Strategia d'impresa 3 PDF
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Questo documento descrive le strategie aziendali, in particolare la diversificazione, come strumento per espandere il business, ridurre i rischi, e garantire la sostenibilità a lungo termine. Si discute di diversificazione correlata e non correlata, con esempi. Il documento si concentra sulle strategie e sui processi di ricerca e implementazione delle strategie di diversificazione.
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VI: Strategie corporate Diversificazione Livelli di formulazione della strategia 1. Strategia a livello corporate (di gruppo) Questa strategia riguarda le decisioni prese dall'azienda su quali settori operare. (attrattività del settore) Si focalizza sulla gestione di un gruppo di...
VI: Strategie corporate Diversificazione Livelli di formulazione della strategia 1. Strategia a livello corporate (di gruppo) Questa strategia riguarda le decisioni prese dall'azienda su quali settori operare. (attrattività del settore) Si focalizza sulla gestione di un gruppo di business diversi, competendo in settori e mercati differenti. Risponde alla domanda "DOVE" operare, ovvero quali ambiti sono più attrattivi per l'azienda. 2. Strategia a livello di business (competitiva) Si concentra sul vantaggio competitivo necessario per competere all'interno di un settore o mercato specifico. Ogni unità di business (SBU - Strategic Business Unit) definisce come competere in un determinato mercato-prodotto. Risponde alla domanda "COME", ovvero quali strategie adottare per distinguersi dai competitor. Che cos’è la diversificazione? Si definisce diversificazione l’espansione strategica di un’azienda verso nuovi prodotti, servizi o mercati. Implica l’ingresso in settore differenti rispetto al core business attuale. E’ una strategia cruciale per espandere il business, mitigare i rischi e garantire la sostenibilità a lungo termine, adattandosi ai cambiamenti del mercato e sfruttando le sinergie aziendali. Obiettivi della diversificazione: Trovare nuove fonti di ricavo: esplorare nuovi mercati o settori per aumentare i profitti. Ridurre il rischio di business: diversificare le attività riduce la dipendenza da un solo settore. Gestire il declino del core business: entrare in nuovi mercati può compensare il calo delle attività principali. Sfruttare sinergie: utilizzare risorse e competenze esistenti per creare valore in altri mercati. Processi principali: Ricerca e selezione: identificare opportunità in nuovi settori o mercati. Implementazione di strategie: pianificare l'ingresso e la presenza competitiva in nuovi ambiti. 6.1 Obiettivo strategico della diversificazione: crescita dimensionale La diversificazione strategica consente una rapida crescita dimensionale. Non solo supporta l’espansione aziendale, ma ottimizza l’efficienza operativa, rafforza la posizione competitiva e consente una maggiore stabilità e crescita su scala globale. Ecco quattro obiettivi principali: 1. Economie di scala La crescita dimensionale riduce i costi medi per unità di prodotto grazie all'aumento della capacità produttiva. Vantaggi ottenibili: riduzione dei costi totali operativi attraverso una produzione più efficiente. 2. Saturazione della capacità produttiva L'espansione permette di sfruttare al massimo gli impianti e le risorse aziendali, riducendo ulteriormente i costi medi. Favorisce l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse disponibili. 3. Aumento del potere contrattuale Una dimensione maggiore rafforza il potere negoziale con fornitori e clienti. L'azienda può negoziare migliori condizioni di fornitura e contratti più vantaggiosi. 4. Espansione geografica e know-how La diversificazione facilita l'ingresso in nuovi mercati geografici, incrementando il know-how e le competenze. Rende l’azienda più resiliente a fluttuazioni locali o settoriali. Distinguiamo due gradi di diversificazione: - Diversificazione CORRELATA: espansione verso nuove aree di affari rispetto alle quali sussistono dei collegamenti tecnologici (di produzione), di distribuzione o di marketing. Esempi: Richemont, Un conglomerato nel lusso che include brand come Cartier, Montblanc, Piaget e Officine Panerai Si focalizza su prodotti premium e di alta gamma, come orologi, gioielli e pelletteria. La coerenza tra i settori consente sinergie operative e di marketing. Johnson & Johnson, Con una gamma di prodotti per la cura della persona e farmaceutici (Neutrogena, Aveeno, Band-Aid), la diversificazione è strettamente legata al settore della salute e benessere. - Diversificazione NON CORRELATA (o conglomerale): si realizza quando tra attività vecchie e nuove non intercorre nessun collegamento nè di tecnologia, nè di mercato. Esempi: LVMH, Include un'ampia varietà di business nel lusso (moda, vini, profumi, orologi), ma anche ambiti più distanti come media e retail. Ogni segmento opera in autonomia, con poco collegamento diretto tra le attività. General Electric (GE), Una diversificazione estrema, che spazia da elettrodomestici, aviazione e healthcare a servizi finanziari ed energia. Dimostra come l’espansione in ambiti non correlati consenta una maggiore resilienza alle fluttuazioni di mercato. La diversificazione, sia correlata che non correlata, permette alle aziende di crescere, differenziare le fonti di reddito e affrontare meglio i rischi di mercato. Le strategie di ingresso, come M&A, crescita interna e joint venture, offrono modalità flessibili per implementare questo approccio in base alle esigenze aziendali e agli obiettivi strategici. 6.2 Strategie di ingresso in nuovi settori: Per attuare una diversificazione efficace, le aziende possono adottare diverse strategie di ingresso: M&A (Mergers & Acquisitions) Acquisire altre aziende permette di entrare rapidamente in nuovi settori, sfruttando strutture e competenze già consolidate. Esempio: Google ha acquisito YouTube. Crescita Interna (Internal Start-ups) L’azienda sviluppa internamente nuove attività o prodotti, puntando su innovazione e risorse interne. Esempio: Google ha creato servizi come Gmail e Google Translate. Joint Venture Collaborazioni strategiche con altre aziende per condividere risorse, know-how e rischi. Esempio: la partnership tra Google e Intel per sviluppare Android. 6.3 Come misurare la diversificazione: 1. Il metodo Rumelt Il metodo di Rumelt permette di valutare il grado di diversificazione di un’azienda, distinguendo fra specializzazione sul core business, correlazione tra le attività, o integrazione verticale. È uno strumento utile per comprendere la strategia e la priorità di diversificazione aziendale. E’ un approccio utilizzato per misurare il livello di diversificazione di un’azienda, basati su due indici principali: Indice di Specializzazione (Specialization Ratio - S.R.) Formula: S.R. = Fatturato attività dominante / Fatturato Totale Questo indice misura quanto del fatturato totale deriva dall’attività principale dell’azienda. Un valore alto indica una maggiore concentrazione sul core business, quindi una minore diversificazione. Indice di Correlazione (Related Ratio - R.R.) Formula: R.R. = Fatturato attività correlate / Fatturato Totale Misura quanto del fatturato è generato da attività correlate (che condividono competenze, risorse o tecnologie). Un valore alto suggerisce una diversificazione correlata, mentre un valore basso indica una diversificazione più ampia o non correlata. Definizioni: Attività dominante: La singola unità di business che genera la maggior parte del fatturato. Attività correlate: Gruppi di attività che condividono risorse, competenze o infrastrutture comuni. Attività integrate: Gruppi di prodotti o processi produttivi che sono collegati, ad esempio, attraverso la trasformazione di una stessa materia prima. Interpretazione degli indici di Rumelt Gli indici di Rumelt classificano il grado di diversificazione delle aziende in base al fatturato e all'indice di specializzazione, distinguendo cinque categorie principali: Single Business (A) Caratteristiche: Il 95% o più dei ricavi proviene da una singola linea di business o unità operativa. Esempio: KLM. Strategia: Focalizzazione estrema sul core business senza diversificazione Dominant Business (A, B) Caratteristiche: Tra il 75% e il 95% dei ricavi deriva da una singola linea di business. Esempi: The New York Times, 3M. Strategia: Presenza significativa di un core business dominante, con alcune attività secondarie che contribuiscono ai ricavi. Related Constraint (C, A, B) Caratteristiche: Meno del 70% dei ricavi deriva da una linea dominante, e tutte le linee condividono prodotti, tecnologie o canali. Esempio: Johnson & Johnson. Strategia: Diversificazione correlata, basata su sinergie tra le varie attività. Related Linked (Mixed Related and Unrelated) (C, A, B) Caratteristiche: Meno del 70% dei ricavi deriva da una linea dominante, con una moderata condivisione di prodotti, tecnologie o canali tra le attività. Esempio: Richemont. Strategia: Combinazione di diversificazione correlata e non correlata. Unrelated (C, A) Caratteristiche: Meno del 70% dei ricavi proviene da una linea dominante, senza alcuna condivisione tra prodotti, tecnologie o canali. Esempio: Berkshire Hathaway. Strategia: Diversificazione non correlata, costruita su un portafoglio diversificato per ridurre i rischi associati ai singoli settori. Le aziende possono adottare approcci diversi alla diversificazione, passando dalla concentrazione su un singolo business, come KLM, ad una diversificazione completa e non correlata, come nel caso di Berkshire Hathaway. La classificazione aiuta a comprendere il grado di dipendenza del core business e il livello di sinergia fra le attività. 2. Indice di Utton L’indice di Utton è uno strumento per valutare la diversificazione aziendale, considerando la distribuzione del fatturato tra le diverse attività. L’indice si basa sulla seguente formula. Formula dell’indice di Utton Dove: Pᵢ = Fᵢ / Fₜ o Fi: Fatturato dell’attività iii-esima. o Ft : Fatturato totale dell’azienda. Le attività vengono ordinate in ordine decrescente in base alla loro quota sul fatturato totale. Interpretazione dell’Indice w = 1: indica un’azienda con una sola attività (nessuna diversificazione). w = n: indica una completa equipartizione del fatturato tra le diverse attività (massima diversificazione). In conclusione, un valore vicino ad 1 segnala una forte concentrazione su un’unica attività, mentre valori più alti indicano una diversificazione equilibrata. Esercizio Gruppo Mondadori: Dati: Linee di Business e Ricavi: o Libri: 612M€ o Media: 141M€ o Retail: 199,5M€ Fatturato Totale: Ft=952,3M€F_t = 952,3M€Ft =952,3M€ Calcoli: 1. Indice di specializzazione Interpretazione: Il 64,2% del fatturato proviene dalla vendita di libri, indicando che questa è l'attività dominante. L'azienda rientra nella categoria "Related Constraint", essendo diversificata ma con una significativa concentrazione su un unico settore. 2. Indice di correlazione Interpretazione: L’85,2% del fatturato deriva da attività correlate (libri e retail), suggerendo una forte correlazione tra le linee di business. Questo indica un’elevata sinergia tra le attività. 3. Indice di Utton Interpretazione: L’indice di Utton mostra un moderato livello di diversificazione, vicino al minimo di diversificazione completa per un’azienda con tre linee di business. Ciò riflette una struttura orientata principalmente verso il core business (libri), con un contributo meno rilevante da parte delle altre attività. Mondadori si caratterizza per una forte concentrazione nel settore libri, che rappresenta oltre il 64% del fatturato totale. Tuttavia, la diversificazione verso media e retail aggiunge una componente correlata significativa (indice di correlazione elevato), rafforzando le sinergie tra le linee di business. L’indice di Utton indica che la distribuzione dei ricavi è moderatamente bilanciata, con una prevalenza dell’attività dominante. 6.4 L’obiettivo della diversificazione: la ricerca della redditività I tre test essenziali proposti da Michael Porter consentono di valutare se una strategia di diversificazione può realmente creare valore per gli azionisti, assicurando che l’espansione aziendale sia economicamente vantaggiosa: 1. Test di attrattività I settori considerati per la diversificazione devono essere intrinsecamente attrattivi o migliorabili rispetto al settore di origine. Fattori come crescita del mercato, redditività potenziale e vantaggi competitivi determinano l'attrattività del nuovo ambito. 2. Test del costo di entrata Il costo richiesto per entrare in un nuovo settore non deve superare i futuri benefici economici. Barriere all'entrata troppo alte potrebbero impedire all'azienda di ottenere un ritorno sufficiente sull'investimento. 3. "Better-Off" test La diversificazione deve generare vantaggi competitivi reciproci tra l’azienda madre e la nuova unità. Sinergie come la condivisione di risorse, competenze o infrastrutture permettono di migliorare il valore complessivo e l’efficienza operativa di entrambe le realtà. In sintesi, una strategia di diversificazione efficace richiede che il nuovo settore sia attraente, accessibile a costi sostenibili e capace di produrre sinergie. Solo in questo modo è possibile garantire un incremento del valore per l’azienda e i suoi azionisti, evitando investimenti rischiosi o poco produttivi. 6.5 Diversificazione e vantaggio competitivo La diversificazione consente di creare vantaggio competitivo attraverso lo sfruttamento dei legami tra attività diverse. La condivisione di risorse e competenze tra queste attività è la principale fonte di valore, migliorando l'efficienza e la competitività aziendale. 1. Politiche di prezzo predatore Utilizzo di prezzi bassi in determinati mercati per eliminare la concorrenza, sostenendo le perdite attraverso sussidi incrociati provenienti da altre attività. 2. Bundling Strategia che combina prodotti di diversi mercati in un'unica offerta, sfruttando il potenziale di monopolio su più settori. 3. Acquisto reciproco Favorire i fornitori che sono anche clienti di altre attività del gruppo, rafforzando la collaborazione interna e il vantaggio competitivo complessivo. 4. Tolleranza reciproca Creazione di modelli di competizione limitata tra imprese diversificate, migliorando la stabilità in settori differenti. Il vantaggio competitivo derivante dalla diversificazione dipende dalla capacità di integrare e sfruttare i legami tra attività diverse. Le politiche di mercato, come il bundling o l'acquisto reciproco, consentono alle aziende di consolidare il loro potere competitivo e di creare valore aggiuntivo sfruttando le sinergie interne. VII: Caso LVMH Tendenze chiave nel settore del lusso LVMH,, sotto la guida di Bernard Arnault, affronta il futuro concentrandosi su crescita sostenibile, personalizzazione delle strategie e mantenimento di un’esperienza cliente di altissimo livello, in un contesto globale complesso ma ricco di opportunità. Il settore del lusso sta attraversando una rapida evoluzione, influenzata da dinamiche globali significative. Il post-pandemia ha portato a un cambiamento nelle abitudini dei consumatori, riflettendo trend contrastanti. Negli ultimi due anni, il settore ha mostrato una crescita robusta, nonostante l'impatto di incertezze geopolitiche e dell'inflazione sulla stabilità dei mercati. Le preferenze dei consumatori variano notevolmente da una regione all'altra, evidenziando una crescente polarizzazione delle differenze locali. Questo scenario ha reso essenziale un approccio "glocal", che bilancia strategie globali con adattamenti alle specificità locali. Nonostante l'evoluzione digitale, la presenza fisica dei brand, attraverso negozi e boutique, rimane un elemento fondamentale per il successo nel mercato del lusso. Priorità del gruppo per il 2024 LVMH si concentra su obiettivi strategici chiave per consolidare la propria posizione di leader nel settore del lusso: 1. Crescita profittevole e aumento della quota di mercato: focus sull'espansione sostenibile. 2. Controllo rigoroso delle risorse: gestione efficace per mantenere la competitività. 3. Eccellente esperienza cliente: miglioramento del servizio e della soddisfazione del cliente. 4. Focalizzazione sulla quota di mercato: intensificazione delle azioni per guadagnare terreno rispetto ai concorrenti. Driver di performance nel settore del lusso 1. Valore del brand: a. I brand con maggiore valore globale dominano il settore del lusso. b. Louis Vuitton è il marchio leader, con un valore di 124,27 miliardi di dollari, seguito da Hermès (80,32 miliardi) e Chanel (53,02 miliardi). Questi marchi hanno saputo coniugare tradizione, innovazione e una forte presenza globale. 2. Modelli di gestione dei brand: a. Single brand: Hermès adotta una strategia focalizzata su un singolo marchio, puntando su esclusività e qualità eccezionale. b. Focused firm: Bulgari segue un approccio mirato, specializzandosi su specifiche categorie di prodotto. c. Autonomous multi-brand: Richemont gestisce vari marchi in modo indipendente, permettendo loro di mantenere identità e autonomia. d. Multi-Brand: LVMH integra diversi marchi, creando sinergie tra i brand del gruppo e sfruttando economie di scala. 3. Performance finanziaria e mercati: a. I marchi che investono in innovazione, comunicazione e una rete distributiva efficiente riescono a garantire una crescita stabile e una forte fidelizzazione della clientela. Ricetta per il successo Il successo nel settore del lusso si basa su una combinazione di strategie mirate, una gestione impeccabile del brand e una costante attenzione all’evoluzione del mercato globale. Modelli distinti come quelli di LVMH, Hermès e Richemont dimostrano approcci diversi ma complementari per prosperare in un ambiente competitivo. Investire nel valore del brand è essenziale per rafforzare l’immagine e attrarre una clientela fedele, mentre l’adattamento strategico consente di allineare il modello operativo agli obiettivi e alle caratteristiche specifiche del marchio. L’espansione geografica, accompagnata da una solida glocalizzazione, garantisce la capacità di crescere mantenendo autenticità e connessione con le realtà locali. Infine, l’equilibrio tra innovazione e tradizione, combinando tecnologie moderne con artigianalità e qualità ineccepibile, permette di rispondere alle aspettative sempre più esigenti dei consumatori. Le risorse chiave di LVMH: dominio nel settore del lusso I fattori che rendono LVMH un leader nel settore del lusso sono: Reputazione consolidata La lunga storia e il prestigio dei marchi sotto l’ombrello LVMH contribuiscono a un’immagine di eccellenza e fiducia presso i consumatori globali. Strategia multibrand La gestione di un portafoglio diversificato di marchi di lusso consente al gruppo di sviluppare competenze manageriali specifiche per ciascun brand, creando sinergie e opportunità di crescita. Risorse finanziarie consistenti La capacità di investire massicciamente in attività di brand building (comunicazione, marketing, innovazione) permette al gruppo di rafforzare costantemente la propria posizione di mercato. Integrazione verticale Strutture produttive completamente integrate verticalmente offrono un controllo diretto su produzione e gestione delle scorte, garantendo qualità e tempestività. Leadership nelle vendite LVMH è il più grande attore nel settore del lusso in termini di fatturato, una posizione che gli conferisce un potere contrattuale significativo con i fornitori e una maggiore capacità di negoziazione. Controllo dei canali di distribuzione La presenza diretta in quasi tutte le principali destinazioni di vendita assicura il controllo totale sull’immagine e sull’esperienza del cliente. Abilità competitive avanzate Attraverso l’intelligence sui competitor (facilitata dai propri canali retail), LVMH raccoglie informazioni strategiche sul mercato e migliora la competitività. LVMH ha costruito il suo successo grazie a una combinazione di risorse finanziarie, gestione multibrand, controllo verticale e presenza capillare nei mercati chiave. Questi elementi, insieme a una reputazione consolidata e a una strategia di intelligence sui competitor, lo posizionano come il leader indiscusso del settore del lusso. Perchè LVMH è diventato un player dominante del settore? LVMH ha costruito la propria posizione dominante nel settore del lusso grazie a una strategia basata sulla differenziazione, supportata da risorse e attività interconnesse che rafforzano il suo vantaggio competitivo. 7.1 Elementi chiave della strategia di differenziazione 1. Controllo sui canali di distribuzione a. LVMH possiede una rete distributiva in formati e località strategiche, che garantisce una presenza globale e il controllo sull'immagine del brand. 2. Portafoglio di marchi riconosciuti globalmente a. La gestione di marchi di lusso rinomati consente di attrarre consumatori esclusivi e consolidare la leadership nel settore. 3. Integrazione verticale nella produzione a. Un approccio produttivo integrato verticalmente assicura il controllo della qualità e riduce i costi, rafforzando le economie di scala. 4. Esclusività nei prodotti a. La gestione rigorosa dell’offerta garantisce l’esclusività dei prodotti, rafforzando il valore percepito dai clienti. 5. Economie di scopo a. La sinergia tra i diversi marchi e attività consente di sfruttare risorse comuni per ampliare l’efficienza e la portata del gruppo. 6. Innovazione e design di alto livello a. Una stabile collaborazione con designer di fama mondiale permette di mantenere un vantaggio innovativo. 7. Potere contrattuale nei media a. Le dimensioni di LVMH garantiscono un maggiore potere negoziale nei canali pubblicitari, migliorando la visibilità del brand. 8. Retail selettivo e intelligence competitiva a. I negozi retail selezionati fungono da strumenti di osservazione dei competitor, aiutando il gruppo a rispondere rapidamente alle tendenze del mercato. 9. Acquisizioni strategiche a. L'acquisizione di marchi di alta gamma in diversi segmenti consolida la presenza del gruppo in tutti i principali mercati del lusso. La forza di LVMH risiede nell’integrazione tra risorse e attività complementari. La combinazione di un portafoglio diversificato, controllo dei canali, esclusività, innovazione e un solido approccio alla produzione crea una strategia di differenziazione unica, garantendo al gruppo una posizione dominante e sostenibile nel settore del lusso. 7.2 Risorse generali e specializzate nel portfolio di LVMH Le risorse generali sono applicabili a tutto il portfolio di marchi e attività di LVMH e rappresentano competenze trasversali che rafforzano la competitività complessiva del gruppo: Gestione del brand (Brand management) Competenze nella creazione e nel mantenimento di marchi forti e riconosciuti a livello globale. Reputazione nel settore del lusso La solidità del gruppo è basata su una reputazione consolidata di eccellenza e qualità. Controllo dei canali di vendita Proprietà e gestione diretta di retail selezionati per garantire un'esperienza coerente e premium ai clienti. Designers Collaborazioni con designer di fama mondiale per mantenere un vantaggio competitivo nel design e nell’innovazione. Dimensioni del conglomerato e potere contrattuale La scala e l'influenza del gruppo permettono un maggiore potere negoziale con fornitori e partner. Gestione del marketing Strategia di marketing centralizzata per massimizzare la portata e la coerenza del brand. Differenziazione basata sulla qualità Un focus continuo sulla qualità dei prodotti come elemento chiave per mantenere la leadership. 7.3 Risorse e capacità specializzate Le risorse specializzate si applicano a specifiche divisioni o settori, supportando segmenti particolari del business: Proprietà di impianti produttivi Strutture produttive dedicate a profumi e cosmetici, garantendo il controllo diretto su qualità e innovazione. Proprietà di vigneti e etichette Controllo della produzione e qualità nei settori di vini e liquori, rafforzando la posizione nei prodotti di alta gamma. Proprietà e know-how nella produzione di orologi Competenze uniche e infrastrutture specializzate per orologi di lusso, che assicurano artigianalità ed esclusività. LVMH ha costruito il suo dominio nel settore del lusso grazie a una strategia che unisce controllo, reputazione e capacità di adattamento. Tutte le sue risorse, generalizzate e specializzate, operano sotto lo stesso gruppo, creando una struttura coerente che massimizza il valore generato. Uno degli aspetti chiave è l'integrazione verticale (selecting retail), particolarmente evidente nei settori come wine & spirits, dove LVMH gestisce ogni fase della catena del valore, dagli input alla distribuzione finale. Questo controllo non solo garantisce standard elevati di qualità, ma permette anche di ottenere margini operativi più alti rispetto ai competitor. La stessa attenzione si riflette nella gestione dei canali di vendita selettiva. Il gruppo controlla direttamente il retail nei mercati strategici, assicurandosi di preservare l’immagine del brand e di offrire ai clienti un’esperienza esclusiva. Questo accesso diretto ai canali di vendita rappresenta una risorsa preziosa, poiché consente a LVMH di monitorare da vicino i margini e le strategie dei concorrenti, rafforzando ulteriormente il suo potere contrattuale. La reputazione è un altro pilastro fondamentale. LVMH ha utilizzato il proprio nome come un ombrello sotto cui riunire marchi prestigiosi, costruendo fiducia e desiderabilità nei consumatori. La dimensione del gruppo, con un portafoglio di brand altamente riconosciuti, offre un vantaggio ineguagliabile in termini di potere negoziale, che si traduce in condizioni vantaggiose con fornitori e partner strategici. Questa reputazione è il risultato di una visione a lungo termine, in cui Bernard Arnault ha giocato un ruolo decisivo. Attraverso investimenti strategici e un ascolto costante dei feedback di mercato, LVMH è riuscita ad adattarsi rapidamente alle evoluzioni del settore, mantenendo una posizione di leadership. Infine, l'accesso diretto al retail e la proprietà dei canali di distribuzione hanno consolidato il controllo del gruppo su tutte le fasi operative, dal prodotto al cliente. Questo approccio non solo migliora i margini, ma permette al gruppo di rafforzare la sua brand image e di proteggere la percezione di esclusività che caratterizza il lusso. In un contesto così dinamico, la capacità di combinare tutte queste risorse in una strategia integrata ha permesso a LVMH di affermarsi come leader indiscusso, trasformando ogni investimento in un tassello cruciale per il successo. 7.4 La reazione dei mercati Le operazioni di acquisizione e disinvestimento di LVMH hanno spesso generato reazioni contrastanti nei mercati finanziari, con molti analisti che hanno interpretato alcune decisioni come potenzialmente distruttive per il valore degli azionisti. Se guardiamo l’andamento di borsa attraverso la terza colonna (andamento a tre giorni dopo il closing dell’operazione), notiamo che la reazione ha un impatto disastroso: il mercato non crede nella diversificazione, crede infatti che sia inutile. Operazioni come Chateau d’Yquem (-3,59%), Sephora (-1,99%) e DKNY (-5,50%) hanno registrato cali significativi, indicando lo scetticismo degli investitori verso la capacità di queste acquisizioni di generare valore immediato. Al contrario, l'acquisizione di DFS (+6,25%) e la vendita di Phillips (+6,21%) hanno avuto un impatto positivo, probabilmente grazie alla percezione di coerenza strategica e al focus sul core business. La tendenza generale suggerisce che il mercato spesso considera le acquisizioni di LVMH come rischiose o poco vantaggiose, influenzando negativamente il valore azionario nel breve termine. Bernard Arnault sostiene che le acquisizioni di LVMH siano giustificate dalla creazione di sinergie di portafoglio, dove il valore complessivo del gruppo supera la somma dei singoli marchi. Questo approccio si basa sull’integrazione strategica, che genera vantaggi come il trasferimento di competenze, economie di scala, maggiore potere contrattuale e condivisione dei canali di distribuzione. Ogni marchio mantiene la propria identità, ma beneficia delle risorse e delle opportunità offerte dal gruppo. Tuttavia, questo modello incontra spesso lo scetticismo del mercato e degli analisti, che talvolta mettono in dubbio la reale capacità delle acquisizioni di generare valore aggiunto nel breve termine. Per Arnault, però, il vero potenziale delle sinergie si manifesta nel lungo periodo, quando le risorse condivise e l'integrazione strategica portano benefici duraturi, sia in termini di crescita del valore sia di consolidamento della leadership di mercato. 7.5 Le sinergie nel portafoglio di LVMH Questa panoramica evidenzia come LVMH integri risorse e competenze specializzate nei suoi settori per creare sinergie di portafoglio e rafforzare la leadership nei mercati di riferimento. Barriere all'ingresso: Ogni settore sfrutta elementi distintivi per mantenere un vantaggio competitivo. Ad esempio, nei vini e liquori, le vigne e il patrimonio culturale sono fondamentali; nel lusso e cosmetici, prevalgono i brand e i canali di distribuzione. Target di clientela: Tutti i settori puntano su consumatori di fascia medio-alta e ricchi, adattando i prodotti al loro potere d'acquisto. Stabilità dei ricavi: La stabilità varia per settore. Nei vini dipende dal raccolto, nei beni di lusso è influenzata dai cicli economici, mentre i cosmetici mostrano maggiore resilienza. Approccio strategico: La differenziazione è il filo conduttore per creare valore in ogni segmento, sia attraverso la qualità sia con offerte uniche. Risorse necessarie: Ogni settore richiede competenze specifiche. Dai vigneti nei vini, alle capacità di gestione del brand e innovazione nei cosmetici, fino alle relazioni con artisti e collezionisti nelle case d’asta. Questo modello integrato consente a LVMH di massimizzare le proprie risorse e adattarsi a un mercato dinamico, consolidando la leadership in ogni settore grazie a strategie mirate e sinergie che si estendono a tutto il portafoglio. Hanno ragione gli analisti o Bernard Arnault? Argomentazioni degli analisti Secondo gli analisti, LVMH dovrebbe eliminare le attività non correlate, considerando che il gruppo è composto da entità autonome e che le sinergie difficilmente si concretizzano. Inoltre, sottolineano che le acquisizioni hanno spesso tempi di recupero troppo lunghi e non riducono significativamente il rischio complessivo del portafoglio. Criticano anche l'ingresso in segmenti come orologi, gioielli e aste d'arte, ritenendoli troppo lontani dal core business originario. Dal loro punto di vista, LVMH dovrebbe concentrarsi su mercati geografici come Giappone e Nord America, dove sono presenti maggiori opportunità di ricavi. Posizione di Bernard Arnault Arnault, al contrario, sostiene che il portafoglio sia ben bilanciato e le attività condividano obiettivi comuni, come il targeting di clienti di fascia medio-alta e ricchi. La forza di LVMH risiede nelle competenze di branding, accesso ai canali di distribuzione e capacità di costruire un'immagine di lusso. Arnault evidenzia come alcuni segmenti, specialmente quelli rivolti a clienti facoltosi, siano più resilienti alle recessioni economiche. Inoltre, tutti i business di LVMH richiedono creatività e innovazione, che rappresentano i principali driver di performance e crescita. Gli analisti si concentrano sul ritorno immediato e sui costi delle acquisizioni, evidenziando i rischi della diversificazione e l'inefficienza delle sinergie. Arnault, invece, adotta una visione di lungo termine, basata sulla capacità del portafoglio di generare valore attraverso l'integrazione strategica e il consolidamento della leadership nei mercati di lusso. La divergenza tra queste due prospettive riflette la tensione tra la ricerca di risultati a breve termine e una strategia di crescita sostenibile nel tempo. 7.6 I tre test di Porter per valutare la diversificazione di LVMH LVMH applica i tre test di Porter – attrattività, costo di entrata e better-off – per valutare la sostenibilità e il potenziale di successo delle sue diverse linee di business. Per il test di attrattività, settori come vini e liquori, pelletteria, cosmetici, e orologi risultano interessanti per le barriere elevate all’ingresso (ad esempio, proprietà dei vigneti, prestigio dei brand e canali di distribuzione). Anche il retail selettivo è attrattivo grazie alla sua capacità di attrarre clienti premium, mentre le case d’asta mostrano meno potenziale, con ricavi incerti e dominanza di pochi player. Il test del costo di entrata evidenzia che il settore dei vini presenta ostacoli costosi, soprattutto nelle regioni produttive, e il brand building nella pelletteria e nei cosmetici richiede investimenti significativi, con ritorni a medio termine. Orologi e retail selettivo richiedono anch’essi capitali importanti, mentre le case d’asta presentano costi difficili da stimare con ritorni incerti. Infine, il test del Better-off dimostra che settori come vini, cosmetici e pelletteria beneficiano di sinergie nelle risorse condivise, come il branding e la promozione. Anche il retail selettivo crea valore sfruttando le competenze in marketing e distribuzione. Tuttavia, le case d’asta offrono opportunità molto limitate per sinergie. I test di Porter evidenziano che i settori chiave di LVMH – vini, pelletteria, cosmetici, orologi e retail – sono in linea con gli obiettivi strategici di diversificazione e creazione di valore, mentre le case d’asta appaiono meno strategiche, con ritorni incerti e limitate possibilità di sinergie. 7.7 Performance e Value Analysis framework (PVA) L’obiettivo delle strategie di Business Unit (BU) è supportare l’azienda nel raggiungere performance superiori e sostenibili nel lungo termine. Per farlo, è essenziale sviluppare una chiara comprensione di cosa guida la performance aziendale e come costruire un vantaggio competitivo. Da un lato, la corporate strategy risponde alla domanda "In quali settori dovremmo operare?", concentrandosi sull’attrattività dei mercati e sulla selezione dei settori più promettenti. Dall’altro, la business strategy si focalizza sul "Come dobbiamo competere?", ossia sulla creazione di valore attraverso un vantaggio competitivo unico e difendibile. Per rendere il vantaggio competitivo sostenibile, è fondamentale identificarne le fonti e comprendere come crearlo e mantenerlo nel tempo. Inoltre, è necessario stabilire una relazione chiara tra il vantaggio competitivo e la performance complessiva dell’azienda, confrontandolo con quella della concorrenza. “Successfull business strategy is about actively shaping the game you play, not just playing the game you find.” Una strategia di successo non si limita a giocare secondo le regole esistenti, ma lavora attivamente per plasmare il gioco, creando un contesto favorevole in cui l'azienda può eccellere. Questa visione sottolinea l'importanza di un approccio proattivo nella definizione della strategia aziendale. 7.8 Cos’è la creazione di valore? Può essere interpretata attraverso due prospettive principali: Nella finanza aziendale, il valore viene creato quando il ROIC (Return on Invested Capital) supera il WACC (Weighted Average Cost of Capital). Questo significa che l'azienda sta generando un ritorno sugli investimenti superiore al costo medio ponderato del capitale, creando valore per gli azionisti oltre le loro aspettative di rendimento basate sul modello CAPM. Nella strategia, il valore si misura come differenza tra la Willingness to Pay (WTP), ovvero la disponibilità a pagare da parte dei clienti, e il costo sostenuto dai fornitori. Questa differenza rappresenta il Total Value Created, che riflette la capacità dell'azienda di offrire prodotti o servizi che massimizzano il valore percepito dai clienti, mantenendo al contempo un controllo efficace sui costi. Raramente si specifica a quale delle due prospettive ci si riferisca quando si parla di creazione di valore. Tuttavia, entrambe forniscono un quadro complementare: da un lato, il focus sul rendimento per gli azionisti; dall’altro, l’attenzione alla creazione di valore lungo l’intera catena, dal fornitore al cliente. Esempio: Value Based Strategy – Chi si appropria del valore creato? In questo esempio, Mario e i suoi 26 compagni giocano a un gioco di carte in cui ogni abbinamento tra una carta nera di Mario e una carta rossa dei compagni vale 100$. Senza le carte nere di Mario, il gioco non potrebbe esistere, quindi il valore aggiunto creato da Mario corrisponde all’intero valore del gioco, pari a 2.600$, derivante dai 26 abbinamenti possibili. Tuttavia, il valore aggiunto complessivo, considerando anche le carte rosse dei compagni, è di 5.200$, poiché ogni compagno aggiunge un valore di 100$ attraverso la propria carta rossa. Il problema risiede nella distribuzione di questo valore, dato che solo i 2.600$ effettivi possono essere ripartiti. In un contesto simmetrico, Mario, pur avendo un ruolo cruciale nel creare il gioco, potrebbe essere costretto a condividere equamente il valore con i suoi compagni. È probabile, quindi, che ogni partecipante ottenga metà del proprio valore aggiunto, con Mario che acquista ogni carta rossa per 50$, trattenendo per sé l’altra metà del valore generato. Questo esempio evidenzia come, in una strategia basata sul valore, la distribuzione dipenda non solo dal contributo effettivo di ciascun partecipante, ma anche dalla dinamica di negoziazione e dall’equilibrio delle forze in gioco. Mario può migliorare la sua posizione? Mario migliora la sua posizione eliminando tre delle sue carte nere, riducendo gli abbinamenti possibili a 23 e portando il monte premi a 2.300$. Questa mossa distrugge il valore aggiunto degli altri giocatori, poiché tre studenti non avranno una coppia e nessuno di loro sarà più essenziale per il gioco. In questa nuova dinamica, Mario diventa indispensabile e può negoziare una ripartizione del monte premi altamente favorevole, ottenendo fino al 90% del totale (2.070$), mentre ogni studente riceverebbe solo 10$. Questa strategia evidenzia come la manipolazione delle risorse possa spostare drasticamente il potere contrattuale, ma il suo successo dipende dalla volontà dei giocatori di continuare a partecipare al gioco in queste condizioni. Il valore aggiunto e il valore catturato La quantità massima di valore che un giocatore può ottenere in un sistema dipende dal suo valore aggiunto, cioè da quanto contribuisce al sistema. Per calcolarlo, si prende il valore creato da tutto il sistema quando il giocatore è incluso e si sottrae il valore che il sistema genererebbe senza di lui. In pratica, il valore aggiunto mostra quanto un giocatore è essenziale: è il contributo unico che solo lui può offrire e che determina quanto può negoziare o ottenere all'interno del sistema. Come si cattura il valore in un sistema complesso? Il modello di Value Capture ridefinisce la tradizionale catena del valore, sostituendola con una mappa della rete di valore. Questa rete rappresenta un sistema sociale e produttivo, formato da connessioni e transazioni effettive o potenziali tra diversi attori. La rete di valore di un’azienda include tutti gli agenti chiave, come fornitori, partner di produzione, clienti finali e altre imprese a valle, che collaborano attraverso transazioni per creare valore congiunto. La concorrenza emerge quando agenti esterni alla rete desiderano interagire con i partecipanti interni per catturare parte del valore generato. Tuttavia, se non esistono opportunità di valore al di fuori della rete stessa, la concorrenza non si manifesta. Questo modello evidenzia come la creazione e la cattura del valore siano il risultato delle interazioni tra i membri di una rete complessa e non solo di un processo lineare come nella tradizionale catena del valore. Esempio: L'introduzione della capsula di caffè ha rivoluzionato il mercato, creando un enorme incremento del valore percepito dal consumatore. Se un caffè tradizionale preparato con la moka aveva un costo di circa 8 centesimi, con le capsule il prezzo è salito a 1€, moltiplicando di 12,5 volte la Willingness to Pay (WTP) del consumatore. Questo aumento del valore è stato catturato da numerosi attori della catena di valore delle capsule. Ogni segmento della rete – dai fornitori di materie prime ai produttori di macchine, fino ai distributori – ha contribuito a creare questa innovazione e ne ha tratto vantaggio. La rete ha trasformato il semplice prodotto caffè in un sistema integrato che combina praticità, qualità e branding, aumentando il valore aggiunto per i consumatori e permettendo a tutti gli attori coinvolti di beneficiare economicamente di questa trasformazione. La strategia di De Longhi nel sistema delle capsule e il passaggio ai grani Nel sistema delle capsule, De Longhi collabora con Nespresso per la produzione di macchine da caffè, ma il valore catturato è limitato. L'incremento della disponibilità a pagare (WTP) del consumatore è notevole con le capsule, passando da 8 centesimi a 1€, moltiplicando di 12,5 volte il valore iniziale. Tuttavia, gran parte di questo valore viene catturato da Nespresso e dagli altri attori della rete, mentre De Longhi riesce a ottenere solo una minima parte, dato che la WTP non aumenta significativamente rispetto al valore creato dalla macchina. Per migliorare la sua posizione, De Longhi si è spostata al sistema dei grani freschi, un segmento che offre una maggiore opportunità di valore diretto. Con i grani, la disponibilità a pagare dei consumatori è influenzata positivamente dalla qualità e dalla freschezza del caffè preparato in casa, permettendo a De Longhi di appropriarsi di un valore maggiore rispetto a quello ottenuto nel sistema delle capsule. Questo passaggio consente a De Longhi di creare una catena del valore più autonoma, in cui può catturare direttamente parte del valore generato, senza dipendere da un partner dominante come Nespresso. Il passaggio ai grani rappresenta una strategia efficace per De Longhi per migliorare la propria posizione competitiva e catturare un valore maggiore, sfruttando una differenziazione basata sulla freschezza e sulla qualità percepita dal consumatore. Questo cambio di sistema può permettere a De Longhi di ridurre la sua dipendenza dalle capsule e aumentare la propria rilevanza nella rete del caffè. VIII. Turnaround – I sintomi della crisi – Dott. Franco Nada Il dott. Franco Nada si rivolge ad aziende e professionisti che ricercano un'assistenza qualificata e competente che li possa affiancare nelle fasi di crescita, sviluppo e rilancio delle proprie attività. L'esperienza maturata, oltre ad un continuo aggiornamento professionale, consente di intervenire nelle problematiche societarie, nella revisione e organizzazione contabile, negli aspetti organizzativi e logistici, nelle ristrutturazioni d’impresa e nella pianificazione economico finanziaria. Il turnaround è il piano di risanamento di un’azienda in difficoltà. E’ un operazione di cambiamento aziendale con l’obiettivo di creare valore. Nella fase preliminare è necessario individuare se la crisi deriva da debolezze del business operativo o da debolezza finanziaria. 8.1 Sintomi della crisi aziendale La crisi aziendale si manifesta attraverso una serie di segnali che evidenziano problemi operativi, finanziari e strategici, spesso difficili da gestire se non identificati tempestivamente. Uno dei primi segnali è la rapida diminuzione dei redditi operativi, visibile tramite specifici indici di allerta che indicano un deterioramento delle performance finanziarie. A ciò si aggiunge una significativa riduzione della liquidità, che può compromettere la capacità di far fronte ai pagamenti e agli investimenti. Dal punto di vista del mercato, una riduzione delle quote di mercato nell'arco di 12-24 mesi è un campanello d’allarme che suggerisce perdita di competitività, spesso accompagnata dal peggioramento della qualità dei prodotti, con effetti negativi sull’immagine aziendale. Parallelamente, si registra un aumento delle scorte, segno di un disallineamento tra produzione e domanda, e una contrazione delle attività strategiche come ricerca e sviluppo, lancio di nuovi prodotti e investimenti di marketing, che riducono ulteriormente la capacità dell’azienda di innovare e attrarre clienti. Un altro sintomo critico è l'utilizzo ridotto della capacità operativa, spesso inferiore al 60%, che riflette inefficienze nella gestione delle risorse. A livello organizzativo, si possono verificare dissidi interni nella compagine sociale, peggiorati da danni d’immagine (esemplificati nel caso Ferragni) che erodono ulteriormente la fiducia degli stakeholder. La crisi genera anche demotivazione nei collaboratori, con un clima lavorativo negativo che porta all'abbandono dei manager migliori, lasciando l’azienda senza leadership adeguata per affrontare i problemi. Questi sintomi, se non affrontati rapidamente, possono portare a una spirale discendente che compromette la sostenibilità e la sopravvivenza dell'azienda. 8.1.1 Prevenire la crisi: l’importanza di un'analisi diagnostica La prevenzione di una crisi aziendale richiede un'analisi diagnostica accurata per comprendere le radici dei problemi e anticipare eventuali difficoltà. Utilizzare strumenti strategici, come l'analisi SWOT, consente alle aziende di mappare le proprie forze e debolezze interne, oltre a individuare le opportunità e le minacce provenienti dall'ambiente esterno. Questo approccio fornisce una visione chiara e completa della posizione dell'azienda, permettendo di sviluppare strategie mirate e informate per affrontare eventuali criticità. Agendo proattivamente, l'azienda può rafforzare i propri punti di forza, colmare le lacune nelle aree deboli e sfruttare le opportunità, riducendo l'impatto delle minacce e aumentando la resilienza a potenziali crisi. Una volta definita la strategia per prevenire la crisi, la fase di implementazione richiede un monitoraggio costante delle performance aziendali. L'uso di KPI (Key Performance Indicators) chiari e specifici permette di valutare l’efficacia delle azioni intraprese, fornendo una misura oggettiva dei progressi rispetto agli obiettivi prefissati. Attraverso un'analisi continua dei dati, le aziende possono identificare tempestivamente eventuali deviazioni dal piano strategico e apportare le necessarie correzioni per garantire il raggiungimento della stabilità e della crescita. Questo approccio proattivo assicura che l’organizzazione rimanga allineata alle sue priorità, minimizzando i rischi e massimizzando le opportunità di successo. 8.2 I sette indici di allerta Gli indici di allerta sono fondamentali per monitorare la salute finanziaria di un'azienda e prevenire eventuali crisi. Permettono di identificare rapidamente segnali di crisi, facilitando interventi correttivi mirati e tempestivi. 1. Patrimonio netto in calo: Segnala un indebolimento della solidità finanziaria. 2. DSCR (Debt service coverage ratio): Valuta la capacità di coprire i debiti a breve termine con i flussi di cassa operativi; valori sotto 1 indicano rischio. 3. Indice di sostenibilità degli oneri finanziari: Misura l'impatto degli interessi sul fatturato; valori elevati riducono la redditività. 4. Indice di adeguatezza patrimoniale: Indica la relazione tra patrimonio netto e debiti; un valore basso riflette fragilità patrimoniale. 5. Indice di ritorno liquido dell’attivo: Rapporto tra cash flow e attivo; un rendimento basso mostra inefficienza nell'uso delle risorse. 6. Indice di liquidità: Misura la capacità di coprire passività a breve termine; valori inferiori a 1 evidenziano problemi di liquidità. 7. Indice di indebitamento previdenziale e tributario: Rileva l’esposizione verso obblighi fiscali e previdenziali; valori elevati rappresentano un rischio. La crisi d’impresa secondo il legislatore Ai fini del presente codice si intende per: a) «crisi»: lo stato di difficolta' economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate; b) «insolvenza»: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non e' piu' in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni; Secondo l’art. 2 del Codice della crisi d’impresa, la crisi è definita come una condizione che rende probabile l’insolvenza. Si manifesta quando i flussi di cassa prospettici non sono sufficienti a coprire le obbligazioni previste nei successivi dodici mesi. L’insolvenza, invece, rappresenta lo stato in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente i propri obblighi, evidenziato da inadempimenti o segnali esterni. Il legislatore pone l’accento sulla responsabilità dell’imprenditore, il quale è obbligato a monitorare costantemente la situazione aziendale, adottando strumenti e misure adeguate per rilevare tempestivamente eventuali segnali di crisi. Inoltre, è necessario intervenire rapidamente per attuare iniziative volte a contrastare lo stato di difficoltà e garantire la continuità aziendale. 8.3 Le possibili strategie di uscita dalla crisi Le strategie di uscita dalla crisi variano in base alla gravità della situazione e alle possibilità di recupero dell’impresa. Esistono tre scenari principali: 1. Recupero completo In caso di una situazione recuperabile, l’azienda può optare per un turnaround, attuando interventi interni mirati alla ristrutturazione finanziaria e operativa per ristabilire la redditività e la stabilità. 2. Recupero parziale: Se il recupero completo non è possibile, si possono adottare soluzioni interne o esterne. a. Soluzione interna: Proseguire l’attività con un concordato in continuità, che consente di riorganizzare i debiti mantenendo in funzione l’impresa. b. Soluzione esterna: Quando la situazione richiede misure più drastiche, si può procedere con una liquidazione giudiziale, vendendo i beni per saldare i creditori. 3. Recupero impossibile: Nei casi più gravi, in cui l’azienda non ha prospettive di ripresa, si ricorre alla liquidazione volontaria o giudiziale per chiudere definitivamente l’attività, vendendo tutti gli asset per soddisfare almeno parzialmente i creditori. Queste strategie offrono un ventaglio di opzioni che dipendono dalla capacità dell’impresa di risanare la propria situazione e dalla gravità della crisi. Il successo del percorso scelto richiede una valutazione attenta della situazione e l’implementazione di azioni rapide e mirate. 8.4 Le fasi del turnaround Il turnaround richiede interventi mirati e decisivi per risanare un’azienda in difficoltà, focalizzandosi su aree strategiche e operative fondamentali: Stop loss: cessazione immediata di una linea di produzione che produce in perdita e riduzione di tutti i costi non produttivi. Acquisizione di tutti i dati: aspetto fondamentale per lo sviluppo del turnaround. Linea gerarchica: approntare la nuova linea gerarchica per una migliore gestione dell’organizzazione e delle decisioni. Valutazione della capacità produttiva: occorre valutare se la capacità produttiva è adeguatamente utilizzata, se vi è la capacità produttiva per eventuali nuovi prodotti o se vi è eccesso di produzione che è invenduta e le ragioni. Piani di produzione: nuovi obiettivi, nuove scelte strategiche e di gestione. I piani devono essere realistici, raggiungibili nel breve periodo con verifiche frequenti dei risultati raggiunti. Produrre liquidità: è importante per essere flessibili, finanziare nuovi prodotti e nuove opportunità, pagare i fornitori. 8.4.1 Le tipologie di turnaround Il turnaround può essere classificato in due tipologie principali, a seconda delle problematiche che l’azienda deve affrontare: Turnaround operativo: Questo approccio si concentra sulla riorganizzazione interna dell’azienda quando la crisi deriva da un modello di business debole. Gli interventi mirano a migliorare l’efficienza operativa, ottimizzare i processi, ridurre i costi e rafforzare la struttura organizzativa per rendere il modello di business sostenibile. E’ necessario effettuare la ridefinizione dell’operatività strategica dell’impresa, che si può effettuare mediante le seguenti strategie: - nuova strategia commerciale - nuova strategia di produzione Esempi: riduzione del magazzino, nuova definizione dei beni prodotti dalla società, riduzione dei costi con la cessazione delle attività che drenano risorse in modo coerente con i nuovi piani di produzione, verifica delle capacità del management. Turnaround finanziario: In questo caso, l’azienda possiede un modello di business solido, ma si trova in difficoltà a causa di tensioni finanziarie legate a eventi straordinari, come crisi economiche o problemi di liquidità. Gli interventi si focalizzano sulla ristrutturazione del debito, sulla gestione del cash flow e sul rafforzamento della posizione finanziaria per ripristinare la stabilità. Turnaround finanziario stato patrimoniale attivo L’operazione di turnaround finanziario deve essere svolta agendo sia sull’attivo che sul passivo dell’azienda, in modo da ottenere un equilibrio finanziario tra i flussi in entrata ed in uscita. Esempi di operazioni sull’attivo: azioni rivolte al recupero dei crediti anche attraverso transazioni, dismissione di beni non strategici, azioni di spin-off immobiliare, affitto del ramo di azienda o una sua cessione a terzi se il piano di turnaround prevede una liquidazione dell’azienda, acquisizione di aziende utili alle nuove strategie. Turnaround finanziario stato patrimoniale passivo L’operazione di turnaround finanziario deve essere svolta agendo sia sull’attivo che sul passivo dell’azienda, in modo da ottenere un equilibrio finanziario tra i flussi in entrata ed in uscita. Esempi di operazioni sul passivo: accordi stragiudiziali per la riduzione dei debiti, ricapitalizzazione.