del substrato, l’E1 è attivo mentre invece l’E2 non è attivo, risulta più importante andare a misurare la concentrazione di substrato alla quale la velocità massimale è ½, in questo caso si nota che la Km di E1 è molto più bassa della KM di E2. Da questi esperimenti si deduce che a concentrazioni basse di substrato (che sono quelle che probabilmente ci sono all’interno di una cellula) l’E1 è già attivo mentre l’E2 è scarsamente attivo. Attraverso questi studi si mostra come la Km sia utile per confrontare fra di loro la reale attività di due enzimi e perché la Km indica l’affinità dell’enzima per il suo substrato. L’E1 che ha una Km molto bassa è in grado di attirare a sé molto bene il substrato e riesce a catalizzare la reazione con una buona efficienza, con una buona velocità anche a concentrazioni molto basse di substrato; viceversa E2 (nonostante alla fine riesca a raggiungere la stessa velocità massimale di E1) ha una scarsa affinità per il suo substrato, cioè riesce a legare con difficoltà il Scquizzato-Migliore 5.biochimica 25.03.2021 proprio substrato e quindi necessità di concentrazioni molto elevate del substrato per poter catalizzare con una buona velocità la reazione, a concentrazioni basse agisce peggio rispetto a E1. Questa scarsa affinità di E2 per il suo substrato è indicata da questo valore di Km elevato. A sinistra il grafico rappresenta E1 e E2 che catalizzano la stessa reazione. Nel grafico a sinistra la velocità massimale di E1 è doppia rispetto alla Vmax di E2. Se ci si basasse esclusivamente sul valore di Vmax si dedurrebbe che E1 è molto più efficiente rispetto E2, quindi se si trattasse di un enzima indispensabile per il metabolismo per catalizzare qualche processo metabolico fondamentale, si potrebbe pensare che nella cellula sia meglio avere E1 uno piuttosto che E2. Con un'analisi più accurata che tenga conto della cinetica di Michaelis-Menten ci si rende conto che la situazione è opposta, in quanto è vero che E1 ha una velocità massimale molto più elevata, però E1 (osservare grafico soprastante) ha anche una Km più alta, viceversa E2 raggiunge una velocità massimale più bassa però ha una Km più bassa rispetto a E1, questo vuol dire che a concentrazioni basse di substrato E1 è scarsamente efficiente mentre E2 è più efficiente, per la cellula è meglio avere E2 piuttosto che E1. La Km, quindi, è una costante tipica per ogni enzima e per ogni substrato, indica l’affinità dell’enzima per il substrato, non è importante confrontare tra di loro semplicemente le diverse velocità massimale degli enzimi ma è più importante confrontare le Km, perché la Km fornisce un’indicazione dell’attività dell’enzima a quelle concentrazioni di substrato che è più probabile che si trovino all’interno di una cellula. Di seguito viene riportato un esempio prendendo in considerazione l’esochinasi: l’esochinasi è l’enzima che attua la fosforilazione del glucosio che è la prima reazione della glicolisi anaerobica. Il glucosio reagisce con ATP grazie all'azione dell'esochinasi, si forma un composto che è il glucosio sei fosfato e la ATP fornisce il fosforo e si trasforma in ADP. Valori di Km esochinasi con relativi substrati La Km dell'esochinasi del cervello nei confronti del suo substrato fisiologico, il glucosio, (riportata nell’immagine sovrastante) è 0,05 millimolare. L’ esochinasi però è in grado di fosforilare anche il fruttosio. Dato che l’esochinasi è in grado di fosforilare entrambi si potrebbe pensare che come fonte energetica per il cervello il glucosio e il fruttosio siano alla pari, però andando a misurare la Km dell’ esochinasi per il suo secondo substrato (il fruttosio) si nota che la Km per il fruttosio è 1,5 millimolare, quindi l’ affinità dell’esochinasi per il glucosio è 30 volte maggiore rispetto a quella del fruttosio e significa che bisognerebbe avere nel cervello una concentrazione di fruttosio che è 30 volte superiore a quella del glucosio perché l’ esochinasi possa fosforilare indifferentemente il glucosio e il fruttosio. Questo non avviene nel cervello perché non ci sarà mai una concentrazione di fruttosio pari a 30 volte quella di glucosio e quindi l’esochinasi nel cervello fosforila prevalentemente se non esclusivamente il glucosio. Scquizzato-Migliore 5.biochimica 25.03.2021 DETERMINAZIONE SPERIMENTALE DEI VALORI DI KM E VMAX PER UN ENZIMA In laboratorio si approntano degli esperimenti (come quelli descritti precedentemente), si misura la velocità iniziale di una reazione tenendo costante la concentrazione di enzima e si aumenta progressivamente la concentrazione di substrato. In questa maniera si ottengono i valori di incremento della velocità iniziale all'aumentare della concentrazione di substrato ed è quindi possibile fare un grafico (come quelli descritti precedentemente) e, dal grafico, si può determinare la velocità massimale, la velocità semi massimale e la Km. In realtà questo grafico (l’iperbole rettangolare) determinato sperimentalmente permette di calcolare la Vmax e la Km in maniera non precisa perché il valore di Vmax è un valore asintotico (cioè non si riesce mai a raggiungerlo pienamente, man mano che sperimentalmente si aumentano le concentrazioni di substrato si tende al valore di velocità massimale ma non lo si riesce mai a raggiungere perfettamente). GRAFICO DEI DOPPI RECIPROCI Per poter calcolare in maniera più precisa i valori di Vmax e di Km, l’equazione di Michaelis- Menten viene rimaneggiata e viene trasformata in un grafico lineare che prende il nome di grafico di Lineweaver-Burk o dei doppi reciproci. L’immagine sovrastante descrive matematicamente come viene trasformata l'equazione di Michaelis-Menten nell’equazione dei doppi reciproci. Essa viene definita equazione dei doppi reciproci perché invece di vedere come varia la velocità iniziale al variare della concentrazione del substrato si vede come varia 1/velocità iniziale (quindi il reciproco della velocità iniziale) al variare della concentrazione di 1/concentrazione substrato (quindi il reciproco della concentrazione del substrato). Questo permette di trasformare l’iperbole rettangolare in una retta e in questo caso si vede nel grafico sulla sinistra quanto risulti più semplice determinare con precisione il valore di Vmax e Km, perché, nel grafico che si ottiene, sulle ordinate invece di avere la velocità iniziale si avrà 1/velocità iniziale, sull’asse delle ascisse invece di avere la concentrazione di substrato si avrà 1/concentrazione del substrato. L’iperbole rettangolare viene trasformata in una retta e il punto in cui la retta interseca l'asse delle ordinate corrisponderà a 1/velocità massimale, il punto in cui la retta interseca l'asse dell’ascissa sarà -1/Km, in questa maniera è possibile determinare questi valori di Vmax e di Km in maniera precisa. Scquizzato-Migliore 6.biochimica 25/03/2021 CINETICA ENZIMATICA La Km non è l’unico parametro indispensabile per capire l’attività di un enzima che segue la cinetica di Michaelis-Menten, in quanto è presente un secondo parametro che deve essere considerato ed è l’efficienza catalitica, Kcat o turn over, o costante catalitica. La Kcat misura la velocità del processo catalitico una volta che si è formato il complesso enzima-substrato, quindi si misura in s^-1. La Kcat ci indica quante molecole di substrato vengono trasformante da una molecola di enzima in 1 secondo. Quindi 1/Kcat indica il tempo in secondi richiesto da una molecola di enzima per trasformare una molecola di substrato. Come esempio vengono prese due proteasi: la chimotripsina (che viene secreta da pancreas e agisce nel duodeno, è una delle proteasi digestive), e la pepsina (che agisce nello stomaco). Sono due enzimi idrolitici che vanno ad idrolizzare i legami peptidici nelle proteine. La chimotripsina è un enzima che tende ad idrolizzare bene i legami peptidici dopo degli amminoacidi idrofobici, come ad esempio la fenilalanina, legata all’alanina. Questo è un tipico legame peptidico che può essere idrolizzato dalla chimotripsina e allora la sua Kcat è pari a 0,14 s -1, ovvero la chimotripsina è in grado di idrolizzare in 1 secondo 0,14 legame peptidici. Ciò significa che ci vogliono 1/0,14 quindi 7,1 secondi per idrolizzare quel legame peptidico (ogni 7,1 secondi viene idrolizzato un legame). La Kcat della pepsina, che idrolizza un legame peptidico tra fenilalanina e glicina, è pari a 0,5 s -1, quindi in 1 secondo vengono idrolizzati 0,5 legami tra i due amminoacidi, ovvero in 2 secondi si idrolizza il legame peptidico. Per capire cosa indicano la Kcat e la Km e come possono essere relazionate in modo da indicare la reale efficienza catalitica di un enzima bisogna osservare la diapositiva: Il rapporto tra la Kcat e la Km è un rapporto fra costanti, quindi a sua volta darà una costante, di velocità che indica sia l’efficienza che la specificità di un enzima. Nel disegno c’è un enzima con il suo sito attivo che lega un determinato substrato. L’affinità del loro legame è indicata da Km, tanto più un enzima tende a legare il substrato, più la Km sarà bassa. Quindi la prima parte della reazione catalitica è indicata da Km. Una volta che il complesso enzima-substrato è formato, quindi l’enzima comincia ad agire e il suo substrato è in transizione (non più reagente ma non ancora prodotto), entra in gioco la Kcat, che ci indica con quale velocità l’enzima è in grado di trasformare il substrato nel prodotto. A questo punto Km/Kcat permette di avere un’ indicazione più precisa di quella che è la reale velocità con cui l’enzima sta catalizzando la reazione. Possono esserci degli enzimi che hanno Km mediocre e Kcat buona, quindi il legame con il substrato avviene più lentamente, ma la sua liberazione avviene velocemente, quindi risultano essere enzimi molto efficienti. Sbobinatore: Stefania Pagliano Revisore: Federica Onidi Pssono esserci enzimi con un’ottima Km e una Kcat mediocre, quindi il substrato verrà legato velocemente e rilasciato più lentamente, ma comunque risultano essere degli ottimi enzimi. Possono esserci degli enzimi dove sia la Km che la Kcat sono mediocri, ma sarebbero dei pessimi enzimi, per questo in natura è molto difficili trovarli dato che nel corso dell’evoluzione sono stati eliminati. Ci sono enzimi che invece l’evoluzione ha portato alla loro forma più efficiente, quella più veloce, sono enzimi con Km buona e ottima Kcat, quindi la loro velocità è molto elevata. Il valore massimo di Kcat/Km è pari a 10^8 o 10^9 mol/L -1 * s-1, valore che è raggiunto dall’enzima triosofosfatoisomerasi, che si conosce nella glicolisi, che trasforma il di idrossido fosfato nel gliceraldeide 3 fosfato e ha Kcat/Km pari a 2,4*108, molto vicino al valore massimo ipotizzabile per questo rapporto. Si osserva l’applicazione del rapporto tra Kcat/Km facendo riferimento alla chimotripsina, che tende ad idrolizzare molto bene i legami peptidici che si trovano dopo degli amminoacidi idrofobici. Nella tabella della diapositiva 27 sono riportati i valori di Kcat/Km per un amminoacido che è la glicina, idrofilico, e poi la fenilalanina, un amminoacido con un grosso anello aromatico, quindi idrofobico. La Kcat/Km della glicina è 10-1, quello della fenilalanina 10 -5. Quindi dai valori si deduce che la chimotripsina taglia un legame peptidico che si trova dopo l’amminoacido fenilalanina 1 milione di volte in modo più efficiente che con il taglio di un amminoacido che si trova dopo la glicina. La chimotripsina è specifica per idrolizzare i legami peptidici dopo gli amminoacidi idrofobici, Kcat/Km permette di confrontare l’efficienza in cui l’enzima taglia i legami dopo due amminoacidi diversi. Ci sono dei meccanismi generali di regolazione dell’attività degli enzimi, e sono il controllo a livello di substrato, la regolazione a feedback, la modificazione covalente della molecola enzimatica, l’allosterismo e poi l’induzione o repressione genica della biosintesi della proteina enzimatica. 1. Controllo a livello del substrato Se un enzima trasforma una reagente A in un prodotto B, si nota che alte concentrazioni del substrato favoriscono la formazione del prodotto, quindi più aumenta la concentrazione del substrato e più l’enzima viene saturato dal suo stesso substrato, ovvero anche con Km non molto efficiente riesce ad agire con una buona velocità. Però anche il prodotto si lega all’enzima, man mano che si dovesse accumulare il prodotto ad un certo punto se raggiun