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This document provides an overview of economic history, focusing on its methodology, periodization, and sources. Discussing the differences between economic history and other historical disciplines. It explains the different economic systems and their evolution, from ancient times to the modern period.

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Storia Economica - Perché si studia la storia economica La storia economica è una disciplina che si occupa di analizzare e raccontare i processi economici del passato, concentrandosi sui sistemi, sugli operatori e sulle dinamiche economiche che hanno caratterizzato lo sviluppo delle soci...

Storia Economica - Perché si studia la storia economica La storia economica è una disciplina che si occupa di analizzare e raccontare i processi economici del passato, concentrandosi sui sistemi, sugli operatori e sulle dinamiche economiche che hanno caratterizzato lo sviluppo delle società. Si tratta di una storia "speciale" perché il suo oggetto di studio non sono eventi politici o istituzionali in senso stretto, ma le strutture economiche che hanno influenzato il corso della storia umana. E’ qualcosa di ibrido poiché da una parte è una storia e dall’altra è una scienza che si occupa del passato, di qualcosa che è avvenuto, ed è Economica poiché ha come oggetto di studio i sistemi economici che si sono succeduti nel tempo. La storia economica si differenzia dalla storia politica e istituzionale perché si basa sull'analisi di un arco temporale esteso e sui processi che si sviluppano nel tempo. Piuttosto che focalizzarsi su momenti specifici o su figure politiche, la storia economica esamina le trasformazioni lente e profonde dei sistemi economici. Questo la rende una disciplina particolarmente adatta a comprendere fenomeni di lunga durata (longue durée), come lo sviluppo del capitalismo, le dinamiche dei mercati internazionali, e le innovazioni tecnologiche che hanno cambiato le modalità di produzione e scambio. Si occupa di processi che sono avvenuti anche in un periodo molto lontani da noi; è una storia particolare, specifica, poiché a differenza della storia universale che si occupa dell’evoluzione dell’uomo, la storia economica si occupa di un particolare punto di vista, in questo caso quello economico. Si occupa dello studio dei processi dei sistemi economici che si sono succeduti nel tempo, si occupa di processi e sistemi, di qualcosa dunque che non è databile con precisione, ma di un insieme di fatti avvenuti in un arco temporale più vasto. - Periodizzazione della storia economica La periodizzazione della storia economica non segue le stesse linee di demarcazione della storia politica o istituzionale, la storia politica istituzionale parla di fatti, avvenimenti datati e ci scandiscono le ere storiche. La sua periodizzazione è schematizzabile con momenti ben precisi: 476 caduta impero romano, e inizio medioevo, 1492 scoperta dell’America e inizio età moderna, 1789 rivoluzione francese fine età moderna e inizio età contemporanea. I confini temporali degli eventi economici non corrispondono sempre ai grandi eventi politici, come guerre o cambi di regime. Tuttavia, la storia economica si divide generalmente in tre grandi periodi: Sistema economico antico (II-III d.C. / V-VIII d.C.) In questo periodo si osserva il declino dell'economia agricola dell'Impero Romano e la nascita di nuove forme economiche basate sul feudalesimo e sulla piccola proprietà terriera, soprattutto a seguito delle invasioni barbariche. Sistema economico medievale (XI d.C. / metà XVIII d.C.) Durante il medioevo, si sviluppano le prime forme di economia urbana e mercantile, con la nascita delle corporazioni e dei mercati locali. In questo periodo, si assiste anche alla progressiva formazione di strutture economiche regionali in Europa, che poi evolveranno nei sistemi nazionali moderni. Sistema economico moderno e capitalistico Con la Rivoluzione Industriale, a partire dalla metà del XVIII secolo, l'economia globale subisce una trasformazione radicale. Il passaggio dalle economie agricole alle economie industriali crea nuovi sistemi di produzione e distribuzione, portando alla nascita del capitalismo moderno. La globalizzazione, l'espansione dei mercati e l'aumento della produttività sono fenomeni chiave di questa fase. Non ci sono le stesse separazioni e distinzioni che invece sono fatte per la storia politica istituzionale, cambia comunque la perodizzazione anche se i periodi sono strettamente correlati tra loro. Si differenzia dalla storia canonica non solo per argomento ma anche per il modo in cui tratta delle diverse ere. A differenza della storia politica, che periodizza in base a eventi istituzionali o dinastici (come l'ascesa e la caduta di imperi o monarchie), la storia economica si concentra sulle transizioni economiche e sui cambiamenti nei modi di produzione e distribuzione delle risorse. Nonostante ciò, i due ambiti sono strettamente correlati: i cambiamenti economici influenzano spesso le decisioni politiche, e viceversa. - Sviluppo accademico Lo studio della storia economica è stato introdotto nelle università dalla seconda metà dell'800, quando si cominciò a comprendere che lo sviluppo delle economie moderne doveva essere studiato in relazione ai fatti economici passati. Nel 1892, l'economista William James Ashley è stato il primo a ottenere una cattedra di storia economica ad Harvard. Ashley ha posto le basi per un approccio alla storia economica diverso da quello degli storici tradizionali. Mentre lo storico economico si concentra su fatti economici del passato, analizzando sia variabili quantitative che qualitative, l'economista si interessa prevalentemente al presente e al futuro, cercando di costruire modelli predittivi basati su dati quantitativi attuali. L'economista quindi non si limita a raccogliere fatti del passato, ma utilizza le informazioni disponibili per proporre soluzioni a problemi economici contemporanei. Al contrario, lo storico economico indaga il perché e il come certi eventi economici siano avvenuti, cercando di comprendere i meccanismi che hanno portato alle trasformazioni economiche del passato. Questa comprensione del passato aiuta a spiegare le radici di molti problemi economici attuali. Lo studio della storia economica è inserito nei corsi di economia perché consente di comprendere le dinamiche storiche alla base degli attuali sistemi economici. Ad esempio, il modello industriale italiano basato su piccole e medie imprese non può essere paragonato a quello statunitense. 1  -> Lo storico economico si concentra prevalentemente sul passato remoto, cercando di analizzare periodi storici distanti, mentre l'economista guarda anche al passato recente, più vicino all'attualità, per trarre conclusioni che possano influenzare le politiche future. Entrambi, però, devono essere oggettivi nelle loro analisi e utilizzare un approccio rigoroso per esaminare i dati a loro disposizione. Lo storico economico dà uno sguardo al presente formulando ipotesi per il futuro, le situazioni dal punto di vista economico sono diverse dagli eventi storici. La storia economica è una scienza, uno studio che utilizza il metodo galileiano sperimentale e che prevede l’annotazione del percorso fatto dallo studioso che potrà formulare delle ipotesi. - Fonti della storia Le fonti della storia economica sono di due tipi: Fonti dirette/speciali: si riferiscono a documenti prodotti da attori economici specifici indipendentemente dalla dimensione di questo soggetto e dalla sua natura giuridica. Si sostanziano da un lato in documenti contabili e dall’altro nella categoria del carteggio, il sistema delle epistole che poi si è evoluto in mail, pec e app di messaggistica istantanea. I documenti contabili invece sono necessari e specifici per quanto riguarda l’attività economica. Questi documenti offrono informazioni di prima mano sui comportamenti economici dell’epoca. Fonti indirette: includono documentazioni non prodotte direttamente da attori economici, ma utili per ricostruire il contesto economico. Esempi di fonti indirette sono i reperti archeologici, che possono rivelare aspetti importanti sulla distribuzione delle risorse e sul commercio; le fonti architettoniche, come i magazzini e le infrastrutture commerciali; le monete, che offrono indizi sull'economia monetaria di una determinata epoca. Inoltre, fonti indirette possono essere gli statuti comunali, i libri contabili di amministrazioni pubbliche o altri documenti redatti da istituzioni che regolavano o monitoravano l'attività economica. Tutti quei soggetti, pubblici e privati, che producono della documentazione nel corso della loro attività, quelle documentazioni (fonti dirette), costituiscono il materiale diretto di studio dello storico economico; tutto il resto costituisce il materiale indiretto della storia economica (fonti indirette), comunque importanti. La documentazione economica, indicata come Carteggio, ovvero fatture, lettere di trasporto e bolle, rappresenta una fonte di informazioni specifiche sull'attività economica. Tuttavia, anche nella corrispondenza di carattere più generale possono trovarsi informazioni economiche, insieme a dettagli politici, sugli usi e costumi locali, sui sistemi produttivi e persino su aspetti personali. Pertanto, possiamo distinguere tra due tipi principali di corrispondenza: Corrispondenza Generale: Include informazioni economiche, ma non è focalizzata esclusivamente su di esse. Questo tipo di corrispondenza può essere ricco di contesto culturale e sociale, e fornisce uno spaccato più ampio che arricchisce la comprensione storica. Corrispondenza Specifica: Concentrata su informazioni puntuali e dettagliate, anche non economiche, ma rilevanti per comprendere l'ambito economico dell'epoca. Questi sistemi di scambio informativo, che siano strettamente economici o abbiano caratteristiche miste, rappresentano fonti dirette e fondamentali per lo studio della storia economica. Lo scambio informativo e i relativi schemi variano in base al contesto, come nel caso della corrispondenza con la pubblica amministrazione. In ambito contabile, queste differenze diventano rilevanti poiché: - Lo schema contabile si adatta alla dimensione del soggetto economico e alla sua natura, differenziandosi per entità piccole e grandi, o per settore privato e pubblico. - La contabilità moderna serve per soddisfare esigenze fiscali e gestionali dell'azienda, ma è slegata da imposte obbligatorie. Al contrario, la contabilità storica mirava a tenere traccia di ogni transazione per memorizzare tutte le operazioni aziendali. La contabilità ha evoluto il suo ruolo da semplice registrazione delle transazioni a strumento fondamentale per la gestione aziendale: la contabilità storica serviva primariamente a tenere traccia delle transazioni all’interno dell’azienda, assicurando memoria storica delle operazioni e supportando i processi decisionali. Questa era principalmente una funzione di archivio, che offriva una traccia delle attività aziendali; la contabilità moderna: Oggi la contabilità svolge molteplici ruoli, tra cui il supporto alla gestione fiscale, il monitoraggio della liquidità, e la valutazione della performance aziendale. È diventata uno strumento di analisi e pianificazione, essenziale per ottimizzare la gestione delle risorse. Nella Contabilità, il settore pubblico e il privato differiscono notevolmente per scopi e metodi: Nel settore pubblico, la contabilità non si limita a registrare le transazioni, ma ha anche il compito di: valutare l'efficienza amministrativa e assicurare che le risorse siano utilizzate correttamente per il benessere pubblico; monitorare la trasparenza delle spese, come garanzia per i cittadini che le risorse siano impiegate in modo appropriato; assicurare il rispetto degli obiettivi sociali, come la salute pubblica, l'istruzione, e le infrastrutture, per verificare che vengano rispettate le politiche pubbliche. Nel settore privato, invece, il focus è maggiormente sulla redditività e sulla sostenibilità finanziaria dell’azienda. Gli obiettivi principali includono: massimizzazione del profitto, la contabilità privata mira a ottimizzare i profitti e a ridurre i costi, basandosi su decisioni di business strategiche; gestione dei flussi di cassa e delle risorse aziendali, con un focus sulla pianificazione finanziaria e sulla riduzione del rischio; adattamento alle normative fiscali, anche se la contabilità è al servizio dell'azienda, deve comunque rispettare le normative fiscali e le regolamentazioni, che possono variare a seconda del paese e del settore. Bisogna anche tenere conto della differenza tra piccola e grande dimensione, il piccolo ha delle esigenze differenti rispetto ad un’azienda grande, neanche lontanamente paragonabili, quindi anche la contabilità cambia a seconda di questi elementi. -> Settore privato e la dimensione piccola: all’interno di questo sistema la contabilità ha delle caratteristiche particolari, togliendo il controllo fiscali, perché lo scopo con il quale si registrano su dei libri contabili gli elementi economici rispondono a delle esigenze diverse rispetto ad un’azienda di grandi dimensioni, ha come scopo di tenere memoria di ciò che è avvenuto durante la vita dell’attività, non è interessato a tenere i registi di cassa ovvero il saldo dell’attività, sa a fine giornata se ha ottenuto un utile o una perdita, non è interessato neanche a tenere un registro di magazzino, forse l’unica cosa di cui ha bisogno di tenere è un registro nel quale ci segna i tempi del contratto dove si registrano i crediti, i debiti e le diverse scadenze. 2  -> Imprese di più ampia dimensione: più ampie sono le dimensioni più si complicano le cose perchè ci sono più attori economici che girano attorno all’attività. Il mastro in questo caso è necessario per tenere conto dell’attività economica dell’azienda, bisogna distinguere le diverse operazioni economiche che si gestiscono all’interno dell’impresa e bisogna quindi tenere conto della diversa variazione monetaria che determinano. Se determinano una variazione certa, se l’operazione è avvenuta per contanti, o meno avrò dei libri giornali differenti tra loro, uno che tiene conto degli acquisti fatti in contanti, e un libro diverso che tiene conto degli acquisti fatti generando un debito o un credito. Periodicamente l’esercizio amministrativo, che solitamente dura un anno, si deve rinnovare e secondo la normativa esterna si deve prendere il saldo di tutti i preparatori analitici contabili e si compila il mastro, dove al suo interno troveremo una serie di conti di natura differente tra loro. Oltre che vedere quali sono le variazioni di questi diversi elementi, si fa poi il conto profitti-perdite, si determina qual è stata la variazione della ricchezza e quindi se c’è stato un utile o una perdita nell’azienda. La dimensione influisce su quella che è la tipologia della documentazione contabile e su quella che è la numerosità, avrò fonti contabili diverse. Gli storici economici, quindi, costruiscono questi schemi per cercare di comprendere cosa c’era dentro i libri contabili, per studiare e comprendere quello che è successo all’interno di una qualsiasi azienda dal punto di vista economico, in un determinato periodo di tempo, senza comunque essere un attore e soggetto economico all’interno di quella determinata azienda, attraverso i libri giornali lo storico economico può creare uno schema contabile attraverso delle ipotesi. Le fonti prima di essere utilizzate vanno analizzate criticamente; nel momento in cui si decide di utilizzare un documento, in primo luogo, bisogna verificarne l’autenticità formale (tipo materia, tipo di scrittura, tipo di stile) e strutturale. Lo storico economico deve anteporre a questa sua analisi delle fonti una verifica dell’autenticità formale e assicurarsi che i documenti utilizzati non siano falsi. L’approccio alle fonti deve avvenire con scientificità dunque con oggettività. Le fonti sono tutta una serie di tracce, documentazioni (non solo scritta, ma documenti intesi come qualsiasi segno di prova) che possono avere caratteristiche diverse, possono essere classificate diversamente, più o meno connesso con il sistema economico; sono documentazioni che lo storico deve interpretare con distacco, con obiettività. Brodel, storico economico francese fra i più importanti, dice che anche loro devono avere un atteggiamento scientifico (scientificità), spogliandosi delle proprie sensazioni morali e ideologiche, per arrivare ad una verità il più possibile oggettiva; dice che lo storico non deve giudicare, ma studiare e capire. Lo storico deve avere poi una posizione critica, uno spirito critico nei confronti del materiale che ha sottomano, e da cui deve trarre delle conclusioni dal punto di vista storico. Questo significa che, in primo luogo, si deve domandare se quelle fonti che ha sotto mano, siano vere o meno. C’è infatti il problema per lo storico di capire se si tratta di materiali formalmente autentici, o di falsi, come può accadere. 3  08.10 Lezione 3 - Differenze contabili tra soggetti pubblici e privati Il conto economico è il documento fondamentale per analizzare le variazioni di ricchezza di un’entità economica, permettendo di determinare se essa si trova in utile o in perdita. Questo strumento è essenziale sia per i privati che operano da soli sia per coloro che agiscono all'interno di reti familiari o di amici. Tramite il conto economico, infatti, si possono verificare le fonti dei ricavi e le cause delle perdite, il che consente agli stakeholder interni ed esterni di valutare l’efficacia delle decisioni economiche prese. Il mastro contabile, in questo contesto, funge da registro delle transazioni finanziarie, fornendo una base di documentazione che facilita i controlli esterni e la trasparenza. Gli archivi contabili svolgono un ruolo cruciale, poiché permettono di ricostruire la storia economica e operativa dell’azienda. Oltre a documentare le transazioni correnti, conservano la memoria delle operazioni passate, rivelandosi utili sia per la gestione aziendale che per le analisi storiche. Un caso emblematico che sottolinea l’importanza degli archivi è l’alluvione di Firenze del 1966, durante la quale numerosi documenti contabili andarono perduti, compromettendo la possibilità di ricostruire importanti informazioni economiche. Esistono diversi tipi di archivi, tra cui gli archivi di sussistenza, che conservano documenti necessari per le operazioni quotidiane, come fatture e contratti, e gli archivi storici, che permettono di ripercorrere le vicende aziendali anche di molti anni prima. Questi ultimi sono particolarmente rilevanti per gli studiosi di storia economica, che possono così accedere a dati preziosi per comprendere l’evoluzione di un’azienda o di un settore. Contabilità pubblica: L’obiettivo principale di un ente pubblico non è il profitto, ma la realizzazione di un servizio pubblico, come la tutela della salute o la sicurezza dei cittadini. I soggetti pubblici hanno bisogno di strutture contabili più complesse e articolate, poiché devono garantire trasparenza, controllo e rendicontazione verso la collettività. Dal 1990 in poi, si è aggiunto il principio di efficienza economica: oltre al raggiungimento dell'obiettivo pubblico, è importante che l'ente rispetti criteri di sostenibilità economico-finanziaria. Questo significa che, ad esempio, un ospedale pubblico non solo deve garantire cure sanitarie di qualità, ma deve anche gestire le risorse in modo da non generare disavanzi finanziari eccessivi. Contabilità privata: Il settore privato è orientato principalmente alla generazione di profitti per i suoi proprietari e investitori. La contabilità privata è focalizzata sull’utile, sul ritorno sugli investimenti e sulla crescita del capitale. In genere, i privati investono i propri capitali nelle aziende, e la contabilità serve a dimostrare come tali capitali siano gestiti, e a garantire la massima trasparenza nei confronti di azionisti e creditori. > Questa complessità si riflette nella struttura contabile degli enti pubblici, che spesso coinvolge numerosi uffici con mansioni diverse e richiede controlli interni ed esterni per garantire l’efficacia e la trasparenza della gestione. I funzionari pubblici, non essendo direttamente interessati al patrimonio dell’ente, devono documentare con precisione le operazioni svolte, al fine di prevenire comportamenti irresponsabili e garantire la tracciabilità delle decisioni. In aggiunta ai controlli interni, i soggetti pubblici sono sottoposti a verifiche esterne da parte di organi di controllo superiori, il che comporta una notevole mole di documentazione. Per quanto riguarda le verifiche sui documenti contabili, è fondamentale distinguere tra verifiche formali e sostanziali. Le prime riguardano la validità e l’autenticità della documentazione, accertandosi che essa rispetti i requisiti normativi, come la presenza di firme e timbri. Le verifiche sostanziali, invece, si concentrano sulla coerenza dei contenuti, valutando se le informazioni riportate rispecchiano fedelmente la realtà economica dell’azienda. Lo storico racconta un qualcosa che è avvenuto sulla base di una documentazione ancora esistente, della quale deve essere capace di inquadrare quali sono gli elementi mancanti per proporre dei risultati approssimativi ma veritieri, e deve aver sottopostosto a verifica sia formale che sostanziale quella documentazione che poi utilizza per i propri risultati di ricerche. - Sistema economico antico La storia economica trae le sue radici dal sistema economico antico, in particolare dal modello romano, che rappresenta uno dei primi esempi di economia ben documentata. Il passaggio dal sistema economico antico a quello medievale avvenne attraverso un periodo di transizione marcato dalla crisi amministrativa ed economica dell’Impero Romano. Durante questa transizione, il modello economico dell’Impero Romano, basato prevalentemente sul settore agricolo, mostrò segni di cedimento. L'economia romana si fondava su piccole e medie proprietà terriere, gestite da contadini e lavorate da schiavi. Le città esistevano e ospitavano attività artigianali e commerciali, ma il fulcro dell’economia rimaneva l’agricoltura. I proprietari terrieri romani, spesso impegnati nelle guerre e nella politica, delegavano la gestione delle terre ai contadini e agli schiavi, i quali provenivano dalle province conquistate. Con l’espansione dell’Impero, il mantenimento dei vasti confini divenne sempre più costoso, richiedendo un esercito imponente e spese militari elevate. Per coprire queste spese, il governo aumentò la pressione fiscale, un peso che gravò in particolare sui piccoli proprietari terrieri e sui lavoratori agricoli. A complicare la situazione, la svalutazione della moneta minò ulteriormente la stabilità economica. Un altro fattore di crisi fu il declino demografico. Il calo della natalità e l’aumento della mortalità ridussero drasticamente la popolazione, e con essa la disponibilità di manodopera, sia libera che servile. Gli schiavi, una risorsa essenziale per l'economia agricola romana, cominciarono a scarseggiare, il che portò a un indebolimento del sistema di produzione. 4  -> Di fronte alla crisi, molti piccoli proprietari furono costretti a vendere le loro terre a latifondisti più ricchi, che riuscirono così ad accrescere i loro possedimenti. Questa concentrazione delle terre nelle mani di pochi grandi proprietari contribuì alla frammentazione del tessuto economico e sociale, favorendo l’ascesa dell’economia medievale. Il periodo medievale, segnato dalle invasioni barbariche e dal collasso dell'Impero Romano d'Occidente, ereditò il modello agricolo ma lo riorganizzò secondo nuove dinamiche. L'economia si concentrò maggiormente sul settore primario, caratterizzato da un sistema di autosufficienza. Le grandi proprietà terriere assunsero un ruolo preminente, e le attività artigianali e commerciali divennero marginali. Le città persero la loro centralità economica, e il focus si spostò su una produzione destinata principalmente al consumo locale. Il sistema economico medievale, pertanto, si sviluppò su una base agricola autosufficiente, con una netta prevalenza del settore primario e una limitata specializzazione delle attività. Questo modello economico dominò l'Europa preindustriale, stabilendo un ordine sociale ed economico che si sarebbe evoluto solo molto più tardi con la rinascita del commercio e delle città durante il tardo medioevo. 5  10.10 Lezione 4 - Sistema curtense (V-XI secolo) Durante il periodo tardo antico e medievale, l’Europa sperimentò una notevole contrazione demografica, soprattutto tra le classi più povere. Tale fenomeno può essere attribuito a molteplici fattori: la diffusione di epidemie come la peste, il declino delle città e l’insicurezza derivante dalle continue invasioni barbariche. La popolazione schiavile, che era stata alla base dell’economia romana, diminuì significativamente, rendendo insostenibile la gestione delle piccole e medie proprietà terriere. Questo calo demografico causò anche una drastica riduzione della forza lavoro disponibile per le attività agricole, che costituivano la spina dorsale dell'economia. -> Con la riduzione della popolazione e il calo della manodopera servile, divenne necessario un adattamento economico, che portò alla nascita del sistema curtense. Questo sistema si diffonde tra il V e l'XI secolo, con l'espansione dei latifondi e l'affermarsi del sistema feudale, caratterizzato da una struttura piramidale di fedeltà e protezione tra signori e vassalli. Questo nuovo sistema si basava sulla curtis, una grande proprietà agricola che faceva affidamento su un’economia di tipo feudale, strutturata su base piramidale. I latifondi si espansero e i piccoli proprietari, impossibilitati a sostenere il peso delle imposte e delle difficoltà legate alla scarsità di manodopera, si affidarono ai grandi signori terrieri in cambio di protezione. La Curtis si suddivideva in: Pars Dominica: la parte del feudo gestita direttamente dal signore, che includeva i terreni migliori e la dimora del feudatario. Qui, i contadini lavoravano per obbligo e producevano beni destinati al consumo diretto del signore. Pars Massaricia: questa porzione del territorio veniva concessa in usufrutto ai contadini, i quali la coltivavano in cambio di tributi e lavoro. Era meno produttiva e comprendeva le abitazioni dei contadini. Anche qui, il surplus prodotto veniva in parte destinato al signore, creando un sistema semi-autosufficiente, limitato nei contatti esterni ma con un certo grado di resilienza. La Curtis forniva una certa sicurezza ai contadini, ma in cambio di un carico di lavoro aggiuntivo e di un significativo controllo sociale ed economico da parte dei signori feudali. Sebbene questa struttura limitasse l’interazione economica con l’esterno, in Italia e in altre aree relativamente urbanizzate, alcune attività commerciali continuarono, soprattutto nelle città, anche se in modo ridotto rispetto al passato. - Rivoluzione agricola e demogra ca (XI secolo) A partire dall'XI secolo, si verificò una graduale ripresa demografica che pose le basi per una nuova fase di crescita economica. Questa rinascita coincise con un aumento della domanda di prodotti agricoli e con un'espansione dei terreni coltivati, resa possibile da opere di bonifica e disboscamento. L'aumento della popolazione richiese nuove soluzioni agricole, portando a innovazioni come l’aratro pesante, il mulino ad acqua e la rotazione triennale delle colture, che permisero una maggiore produttività. Tuttavia, queste pratiche raggiunsero presto i limiti della sostenibilità, dato che si scontrarono con la "legge dei rendimenti decrescenti". Espandere ulteriormente le terre coltivabili non era più sufficiente per rispondere ai bisogni della popolazione in crescita. Questo portò a un progressivo passaggio verso l’intensificazione della produzione agricola, una fase che anticipò la successiva rivoluzione agricola dei secoli successivi, con un miglioramento delle tecniche e delle conoscenze agrarie, che avrebbero continuato a trasformare l'economia e la società dell’Europa medievale. Questa rivoluzione agricola e demografica segnò il tramonto definitivo del sistema curtense e portò a una maggiore interazione economica, a un ripopolamento delle città e alla crescita di mercati locali e fiere, che costituirono la base per lo sviluppo economico del basso Medioevo. Il sistema curtense europeo è caratterizzato dall'autosufficienza. Le Curtis sono realtà chiuse, con limitati scambi economici esterni. Tuttavia, l'Italia si distingue: l'influenza romana persiste e le città continuano a mantenere un ruolo economico. Questo porta a una maggiore interazione e scambio tra le Curtis e getta le basi per il futuro sviluppo del commercio e dell'artigianato, fondamentale per la rinascita comunale e l'ascesa economica delle città italiane. Dal XI secolo, l'Europa conosce un aumento demografico graduale ma significativo, raggiungendo circa 80 milioni di abitanti. La crescente popolazione richiede nuove risorse, spingendo i grandi proprietari a espandere le terre coltivabili tramite bonifiche e disboscamenti. La necessità di incrementare la produttività agricola porta all'adozione di tecniche avanzate, come l'uso di mulini ad acqua e a vento. Intorno al XIII secolo, si afferma la consapevolezza che l'espansione territoriale non basta per soddisfare la domanda di risorse. Inizia allora un processo di intensificazione agricola e innovazione tecnologica, che stabilisce le fondamenta del futuro sistema capitalistico. L'introduzione di pratiche agricole più efficienti segna l'inizio della transizione verso un'economia più complessa, che culminerà nella Rivoluzione Industriale. 6  fi 15.10 Lezione 5 - Evoluzione del Sistema Economico e Sociale Dal VI secolo d.C., l'Europa centrale e settentrionale fu caratterizzata dal sistema economico curtense, in particolare nella regione dell'Île de France, come descritto da Georges Duby. Questo modello economico, che si basava su un'economia chiusa all'interno delle grandi proprietà terriere o "corti," vedeva i contadini lavorare la terra sotto la protezione e il controllo del signore, senza scambi commerciali esterni. In Italia, tuttavia, la conformazione territoriale, un'eredità romana di borghi e villaggi e una tradizione di scambi commerciali impedirono l'affermarsi del sistema curtense: qui, i contadini spesso vivevano in centri abitati e si recavano giornalmente nelle terre circostanti per lavorare. È importante distinguere il sistema curtense dal feudalesimo. Mentre il primo si riferisce a un modello economico, il secondo riguarda un sistema politico che definiva i legami di fedeltà tra i contadini e i signori locali, che a loro volta giuravano fedeltà all’imperatore. Con l'espansione della popolazione europea tra il 1000 e il 1200, grazie a un miglioramento del clima e delle condizioni igienico-sanitarie, l'economia curtense si trovò sotto pressione per rispondere alla crescente domanda di cibo. In Italia, questo portò al disboscamento e alla bonifica delle terre, favorendo la nascita di nuovi insediamenti e, più tardi, l'incremento della spinta verso le Crociate per estendere il dominio cristiano. La voglia di ampliare le terre coltivabili raggiunge però un limite. Con il tempo, si cominciano a coltivare terreni sempre meno fertili, il che implica un aumento degli sforzi senza un corrispondente aumento delle rese. Questo porta all’intuizione che l'ampliamento delle terre non è la soluzione ottimale: nasce così la prima rivoluzione agricola. Invece di espandere le superfici, ci si concentra sull’intensificare la coltivazione delle terre già disponibili, puntando a migliorare la produttività. Questa trasformazione è resa possibile grazie a una serie di innovazioni tecnologiche. Viene introdotto il sistema di rotazione triennale, che permette di suddividere il terreno in tre parti: una per il grano, una per colture primaverili-estive, come i legumi, e una terza lasciata a riposo, detta maggese. Questa tecnica ottimizza l'uso del terreno, riducendo il periodo di riposo e aumentando la resa. Già dal XIII secolo, il rallentamento dell'espansione agricola e il bisogno di terreni più fertili fecero emergere l’esigenza di innovazioni tecnologiche. Tra le innovazioni più significative ci fu l'introduzione dell'aratro pesante, dotato di vomere e coltro, che rappresentava un notevole miglioramento rispetto al vecchio aratro leggero romano. Grazie a questo nuovo strumento, i contadini potevano arare anche i terreni argillosi e pesanti del Nord Europa, favorendo una lavorazione più profonda del suolo e migliorando le condizioni per la semina. L'aratro pesante non solo tratteneva meglio il terreno, ma contribuiva anche a una coltivazione più efficiente e proficua. A queste innovazioni si aggiunsero anche i mulini a vento e ad acqua, che in realtà non erano stati inventati e ideati in Europa ma nacquero in Cina alla fine del quarto secolo ma che erano rimasti ancorati a quel territorio, mulini che permisero di sfruttare fonti energetiche alternative e di aumentare la produzione, non solo agricola ma anche artigianale. Questi mulini furono fondamentali per attività come la macinazione del grano e la lavorazione del legno, liberando parte della forza lavoro umana e animale per altre attività. - Prima rivoluzione agricola La "prima rivoluzione agricola" favorì l'incremento del surplus alimentare e il cavallo, grazie a nuove imbracature, divenne il principale animale da tiro, mentre i mulini ad acqua e a vento potenziarono l'efficienza della produzione agricola e artigianale. Con rese agricole che arrivarono fino a un rapporto di 1:7, il surplus alimentare permise la crescita delle città e l'espansione dei mercati, gettando le basi per una rivoluzione commerciale che si intensificò a partire dal XIII secolo. Secondo lo storico Lopez, questa rivoluzione commerciale costituì un cambiamento radicale: le eccedenze agricole non solo favorirono il commercio locale e interregionale, ma crearono le condizioni per scambi di lunga distanza, anche grazie a innovazioni nei metodi di pagamento e di gestione delle merci. Centri manifatturieri come quelli di Firenze e delle Fiandre divennero epicentri del commercio europeo. In Champagne, le fiere commerciali diventarono crocevia per il commercio di tessuti, lana e merci di lusso. Grazie alla posizione strategica e alle abilità imprenditoriali, i mercanti fiorentini iniziarono a produrre panni di lana, riducendo la dipendenza dai prodotti fiamminghi e facilitando scambi diretti con i mercati inglesi e fiamminghi attraverso lo stretto di Gibilterra. I mercanti italiani, in particolare i fiorentini, assunsero un ruolo centrale nelle fiere della Champagne e, verso la fine del XIII secolo, i tessuti fiorentini iniziarono a sostituire quelli delle Fiandre, simbolo di una nuova dinamica commerciale europea. Il commercio si diversificò, espandendo non solo la varietà dei beni disponibili ma consolidando anche un sistema economico basato sul commercio e sulla produzione manifatturiera di alta qualità, aprendo la strada verso un'Europa economicamente più interconnessa e diversificata. - Nolo discriminato A partire dal XIII secolo, il concetto di "nolo discriminato" diventa rilevante nel contesto della rivoluzione commerciale, soprattutto con l'intensificarsi degli scambi su lunghe distanze e la necessità di ottimizzare i costi di trasporto. Il nolo discriminato si riferisce alla pratica di applicare tariffe di trasporto diverse a seconda del tipo di merce, della distanza percorsa o delle caratteristiche del carico. In questo periodo, i commercianti cominciarono a differenziare le tariffe di nolo per massimizzare i profitti e incentivare il trasporto di merci più redditizie. Per esempio, le merci di lusso o i prodotti deperibili, come le spezie e la seta, venivano spesso sottoposti a tariffe più elevate rispetto ai beni di minor valore, come i cereali. Tale pratica contribuì a definire una gerarchia delle merci, influenzando non solo i costi di trasporto ma anche la domanda di particolari prodotti e la struttura dei mercati. Questa forma di discriminazione dei noli si rivelò essenziale per il successo delle rotte commerciali e per l'espansione delle attività mercantili, permettendo ai commercianti di massimizzare il profitto in base alla tipologia di merce e alle condizioni di mercato. Inoltre, l'uso del nolo discriminato divenne un fattore competitivo per i porti marittimi e per le città che cercavano di attrarre mercanti e stimolare lo scambio commerciale. 17.10 7  Lezione 6 - Scambi commerciali (XII-XIII d.c.) Nel corso del XII e XIII secolo, gli scambi commerciali su lunghe distanze in Europa si intensificarono, favorendo la nascita di centri economici e reti di fiere che connettevano regioni lontane. Questo processo fu particolarmente evidente nella Francia e nell'Italia, grazie alla loro posizione strategica e alla capacità di organizzare sistemi di produzione e distribuzione efficienti. Ecco un'analisi integrata dei principali nodi commerciali e delle dinamiche manifatturiere che si svilupparono in questo periodo. Uno dei più importanti nodi commerciali sorse nella regione della Champagne, a partire dalla metà del XII secolo. In questa zona si trovavano cinque piccole città, tutte sotto la giurisdizione di un singolo signore feudale, che organizzarono fiere regolari in due periodi dell'anno. Queste fiere si distinguevano per l'esenzione da dazi o imposte durante il loro svolgimento, rendendole un luogo privilegiato per gli scambi commerciali tra il Nord e il Sud dell'Europa. La Champagne, situata a metà strada tra le Fiandre e l'Italia, divenne così il punto di incontro ideale per commercianti provenienti da entrambe le aree. Le fiere della Champagne erano particolarmente importanti per la circolazione di spezie e altri beni di lusso, che venivano portati da mercanti arabi ed ebrei agli italiani. Gli italiani, a loro volta, dominavano il commercio delle spezie dall'Estremo Oriente. Questi mercati facilitavano anche lo scambio di beni come i panni di lana inglese, un prodotto di alta qualità che ebbe un'importanza crescente nei mercati europei. I panni di lana assunsero un ruolo centrale nel commercio europeo a partire dal XII secolo. La lana, soprattutto quella proveniente dall'Inghilterra, era considerata una materia prima di qualità eccezionale e veniva lavorata nelle Fiandre per produrre tessuti che trovavano un vasto mercato in tutta Europa. La lana era un bene secondario, ma la necessità di coprirsi in un clima rigido rendeva i tessuti di lana una priorità per tutte le classi sociali, compresi coloro con risorse limitate. Il tessuto di lana fiorì anche in Italia, dove, in particolare in Toscana, si sviluppò una complessa organizzazione manifatturiera per la produzione di panni di lana. Il sistema italiano era decentrato e si basava su una divisione del lavoro che coinvolgeva sia le campagne che le città. Nel sistema manifatturiero toscano, ogni fase della produzione tessile avveniva in un luogo diverso, garantendo una distribuzione efficiente del lavoro: - Preparazione della lana: La lana grezza, proveniente dall'Inghilterra, veniva lavata e districata da operai specializzati, i "ciompi", che lavoravano nelle città. - Filatura: La lana veniva filata nelle campagne, soprattutto nel Mugello, dove famiglie contadine si dedicavano a questa attività nei mesi invernali o di sera. Si trattava di un lavoro svolto all'interno delle unità domestiche, spesso marginale rispetto alle altre attività agricole. - Tessitura: Il filato veniva poi portato a Firenze, dove veniva tessuto nelle botteghe artigiane. Qui, la produzione tessile si trasformava in un'attività destinata al mercato, con gli artigiani che lavoravano su commissione per i mercanti, piuttosto che per uso personale. - Rifinitura: La fase finale consisteva nella rifinitura dei tessuti e nella correzione di eventuali difetti, fino a ottenere il prodotto finito, che restava di proprietà del mercante. Questo sistema di produzione aveva il vantaggio di non richiedere grandi investimenti di capitale e permetteva una certa flessibilità. In caso di crisi economica o di difficoltà nell'approvvigionamento della materia prima, la produzione poteva essere facilmente interrotta. Con il tempo, i panni di lana prodotti in Italia, in particolare quelli fiorentini, superarono in qualità quelli delle Fiandre, grazie anche all'attrazione di manodopera specializzata proveniente da quest'ultima regione. I mercanti fiorentini svilupparono inoltre un sistema di commercio che permetteva loro di stabilire relazioni dirette con i produttori inglesi di lana. Grazie a queste innovazioni, Firenze diventò uno dei centri principali della produzione tessile europea, e i panni di lana divennero una nuova forma di moneta di scambio. Accanto al modello decentrato toscano, vi erano anche sistemi manifatturieri accentrati, dove tutte le fasi della produzione si svolgevano in un unico luogo. Questo modello era meno diffuso e veniva utilizzato principalmente in settori specifici, come la cantieristica navale o la lavorazione di materiali preziosi come l'oro e l'argento. Questi ultimi erano particolarmente sviluppati nelle aree di Venezia e Firenze, dove le lavorazioni erano spesso eseguite da donne sotto rigoroso controllo per evitare sprechi o utilizzi impropri delle materie prime preziose. In conclusione, l’economia europea tra XII e XIII secolo vide una fioritura di scambi commerciali su lunghe distanze, guidata da fiere strategiche come quelle della Champagne e da una crescente specializzazione nella produzione manifatturiera, soprattutto nel settore tessile. Questo periodo segnò una transizione verso una maggiore integrazione economica, con regioni come la Toscana e le Fiandre che giocavano un ruolo centrale nel sistema commerciale europeo. 8  22.10 Lezione 7 - Periodo preindustriale Nel corso del XVII e XVIII secolo, così come era avvenuto in precedenza per l’agricoltura, nuove tecniche cominciarono a emergere nel campo della manifattura, favorendo un aumento della produttività e accelerando il processo produttivo. L’introduzione del telaio orizzontale, più gestibile rispetto al telaio verticale, e l’invenzione del filatoio meccanico furono tra le innovazioni più rilevanti di questo periodo. Questi sviluppi furono in larga parte promossi dallo sviluppo commerciale e contribuirono a rendere il processo manifatturiero più efficiente. Questo modello di produzione viene spesso definito “manifattura decentrata o disseminata”, poiché la produzione non era più concentrata in un unico stabilimento, ma distribuita tra varie unità produttive, come piccole botteghe o laboratori domestici. Ciò permise una maggiore flessibilità e una diversificazione della produzione. Il mercante imprenditore del periodo preindustriale si distingue per il controllo della materia prima e la capacità di collocare sul mercato il prodotto finito. Questa figura era fondamentale in un'economia in cui le filiere produttive e commerciali erano limitate. Il mercante imprenditore non solo gestiva l'acquisto delle materie prime ma spesso interveniva nel processo produttivo, mantenendo una posizione chiave nell'intermediazione tra produzione e distribuzione. Questo ruolo fu centrale per l'espansione dei mercati, specialmente nelle città stato italiane. Dal 1000, la popolazione europea cominciò a crescere, ma con la peste nera del 1348 questa crescita subì una drastica battuta d’arresto. Il morbo decimò la popolazione europea riducendola di circa un terzo, provocando una riduzione della forza lavoro e, di conseguenza, un aumento dei salari nominali per i lavoratori sopravvissuti. Tuttavia, la diminuzione della popolazione fece anche crollare la domanda di beni, portando a una riduzione dei prezzi dei beni di prima necessità. Questo, insieme all’aumento dei salari, portò a un temporaneo miglioramento delle condizioni di vita per molti. Il periodo preindustriale fu caratterizzato da un andamento discontinuo della domanda e dell'offerta. I frequenti cali demografici causati da epidemie, carestie e guerre influenzarono negativamente la domanda di beni e servizi. L’economia preindustriale non riuscì a svilupparsi in maniera continua, essendo frequentemente ostacolata da crisi catastrofiche. Come osservato dallo storico Carlo Maria Cipolla, l’elevato tasso di mortalità, combinato con la frequenza di eventi catastrofici come guerre e malattie, contribuiva a mantenere la popolazione stabile o in lento aumento fino alla rivoluzione industriale. Molto spesso gli storici affermano che la peste del 1348, pur essendo un fenomeno tragico per l'umanità, con 25 milioni di vittime, abbia avuto un effetto "salutare" dal punto di vista economico. Infatti, i sopravvissuti poterono godere di condizioni di vita migliori rispetto a quelle precedenti alla peste. Nel periodo preindustriale, la distribuzione del reddito era estremamente irregolare: il 5% della popolazione deteneva la maggior parte della ricchezza, mentre la stragrande maggioranza viveva in condizioni di grande precarietà, senza la capacità di condurre un’esistenza dignitosa. Questo flusso discontinuo di domanda e offerta è stato influenzato anche dalla dinamica della popolazione. La distribuzione del reddito era profondamente ineguale, con la maggior parte della popolazione che viveva in povertà. I due alimenti fondamentali del periodo preindustriale erano il vino e la farina, che avevano un prezzo relativamente basso rispetto ad altri alimenti e fornivano un apporto calorico essenziale. Il drastico calo della popolazione a causa della peste comportò, da un lato, una perdita significativa di forza lavoro. I braccianti agricoli e i salariati urbani acquisirono quindi un maggiore potere contrattuale, e i loro salari nominali aumentarono. Dall'altro lato, il calo della popolazione ridusse la domanda di beni, portando a un abbassamento dei prezzi dei prodotti agricoli di prima necessità. La combinazione tra l’aumento dei salari e la diminuzione dei prezzi dei beni essenziali determinò un incremento del potere d’acquisto, migliorando così le condizioni di vita. Uno studio basato sui libri contabili dell'ospedale di Prato, che si ferma al 1375, analizza le condizioni di vita della popolazione in quel periodo. Prima della peste del 1348, con il salario di una famiglia di tre persone, era possibile acquistare circa 600 grammi di pane e 3/4 di litro di vino al giorno. Tuttavia, tra il 1355 e il 1358, con lo stesso salario, si potevano acquistare quantità maggiori di alimenti, indicando che la capacità d’acquisto era aumentata per almeno un decennio dopo la peste. A partire dagli anni ’70 del Trecento, però, si osserva un'inversione di tendenza: la capacità d’acquisto iniziò a diminuire, a causa del progressivo aumento della popolazione che portò a una nuova pressione sulla domanda di beni. La società preindustriale aveva infatti una capacità di ripresa demografica rapida, grazie a un elevato tasso di natalità, che compensava in parte l’alto tasso di mortalità. -> La peste nera del 1348 è stata uno degli eventi più devastanti della storia europea. Cipolla ha analizzato l'impatto di questa epidemia sulla città di Pistoia nel 1630, rilevando come la peste avesse colpito duramente l’economia locale. Solo una minima parte delle risorse necessarie a fronteggiare l’emergenza proveniva dai canali tradizionali, mentre gran parte del denaro fu ottenuto tramite prestiti e carità. La peste, insieme ad altre malattie endemiche come il vaiolo, il tifo e il colera, segnò profondamente la società europea, lasciando cicatrici sia psicologiche che economiche. Un effetto paradossale della peste nera fu il miglioramento temporaneo delle condizioni di vita per coloro che sopravvissero, grazie all’aumento dei salari e alla riduzione dei prezzi dei beni di prima necessità. Tuttavia, la società preindustriale, con il suo elevato tasso di natalità, si riprese rapidamente, riportando la popolazione a livelli precedenti in pochi decenni, riducendo così gli effetti benefici nel lungo termine. Le città italiane furono tra le prime a introdurre misure preventive contro la peste, come quarantene, restrizioni alla mobilità e miglioramenti delle condizioni igieniche. Tuttavia, queste misure si rivelarono spesso inefficaci, poiché molti eludevano i controlli. La Chiesa interpretava la peste come una punizione divina e incoraggiava pratiche di penitenza e pellegrinaggi per placare l’ira di Dio. Questo clima di paura e superstizione portò anche alla persecuzione di minoranze, come gli ebrei, considerati eretici e responsabili della diffusione del morbo. 9  24.10 Lezione 8 - Scoperte geogra che e sviluppo economico Le scoperte geografiche del XVI secolo hanno indubbiamente segnato una svolta fondamentale nello sviluppo economico dell'Europa, portando a cambiamenti significativi nelle rotte commerciali e nei rapporti di forza tra le potenze europee. Tuttavia, queste trasformazioni vanno comprese anche nel contesto più ampio di un cambiamento demografico e climatico che influenzò profondamente l'economia europea. A partire dalla metà del XV secolo, dopo un lungo periodo di stagnazione causato dalla peste nera e dalle guerre, la popolazione europea cominciò a crescere. Tuttavia, questo aumento non fu omogeneo: alcune regioni con agricoltura più avanzata, come l'Italia e l'Olanda, mostrarono una crescita più sostenuta rispetto ad altre. Nel XVI secolo, questa crescita continuò in molte aree dell'Europa, ma all'inizio del XVII secolo, problemi legati alla teoria malthusiana iniziarono a manifestarsi. La popolazione cresceva più rapidamente della capacità produttiva agricola, portando a carestie, aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, e un conseguente aggravarsi delle condizioni di vita. I climatologi parlano anche di una "piccola era glaciale" che potrebbe aver contribuito a peggiorare le condizioni di vita, rendendo più difficili i raccolti e aggravando le difficoltà alimentari. A questo si aggiunsero conflitti devastanti, come la Guerra dei Trent'anni (1618-1648), che portò a un blocco della crescita demografica in molte aree d'Europa. A metà del XVII secolo, con poche eccezioni come l’Olanda, la crescita demografica si era arrestata, e l'Europa si trovava a fare i conti con nuovi equilibri economici. Il periodo che va dalla metà del XV secolo alla metà del XVII secolo rappresenta la seconda fase di crescita demografica ed economica dell'Europa. Questa fase fu profondamente influenzata dalle scoperte geografiche, che fornirono all'Europa una straordinaria abbondanza di nuove materie prime, come spezie, metalli preziosi e prodotti agricoli dalle Americhe, dall'Africa e dall'Asia. La disponibilità di queste nuove risorse stimolò l’economia europea, portando a mutamenti istituzionali ed economici significativi. - Spagna e Portogallo Spagna e Portogallo, grazie alle loro esplorazioni, hanno tratto vantaggio dai nuovi sistemi di scambio. Il Portogallo, cercando di bypassare il mercato del Mar Rosso e le rotte italiane (Venezia e Genova), ha stabilito contatti diretti con i produttori di spezie, aprendo rotte commerciali che includevano avamposti strategici come Aden, Hormuz e Goa. Tuttavia, queste rotte si rivelarono problematiche per i portoghesi, soprattutto per le difficoltà di navigazione e il progressivo controllo olandese, che a lungo termine indebolirono la loro egemonia. La Spagna, dopo la scoperta delle Americhe da parte di Colombo nel 1492, ha iniziato a colonizzare vasti territori, sfruttando le risorse locali, in particolare l'argento. Le miniere di Potosí in Bolivia e quelle del Messico fornirono argento in quantità senza precedenti, il quale veniva utilizzato per sostenere i bisogni crescenti delle colonie. Tuttavia, la Spagna non riuscì a investire queste ricchezze in un'adeguata infrastruttura economica e produttiva, portando a una dispersione delle risorse in beni di lusso e guerre, e beneficiando indirettamente i paesi europei più produttivi, come Olanda e Inghilterra. A partire dalla seconda metà del XVI secolo, la Spagna iniziò a decadere economicamente. Nonostante l'arrivo massiccio di argento dalle Americhe, la Spagna non riuscì a trattenere queste risorse, che venivano dirottate verso altre nazioni europee per acquistare i beni che venivano richiesti dalle colonie del nuovo mondo, per potersi adattare completamente al tipo di vita e cultura che caratterizzava la madrepatria. L'agricoltura era arretrata, soprattutto dopo la cacciata di ebrei e musulmani, e l'aristocrazia spagnola, poco interessata alla gestione delle terre, contribuì all'inefficienza del sistema agricolo e commerciale. Il 25% della ricchezza che arrivava dai polipi Maya, Aztechi e Inca erano trattenuti dalla corona spagnola che non aveva sviluppato la capacità di investimento e trattenimento della moneta e il continuo coinvolgimento in guerre, come la guerra dei 70 anni e degli 80 anni, a partire da Carlo V, generò ingenti spese per la corona, che si indebitò con banchieri stranieri. Il sistema fiscale spagnolo esentava nobili e clero dalle tasse, aggravando ulteriormente la situazione. L'abbondanza di argento contribuì a un aumento della massa monetaria in Europa, causando un fenomeno noto come la rivoluzione dei prezzi. Questo aumento dei prezzi, soprattutto dei beni essenziali, come il pane e i cereali, fu spiegato dalla teoria quantitativa della moneta. Mentre i mercanti e i banchieri trassero vantaggio da questa inflazione, le classi con rendite fisse, come l'aristocrazia feudale, ne furono danneggiate. Il fallimento economico della Spagna e l'incapacità di sostenere la propria economia, insieme al crescente potere di altre nazioni come l'Olanda e l'Inghilterra, portarono al suo declino nel contesto europeo. - Inghilterra e Olanda A partire dagli anni '60 del Cinquecento, Spagna e Portogallo iniziarono a perdere il predominio commerciale, mentre Olanda e Inghilterra si affermarono come nuove potenze economiche grazie alla loro tradizione marittima e alle capacità di investimento. Come sappiamo nL’Olanda, con una flotta all'avanguardia, divenne un concorrente temibile per il Portogallo, mentre l'Inghilterra iniziò a espandere la sua influenza nei mercati delle Americhe e dell'Asia. Negli anni successivi alle scoperte geografiche, il predominio marittimo di Spagna e Portogallo iniziò a mostrare segni di debolezza. Dopo circa cinquant'anni di navigazione intensiva, si presentarono difficoltà nel mantenere il controllo sulle rotte commerciali e sulle colonie: uno dei problemi principali era la crescente incapacità delle flotte portoghesi di attrarre e mantenere un equipaggio esperto e affidabile. Le navi portoghesi, pur continuando a solcare i mari, erano sempre più affidate a marinai non portoghesi, in particolare olandesi, esperti nell’arte della navigazione. 10  fi Questa situazione derivava dal fatto che gli olandesi, con la loro avanzata tradizione marittima, avevano sviluppato competenze superiori nella navigazione e nella gestione delle rotte complesse. Essi si erano affermati come esperti navigatori, capaci di affrontare le sfide del commercio marittimo in un contesto globale sempre più competitivo. Di conseguenza, molti dei marinai e dei capitani delle navi portoghesi erano reclutati dalla marineria olandese, il che rappresentava un notevole svantaggio per il Portogallo. La perdita di competenze navigative interne ebbe effetti diretti sulla capacità del Portogallo di mantenere il controllo delle sue rotte commerciali, specialmente nel mercato delle spezie, dove la concorrenza olandese cominciò a farsi sentire. Le navi olandesi iniziarono a percorrere le stesse rotte dei portoghesi, entrando nel mercato dello scambio delle spezie e sottraendo quote significative di mercato ai portoghesi. Questa competizione non solo ridusse i profitti portoghesi, ma creò anche una situazione in cui le navi portoghesi si trovavano a corto di marinai esperti, limitando ulteriormente la loro capacità di operare efficacemente. Le Compagnie delle Indie Orientali (Olanda) e delle Indie Occidentali (Inghilterra) crearono un modello di controllo commerciale che integrava beni tradizionali come spezie e tessuti, insieme a nuove risorse americane, tra cui minerali, metalli preziosi e prodotti agricoli come mais e pomodori. Il modello economico iberico, basato principalmente sullo sfruttamento delle risorse minerarie e su un sistema monarchico poco propenso a investire in infrastrutture produttive, si dimostrò insostenibile nel lungo periodo. Al contrario, Olanda e Inghilterra si concentrarono su una maggiore integrazione delle colonie e sull'investimento in risorse, permettendo uno sviluppo più sostenibile e una maggiore coesione commerciale a livello globale. - Nuovi beni di scambio Con l'emergere di un nuovo sistema commerciale tra il Cinquecento e il Seicento, si assiste a una trasformazione radicale dei flussi di merci e delle dinamiche di scambio a livello globale. Se in precedenza il commercio era principalmente incentrato sulle spezie e sui tessuti, il panorama economico cominciò a includere nuovi attori e nuove risorse, in particolare quelle provenienti dalle colonie americane. A partire dalla conquista e dalla colonizzazione delle Americhe, l'afflusso di minerali preziosi come l'argento e l'oro divenne un fattore cruciale per l'economia europea, in particolare per Spagna e Portogallo. L'argento, in particolare, proveniente da miniere come quelle di Potosí, in Bolivia, e Zacatecas, in Messico, influenzò notevolmente l'economia globale, alimentando la crescita del commercio e facilitando gli scambi. In aggiunta ai minerali, un'altra importante innovazione commerciale fu l'introduzione di piante tropicali ed esotiche, come il mais e il pomodoro. Questi prodotti, originari delle Americhe, cominciarono a essere coltivati e diffusi in Europa, rivoluzionando le abitudini alimentari e agricole. Il mais, in particolare, si rivelò un elemento fondamentale per l'alimentazione, grazie alla sua resistenza a malattie e condizioni climatiche avverse. -> Con il passare del tempo, si comprese che queste nuove coltivazioni avrebbero potuto sostituire le tradizionali coltivazioni di grano, che erano più vulnerabili agli agenti patogeni e ai fenomeni di siccità. Il mais, per esempio, divenne un alimento base per molte popolazioni, compresa quella spagnola, grazie alla sua capacità di prosperare in condizioni diverse e alla sua versatilità in cucina. Questa transizione non solo migliorò la sicurezza alimentare, ma portò anche a cambiamenti significativi nelle pratiche agricole e nel paesaggio economico europeo. Questo nuovo sistema commerciale non si limitò a scambiare solo spezie e tessuti, ma si arricchì di una varietà di beni, contribuendo a una maggiore integrazione economica tra i continenti. Le navi mercantili iniziarono a trasportare non solo prodotti finiti, ma anche materie prime e prodotti agricoli, trasformando le rotte commerciali e le relazioni tra le potenze europee e le loro colonie. 11  29.10 Lezione 9 - Rivoluzione industriale Parliamo dell’Europa centro-settentrionale nel periodo che va dalla seconda metà del ‘500, focalizzando l’attenzione su Francia, Inghilterra e Olanda che dal punto di vista geografico erano immersi nella nuova realtà commerciale dell'epoca. Tuttavia, il loro primato economico non si basava solo sulla posizione geografica, ma era fortemente sostenuto da un clima culturale, politico e istituzionale particolarmente favorevole. Queste realtà non erano monarchie assolute, come invece era la Spagna, ma possedevano una relativa unità politica e una volontà diffusa di investimento. Per quanto riguarda la disponibilità delle risorse già integrate nel sistema commerciale, si tratta di Paesi che avevano sviluppato un settore commerciale solido, accumulando risorse significative, eccedenti rispetto alla domanda interna, che poterono essere reinvestite nel settore manifatturiero e in quello della produzione secondaria. -> Il capitale derivante dalla posizione di preminenza nel commercio veniva così indirizzato al settore manifatturiero, riorganizzandolo e orientandolo verso un nuovo modello produttivo. Questo modello, che si affermò pienamente nel Settecento, prevedeva la centralizzazione delle fasi di produzione in un unico contesto per facilitare l’organizzazione e il controllo del processo produttivo, fasi che in precedenza erano invece distribuite in modo più decentralizzato. Viene proposto un nuovo modello, che prevede la concentrazione della produzione all’interno di un unico stabilimento, con la presenza di lavoratori, apprendisti e il trasferimento delle materie prime all’interno dello stesso contesto. Questo nuovo modello organizzativo, noto come "factory system", prende piede inizialmente nel settore tessile e porta alla produzione di beni di primaria necessità, sebbene inquadrati come beni di consumo secondari. All'interno di questi settori si sviluppa così un nuovo sistema di produzione, centralizzato ed efficiente, che permette di ottimizzare tempi, costi e qualità, segnando un passaggio verso l’industrializzazione. Questo processo è accompagnato da un insieme di trasformazioni che paesi come l’Italia non sono in grado di recepire e attuare, a causa della perdita di rilevanza commerciale. L’Italia, che aveva goduto di risorse economiche significative tra la fine del XIV e il XVI secolo, non riesce ad aggiornare e reinvestire queste risorse, ma tende a dirottarle soprattutto verso l’acquisto di proprietà terriere. Si sviluppa così una mentalità orientata all’acquisizione e all’espansione delle terre. Si assiste a una sorta di regressione, in quanto l’Italia diventa un territorio marginale dal punto di vista economico, anche a causa del fatto che il sistema produttivo italiano rimane ancorato alle corporazioni. Queste avevano il compito di controllare la concorrenza all’interno del sistema produttivo, garantendo qualità e integrità della produzione. Tale sistema imponeva vincoli sia alla produzione che agli artigiani, costringendoli a mantenere alti standard qualitativi, contenere i costi e rispettare tempi di produzione. In Olanda e Inghilterra, al contrario, si comprende che il vincolo imposto al sistema produttivo dalle corporazioni potrebbe risultare un ostacolo alla crescita economica e allo sviluppo. Questi paesi, infatti, adottano un approccio più liberale, riducendo i limiti alle attività produttive e permettendo una maggiore flessibilità salariale, che viene determinata dal mercato e dalla discrezione degli imprenditori. Il sistema produttivo inglese e olandese, libero dai vincoli corporativi italiani, favorisce così una crescita più dinamica e adattabile, con una manodopera la cui retribuzione è variabile e basata su competenze e specializzazioni. Il sistema corporativo italiano regolava rigidamente il costo del lavoro dei singoli lavoratori, imponendo un tetto minimo e massimo, con lo scopo di tutelare la stabilità economica e sociale delle categorie artigianali. Questo sistema limitava la flessibilità dei salari, impedendo un adattamento alle fluttuazioni di mercato e ai bisogni degli imprenditori. In Inghilterra e Olanda, invece, la manodopera non era soggetta a queste rigide restrizioni: il salario veniva determinato liberamente dall’imprenditore in base alla specializzazione del lavoratore e alla situazione del mercato, consentendo una maggiore elasticità e un miglior adattamento alle esigenze produttive. Ciò favorì un ambiente più dinamico e competitivo, che spingeva all’innovazione e alla crescita del settore industriale. La Guerra degli Ottant’anni, inoltre, ebbe un impatto significativo sugli equilibri economici dell’Europa. La tensione tra Spagna e Paesi Bassi portò a una massiccia migrazione di manodopera qualificata dalle Fiandre verso paesi come l’Olanda e l’Inghilterra, che offrivano migliori opportunità e maggiore stabilità. Anche molti ugonotti francesi, a causa delle persecuzioni religiose, si trasferirono in questi territori, portando con sé non solo la loro esperienza e abilità, ma anche capitali liquidi, destinati a essere investiti nelle nuove imprese locali. L’afflusso di questi lavoratori e di capitali arricchì ulteriormente il tessuto economico di Olanda e Inghilterra, ponendoli in una posizione di vantaggio nella corsa all’industrializzazione. A questo si aggiunse la scoperta e l’impiego di nuove fonti energetiche, come la torba in Olanda e il carbone fossile in Inghilterra. Queste fonti, mai sfruttate a pieno fino a quel momento, rappresentavano una svolta decisiva: garantivano un apporto energetico continuo e stabile, in contrasto con le energie tradizionali (animale, umana, eolica e idraulica), che erano limitate e discontinue. Gli imprenditori capirono rapidamente che l’uso di queste risorse energetiche poteva garantire un flusso produttivo costante e una maggiore rapidità nei processi produttivi, riducendo notevolmente i costi di produzione e aprendo la strada a un sistema industriale che non aveva precedenti. Nel sistema tradizionale di produzione, per lavorare un panno di lana di 30 metri erano necessarie circa 6000 ore. Nel XVII secolo, grazie a un sistema decentrato, lo stesso panno richiedeva invece 2500 ore, indipendentemente dalla qualità. Questo permetteva un flusso produttivo più ampio e continuo, con un conseguente abbattimento dei costi di produzione rispetto al sistema precedente e una maggiore accessibilità ai mercati, sia interni che internazionali. In questo contesto, si comprese che era possibile aumentare ulteriormente la produzione e abbassare i costi, anche intervenendo sulle materie prime (MP). Sostituendo le materie prime tradizionali con altre a costo inferiore, si riducevano significativamente i costi di produzione. Si iniziò così a pensare al commercio triangolare, un sistema commerciale che implicava la produzione di specifiche materie prime, soprattutto per l’industria tessile, utilizzando risorse e manodopera provenienti dai territori americani e 12  dalle colonie africane. Il cotone, in particolare, coltivato in modo estensivo e con manodopera a basso costo (spesso di provenienza africana e ridotta in schiavitù), divenne una risorsa fondamentale per ridurre i costi, creando un vantaggio competitivo e alimentando la crescente domanda globale di beni tessili. Si inizia a sostituire la lana con il cotone, grazie alla disponibilità di manodopera a basso costo nelle piantagioni estensive, e il cotone conquista progressivamente il mercato europeo e internazionale. Questo nuovo materiale si diffonde soprattutto tra le classi medio-basse, che grazie a un maggiore potere d’acquisto possono accedere a questi prodotti. I tessuti in cotone si distinguono per colori e caratteristiche innovative rispetto ai prodotti tradizionali e segnano una transizione verso un sistema industriale. Si evolve così un sistema di produzione che si libera dai vincoli precedenti, che limitavano sia la quantità di output sia i prezzi di vendita. Ci si avvicina al modello della produzione di massa, caratterizzato da una continuità produttiva e un potenziale di crescita indefinito. Questo cambiamento si afferma principalmente in Inghilterra e in Olanda, anche se, quando si parla di rivoluzione industriale nella seconda metà del XVIII secolo, il riferimento principale è l’Inghilterra. L’Olanda, invece, pur avendo anticipato molti sviluppi economici, scopre i limiti della sua risorsa energetica principale, la torba. L’uso intensivo ne determina un rapido esaurimento, rallentando il processo di industrializzazione, che avverrà solo circa settant'anni dopo rispetto all’Inghilterra. - Progresso industriale Tra il 1730 e il 1740, si manifesta una nuova fase di progresso industriale, avviando un processo simile a quello che aveva caratterizzato la precedente rivoluzione commerciale dell'anno 1000. Questa trasformazione è il risultato di un sistema di cause ed effetti legato all’aumento della popolazione e alla conseguente necessità di ampliare l'offerta di beni. Si avvia così un processo di trasformazione demografica, con la popolazione che cresce in modo significativo, raggiungendo un aumento del 16% con toni contenuti, ma caratterizzato da un aumento irreversibile e costante. Per far fronte a questa crescita, diventa necessario aumentare le risorse disponibili. Ciò avviene seguendo paradigmi già osservati in precedenza: si incrementa la produzione complessiva e si ampliano i territori coltivabili. Gli open fields, fino a quel momento terre ad uso comune, vengono trasformati in terre coltivate tramite il processo di enclosure, convertendo queste zone aperte in aree agricole più strutturate e produttive. Si cerca di coltivare i terreni esistenti utilizzando nuove tecniche agronomiche che aumentino la produttività. In Inghilterra, si sostituisce la tradizionale rotazione triennale con la rotazione continua, in cui le proprietà vengono coltivate in modo costante e tutte le aree vengono sfruttate grazie a nuove forme di coltivazione. Si cominciano a utilizzare strumenti innovativi, come la seminatrice meccanica, una macchina con caratteristiche meccaniche che richiede all'operatore di adattare i propri gesti, movimenti e velocità di lavoro. Viene introdotta anche una nuova tipologia di aratro e le trebbiatrici meccaniche. L'unione della trasformazione degli open fields in enclosed fields, facilitata da una serie di atti legislativi del parlamento, con l'introduzione di queste nuove macchine comportano un significativo aumento della capacità produttiva del sistema agricolo inglese, che porta a una maggiore capacità di formare capitali ed eccedenze, che possono essere reinvestiti nel settore commerciale. 13  31.10 Lezione 10 - Industrializzazione Durante la rivoluzione industriale, l'Europa, e in particolare l'Inghilterra, assistono a una trasformazione radicale che impatta profondamente la struttura demografica e produttiva della società. Questa nuova era vede la nascita di un sistema produttivo in cui lavoratori e macchine si concentrano in grandi stabilimenti, dando origine a un’organizzazione del lavoro senza precedenti. L’industria si sposta dalla manifattura decentralizzata, con le sue diverse fasi sparse in piccoli laboratori o a domicilio, alla produzione centralizzata, dove ogni fase del processo si svolge nello stesso stabilimento, aumentando notevolmente la velocità e l’efficienza. Uno degli elementi chiave che alimenta il successo della rivoluzione industriale è il progresso nel settore dei trasporti, che accelera il flusso delle merci e abbassa i costi. In Inghilterra, il sistema di trasporto terrestre e marittimo subisce notevoli miglioramenti: i canali navigabili diventano vie essenziali per il commercio interno, facilitando lo spostamento di merci pesanti come il carbone e i tessuti. I crescenti investimenti rendono possibile la costruzione di infrastrutture sempre più avanzate, tra cui il primo sistema ferroviario a vapore. Con l’introduzione delle locomotive, i trasporti non solo aumentano in velocità ma anche in capacità di carico, segnando un punto di svolta per l’industria e il commercio. La prima industria a emergere è quella tessile, in particolare nel settore del cotone. Questa scelta non è casuale: il cotone rappresenta una materia prima più economica rispetto alla lana, utilizzata precedentemente, e consente quindi di abbattere i costi di produzione. Tuttavia, l'industria tessile richiede capitali ingenti, sia per l'acquisto di macchinari che per la costruzione di edifici adeguati, capaci di ospitare un numero elevato di operai e di macchine. Gli edifici industriali, per via della necessità di luce naturale e ampi spazi, sono costruiti con una logica architettonica completamente nuova rispetto alle piccole botteghe manifatturiere. Le innovazioni tecnologiche danno un impulso decisivo al settore tessile, permettendo di aumentare velocità ed efficienza: 1733 - Navetta volante di John Kay: permette di tessere in modo più veloce e uniforme, riducendo notevolmente i tempi di lavorazione. 1764 - Spinning Jenny di James Hargreaves: con questo filatoio, un singolo operaio può filare contemporaneamente fino a 120 fili, rivoluzionando la fase della filatura. 1769 - Filatoio idraulico di Richard Arkwright: grazie all'energia idraulica, questo macchinario permette di lavorare 200 fili contemporaneamente, producendo un filato resistente che abbassa ulteriormente i costi. 1779 - Mula di Samuel Crompton: combina le migliori caratteristiche della Spinning Jenny e del filatoio idraulico, incrementando la qualità del filato e l'efficienza produttiva. 1785 - filatoio a vapore di James Watt e Matthew Boulton: che permette di ottenere un numero indefinito di fili e raggiunge una capacità produttiva senza precedenti. L'innovazione culmina con l’introduzione del telaio meccanico del 1787 di Cartwright, che bilancia la fase della tessitura con quella della filatura, e permette a tutto il processo produttivo tessile di avere una continuità di produzione con dei ritmi elevati. L'industria tessile funge da modello per le successive trasformazioni industriali in Inghilterra e in Europa. Le innovazioni tecnologiche, la centralizzazione del lavoro e i nuovi metodi di organizzazione produttiva stabiliscono un paradigma per lo sviluppo di altre industrie. Questa struttura richiede sempre più capitali, che inizialmente vengono reperiti attraverso reti di conoscenze private, dato che il sistema bancario inglese è ancora in gran parte focalizzato su credito al consumo e al commercio. Tuttavia, l'accresciuta necessità di investimenti stimola la creazione di nuove forme di finanziamento, contribuendo allo sviluppo del moderno sistema bancario e finanziario. Queste macchine, fino al 1780 circa, erano costruite principalmente in legno e non in ferro, poiché la tecnologia del puddellaggio di Cort – un metodo innovativo per la produzione di ferro malleabile adatto all’industria – non era ancora entrata pienamente in uso. Il legno comportava problemi di usura e frequenti riparazioni, ma garantiva costi di produzione relativamente bassi. Questo ha permesso che in Inghilterra, durante la prima rivoluzione industriale, non fosse necessario l’intervento dello Stato o del sistema bancario. L’industrializzazione iniziale è stata infatti sostenuta da famiglie e gruppi di conoscenti che, con capitali relativamente modesti, fondavano le nuove fabbriche. In Inghilterra, il sistema bancario era orientato a depositi e finanziamenti a breve e medio termine, limitando quindi il credito all'industria. Con il passare dei decenni, circa cinquant’anni dopo l’inizio della rivoluzione industriale, si iniziò ad affrontare il problema della sovrapproduzione, causata dall'aumento dell'offerta produttiva, soprattutto con l’introduzione massiccia del cotone americano. Questo cotone proveniva dalle piantagioni degli Stati Uniti, dove lavoravano schiavi, permettendo un costo della manodopera estremamente basso. Inoltre, l’industria del cotone fu rivoluzionata dall’introduzione della sgranatrice di cotone (cotton gin) negli Stati Uniti, che aumentò la disponibilità di cotone grezzo a basso costo, abbassando il costo della materia prima e, di conseguenza, quello del prodotto finito. Questo ciclo di innovazioni e materie prime a basso costo contribuì alla rapida espansione del settore tessile, ma anche alla comparsa di nuove sfide, come la gestione della sovrapproduzione rispetto alla domanda. 14  05.11 Lezione 11 - Rivoluzione Industriale Si può parlare di Rivoluzione Industriale quando si verificano contemporaneamente e con sufficiente intensità alcuni mutamenti: applicazione della scienza e conoscenza empirica ai processi di produzione specializzazione dell'attività economica volta alla produzione per il mercato trasferimento della popolazione nelle zone urbane aumento di dimensioni e spersonalizzazione dell'unità di produzione spostamento della produzione da beni primari a manufatti o servizi impiego intensivo e estensivo di capitale al posto di, e insieme a, lavoro nascita di nuove classi sociali create dalla proprietà o dal rapporto coi mezzi di produzione Discontinuità e gradualità nel processo di industrializzazione: i dibattiti tra gradualismo e cambiamento improvviso sono centrali. Ad esempio, Joel Mokyr e Robert Allen offrono prospettive diverse sulla velocità e sulle dinamiche della trasformazione industriale. Abbiamo un disaccordo sul momento della "rivoluzione": - Arnold Toynbee (1880) identifica un cambiamento decisivo intorno al 1760. - John Nef (1930) propone una visione più ampia, considerando la rivoluzione industriale come un processo che iniziò alla fine del XVI e continuò all'inizio del XVII secolo. - Mantoux, Ashton e Hoffman notano una significativa impennata delle esportazioni a partire dal 1781-82, evidenziando l'importanza di questo periodo per l'economia inglese. - Walt Rostow sostiene che vi sia stato un "decollo" fra il 1783 e il 1802, una fase di accelerazione dello sviluppo industriale. Le teorie classiche tendono a descrivere la rivoluzione industriale inglese come un elemento di forte discontinuità. Al contrario, le tesi più recenti, adottate da alcuni storici revisionisti, la interpretano come un processo graduale e secolare, che culminò nel XVIII secolo. Il concetto di "rivoluzione" industriale, applicato a un periodo di 70 anni, è difficile da adattare. Sebbene i cambiamenti che si verificarono in Gran Bretagna tra il 1750 e il 1850 siano stati straordinari, la rivoluzione non fu un evento improvviso, ma un processo lungo. Durante questo periodo, ogni parametro economico aumentò in modo mai visto, almeno dal tempo della peste del XIV secolo, con un miglioramento continuo dell'economia e della società. La rivoluzione non riguardò solo l'economia, ma ebbe anche profondi effetti sociali, trasformando il ruolo della famiglia, la natura del lavoro, e il posto della Chiesa nella società. Un aspetto significativo fu anche il cambiamento nelle dinamiche economiche tra gli individui, con la nascita di mercati formali e impersonalizzati di merci e fattori di produzione, e nuove relazioni tra operai, datori di lavoro e capitalisti. Sul piano industriale, l’adozione di nuove forme organizzative capitaliste, come il sistema di fabbrica, fu uno dei segni distintivi di questo periodo. In un dibattito storiografico che spazia tra approcci macroeconomici e tecnologici, si sostiene che la crescita economica e i cambiamenti tecnologici siano stati alla base della trasformazione, ma è difficile stabilire una causa unica. Il processo fu troppo complesso per essere ridotto a una causa o a un singolo momento, e la realtà economica era una coesistenza tra economie tradizionali e moderne, il che rende ancora più difficile parlare di accelerazioni improvvise nei cambiamenti. Non si può dunque parlare di una "rivoluzione" improvvisa, ma piuttosto di un processo lungo e intricato che culminò alla fine del XVIII secolo e all'inizio del XIX. Durante la rivoluzione industriale, un ruolo cruciale venne svolto dall’industria del ferro e dal miglioramento dei trasporti, aspetti che divennero elementi chiave per sostenere la crescente produzione tessile e l’intero sistema industriale inglese. Le innovazioni nella siderurgia permisero di produrre macchinari più robusti e longevi, in grado di sopportare intensi ritmi di lavoro e di abbassare i costi di produzione. - Industria del ferro In Inghilterra, l’abbondanza di giacimenti di ferro e carbone pose le basi per lo sviluppo di un’industria siderurgica potente, ma la qualità del ferro inglese presentava un ostacolo: l’eccessivo contenuto di carbonio nella ghisa prodotta, che la rendeva fragile e inadeguata per macchinari e strutture come le rotaie. Intorno agli anni ’80 del Settecento, il sistema di puddellaggio di Henry Cort rivoluzionò il settore siderurgico. Con il sistema di puddellaggio, Cort separò la fusione del ferro dalla combustione, riducendo le impurità del carbonio a solo il 2% e aumentando la purezza del ferro. Questo nuovo materiale, trasformato in acciaio, era resistente ed elastico, ideale per la costruzione di macchine e per le infrastrutture di trasporto. Cort introdusse anche il laminatoio, che permetteva di ottenere forme e spessori specifici, rendendo possibile una produzione di massa standardizzata di componenti metallici. Il miglioramento dei trasporti fu altrettanto fondamentale. Prima della rivoluzione industriale, i trasporti in Inghilterra si basavano su cavalli che trainavano i battelli lungo i fiumi. L’introduzione del battello a vapore di Fulton e, successivamente, della locomotiva a vapore (1814-1815), segnò un punto di svolta. La ferrovia, pur non diventando predominante rispetto alla navigazione fluviale in Inghilterra, svolse un ruolo essenziale nel ridurre i costi di trasporto e nel velocizzare le consegne, facilitando lo sviluppo industriale. In Italia, invece, l’espansione della rete ferroviaria precedette l’industrializzazione e fu sostenuta dallo Stato, segnando una differenza significativa rispetto all’Inghilterra, dove gli investimenti nei trasporti furono principalmente privati. - Macchina a vapore La macchina a vapore di James Watt, perfezionata negli anni ’80 del Settecento, divenne un’altra innovazione fondamentale. Inizialmente utilizzata nelle miniere per l’estrazione del carbone, divenne rapidamente indispensabile anche nell’industria tessile e 15  in quella siderurgica. Questa invenzione non solo consentì una disponibilità costante di energia, ma permise anche un uso più efficiente delle risorse, incrementando il ritmo della produzione e stimolando l’espansione industriale. - Industrializzazione in Italia L’industrializzazione italiana iniziò con molto ritardo rispetto all’Inghilterra, sviluppandosi alla fine dell’Ottocento sotto i governi di Giovanni Giolitti. Il processo italiano, avviato con un secolo e mezzo di ritardo, risentì delle difficoltà politiche e sociali del periodo post-unitario e delle conseguenze delle guerre mondiali. Tuttavia, grazie all’intervento dello Stato e al sistema bancario di tipo misto, l’Italia poté recuperare parte del ritardo. Le banche italiane passarono dal credito al consumo a quello industriale a lungo termine, e in alcuni casi acquisirono partecipazioni nelle imprese stesse. Ciò creò un legame stretto tra sistema bancario e settore industriale, per cui una crisi di uno dei due settori aveva ripercussioni anche sull’altro. Il governo italiano, consapevole delle disuguaglianze regionali e della prevalenza del sistema agricolo, commissionò nel 1882 l’inchiesta agraria di Jacini per valutare le condizioni dell’agricoltura. I risultati evidenziarono le disparità tra il Nord, dove l’agricoltura era più moderna e produttiva, e il Sud, caratterizzato da strutture arcaiche simili alla curtis medievale. In risposta, lo Stato intervenne massicciamente nel settore industriale, promuovendo lo sviluppo di infrastrutture come le ferrovie e utilizzando capitali esteri per finanziare grandi progetti, come le acciaierie di Terni. La rivoluzione industriale portò cambiamenti significativi anche nelle condizioni di vita e nelle dinamiche sociali. Il trasferimento massiccio dalle campagne alle città determinò l'abbandono del sistema rurale e la crescita della popolazione urbana. Sebbene le condizioni lavorative fossero spesso dure, con lunghi orari e intensi carichi di lavoro, il potere d’acquisto dei lavoratori migliorò. Le famiglie operaie iniziarono a percepire un reddito più elevato, permettendo loro di accedere a una dieta più varia e a beni di consumo durevoli. Anche se la vita urbana presentava nuove sfide, le prospettive economiche per la classe lavoratrice si ampliarono notevolmente. L’impatto della rivoluzione industriale si manifestò anche nell’illuminazione artificiale, che permise di estendere le ore lavorative, aumentando la produttività. Le innovazioni che seguirono, come il convertitore Bessemer (1855) per la produzione dell’acciaio, il telefono (1871), la lampadina elettrica (1879) e il motore a benzina (1884), continuarono a trasformare l’economia e la società, stimolando una nuova fase di sviluppo economico. 16  07.11 Lezione 12 - L’industrializzazione italiana L'industrializzazione italiana, avviatasi circa 150 anni dopo quella inglese, ebbe un percorso lento e peculiare. Per molti storici, la vera spinta industriale iniziò solo con i governi di Giovanni Giolitti (1892-1914), mentre il periodo post-unitario, dopo il 1861, fu caratterizzato principalmente da sforzi di consolidamento economico e territoriale per allinearsi alle grandi potenze europee. In seguito all'unificazione, l'obiettivo non fu solo politico, ma anche economico: creare un grande mercato interno libero da dazi e dogane, che potesse sostenere lo sviluppo industriale. Dopo l’Unità, il neonato Stato italiano puntava a recuperare il ritardo industriale rispetto alle grandi potenze europee. L'obiettivo politico dell'unificazione territoriale si accompagnava, quindi, a un’ambizione economica: creare un mercato interno unificato, eliminando barriere doganali e favorendo gli scambi commerciali per permettere al Paese di competere sul piano industriale. Tuttavia, l'Italia si trovava svantaggiata rispetto ad altri Paesi industrializzati: quasi il 98% della popolazione era impiegato in un'agricoltura poco produttiva, come mostrato dall'inchiesta Jacini del 1882, e le risorse interne erano insufficienti per sostenere uno sviluppo autonomo. L'Italia presentava profonde differenze economiche tra Nord, Centro e Sud: - Italia settentrionale: qui si era già avviato un processo di accumulazione del capitale industriale, con un'agricoltura meccanizzata e moderna che, tramite tecniche come la rotazione continua, raggiungeva indici di produttività agricola simili a quelli dell'Europa centro-settentrionale. - Italia centrale: caratterizzata da forme di conduzione agricola più avanzate, come la mezzadria, sviluppatesi dal Trecento e divenute strutturate nel Settecento. Nonostante un miglioramento rispetto al modello curtense, il sistema non produceva risorse significative per l’industria. - Italia meridionale: dominata da latifondi gestiti con modelli di autoconsumo, ancora legati all’economia curtense, con una forte arretratezza tecnologica. L'inchiesta Jacini evidenziò proprio questa arretratezza, sottolineando come il settore agricolo meridionale soffrisse anche di problemi strutturali legati a infrastrutture e tecniche di irrigazione. Di fronte alla sfida di avviare un processo industriale, l'Italia scelse di finanziarsi emettendo titoli di debito pubblico, sebbene le entrate fiscali fossero inizialmente inferiori rispetto alla somma delle entrate dei singoli stati preunitari. Nel 1866 venne introdotto il "corso forzoso", una misura che consentiva di emettere moneta senza garanzia di convertibilità in oro. Nel territorio italiano prima dell’unificazione erano presenti solo 5 banche di immissione, 2 nell’area Toscana, 2 nel Mezzogiorno e 1 invece nell’area padana, queste banche emettevano banconote e monete in base alle riserve auree disponibili, secondo una regola prudenziale che consentiva di emettere al massimo un valore pari a tre volte la disponibilità d'oro. Questo sistema culminò con la fondazione della Banca d’Italia nel 1893, ma anche con il fallimento della Banca Romana, che evidenziò la fragilità del sistema bancario e il rischio di inflazione fiduciaristica. - Sviluppo industriale Negli anni ’70 dell’Ottocento, per sostenere l'industria e ampliare il mercato interno, venne avviato un programma di infrastrutture ferroviarie, che richiese però la creazione di una base siderurgica nazionale, con l’istituzione delle acciaierie di Terni nel 1884-86. Questi investimenti furono finanziati principalmente dal settore pubblico, dato che mancava ancora una base di capitali privati in grado di sostenere autonomamente il processo. Il governo aumentò il debito pubblico e rese i titoli di stato più attraenti, offrendo interessi più alti rispetto agli standard europei (5% contro il 2% o 3%), riuscendo così ad attirare capitali inglesi e francesi. L’industrializzazione italiana, tuttavia, prese davvero piede solo agli inizi del Novecento, quando cominciarono a formarsi capitali privati interni che potevano essere reinvestiti in nuove industrie, si preferiva infatti portare la propria attenzione, non sulle industrie che già avevano caratterizzato il processo di industrializzazione degli altri paesi europei, ma infatti si preferiva indirizzare e investire i capitali in settori industriali innovativi come quello chimico e quello meccanico. Emerse una rete di imprenditori che fondarono aziende come Fiat e Pirelli, distaccandosi dalla produzione tessile tradizionale e cercando soluzioni per compensare la carenza di risorse minerarie ed energetiche. Il sistema bancario giocò un ruolo cruciale, non solo finanziando lo sviluppo industriale, ma instaurando un legame diretto con le industrie attraverso partecipazioni azionarie e prestiti a lungo termine. Questo legame creò un "sistema orientato alla banca", in cui le imprese italiane facevano affidamento sul supporto bancario più che sull’emissione di azioni per ottenere capitale. Le banche si assicuravano protezione e garanzie con la partecipazione diretta alle attività industriali, consolidando il legame tra settore bancario e industriale. - Governo Giolitti Con l’inizio del XX secolo, l'industrializzazione italiana si consolidò grazie alle politiche dei governi Giolitti. L’aumento demografico, favorito da miglioramenti nelle condizioni di vita e nell’istruzione, creò una forza lavoro più qualificata. Durante i governi di Giolitti, furono introdotte diverse politiche innovative per favorire lo sviluppo economico e sociale dell’Italia, con l’obiettivo di modernizzare il Paese e renderlo più competitivo sullo scenario europeo. - Lotta contro l’analfabetismo: Giolitti investì nella diffusione dell’istruzione, soprattutto nelle aree rurali, per aumentare l’alfabetizzazione e migliorare il capitale umano. Questo rese i lavoratori più qualificati, capaci di adattarsi alle esigenze di un’industria in crescita e di contribuire attivamente al progresso economico. 17  - Riduzione del carico fiscale per le imprese: Il governo alleggerì il carico fiscale sulle imprese per incentivare la crescita e la competitività. Questo permise alle aziende di investire in espansione e innovazione, rafforzando il settore industriale e stimolando l’economia nazionale. - Introduzione dei consorzi agrari: Nelle campagne, Giolitti promosse i consorzi agrari per incoraggiare la cooperazione tra i lavoratori e migliorare l’efficienza agricola. Questi consorzi permettevano l’acquisto collettivo di macchinari e risorse, aumentando la produttività e modernizzando il settore agricolo, anche se non furono sufficienti a dare una spinta all’industrializzazione rurale. 18  19.11 Lezione 15 - Industria in Italia Gli storici sono divisi sull'attribuzione dell'inizio dell'industrializzazione italiana, e questo dibattito si basa su diverse interpretazioni del contesto economico e sociale dell'Italia nel XIX secolo. La difficoltà nell'identificare un momento preciso dipende dalla natura eterogenea dell'Italia post-unitaria e dalle disparità regionali che caratterizzarono lo sviluppo economico del Paese. Alcuni studiosi collocano l'inizio già nella seconda metà dell’Ottocento, con l’Unità d’Italia del 1861, sottolineando il ruolo della costruzione della rete ferroviaria, dello sviluppo delle industrie tessili e siderurgiche, e dei primi fenomeni di urbanizzazione. Tuttavia, questa fase è spesso descritta come limitata e frammentaria, con un impatto che rimase circoscritto al Nord Italia. Altri storici individuano il vero avvio dell’industrializzazione all’inizio del XX secolo, in particolare grazie alle politiche di Giovanni Giolitti, che favorirono la crescita industriale attraverso l’introduzione di tariffe protezionistiche, l’espansione dell’energia idroelettrica e il sostegno al sistema bancario. In questo periodo si assistette a una maggiore diversificazione economica, con lo sviluppo di settori avanzati come la meccanica, la chimica e l’elettricità. L'industrializzazione italiana intorno al 1900 si caratterizza per la nascita di un sistema industriale che integra l'innovazione tecnologica con un sistema bancario che, a differenza del modello inglese orientato al mercato, ricerca e finanzia i capitali necessari allo sviluppo industriale. Un elemento chiave in questo processo è l'introduzione dell'energia elettrica, resa possibile dalla costruzione di grandi centrali idroelettriche. I bacini idroelettrici che sorsero in Italia nel primo Novecento divennero fondamentali per alimentare il sistema industriale, offrendo energia a basso costo che stimolò la crescita di settori industriali, in particolare nel Nord Italia, ma anche in alcune aree del Sud. Questo sistema industriale italiano, pur non essendo caratterizzato dalla presenza di numerose

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