L’ASSESSMENT TERAPEUTICO PDF
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University of Texas
Silvia Casale, Giulia Fioravanti, Stephen Finn
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Summary
Questo documento descrive l'assessment terapeutico, un approccio all'assessment psicologico che va oltre la semplice raccolta di informazioni. Si concentra sull'utilizzo della valutazione psicologica per aiutare i pazienti in modo diretto, producendo cambiamenti positivi. Presenta diverse fasi e tecniche come l'ascolto attivo e il rispecchiamento, spiegando anche importanti concetti come lo scaffolding e le domande circolari.
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L’ASSESSMENT TERAPEUTICO di Stephen Finn (University of Texas) Silvia Casale, Phd, e Giulia Fioravanti, PhD, Dipartimento di Scienze della Salute Assessment psicologico Assessment tradizionale Assessment terapeutico (raccolta di inform...
L’ASSESSMENT TERAPEUTICO di Stephen Finn (University of Texas) Silvia Casale, Phd, e Giulia Fioravanti, PhD, Dipartimento di Scienze della Salute Assessment psicologico Assessment tradizionale Assessment terapeutico (raccolta di informazioni) Non collaborativo Collaborativo Poco strutturato Semi-strutturato: ASSESSMENT TERAPEUTICO L’assessment tradizionale Assessment = insieme di pratiche cliniche finalizzate alla produzione di una conoscenza psicologica E’ un approccio in cui i test sono somministrati principalmente a fini diagnostici, pianificativi del trattamento e/o per una comprensione del caso Si dà rilievo soprattutto a dati standardizzati, raccolti dal clinico «esperto» e comparati con i dati normativi di riferimento Nella sua accezione classica, tende ad implicare una relazione tra operatore e soggetto caratterizzata da una netta divisione di potere e autorità nella definizione della realtà (Aschieri, 2009) Implica inoltre una ferma differenziazione tra momenti conoscitivi (diagnosi) e momenti trasformativi (presa in carico). L’assessment terapeutico Tipo di approccio all’assessment psicologico il cui fine va oltre alla semplice raccolta di informazioni che servono alla comprensione e al trattamento. L’elemento aggiuntivo è l’utilizzo della valutazione psicologica per aiutare il paziente in modo diretto, producendo in lui dei cambiamenti positivi Non vincolato a nessuna particolare procedura, tecnica clinica o filosofia. L’assessment terapeutico collaborativo comporta il coinvolgimento del paziente nelle diverse fasi del processo di assessment (definizione delle ragioni, osservazione delle risposte ai test, scoperta del significato di tali risposte, elaborazione dei suggerimenti, redazione della sintesi finale) Differenze assessment tradizionale e AT 1. OBIETTIVI (descrizione vs comprensione) 2. PROCESSO (gestito unilateralmente vs co- diretto) 3. IL SIGNIFICATO DEL TEST (strumento oggettivo nomotetico vs un’occasione per vedere il mondo dal punto di vista del cliente) 4. IL FOCUS (i punteggi al test vs le esperienze e le osservazioni durante il test) 5. IL RUOLO DEL CLINICO (distante e oggettivo vs osservatore-partecipe) L’ASSESSMENT TERAPEUTICO Assessment collaborativo SEMISTRUTTURATO→ caratterizzato da una metodologia sistematica e da una struttura esplicitata Schema generale di un Assessment Terapeutico Finn Step 1 Seduta/e iniziale/i Step 2 Seduta/e di raccolta di test standardizzati Step 3 Seduta/e - intervento Step 4 Seduta/e di discussione e riepilogo Step 5 Invio di una lettera di riepilogo di risultati al cliente Step 6 Seduta/e di follow-up Step 1 (seduta/e iniziale/i) Chiedere ai clienti quali perplessità, interrogativi e dilemmi abbiano su di sé e focalizzare l’assessment sugli obiettivi personali dei clienti. Aiutare i clienti a tradurre in domande concrete la propria inquietudine Coinvolgimento attivo del cliente La formulazione condivisa delle domande di assessment ha un duplice obiettivo: 1. guida il clinico nella selezione degli strumenti di assessment più «calzanti» rispetto agli obiettivi del cliente 2. promuove l’auto-riflessione e ci fornisce una prima indicazione dell’idea che il cliente si è fatto circa il suo problema Il clinico accompagna il cliente nel tradurre preoccupazioni generiche in specifiche domande a cui sia possibile rispondere attraverso il percorso di assessment e lo fa chiedendo quando il problema è iniziato, in quali situazioni si presenta, le strategie di fronteggiamento messe in atto e il loro livello di efficacia, ipotesi sulla sua origine Step 2 (seduta/e di raccolta dei test standardizzati) Non vi è una batteria di test predeterminata. La scelta è determinata dalla natura delle domande di assessment del cliente (e/o del professionista inviante) – ad es., se la domanda è la presenza di un disturbo dell’apprendimento verranno somministrati test cognitivi e di livello Qual è la differenza tra questa fase e un tradizionale assessment psicologico? L’ordine di somministrazione dei test è determinato dalle domande centrali di assessment del cliente. Questo smorza l’ansia del cliente. Introdurre ogni test secondo la sua rilevanza per le domande di assessment del cliente, specificando in maniera particolare l’utilità di quei questionari il cui scopo è più difficile da decifrare (ad es., il MMPI-2 RF) Dopo la somministrazione dei test, si discute con il cliente dell’esperienza di compilazione per raccogliere ulteriori informazioni (ad es. approfondendo il significato delle risposte ad alcuni item) Step 3 (seduta/e – intervento) Una volta completata la fase dei test standardizzati, affrontare quei problemi di vita che sono il focus del cliente. Rendere vivi per i clienti i punteggi dei test (Fischer, 1994). Utilizzare i punteggi ai test per evocare e affrontare le esperienze dolorose sulle quali si focalizza l’assessment. Il clinico cerca di coinvolgere il cliente: – nell’esplorazione di ipotesi derivanti dai risultati del test – nella comprensione e nella presa di consapevolezza dei risultati del test – nel «fare esperienza» del risultato del test – nell’ipotizzare e testare nella realtà soluzioni più adattive – nel prepararsi per le seduta/e di discussione e riepilogo Step 4 (seduta/e di discussione e riepilogo) I risultati al test vengono usati per rispondere alle domande di assessment Collaborazione tra clinico e cliente Integrazione delle informazioni raccolte durante l’assessment tramite i test, le prove e il colloquio per arrivare a una comprensione più accurata e «compassionevole» dei problemi INFORMAZIONI DI LIVELLO 1 Ciò che è coerente con la tua visione di te stesso INFORMAZIONI DI LIVELLO 2 Informazioni che allargano o modificano l’abituale modo di pensare a se stessi senza minacciare la percezione di sé INFORMAZIONI DI LIVELLO 3 Informazioni nuove e discrepanti, che se presentate per prime potrebbero essere rifiutate perché minacciano la percezione di sé INFORMAZIONI DI LIVELLO 1 Un esempio potrebbe essere il «Questo sono proprio io! » dire a qualcuno che si autodefinisce come estroverso che nella scala SAV dell’MMPI 2 RF ha ottenuto un punteggio molto basso suggerendo che gli piace incontrare gente nuova e che è a suo agio in gruppi numerosi INFORMAZIONI DI «Non ho mai pensato a LIVELLO 2 me stesso proprio in questi termini ma posso capire che quello che mi sta dicendo mi Ad esempio il dire ad una corrisponde» persona che è preoccupata della sua apatia e della sua difficoltà di concentrazione che il suo punteggio alla EID e alla RC2 dell’MMPI 2 RF suggerisce che è emotivamente sopraffatto piuttosto che pigro come invece lui teme. INFORMAZIONI DI LIVELLO 3 Esempio. Una persona che è orgogliosa della sua capacità di controllo emotivo, che vede come sinonimo di autonomia e indipendenza mentre al Rorschach emerge un senso di impotenza e un bisogno di vicinanza emotiva. Probabilmente l’inibizione delle emozioni che lui adotta come strategia difensiva può essere uno dei motivi che allontanano gli altri (che lo vedono invece come anaffettivo e chiuso e presuntuoso) La teoria che sostiene tale ordine è la teoria dell’ autoverifica (Self Verification Theory, Swann et al. 1996) che postula che le persone sono spinte a mantenere le storie o gli schemi che hanno di sé, svalutando o non considerando le informazioni che contrastano con tale visione. Per cui è importante far muovere gradualmente la persona verso informazioni più discrepanti sostenendola emotivamente e discutendo le informazioni provenienti dall’ assessment («Concorda?», «Dissentisce?» «Vuole correggere?») e dando esempi di vita reale di quanto detto. Per tale motivo il termine «restituzione» viene sostituito da «discussione e riepilogo». Step 5 (invio di una lettera di riepilogo dei risultati al cliente) Invio di una lettera che affronti gli interrogativi del cliente e di invito ai clienti a commentare e modificare le bozze di queste lettere. Step 6 (seduta/e di follow-up) Incontri a distanza di 2 o 3 mesi per discutere eventuali domande e sviluppi. Utili per i clienti che non accedono ad una psicoterapia regolare. Durata totale: indicativamente dalle 3 alle 5 settimane (è possibile fare anche incontri bisettimanale e anche della durata più lunga di un’ora/ora e mezzo per la compilazione di test) Può essere svolto con molti clienti in vari contesti diversi, clienti ospedalizzati o ambulatoriali, individui adulti, coppie, famiglie con bambini, o con adolescenti, gruppi di lavoro. In genere è particolarmente indicato quando è svolto dai clienti volontariamente, anche se la sua utilità in contesti differenti (ad esempio, in casi forensi, o di selezione del personale) sta venendo attualmente approfondita. Le sedute-intervento OBIETTIVI: ▪ Acquisire consapevolezza e «riscrivere» le storie su di sé ▪ Esplorare e mettere alla prova le hp formulate dai risultati dei test standardizzati ▪ Fornire un’opportunità per affrontare in modo più adattivo i problemi di vita ▪ Aiutare i pazienti a divenire consapevoli di informazioni che altrimenti potrebbero essere rifiutate PASSAGGI: Step 1: Pianificare in anticipo – Selezionare un focus di lavoro – Chiedersi «come si può far emergere in vivo il comportamento problematico?» (opzioni: test standardizzati non ancora usati, role-play o attività meno strutturate, test non standardizzati) Step 2: Presentare la seduta al cliente – Porre le basi per il lavoro dicendo al cliente che esplorerete insieme una particolare domanda Step 3: Far emergere, osservare e dare un nome al comportamento problematico – Adottare le parole usate dal cliente – Tracciare connessioni con le manifestazioni del comportamento problematico al di fuori del setting di consultazione Step 4: Esplorare il contesto che porta al comportamento problematico – Che cosa lo evoca, lo mantiene, lo rinforza? Step 5: Immaginare soluzioni al comportamento problematico e testarle in vivo – Lasciare che il cliente suggerisca per primo delle soluzioni possibili – Creare dei piccoli esperimenti e osservarne i risultati Step 6: Discutere su come applicare nella vita di tutti i giorni le soluzioni risultate efficaci – Creare insieme degli «scenari immaginari» ESEMPIO DI SEDUTA INTERVENTO Caso di Jim: uomo timido e gentile con una lunga storia di insuccessi lavorativi e scolastici. La sua domanda era «Perché non riesco ad avere successo in niente?» Diplomato con grandi difficoltà, vive in casa con i suoi genitori e non è riuscito a mantenere un lavoro stabile. I test intellettivi e di apprendimento confermarono che Jim era affetto da un grave disturbo dell’apprendimento diagnosticatogli all’età di sette anni. Quando compilava i test Jim si autosvalutava costantemente («non riuscirò») anche quando andava bene a qualche subtest. All’MMPI aveva ottenuto il punteggio più alto possibile (97) alla scala della bassa autostima. La cosa più difficile da vedere e accettare per lui sarebbe stato il modo in cui egli stesso sabotava inconsapevolmente ogni possibilità di successo, rinunciando a continuare o a provare perché certo di fallire. La sua domanda «perché non riesco ad avere successo?» era quindi una porta aperta per far filtrare questa nuova comprensione del problema. Pianificare in anticipo La tendenza di rinunciare ancor prima di iniziare è il focus del lavoro. Per farlo emergere in seduta: notando che Jim aveva ottenuto punteggi elevati nel QI di performance e che quindi era abile nei compiti di memoria visiva gli venne presentato un compito di tale tipo in modo da far emergere l’autosvalutazione e il senso di rinuncia e metterli a confronto con il successo ottenuto nel compito per aiutarlo a realizzare quanto distorta fosse la percezione di sé. Venne somministrato il Bender Visual Motor Gestalt Test (BVMGT). Presentare la seduta al cliente Dissi a Jim che nella seduta odierna avremmo fatto qualcosa che ci avrebbe aiutati a chiarire meglio il perché non riusciva ad avere successo in niente. Far emergere, osservare e dare un nome al comportamento problematico Diedi a Jim la consegna del Bender-Gestalt, lui disse immediatamente «non sono bravo a disegnare». Lo incoraggiai a fare quello che poteva e come avevo previsto copiò tutte le 9 figure in modo quasi perfetto sospirando in continuazione e cancellando diverse volte. Era imbarazzato e costernato. Alla fine del compito disse che era arrabbiato per aver fatto così fatica in un compito così semplice. Poi gli detti un foglio bianco e gli chiesi di disegnare quante più figure riuscisse a ricordare. Era spaventato e disse che sicuramente non ne avrebbe ricordato nessuno. Disegnò 4 figure e poi mi restituì il foglio dicendomi che erano tutte quelle che ricordava. Gli disse che andava bene ma di prendersi ancora qualche minuto per ricordare. Dopo essersi concentrato Jim né disegno altre due e con un ulteriore mio incoraggiamento altre due, rievocando in tutto 8 disegni su 9. Chiesi a Jim come pensava di essere andato, mi disse «male, sono così stupido che non sono riuscito a ricordarne nessuno». Avevo sottostimato quanto Jim tendesse a vedersi in modo distorto, chiesi «quante figure pensa che ci fossero all’inizio?», Jim risponde «14 o 15», «No», dissi «c’erano solo 9 tavole e lei ne ha ricordate quasi tutte, laddove la maggior parte delle persone ne ricorda solo 6-7. E le sue copie sono eccellenti, migliori di quelle che di solito le persone fanno». Jim sembrò scioccato e confuso. «Vede Jim lei si giudica così male che non riesce più a capire in cosa riesce bene e in cosa no. Come molti di noi, non vuole impegnarsi in qualcosa in cui pensa di fallire, ma crede di non poter far bene niente, anche quando può. Questa è in parte la risposta alla sua domanda Perché non riesco ad avere successo in niente? Lei può avere successo ma non crede in se stesso e quindi, comprensibilmente, non ci prova nemmeno. Se non l‘avessi incoraggiata lei avrebbe rinunciato. Inoltre anche quando fa bene qualcosa, la giudica in modo negativo e questo rinforza l’idea che lei non sappia fare nulla di buono.»… …Jim disse «nessuno mi aveva mai detto che avevo fatto bene qualcosa. Ho iniziato a chiedermi che cos’altro so fare senza saperlo». Chiesi a Jim come avremmo potuto chiamare questa sua tendenza a «vendersi male» e cominciammo a parlare di «lenti da perdente» e di come queste influenzassero molti suoi comportamenti: gli impedivano di cercare lavoro, lo facevano rinunciare facilmente e lo rendevano molto critico verso se stesso. Esplorare il contesto che porta al comportamento problematico Chiesi a Jim se c’erano delle situazioni in cui non indossava le «lenti da perdente». Ci pensò e rispose «Quando suono la chitarra da solo nella mia stanza, lì non mi preoccupo di come sto andando». Di sua spontanea iniziativa Jim ricordò di quando alle elementari suo padre cercava di aiutarlo in diverse materie ma finiva sempre con il rimproverarlo. Insieme condividemmo che almeno in parte questi atteggiamenti potevano aver contribuito nell’aver fatto sviluppare le «lenti da perdente». Immaginare soluzioni al comportamento problematico e testarle in vivo Chiesi a Jim se gli andava di fare un piccolo esperimento con me, un compito che normalmente lo spingerebbe a mettere le lenti da perdente, per vedere se riusciamo a impedire che accada. Dissi «Ha qualche idea da quello che abbiamo detto su cosa potremo fare?», Jim rispose «Credo che dovrei semplicemente andare avanti al di là di tutto ciò che sembra andare male» Chiesi a Jim di immaginare come sarebbe stato, lui rispose «Credo che mi sentirei in ansia». Discutemmo come gestire l’ansia e Jim suggerì che avrebbe potuto semplicemente provare ad ignorarla. Quindi chiesi a Jim di riprovare a disegnare a memoria le figure del test. Cominciò a disegnare, fatte alcune figure disse che trovava difficile ignorare l’ansia. Gli chiesi se poteva comportarsi come quando suonava la chitarra, ci pensò e mi chiese se potevo evitare di guardarlo mentre disegnava. Chiesi come era andata, mi disse che era andata bene, era riuscito a disegnare tutte e 9 le figure e a tenere da parte le lenti da perdente. Gli chiesi se ora riusciva a rispondere alla sua domanda sul perché non riuscisse ad avere successo in quello che faceva, Jim rispose «Perché non ho fiducia in me stesso e rinuncio troppo facilmente». Discutere su come applicare nella vita di tutti i giorni le soluzioni risultate efficaci Dissi a Jim «Come pensa che sarebbe provare a mettere in pratica qualcosa di quello che abbiamo imparato oggi quando va a casa e vuol cercare lavoro?» Lui stesso ipotizzò che avrebbe provato meno ansia se i suoi genitori non avessero saputo che stava facendo delle domande di lavoro. Disse che nella settimana avrebbe provato a compilare 4 domande di lavoro. Abilità e tecniche nell’AT ASCOLTO ATTIVO Essenziale per la costruzione di una relazione empatica Dimostrazione di coinvolgimento e interesse verso ciò che il cliente sta dicendo (contatto visivo, cenni con la testa, espressioni facciali, brevi commenti del tipo «sì» «uh huh», parafrasi- «E’ come se lei mi stesse dicendo…» Viene usato in tutti gli step dell’AT ma risulta particolarmente utile nello Step 1 (definizione delle domande di assessment) e tutte le volte che il cliente giunge a nuova consapevolezza o entra in contatto con le proprie emozioni (ad es. nell’inchiesta post test, nelle sedute intervento e di discussione). RISPECCHIAMENTO Secondo Rogers (1980) richiede «the therapist’s sensitive ability and willingness to understand the client’s thoughts, feelings, and struggles from the client’s point of view. [It is] the ability to see completely through the client’s eyes, to adopt his frame of reference” Secondo Linehan (1993) è l’elemento di validazione più importante “when clients feel accurately seen, they tend to better regulate their emotions, their identity is reinforced, and they feel more close to the clinician” Il clinico può «riflettere» gli stati interni del cliente nell’interazione qui e ora («Vedo quanto sei arrabbiato»), facendo delle ipotesi («E’ possibile che questa situazione ti faccia sentire impotente»), normalizzandoli all’interno della storia del cliente («visto le tue esperienze precedenti, ci credo che ti senti così») o validandoli («Vedo che sei sopraffatto dalla tristezza, chiunque si sentirebbe così in quella situazione»). Il clinico utilizza il rispecchiamento in tutti gli step dell’AT. Più profondamente si conosce il cliente, più accurato sarà il rispecchiamento. Durante la raccolta delle domande di assessment, il clinico pone particolare attenzione alle narrative del cliente e alle sue reazioni emotive e rispecchia quello che il cliente esprime. Il clinico stimola attivamente il cliente ad esprimere le proprie emozioni connesse alle tematiche affettivamente più cariche attraverso domande dirette Ad es. «Come la fa sentire parlarmi dei suoi problemi con suo marito?», se il cliente nega qualsiasi tipo di attivazione emotiva perché per esempio dice di aver già raccontato molte volte dei suoi problemi coniugali, il clinico potrebbe rispecchiare la sua mancanza di speranza rispetto al fatto di essere compresa da un’altra persona. Oppure se il cliente riferisce vergogna («Sento che potrebbe pensare che sono uno stupido»), il clinico potrebbe rispecchiare il suo senso di inadeguatezza («Lo vedo. E’ come se si sentisse completamente responsabile dei problemi del suo matrimonio») e suggerire che potrebbe sentirsi meglio se fosse più compassionevole con se stesso («Sembra che lei sia molto dura con se stessa»). Attraverso il rispecchiamento delle reazioni che accompagnano quello che il cliente riferisce di sé è possibile arrivare a definire o ridefinire le domande di assessment Es. «Perché non sono capace di distinguere le persone che possono aiutarmi da quelle che non lo possono fare?» oppure «Perché finisco sempre con l’incolparmi o il vergognarmi quando sto male?» Il clinico usa i risultati dei test e le esperienze connesse alla loro compilazione come «amplificatori di empatia» (Finn, 2007) SCAFFOLDING Il termine nasce dagli studi di Vygotsky (1987) sullo sviluppo cognitivo dei bambini in relazione al costrutto di zona di sviluppo prossimale E’ il processo attraverso il quale una persona più esperta fornisce supporto temporaneo (attraverso comunicazione verbale e non verbale) al fine di aiutare l’altra persona ad apprendere qualcosa di nuovo sulla base di quanto già conosciuto Nell’AT viene utilizzato per aiutare il cliente a sentirsi «autore» dei risultati dell’assessment, affinchè apprenda nuovi significati o informazioni difficili senza percepire ansia Il clinico in quanto «esperto dei test» offre la sua conoscenza sull’interpretazione dei punteggi alle scale ed aiuta il cliente a dare un senso ad aspetti specifici del suo funzionamento psicologico in quanto «esperto della propria vita» Diventa quindi centrale nelle sedute di discussione e riepilogo Il clinico presenta i risultati in una maniera preliminare («Sembrerebbe che…» «I risultati al test suggeriscono che…») per lasciare spazio a commenti e modifiche da parte del cliente Il paziente è coinvolto come un interprete attivo dei risultati e gli insight e le associazioni da lui prodotte sono rinforzate positivamente. Anche il disaccordo da parte del cliente costituisce un’occasione potente per esplorare significati inaspettati o per riflettere su possibili resistenze e mancanza di fiducia nell’assessment e nell’assessor. Lo scaffolding aiuta il cliente a sentirsi attivo nell’interpretare i risultati al test e nel fare connessioni tra i risultati, le esperienze di vita e risposte potenziali di assessment DOMANDE CIRCOLARI Consiste nel fare domande che aiutino il cliente nel connettere informazioni relative al comportamento, alle emozioni e ai loro significati e ai contesti di vita Nell’AT sono particolarmente utili nelle sedute iniziali per aiutare il cliente a formulare le domande di assessment e anche nelle inchieste post test e nelle sedute intervento per esplorare significati «alternativi» Vengono usate per indagare le diverse manifestazione del problema nel tempo («Quando ha iniziato a sentirsi triste?», «E’ cambiato il suo senso di tristezza nel corso dell’ultimo anno?»), rispetto a relazioni diverse («Con chi si sente meno a proprio agio da quanto ha iniziato a sentirsi triste?»), in contesti diversi («La sua tristezza peggiora a casa o a lavoro?») e per creare connessioni tra le risposte ai test ed i problemi esperiti nella vita di tutti i giorni (es. TAT «Vede qualche somiglianza tra il personaggio della storia e se stesso?) COSTRUIRE UNA RELAZIONE SICURA Passa attraverso tre processi: la sincronizzazione emotiva, la comunicazione «collaborativa» e il riparare le rotture Indagare con un atteggiamento curioso i vissuti del cliente aiuta a sincronizzarsi emotivamente con lui e a rispettarlo. Nell’AT la comunicazione «collaborativa» si esplica nel passaggio tra il vocabolario dei test a quello del paziente. Nell’AT ci possono essere diversi momenti a rischio per una rottura della relazione (ad es. nell’inchiesta post test il clinico può inavvertitamente violare la privacy del cliente indagando alcuni aspetti della sua vita o ignorare i segnali di un disagio emotivo che il cliente sta vivendo quando si toccano determinati argomenti) Per questo è importante porre sempre attenzione ai segnali verbali e non verbali di rottura per porvi rimedio Risultati delle meta-analisi svolte sull’AT Riduzione della sintomatologia dei clienti – Effect size da.19 a.37 Aumento della soddisfazione per il trattamento in corso e motivazione al trattamento successivo – Effect size da.59 a 1.11 Minor vergogna e più autostima – Effect size da.37 a.42 Poston & Hanson (2010); Durosini & Aschieri (2021); Aschieri et al. (in press) Bibliografia «Nei panni dei nostri clienti. Teorie e tecniche dell’assessment terapeutico» Stephen E. Finn GIUNTI OS www.therapeuticassessment.com (sito del Center for Therapeutic Assessment di Austin)