Schema Storia del Teatro (PDF)
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Questo schema riassume la storia del teatro, concentrandosi sul teatro greco e latino. Analizza le differenze nella struttura, nella drammaturgia, nelle funzioni del coro e degli attori, così come nel ruolo del pubblico. Esplora anche come il pubblico e le rappresentazioni cambiano nel tempo.
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STORIA DEL TEATRO 12 cfu 1 – INTRODUZIONE TEATRO GRECO E LATINO le tragedie classiche hanno un tema ben preciso e sono fisse anche nella drammatur- gia (testi scritti per creare lo spettacolo, testi teatrali, parte letteraria del teatro, ma anche lo studio dei repertori che stanno fuori della...
STORIA DEL TEATRO 12 cfu 1 – INTRODUZIONE TEATRO GRECO E LATINO le tragedie classiche hanno un tema ben preciso e sono fisse anche nella drammatur- gia (testi scritti per creare lo spettacolo, testi teatrali, parte letteraria del teatro, ma anche lo studio dei repertori che stanno fuori della resa scenica e gli aspetti tecnolo- gici della messinscena), che è molto importante quando si parla di teatro classico per- ché i testi sono l’unica cosa che ne resta la tragedia segue il tema della morte, che ci riguarda sempre e che con modalità di- verse pervade ogni produzione artistica umana; è il filo conduttore della tragedia, ac- compagnata dal concetto della catarsi e dal tema dell’ebbrezza (Dioniso è il dio del teatro) essenziale è il rapporto uomo-divinità (gli dei sono spesso ingiusti), anche legato al concetto di vendetta e del farsi giustizia da sé Aristotele scrive il testo Poetica (330-5 a.C.) sul teatro ed è la fonte principale se non l’unica sul teatro greco; in questo testo Aristotele parla del teatro in generale, ma è giunta ad oggi solo la parte che riguarda la tragedia ancor più difficile rispetto alla tragedia greca è parlare della tragedia latina, di cui Se- neca è praticamente l’unico esponente tragedia greca Aristotele dà una definizione di tragedia (greca): imitazione di un’azione seria e com- piuta avente una propria grandezza (personaggi aristocratici, eroi, dei) con parola or- nata (parola che deve essere trasferita in scena con il visivo) di persone che agiscono e non tramite una narrazione che per mezzo di pietà e paura (forti emozioni) porta a compimento la depurazione di siffatte emozioni (per questo si mettono in scena le atrocità: lo spettatore deve essere smosso nelle sue emozioni in modo da purificarsi) tragedia latina il teatro latino avrà come obiettivo l’intrattenimento; non c’è nessuna missione spiri- tuale, in parte religiosa e in parte politica c’è una definizione in ambito medievale di tragedia in riferimento alla tragedia di Se- neca: è il modo in cui si scrive (non più agisce) di un argomento sublime che i trage- diografi adottano in due diverse forme: sconfitte, stragi e rovine dei re, usando i versi giambici di Sofocle e Seneca oppure combattimenti in campo aperto 2 – TEATRO GRECO teatro (théatron): il termine nel mondo greco viene utilizzato a partire dal V secolo da Erodoto; la parola greca è costruita su un verbo che significa guardare (a lungo, con attenzione e continuità), unito a un suffisso che indica una struttura è una struttura da cui si guarda a lungo; c’è qualcuno che agisce e qualcuno che guarda: un attivo e un passivo i romani non utilizzano quasi mai questo termine, ma parlano di ludus (gioco) o spec- taculum in tarda antichità la storia del teatro greco affonda le sue radici nell’epica e nella poesia, nella lettera- tura in generale; nell’Odissea Omero parla più volte di luoghi e momenti dello spetta- colo presenti già prima del V secolo a.C. ↦ è uno spettacolo con temi riguardanti il mito il teatro greco nasce nel tempio, accanto al tempio di Dioniso, sviluppandosi con riti anticipativi dello spettacolo che sono di carattere religioso; nasce con il ditirambo (fonte: Aristotele) che è una danza cultuale (religiosa) che accompagna il rito di Dio- niso secondo alcuni studi queste danze assumevano geometrie anche trapezoidali infatti abbiamo resti di orchestre a pianta trapezoidale la matrice del teatro è quindi la danza, che al tempo era assimilata al teatro stesso Aristotele usa il termine tragoi ovvero canto del capro (satiro, Dioniso); anche Omero parla di spettacoli di danza circolare: i danzatori creano uno spazio circolare e questo è un elemento fondamentale per la struttura scenica del teatro greco struttura il teatro greco non è un edificio; i greci non costruiscono nulla: si trova su una collina in cui viene scavato un pendio, dove sorge l’agorà (centro pulsante della polis) in corrispondenza della collina c’è la cavea del teatro (sedute del pubblico), con poi orchestra, skené e dietro la statua e il tempio di Dioniso lo spazio scenico è estremamente rilevante; nell’ambito latino non sarà così: è una co- struzione e uno spazio chiuso il teatro greco è uno spazio aperto spesso posto vicino al mare: il tema dell’agorà sul mare è importante perché i greci sono popoli naviganti e questo è un tema culturale e commerciale importante skené ↦ spazio in cui l’attore si cambia o spazio chiuso che serve per alludere alla morte partecipare al teatro significa essere un buon cittadino; è la comunità che si raccoglie attorno a qualcosa e ciò è simboleggiato proprio dall’immagine circolare nel contesto della comunità ritroviamo i temi di morte e destino, legati a loro volta al tema della famiglia il teatro si apre inoltre agli stranieri, che vengono appunto dal mare organizzazione spettacolo essenziale l’aspetto politico, oltre che culturale, dell’evento gli spettacoli teatrali hanno la forma di festival ovvero momenti, rassegne, durante l’anno, in cui venivano messi in scena gli spettacoli in forma di agone (gara, c’è un’opera vincitrice) di solito la forma classica è la tetralogia (4 spettacoli legati con un senso di continuità nei contenuti): 3 tragedie legate + 1 dramma satiresco (sorta di tragedia a lieto fine, con ambientazioni silvane e satiri) gli agoni vanno in scena durante le grandi feste Dionisie (in onore di Dioniso) tra marzo e aprile, in corrispondenza con il rinascere della natura e il periodo in cui il mar Egeo torna ad essere navigabile due settimane ininterrotte di spettacoli, con sacrifici, feste e banchetti a dicembre-gennaio ci sono invece le Lenee, altro appuntamento dedicato a Dioniso ma minore, in cui vengono messe in scena le commedie e si tratta di un appuntamento più che altro locale senza ospiti politici che usavano il teatro come occasione per af- frontare questioni diplomatiche Euripide è il tragediografo le cui opere sono più riprese successivamente; è vissuto an- che in un periodo più problematico ed è stato un autore molto meno canonico rispetto a Sofocle e Eschilo i principali agenti dell’evento spettacolare sono coro, attore e pubblico coro il coro è costituito da un gruppo di danzatori (da 10 - per la commedia - a 50 - per la tragedia) è Importante l’elemento circolare: i danzatori si dispongono in cerchio nell’ambiente, sempre circolare, dell’orchestra sono uomini molto in vista delle tribù attiche; il coro ha anche il compito di proferire i messaggi più importanti dell’azione, sia nella tragedia sia nella commedia ha un ruolo fondamentale sia a livello strutturale sia a livello contenutistico; è l’ele- mento principale del teatro: è posto al centro, nell’orchestra, ed è più importante degli attori, che sono al massimo 3 e non hanno così tanta rilevanza in scena è colui che parla e racconta; ha un ruolo di azione e narrazione, che nel corso del tempo muta si passa dallo spazio scenico tripartito (cavea, orchestra, skené ↦ pubblico, coro, at- tore) del teatro greco allo spazio bipartito (cavea, skené) latino alla scomparsa del coro corrisponde la crescente importanza dell’attore che interagi- sce anche con il pubblico ↦ è un attore di gesto più che di parola di solito è proprio il coro a rivolgersi al pubblico (l’attore risponde e ripete e basta, so- prattutto ai tempi di Eschilo quando l’attore è uno solo e spesso coincide con l’autore ↦ Sofocle introduce un secondo attore (antagonista) attore gli attori greci non vengono pagati per la loro attività e sono essenzialmente dei sa- cerdoti o delle semi-divinità; molto spesso gli autori stessi sono attori nelle loro trage- die nel mondo latino l’attore è uno schiavo e non conta nulla, nella società greca invece l’attore è una figura di spicco molto importante l’attore greco (hypokrités) è un sacerdote (sempre presente l’elemento religioso); il ter- mine ha almeno due significati: - rispondente ↦ colui che risponde al coro, è interlocutore e ripete ciò che dice af- finché il pubblico lo capisca il coro è il vero protagonista dello spettacolo e i suoi movimenti in scena, ingresso e esodo segnano l’inizio, lo sviluppo e la fine della tragedia - colui che interpreta i sogni/segni ↦ attore come interprete che comunica un messaggio attraverso un codice, un linguaggio, delle azioni per i greci però questa idea è legata alla religione (attore interprete dei segni divini) pubblico gli spettacoli sono religiosi e didattici, perché raccontano una tradizione orale che il popolo aveva bene in mente in quanto si tratta di racconti condivisi da tutte le classi; il pubblico è tutta la popolazione, anche gli schiavi lo spazio del pubblico è rigido: nelle prime file troviamo i sacerdoti, gli uomini politici, le famiglie aristocratiche (che finanziano gli spettacoli) e si arriva man mano agli schiavi e alle classi più inferiori, nei gradini più lontani la partecipazione del pubblico è diversa da quella di oggi, ma anche da quella dei la- tini ↦ il pubblico vede un attore lontanissimo che indossa una maschera (che non tra- smette mai le emozioni, le caratterizzazioni dei personaggi); non esiste immedesima- zione a partire dal teatro latino entra in gioco il coinvolgimento del pubblico nei confronti dell’attore ed è proprio in questo contesto che nasce il fenomeno del divismo gli attori iniziano a trasmettere carisma ed emozione attraverso la parola e il corpo, comunicando con il pubblico; in ambito latino gli attori sono famosi e hanno veri e propri seguaci, arricchendosi la cultura cristiana condannerà il teatro latino proprio per questo aspetto: è visto come un luogo di perversioni in quanto luogo di passioni in cui si mette in scena il corpo anche spesso nudo e in cui si suscitano emozioni; il teatro greco non è così criti- cato perché è visto come un teatro razionale in Grecia, essendo che gli attori sono massimo tre, non ci sono compagnie (nascono in ambito latino) e all’interno di uno stesso spettacolo un attore deve interpretare perso- naggi diversi struttura spettacolo le tragedie, soprattutto quelle classiche, sono costruite tutte allo stesso modo mentre la commedia è sempre composta da 5 atti ma è molto più flessibile; la tragedia ha una struttura rigida che ha sempre al suo centro il coro: - prologo ↦ introduzione dell’azione, spesso dal coro stesso, che appare subito in scena - stasimi ↦ momenti che precedono l’azione principale caratterizzati da danze, canti, accompagnamenti musicali del coro - azione nel suo svolgimento - esodo a livello di scenografia, sappiamo che la scena greca è molto nuda, senza particolari effetti speciali e con un elemento visivo piuttosto ridotto, soprattutto nella tragedia il tema principale è la morte, che però non appare mai in scena: tutto è riferito a voce, mai mostrato; questo avviene nella skené, che è una specie di sgabuzzino dell’attore in cui si cambia: la morte avviene qui nel teatro latino invece la morte si mostra ↦ combattimenti tra animali, tra uomini e tra animali e uomini che si uccidono tra loro con il tempo lo spazio scenico del teatro greco muta e muta anche lo spettacolo (es. uno spettacolo messo in scena in un teatro molto piccolo o molto ampio cambia le sue caratteristiche) una scena meno monumentale implica anche un rapporto diverso tra pubblico e at- tore, tra pubblico e spettacolo; anche il fatto che sia a cielo aperto influisce su ciò che si rappresenta, in che periodo dell’anno e come si verifica nel teatro romano un cambiamento che ha a che fare col ruolo dell’attore e il suo rapporto con il pubblico; la scena nel teatro romano non esiste (scena intesa come palcoscenico, non skené) costumi si va in scena con gli stessi abiti della vita quotidiana; il costume teatrale è l’elemento che identifica l’attore è fortemente connotato da spettacolo e spazio di scena e per essere studiato neces- sita di fonti soprattutto iconografiche gli attori tragici indossano il chitone (tunica abituale portata nella vita di tutti i giorni); e calzano i coturni (calzari che identificano l’attore tragico) i costumi sono scarni; tutto si gioca allora sulla maschera ↦ il costume non è decli- nato a seconda dei personaggi, che sono pochi e poco caratterizzati maschere l’attore porta una maschera così come il coro; nel teatro latino non è sempre così per- ché in mimi e pantomimi la si può posare, così come nei ludi circenses (combattimenti nell’arena) la maschera simboleggia il religioso, il sacro la maschera ha una base in cera coperta da un panno di lino che aderisce al calco, co- lorate; le maschere utilizzate nella commedia sono maschere brutte e deformi, con nasi importanti (idea del fallo) questo perché per i greci la bellezza è perfezione intesa come armonia e l'estetica è morale (bello è buono, brutto è cattivo), mentre la bruttezza viene canonizzata come deformità le maschere utilizzate nella tragedia invece presentano delle bocche spalancate ad in- dicare sensazioni come lo sgomento; qualsiasi maschera può essere usata indifferen- temente anche per personaggi diversi ci sono alcuni oggetti di scena ma pochi; c’è qualche simbolo che identifica la divinità tutto quello che c’è si gioca sulla skené; il fondale è spesso dipinto e rimane lo stesso per tutte le tragedie; per la commedia il paesaggio agreste forse c’erano i periaktoi (prismi girevoli posti ai lati dell’orchestra): su ogni lato è pro- posta la scenografia di un paesaggio diverso per dare un’idea di movimento e pae- saggio che cambia, per creare una sorta di tridimensionalità l’idea, secondo Aristotele, è che la narrazione debba essere logica; da qui ci sarà una sovrainterpretazione in ambito medievale e rinascimentale legata alle tre unità aristo- teliche ↦ tempo, luogo, azione, per cui l’azione deve svolgersi: - in 24 ore - nello stesso spazio - articolato secondo rapporti di causa-effetto teleologicamente orientati l’intrattenimento fine a se stesso viene eliminato; il Medioevo censura un portato che esisteva nell’antichità ma che non ci è arrivato le due macchine sceniche note (oltre ai periaktoi) sono entrambe al servizio della drammaturgia: gli effetti speciali sono fatti per spiegare un’azione, perché l’azione lo esige ekkyklema ↦ carrello utilizzato per mostrare agli spettatori che cosa avveniva all'in- terno di un edificio mechané ↦ sorta di gru attestata ampiamente nel I secolo, fa muovere i personaggi calandoli dall’alto al basso o viceversa con delle carrucole, spesso quando i perso- naggi mossi sono le divinità tutte le tragedie finiscono con l’arrivo in scena della divinità che risolve la situazione e ristabilisce l’ordine Aristotele accetta queste macchine appunto solo se servono per l’intrigo, ma le con- danna insieme all’epilogo con deus ex machina perché questi due elementi rischiano di sviare dalla drammaturgia e dall’organizzazione del discorso di solito la mechanè si trova nelle tragedie, dove vi sono più facilmente divinità che scendono per risolvere le questioni umane, eppure Aristofane propone un uso della mechanè anche nella sua commedia la commedia gioca sulla parodia, ossia il rovesciamento di temi, termini e stili tragici, suscitando il riso; se nella tragedia la mechanè è utilizzata per spostamenti di divinità dall'alto al basso, Aristofane la utilizza per spostamenti di un contadino dal basso all’alto tutto questo permette il coinvolgimento del pubblico, in quanto si fa leva sul fatto che le persone conoscono bene le tragedie, i miti e il loro svolgimento ↦ coinvolgimento spirituale e politico: aspetto che scompare in ambito latino, dove troviamo un intrat- tenimento basato non sulle parodie e su giochi di parole e interventi, bensì su un coin- volgimento passivo si tratta di ludi non scenici ma circensi, svolti nell’anfiteatro tragedia e lirica corale il ditirambo ci permette di aprire una questione sulla relazione tra tragedia e la lirica corale, ovvero tra gli studiosi di teatro e quelli di letteratura greca; sia nel caso della tragedia che del canto poetico o del ditirambo stesso, vi è una componente visiva e sonora legata alla musica, e una componente corale legata alla danza e al mito Aristotele parla di mimesi, genere privo di narrazione, poetico ma dialogico, carattere che quindi manca nella lirica corale; la differenza tra la tragedia e la lirica corale è sti- listica, riguarda la specificità della parola teatrale, che è quella dell’attore ↦ scena (dimensione spaziale assente nella poesia lirica) con un pubblico che guarda, una pa- rola concepita per rappresentare e non per comunicare altro elemento di distinzione è la modificazione delle parti, la presenza del coro che proferisce battute, parla, canta, recita; anche l'utilizzo dei miti è alquanto diverso tra lirica e tragedia: nella lirica è presente un committente, cosa che nel teatro non esiste, poiché ci si rivolge alla città ma non vengono mai nominati i signori che hanno sov- venzionato lo spettacolo temi sono di tipo mitologico, legati a varie vicende mitiche; tutta la tragedia è vista dal punto di vista degli sconfitti, come se fosse dedicata ai vinti Eschilo e Euripide Euripide utilizza un linguaggio nuovo capace di veicolare maggiormente i pensieri dei personaggi; nel periodo in cui opera Euripide qualcosa è cambiato più ampiamente a livello storico: si sta affacciando il periodo dell’ellenismo ci si allontana nella tragedia da uno stile aulico e molto formale le tragedie di Euripide vedono il misfatto come opera dell’essere umano (es Medea) e tutto si risolve tra umani; l’intervento divino è molto minore rispetto per esempio al Prometeo incatenato, in cui la vicenda è prettamente divina in Eschilo le divinità sono terribili e vediamo il tema del male inferto dalle divinità stesse; si pone il problema del male e degli dei che permettono il male anche a livello drammaturgico le opere di Euripide sono state definite un incrocio tra tragedia e commedia: l’epilogo non è sempre terribile e anche i toni lo sono meno; si sta andando verso una sorta di dramma intimo, non più una tragedia come in Eschilo il teatro è un prodotto culturale: ogni epoca e ogni luogo ha prodotto teatri diversi frammenti tragici si hanno pochi frammenti per quanto riguarda il periodo classico della tragedia greca, anche se è comunque di più rispetto al panorama latino, il cui genere tragico ci arriva solo nel nome di Seneca in ambito della commedia abbiamo un po’ di più (Plauto, Terenzio) in ambito romano, mentre non abbiamo praticamente nulla in ambito greco di Eschilo si hanno 6 tragedie integre su una produzione molto vasta legata a moltis- simi anni di agoni oltre ad avere pochi nomi di autori, di questi stessi autori si hanno pochi testi, tra cui: - persiani ↦ è la più antica - sette contro Tebe - supplici - Agamennone - Coefore - Eumenidi - Prometeo incatenato ↦ che è in realtà di dubbia attribuzione, la storiografia quasi certamente la attribuisce a Eschilo ma ci sono alcune parti che sono dub- bie di Sofocle (tragediografo che lavora molto sulla drammaturgia e inserisce il secondo attore, ha combattuto in varie battaglie ed è un po’ più giovane di Eschilo) si hanno 7 tragedie autentiche: - Aiace - Antigone - trachinie - Edipo re - Filottete - Elettra - Edipo a Colono di Euripide si hanno 17 tragedie dedicate a personaggi ambigui, tra cui: - Medea - Alcesti - Ippolito - Andromaca - Ecuba - supplici - eraclidi - Elettra - Ifigenia tra i tauri - Eracle - Troiane - Elena - Oreste - Ione - Fenice - Baccanti - Ifigenia in Aulide - Reso ↦ spuria; non si sa di chi sia - Ciclope ↦ unico dramma satiresco che abbiamo (incrocio tra commedia e tra- gedia, tragedia con lieto fine) frammenti comici se sulle origini della tragedia c’è incertezza perché abbiamo solo la voce di Aristotele, per quanto riguarda la commedia la situazione è ancora più oscura; ci si affida nuova- mente ad Aristotele, che non dice molto sulla commedia nel ricordare le origini evoca i cortei fallici di ambito agreste; è uno spettacolo che ha origini legate al villaggio agreste Aristotele dice che la commedia non ha avuto un riconoscimento serio fin dal principio ed è per questo che la sua storia è più incerta; fin da subito la commedia subisce una sorta di condanna e non viene riconosciuta se non più tardi le commedie non entrano nell’ambito del sacro, della danza e del ditirambo: solo tardi alla commedia viene concesso un coro di volontari del V secolo a.C. 11 abbiamo integre solo commedie integre in 5 atti solo di Aristo- fane; conosciamo pochi altri nomi collegati a nessuna opera o a pochissimi fram- menti; le commedie di Aristofane sono: - Acarnesi - Cavalieri - Nuvole - Vespe - Pace - Uccelli - Rane - Lisistrata che è l’unica commedia in cui si fa accenno alla possibilità di avere donne a teatro, tema delle donne che vorrebbero entrare a teatro e minacciamo i mariti perché vogliono entrare a teatro) - Pluto - Tesmocoriazuse - Accleazuse In queste opere si vede la presenza del coro, nonostante quanto affermi Aristotele; una struttura in 5 atti meno rigida rispetto alla tragedia; 20 membri del coro invece di 50; tema dell’agone all’interno dello spettacolo (scontro tra protagonista e antagonista); parabasi ovvero momento in cui il coro interviene e parla direttamente con il pubblico 3 – ESCHILO vita è considerabile il fondatore della tragedia è il più anziano rispetto a Sofocle e Euripide nasce vicino ad Atene intorno al 524 a.C., poco dopo la fondazione delle Grandi; è pro- babilmente di famiglia aristocratica ed è stato un soldato a Maratona e Salamina contro i Persiani è molto amato come autore e consegue varie vittorie agli agoni; è ben inserito nella polis ed è riconosciuto a livello artistico e politico nel 458 dopo un agone infelice avrebbe deciso di lasciare la Grecia trasferendosi a Si- racusa dove avrebbe allestito molte sue opere (sorta di esilio volontario perché non si sente più apprezzato a Atene) muore a Gela tra il 456-5; è una morte molto leggendaria: si racconta che sia morto a causa di un’aquila in volo che avrebbe lasciato cadere una tartaruga che avrebbe col- pito la sua testa scambiata per una roccia ad oggi risulta essere il tragediografo più lontano e difficile da capire e interpretare, a differenza del pubblico dell’epoca con cui era molto in sintonia tragedie il tema principale è la religione attraverso riflessioni si hanno circa 80 titoli testimoniati, di cui si conoscono 7 tragedie complete e parte di due drammi satireschi (Pescatori con rete e Spettatori); tre tragedie formano una tri- logia (l’idea della trilogia pare essere stata inventata da Eschilo stesso → tre tragedie legate da uno stesso tema e in ordine cronologico) scrive quattro opere singole e la trilogia Orestea: - Persiani ↦ prima tragedia di Eschilo e prima tragedia del teatro antico che è giunta completa fino a noi; questa tragedia è diversa perché tratta di attualità perché parte dalla guerra tra i persiani e gli ateniesi la vicenda storica in realtà è un pretesto per riflettere su questioni care ad Eschilo e alla tragedia greca; la storia è raccontata dal punto di vista dei vinti la collocazione spaziale è a Susa, in Persia; si parla dei vinti che apprendono da un messaggero e poi dal re Serse di essere stati sconfitti (si tratta del tema della dispera- zione dei vinti, i quali hanno perso perché hanno superato i limiti stabiliti dagli dei) I persiani hanno infatti attaccato per primi i greci perché si credono superiori - Sette contro Tebe ↦ si tratta della saga finale di Edipo e dello scontro fratricida tra i due figli di Edipo, che si conclude con la capitolazione di Tebe e l’uccisione reciproca dei due fratelli (la cui morte cancella la maledizione lanciata da Edipo contro la sua stessa stirpe) si vede un passaggio epocale dalla civiltà arcaica che si vede in queste prime tragedie a una giustizia che diventa civile nelle tragedie successive - Supplici ↦ si parla del matrimonio come istituzione civile, a partire dalle cin- quanta figlie del re Danao che insieme al padre cercano rifugio presso il re di Argo per sfuggire alle nozze promesse con i cugini, principi egiziani che le 50 ra- gazze si rifiutano probabilmente questa era la prima opera di una tetralogia andata perduta infatti il fi- nale è molto abbozzato; vi è solo il tema della supplica delle figlie che chiedono pro- tezione al re di Argo probabilmente ci doveva essere un finale a deus ex machina in cui interveniva Afrodite a convincere le ragazze, mostrando il matrimonio come elemento di garanzia dell’or- dine sociale; invece la tragedia rimane aperta - Prometeo incatenato ↦ 460 circa, ma la datazione non è chiara la storia è senza spazio e senza tempo ↦ si parla di una sfida tra il titano Prometeo (condannato da Zeus a restare inchiodato a una roccia per aver donato agli uomini il fuoco) e Zeus la scena è praticamente assente; vediamo il personaggio inchiodato a una roccia mentre Zeus cerca di punirlo ma anche di sottrargli un segreto (tema del potere) che potrebbe minacciare Zeus, ma questo segreto non si scopre perché Prometeo non parla e Zeus lo fa sprofondare negli abissi Eschilo a questo punto mette in scena dei personaggi che fanno visita a Prometeo e cercano di convincerlo a parlare; da questi dialoghi emerge una figura ambigua di Zeus, come di un tiranno (la presenza di questo segreto genera una sensazione molto moderna di suspence) la trilogia Orestea è l’unico esempio che abbiamo di trilogia legata; il tema riguarda il personaggio di Oreste e le tre tragedie in ordine di rappresentazione e cronologico sono: - Agamennone ↦ tragedia fondata sulla macchinazione ordita da parte della mo- glie Clitemnestra che vuole uccidere Agamennone che ritorna dalla guerra di Troia vittorioso ad Argo (città di cui è re) Clitemnestra vuole vendicare la morte della figlia Ifigenia, che il padre prima di partire in guerra aveva ucciso in cambio di venti favorevoli per la navigazione - Coefore ↦ è una tragedia-cuscinetto che costituisce l’insieme dei canti funebri in onore di Agamennone che è stato appunto ucciso anche se la sua morte non è stata inscenata a disperarsi della morte di Agamennone sono gli altri figli, Oreste e Elettra; la tragedia termina con l’uccisione di Clitemnestra da parte di Oreste, che vendica il padre (uccide anche l’amante di lei, Egisto) Oreste agisce per ordine di Apollo - Eumenidi ↦ Oreste è inseguito dalla follia delle Erinni (divinità della vendetta) che lo vogliono uccidere per vendicare Clitemnestra; Oreste però è protetto da Apollo va ad Atene per essere giudicato al tribunale per i reati di sangue (prima volta che compare l’idea di una giustizia degli uomini); è ispirato dal dio ma compare davanti al tribunale degli uomini ↦ compare anche Atena come simbolo di ragione e giustizia a proteggere il tribunale inizia il processo in cui Atena fa da mediatrice che si conclude come in parità ma poi Oreste viene assolto con l’intervento risolutivo di Atena, che giudica Oreste degno di lode per aver riscattato l’onore del padre; Atena convince anche le Erinni a diventare “eumenidi” (benevole) caso di deus ex machina per risolvere l'intrigo in modo ordinato il tema centrale delle tre tragedie è la maledizione alla violenza reciproca che grava sulla famiglia di Agamennone; la sua famiglia è maledetta e i suoi membri sono por- tati a farsi violenza a vicenda nei primi due drammi la società è arcaica e si basa sulla legge del taglione; il tribu- nale è presente nell’ultima tragedia, dove non si parla più del tema della vendetta, ma, appunto, di una giustizia con le sue ragioni nelle prime due tragedie il sangue riscatta il sangue; Clitemnestra uccide il marito e ne prende il posto come regina (tema anche politico) ↦ ad ogni tappa successiva il car- nefice si trasforma in vittima nell’ultima tragedia vediamo una dimensione totalmente nuova (le prime due opere sono ambientate nella residenza privata del re; nell’ultima lo sfondo è la città di Atene) temi affronta innanzitutto il tema del rapporto uomo-divino: il divino e il suo intervento nelle vicende umane ↦ questo rapporto è analizzato secondo una linea piuttosto ar- caica gli dei intervengono nelle vicende umane e determinano gli eventi i protagonisti sono eroi (a metà tra umani e dei) e dei; in particolare in Eschilo c’è la figura di Zeus in una visione quasi monoteistica che è il padre di dei e uomini e si pre- senta come una figura dominatrice soprattutto in ambito della giustizia (si presenta come terribile e forse lui stesso detentore di una colpa) Zeus è una figura ambigua; rappresenta l’ordine sociale e la pace, anche quando si manifesta tramite una punizione rigorosa e terribile, che ha sempre il fine di riportare la pace, che è la condizione necessaria a garantire la società la questione della giustizia è comunque molto ambigua, come sarà anche in Sofocle: talvolta un personaggio è posto di fronte a una scelta da compiere, apparentemente obbligata ma molto difficile; spesso queste situazioni sono risolte dal deus ex ma- china, che dice esattamente cosa bisogna fare ↦ rapporto tra necessità e libero arbi- trio le azioni compiute sono da un lato atti legittimi perché voluti dagli dei ma dall’altro si tratta spesso di azioni che violano delle leggi (es. Oreste è ispirato da Apollo a ucci- dere la madre, ma compie comunque un matricidio) i personaggi sono eroi egocentrici e ci sono rapporti ambigui con la divinità quelli di Eschilo sono tutti temi che si riprendono da Omero, in particolare il dilemma davanti a cui si trova l’eroe; questo aspetto è intrinseco alla tragedia stessa altro elemento che si ritrova anche in Iliade e Odissea è il doppio tra matrimonio (isti- tuzione razionale) e passione (figura esterna al matrimonio che rappresenta il vero amore del personaggio) nelle tragedie di Eschilo non c’è l’immedesimazione tra attore e personaggio e nem- meno tra pubblico e personaggi a livello psicologico; il pubblico però deve comunque vedere le scelte e i bivi davanti a cui sono posti i personaggi come plausibili, situazioni vicine alle vicende umane il pubblico deve partecipare alle sofferenze dei personaggi e riconoscervisi: l’identifi- cazione in questo senso è indispensabile per l’efficacia catartica Eschilo è stato anche maestro di effetti scenici; lui stesso è attore delle sue tragedie di cui scrive anche le musiche, insegna le parti a eventuali altri interpreti e si occupa dei costumi e delle maschere (è stato il primo ad adottare maschere più realistiche, per- sonalizzate ed espressive); è anche coreografo e scenografo nelle sue opere propone scene dominate da ansia e paura, i sentimenti che vuole su- scitare per via della funzione catartica (si vuole tenere il pubblico in costante ten- sione); ricorre a diversi espedienti per dilatare il tempo dell’attesa e rimandare il più possibile l’evento cruciale invenzioni ha inventato la skené che prima di lui era uno sgabuzzino e che con lui diventa lo sfondo dell’azione e il luogo per far uscire l’attore, anche con effetti speciali (prima l’attore era tra il coro o usciva dal tempio di Dioniso); ha anche introdotto il secondo attore queste invenzioni si possono vedere nel suo repertorio: nelle tragedie precedenti all’Orestea con la nascita del secondo attore nasce davvero il teatro; con la presenza della figura dell’antagonista ↦ seconda figura che si oppone al protagonista e permette la pre- senza di più pathos la figura dell’attore diventa più specifica ed esaltata e non fa più parte della massa indistinta del coro, la cui funzione diminuisce (prima l’unico attore era anche lo sce- neggiatore, ora c’è un’altra figura che fa solo l’attore) l’antagonista permette il dialogo con il protagonista, senza l’apporto del coro; la trama diventa così più movimentata la seconda figura genera intimità e permette un maggiore coinvolgimento del pub- blico, che ha un’ulteriore figura con cui identificarsi; il coro rimane comunque impor- tante in quanto introduce e struttura tutte le azioni con l’Orestea cambia tutto: qui Eschilo fa parlare il secondo attore e introduce il terzo attore (deuteragonista ↦ che sta tra protagonista e antagonista), che è stato inven- tato invece da Sofocle adotta lo schema a tre attori modellandolo a modo suo ↦ il coro rimane dominante e centrale (coro e attore + due personaggi secondari), mentre il Sofocle i tre attori hanno tutti ruolo principale il terzo attore è inserito in momenti drammatici, in Eschilo di solito sempre muto e sorta di comparsa; è solitamente posto fisicamente accanto a protagonista e antago- nista (come una sorta di ombra che li segue/una specie di accessorio scenico) 4 – SOFOCLE vita nasce a Colono, vicino ad Atene, nel 496 a.C. e muore a Colono nel 406 appartiene alla generazione successiva a quella di Eschilo; è di famiglia agiata, non nobile (il padre era un commerciante) e nella sua vita prende parte alla politica in modo attivo, ricoprendo diverse cariche anche nel suo caso c’è una morte leggendaria: si dice che sia morto per un acino d’uva andato di traverso la sua carriera è molto lunga e di successo e si sovrappone a quella di Eschilo e in parte a quella di Euripide (le ultime opere di Sofocle mostrano tracce euripidee: tra i due ci sono legami ed elementi comuni; anche come stile si colloca tra gli altri due) è il padre della drammaturgia perfetta, ovvero dell’intrigo perfetto: è maestro di scrit- tura e parola ma meno di scena usa poca macchineria teatrale e se lo fa è al servizio della drammaturgia; è il modello dello scrittore teatrale perfetto ↦ compostezza di stile, tono non esageratamente au- lico, raffinatezza dell’eloquio, equilibrio delle strutture compositive, intuito dramma- turgico nel risolvere gli intrighi (ricorre poco al deus ex machina) anche il rapporto tra i personaggi è più avanzato (inventa il terzo attore sfruttando così la possibilità di mettere in relazione in modo intimo i personaggi, che dialogano meno con il coro) a livello stilistico è meno aulico di Eschilo con meno neologismi e metafore; è più lim- pido e chiaro e il suo stile è più misterioso tragedie anche di Sofocle si conoscono molti titoli di opere che non sono giunte fino ad oggi: sono attestate più di 120 tragedie scritte, alcune fonti parlano di 160/170 si hanno 7 sue tragedie e frammenti di un dramma satiresco (I cercatori di tracce) - Aiace ↦ testo più antico; è uno degli esempi più forti di una tragedia dedicata a un individuo Aiace è uno dei conquistatori di Troia; la tragedia parla del suo suicidio: preferisce morire di propria mano che vivere una vita di disonore il tema centrale è la follia di Aiace generata da Atena, sua nemica. Aiace, accecato dalla follia, uccide un gregge di pecore che ha scambiato per Odisseo e i suoi, che lui odia perché gli avevano negato le armi di Achille (tema ricorrente dell’equivoco) si parla di un eroe disonorato che non può resistere al suo errore e diventa folle, dispe- rato e si uccide - Antigone ↦ tragedia che si fonda sul tema del dubbio, della scelta di Antigone, che deve seppellire il fratello, che si era messo contro la patria e il re Creonte, avendo mosso guerra alla città il fratello muore e il re emana un editto per cui egli non può essere sepolto (nel mondo greco la sepoltura è fondamentale e il disonore più alto è la negazione di questa se- poltura) Antigone si oppone perché vuole dare degna sepoltura al fratello anche se rivoltoso (bivio del valore personale e familiare oppure il seguire la legge della città); sfida l’au- torità del sovrano e viene imprigionata e condannata a morte per aver infranto la legge, si ucciderà piuttosto che cadere in mano del re odiato - Edipo re ↦ Tebe è devastata dalla pestilenza e il re Edipo conduce un’indagine per risolverla, cercando di capire cosa ha indotto gli dei a mandare tale pesti- lenza è stato Edipo stesso a commettere degli errori essendo stato vittima di un equivoco: scopre di aver inconsapevolmente ucciso Lao, il re di Tebe precedente, e suo figlio neonato, avendo mal interpretato l’Oracolo di Delfi; questo errore comporta la morte di Giocasta, regina di Tebe, che si impicca perché scopre di essere madre e moglie di Edipo, sempre a causa di un equivoco alla fine si trafigge gli occhi accecandosi (la psicanalisi parla di castrazione di Edipo per accecamento; la sua figura viene ripresa da Freud per parlare dell’impotenza ma- schile) - Elettra → Elettra è una figlia di Agamennone e Clitemnestra, che Eschilo nell’Orestea aveva messo da parte. Il tema è lo stesso di Coefore = si piange la morte di Agamennone, ma ora al centro c’è la figlia, disperata, che prova un odio verso il padre assassino e assassinato. Elettra insiste a portare il lutto e non riconosce Clitemnestra che diventa sovrana - Filottete ↦ si concentra di nuovo su un individuo - Edipo a Colono ↦ l’autore immagina Edipo vecchio e disperato dopo aver sco- perto ciò che ha fatto; è stato costretto a viaggiare finché arriva a Colono, dove incontra la morte e finalmente trova la pace temi in Sofocle troviamo ancora l’intervento degli dei, che in Euripide è molto minore; si concentra sul personaggio sono centrali le decisioni che gli individui devono prendere; questi individui sono molto rigidi e inflessibili, hanno un forte ego, un forte onore, che li pone di fronte a dissidi per cui le loro decisioni possono trasformarsi in minacce sono eroi coraggiosi, intelligenti e moralmente integerrimi ma al tempo stesso sono eroi straordinari e tracotanti: spesso tentano di superare i loro limiti a loro danno; hanno un atteggiamento di chiusura verso il mondo esterno, sono solitari e collerici e entrando in collisione il mondo che li circonda non c’è più il tema della stirpe ma neanche quello della storia e della guerra; ci sono personaggi nobili, protagonisti di saghe meno lontani di quelli proposti da Eschilo pro- prio perché vengono presentati nella loro UMANITÀ le divinità sono chiamate in causa solo per sottolineare i limiti dell’umanità, giustifi- care la presenza del male sulla terra rispetto a cui l’uomo non ha armi, mostrare la mutevolezza della sorte la visione del mondo è più pessimistica; gli uomini sono responsabili delle loro azioni e molto di ciò che accade non dipende da loro e va accettato per quanto riguarda la messinscena, l’impatto e lo spettacolo non Sofocle non è molto e appare rispetto agli altri due meno interessato alla dimensione spettacolare a differenza di Eschilo, ricorre raramente a momenti di effetto e colpi di scena; l’uso della scenografia dipinta e articolata pare essere stato inventato da lui l’ambientazione non è ad effetto e il tutto è legato alla partitura verbale ↦ lunghe de- scrizioni e didascalie che descrivono l’ambiente la morte è fuori dalla scena e non usa neanche il carrello che espone il cadavere; è de- scritta con le parole di un personaggio, spesso il terzo attore nei panni del servo che annuncia che il personaggio si è suicidato per la struttura della tragedia è molto diversificato: ci sono drammi a stazioni (singoli episodi interni alla tragedia strutturati come confronti serrati tra due individui) e ci sono poi trame più omogenee (come quelle della menzogna) Sofocle si dimostra capace di suscitare suspence e tenere vivo l’interesse dello spetta- tore, sfruttando l’espediente del rimandare la situazione centrale della vicenda i personaggi sono spesso costruiti intorno all’intrigo; mette in scena personaggi a specchio (si fronteggiano per opposizione o per uguaglianza); cura molto il meccani- smo di entrate e uscite del coro e rispetto a Eschilo mostra più attenzione nel definire i caratteri individuali (entra più nello specifico nei rapporti individuali dei personaggi) prende in prestito lo schema triangolare da cui parte qualsiasi storia (3 personaggi che dialogano tra loro); introdurre un terzo attore significa dare rilievo a una figura che non coincide né con il coro né con l’attore è il primo tragediografo a lasciare quasi subito il ruolo di attore occupandosi solo di comporre le opere l’introduzione del terzo attore permette la creazione di strutture più complesse a li- vello drammaturgico; la scrittura diventa più fluida e l’eroe acquista importanza an- che a livello tematico con tutte le sue caratteristiche e complessità le tragedie di Sofocle presentano meno scene di massa o con molte comparse (c’è maggiore intimità); il coro interviene un po’ meno ed è ridimensionato anche a livello quantitativo e aumenta il numero dei monologhi del singolo attore (i personaggi danno sfogo ai loro pensieri) 5 – EURIPIDE vita nasce nel 480 a.C. e muore lo stesso anno di Sofocle; i tre sono in qualche modo con- temporanei: quando Euripide nasce, Eschilo combatte a Salamina e Sofocle dirige il coro per le Grandi Dionisie dedicate alla vittoria (le loro carriere procedono in qualche modo parallelamente) nel 455 Euripide partecipa per la prima volta agli agoni tragici, circa 10 anni dopo il debutto di Sofocle ma la società è cambiata; Euripide vive in solitudine a differenza degli altri due e si separa anche dalla moglie non combatte in nessuna battaglia anche perché vive in un periodo di pace, molto di- verso a livello sociopolitico ed è estraneo alla vita politica e a quella religiosa della città (non ricopre nessuna carica) è il cosiddetto tragediografo-filosofo (si dice che fosse il primo ad Atene ad avere una biblioteca personale); però è l’autore più celebrato dopo la morte, nella sua vita vince solo tre volte agli agoni, una quarta volta postuma è visto dai contemporanei come paladino di nuovi valori contro la morale, contro la famiglia e la religione; le sue tragedie mettono in scena anche figure femminili prota- goniste che spesso compiono anche il male accanto a figure maschili ridicole Euripide è spesso messo in ridicolo e lo si accusa anche di plagio e di proporre trage- die non sue opere si hanno Ciclope dramma satiresco completo che parla dell’incontro tra Odisseo e Po- lifemo e circa 90 opere (pervenute 17 tragedie) le tragedie che hanno molti titoli di nomi femminili e hanno temi mitici (i personaggi sono eroine travagliate e l’ambientazione è quotidiana e di solito calata nella contem- poraneità di Euripide) sono: - Alcesti ↦ parla di una donna che si offre di morire al posto del marito e per que- sto suo sacrificio Eracle decide di riportarla in vita facendola uscire dall’Ade il finale non è triste ma lieto; infatti i toni delle tragedie di Euripide si smussano e più che tragedie sembrano drammi - Medea ↦ parla della vendetta di Medea contro Giasone che l’aveva abbando- nata per sposare la figlia del re di Corinto; lei uccide l’amante di Giasone e i loro figli - Elettra ↦ anche lui non si concentra su Agamennone come Eschilo ma sui figli Oreste ed Elettra come Sofocle; la dimensione è più quotidiana, Elettra e Oreste sembrano meno eroi ma più vittime fragili - Oreste le tragedie più legate alle figure divine, che hanno un atteggiamento ostile e cinico verso l’uomo sono: - Ippolito ↦ Afrodite si vendica contro Ippolito che non la venera e ispira la matri- gna Fedra a una insana passione per il giovane (poi reciproca) che porta en- trambi alla morte a causa appunto di un capriccio di Afrodite - Baccanti ↦ postuma; Dioniso decide di rovinare la città di Tebe punendo sovrani e cittadini perché la città non lo onora abbastanza le tragedie in cui si parla di guerra per la prima volta descritta dal punto di vista fem- minile (guerra vista come una serie infinita di distruzioni senza senso ↦ conseguenza: tema del lutto ovvero donne a cui muoiono figli, fratelli, sorelle, mariti) sono: - Troiane ↦ parla della disperazione di chi resta, di chi ha perso tutto ma anche delle prigioniere dei greci - Andromaca - Elena ↦ vista per la prima volta come la vera vittima che ha portato alla guerra ma non per colpa sua Euripide a partire da fonti mitiche minori immagina che siano esistite due Elena, una vera che resta in Egitto per tutta la guerra di Troia, mentre il suo fantasma sarebbe fuggito con Paride; quando il conflitto si conclude Menelao arriva in Egitto e trova la vera Elena, che non lo vuole più e mette in atto delle strategie per sottrarsi al marito alla fine dovrà però partire con lui - Ifigenia in Tauride ↦ parla di un progetto di fuga con l’idea del viaggio: Oreste desidera liberare Ifigenia e vediamo di nuovo il tema del doppio e del riconosci- mento, di una identità da svelare - Ione ↦ storia di una violenza che Apollo infligge a una ragazza; c’è una nascita segreta e un riconoscimento finale di un bambino divino cresciuto dagli uomini (tema dello scambio e della gravidanza nascosta) - Ifigenia in Aulide stile la società sta cambiando ma non è ancora pronta ad accogliere queste nuove pro- spettive mostrate da Euripide usa un linguaggio più semplice e limpido, a differenza di Eschilo che usa neologismi e termini legati all’ambito religioso; a livello sintattico e lessicale è molto più semplice, usa anche parole di uso quotidiano (viene meno l’idea della parola ornata) i brani cantati erano riservati al coro; ora sono attribuiti ai personaggi ↦ l’attore è an- che cantante; in particolare le donne cantano a esprimere momenti di introspezione o disperazione usa varianti degli effetti creati da Eschilo, come quello delle grida che vengono dalla skené influenza dell’epoca sull’opera Euripide si avvicina alla tragicommedia o comunque a una commedia media non troppo satiresca e più sottile ovvero la Commedia Nuova vive in un periodo in cui Atene non è più al centro; c’è una guerra sola ma molto logo- rante, quella con Sparta che dura 30 anni e vede sconfitta Atene sta per iniziare il periodo dell’oligarchia e intanto ad Atene si sta diffondendo un’epi- demia; è un momento culturale di mancanza di fiducia verso l’umanità, con la decen- tralizzazione culturale e politica di Atene - personaggi ↦ rispecchiano la situazione che c’è ad Atene o privati di fermezza e eccezionalità o paiono apatici e incapaci di provare sentimenti, meno eroici, tormentati da dubbi o risultano molto più complessi (on rappresentano necessariamente il bene o il male) - rapporto tra uomini e dei ↦ venendo meno i valori, anche la religione è messo in discussione o ci sono polemiche legate ai sofisti e alle filosofie che iniziano a mettere in dubbio l’esistenza degli dei o comunque a dare spiegazioni più logiche delle cose della natura o le divinità appaiono capricciose, dispotiche e invidiose, responsabili di azioni distruttive ma insensate - trasformazioni formali ↦ il coro ha sempre meno rilevanza; si introduce un pro- logo (racconto degli antefatti) elaborato e molto lungo usato quasi sempre da Euripide e spesso non pronunciato dal coro ma da un personaggio che fa un mo- nologo o questo testimonia: ▪ il bisogno di spiegare e chiarire le trame, che sono molto più com- plesse ▪ il cambiamento del rapporto con il pubblico (non ci sono più ateniesi che condividono gli stessi valori e la stessa cornice culturale e reli- giosa, ma il pubblico è più eterogeneo composto da molti stranieri che si sono integrati nella società) anche l’esodo acquista sempre più spazio: la maggior parte delle tragedie termina con il deus ex machina proprio per la complessità degli intrighi, anche molto parados- sali deus ex machina ↦ evento o personaggio che nel corso di una rappresentazione ne ri- solve inaspettatamente gli intrecci; persona o evento che inaspettatamente risolve una situazione difficile c’è una spettacolarità che non risponde all’intrigo ma alla visione catturando il pub- blico; Euripide tilizza ampiamente tutto lo spazio scenico e disattende le aspettative del pubblico, usa la mechané nel modo più ampio possibile - recitazione ↦ vista la maggiore attenzione psicologica ai personaggi si capisce che Euripide va verso una caratterizzazione più realistica con un’espressività più marcata e una gestualità meno composta le sue maschere sono più dettagliate e vicine all’umanità, al quotidiano; ci sono molti monologhi, infatti l’attore ha più importanza e si dedica anche a parti cantate ci sono anche molte didascalie nei suoi testi ↦ spiega e dà molte indicazioni sulla scena e sull’attore, infatti: - è attento alla messinscena: non pensa solo al testo ma compone pensando alla rappresentazione - non è lui stesso a interpretare l’opera come attore: ciò che scrive andrà rappre- sentato da altri quindi ha bisogno di dialogare con gli attori (da qui la necessità di moltiplicare le notazioni registiche nel testo) commedia greca il genere di cui si hanno meno attestazioni la commedia si distingue in: - Antica ↦ si ha solo Aristofane di cui si hanno 11 commedie integre - di mezzo ↦ si hanno solo pochi frammenti (70 anni di vuoto) - nuova → si ha solo Menandro la commedia di Aristofane è satirica (che suscita una risata grassa con battute imme- diate su personaggi noti e specifici in cui si possono criticare pubblicamente uomini politici e dell’ambito dello spettacolo e della cultura); il coro ha un ruolo fondamentale Menandro è molto diverso stilisticamente: la società è cambiata e si sta andando verso il periodo dell’ellenismo per cui la commedia risente del cambiamento dei valori e ha un carattere meno di invettiva e satira, meno legato ai fatti dell’attualità le opere sono meno farsesche e più delicate, vicine ai drammi; i personaggi sono com- plessi e anche le trame il teatro si preoccupa di altri temi, si ritira nell’introspezione e nelle faccende più do- mestiche rifiutando lo sguardo politico a livello stilistico anche qui c’è una ritirata del coro con più spazio dato ai singoli per- sonaggi; il coro ha un ruolo meno attivo (di promuovere un’azione) ma svolge inter- mezzi musicali e danze, momenti digressivi a ornamento dell’azione 6 - ARISTOFANE Aristofane Vive nel V secolo; da lui ricaviamo che le origini sono oscure e si tratta di un genere appunto meno fisso, ci sono elementi costanti: - presenza del coro, più piccolo rispetto a quello tragico (sui 20 componenti) e sua centralità - struttura che vede una disputa (un agone) tra due personaggi - parabasi ↦ momento culmine dell’azione comica in cui interviene il coro e l’au- tore parla direttamente con il pubblico richiamandolo alla vittoria con l’invettiva aperta contro i rivali - toni volgari e riferimenti al corpo e a ciò che suscita il riso immediato - rapporto profondo con la politica contemporanea verso cui si fa satira; si pren- dono chiare e forti posizioni politiche e filosofiche - attacchi personali con invenzioni verbali e onomatopee che suscitano il riso, pa- role violente e volgari + ipertestualità: la commedia interroga il pubblico - travestimento e equivoco 7- TEATRO LATINO la diminuzione del coro costante porta man mano al suo dissolvimento, nel teatro la- tino c’è una situazione bipartita ↦ lo spazio greco è semicircolare e diviso in cavea, orchestra e skené (pubblico, coro, attore); nel teatro latino ci sono solo cavea e skené, nella stessa forma a conchiglia è un processo lento e progressivo in cui lo spazio dell’orchestra va a ridursi man mano come tutta la cultura latina, anche il teatro deriva da quello greco, in tutte le sue forme la skené è una struttura di 2 metri e mezzo di altezza ed è una struttura monumentale (il teatro non è più nella natura ma è una struttura autonoma e non ci sono più le aperture laterali perché non c’è più il coro) la differenza nell’edificio scenico comporta un diverso repertorio, un diverso rapporto col pubblico e diverse tipologie sceniche il rapporto tra attore e pubblico è più intimo ed emotivo; sulla scena latina si rappre- senteranno opere più di gesto per cui la visione è più importante del passaggio didat- tico e spirituale nel teatro latino il genere di punta è la commedia lo storico Tito Livio identifica la nascita della letteratura latina nella data convenzio- nale del 240 a.C., quando il greco Livio Andronico mette in scena, probabilmente una tragedia in forma molto dialogata e perciò diversa c’è una cultura italica particolare a livello teatrale con cui i Romani devono fare i conti, oltre a quella greca: si tratta soprattutto di farsa, spettacoli improvvisati ed effimeri di cui non abbiamo alcuna attestazione; sono forme comiche come: - fescennini ↦ rapidi scambi di poche battute basati sull’invettiva aggressiva contro persone in vista - atellane ↦ considerate commedie i Romani hanno prevalso sulle altre popolazioni con difficoltà soprattutto con gli etru- schi; hanno la necessità di tenere il teatro al di fuori delle questioni politiche per paura che si insediasse un tiranno a Roma l’attore è uno schiavo, la persona più infima della società e la cui vita non conta (può essere bottino di guerra, comprato, venduto e ucciso in qualunque mo- mento); gli schiavi non sono cittadini romani a meno che non siano liberti il momento del teatro non è concepito come un momento in cui la collettività si riuni- sce e riconosce attraverso momenti di riflessione; si tratta invece di intrattenimento, infatti in latino si parla di ludi (giochi) il teatro è un insieme di giochi collocati nei momenti di pausa dall’attività politica e militare, l’intento è accontentare il popolo il teatro consiste in una competizione tra: - ludi scenici ↦ teatro vero e proprio (tragedie e commedie delineate in età re- pubblicana quando il teatro ancora non conta nulla e non esiste nemmeno come edificio architettonico) - ludi circenses ↦ fulcro del teatro romano; insieme di fenomeni spettacolari ampi e di varia natura (mimi, pantomimi, gare sportive, circo, corse di cavalli) il circo è inteso come Circo Massimo (pista ellittica su cui corrono i cavalli); nel circo si verificano lotte tra uomini e gladiatori, sia con la spada (gladio) sia a mani nude (sono giochi che terminano con la morte) i ludi circenses avvengono in uno spazio nuovo inventato dai Romani che pensano ap- punto alla struttura del Circo Massimo adibita alle corse equestri rivisitandola e fa- cendone uno spazio in cui si possono realizzare tanti altri tipi di spettacoli es panto- mimo la struttura presenta cunicoli adibiti agli animali e agli uomini che attendono di en- trare in scena, c’è anche tutta la macchineria scenica se i Greci si astengono dal rappresentare la morte, essa è ricercata dai Romani in quanto la morte in scena piace in età repubblicana esistono quattro tipi di opere drammaturgiche, due riconducibili alla tragedia e due alla commedia: - fabula praetexta ↦ tragedia di ambientazione romana (non abbiamo nulla, dal nome della toga bordata di porpora indossata in occasioni rituali dai magistrati romani) - fabula cothurnata ↦ tragedia di ambientazione greca (“coturni” = calzari alti dei tragici greci) - fabula togata ↦ commedia di ambientazione romana (non abbiamo nulla; da “toga” indossata dai consoli) - fabula palliata ↦ commedia di ambientazione greca (da “pallium” = mantello greco) mimo e pantomimo insieme a tragedia e commedia di impronta greca abbiamo mimo e pantomimo che sono propri dei romani e stanno a metà tra ludi scenici e circenses (si tratta di sce- nette comiche di una comicità fortemente gestuale senza battute); sono trame incen- trate sulla figura del Maccus e ciò che le caratterizza è l'assenza della maschera per- ché l'attore deve servirsi anche delle espressioni facciali nel mimo le donne fanno per la prima volta il loro ingresso in scena a differenza del teatro greco in cui vi sono attori solo maschili (le donne nel teatro latino si presentano nude o seminude) la donna attrice ha il ruolo di meretrix, ovvero prostituta; c’è il concetto per cui se la donna va in scena va per il proprio corpo (accusa di mercificazione del corpo dalla cultura cristiana che ritiene che il corpo sia un dono di Dio e che farne merce sia pec- cato) il pantomimo è simile al mimo ma l'azione è accompagnata da musica e danza perciò è un genere misto di danza e teatro insieme la danza comincia a essere una prerogativa prettamente femminile ma sempre legata alla sensualità (qui la maschera viene utilizzata a mezzo volto, solo la parte superiore del viso) per quanto riguarda mimo e pantomimo: - c'è molta attenzione all'elemento spettacolare si dà spazio alla vista e allo sfarzo scenico per sopperire alla mancanza di dialogo - le trame sono minime ed è tutta visione - l'attore di norma è uno solo e per questo è molto versatile (attore ma anche danzatore e acrobata) 8 - PLAUTO vita Tito Maccio Plauto è uno dei maggiori autori latini di commedie palliate; nel genere della commedia è colui che sicuramente primeggia sull'Appennino romagnolo in Romagna forse tra il 255-250 a. C; il suo nome testimonia le sue origini poco nobili ha avuto una grande fortuna scenica in vita nonostante le sue commedie non siano mai state rappresentate in teatro ma sempre in luoghi; di lui si hanno almeno 21 com- medie conservate subito dopo la sua morte caratteristiche i temi ricorrenti sono: - l’avaro - l’amore di giovani ostacolato dai vecchi - equivoco identitario poi risolto - il doppio (gemelli scambiati alla nascita che dopo varie vicissitudini si ritrovano) - servus callidus (servo giovane e furbo che risolve le trame; è il risolutore che aiuta i giovani amanti) - giovane generazione che si vuole affermare a discapito della vecchia i personaggi sono piatti e poco approfonditi sempre funzionali alle azioni (sono tipi fissi) l'attore si presenta in scena senza maschera e così facendo è in grado di caratterizzare maggiormente il personaggio (rapporto più intimo e profondo tra attore e personag- gio) l'ambientazione è greca così come personaggi e divinità ma con una maggiore vena comica introdotta da Plauto che porta lo spettatore a un riso più forte e più sincero il lessico è ricco di neologismi simile a quello di Aristofane e proprio come lui Plauto si fa paladino dei valori della società romana e repubblicana 9 - TERENZIO vita Publio Terenzio Afro è l'altro grande protagonista della commedia latina, anch'egli au- tore di fabula palliata nel 184 a. C. muore Plauto e nasce Terenzio; è uno schiavo africano nato a Cartagine che è liberato da chi lo adotta, Terenzio Lucano, il quale adottandolo gli dà il proprio nome, da questo momento Terenzio acquista dignità e cittadinanza romana diventa anche un grande erudito ed entra a far parte di un'élite culturale molto alta, il Circolo degli Scipioni il suo repertorio ci è in parte sconosciuto; si possiedono di sicuro 6 commedie compo- ste e messe in scena non in un teatro ma in luoghi improvvisati caratteristiche una delle commedie che si possiedono è l’Andria in cui Terenzio è il primo a difendersi dall'accusa di plagio e contaminatio, dicendo chiaramente che ha ripreso una comme- dia di Menandro ma l'ha contaminata unendola ad altre opere sempre di Menandro, sottolineando che ha poi arricchito l'opera con istanze nuove, tutte latine le commedie di Terenzio sono più vicine ai drammi e alla commedia rinascimentale, più riflessive, con personaggi molto più studiati e profondi, non prettamente comici le vicende entrano più nella quotidianità e vi è meno la presenza di divinità la sua commedia è legata alla parola e meno al gesto e la sua scrittura è più alta ri- spetto a quella di Plauto; si fa portatore di valori più nuovi e rivoluzionari, soprattutto legati all’educazione dei giovani con lui viene dato maggior spazio alle donne e ai giovani, che riescono a superare i padri e ad essere educati in maniera più libera, con leggi meno dure, senza severe pu- nizioni spesso corporali 10 - SENECA è l'unico autore di tragedie romane che ci è pervenuto le sue tragedie hanno una natura molto drammaturgica e quasi certamente non sono mai andate in scena ma sono state solo lette è quindi l'autore meno tragediografo di tutti ma è l'unico giunto fino a noi; con Seneca siamo in età imperiale perciò il suo teatro non interessa → il pubblico imperiale di Roma non è interessato a questo genere vita Lucio Anneo Seneca nasce a Cordoba (Spagna) nel 4 a. C. da una famiglia ricca di rango equestre si appassiona di filosofia e converge nelle dottrine stoiche (stoicismo ↦ filosofia che mette al centro l'individuo nel suo aspetto morale focalizzandosi sull’obbligo, il do- vere, il migliorarsi) oltre che filosofo Seneca è anche politico; vive un periodo in Corsica perché condan- nato da Caligola ed è poi Claudio che commuta la pena di morte in esilio, viene richia- mato a Roma da Agrippina che diventa imperatrice e affida a Seneca il ruolo di pre- cettore ed educatore del figlio Nerone il quale sale al trono nel 54 Nerone esige di essere lui alla guida di Roma e assume dei comportamenti sempre più dispotici anche nei confronti del suo maestro Seneca allora decide di allontanarsi per- ché non condivide affatto la visione di Nerone inizialmente si ritira a vita privata in segno di disprezzo e distacco dalla politica di Nerone, occupandosi della scrittura di tragedie fino al 65 d. C. quando viene coinvolto in una congiura della quale probabilmente non ha mai fatto parte; per questo Nerone lo condanna a morte ma prima di morire per le mani dell'imperatore lui si suicida caratteristiche si hanno 10 tragedie di Seneca (una di dubbia paternità), composte secondo molti nel periodo di esilio in Corsica secondo altri invece al periodo di distacco da Nerone i titoli testimoniano il legame con la Grecia (Medea, le Troiane, Edipo, Agamennone...) il modello di Seneca è Euripide perciò i suoi personaggi sono molto ambigui, con luci e ombre, violenti, criminali che praticano la vendetta e spesso uccidono; sono dominati dal furor (tema centrale) ossia l'accecamento della mente (per i greci invece erano do- minati dall’hybris ovvero dalle passioni che spesso portano al suicidio) stile molto marcato, i toni sono calcati e le scelte linguistiche sono curate e formali perché queste tragedie più che inserirsi nell'ambito teatrale si inseriscono nella retorica; sono state scritte per essere recitare nell’ambito dell'esercizio retorico e mnemonico questo avviene perché non esiste più la rappresentazione di tragedie a Roma; infatti non c’è nemmeno la maschera temi sono quelli attici ma cambiano le prospettive: - furor ↦ tema centrale - destino ma irrazionale - divinità non tutelari ma fosche, che intralciano e complicano i disegni umani op- pure che ne sono indifferenti - protagonisti in balia di vizio e caos in contrapposizione al logos degli stoici - logos che spesso non riesce ad affermarsi sul caos ↦ i finali non sono lieti il teatro di Seneca è il teatro delle passioni; i miti sono ripresi ma non approfonditi perciò il pubblico è ristretto e colto, è un pubblico che conosce perfettamente i miti e soprattutto le fonti greche i protagonisti delle tragedie e dei miti greci si trasformano diventano individui e non sono più eroi, sono fuori dal comune perché dominati dalle passioni devastanti - in Medea c'è la sete di vendetta nei confronti di Giasone perciò è presentata come colei che è cieca per vendetta - Fedra è abitata da un amore impossibile - Tieste è accecato dall'odio nei confronti del fratello Atreo - Edipo infierisce su sé stesso accecandosi perché rabbioso avendo mal interpre- tato l’Oracolo tutte le sue tragedie hanno la stessa struttura: il protagonista è accecato dal furor ed è generalmente in una condizione di solitudine; in una seconda parte della tragedia si delinea un personaggio amico di solito di rango inferiore che tenta di convincere il protagonista a cambiare prospettiva e a lasciar perdere un progetto di morte e vendetta l'individuo vacilla ma alla fine l'amico rinuncia nel suo intento e diventa complice del protagonista; nell’epilogo caratterizzato da molto pathos si compie il destino tragico sono quindi trame senza speranza che segnano la vittoria del male sul bene 11 – PROMETEO INCATENATO il Prometeo incatenato parla della figura di Prometeo, eroe che ha rubato il fuoco per darlo agli uomini ed è detentore di un segreto che nessun altro conosce che non vuole dire e che Zeus vuole conoscere in quanto è qualcosa che potrebbe danneggiarlo e far vacillare il suo potere il potere di Zeus è quindi fragile in quanto è stato costruito attraverso dominio e ter- rore; Zeus teme la congiura questo segreto non verrà rivelato e Prometeo sarà risucchiato dalla terra (luogo in cui si riteneva si trovasse il fuoco); i vari personaggi che vanno in visita a Prometeo cer- cano di convincerlo a rivelare il segreto (come Oceano che compare su un carro vo- lante e cerca di convincerlo a placare la situazione, o le Oceanine figlie di Oceano che costituiscono il coro) successivamente si presenterà la figura di Io (amante di Zeus trasformata in giovenca- vacca da Era); si presenta poi anche Ermes mandato da Zeus per estorcere a Prome- teo il segreto tutti questi incontri hanno uno scopo drammaturgico (di trama) ma anche scenico (per creare azione) si tratta di una tragedia poco indicativa rispetto al genere, ma è la tragedia di Eschilo più ripresa nelle epoche successive Prometeo è l’eroe che supera i limiti per l’umanità donandogli il fuoco, metafora dell’intelligenza ↦ il fuoco è il sapere consegnato nelle mani dell’uomo; l’altro grande tema dell’opera è il potere e il tiranno rappresentato dalla figura di Zeus Prometeo sfida Zeus perché è disposto a rivelare il segreto solo se liberato: Zeus deve pagare un prezzo se vuole conoscere il presagio ↦ il nome di Prometeo significa pro- prio colui che fa presagi il Prometeo incatenato è il testo più ambiguo di Eschilo: - non è di chiara attribuzione: lo stile coincide con il suo ma la rappresentazione di Zeus risulta insolita ↦ è un personaggio ambiguo, una sorta di tiranno che amministra il suo potere in modo scorretto e il cui potere sta per essere usurpato per qualcosa che non si conosce - il finale è sospeso: è probabile che questa fosse la prima tragedia una trilogia non prevenuta al termine della quale si sarebbe giunti a una ricomposizione dell’ordine; di questa trilogia si hanno poche informazioni: o Prometeo incatenato sarebbe la prima trilogia; all’inizio Prometeo dà al- cuni riferimenti anticipando probabilmente la tragedia successiva o Prometeo liberato: Zeus scopre il segreto di Prometeo che viene poi libe- rato da Eracle arciere (opera giunta ad oggi in pochi frammenti) o Prometeo portatore di fuoco: (si hanno ancora meno frammenti) per alcuni questa sarebbe la prima tragedia in quanto si parla delle vicende prece- denti alla condanna di Prometeo, che ne spiegano la colpa si tratterebbe in realtà non di un semplice racconto degli antefatti (che viene fatto in- vece all’inizio del Prometeo incatenato) ma di una fase conclusiva e riflessiva che af- fermi l’atto di amore di Prometeo verso l’umanità l’ambientazione è unica per una tragedia, quasi di disagio per una messinscena in quanto siamo nel nulla, ai confini della terra (luogo quasi mitico in cui cielo e terra si incontrano nel nulla in un luogo isolato e deserto) trama il testo si apre in modo anomalo: non parla subito il coro che invece interviene più tardi ma Dominio uno degli scagnozzi di Zeus; l’altro scagnozzo di Zeus è Terrore (hanno nomi negativi, che rimandano al prevalere sugli altri) appare poi Efesto che mette i chiodi a mani e piedi di Prometeo che è legato a un ma- cigno; descrive la posizione di Prometeo inchiodato, immobile davanti al coro di Oceanine Prometeo si prende la responsabilità di aver donato il fuoco agli uomini; la sua persona è uno sfregio a quella di Zeus anche perché tiene un segreto che lo può danneggiare man mano vengono evocati gli elementi come Terra e Oceano (che poi compare come divinità e invita Prometeo alla calma e ad andare incontro a Zeus per liberarsi) il coro esorta Prometeo a rivelare il segreto e avvia la tragedia chiedendogli quale sia la sua colpa; Prometeo racconta del suo amore per l’uomo, si è inoltre sostituito a Zeus liberando l’umanità dall’oscurità seminando speranza e conoscenza 12 - TIESTE siamo nell’ambito della fabula cothurnata = temi e ambientazioni di ambito greco, miti greci rivisitati un Tieste è stato composto sia da Socrate sia da Euripide ma non si hanno questi testi si pensa che Seneca abbia scritto la tragedia per Nerone per mostrargli i rischi del ti- ranno e quindi con intento pedagogico; il tema è quello delle colpe dei padri che por- tano i figli c’è un prologo molto chiaro in cui appare il personaggio di Tantalo: egli è il figlio di Giove e nonno dei due protagonisti Atreo e Tieste che si odiano Tantalo si presenta accompagnato da una Furia; è un’ombra condannato a vagare perché si è macchiato di una grave colpa e compare in scena già inorridito da ciò che verrà messo in scena ci sono più ipotesi riguardo alla colpa di Tantalo: - condannato alla sete eterna (eterno desiderio) per aver rubato l’ambrosia (il nettare degli dei) - condannato per aver fatto a pezzi il figlio Pelope e averlo dato in pasto agli dei, che hanno poi ricomposto il corpo restituendogli la vita Pelope si è poi reso colpevole di aver ucciso il futuro suocero in una gara per sposare la figlia; da lui nascono Atreo e Tieste trama Atreo odia il fratello Tieste per avergli usurpato la moglie e il trono, Tieste dispiaciuto si allontana da Argo rinunciando al trono e conducendo una vita senza ricchezze; Atreo lo invita a palazzo con i figli col pretesto di ricongiungersi ma vuole in realtà vendicarsi, uccide i figli di Tieste (qui Seneca si dilunga molto nel descrivere la tortura corporea) e poi dà in pasto a Tieste i suoi figli facendogli anche bere il loro sangue, Tieste se ne accorge e la tragedia si conclude con lui che lancia una maledizione al fratello di vendetta per lui e i suoi figli il finale della tragedia resta aperto al male Seneca porta avanti una tragedia di morte che si conclude con la morte senza risol- vere la questione con una riconciliazione o una ricomposizione dell’equilibrio; Atreo è preso dal furor e c’è un suo servo che tenta di farlo ragionare sull’inutilità di questa vendetta ma Atreo non lo ascolta la morte dei figli di Tieste non viene mostrata ma raccontata dal messaggero e mentre lui parla il sole e tutti gli astri invertono il loro corso il messaggero fa riferimento a elementi scenici che restituiscono l’atto avvenuto fuori dalla scena 13 - INTRODUZIONE TEATRO MEDIEVALE E RINASCIMENTALE “Medioevo” è un termine molto ampio nello spazio e nel tempo; il termine si può uti- lizzare in relazione al mondo occidentale per indicare un periodo che va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476) alla scoperta dell’America riguarda tutta l’Europa e per quanto riguarda il teatro ha una durata diversa a se- conda dei paesi ↦ in Italia finisce molto presto per l’avvento dell’Umanesimo dove il Medioevo teatrale si estende fino al ‘600 ci sono fenomeni spettacolari legati al tardo-Medioevo/Rinascimento come quello della Commedia dell’Arte che vengono esportati con successo nel Rinascimento si vede il fiorire di un’architettura teatrale molto importante; il Me- dioevo, al contrario abolisce lo spazio scenico tradizionale del teatro, per poi intro- durne uno totalmente nuovo, abolisce l’architettura del teatro che appare come una regressione viene abolito il teatro come istituzione ma non del tutto come pratica e il Rinasci- mento insiste su quest’ultimo a partire dalla riscoperta di Vitruvio (De Architectura) e l’invenzione della prospettiva (nuovo modo di guardare lo spazio ↦ lo spazio scenico modella gli spettacoli e viceversa) Medioevo il Medioevo inizia con il disgregarsi della cultura romana; la causa principale è la pre- senza della comunità cristiana che diventa sempre più presente a Roma con l’arrivo degli schiavi il cristianesimo diventa anche religione di Stato; l’Impero Romano è un impero misto che vede l’affermarsi sempre maggiore di questa religione i Padri della Chiesa assistono agli spettacoli latini e li criticano ↦ forte condanna (i ludi scaenici vengono anche accettati ma i ludi circenses, principalmente visti sono condannati perché più crudi) i cristiani non condannano il teatro in quanto luogo di peccato e esposizione dei corpi: questo è ciò che dicono ma in realtà c’è dietro un desiderio di eliminare il teatro clas- sico per una questione di potere politico ↦ i cristiani vogliono eliminare il culto pa- gano, di cui il teatro è emblema in quanto intrattenimento di massa la Commedia dell’Arte che si sviluppa a partire dalla seconda metà del ‘500, si svi- luppa a partire dal folklore e dai riti spesso pagani, legati all’agricoltura, al ciclo della terra... lo si vede nella figura di Arlecchino (radice del nome celtica che significa “diavolo”) anche l’istituzione del calendario è un modo usato dalla Chiesa per imporre la sua vi- sione e il suo potere; c’è un tentativo di gestire e organizzare la vita delle persone in modo profondo e per questo si elimineranno i luoghi del teatro, rasi al suolo o utiliz- zandone le pietre per costruire delle chiese (lo stesso Colosseo diventa un luogo di mercato) il cristianesimo si espande in tutta Europa; col passare del tempo i cristiani capiscono che possono usare il teatro come loro mezzo di propaganda modalità teatrali nel Medioevo la tragedia non si fa più e in generale tutto è ridimensionato; non si fa più teatro (la prima forma di teatralità avviene dentro una chiesa, all’interno di un rito religioso, nel X secolo = drammi liturgici, parte della messa) on si parla di teatro ma di teatralità perché non esiste più l’istituzione, non esiste più la pratica: ci sono solo alcune riscritture di tragedie/commedie nella tarda antichità restano mimi e pantomimi che interesseranno la tradizione giul- laresca ma i testi tragici vengono principalmente persi; di epoca latina si salva solo Seneca le cui tragedie si iniziano a considerare solo quando la filologia inizia a inte- ressarsi a una riscoperta non c’è più un pubblico del teatro, perché il pubblico sono i fedeli; il materiale usato sono le Scritture che non sono materiale propriamente teatrale e gli attori non esistono ma si tratta di sacerdoti (le persone non sanno cosa sia il teatro e non c’è più la pra- tica teatrale quotidiana che c’era a Roma) Dante intitola la sua opera Commedia nonostante non ci sia in questo periodo la per- cezione di teatro ↦ il nome deriva dall’idea che la commedia è una storia a lieto fine e la tragedia è una storia che finisce male tutta la percezione di teatro è cambiata; al tempo di Dante gli attori non esistono più (non c’è la dimensione di teatro); i residui di teatro si trovano solo nelle figure dei giul- lari che però non hanno un luogo a loro adibito (ovvero non esistono) nel Medioevo i filologi lavorano molto nel recuperare e tramandare i testi classici per trasmetterli; in questo modo la massa riceve una specifica idea di cosa fosse il teatro che non viene praticato almeno fino al X d.C. dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente si perde memoria del teatro fino all’alto medioevo quando affiorano alcuni componimenti drammatici destinati alla sola lettura in Italia bisogna attendere il XII secolo per avere una produzione drammatica sempre volta alla lettura di commedie plautine rivisitate; il medioevo crea molte ibridazioni (come poi nel caso dei giullari) prendendo tradizioni diverse e unendole per usarle se- condo i propri fini (c’è anche un grande rimescolamento di generi) nel medioevo il teatro non esiste e non lo si riconosce nell’attore, le prime forme di teatro religioso infatti saranno messe in scena dai sacerdoti che non si propongono come attori; nel ‘500-‘600 europeo con i misteri, i miracoli e le visitatio in scena ci sono cittadini qualunque che si prestano a mettere in scena delle rappresentazioni già nella tardo-antichità l’attore che nel mondo greco ha un termine molto preciso (hypocrites), nel mondo romano viene definito con molti termini diversi (histrio, iocula- tor...); ciò significa che non è più chiaro chi sia l’attore ci sono tanti termini per definire l’attore che fa tante cose e quindi non è niente di spe- cifico; nell’iconografia medievale il teatro è rappresentato come una sala in cui dan- zano delle persone in cerchi (non è un edificio) con animali (segno di degrado rispetto all’uomo) e mostri (segno di ibrido, deforme, male) il teatro è considerato un luogo malefico in cui appaiono anche degli idoli (luogo pa- gano) il teatro è associato all’idolatria cioè al culto; i cristiani portano avanti quest’idea di paganesimo (idolatria che rende l’uomo schiavo a differenza del culto di Dio), il teatro è anche lussuria (luogo in cui i corpi vengono venduti) drammi liturgici il dramma liturgico è il primo seme di teatro medievale; ci sono elementi del teatro pratico che emergono nell’atto profano che si può ritrovare all’interno del dramma re- ligioso (questi drammi sono eseguiti all’interno delle chiese, gli unici luoghi di cultura e comunicazione) la prima rappresentazione di dramma liturgico si colloca nel X secolo in un monastero svizzero: durante la liturgia, alcuni chierici alla fine della messa teatralizzano alcuni passaggi, in occasione della Pasqua (si parla di quem quaeretis ↦ liturgia pasquale che rappresenta l’angelo incontrato dalle Tre Marie che arrivano al sepolcro dove cer- cano Gesù come si legge nelle Sacre Scritture) è la rappresentazione del testo sacro, un frammento del quale viene drammatizzato, cantato i momenti di Pasqua e Natale sono i momenti principali del calendario liturgico cri- stiano; in scena nei drammi liturgici ci sono anche personaggi secondari che assistono e fungono da comparse il pubblico esiste e non esiste allo stesso tempo: si tratta di spettatori, di fedeli che sono giunti per assistere alla messa non certo per assistere a uno spettacolo teatrale; non vi sono attori ma sacerdoti che assumono i ruoli in modo primitivo e simbolico ov- vero al fedele spetta fare il lavoro di interpretazione della rappresentazione alla quale sta assistendo col passare del tempo le scene si arricchiscono anche di elementi di messa in scena che restano pur sempre simbolici, pochi elementi che identificano i personaggi le donne come attrici arriveranno in Italia solamente nel ‘600 con la commedia dell'arte quindi il fatto che questo teatro sia realizzato da uomini non ci crea sconvol- gimento visitatio sepolcri col passare del tempo i quem quaeretis diventano visitatio sepolcri: la scena è la stessa, quella delle tre Mari e dell'angelo, ma più teatrale e più ampia al punto tale che viene modificata e resa più movimentata e accattivante facendola partire dall'al- tare e poi spostandola al sagrato la gente comincia a comprendere sempre meno il latino e la Chiesa realizza che i fe- deli sono perlopiù analfabeti la visitatio è il momento in cui le Marie si rivolgono all'angelo e lui conferma che il corpo di Cristo non è più nel sepolcro; le tre donne si muovono ed escono fuori in pro- cessione dirigendosi al sagrato della Chiesa, dove ci si può disporre più ampiamente nello spazio si ha il passaggio dalla Chiesa alla corte ovvero la fine della teatralità e il ritorno del teatro; i temi si fanno più vari ed eclettici sempre con intento educativo e con un pub- blico formato da fedeli le rappresentazioni sono sempre religiose ma con la costruzione delle città coinvol- gono la cittadinanza gli spettacoli si allargano ed escono dalla liturgia dirigendosi verso lo spazio cittadino, pur non abbandonando temi e modi del dramma liturgico all'interno degli spettacoli spesso vengono ingaggiati i giullari per le loro abilità: si ini- zia a capire che hanno abilità di interpretazione e di maggior tecnica rispetto ai citta- dini comuni; gli si riconoscono una contorsione del corpo e di espressione del viso tale per cui vengono impiegati per ruoli comici e più complessi come quello del diavolo o in generale di personaggi emarginati perché nell'immaginario cristiano il giullare ha un aspetto malefico perciò emarginato e condannato apertamente dalla Chiesa 14 - GIULLARI sono persone senza fissa dimora che vivono per strada, emarginati, non riconosciuti, perseguitati dalla Chiesa, per la maggior parte del Medioevo sono le uniche figure vagamente simili agli attori; quella del giullare non è una profes- sione (chiede elemosina ↦ condanna dalla Chiesa che accoglie l’elemosina del mendi- cante ma non in cambio dell’esibizione del proprio corpo) i romani mettevano in scena i corpi e durante gli spettacoli imperiali c’era una parte dedicata all’esibizione del corpo nudo femminile; il giullare (acrobata, contorsionista) mette in scena se stesso per soldi, mostra il suo corpo in abilità e lo deforma, metten- dolo in posizioni non consuete nel ‘500 l’esperienza del giullare si esaurisce ma rimane una figura molto presente nella commedia dell’arte, nell’ambito della quale si può parlare di non scrittura perché questi comici improvvisano; la figura del giullare rimanda al circo e all’arte di strada feste dei folli sono le feste degli episcopelli o degli innocenti che cominciano ad apparire intorno al XII secolo quando un monaco lamenta nelle memorie che i suoi colleghi trasformino chiese in teatri tramite spettacoli mimici di vario tipo e con uomini che hanno ma- schere demoniache sono feste attestate e organizzate nelle varie chiese negli ultimi e nei primi giorni dell'anno a segnare il limes, ovvero la fine e il principio di qualcosa; c’è un capovolgi- mento delle gerarchie e delle regole rigide della società medievale durante queste feste, il chierico più giovane veniva travestito da vescovo episcopello (da qui viene il nome della festa) e costretto a sfilare a cavallo di un asino sono rappresentazioni profane in contesto liturgico; la condanna che si fa ai giullari si basa su tre capi di accusa, di tipo politico, sociale e culturale: - vanus (vano) ↦ termine che riguarda nello specifico l’attività del giullare, che mette in scena se stesso e il suo corpo il giullare non propone spettacoli scritti non riconducibili alle Sacre Scritture, e pone al centro il corpo - turpis (brutto, deforme) ↦ aspetto esteriore legato all’etica; per “brutto” si in- tende un aspetto lontano dalla creazione divina, il giullare è qualcuno che de- forma il suo corpo spesso nelle miniature appare con animali (scimmia, orso) che da l’idea di allontana- mento dall’umano, vicinanza alla bestialità - girovagus (nomade) ↦ il giullare è nomade, vive per strada ed è quindi social- mente pericoloso in una società come quella medievale che è molto rigida nel porre confini sociali e geografici quando il giullare si affranca nelle corti passa di corte in corte portando problemi poli- tici in quanto considerabile una spia il giullare dalla tarda antichità al XII secolo è una figura largamente criticata; con il passaggio a buffoni di corte i giullari diventano controllabili perché sono al servizio dei signori è una figura inizialmente vaga anche nelle denominazioni e nelle attività ↦ per secoli è una figura molteplice (attore, musico, acrobata, domatore, ciarlatano...), una cate- goria ampia che diventa poi molto specifica: dai buffoni nascono i menestrelli, i poeti/trovatori, i cantastorie, i musici, uomini di corte, politici = gli intellettuali del ‘500-‘600 successivamente come figura scompare il giullare è perseguitato e questo va mostrato tramite il costume teatrale: non è un costume qualunque, ma è un costume di scena che porta tutti i segni della margina- lità, nei colori, nelle forme, negli accessori, che lo identificano come pericoloso è chiamato nei grandi cicli di rappresentazioni a rappresentare il mostro passione di Valenciennes spettacolo del 1512 a Valenciennes in Francia, episodio molto documentato in codici miniati (immagine + testo) con descrizioni dettagliate; rappresentazione di Valencien- nes è durata 25 giorni, con circa 150 personaggi di cui 65 attori cittadini si vede la vita di Cristo, dislocata da est a ovest secondo la simbologia per cui est = nascita, ovest = morte, inferno; si vede le mansiones in cui ogni scena è rappresentata a destra c’è la bocca del mostro da cui escono diavoli; la figura con il bastone (ma- rotte) è il giullare (ibrido uomo-animale) che interpreta il diavolo l’ibrido, nella società codificata del medioevo, genera un problema perché è qualcosa di incerto, inclassificabile che sfugge alle categorie il medioevo critica l’aspetto visivo del teatro latino ma usa effetti speciali per coinvol- gere il pubblico generando paura, stupore, meraviglia; c’è un concetto unitario dello spazio scenico, una scenografia unica che accoglie tutto lo spettacolo (elemento mai visto e mai più verificatosi) Brunelleschi si muove intorno al 1439; è un architetto al servizio dei Medici, che si oc- cupa delle sacre rappresentazioni, specifiche dell’Italia e soprattutto a Firenze dove vengono concepite, a metà tra Medioevo e Rinascimento fonti giullaresche si possiede un repertorio giullaresco solo in minima parte; l'abbigliamento del giullare prima e poi del buffone è altamente codificato per apprendere informazioni riguardanti i giullari dovremo guardare i codici, le minia- ture, immagini iconografiche tratte da salteri, libri di preghiere, libri d'Ore, architettura (romanica e gotica), dipinti e corrispondenze anche in Italia c’è stato l’attraversamento dal fenomeno dei giullari, ma non ne ab- biamo molte testimonianze per due ragioni: 1. L'Italia ha avuto un Medioevo piuttosto breve 2. in Italia c’è Chiesa, sede papale e tutta la cristianità: la presenza del papa ha bloccato la cultura della rappresentazione giullaresca il giullare è quel residuo del teatro che la cultura cristiana ha cercato di sopprimere in ogni modo ma che inevitabilmente è balzato fuori esaltato ed evidenziato attraverso la sua personalità eccentrica abbigliamento giullari nel Medioevo l'abito di norma è monocromatico perciò il giullare dev'essere vistoso con un abito bipartito (più colori, due, tre, anche quattro) in cui dominano: - giallo ↦ pazzia, tradimento, falsità - rosso ↦ colpa, passione - verde ↦ il colore diabolico per eccellenza con cui si identifica anche l’Islam questi colori sono quelli che normalmente indossano anche le meretrici (giullare come meretrice: il teatro è luogo di mercificazione del corpo) i cappelli sono anch'essi elementi che li rendono riconoscibili; si tratta di cappelli vi- stosi, ridicoli che suscitano il riso e che molto spesso mimano la cresta di un gallo o il becco d'un uccello con il principio di unire l'umano all'animale i giullari sono dotati di sonagli e campanelli che portano ovunque addosso, sui copri- capi e persino sui piedi; in questo modo la figura diventa goffa con l'intento di essere riconoscibile l'iconografia di corte si basa sulla contrapposizione tra il signore e il giullare: - giullare ↦ brutto, elemento d'ombra che raccoglie il male rispetto al bene che è appunto rappresentato dal signore - signore ↦ buono, bello, illuminato il mostro per eccellenza del Medioevo è l'ibrido come i giullari sono rappresentati nell’iconografia l'abito giullaresco è dotato anche di un bastone, elemento storico perché il giullare vi- veva per strada e questo comportava molti pericoli perciò era un’arma contro l'at- tacco di animali o di altri uomini (bastone come arma di difesa) questo strumento assume forme molto particolari: - marotte ↦ bastone dalle fattezze umane che ha alle estremità dei sonagli e un volto mostruoso che funge da alter-ego teatrale (personaggio fittizio con il quale dialogare a cui si attribuiscono frasi o pensieri critici che non si vuole pronun- ciare e che quindi vengono fatti pronunciare da lui) la marotte diventa oggetto scenico per il giullare che è quindi un performer - baule ↦ bastone in ambito inglese con all’estremità una vescica di porco riem- pita di piselli secchi che se scossa produce un rumore (usata come strumento musicale) attore mimo e pantomimo nel mimo e nel pantomimo vediamo l’idea di una sfera gestuale con una caratterizza- zione del volto molto forte nelle corti c’è l'esistenza del mimo conviviale ovvero l'attore che si presenta come mimo all'interno dei convivi; i mimi si presentano ai banchetti in quanto invitati e in- gaggiati benché considerati personaggi impropri, osceni e i cui spettacoli di mimo e pantomimo sono spesso vietati le raffigurazioni di pantomimi presentano una caratterizzazione facciale estrema, grottesca e una mostruosità determinata da contorsioni e deformazioni del corpo so- prattutto del volto in molti trattati di poetica troviamo vari riferimenti ai giullari e alle loro arti mimiche in cui si avanzano teorie sulla mimica che viene espressa in chiave mostruosa all'e- sterno della chiesa: la mimica è satanica i giullari non sono sempre privi di parole sono anche imbonitori, ciarlatani; il giullare è quindi l'affabulatore che con doti di eloquenza riunisce un certo pubblico sono anche giocolieri perché hanno doti performative oltre che acrobatiche; molto spesso si tratta anche di persone che all'interno delle fiere propongono giochi e illu- sioni il termine buffone è attestato per la prima volta nel XIII secolo e allude al giullare di corte; questa prima attestazione si trova nella Declaratio del re di Castiglia a Riquier ↦ il re usa il termine bufos parla dei bufos in modo negativo, come dei pazzi, degli insipienti e dice che sono co- loro che “esercitano vilmente il loro mestiere in tutti gli ambienti e senza alcun pu- dore”; hanno una condotta indecorosa un’altra categoria è quella di acrobati e contorsionisti, molto diffusa nelle fonti; c’è sempre l’idea del perverso (fuori dalla regola) deformare il corpo significa andare contro natura; i contorsionisti sono spesso rappre- sentati al contrario (idea del carnevale, del capovolgimento) ci si accanisce anche contro i giullari musici per questo, la musica nel medioevo è molto ambivalente; c’è una musica celestiale e una diabolica ci sono anche funamboli che mostrano esercizi che deformano il corpo tanto che smet- tono di essere persone e diventano mostri (si esalta un’abilità ginnica del corpo); c’è anche l’esercizio dello scorpione in cui c’è la volontà di andare contro le regole (piedi in basso, testa in alto) c’è la figura del giullare-sirena (sirena-pesce che ha di solito due code) ovvero un con- torsionista che assume una posizione innaturale tenendo con le mani i piedi/coda; spesso i giullari sono rappresentati come sirene ↦ simmetria proprio nel medioevo si sviluppa il concetto di sirena come metà pesce e metà donna la sirena da sempre è una femme fatale, una creatura incantatrice che affascina gli uomini portandoli alla pazzia attraverso la propria voce fin dal Medioevo non è la nudità ad essere segno di fascino anzi questa viene vista come segno di povertà e stupidità perché privandosi delle vesti non ci si protegge da- gli eventi atmosferici; è nudo colui che è stolto non colui che attrae, ciò che provoca attrazione oltre alla voce è la danza che nel Medioevo ha un valore piuttosto ambiguo la sirena corrisponde al giullare contorsionista con un corpo che sfugge alla natura as- sumendo pose innaturali; è una figura vista come elemento fascinatorio che seduce con un'idea diabolica volante e con sembianze umane e rapaci nel Medioevo però questa figura è anche maschile: le sirene hanno volti maschili, come similitudine del giullare, con coda biforcuta equilibristi e giocolieri sono figure al limite del possibile che diventano elementi grot- teschi perché fuori dalla realtà l'iconografia li tramanda con una connotazione negativa ma accanto a questa "dan- nazione" portata avanti dalla società e dalla Chiesa, abbiamo una realtà che ce li consegna come figure diffuse e ricercate nelle corti soprattutto giocolieri e funamboli; in una rappresentazione tratta dal Roman de la Rose ci sono raffigurati vari intratteni- tori in particolare una donna giullare c’è anche un'acrobata che cammina con mani a terra e piedi in aria (perversione data da un esercizio di capovolgimento), un'altra danzatrice e un uomo che suona l'arpa vestito di bianco ↦ giullare musico i funamboli sono gli intrattenitori più accettati dalla società medievale poiché sono quelli che più sono vicini a Dio in quanto si librano in aria camminano su una corda e sfidano le leggi fisiche per avvicinarsi a Dio alcuni animali sono frequenti come il cane che accompagna spesso i giullari per difen- derli; l’idea è quella di far fare loro dei numeri che attirino l'attenzione dei passanti l'orso, soprattutto al nord, è considerato il re degli animali in quanto potente e perico- loso (ci sono i giullari domatori di orsi) l'animale che ricorre più facilmente e che sostituisce il giullare è la scimmia che segna il passaggio dal Medioevo al Rinascimento; nella concezione medievale la scimmia è l'essere più infimo che imita e copia il mondo dell'intrattenimento è fatto di illusioni negative moralmente riprovevoli che devono suscitare il riso con l'imitazione la scimmia essendo metafora della mimesi non può che non avere valenza negativa: imita l'uomo, è ambigua perché sta tra uomo e animale ed è vista come un essere diabolico oltre che sinonimo di stupidità in quanto imitatrice il giullare musico è una figura ancora più ambigua proprio perché dipende dallo stru- mento musicale che lo contraddistingue legato agli strumenti musicali abbiamo anche la figura dell'asino che identifica la stu- pidità: abbiamo molte immagini di asini che suonano la lira (strumento a corda) il giullare stolto oltre che stolto è anche insipiens ovvero colui che nega l'esistenza di Dio, perciò per il cristianesimo lo stolto è colui che è ateo; l'insipiens oltre che emargi- nato e stolto è anche folle proprio perché nega l'esistenza di Dio e poi perché è nudo (il nudo è sinonimo di pazzia) 15 – INTRODUZIONE COMMEDIA DELL’ARTE la commedia dell’Arte è un fenomeno che sintetizza alcune istanze tipiche del Rinasci- mento, proprio perché deriva dalla commedia rinascimentale pura segna una continuità latente con la figura del giullare; ha posto nella storia del teatro alcune innovazioni, alcuni modi di fare e di gestire il teatro che sono quelli attuali, so- prattutto legati alla mercatura (il teatro diventa mestiere) la figura che ha traghettato in modo marginale il teatro antico al Medioevo con diffi- coltà e stando in ombra è proprio quella del giullare il giullare è una pathos Formen in quanto lo si ritrova nell'iconografia del Medioevo ar- rivando fino al Rinascimento poi sparisce ovvero non costituisce più un problema in quella società; è una figura che riesce a sopravvivere al tempo, alla cultura e ai divieti sociali il Rinascimento non ha più al suo centro il giullare poiché iniziano a costituirsi gli at- tori, i drammaturghi, i teorici del teatro e in generale avrà la sua importanza il feno- meno della commedia dell’Arte che si verificherà nelle piazze e nelle corti, non sarà al margine come era accaduto per i giullari con la commedia dell'arte si inizia a dare un prezzo al prodotto ↦ lo spettacolo per la prima volta è un prodotto e i comici dell’Arte sono degli imprenditori che devono far fruttare al massimo la merce del teatro il giullare è la figura di connessione tra Medioevo e Rinascimento (prende il nome di buffone) 1585 ↦ si costruisce il Teatro Olimpico di Vicenza ed è l’accademia a commissionar- glielo Umanesimo e Rinascimento nel passare da Medioevo a Rinascimento non c’è una cesura così forte come tra anti- chità classica e Medioevo perché certe istanze si erano già affacciate Umanesimo: momento del ‘400 di riscoperta del mondo classico c’è il recupero e la reinterpretazione della cultura classica; è una riscoperta che inizia con l’Umanesimo e si accentua nel Rinascimento, si riprende la matrice culturale dell’Occidente è una reinvenzione della cultura teatrale classica che porta degli esiti di grande cam- biamento, a partire dalla riscoperta dell’evento teatrale la figura dell’autore riemerge; l’attore si riafferma con una certa complessità e si teo- rizza sulla sua figura (professionismo attorico della Commedia dell’Arte) + attore dilet- tante il pubblico con la CdA diventa pagante; pubblico di corte ma anche di piazza in Italia è l’elemento propulsivo del fenomeno dell’Umanesimo che si diffonde in tutta Europa come modello; a metà ‘400 in Italia si affacciano già le istanze che saranno portate avanti ed esportate nel ‘500 la teatralità medievale persiste nelle piazze e nell’intrattenimento popolare mentre nelle corti sia in Italia sia in Europa si ha il rinascimento teatrale che viene appunto esportato dall’Italia teatro di corte nel ‘500 Francia, Inghilterra e Spagna sono già da tempo monarchie assolute ↦ in Francia con Luigi XIV permetterà la creazione di un teatro istituzionalizzato, politiciz- zato e centralizzato: il teatro che Luigi XIV crea è a sua immagine e somiglianza, si fonda all’interno dello Stato e deve comunicare determinate idee l’Italia inizierà a rimanere molto indietro in ambito teatrale: il primo teatro stabile isti- tuzionalizzato in Italia è il Picc