Storia Economica Contemporanea PDF
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Università degli Studi di Verona
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Questo documento analizza i processi di industrializzazione in Belgio e Francia, mettendoli a confronto con il modello britannico e tedesco. Vengono discussi i fattori che hanno influenzato lo sviluppo economico di ciascuno di questi paesi, come le risorse naturali, la vicinanza geografica e la politica economica.
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III. L’INDUSTRIALIZZAZIONE NEGLI ALTRI STATI: IL BELGIO E LA FRANCIA 3.1 – First comer e Followers (second commers) Gerschenkron parla di «vantaggi dell’arretratezza». Occorre un grande sforzo per raggiungere il paese leader: alcuni fattori che aiutano i paesi a sostituire i vantaggi iniziali della...
III. L’INDUSTRIALIZZAZIONE NEGLI ALTRI STATI: IL BELGIO E LA FRANCIA 3.1 – First comer e Followers (second commers) Gerschenkron parla di «vantaggi dell’arretratezza». Occorre un grande sforzo per raggiungere il paese leader: alcuni fattori che aiutano i paesi a sostituire i vantaggi iniziali della Gran Bretagna (prerequisiti) sono lo stato e le banche. ✓ Livello del PIL pro capite dei principali paesi raffrontato con quello della Gran Bretagna negli anni 1700, 1820 e 1870. Paesi 1700 1820 1870 − I Paesi Bassi sono in testa nel 1700, ma poi vanno in perdita. Gran Bretagna 100 100 100 − L’Italia ha toccato il picco alla fine del 1500, subendo poi un lento e inesorabile Francia 70 58 54 declino; ripartirà solo negli anni ’80-90 dell’Ottocento. Germania 64 50 52 − Gli USA vedono un processo di crescita significativo con la seconda metà USA 38 59 70 dell’Ottocento. Italia 78 53 43 − Tra i paesi che crescono, la Francia ha una posizione non rilevante, insieme alla Paesi Bassi 150 86 79 Germania che è ancora non unita. Belgio 81 62 77 − L’unico paese che cresce in maniera decisa è il Belgio. 3.2 – IL BELGIO Il Belgio nasce come stato indipendente, affrancandosi dall’Olanda, nel 1830. È il secondo paese a industrializzarsi precocemente perché gode di una serie di prerequisiti favorevoli: 1. Abbondanti risorse minerarie, in particolare carbone e ferro, che consentono la costruzione di un’estesa rete ferroviaria. Ciò è dovuto anche al fatto che il Belgio è un paese non molto esteso geograficamente, per lo più pianeggiante e quindi ben presto caratterizzato da facilità di strade e vie di comunicazione che facilitano lo sviluppo di un unico ed assai dinamico mercato interno. 2. Agricoltura intensiva: il Belgio conosce una forte crescita della popolazione ed avvia precocemente una fase di modernizzazione dell’agricoltura, il cui tratto peculiare è l’aggregazione di molte fattorie per l’ottimizzazione della distribuzione delle coltivazioni intensive, in un territorio con molti canali e corsi d’acqua. 3. Vicinanza geografica all’Inghilterra: permette il precoce trasferimento di esperti, ingegneri e tecnici inglesi. Inoltre, il Belgio ha un governo propenso ai cambiamenti economici, che interviene per dar vita ad una legislazione favorevole alla diffusione delle società per azioni. Già a metà secolo risulta il paese più industrializzato dell’Europa continentale, con margini di crescita che progressivamente si riducono. 3.3 – LA FRANCIA Nei secoli, la Francia ha sempre avuto un ruolo rilevante ma mai primo. Nonostante non abbia mai una caduta drammatica delle tendenze, non riesce ad imporsi. Il modello di industrializzazione in Francia è molto diverso da quello britannico e tedesco, per questo motivo è stato considerato come «ritardatario» o «arretrato». Ricerche più recenti hanno dimostrato che i risultati sono stati comunque efficienti e hanno consentito un maggior benessere della popolazione. Se si guarda ai paesi che si sono industrializzati più tardi e che avevano modeste (o nulle) risorse di ferro e carbone, molto spesso hanno seguito il modello francese. 3.3.1 – I motivi del ritardo della Francia 1) Un lungo periodo di guerre 2) Una modesta crescita demografica 3) La frammentazione delle proprietà agrarie 4) L’insufficienza di risorse naturali In Francia, come in Gran Bretagna, la crescita moderna prende avvio nel XVIII secolo ed è caratterizzata da tassi di sviluppo analoghi. ▪ 1790 – 1815: la Francia è coinvolta quasi ininterrottamente dalla rivoluzione e dalle guerre (conflitti moderni che vedono la coscrizione di massa e quindi l’impiego di un gran numero di forze di lavoro). ▪ 1848 – 1851: nuova fase di rivolte interne; con la costituzione del 2° Impero (Napoleone III) riprende una crescita accelerata. ▪ 1870-71: la Germania sconfigge la Francia, che perde le due provincie più dinamiche e ricche di materie prime: l’Alsazia e la Lorena. ▪ L’inizio del XX secolo (fino alla Prima guerra mondiale) è il periodo denominato della «belle époque», caratterizzato da notevole prosperità economica e da grande creatività intellettuale. ▪ La popolazione cresce a tassi inferiori rispetto a quelli inglesi e le città, eccetto Parigi. ▪ La rivoluzione francese ha inciso profondamente nella distribuzione della proprietà terriera: sono state espropriate le grandi proprietà (ecclesiastiche e nobiliari). Le unità produttive sono frammentate in piccole e piccolissime unità poderali. ▪ Nella seconda metà dell’Ottocento, le viti e i bachi da seta sono colpiti da gravissime malattie che fanno crollare le produzioni. ▪ Il settore primario continua ad essere a lungo il settore principale di occupazione (nel 1856 oltre il 60% della popolazione attiva, nel 1913, ancora il 40%). Questo aspetto è stato a lungo considerato un motivo di arretratezza, ma nel XIX secolo la Francia è l’unico paese industrializzato autosufficiente da un punto di vista alimentare. ▪ In Francia si era affermata la fisiocrazia, che credeva che la ricchezza della nazione si basasse sulla agricoltura. 3.3.2 – Fattori favorevoli per lo sviluppo della Francia 1) La Rivoluzione Francese 2) L’insegnamento e la ricerca (soprattutto in ambiti tecnico-scientifici) 3) L’opera dei Sansimoniani Il ruolo dello stato ▪ Le riforme della Rivoluzione francese favoriscono la crescita dell’industria con l’abolizione delle corporazioni. ▪ Il Codice civile e il Codice di commercio sono fondati sull’uguaglianza tra cittadini. ▪ Il ruolo fondamentale degli interventi sui trasporti e la nascita della ferrovia. Il settore secondario Nella prima metà del XIX secolo, la crescita è determinata da una serie di fattori fondamentali: - la domanda legata alle guerre, che però non introducono innovazioni; - la scelta di una politica economica protezionistica fino agli anni ‘50. ▪ Si rafforzano le industrie moderne (comparti cotoniero, siderurgico, meccanico). ▪ Cominciano ad affermarsi le industrie di medie dimensioni (ca 100 operai) il tessile, la chimica, le raffinerie di zucchero di barbabietola, l’industria del vetro e delle porcellane. ▪ Cresce costantemente durante tutto il secolo la manifattura artigianale e domestica dei prodotti di lusso che è alla base dell’economica francese. ▪ La trasformazione dell’economia francese entra nella sua fase decisiva solo intorno a metà del XIX secolo, in corrispondenza con la presa del potere da parte di Napoleone III. ▪ Enormi investimenti per la costruzione di strade, realizzazioni di canali e soprattutto, di una importantissima rete ferroviaria. ▪ Si rafforza la produzione del settore siderurgico e meccanico. ▪ Importanti investimenti nel campo edilizio. La trasformazione di Parigi. Aspetti della modernizzazione Tra i settori che risentono maggiormente dell’influenza dei seguaci del Conte di Saint-Simon, oltre all’industria, troviamo: ▪ I TRASPORTI: Con la metà del secolo, si fanno evidenti gli investimenti nel settore dei trasporti, fondamentali sia per la creazione del mercato interno, sia per i commerci internazionali. È lo Stato a farsi carico della costruzione delle linee, mentre i capitali vengono messi a disposizione dai grandi gruppi bancari sorti nel frattempo (crédit mobilier dei fratelli Pereira), che hanno in concessione le tratte. La crescita, soprattutto della linea ferroviaria, è essenziale per la più generalizzata crescita del paese. ▪ IL SISTEMA BANCARIO: Il sistema bancario tradizionale è costituito dalla cosiddetta «alta banca» formata da banchieri che investono a livello nazionale e internazionale, con finanziamenti a breve termine, che non riguardano generalmente il settore industriale (rotschild). La fondazione della Banca di Francia (1800) in forma di società privata, ma sottoposta al controllo dello stato, che può emettere banconote. Prende avvio un adeguato tessuto di istituti bancari, che accanto all’attività tradizionale, svolgono investimenti a medio/lungo termine, assolutamente necessari per sostenere la politica sia di accrescimento delle infrastrutture, sia di industrializzazione. 3.3.3 – La Francia: commercio e politica commerciale ▪ La sconfitta nelle guerre napoleoniche comporta la perdita di colonie e il ridimensionamento di alcuni porti. ▪ La scelta di una politica economica protezionistica per sostenere la crescita industriale (anni ‘40 e ‘50); a cui segue l’adozione del sistema liberistico contraddistinta dai trattati bilaterali. Importante è il trattato stipulato tra Inghilterra e Francia. Con esso la Francia abolisce le clausole che limitano l’importazione di tessuti e filati inglesi, mentre l’Inghilterra cancella i dazi all’esportazione di carbone verso la Francia e sull’importazione dei prodotti vitivinicoli. Viene contemporaneamente introdotta la cosiddetta clausola della nazione più favorita, in base alla quale l’interscambio tra i due paesi può avvenire sulla base di dazi inferiori a quelli praticati nei confronti di ogni altro paese. ▪ Negli anni ’80 dell’Ottocento, con la ripresa del protezionismo (guerra commerciale con l’Italia), si apre una fase di rallentamento dei commerci e della crescita che si prolunga fino a fine secolo. 3.3.4 – Elementi chiave del modello di crescita francese Alla base del modello francese si devono ricordare due caratteristiche del paese: − il modesto tasso di incremento demografico. − la scarsità relativa di carbone. Strettamente connessi a tali aspetti appaiono: 1) Il basso ritmo di urbanizzazione 2) La dimensione e la struttura dell’impresa 3) Le fonti energetiche a disposizione dell’industria ▪ Oltre il 70% delle imprese sono di piccolissime dimensioni (non impiegano salariati) ▪ Circa il 10% sono di grandi dimensioni con più di 500 dipendenti; il resto dell’attività manifatturiera è svolto da imprese di piccole e medie dimensioni (la maggior parte) impegnate nei settori tradizionali e nell’industria del lusso e da imprese con ca. 100 operai che svolgono attività moderne (chimica, vetro, carta, gomma) ▪ Caratteristica la dislocazione geografica delle industrie: sono disseminate in cittadine, villaggi e anche in aperta campagna, per poter sfruttare le fonti energetiche, soprattutto la forza dell’acqua ▪ Il carbone è presente, ma in misura inferiore agli altri stati come Regno Unito, Belgio, Germania. Il suo sfruttamento è più costoso perché in zone distanti dai mercati e difficili da raggiungere. La Francia è costretta a ricorrere all’importazione (ca. 1/3 dei suoi consumi) ▪ Per questo sfrutta molto l’energia idraulica, apportando miglioramenti tecnologici (la turbina idraulica). Ancora negli anni ‘60 2/3 dell’energia sono forniti dallo sfruttamento dell’acqua. ▪ Generalmente i siti più adatti all’impiego dell’energia idraulica si trovano lontani dai centri abitati e per questo le industrie sono di dimensioni contenute, sono disperse nel territorio e non contribuiscono al fenomeno dell’urbanizzazione. ▪ Dagli anni ‘90 l’acqua viene utilizzata in modo sempre più ampio per produrre energia elettrica. 3.4 - LA GERMANIA Lo sviluppo industriale della Germania si può sintetizzare con 4 tasselli fondamentali: 1. L’UNIONE DOGANALE; 2. GLI JUNKER; 3. LA DISPONIBILITÀ DI RISORSE; 4. I SETTORI ECONOMICI STRATEGICI. Nonostante il progresso tedesco parta relativamente in ritardo, a causa della frammentazione in piccoli stati, a fine Ottocento la Germania è il paese europeo più sviluppato. Riesce sempre a riprendersi, anche dalle crisi più devastanti, in particolare le due guerre mondiali (a seguito delle quali deve pagare delle indennità notevoli) e la caduta del muro di Berlino (che pone il problema della riunificazione tra l’economia pianificata dell’Est, da un lato, e l’Ovest capitalista dall’altro). 3.4.1 - L’unificazione della Germania ▪ Per buona parte dell’Ottocento la Germania non esiste: la frammentazione geopolitica (in ben 39 staterelli) è un elemento che ritarda sia la modernizzazione del settore agricolo, sia il raggiungimento delle precondizioni dello sviluppo industriale. ▪ L’unità politica viene raggiunta tardissimo: nel 1871, dopo la vittoria della Prussia* contro Napoleone III, ed è il punto di arrivo di un percorso iniziato addirittura negli anni ’30 con lo zollverein, cioè l’unione doganale (eliminazione di tutti i dazi, regime di libero scambio all’interno dell’area tedesca”. ▪ L’unione doganale (attuata del tutto nel 1834) raggiunge risultati importanti: amplia i confini degli scambi, incrementa il commercio, permette la creazione di un mercato interno omogeneo prima ancora che si raggiungesse l’unità politica. 3.4.2 – Il ruolo degli junker La frammentarietà politica determina una forte arretratezza dell’agricoltura scarsamente marked oriented e di tipo estensivo. La regione agricola più avanzata è sicuramente la Prussia (che tra l’altro è anche uno degli stati più importanti della Germania pre- unitaria), grazie anche ad una precoce privatizzazione delle terre demaniali. La Prussia non è uno stato libero, presenta contemporaneamente elementi retrivi ed elementi di modernità, in particolare il capitalismo reazionario (adotta nuovi sistemi economici ma si rifà a ideali passati). Tuttavia, la Prussia introduce delle riforme istituzionali innovative, costituendo la cosiddetta “monarchia illuminata” e rafforzandosi dal punto di vista militare. Bisogna tenere presente, in ogni caso, che i grandi proprietari terrieri prussiani, gli junker, presentano caratteri particolari: arretratissimi come modalità ma molto avanti come mentalità orientata all’industria. ▪ Sono a capo di grandi aziende agricole (soprattutto cerealicole) che conducono con sistemi di derivazione addirittura feudale/latifondista: i loro contadini (i servi della gleba medievali), nonostante diversi provvedimenti tesi a emanciparli, sono obbligati alle servitù personali, non possono trasferirsi da una terra all’altra e devono giurare fedeltà al proprio signore. Questo sistema ha ragion d’essere perché la Prussia ha alta disponibilità di terreni e una bassa pressione demografica. ▪ Nel contempo, tuttavia, gli junker sono alla base della svolta verso l’industrializzazione delle Germania perché impiegano gran parte dei capitali ottenuti con l’agricoltura nella costruzione di strade, canali, edifici pubblici: sostengono dunque il settore secondario. ▪ Non c’è una distinzione tra junker e industriali, perché loro stessi sono i primi sostenitori dell’industria (cosa che non succede né in Inghilterra, né in Italia). 3.4.3 – L’industrializzazione tedesca prima e dopo l’unità ▪ Progressivamente anche in area tedesca si nota un aumento della popolazione, una crescita della produttività agricola (con la conseguente liberazione di manodopera) ed una prima fase di crescita industriale (soprattutto nel tessile) tale da impiegare la manodopera prima impiegata nell’agricoltura. ▪ Nella seconda fase di crescita industriale (post 1871), fondamentale è l’intervento pubblico nelle costruzioni, nella formazione, nelle grandi opere (boom della rete ferroviaria). ▪ La produzione manifatturiera continua, poi, a crescere progressivamente tanto da fare della Germania la prima potenza europea, sorpassando l’Inghilterra e diventando – all’inizio del XX secolo – la seconda potenza economica al mondo dopo gli Stati Uniti. ▪ L’intervento pubblico è decisivo per mettere a frutto al meglio le grandi risorse naturali (carbone e ferro) di cui gode il paese (in particolare nella zona di confine con la Francia, l’Alsazia e la Lorena, motivo di conflitto fra i due stati) e per indirizzare l’industria verso i nuovi settori «pesanti»: la siderurgia, la meccanica, la chimica. L’adozione di un sistema industriale votato a settori pesanti fa sì che le imprese debbano adottare le società per azioni. ▪ Alla vigilia della Prima guerra mondiale, alla Germania spetta ormai quasi il 50% della produzione di acciaio e dei macchinari, il 41% della chimica e oltre 1/3 della produzione di carbone di tutto il continente. La Germania riesce a crescere più dell’Inghilterra proprio perché punta su settori economici strategici, cioè quelli ad alta tecnologia, e non sul tessile che non garantisce un grande margine di crescita. Per sostenere questo sistema, pensano già all’organizzazione di un sistema scolastico che potesse formare adeguatamente il personale (gli istituti tecnici). LA DECISIONE DI PUNTARE A SETTORI PESANTI È DIRETTAMENTE CORRELATA ALL’OBIETTIVO TEDESCO DI RAGGIUNGERE OBIETTIVI DI GRANDEZZA POLITICA E MILITARE. Per un paese che non è mai stato coloniale, ma solo “regista” nella divisione dell’Africa fra gli altri stati europei, questa scelta rivela anche il desiderio di mostrare la propria forza, ricavarsi il proprio spazio per far vedere che conta. Anche oggi, la crescita economica di un paese è legata alla capacità di inserirsi nei settori più innovativi (ad esempio. il made in Italy assicura delle nicchie di mercato, ma non la crescita generale del paese). 3.4.4. - Fattori di crescita della Germania ▪ La nascita di nuovi istituti bancari – le banche miste – capaci di conciliare attività di prestito a medio e lungo termine, partecipazione diretta alla gestione delle attività delle imprese e normale attività di sportello. ▪ L’adozione dei cartelli industriali (verticali e orizzontali): congregazioni di imprese che si riuniscono insieme col fine di gestire lo sviluppo industriale in un regime di oligopolio (potere di pochi) o monopolio (potere di uno). o Orizzontali: imprese che operano nello stesso settore (es. acciaierie). o Verticali: imprese facenti parte della stessa filiera produttiva (es. produttori di impianti, produttori di altoforni e imprese per la trasformazione dell’acciaio in prodotti finiti). A fine Ottocento, per avere un ulteriore passo in avanti, i paesi più sviluppati sono di fronte ad un bivio: sostenere uno sviluppo capitalistico che passa attraverso la difesa della libera concorrenza, oppure concentrarsi sulla crescita attraverso la riduzione della libera concorrenza? Il primo caso è modello su cui investono gli USA, che adottano una normativa antitrust (volta a garantire libera concorrenza) molto elevata. Al contrario, la Germania adotta i cartelli industriali. Un esempio di cartello industriale attivo ancora oggi attivo è l’OPEC, il gruppo di paesi produttori di petrolio, che può decidere quanto petrolio estrarre, permettendosi di gestire domanda e offerta. Allo stesso modo, i cartelli industriali tedeschi stabiliscono quanto produrre, con che qualità, a quali prezzi vendere, perché non si fanno concorrenza tra loro. In questo modo, la crescita economica passa attraverso una limitazione della concorrenza, ma le imprese tedesche fanno ancora qualcosa in più. Si tratta della politica di dumping: la Germania mantiene prezzi alti all’interno del paese e prezzi bassi all’estero, per essere competitiva a livello internazionale ma sempre preservando la concorrenza interna. LA PRIMA FASE: 1850-70 Fondamentale è lo sviluppo del sistema del credito con la nascita di quattro grandi banche che saranno la base del sistema basato sulle banche miste: la Darmastadter Bank, la Deutsche Bank, la Disconto Gesellschaft e la Dresdner Bank. Il nome deriva dal fatto che queste banche combinano le attività bancarie tradizionali (depositi, apertura conti correnti, credito a breve termine) ad altre nettamente innovative, specialmente il credito a medio e lungo termine. In un periodo in cui l’aspettativa di vita era ancora molto bassa, concedere crediti a lungo termine era molto rischioso per le banche. Infatti, la maggior parte degli istituti concedevano dei crediti a breve termine, per poi eventualmente prolungarli. Ma con lo sviluppo dei settori dell’industria pesante, per sostenere i costi fissi è necessaria una grande quantità di capitale: ecco che le banche accordano la cessione di crediti a lungo termine, a condizione che un rappresentante della banca segga nel consiglio di amministrazione dell’impresa e che possa indirizzarne le strategie industriali. In questo modo, le banche hanno la garanzia di un uomo di fiducia che controlla l’andamento dell’industria. Dal 1873 in poi, le 4 banche si specializzano e si spartiscono i campi di investimento industriale, per non farsi concorrenza tra loro: − Darmastadter Bank: industrie chimiche; − Deutsche Bank: industrie elettriche; − Disconto Gesellschaft e Dresdner Bank: industrie minerarie e siderurgiche. LA SECONDA FASE: 1871-1913 In seguito alla vittoria sulla Francia, si proclama l’unificazione politica della Germania sotto la dinastia prussiana degli Hohenzollern, con primo ministro Bismarck. Ha inizio una nuova fase di crescita dell’economia tedesca, anche se nella prima fase deve fare i conti con la pesante crisi agraria determinata dall’arrivo dei grani americani. La seconda fase dell’industrializzazione tedesca è caratterizzata da un significativo intervento dello stato: ▪ Decisa scelta di una politica economica protezionistica: la Germania abbandona il libero scambio in reazione alla crisi agraria, perché l’arrivo dei grani prodotti negli USA aveva creato dei problemi alle produzioni cerealicole europee. ▪ Crescita esponenziale della rete ferroviaria. ▪ Sforzo espansionistico all’estero al fine di creare un impero coloniale: se prima il continente africano era solo sfruttato per le risorse, adesso la nuova tecnologia disponibile permette di occuparlo. Se si vuole vedere un lato positivo della cosa, i paesi africani traggono vantaggio dalla costruzione delle reti ferroviarie. ▪ Investimenti importanti per l’istruzione e la politica sociale: vengono emanate delle leggi innovative, come l’assicurazione contro le malattie, l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni, le pensioni per l’invalidità e la vecchiaia. Queste ultime emanate anche per evitare di essere “contagiati” dal nascente movimento socialista. Questa scelta deriva da una netta differenza rispetto al passato: prima non c’era bisogno di competenze per lavorare, la scuola era il lavoro, perché la tecnologia era limitata e bastava apprendere con l’esperienza (garzonato, apprendistato); invece, in un mondo sempre più industrializzato con impianti innovativi complessi, è fondamentale una preparazione tecnica. La Germania è il primo paese ad introdurre, oltre ai licei, gli istituti tecnici. Altrettando importante è la politica sociale: nel periodo dello sviluppo dell’ideologia marxista, cresce la consapevolezza tra chi lavora in fabbrica di far parte di un corpo ben specifico. Si diffonde la necessità di una politica di protezione sociale, che porta all’istituzione di forme pensionistiche per invalidità, vecchiaia, inabilità al lavoro. 3.5 – L’ITALIA I paesi europei che si industrializzano per primi (Inghilterra e Tutti elementi che mancano all’Italia e che, comunque solo in Belgio) o per secondi (Germania, Stati Uniti) contano su: parte, spiegano l’enorme ritardo italiano: 1. Un’ampia disponibilità di materie prime (ferro e carbone); 1. Risorse non adeguate, soprattutto del carbone. Con gli 2. Una collocazione geografica che facilita i rapporti con i anni ’80 dell’800, l’Italia si riprende con la produzione di mercati esteri; energia idrica; 3. Un precoce sviluppo di un coeso mercato interno. 2. Alpi e Appennini separano l’Italia dal resto d’Europa e sono un ostacolo anche per le comunicazioni interni; 3. Pragmatici nelle pratiche commerciali del Rinascimento, adesso l’Italia non vede la possibilità di un’unità doganale, c’è molto disaccordo tra i diversi modelli di sviluppo economico degli stati preunitari. Il Paese va incontro ad una lenta e progressiva decadenza economica: l’Italia da «lepre» (XIII-XVI secolo) si fa «tartaruga» (XVII- XVIII secolo) ed infine malinconicamente «sasso». Una delle cause principali sono le epidemie di peste (nel XIV e nel XVII secolo), che obbligano l’Italia ad essere trainata da altre economie europee nel Seicento e a non avere possibilità di sviluppo economico nell’Ottocento. 3.5.1 – L’Italia prima dell’Unità L’Italia ottocentesca sino all’unità è un paese caratterizzato da: ▪ Lenta crescita della popolazione: tra 1750 e 1850 si passa da circa 15,5 milioni di abitanti a meno di 25 milioni. Crescita molto più sostenuta nella seconda metà dell’Ottocento, ma il sistema economico non si adatta alle nuove esigenze dovute alla pressione demografica → emigrazione internazionale. ▪ Estrema frammentazione politica, sviluppo diffuso in modo non omogeneo nel territorio e mancanza totale di un mercato interno; ▪ Un’economia basata quasi esclusivamente sull’agricoltura e con modalità differenziate in relazione alla natura del suolo: piccola e media proprietà nel Nord e nel Centro, che non è in grado di produrre eccedenze per il mercato ma solo per consumo personale (rilevante presenza della mezzadria e del modello intensivo); vaste estensioni di terre non coltivate e vasti latifondi lavorati da braccianti al Sud. ▪ Sporadicità degli insediamenti industriali, con solo alcuni comparti del tessile caratterizzati da un’organizzazione al passo con i cambiamenti avvenuti a livello europeo. È il caso della produzione serica*, il vero settore industriale portante dell’Italia del tempo che produce per l’esportazione. Meno rilevante, per il momento, il tessile laniero, che produce soprattutto per un consumo locale ed esploderà dopo l’unità. Manifatture importanti nel periodo preindustriale, ora il sistema economico è tenuto in piedi dal tessile. ▪ Mancanza pressoché totale di un sistema bancario in grado di stimolare la transizione verso un processo di sviluppo industriale. Manca una banca centrale (ben 6 Istituti di emissione legati ai vecchi regni). ▪ Ritardato sviluppo dei nuovi trasporti (ferrovie e navi a vapore) anche a causa della scarsità di minerali e la quasi totale mancanza di carbone. Bisognerà attendere gli anni ‘50 per un vero primo sviluppo della rete ferroviaria nella penisola. * Un fattore che colpisce è la presenza ininterrotta del settore serico per secoli, dal Tardo Medioevo fino al secondo dopoguerra, quando crollerà definitivamente per l’incapacità di competere con la produzione di seta di Giappone e Cina. Tuttavia, si tratta di una parabola verso il basso: quella che era stata una presenza manifatturiera importantissima in passato (drappi e tessuti finiti nel 1500, prevalentemente semilavorati nel 1600-1700), nell’Ottocento si riduce a produzione di seta grezza. Chiaramente, se prima l’Italia aveva un ruolo leader nella produzione ed esportazione, adesso è nelle mani degli altri paesi ed è costretta ad acquistare dall’estero i prodotti finiti. 3.5.2 – L’Italia al momento dell’Unità (1861) L’Italia nasce nel 1861 con capitale Torino (diventerà Firenze nel 1865 e Roma nel 1870, dopo il conflitto Franco-Prussiano e le tre Guerre d’Indipendenza). Alcune aree però non sono ancora Italiane: bisognerà aspettare la Prima guerra mondiale per acquisire il Trentino, e l’Italia come la conosciamo oggi si completa nel 1954 con la presa di Trieste. Dopo l’Unità, la situazione pregressa non subisce modificazioni sostanziali. Solo in alcune zone del Centro-Nord si trovano esempi di proprietà agraria di tipo capitalistico. Poche le industrie moderne sia al Nord che al Sud, queste ultime in particolare sono favorite da un forte protezionismo, che ne determina anche la debolezza. La Penisola si presenta con i caratteri tipici dell’arretratezza: − scarsità endemica di capitali, − prevalenza del settore primario sul secondario, − attrezzatura tecnologica insufficiente, − bassissimo livello dell’istruzione e bassi salari. L’Italia si muove a fatica verso la modernità. Ecco alcuni esempi significativi per dimostrare quanto appena affermato: ▪ Nel 1865 in Italia ci sono poco meno di 4500 km di rete ferroviaria contro gli oltre 26.000 della Francia, i 24.000 dell’Inghilterra, i 19.000 della Germania. Solo nel 1880 la rete ferroviaria italiana sfiorerà i 9.000 km. In termini percentuali, bisogna chiaramente considerare le dimensioni del territorio, quindi non pochissime in confronto alla Francia, ma differenza enorme con UK. ▪ Nel 1861, uno dei problemi maggiori è l’analfabetismo, molto più diffuso rispetto ai secoli precedenti. Poco più del 20% degli abitanti sanno leggere e scrivere. Le scuole elementari, tra pubbliche e private, sono in media 11 ogni 100 Km 2 (concentrate nella città). La problematica persiste ancora nella seconda metà del Novecento. ▪ La vita industriale è assai asfittica, resa tale anche dagli enormi costi che si devono sostenere per ottenere finanziamenti, per importare il carbone, per importare i macchinari necessari. Le industrie, tra l’altro, mancano di manodopera specializzata e di personale tecnico direttivo. Tale personale deve necessariamente arrivare dall’estero, aggiungendo costi su costi. ▪ Mercato interno assai ristretto se non addirittura inesistente, situazione resa ancor più grave dallo scarso potere d’acquisto delle masse; dalla pratica assai diffusa nelle campagne dell’industria domestica che produce per l’autoconsumo o al massimo per il consumo locale; dalla difficoltà delle comunicazioni (cattivo stato delle strade e diffusione non adeguata della ferrovia). Il debito pubblico Alla nascita del Regno d’Italia, si discute sul come trattare i titoli di debito pubblico degli stati preunitari. La decisione più saggia sarebbe stata di ripartire con debito azzerato. Tuttavia, considerando che la classe dirigente dell’Italia unita è composta dalla stessa classe degli stati preunitari, che avevano investito sui titoli dello stato, questi votano per mantenere i debiti per non perdere le proprie rendite. È una scelta dettata dal prevalere dell’interesse privato su quello pubblico. [È la stessa visione che riguarda ancora oggi i paesi mediterranei, in cui l’evasione e l’elusione fiscali sono molto elevate. Questo stato di cose è totalmente ribaltato nel mondo nordeuropeo: le famiglie sono molto più indebitate di quanto non sia lo stato.] Quindi, a rendere ancor più complicata la situazione, il nuovo stato unitario nasce con pesantissime condizioni di bilancio. Una condizione già pesante aggravata ulteriormente dai necessari investimenti che si devono sostenere per dotare il nuovo stato di un minimo di opere pubbliche, di infrastrutture di base, degli sforzi per creare un mercato unico. Per sostenere le spese lo Stato ricorre a diverse fonti di finanziamento: inasprimento dell’imposizione fiscale, indebitamento pubblico, vendita dei beni demaniali. 5 fasi di evoluzione del divario tra centro-nord e sud-isole Continuano ad essere presenti differenti stadi di crescita economica tra le varie aree dell’Italia, e anche all’interno dello stesso Centro-Nord. Ad una crescita importante dell’agricoltura lombarda e piemontese, ad esempio, non corrisponde una altrettanto rilevante crescita dell’agricoltura veneta. Per quanto riguarda il divario Nord-Sud ci sono diverse interpretazioni sulle differenze iniziali, soprattutto considerando il PIL, ma dopo l’Unità si possono individuare 5 periodi: 1. Periodo della stabilità (1861-90): il divario ha una crescita contenuta, si parte da livelli molto bassi per tutti. 2. Formazione del divario (1890-1920): fase del «decollo industriale» di alcune aree del Nord, il divario si fa evidente. 3. Periodo della divergenza (1920-50): crescita del divario, la “forbice” si allarga. 4. Periodo della convergenza (1950-75): corrisponde al «miracolo economico», con una fase di riavvicinamento in cui sono attive delle politiche di sostegno dello sviluppo economico da parte dello “Stato imprenditore”. Questa situazione cambia con le crisi petrolifere degli anni ’70, in cui la crescita industriale procede solo attraverso capitali privati. 5. Periodo della stagnazione (fino ai giorni nostri): c’è stato un unico momento in cui i centri studi (es. SVIMEZ) hanno cominciato ad evidenziare un riavvicinamento del Sud verso il Nord, e cioè il Covid. Lo sviluppo dello smart working ha determinato un aumento del ritorno a casa dei giovani meridionali; nonostante ciò, il superamento della pandemia ha provocato un ritorno alla normalità, ma qualche impresa ha mantenuto lo smart working o ha collocato alcune aree al sud. 3.5.3 – L’Italia dopo l’Unità (1861-1876) Le scelte della destra storica Anche in questo periodo, le scelte prese dalla Destra storica non permettono un cambiamento decisivo. Il nuovo stato procede con una politica economica legata in gran parte agli interessi della classe dirigente composta, soprattutto, da proprietari terrieri: ▪ L’adozione del libero scambio: i proprietari terrieri hanno tutto l’interesse a facilitare l’esportazione dei prodotti agricoli, strategia che però non permette all’industria italiana di riuscire a competere con il resto d’Europa. ▪ L’acquisizione del debito pubblico degli ex-Stati preunitari. ▪ Ulteriore forte emissione di titoli di stato per proseguire lungo la strada dell’ammodernamento infrastrutturale e vendita dei beni demaniali. Tali scelte/necessità deviano pesantemente il capitale privato dall’investimento in attività produttive, visto che il privato preferisce sottoscrivere titoli pubblici dal rendimento elevato o acquistare nuove terre piuttosto che affrontare il rischio di iniziative imprenditoriali. ▪ Nonostante l’impegno, la crescita infrastrutturale non è particolarmente accelerata. In ogni caso cresce il chilometraggio della rete ferroviaria, la ramificazione di nuove strade. Viene creato un servizio telegrafico nazionale. Il quadro economico ▪ Continua assai moderato (quasi impercettibile) lo sviluppo del settore secondario. Gli unici settori che continuano ad essere presenti in modo rilevante sono quelli legati ai settori leggeri dell’alimentare e, soprattutto, del tessile. Solo i comparti del tessile (in particolare il laniero ed il serico) assicurano la fabbricazione di prodotti destinati al mercato estero. ▪ Particolarmente rilevante, ancora una volta, la produzione serica. Il setificio guadagna quasi la metà della valuta estera che entra nel Paese. Si tratta, in ogni caso, di un settore che sfrutta alcuni evidenti vantaggi (che sul medio/lungo periodo diventano svantaggi): – le prime fasi della lavorazione vengono effettuate in ambito rurale, in una campagna sovrappopolata nella quale il contadino dispone di parecchie giornate libere nel corso dell’anno. o Quasi tutte le filande sono localizzate fuori dall’ambito urbano e utilizzano, spesso in modo discontinuo, la manodopera esuberante, soprattutto femminile: la presenza delle donne è dovuta alla necessità di una manualità molto fine, ma la lavorazione è molto stancante, degradante, gli ambienti di lavoro pessimi, con degli odori sgradevoli difficilmente rimovibili, tutti fattori che stimolano un tentativo di damnatio memoriae da parte dei lavoratori. Benché fosse un settore prestigioso, spesso non si conosce la realtà e la difficoltà effettiva. o I salari, proprio per i motivi appena detti, sono estremamente bassi, inferiori a quelli di sussistenza visto che si tratta quasi sempre di un reddito aggiuntivo a quello familiare derivante dall’attività agricola. o Basso livello tecnologico; nel 1866 in Italia esistono ben 4092 filande (presenze industriali per la trattura della seta) ma solo 386 (meno del 10%) utilizzano il vapore. o Si producono prevalentemente materie prime e semilavorati. ▪ L’importanza del settore tessile, in questa fase di scarso sviluppo industriale, sta soprattutto nell’aver fatto da ponte tra l’ambiente agrario e quello industriale. Ha creato i primi veri poli industriali specializzati. ▪ I settori della siderurgia e della meccanica, più in generale i settori «pesanti», sono debolissimi e questo proprio in un periodo in cui stanno decisamente crescendo nel resto d’Europa. L’Italia è in ritardo, perché ancora in ritardo è la costruzione di una rete ferroviaria degna di questo nome. ▪ Un sistema bancario ancora asfittico e poco adatto a sostenere il mondo imprenditoriale. Nascita di alcune nuove tipologie di istituti che si rivolgono ad una clientela di medio-bassa disponibilità economica: le BANCHE POPOLARI. ▪ Il problema della politica fiscale e l’obiettivo del pareggio di bilancio, ritenuti entrambi imprescindibili per tenere sotto controllo un debito pubblico sempre più rilevante. ▪ In questo ambito bisogna ricordare la scelta di ricorrere al CORSO FORZOSO (1866, consiste nell’autorizzazione concessa alla Banca Nazionale del Regno a sospendere la conversione metallica dei propri biglietti) e l’adozione di una politica fiscale particolarmente drastica (v. applicazione della imposizione fiscale piemontese e tassa sul macinato). 3.5.4 – L’Italia dopo il 1876: dal libero scambio al protezionismo La situazione cambia con la presa di potere della Sinistra storica. Bisogna tenere a mente che Destra e Sinistra storica rientrano all’interno della stessa tipologia sociale, votano solo gli uomini e per censo (capacità economica). ▪ Da governi propensi a ricercare soprattutto il risanamento dei conti pubblici e il potenziamento dell’attività agricola, si passa ai governi della Sinistra storica impegnati a sviluppare la rete infrastrutturale (cresce finalmente in modo sensibile la rete ferroviaria) e a orientare la crescita del Paese grazie al potenziamento delle attività di trasformazione. ▪ Diventa fondamentale il ruolo dello Stato nell’economia; lo stato diviene il committente principale (spesso unico) per molte imprese, in particolar modo la rete ferroviaria e i settori “pesanti”. Di certo molti cambiamenti nell’economia italiana del periodo sono dettati da motivazioni contingenti: ▪ Gli effetti della pesante crisi agraria (1873) che è alla base della scelta protezionistica, prima blanda (1878) poi definitiva (1887) con la creazione del cosiddetto “blocco industriale-agrario”, che unisce la nascente classe dirigente “industriale” del Nord alla classe dirigente ancora fortemente legata all’agricoltura del Sud. ▪ Negli anni ’80 cominciano a convergere gli interessi del ceto agrario del meridione (per la concorrenza dei cereali esteri) e del ceto industriale del nord (concorrenza di industrie straniere). ▪ Una profonda crisi del sistema bancario e finanziario (particolarmente forte tra il 1888 ed il 1893) che determina numerosi fallimenti di imprese bancarie e di imprese del settore edile. ▪ La conseguente decisione di istituire la Banca d’Italia (1893), finalmente unica banca di emissione (in Inghilterra due secoli prima, nel 1694); banca nazionale a cui per la prima volta vengono affidate competenze parzialmente unificate in materia di ordinamento della politica monetaria. 3.5.5 – La crescita accelerata dell’Italia tra il 1895 e il 1914 Quanto successo tra gli anni ‘80 e la prima metà degli anni ’90 del XIX secolo determina la crescita accelerata dell’economia italiana. Ma la crescita industriale non coincide con benessere diffuso! La società italiana cambierà solo nel secondo dopoguerra grazie alla rivoluzione dei consumi di massa. 3 fattori fondamentali per la crescita economica: 1. IL PROTEZIONISMO: per i motivi illustrati prima. 2. La discesa (1894 e 1895) del capitale tedesco in Italia e la nascita di due grandi BANCHE MISTE (la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano) a cui spetta il ruolo di avviare, sostenere e accompagnare l’affermazione di numerose attività industriali, questa volta attive anche nei settori “pesanti”. 3. L’introduzione dell’ENERGIA ELETTRICA (tramite la costruzione delle centrali idroelettriche) che diviene la risorsa indispensabile per accompagnare la crescita industriale perché permette di superare il grave limite della penuria di carbone. Nel 1882, Edison trova il modo di produrre elettricità grazie alla caduta d’acqua: è una grande fortuna per un paese come l’Italia, che torna a favorire le zone in cui c’è ricchezza d’acqua. Grazie alla nuova tecnologia delle centrali idroelettriche, si dà movimento alle turbine che generano livelli energetici maggiori degli impianti a vapore. Il problema è che bisogna far scorrere molto velocemente l’acqua, quindi necessità di creare infrastrutture che lo permettano. Diventa efficiente ad esempio in alcune zone che non avevano una tradizione in questo, ad esempio l’Umbria grazie alla Cascata delle Marmore. In questo modo, la gomma, la chimica, la meccanica la siderurgia divengono comparti che si affermano come fondamentali per la crescita dell’economia italiana. Si tratta di produzioni strategiche e ad alto tenore tecnologico che permettono all’Italia di essere annoverata, finalmente, tra i paesi industriali tra fine Ottocento ed inizio Novecento. N.B. La crescita industriale italiana non termina con lo scoppio della Prima guerra mondiale. Se alcuni settori subiranno una pesante crisi, altri (legati in modo particolare alle esigenze belliche) conosceranno un’ulteriore poderosa fase di crescita. IV. TRA IL 1875 E LA PRIMA GUERRA MONDIALE I GRANDI TEMI: ✓ La crisi agraria e le scelte protezionistiche; ✓ Il fenomeno dell’emigrazione internazionale (cruciale in Italia); ✓ L’imperialismo coloniale (l’occupazione da parte degli europei del continente africano); ✓ L’emergere della seconda rivoluzione industriale (nuovi settori, la chimica e l’elettrica) e dei nuovi modi di produzione (scientific management, assemblaggio, catena di montaggio); ✓ Cambiamento delle gerarchie economiche: il blocco della Gran Bretagna, la crescita della Germania e, soprattutto, degli Stati Uniti. 4.1 - La seconda rivoluzione industriale ▪ È il periodo del raggiungimento della maturità del sistema industriale e della finanza a sostegno dell’industria. ▪ Ondata di innovazioni prodotte dal connubio tra ricerca scientifica di base e applicazioni industriali. ▪ L’alleanza tra scienza e industria riguarda in prevalenza i settori a più alta concentrazione «tecnologica»: metallurgia, meccanica e poi industria elettrica ed industria chimica (fertilizzanti, materie tintorie, medicinali ecc.). ▪ Tale fenomeno porta alla nascita di imprese di dimensioni inimmaginabili fino a poco tempo prima: a fine Ottocento, cominciano ad operare grandi imprese che necessariamente devono organizzarsi attraverso le s.p.a., controllate da un numero di azionisti talmente elevato che non ci sarà nessuno di loro in grado di indirizzare la politica industriale. Si sviluppa una divisione tra chi detiene la proprietà e chi invece gestisce l’impresa ▪ Fondamentali in questo contesto i cambiamenti nei trasporti e nelle comunicazioni (dal telegrafo al telefono), nonché la scoperta di nuovi materiali e di nuove sorgenti di energia: il petrolio e i suoi sottoprodotti, che sostituiscono totalmente il carbone. Studiando le conseguenze dell’uso del petrolio, si arriva a credere che esso inquini molto meno, ma la forma di inquinamento del petrolio è visibile a occhio nudo: è la fuliggine, la patina di nero, particelle invisibili provocate dalla combustione del prodotto. ▪ Nascono nuovi mezzi di trasporto destinati a modificare sensibilmente la mobilità privata con mezzi che non dipendono da orari fissi: le automobili, i motocarri e poi gli aerei, ma anche le biciclette! (La ferrovia permette di fare salti in avanti molto rilevanti, ma non può passare dappertutto) Tuttavia, le biciclette richiedono anche la costruzione di vie adibite alla circolazione e alla loro manutenzione. ▪ La necessità di aumentare la produttività porta a rivedere l’organizzazione del lavoro. Crescita della popolazione ▪ La popolazione europea nel corso del XIX secolo raddoppia (da 190 milioni di abitanti a 400 milioni circa). ▪ L’aspettativa di vita alla fine del ’700 era di 25-35 anni; a fine ‘800 era cresciuta di circa 15 anni. ▪ Nell’Ottocento la popolazione giovane era prevalente: 30-35% i bambini; 50 % i giovani e gli adulti tra i 15 e i 50 anni; 15- 20% gli anziani oltre i 50 anni. ▪ Inurbamento o Urbanesimo: spostamento VOLONTARIO di vastissime fette di popolazione dalle campagne alle città, alla ricerca di condizioni di vita migliori. Chi si sposta va a lavorare prevalentemente nel settore secondario o terziario, cosa che dovrebbe aumentare l’efficienza degli abitanti in campagna di produrre eccedenze alimentari. ▪ Emigrazione: salta il rapporto tra risorse disponibili e peso demografico. Tra 1800 e 1910, la popolazione urbana europea cresce di circa 6 volte grazie a due fattori principali: ▪ Raddoppiamento della popolazione totale; ▪ La percentuale urbana triplica. L’Europa aveva visto tassi di urbanizzazione molto bassi per secoli; nel giro di un secolo, la percentuale di popolazione urbana passa dal 12% al 41%; viceversa, in campagna passa dall’88% al 59%. I tassi di urbanizzazione in tutta Europa accelerano dopo il 1850, anche se esistono notevoli differenze tra l’uno e l’altro paese: Crescita urbana (popolazione in migliaia di abitanti) 1700 1900 Città Popolazione Città Popolazione Costantinopoli 700 Londra 6480 Londra 550 Parigi 3330 Parigi 530 Berlino 2424 Napoli 207 Vienna 1662 Lisbona 188 Pietroburgo 1439 Amsterdam 172 Manchester 1255 Roma 149 Birmingham 1248 Venezia 144 Mosca 1120 Mosca 130 Glasgow 1072 Milano 124 Liverpool 940 4.2. - Flussi complementari di fattori: emigrazione Il fenomeno migratorio riguarda in modo particolare gli europei, ma non solo. Le migrazioni della forza lavoro si fanno consistenti nel corso dell’800 per diverse ragioni: 1. I boom demografici e la conseguente mancanza di risorse sufficienti; 2. La spinta dettata dalla mancanza di lavoro e dai bassi salari, ma anche la spinta dettata dalla convinzione che esistesse un luogo migliore da raggiungere. 3. Per la prima volta il trasporto passeggeri a lunga percorrenza e a buon mercato (tramite i piroscafi) coincide con la disponibilità di terre fertili e non ancora sfruttate, in grado di fornire risorse alimentarie e sbocchi commerciali. L'emigrazione totale dall'Europa cresce ogni decennio fino allo scoppio della guerra (tra il 1820 e il 1914, 60 milioni verso le Americhe). Furono gli Stati Uniti a ricevere in assoluto il numero maggiore di immigranti: la cosiddetta “conquista del West” veniva mascherata come avanzamento della civiltà a discapito di chi abitava già quei territori, molto fertili, che ottengono ottimi risultati sia per fini agricoli che allevatori. Significative emigrazioni anche da India e Cina, con destinazione prevalente in altri paesi asiatici. Le migrazioni internazionali (1875-1914) Le cause dell'emigrazione: ▪ Forte pressione demografica (le popolazioni emigrano dalle economie ad alta verso quelle a bassa densità di popolazione). ▪ Deciso cambiamento nella velocità e nelle condizioni di transito con benefico influsso sul costo totale dello spostamento. Le economie di immigrazione (Stati Uniti, America latina, Australia, Sud Africa ecc.) hanno terra in abbondanza e corrispondono salari elevati in rapporto a quelli dei paesi d'origine. Il miglioramento qualitativo della vita c’è sia per chi parte che per chi rimane: con una riduzione della pressione demografica, coloro che emigrano guadagnano l'incremento salariale che offre loro il paese di destinazione, mentre coloro che rimangono in patria sono ricompensati da salari più elevati di quelli che avrebbero ottenuto se non fosse emigrato nessuno. Chi emigra ed ottiene dei risultati favorevoli, quasi sempre fa rimesse di denaro pregiato (in dollari) alla famiglia nel paese di origine. 4.3 - L’imperialismo ottocentesco L’asimmetria tra i paesi industrializzati europei e il resto del mondo porta alcuni stati (Regno Unito, Francia, Russia e Stati Uniti) ad espandersi nel corso del XIX secolo. Nella seconda metà dell’Ottocento, gli europei cambiano atteggiamento nei confronti di quei territori che non erano stati militarmente colonizzati. In Asia la colonizzazione resta limitata, mentre in Africa, da sfruttatori delle risorse diventano veri conquistatori e occupatori. L’Europa aumentò la percentuale di superficie che controllava dal 37% nel 1800 allʼ84% nel 1914. L’espansione europea interessa Asia e soprattutto Africa, mentre gli Stati Uniti estendono il loro controllo al West (Nord-America Occidentale). È favorita da uno sviluppo tecnologico senza pari (fucile a retrocarica, mitragliatrice e chinino) e dalla ricerca del dominio della terra e delle risorse sia per motivi economici che, maggiormente, di potenza e prestigio. La grande spartizione ▪ La Conferenza di Berlino (1884): regista dell’operazione è stata la Germania, uno stato di recentissima istituzione, con nessuna tradizione coloniale, che vede in questa occasione la possibilità di mostrare il proprio potere. L’occupazione delle colonie africane è un modo per i paesi europei di misurare la propria forza (→ vedi caricatura satirica). ▪ La colonizzazione dell’Africa: in questo processo si individuano 3 fasi: 1. Esplorazione e penetrazione delle terre sconosciute; 2. Conquista militare (anche subendo dei rovesci militari); 3. Incorporazione nell’economia globale attraverso la costruzione di infrastrutture di trasporto e comunicazione, per far adattare questi territori agli standard europei. LA COLONIZZAZIONE DEL MONDO DA PARTE DEGLI EUROPEI AVVIENE DAPPERTUTTO CON GLI STESSI TEMPI? Nel 1885, solo alcuni territori costieri del continente L’occupazione europea del continente africano non è paragonabile a quella africano sono controllati dagli europei. Nel 1939, l’occupazione è completa. avvenuta nel continente americano e in Oceania. C’è un tentativo di europeizzazione a quel livello, ma le lingue europee (inglese, francese) non si impongono totalmente sulle lingue autoctone. La motivazione è legata al fatto che l’occupazione rimane piuttosto limitata da un punto di vista temporale (meno di un secolo). Infatti, la maggior parte di queste colonie nasce nel tardo Ottocento, ma la Decolonizzazione (il fenomeno per cui i paesi colonizzati riacquistano la loro indipendenza) avviene nel secondo dopoguerra. Continua quindi ad essere una via di mezzo tra quanto è avvenuto in America e in Asia. 4.4 - IL GIAPPONE Di fronte al fenomeno della grande divergenza, le posizioni degli storici non sono univoche. Per gli studiosi occidentali si verifica già nel Cinquecento; secondo altri, prevalentemente asiatici, tale fenomeno diventa chiaro solo con la rivoluzione industriale. Questo perché, nel Cinquecento, l’Europa subisce la concorrenza di almeno 3 paesi asiatici: Cina, India, Giappone (dimostrazione: le lingue europee non sono penetrate in queste zone). Le modalità attraverso le quali riescono a competere sono diverse: mentre l’India cede alla supremazia europea e la Cina viene progressivamente surclassata dal punto di vista economico, il Giappone, godendo del beneficio geografico di essere un arcipelago, nel corso del Seicento decide di isolarsi completamente e tagliare i rapporti con gli europei. ▪ A metà XIX secolo, il Giappone è un paese completamente chiuso nei confronti dell’Occidente. La chiusura fa sì che per circa due secoli sviluppa un modello politico e sociale del tutto proprio. ▪ È caratterizzato da una struttura sociale di stampo feudale: al vertice si trova l’imperatore, ma il paese è governato da una sorta di dittatore militare, da cui dipendono circa 250 signori feudali con 500.000 samurai (uomini d’arme), poi si trova il popolo che comprende una variegata tipologia di lavori, dal contadino al mercante. ▪ La società è estremamente rigida: nessuno può cambiare condizione. ▪ Il Giappone con la Cina e l’India appartiene ai paesi più avanzati dell’Oriente: sia per tenore di vita, sia per istruzione e tecniche produttive. ▪ Caratteristica della popolazione è un forte senso della disciplina e dell’obbedienza nei confronti dei superiori. La dedizione al lavoro è uno dei fattori naturali e caratteristici del Giappone, in un insieme di principi che saranno fondamentali per il successivo sviluppo economico degli anni ’70-80. L’apertura (forzata) all’Occidente L’isolamento giapponese termina nel 1853, quando il commodoro americano Matthew Perry entra al comando di una flotta nella baia di Edo (Tokyo). Il Giappone è costretto ad aprire i porti al commercio internazionale e a subire dei «trattati ineguali» che prevedono dei dazi molto bassi, favorevoli ai paesi occidentali. Il paese comunque riesce a mantenere la sua indipendenza e autonomia economica e politica. Il contatto con il resto del mondo in via di industrializzazione porta il Giappone ad un processo di modernizzazione sulla falsariga del modello occidentale, ma senza perdere le sue caratteristiche fondamentali. Il Giappone mantiene le sue CARATTERISTICHE SOCIALI, ma si adatta al MODELLO ECONOMICO OCCIDENTALE del capitalismo. Il Giappone fin da subito accetta le regole del gioco del capitalismo occidentale, ma non accetta di occidentalizzare la propria cultura. Viceversa, la Cina, a fine Novecento, prende una decisione drastica: non abbandona il sistema politico comunista, ma si apre al modello economico occidentale per evitare il crollo economico dell’Est Europa nel momento della caduta dell’URSS. Riforme e modernizzazione Nel 1868, una rivolta dei signori feudali riporta il primato dell’imperatore Mutsuhito (di soli 14 anni), che inaugura un governo illuminato, con una importante serie di riforme: ▪ Eliminazione delle distinzioni di ceto; ▪ Il ritorno nelle mani dell’imperatore delle terre dei signori feudali, che poi egli ridistribuisce o vende prevalentemente a grandi proprietari; ▪ Indennizzo di signori feudali e di samurai con pensioni, poi convertite in titoli di stato. La modernizzazione si accompagna a: ▪ Crescita della popolazione: da 32 milioni nel 1850 a 52 milioni nel 1913 (disponibilità di manodopera). ▪ Finanziamenti statali (disponibilità di capitali) e favorita dai valori collettivi della rettitudine, della lealtà, della disciplina e da un buon livello d’istruzione della popolazione. ▪ Capacità di acquisire le moderne tecnologie. ▪ Nascita di un’oligarchia di imprenditori/uomini d’affari che danno vita a grandi concentrazioni industriali che coprono diversi settori comprendendo anche una banca: gli zaibatsu. ▪ Introduzione a fine secolo del protezionismo e di politiche economiche di sostegno all’economia, come il dumping. ▪ Una politica espansionistica combattendo contro la Cina e la Russia e accrescendo la domanda pubblica. 4.5 - I sistemi bancari Dalla seconda metà del XIX secolo vengono introdotte nuove forme di credito e nuove tipologie di banche: ▪ Casse di risparmio ▪ Istituti di credito fondiario ▪ Banche cooperative: banche popolari e casse rurali ▪ Banche commerciali o di deposito, prevalentemente in forma di società anonime. ▪ Dagli istituti di emissione nascono le banche centrali. I modelli bancari ▪ Modello Anglosassone: banca «pura» e merchant banks che sostengono soprattutto il commercio internazionale ▪ Modello tedesco: banca mista. Viene adottata in vari paesi come Italia, Russia, Austria, Giappone. La diffusione del regime aureo (gold standard) Fino al 1870, solo la Gran Bretagna adotta il regime aureo, gli altri paesi europei mantengono il sistema bimetallico. Per mantenere quest’ultimo serve che il valore tra i due metalli resti invariato. L’equilibrio è compromesso con la scoperta di grandi giacimenti d’argento negli USA e la diminuzione del valore dell’argento. Secondo la «legge di Gresham» la moneta cattiva (d’argento) caccia quella buona (d’oro). Tutto ciò porta vari paesi ad adottare il gold standard ossia a realizzare un sistema di cambi fissi tra le monete, tutte legate all’oro. Il cambio dipende dalla quantità di oro presente in ciascuna moneta e nel caso delle banconote dalla loro convertibilità in oro. La Gran Bretagna diventa un’isola di stabilità monetaria e la sterlina assume il ruolo di moneta internazionale, per la sua solidità e per l’efficienza fornita dai servizi finanziari di Londra. 4.6 - GLI STATI UNITI Dopo avere conquistato l’indipendenza dall’Inghilterra, dalla Francia e dalla Spagna nel 1783, gli Stati Uniti iniziano un processo di crescita ininterrotto che li porterà ad essere il Paese leader dello sviluppo economico mondiale già a fine Ottocento (dalla fine della guerra di Secessione nel 1865). Gli USA conquistano primati tanto nell’agricoltura, quanto nell’industria e nella finanza. Lo sviluppo americano è inarrestabile, tanto che il XX secolo è definito dagli storici come IL SECOLO AMERICANO. L’unico ostacolo è rappresentato dalla crisi del ’29, che causerà un’asimmetria di sviluppo con il resto del mondo e un periodo di instabilità fino alla Seconda Guerra Mondiale, dalla quale tuttavia gli Stati Uniti usciranno ancora più forti e potenti. Lo sviluppo rallenta a partire dagli anni ’70-80, in primo luogo con le crisi petrolifere e in misura maggiore di fronte ai competitor (Giappone). Oggi gli Stati Uniti sono ancora leader mondiali, e sembrano essere riusciti a disinnescare il pericolo cinese data la rapida crescita dell’età media della popolazione. Fattori fondamentali per la crescita statunitense: ▪ Impressionante abbondanza di materie prime e risorse naturali: rapportata ad una pressione demografica per decenni molto bassa, per cui si produce più del necessario. ▪ Cosmopolitismo della società civile: forte impronta europea alla base, ma accolgono in sé persone provenienti da tutti i continenti, mettendo tutti in grado di poter provare a raggiungere il proprio sogno (tranne i nativi americani, per i quali quel modello economico è incomprensibile). ▪ Imprenditorialità capace di anticipare soluzioni per lo sviluppo del sistema produttivo agricolo e industriale; ▪ Governo forte e impegnato nel proporre e sostenere l’economia di mercato. Costante fin da subito è la preoccupazione di proteggere la proprietà privata, di contenere il potere pubblico e di impedire che l’esercizio della politica potesse favorire l’accaparramento illecito di ricchezza. Si parla di FUSIONE TRA DEMOCRAZIA E CAPITALISMO. Nel modello americano, fondamentale è la libera concorrenza (oligopolio e monopolio avversati). Le risorse ▪ L’abbondanza delle risorse disponibili fu immediatamente percepita nell’immensa estensione di terre da coltivare (la mitica conquista del West) e nella scoperta di immensi e ricchissimi giacimenti minerali, soprattutto carbone e oro. ▪ Sono state individuate 4 tappe della penetrazione nei territori americani: 1. Caccia: la prima fase di penetrazione avviene tramite la caccia e lo sfruttamento delle risorse minerarie (non entrano proprio in contatto, ma lo faranno quando cercheranno i pellami e i bisonti); 2. Allevamento: principalmente bovino su larga scala, ma è l’avversario dell’agricoltura. 3. Agricoltura: per evitare l’allevamento, gli agricoltori recintano i terreni e rendono difficile l’avvicinamento all’acqua. 4. Urbanizzazione: successo delle città attraverso l’industrializzazione. ▪ La necessità di «conquistare» un vastissimo mercato interno. ▪ L’abbondanza delle risorse richiama un incessante flusso d’immigrazione. La popolazione USA passa dai circa 4 milioni di fine Settecento a 31 milioni negli anni ‘60 dell’ottocento. ▪ L’agricoltura si sviluppa e si meccanizza molto precocemente; le grandi estensioni di terra disponibile permettono la coltivazione estensiva di cereali, tabacco, cotone ecc. ▪ L’economia è sostenuta da numerose banche, che spesso mettono valuta negli anni che precedono la guerra di Secessione operano 1600 istituti e circolano nel paese ben 7.000 tipi diversi di biglietti. L’avanzamento della Frontiera Il processo di creazione degli Stati Uniti come li conosciamo oggi occupa gran parte dell’Ottocento. Inizialmente era uno stato federale, composto da 13 stati lungo la costa orientale; la graduale estensione che passa attraverso l’occupazione delle coste occidentali e una vera e propria occupazione militare dell’entroterra (conquista del West). ▪ Una parte consistente della espansione verso ovest si realizza attraverso acquisti di territorio: la Luisiana da Napoleone (1803), la Florida dagli spagnoli (1819), l’Alaska dai russi (1867). ▪ La guerra contro il Messico (1846-48) nasce per questioni di confine e comporta la cessione del territorio, corrispondente agli odierni California, Nevada e Utah, nonché a parte di Colorado, Wyoming, Arizona e New Mexico. ▪ Due eventi bellici fondamentali: 1. La guerra di Secessione (1861-65): con la disfatta degli stati del Sud, si completa rapidamente la conquista del territorio compreso tra Atlantico e Pacifico. 2. Lo sterminio delle popolazioni native (le tribù dei pellerossa): quel paese che aveva lottato una guerra di libertà per l’indipendenza dagli inglesi su principi democratici, è lo stesso paese che adotterà misure violente. Nel 1890 viene ufficialmente dichiarata chiusa la frontiera. Le differenze tra Nord e Sud e la guerra di secessione LA GUERRA DI SECESSIONE È L’EVENTO SPARTIACQUE: DA EX COLONIA A SUPER POTENZA ECONOMICA Giubbe grigie confederate (Stati del Sud degli USA) VS Giubbe blu unioniste (Stati del Nord degli USA) Difesa della schiavitù VS Abrogazione della schiavitù Protezionismo VS Libero Scambio Per quanto nobile fosse il risultato finale che si voleva raggiungere, il problema risiede nello scontro tra VISIONI ECONOMICHE. La vera ragione per cui scoppia NON È LA SCHIAVITÙ, ma tra due modelli di sviluppo economico diversissimi e che hanno necessità completamente diverse. Nord USA: sistema economico basato sull’industria. Necessità di adottare una politica economica protezionistica per evitare la concorrenza dei paesi già più industrializzati (prima fra tutti l’Inghilterra) e di manodopera specializzata. Sud USA: sistema economico basato sull’agricoltura, in particolare sul sistema agricolo delle plantation (grandi coltivazioni estensive e latifondi). Necessità di politica economica di libero scambio perché le barriere doganali intralciano l’esportazione dei prodotti agricoli. La schiavitù consente di mantenere bassi i costi. La guerra civile è molto cruente, sanguinosa e longeva (4 anni), e lascerà scorie per decenni. Tant’è che il paese che esce non è totalmente pacificato, e non lo è neanche oggi. È il primo caso nella storia umana in cui appaiono i campi di concentramento. Tuttavia, come tutte le guerre tra la seconda metà dell’Ottocento e il Novecento, tale guerra ha aiutato il salto in avanti tecnologico, perché pur di avere la meglio sugli avversari si sperimentano nuove strategie (ad es. dei prototipi di sottomarini). A vincere sarà il Nord di Abraham Lincoln, primo presidente che impone una politica protezionistica e l’abolizione della schiavitù, anche se il processo non si realizza in breve tempo. Dopo la guerra di Secessione Negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra di secessione (1865-1920s), l’economia degli Stati Uniti registra una fase di decisa espansione, alimentata dalla rigida politica protezionistica, scelta che farà la fortuna degli USA. Il settore trainante diventa ufficialmente l’industria e già nel 1870 gli Stati Uniti sono la nazione con il più alto prodotto nazionale, raggiungendo nel 1903 il livello più alto al mondo per prodotto pro capite. Gli USA hanno tassi di crescita sempre più sostenuti, e la popolazione crede che tale crescita non avrà mai fine. Ampie fette di popolazione hanno vissuto sempre e solo in una bolla di euforia, che non permette loro di vedere che può scoppiare un disastro economico. La crescita accelerata è determinata, tra le altre cose, da: ▪ Enormi investimenti nei trasporti: strade pavimentate a pagamento, canali navigabili, crescita della rete ferroviaria. ▪ Istituzione e sviluppo della borsa: la prima borsa come la intendiamo oggi è quella di Amsterdam nel 1609 (quelle precedenti di Anversa e di Londra non sono borse titoli, mentre le s.p.a. nascono nel 1600 con le Compagnie delle Indie Orientali inglesi e olandesi). Avendo un sistema bancario poco organizzato, gli USA puntano su questa come migliore istituzione migliore per finanziarsi; questa sarà sia una forza che una debolezza per il sistema americano, perché un ricorso eccessivo alla borsa uno dei motivi che scatenerà la crisi del ’29. ▪ Scoperta del petrolio e delle sue applicazioni: grandi giacimenti ad esempio in Oklahoma, per molto tempo poco sfruttati, poi ci si rende conto dell’utilità dei sottoprodotti. ▪ Impressionante crescita dimensionale delle imprese con le conseguenti innovazioni nell’organizzazione del lavoro: le spa nate negli USA determineranno cambiamenti strutturali nelle modalità di gestione manageriale delle imprese, talmente grandi, capitalizzate e meccanizzate che introducono nuovi metodi di produzione per raggiungere livelli di produttività del lavoro mai toccati in precedenza (eccesso di produzione rispetto alle esigenze del mercato). ▪ Immigrazione e crescita complessiva della popolazione che raggiunge i 100 milioni nei primi anni del Novecento (da 4 milioni nell’Ottocento). Questo numero però non è alto se si considera le dimensioni dello stato: la pressione demografica si concentra in alcune zone. Il business della rete ferroviaria ▪ Le grandi infrastrutture: dalle strade pavimentate a pagamento, ai canali navigabili alle ferrovie. La ferrovia è principalmente ad opera di privati con una partecipazione molto ridotta dello stato (ha un ruolo solo di “supporto”). ▪ Le grandi infrastrutture, soprattutto le ferrovie, sono fondamentali per la crescita del paese, visto che nascono nuove importanti imprese per la costruzione di materiale rotabile, locomotori, vagoni. ▪ La costruzione della rete ferroviaria inizia con il 1828. Nei primi anni, il materiale necessario proviene dall’estero, ma ben presto cominciano a nascere le imprese meccaniche e siderurgiche nazionali, in grado di fornire quanto richiesto. Ciò è nel contempo il motore di crescita del paese, perché connette i vari paesi, ma anche lavoro per imprese statunitensi che grazie al protezionismo non subiscono la concorrenza di potenziali avversari a livello globale. Si interrompe così il flusso d’importazione dall’Europa (in particolare dall’Inghilterra). ▪ Le costruzioni ferroviarie in uno stato dalle dimensioni immense richiede un’eccezionale mobilitazione di capitali. Le imprese ferroviarie, infatti, rappresentano i primi esempi di grande impresa americana. Difficoltà: estensione del paese; condizioni climatiche e geografiche diversissime. ▪ Le imprese ferroviarie, infatti, necessitano di una struttura organizzativa particolarmente complessa ed efficiente: o Per coordinare e controllare un crescente traffico dei treni; o Per l’accentuata diversificazione interna delle loro operazioni che andava dalla produzione di manufatti alla commercializzazione delle funzioni di trasporto. La struttura delle grandi imprese ferroviarie Il sistema di gestione delle imprese ferroviarie richiede una decisa innovazione rispetto al passato. La s.p.a. nasce proprio per riuscire a raccogliere più capitale possibile (gli altri tipi di società non lo consentono). Il numero di azionisti a un certo punto diventa impressionante: posizioni diverse e disaccordi tra loro possono rendere impraticabile la gestione dell’impresa, perché nessuno di loro detiene una quota di azioni tali da poter indirizzare la politica industriale dell’impresa stessa. Tali necessità portano ben presto alla cosiddetta precoce DIVISIONE TRA PROPRIETÀ E CONTROLLO. È un fattore di crescita molto rilevante. In assenza di un azionista in grado di scegliere una strategia o indirizzo di politica industriale, si creano dei MANAGER STIPENDIATI a cui è demandato il compito di pensare alla sopravvivenza ed alla crescita dell’impresa medesima, anche andando contro gli interessi di alcuni azionisti, perché il suo obiettivo è mantenere l’impresa in crescita nel lungo termine. Nelle imprese precedenti questo ruolo di primo piano era della famiglia proprietaria dell’impresa, che avevano una quota di capitale tale da poter indirizzare la politica industriale. La proprietà è talmente parcellizzata da rendere impossibile riconoscere un azionista di maggioranza o di riferimento. In conclusione le imprese ferroviarie sono caratterizzate in maniera assai precoce dai caratteri propri del modello americano di BIG BUSINESS: è il primo momento al mondo in cui non esistono famiglie che controllano l’impresa, gli azionisti hanno una scelta limitata nella gestione, invece demandata a personale specializzato. Nella prima fase i manager NON POSSONO DETENERE AZIONI DELL’IMPRESA, proprio per non avere interessi personali. ▪ Il livello eccezionale di investimenti necessari per lo sviluppo delle strutture ferroviarie richiede capitali in misura talmente elevata da non poter essere soddisfatta dagli istituti bancari tradizionali. ▪ Si rende necessario, quindi, il ricorso al finanziamento tramite borsa (emissione di nuove azioni). ▪ È grazie ad un mercato borsistico particolarmente efficiente che la grande impresa americana può raccogliere gli enormi capitali necessari al suo sviluppo, coinvolgendo strati sociali di risparmiatori molto più ampi di quanto fino a quel momento è accaduto in Europa. ▪ Fino al 1913 il sistema bancario è privo di una Banca nazionale, un ente regolatore del sistema bancario. Viene istituito il Federal Reserve System, composto da 12 banche federali di emissione, guidate da un Consiglio con sede a Washington. L’ascesa degli Stati Uniti e l’inizio del declino della Gran Bretagna Alcuni dati sintetici per capire la crescita conosciuta dagli USA: ▪ La produzione industriale, fatto 100 il 1850, passa a 6000 nel 1920; ▪ Dopo pochi anni gli USA raggiungono e superano i livelli della produzione inglese e tedesca, di ferro, carbone e acciaio. ▪ Al carbone segue il boom del business del petrolio e dei suoi derivati, nella cui produzione in prima fila ci sono fin da subito le imprese statunitensi. Le cause del declino della Gran Bretagna: ▪ Lo svantaggio del first comer. L’apparato industriale inglese non si adegua alle nuove tecnologie. ▪ La dipendenza di derrate ▪ alimentari e di materie prime (petrolio, gomma) dall’estero ▪ Il sistema d’istruzione in larga misura privilegia gli studi classici e pone scarsa attenzione a quelli scientifici ▪ Il ruolo dello stato, meno propulsivo che negli altri paesi.