Document Details

VisionaryTajMahal6808

Uploaded by VisionaryTajMahal6808

Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano (UCSC MI)

Tags

sociology social studies social thought society

Summary

These notes cover introductory concepts in sociology. They discuss the importance of thought processes in daily life and social contexts, analyzing examples using different social structures and phenomena such as the Crespi d'Adda village and the use of algorithms in digital platforms. This includes discussion of various thinkers e.g. Rousseau and ideas from the past and present.

Full Transcript

APPUNTI - PROLUSIONE Cappello introduttivo: perché ci serve il pensiero? Il pensiero lo potremmo considerare qualcosa di fondamentale in quanto ci permette di acquisire competenze utili nella vita quotidiana e lavorativa. Il pensiero non è solo un modo per diventare eruditi o dotti, ma serve sopratt...

APPUNTI - PROLUSIONE Cappello introduttivo: perché ci serve il pensiero? Il pensiero lo potremmo considerare qualcosa di fondamentale in quanto ci permette di acquisire competenze utili nella vita quotidiana e lavorativa. Il pensiero non è solo un modo per diventare eruditi o dotti, ma serve soprattutto se di natura sociologica. Il pensiero è talmente presente nella nostra vita che, talvolta, si concretizza anche materialmente. Infatti luoghi, ambienti ed oggetti assumono sempre più i caratteri di una trasformazione che abbiamo operato sul mondo. Tali trasformazioni sono sempre di più caratterizzate da una “sociologia implicita”, perché contengono una visione della società che è ispirata da alcuni valori, idee e ideologie. Ad esempio il villaggio presente a Crespi d’Adda è realizzato secondo una sua logica. Ci troviamo agli inizi della società italiana, Crespi aveva uno stabilimento tessile. Egli una visione paternalistica del lavoro, ma anche un po’ visionaria, tanto da organizzare il villaggio in cui vivevano i suoi lavoratori intorno alla fabbrica. L’organizzazione fisica del villaggio, quindi, rispecchiano l’organizzazione della fabbrica. Le case sono diverse da loro in base al ruolo dell’individuo nella fabbrica. Questo esempio ci fa capire come noi, quando costruiamo qualcosa, applichiamo al concreto il pensiero, cioè siamo in grado di applicare una precisa idea negli spazi che realizziamo, ma al contempo vi è anche una mancanza. Possiamo osservare questo meccanismo anche nelle città, dove gli spazi sono organizzati secondo i nostri bisogni ma anche a seconda della qualità e dei rapporti sociali. Infatti possiamo definire uno spazio o un ambiente abitabile quando ci permette di sfruttare ogni suo aspetto. Sulla base di queste necessità gli urbanisti e gli architetti hanno capito che bisogna innanzitutto occuparti di questioni generalmente appartenenti ai sociologi, così da rendere le città il più possibile funzionali. L’algoritmo Un altro ambito in cui il pensiero conta tantissimo e modella la nostra esperienza, è l’ambito del digitale. Nello specifico l’algoritmo (termine chiave della nostra contemporaneità) è diventato fondamentale nella nostra società, a tal punto da modellare la nostra esperienza. L’ algoritmo è un architettura informazionale, che può essere utilizzato, per spiegare la formazione del pensiero, in quanto quest’ultimo può nascere o modificarsi a seguito di uno stimolo esterno (algoritmo) che condiziona una nostra esperienza. (Es. la vita di un rider dipende fortemente dalle regole che vi sono dietro un algoritmo; oppure la diffusione di post sui social è deciso da un algoritmo). Ciò ci fa capire come, la nostra esperienza sia sempre più modellata ed influenzata da algoritmi decisi da coloro che possiedono queste piattaforme. Il pensiero diventa così risorsa critica in quanto ci permette di capire che, tali piattaforme, sono un pericolo perché le decisioni vengono prese da altri, e in modo inverso rispetto se detenute da noi. Smart city La smart city è un punto d’incontro tra il pensiero permeato dalla tecnologia e la quotidianità Esempi di Piattaforme: Rousseau e Agorà La piattaforma Rousseau venne utilizzata dal movimento 5 stelle durante le sue prime elezioni. C’era l’idea di questa partecipazione allargata e fondata su democrazia diretta che trovava forma su questa piattaforma, che permetteva di creare partecipazione all’interno del movimento, così da prendere determinate decisioni. Ma perché il nome Rousseau? Perché il filosofo Rousseau qualche secolo prima formalizzò, per primo, l’idea della volontà popolare. Le idee politiche (in questo caso di un autore e filosofo sociale) sono state recuperate ed attribuite ad una piattaforma. Altro esempio è un programma televisivo chiamato Agorà. Il nome del programma riprende la struttura presente nella polis greca, in particolare nell’Atene democratica, e si tratta del luogo in cui pubblico e privato si incontravano per prendere delle decisioni insieme; e in questa trasmissione rimane l’idea di dibattito appartenente alla classicità. Inoltre quest’idea venne utilizzata soprattutto come metafora verso gli inizi degli anni 90 quando internet iniziò a diffondersi oltre gli ambienti scientifici universitari, si vide in questa novità l’occasione per espandere idee ed innovazione. Management umanistico: Gary Hamel Gary Hamel lo possiamo definire un guru delle teorie organizzative. Qualche anno fa all’interno di un su libro scrisse che, per funzionare ottimalmente un’azienda non deve solo tenere in considerazione l’aspettò hard dell’individuo, ma anche la sua creatività. Il manager umanistico dunque lo possiamo descrivere come colui che sta a capo di un gruppo creativo, cioè un gruppo costituito da persone aventi idee innovative e creative. Questa idea di management umanistico venne fatta propria da un noto imprenditore italiano: Brunello Cucinelli, noto imprenditore tessile, la cui impresa venne impiantata nel borgo di solemmo, perché secondo lui, qui aveva la possibilità di ripensare alla sua organizzazione aziendale partendo dalla sostenibilità della vita dei lavoratori. Cucinelli vuole che i suoi dipendenti stiano a contatto con la natura e che si lascino ispirare dalla bellezza e dalla cultura italiana, per questo realizzò gli orari lavorativi di quest’ultimi. Secondo lui solo così si poteva restare competitivi in un mercato internazionale. Jean Piaget “La mente organizza il mondo organizzando se stessa” e Edgar Morin “meglio una mente ben fatta che una testa piena” Jean Piaget nasce a Ginevra. La sua influenza è importante soprattutto nel campo della psicologia, in quanto portò gli studiosi ad approfondire le loro ricerche sul funzionamento della mente. Secondo lui la mente svolge come attività principale la creazione del pensiero che si articola grazie all’organizzazione di quest’ultima. Altro intellettuale che si occupò di questo campo fu Morin Edgar. Sosteneva teorie interessanti sia in ambito cinematografico che in altri aspetti. Egli sosteneva che era meglio una testa ben fatta che una testa ben piena, ciò perché secondo l’autore lo scopo primordiale della nostra mente è quello di essere una buona organizzatrice. Infatti la nostra mente, secondo lui, è ben fatta quando sa organizzare le informazioni in maniera funzionale durante un periodo di complessità perché sa gestire tali processi. Dunque una testa ben fatta è una testa con un metodo e che ci spinge a migliorarci e a migliorarla. Soft skills Le soft skills sono al giorno oggi tutte quelle richiesti provenienti dal mercato del lavoro. Esse le potremmo definire come tutte quelle capacità che nascono dal pensiero e tra esse ve ne rinveniamo numerose. Ma le più importanti sono: 1. Flessibilità/adattabilità: abbiamo potuto osservare questa nell’ambito pratico soprattutto con l’avvenimento della pandemia globale, che ci ha dimostrato come la flessibilità nell’adattarsi al cambiamento sia fondamentale nella vita di un individuo. 2. Pianificazione/organizzazione 3. Apprendere in maniera continuativa 4. Gestire informazioni: abilità nell’ acquisire, organizzare e riformulare efficacemente dati e conoscenze provenienti da foti dice forse, verso un obiettivo definito 5. Essere intraprendente: capacità di sviluppare idee e saperle origani are in progetti per i quali si persegue la realizzazione, correndo anche rischi per riuscirci 6. Capacità comunicativa: saper trasmettere e condividere in modo chiaro e sintetico idee ed informazioni con tutti I proprio interlocutori, ascoltarli e confrontarli. Più sono un onnivoro culturale, più sarò innovativo. 7. Problem solving: approccio al lavoro che identificando la propria capacità e le criticità, permette di individuare le possibili migliori soluzioni ai problemi 8. Empatia: capacità emotiva e razionale di comprendere l’altro 9. Team work: disponibilità di lavorare e collaborare con figli altri 10. Leadership: capacità di condurre, motivare e trascinare gli altri verso mete e obiettivi ambiziosi LA SOCIOLOGIA Introduzione La sociologia un tempo veniva definita come la materia che si occupa dello studio scientifico della società, anche se nello specifico si occupa dello studio dei legami sociali (es. famiglia, gruppo dei pari, ecc.). Alcune delle sue caratteristiche che osserveremo sono: 1. Multi-paradigmatica: convivenza di due o più modi di concepire la medesima disciplina ma con due metodi differenti; 2. Empiricità: come tutte le scienze che studiano una parte della realtà, se vuole essere scienza deve formulare delle asserzioni che poi deve corroborare attraverso il confronto con la realtà stessa dei fenomeni studiati. Dunque sostiene un indagine partendo da un fatto, per poi giungere ad una conclusione. Da qui si sviluppano due tipi di sociologia quella quantitativa e quella qualitativa; 3. Storicità: vi è una relazione tra sociologia e contesto storico; 4. Dipendenza dalle relazioni: sociologia è una materia che tende a creare legami con altre materie in quanto ne necessita; 5. Coappartenenza di soggetto ed oggetto: esiste una circolarità tra l’oggetto studiato e l’osservatore; 6. Difficile formalizzazione: formalizzare significa poter trasformare le leggi sociologiche in leggi simili a quelle scientifiche, ciò però non è facilmente possibile anzi, quasi impossibile; ma nonostante ciò c’è qualcuno che ancora oggi ci prova; La Multi-paradigmaticità della sociologia La sociologia è una materia che nasce di per sé bi-paradigmatica, ovvero formata da più di un paradigma. Il primo paradigma prende il nome di olismo, termine con il quale s’intende la sua principale caratteristica, ovvero privilegiare la totalità. Il secondo è, invece, denominato individualista. Essi vengono generalmente contrapposti in quanto hanno strategie e tecniche di studio differenti, nonostante il medesimo oggetto di studio: la società. Il metodo caratterizzante del paradigma dell’olismo venne fondato da Durkheim, il quale scelse un termine greco che tradotto significa tutto. In questo paradigma prevale una visione di insieme, in quanto vede la società come una totalità, cioè una grande cosa che esiste di per sé e che è possibile osservare dall’alto, viene così messa in atto una prospettiva aerea. Dunque la società venendo vista in lontananza è studiata nella sua generalità. Questo metodo di studio, però, non ci permette di raccogliere le medesime informazioni che potremmo raccogliere camminando per le strade della città (vedi persone, senti odore, ecc). In tal caso avremmo una visione più dettagliata dell’esperienza che un individuo può fare in un determinato luogo. Olismo: approccio macro L’olismo è un termine che deriva dal greco e che indica il concetto di totalità, nello specifico si occupa di studiare la società nel suo insieme. In questo metodo di studio applicheremo uno sguardo macro con il quale giungeremo a leggi generali. Siamo così interessati a genomi ampiamente diffusi all’interno della società, e nella fatti specie saremo interessati a fenomeni che hanno una rilevanza statistica notevole all’interno della comunità. Esso quantifica alcuni aspetti della vita sociale (es. quanti sono andati a votare ecc.), perché convinta che fare sociologia significhi andare alla ricerca del nesso causa-effetto, quando la causa di ciò che accade nella società è da ricercare nella società stessa. Dunque un olista parla di gruppo, di rapporti causali ed altri fenomeni, perché convinto che la società possa essere studiata come se fosse una scienza naturale. L’olismo vede la società come un’entità sui generis, un ente collettivo che trascende gli individui. Come possiamo osservare nella rappresentazione, il singolo individuo è contenuto da questo enorme rettangolo detto società, seguendo la via intrapresa da quest’ultima. Per spiegare il senso di questa traiettoria l’olismo utilizza due metafore: 1. Sistema planetario 2. Pista di pattinaggio Nella società dunque esistono delle università, perché esistono delle “rotaie” che regolano il vivere sociale. Durkheim descriverà la società come coercitiva. Individualismo L’individualismo sostiene che esiste solamente il singolo, dunque la società non è nient’altro che l’insieme delle forme e delle modalità del loro comune vivere. In sostanza solo l’individuo è capace di agire e lo fa in base alle sue motivazioni, cioè al senso che egli/ella attribuisce al proprio agire. Tale senso non potrà essere evidente a priori per un osservatore terzo. L’individualismo studia come gli attori sociali decidono di vivere sulla base delle loro scelte anche se esse vengono parzialmente condizionate. Dunque, per comprendere un fenomeno sociale, non dobbiamo affidarci al comportamento della società intesa come insieme di individui perché non tutti agiranno nel medesimo modo. L’accezione che inizia a maturare con Weber è che: i fenomeni sociali non siano nient’altro che la conseguenza del nostro essere interconnessi; ovviamente al tempo di Weber internet non esisteva ancora per questo l’interconnessione di cui parla è di tipo fisico. Empiricità La sociologia è una materia empirica cioè non è possibile sostenere un’ipotesi, se non dopo essersi confrontati con la realtà. Essa si deve confrontare con l’ambiente, riportando la ricerca sul campo, ed utilizzando delle tecniche specifiche che prevedono la realizzazione di una tabella. Il metodo utilizzato è dunque quello della ricerca quantitativa, cioè vengono raccolti una serie di dati successivamente trasformati in numeri per farlo fa uso uno strumento di rilevazione detto questionario, che può essere a sua volta a risposta multipla o chiusa. Così facendo il sociologo riesce ad ottenere una quantificazione precisa di dati così da potergli tradurre in numeri specifici. Una volta fatto ciò divide i dati in base ad una specificità dei corrispondenti (es.donna/uomo, lavoratore/studio ecc.). Così facendo viene effettuato un confronto con l’esperienza perché qualcuno è andato a fare le domande contenute dal questionario. Empiricità II Dunque quando parliamo di empiricità intendiamo l’insieme di storie, testimonianza, esperienze da persone ritenute significative o qualificate per guidarci alla conoscenza di un fenomeno sociale soprattutto quando è nuovo ed emergente e non esistono studi precedenti. Questo tipo di indagine utilizza il dialogo aperto, ma ci sono anche altre tecniche impiegate ovvero le interviste in profondità, l’osservazione partecipante, il focus e tecniche della ricerca qualitativa. Esse consentono al soggetto intervistato di avere maggiore libertà ad esprimersi. Il ricercatore con la ricerca qualitativa prende in considerazione “il diverso”, cioè le nicchie sociali, perché vuole andare a capire le ragioni che le hanno portate a distaccarsi dalla massa. Esempio di domanda su un questionario strutturato e standardizzato - sarà posta agli agenti intervistata una domanda, alla quale si potrà rispondere mettendo una x sulla risposta che quest’ultimi ritengono più coerente alla loro idea. - I risultati della ricerca saranno ottenuti in percentuale/correlazione tra variabili; poi distribuita per genere. Esempio: Quanto sei d’accordo (per niente, poco, abbastanza, molto) con la seguente affermazione? «La partecipazione politica è un valore fondamentale» 1. Per niente d’accordo 2. Poco d’accordo 3. Abbastanza d’accordo 4. Molto d’accordo Risultati in percentuale/correlazioni tra variabili: «il 75% ha risposto «abbastanza/molto importante; distribuita per genere, si osserva che tra le femmine è più alta la percentuale di chi ha risposto abbastanza/molto» Esempio di intervista in profondità - parlare liberamente di un argomento proposto dal ricercatore - La risposta data dall’intervistato darà dei risultati testuali. Esempio di «consegna narrativa» nelle «interviste in profondità» (in questo caso «racconto di vita») —> Vorrei che tu mi parlassi del tuo rapporto con la politica, partendo da dove vuoi... Risultati «testuali» (narrazioni): raccogliamo esperienze, percezioni, vissuti, significati soggettivi, dai quali possiamo apprendere nuove definizioni dei nostri concetti Dipendenza dalle relazioni Il sociologo si occupa di studiare come i singoli individui instaurano tra loro dei rapporti. Per farlo esso deve entrare in contatto con il gruppo, le istituzioni o il singolo individuo, cioè deve accedere al campo e ciò richiede un grande lavoro pre-scientifico. Dunque svolgere il mestiere del sociologo significa essere dipendente dalle relazioni, in quanto la qualità della ricerca è fortemente influenzata dalla qualità del rapporto che riesce ad instaurare con l’intervistato. Es. Alberto Melucci volle provare a studiare i movimenti di un gruppo punk all’interno della città di Milano. Questi individui si distaccavano dalla società con l’abbigliamento, la musica e altre caratteristiche anti-conformiste. Il voler studiare questi individui però ebbe come risultato la contrarietà da parte dell’individuo, che si sentì come una cavia. Tale disagio venne espresso con un atto estremo. Storicità La storicità è lo studio di come questioni, concetti e categorie cambiano e si trasformano nel corso del tempo. Per questo la sociologia deve costantemente sia modificare i suoi approcci con i soggetti presi in analisi, che i suoi concetti. Lo scienziato sociale e la circolarità Contrariamente a chi svolge un lavoro di lavoratorio nell’ambito delle scienze esatte, lo scienziato sociale studia figli esseri umani restando però parte della realtà che osserva e in cui si rispecchia. Dunque il sociologo durante uno studio non si distacca totalmente dei suoi ideali e ciò può essere risentito dalla ricerca sociale, che viene inevitabile condizionata da essi. Lo stesso può valere per gli ideali del sociologo che possono modificarsi successivamente uno studio. Questa influenza reciproca tra oggetto studiato e ricercatore prende il nome di circolarità. Formalizzare il sapere sociologico Quando parliamo di formalizzazione è inevitabilmente il riferimento alla matematica, ma questa materia è applicabile alla sociologia? Nella sociologia esistono sia approcci che utilizzano numeri e che cercano correlazioni tra variabili, che possono essere espresse numericamente, sia approcci che rinunciano all’utilizzo dei numeri. Tuttavia in entrambi i casi un livello minimo di formalizzazione deve essere ricercata, almeno per la definizione rigorosa e scientifica dei concetti che si intendono utilizzare. Dunque il sociologo che vuole esprimere le sue ricerche in numeri, deve sottostare ad un metodo ben preciso, oltre che partire dal definire i concetti che vuole utilizzare. Se quest’ultima viene a mancare la ricerca non può essere associata al sociologo, ma sarà vista come un articolo di giornalista. Fattori che hanno favorito alla nascita della sociologia La sociologia nasce in conseguenza a tre movimenti rivoluzionari: 1. Rivoluzione francese: possiamo considerarla un movimento sia culturale che politico, si tratta di una vera e propria rivoluzione di ideali. Essa ha detradizionalizzato la società, rendendola maggiormente laica (laicizzazione). Questa perdita di valori religiosi ha portato alla rottura di uno dei pilastri che reggeva la società. 2. Rivoluzione industriale e le trasformazioni economico-sociali hanno cambiato i rapporti sociali oltre che la struttura della società. Nasce la borghesia e l’urbanizzazione, mentre si conclude l’ancien regime ecc. Questa tipologia di rivoluzione portò anche alla nascita di nuove scienze come l’economia. 3. La rivoluzione scientifica e la nascita del movimento filosofico detto positivismo, al quale apparterranno Durkheim e Comte. L’avvenimento della rivoluzione francese ha fatto sorgere il bisogno di creare un nuovo ordine. La legge dei tre stadi L’area laica di pensiero di Durkheim e Comte invece vuole cercare di trovare nuovi valori che permettano di recuperare un ordine che non sia uguale a quello di una volta, e la nascita della ricerca sociale sembrerà rispondere a tale bisogno. Comte sostiene che per costruire l’ordine sociale non è necessaria la religione in quanto nel corso della storia dell’umanità, è avvenuto un susseguirsi di tre stadi: 1. Stadio Teologico, cioè tutti i fenomeni vengono spiegati con la religione 2. Stadio Metafisico, la spiegazione dei fenomeni è data dalla ragione umana. Si ha dunque una spiegazione razionale ma non scientifica, dunque rimane ancora qualcosa di astratto. 3. Stadio Positivo, è lo stadio in cui nate le scienze sarà possibile utilizzarle per organizzare il mondo e la realtà. Per Comte il progresso tecnico-scientifico porta il benessere, ovvero la nascita della scienza ha portato ad un nuovo ordine che ha messo tutti d’accordo. Per questo la politica deve affidarsi alla scienza perché solo così quest’ultima potrà governare ne migliore dei modi. La scienza che si occuperà di ciò sarà la sociologia il cui studio sarà quello di migliorare il governo della società. EMILE DURKHEIM Introduzione Emile Durkheim appartiene alla corrente filosofica del positivismo secondo cui la scienza è l’unico mezzo attraverso il quale l’uomo può comprendere la realtà. Egli è anche il fondatore dell’olismo., e come tutti gli autori classici si occupa di più questioni non compartendosi in una disciplina specifica, di fatti si occupò di: - Metodologia delle scienze sociali che utilizza fa per studiare la società come conseguenza dei legami sciali - Legame sociale (la solidarietà meccanica e la solidarietà inorganica; differenziazione sociale) - Religione - Educazione - Trasformazione della società (da premoderna a moderna) Durkheim è un autore caratterizzato da due grandi preoccupazioni: far della metodologia una scienza, e far in modo che la società sia coesa, cioè difende l’ordine sociale non solo come intellettuale ma anche come essere umano. Per lui la società deve essere unita non solo per il bene del singolo, ma anche della collettività. Il tema dei valori condivisi è dunque fondamentale, in quanto è una garanzia della coesione. Queste due ossessioni di Durkheim sono connesse tra loro, in quanto una implica l’altra. Metodologia La sociologia per Durkheim è una scienza precisa, in quanto dà delle definizioni precise e rigorose ai suoi concetti. Dunque la sociologia la potremmo definire come la scienza che si occupa dello studio dei fatti sociali, termine che già di per sé rimanda allo studio positivista ovvero ad uno studio fondato sui fatti. Però la sociologia deve in qualche modo individuare una propria categoria di fatti ovvero i fatti sociali. Inoltre Durkheim sente la necessità di fare una distinzione tra filosofia e psicologia. In quanto la filosofia ragiona sui concetti in modo astratto, dunque ciò che afferma può anche non essere verificato con degli esperimenti, mentre la psicologia è secondo lui da intendere come una conoscenza dell’individuo, che può avere dei vantaggi nella vita del singolo. Se la sociologia vuole avere un proprio luogo nel mondo della scienza deve smarcarsi dalla psicologia, assumendo dei propri oggetti di studio. Il fatto sociale Il sociologo si muove solo là dove può osservare fenomeni che valgono per una ampia collettività di persone, se riguardassero pochi individui invece sarebbero elementi residuali di cui si può occupare la psicologia. Dunque sorge la necessità di distinguere un fenomeno collettivo, da un fenomeno singolo; necessità che viene colmata dalla statistica perché più un comportamento è esteso all’interno della società, maggiormente sarà elevata la sua valenza statistica. Una volta compreso il fenomeno collettivo, il sociologo deve ricercare la causa di un fenomeno sociale si può spiegare solamente attraverso un altro fatto sociale, che va ricercato nella società. Caratteristiche dei fatti sociali (chiede sicuro) Un fatto sociale è: 1. Esterno agli individui: i fatti sociali non agiscono interiormente all’individuo. 2. Generale: vale per una collettività e non per il singolo. Durkheim non dirà mai che il fatto sociale è universale, ma che è generale cioè che vale all’interno di una società. 3. Coercitivo: in qualche modo esercita un potere di coercizione sugli individui, ritorna l’idea che è la società ad imporsi sull’individuo. La coercizione non è la repressione militare, dunque il potere che si impone esplicitamente con la forza fisica, ma è una forza morale che agisce dentro di noi, portandoci ad assecondarlo. Dunque ciò che è considerato giusto per la collettività viene eseguito dall’individuo. Leggi sociali Le leggi sociali esistono perché nei comportamenti soggettivi esistono delle regolarità, che sono date da un fatto sociale. Il fatto sociale è così da intendere come una “struttura” che impone una particolare direzione o inerzia ai comportamenti dei singoli individui. Queste strutture dunque si formano non grazie all’agire individuale, ma prima ed influenzandolo. Per Durkheim il problema non è tanto quello di mostrare le leggi sociali, ma mostrare quello che le determinano. “Il suicidio” di Emilie Durkheim Il suicidio è l’opera in cui Durkheim applica come metodo di ricerca la statistica, un elemento rivoluzionario che mette la sociologia in competizione con la psicologia. Con questo studio vuole dimostrare che il suicidio non è un evento individuale, o almeno, può anche essere un atto compiuto successivamente un fatto sociale. Dunque non è altro che un fatto sociale che segue un altro fatto sociale. Cercò di dimostrare ciò mediante l’uso delle statistiche, ma anche dando una definizione al termine suicidio. Il suicidio viene cosi definito da Durkheim come: “ogni causa di morte che risulti direttamente (mi pugnalo) ed indirettamente (apro una catena di conseguenze che portano all’atto) da un atto positivo o negativo, compiuto dalla vittima stessa consapevole di riprodurre questo risultato”. Una volta raccolti questi dati, Durkheim decide di distribuii per serie storiche, cioè studia come il suicidio aumenti o di minuisca in un determinato contesto storico, ma anche in base alla religione di un determinato territorio. Distribuisce così i dati per serie storica ed identità religiosa, scoprendo che i suicidi tendono ad aumentare in due momenti: 1. Grande crisi (negativi) 2. Grande crescita (positivi) Inoltre si accorge che i suicidi sono maggiormente diffusi nelle società a cultura protestante rispetto a quelle in cui è centrale la cultura cattolica. L’anomia: grandi periodi di crescita L’anomia deriva dal termine a-nomos, cioè situazioni di assenza di chiarezza normativa da parte della società che disorienta gli individui. Essa produce periodi di grandi mutamenti che possono risultare bruschi per le nostre vite, portando ad una perdita della misura. Non sappiamo più quale sia il nostro ruolo nella società facendoci provare una sensazione di anomia (assenza di norme e chiarezza circa quest’ultime). In una società come la nostra, ovvero dei consumi, tutti vogliono possedere e dimostrare un tenore alto di vita, ma affinché la società sia coesa e priva di assenza di smarrimento, è necessario che vi sia la consapevolezza che lo stile di vita varia a seconda del reddito. Per questo durante i periodi di grande crescita economica gli individui pensavano che tutto fosse a portata di mano, quando in realtà non fu così. Ci sono così delle trasformazioni non chiare che riguardano la società, portando all’anomia e talvolta al suicidio. Suicidi protestanti > Suicidi cristiani Il suicidio è in qualche modo collegato ad una situazione di anomia, ma in questo caso essa si rivolge all’integrazione sociale. Dunque la motivazione di tale situazione è dovuta al fatto che la comunità cattolica ha una coesione sociale maggiore rispetto a quella protestante, ciò perché il protestantesimo nacque da una radicale critica nei confronti della chiesa. Dunque per questo movimento il riconoscersi in un istituzione come la chiesa, non è essenziale, contrariamente alla prima. Durkheim da queste considerazioni risale al fatto che essere soli dinanzi a Dio spaventa, mentre il cattolicesimo ha una visione di comunità, unione, ovvero di riunirsi insieme davanti alla figura di Dio, divenendo una sorta di collante sociale. Quindi siccome la religione cattolica ha una coesione sociale maggiore, fa Venier meno la possibilità dell’individuo di andare incontro all’anomia. Questo ci dimostra che il suicidio, non è nient’altro che una conseguenza ad un fatto sociale, nello specifico è dato dalla mancanza di integrità sociale. Tipologie di suicidio Durkheim individua quattro tipologie di suicidio: 1. Altruistico: il suicidio altruistico si riscontra maggiormente in quelle comunità all’interno delle quali la coesione sociale non solo c’è, ma è esagerata. Dunque l’individuo si sente completamente assorbito da quest’ultima, tanto da dedicare la sua intera vita alla comunità. Esempio: la foresta dei suicidi in Giappone, fu un luogo dove gli anziani si recavano giunti ad una certa età 2. Egoistico: il suicidio egoistico avviene quando l’individuo rifiuta l’integrazione. Esso è maggiormente diffuso tra gli intellettuali in quanto più dissidenti a livello di pensiero, cioè sulla base dei propri principi rifiutano l’integrazione. 3. Anomico: il suicidio anomico è dato dalla mancanza di regole e aspettative sociali (anomia) legata a una diffusa carenza di integrazione sociale. 4. Fatalistico: il suicidio fatalistico viene commesso per sottrarsi a condizioni esistenziali prostranti. Esempio: suicidio compiuto nei campi di concentramento. Homo duplex: l’essere umano da solo e l’essere umano in società L’uomo stando dentro alla società esprime le sue qualità migliori e costruttive. La società è così il bene che influenza l’essere umano, facendolo diventare buono. Senza la società l’individuo sarebbe in balia delle sue passioni egoistiche, inoltre sarebbe privo di quelle forze che danno senso alla sua vita. La società possiamo così affermare che salva e migliora la vita del singolo, dunque è una visione laica del ruolo che svolge la religione. Essa svolge così un’azione salvifica nei confronti dell’individuo. Il mutamento sociale Il tema centrale relativo al rapporto società e individui viene denominato da Durkheim come il problema dell’ordine sociale. Egli infatti è interessato a definire le condizioni di esistenza della società, cercando di teorizzare la preesistenza rispetto agli individui, e la sua capacità di condizionare ed orientarne i comportamenti. Se riuscirà potrà proseguire con il suo secondo scopo: rendere la società un corpo unico, dove vi sono forze che tengono uniti gli uni agli altri, che nel lessico durkhemiano definiamo solidarietà sociale. Di essa Durkheim ne individua di due tipologie, che corrispondono grosso modo a due tipologie di organizzazione sociale: SOCIETÀ TRADIZIONALI→ società di tipo meccanico; SOCIETÀ MODERNE→ società di tipo organico. Esempio: ( lm visionato in classe) Il lm riporta lo stile di vita di una comunità che potremmo de nire: chiusa, isolato, ecc. in questa breve sequenza abbiamo visto una serie di elementi sui quali gravita la vita di questo gruppo. Essi sono: - Il lavoro, che appare in una forma primitiva poiché privo di tecnologie moderne. Non è diversi cato, cioè rimane invariato per tutta la durata del lm. Si tratta di attività svolte collaborativa mente, e senza distinzione tra attività lavorativa e vita privata. - Gli anziani svolgono il principale ruolo politico - Il funerale da intendersi come un rito. Esso non è l’unico presente nella clip, di fatti a quest’ultimo segue un pranzo a cui partecipa la comunità nel suo intero. Dunque possiamo comprendere che esso sia un segno di unione. I riti sono fondamentali per una comunità, in quanto si riconosce come tale in questi momenti che sono andati man mano a perdersi. - La scuola luogo dove si riuniscono gli anziani e dove i bambini is recano per studiare. Il maestro non fa però lezioni convenzionali, ma particolari, ad esempio chiede ai bambini di osservare un animale morto e giungere a delle ipotetica cause alla sua morte. La scuola tramanda così alle nuove generazioni un pensiero collettivo di tipo religioso (soprannaturale), ovvero che quel ritrovamento sia dovuto ad un fattore sociale ovvero alle creature innominabili. Il maestro si assicura che tra le nuove generazioni siano presenti alcuni vali e capisaldi di quella cultura. La scuola funge così da trasmettitrice. La comunità è una forma di vita in cui non ci sono ancora istituzioni vere e proprie, ma degli embrioni di istituzioni come scuola, il lavoro collettivo ecc., si tratta così di una forma di vita non ancora di erenziata, una totalità in cui si conoscono tutti e in cui prevalgono legami primari fondati sulla religione. Contrariamente ciò che produce la modernizzazione è la spaccatura di questo stile di vita, che ha delle irreversibili conseguenze sulla coesione. Società meccanica Il termine meccanico è stato utilizzato da Durkheim perché stare in una comunità è qualcosa di meccanico, dunque la nostra sorte è fortemente legata agli altri. Nelle società di questo tipo, esiste una solidarietà meccanica, ovvero l’unità tra le persone è qualcosa di scontato, infatti la coesione è l’elemento che predomina in quest’ultima e per questo non vi è una significativa differenziazione sociale. Da questa caratteristica deriva anche la mancanza di un’elevata differenziazione del lavoro sociale. Infatti in una comunità rurale, la vita è molto semplice, le esigenze sono poche e quindi i lavori sono poco differenziati. Vediamo così che è il bene collettivo a prevalere sull’interesse individuale. La coscienza collettiva in questo tipo di società è più forte. Società organiche o moderne Il termine organico è stato scelto da Durkheim perché come l’organismo, anche la società per funzionare al meglio ha bisogno di individui che si specializzino in un preciso contesto. Ciò implica una differenziazione, che Durkheim chiama divisione del lavoro sociale. La specializzazione crea complementarità, pur differenziandosi la coesione è data dalla complementarità che la rende maggiormente fragile. La solidarietà, quindi, viene dalle differenze poiché gli individui hanno bisogno del contributo di un numero crescente di altri individui per riuscire a funzionare o sopravvivere. Società da meccanica ad organica Le società passano da meccaniche a organiche perché aumenta la densità dinamica, cioè essa è data dall’aumento del numero di persone e dal numero delle loro interazioni in una società fi fi ff fi fi fi (competizione per le risorse). Quando un numero sempre più grande di individui interagisce con sempre maggiore frequenza gli uni con gli altri, la densità dinamica tende a crescere fino al punto di comportare un mutamento nella solidarietà meccanica in quella organica. Durkheim rifiuta l’idea che alla base delle trasformazioni sociali vi sia un conflitto, come invece sosterranno Weber e Marx. Essi saranno per questo deficit conflittualisti mentre Durkheim sarà riformista. MARX WEBER Weber è un sociologo conflittualista, ovvero secondo lui la società non è una realtà compatta, ma è costituita da una pluralità di gruppi che si discostano tra loro, entrando talvolta anche in conflitto. Weber assume così una visione plurale della società, in cui ha anche molto peso alla politica, considerata una risorsa scarsa in quanto non tutti ne posseggono la medesima quantità, per questo gli individui entrano in conflitto per conquistarne un pezzo più grande. Egli parlò anche di dimensione culturale nello studio della società, e di: - Razionalità: è «il sociologo della razionalità». - Religione (negli aspetti sia culturali sia organizzativi) - Economia (capitalismo) - Potere - Metodologia delle scienze «storico-sociali» (aveva intuito la necessità del dialogo tra le diverse discipline che si occupano del «mondo degli esseri umani») La sociologia come studio dell’azione sociale Per Weber la sociologia è da intendere come lo studio dell’azione sociale. Per comprendere meglio è essenziale fare una distinzione tra comportamento e azione. Se il Comportamento avviene in modo automatico, l'azione è invece un processo consapevole. Nello specifico le azioni sono quelle situazioni in cui le persone attribuiscono un significato a quello che fanno. Se per Durkheim l’individuo è un agito dalla società, per Weber invece l’unica «entità» in grado di agire è l’attore sociale ovvero l’individuo, colto nella sua soggettività «agente». Si definisce sociale l’azione: A. Dotata di senso (intenzione consapevole dell’attore che la segue). B. Che tiene conto dell’altrui agire (configurandosi quindi come interazione). C. Gli altri di cui si tiene conto non devono per forza essere fisicamente presenti nel momento in cui l’attore sociale agisce. Dunque azione sociale ≠ comportamento. L’azione sociale è un azione dotata di senso, avente delle conseguenze sullo studio della sociologia. Comportamentismo: Durkheim vs. Weber Il comportamentismo è una corrente sociologica che studia come l’individuo risponda in modo condizionato ad uno stimolo (esempio: esperimento Pavlov sulla salivazione del cane alla vista della ciotola). Vi sono diverse idee circa il rapporto stimolo-risposta. Weber ad esempio sostiene che tra lo stimolo e la risposta vi siano alcuni fattori come il senso. Esso è il significato che l’attore aggiunge soggettivamente nella sua azione (anche dietro la stessa azione visibile le motivazioni possono essere diverse da soggetto a soggetto). Questo vale anche se al posto di un soggetto poniamo una regola o una legge sociale. La mia risposta, dunque, non è mai una diretta in quanto si contrappone sempre un elemento che potremmo definire di senso, cioè il valore che attribuisco a questo stimolo influenzerà la mia risposta. Il fatto che vi sia un elemento simbolico garantisce il fatto che, non possiamo mai essere sicuri di come andranno le cose, causando una mancanza che Weber sottolinea contrariamente al modello durkhemiano. Infatti Durkheim sosteneva che la risposta ad uno stimolo è univoca e determinabile dall’osservatore, in quanto è possibile osservarla dall’esterno. Così il punto crociale che differenzia questi due studiosi è lo studio del senso che il soggetto mette nell’azione che svolge, rendendo così il comportamento un’azione sociale. Secondo Weber questi significati che l’attore attribuisce alla sua azione vivono nella cultura. Essi infatti sono in parte privati, poiché derivano da esperienze personali, ma sono anche in parte pubbliche poiché si tratta di elementi culturali condividi. Per questo potrei tentare di dare una spiegazione all’azione dell’individuo tenendo in considerazione gli elementi culturali condivisi. Condividendo la stessa cultura, automaticamente, rischio di fraintendere il meno possibile quanto fatto dagli individui che ne fanno parte. Secondo Weber bisogna però anche essere consapevoli del fatto che dinanzi ad un fenomeno, gli individui rispondano diversamente. Per questo di fronte alla varietà della risposta, il sociologo deve provare a fare delle generalizzazioni, cioè deve trovare l’idealtipo. L’idealtipo La sociologia (contrariamente a ciò che sosteneva durkheim) non può coniare leggi certe, ma solamente leggi probabilistiche condizionali, che hanno come base non la realtà ma gli idealtipi. L’idealtipo secondo Weber è un modello astratto della realtà , una semplificazione generale, ma prodotta a partire dallo studio dei singoli soggetti. Esso lo potremmo definire come una sorta di caricatura, nella quale viene colto quell’aspetto che possa riassumere i tuoi tratti. Tipologie di azione: razionale e automatiche Weber ha individuato quattro tipologie di azioni che stanno alla base degli ideal tipi: 1. Azione razionale secondo lo scopo: anche i fini vengono liberamente scelti dal soggetto che compie l’azione. Dunque ci poniamo il problema di come collegare i mezzi e i fini per giungere al nostro obiettivo. 2. Azione razionale secondo il valore: il soggetto che agisce sceglie i mezzi per ottemperare a un determinato valore. 3. Azione secondo gli effetti: l’attore agisce in preda alle emozioni, agli stati d’animo, però secondo Weber è al di fuori di sé. 4. Azione secondo la tradizione: l’attore quasi meccanicamente in virtù di schemi che si ripetono costantemente nel tempo. Secondo Weber solamente le prime due azioni possono essere considerate sociali, in quanto razionali; di conseguenza la sociologia deve basare le sue analisi primariamente su questi due tipi di azione. Questo perché la terza e la quarta avvengono in base a meccanismi automatici he non richiedono la riflessione e la consapevolezza del soggetto. Un esempio di studio: il rapporto con la religione cattolica La chiesa cattolica definisce, con il suo catechismo e il magistero, il crostiamo cattolico autentico stabilendo chi “dio”, cosa “precetti e norme”, come “pratica religiosa”, con chi credere “appartenenza alla chiesa”. Da un punto di vista durkhemiano, ci sono quindi “i buoni cristiani cattolici” cioè tutti coloro che si riconoscono e mettono in pratica il modello definirò dalla chiesa, oppure i cristiani cattolici meno autentici, cioè l’insieme di coloro che si discostano dalla norma. La chiesa cerca così di fare in modo che tutti siano assimilati il più possibile al modello del cristiano cattolico. Da un punto di vista weberiano, invece, certamente esistano cristiani autentici come definiti dalla chiesa, ma ci sono anche tanti modi di vivere la religione in modo personale e ciò non significa che essi abbiano meno valore o rilevanza. Si tratta quindi, di studiarli nello specifico così da affiancare questi idealtipi a quello del cristiano autentico. Ad esempio la sociologia ha identificato: Religiosi puri Religiosi e spirituali Spirituali ma non religiosi Essi sono idealtipi che possono essere usati per classificare il rapporto con la religione. Per Weber inoltre differente non significa solamente devianza. O meno per la chiesa coloro che si distaccano dalla religione pura sono devianti, mentre per Weber questi individui sono differenti, cioè hanno creato un loro modo per conoscere la religione. Potere e Potenza La potenza è il potere esercitato illegittimamente, cioè senza che il “dominato” riconosca il “diritto” da parte del dominatore ad esercitare il suo dominio. Il potere, invece, è sempre legittimo, anche se possono cambiare le ragioni alla base di questa legittimità. Come vedremo queste ragioni possono essere di tre tipi: I. Carismatico II. Tradizionale III. Razionale legale Secondo Weber lo Stato è l’unica entità a poter usare in maniera legittima anche la violenza, per questo egli afferma che lo stato ha il monopolio della violenza. Il potere carismatico Nel caso del potere carismatico, si accetta il potere del leader sulla base della convinzione che quest’ultimo possieda doti straordinarie, eccezionali, in alcuni casi «quasi divine». Centrale quindi per la legittimazione di questo potere sono Ie qualità del leader. Esempio: Figure importanti aventi un potere come il papa Il potere tradizionale Nel caso del potere tradizionale, il leader è legittimato a esercitare il suo potere per il fatto che proviene da una famiglia o da una dinastia che lo ha sempre esercitato, da tempo quasi immemore. E' quindi il potere tipico anzitutto delle monarchie ma ovviamente non solo. Ad esempio in alcune comunità premoderne, vige la regola non scritta secondo la quale il potere spetta, appunto «per tradizione», ai più anziani. Esempio: la regina Elisabetta ha potuto esercitare il suo potere in quanto appartenenza ad una determinata stirpe Il potere razionale legale Nel caso del potere razionale-legale, il leader è legittimato a esercitare il suo potere per il fatto che esiste un sistema scritto, codificato e formale che lo investe di questo potere (Esempio: la democrazia italiana ed europea). Questo è il potere tipico dello stato nelle società moderne industriali e delle democrazie moderne, dove chi occupa posizioni di potere lo fa in virtù del fatto che esiste un sistema di regole e procedure (il suffragio universale) che ne consentono l'elezione. Tale sistema di regole è «impersonale» e consente in linea di principio, a chiunque di poter essere eletto tramite libere elezioni. Chi comanda lo fa, quindi, in virtù del ruolo delle organizzazioni, che Weber chiamerà «burocratica». Per lui la burocrazia era un termine positivo e moderno, in quanto stava ad indicare la presenza di un struttura che permetteva il funzionamento della società basandosi su regole razionali e precise. In genere, laddove esiste una procedura elettorale e un organigramma siamo in presenza di un potere razionale-legale. La burocrazia per Weber Per Weber il termine burocrazia assumeva una connotazione positiva, poiché percepita come il sinonimo di modernità/modernizzazione. Per lui la burocrazia dà un ordinamento razionale e impersonale alla società, in quanto consente di farla funzionare sulla base di principi e regole razionali, e non sui poteri personali, o sugli arbitri individuali. I principi che Weber individua nella burocrazia sono: 1. Spersonalizzazione dell’ufficio e primato della legge —> conta maggiormente la norma rispetto il carisma di un individuo; 2. Criterio della competenza 3. Criterio gerarchico 4. Specializzazione La burocrazia possiamo così intenderla come la massima incarnazione dell’azione razionale secondo lo scopo o i fini/mezzi. In questo modo, secondo Weber, gli individui sono facilitati a raggiungere gli obiettivi, cioè la burocrazia riduce la “gabbia d’acciaio” che comprime l’individuo, la sua libertà, e la sua creatività. Weber e il mutamento sociale Anche per Weber la società va incontro ad un cambiamento, modernizzandosi. Per Weber modernizzarsi significa razionalizzazione; quindi andare incontro ad un processo di modernizzazione significa diventare sempre più razionali. Le ragioni di questo processo devono così essere ricercate: 1. Burocrazia 2. Capitalismo —> spinge l’azione “mezzi/fine” alle sue estreme conseguenze, perché nell’economia capitalista tutto è calcolato e studiato con la massima efficienza. Questo perché nel capitalismo l’obiettivo principale è quello di arricchirsi, dunque in qualche modo bisogna spingere il sistema sociale verso ciò. Il fenomeno della razionalizzazione produce l’effetto che Weber chiama “disincantamento del mondo”, cioè scegliendo questa direzione rinuncerò alle conoscenze fondate sulla cultura e sulla religione. Evoluzione sociale secondo Weber La società si evolve verso forme di razionalità formale crescente che portano alla razionalizzazione e burocratizzazione. Due elementi che coincidono con la modernizzazione. KARL MARX Marx è un altro grande autore della sociologia, ma anche di molte altre sfere come la filosofia, la politica ecc. Egli ha origini tedesche, nasce nel 1818 e muore nel 1883 a Londra. Lo ricordiamo per il suo grande contributo dato alla sociologia economica e alla sociologia del lavoro. E’ riconosciuto fondamentalmente in questi due ambiti per i suoi studi che si concentrarono soprattutto sui rapporti di produzione, cioè la Struttura della società. La Struttura è costituita dal sistema economico e di produzione, mentre tutto ciò che ne sta al di fuori è denominata Sovrastruttura. Il lavoro per Marx non è un concetto astratto, ma è strettamente legato ai legami dunque alla Struttura che nella fattispecie è l’economia. Dato che la centralità del suo pensiero è il rapporto di produzione ed economico, il suo approccio viene denominato materialismo storico. Il valore del lavoro come processo di trasformazione Analizzando la centralità della società e nello specifico la struttura, Marx capisce che bisogna innanzitutto delimitare qual’è il rapporto dell’uomo con la Struttura. Per Marx lo sviluppo tecnico non emancipa l’uomo dall’imbruttimento, anzi imbruttisce altri aspetti della sua vita in quanto è l’uomo stesso a creare tale condizione. Bisogna così partire dal presupposto che per l’autore il lavoro è quell’attività con la quale chi produce e costruisce concretamente un prodotto modella il suo potenziale umano, perché nella realizzazione dell’oggetto è come se ci mettesse un pezzo di sé, cioè il suo potenziale. Una volta conclusa l’opera il produttore può decidere se usufruirne lui stesso, alimentandosi con la propria creatività ed il proprio potenziale. Il potenziale umano Il potenziale umano non sempre ha trovato nel corso della storia il modo corretto per esprimersi. Per Marx ciò succede spesso nelle società antiche a causa della durezza delle condizioni di vita (le energie sono spese per sopravvivere). Contrariamente nelle società moderne, invece, il potenziale umano non riesce ad esprimersi perché in una dimensione di tipo A, il soggetto produce e crea qualcosa tramite cui può esprimersi ma anche di cui può goderne. In un’altra dimensione, cioè B, la produzione viene in qualche modo interrotto perché il soggetto produce l’oggetto concreto, che non gli ritorna ma viene esportato, questo processo prende il nome di oggettivazione. Così facendo è come se il plus valore, venga esportato assieme all’oggetto, facendo suscitare nell’individuo un sentimento di alienazione. L’alienazione è il mancato riconoscimento dell’individuo nell’oggetto, sentirsi incompleti perché il pezzo messo nell’oggetto è stato portato via. Esistono due cicli circa l’uso del proprio potenziale: 1. La circolarità produttiva virtuosa, che realizza il potenziale umano 2. Il sentimento di alienazione nasce nel momento in cui il sentimento di ricongiungimento è bloccato per espropriazione dell’oggetto, che fa rimanere il “pezzo” di artigiano nell’oggetto. L’alienazione L’alienazione è costituita da quattro dimensioni date dal capitalismo, infatti l’operaio è alienato: 1. Rispetto al prodotto del suo lavoro: non decide lui cosa produrre o il destino del prodotto, perché non detiene alcun potere di controllo in quanto è nelle mani del capitalista. 2. Rispetto alla sua attività produttiva: il lavoro non è più espressione e della proprietà ma diventa un’attività funzionale alla sopravvivenza fisica. 3. Rispetto alla propria essenza: l’uomo regredisce a livello quasi bestiale; non provando più alcuna soddisfazione nel lavoro ma solo ciò che sta al di fuori di esso. 4. Rispetto ai rapporti con le altre persone: i rapporti con le altre persone sono regolarti dalle leggi dell’economia capitalista e non liberamente costruite. Il capitalista acquista il nostro lavoro e ciò fa si, che noi stessi diventiamo una merce. Il sistema capitalista (da alienazione a sfruttamento) All’interno della sua opera più importa, “Il capitale”, Marx riporta il suo ragionamento che scardina l’economia classica come un fatto naturale, in quanto il mondo esiste e funziona grazie alle sue leggi. Il sistema capitalista dunque segue il sistema della Domanda, Merce e Denaro D M D1 Investimento di Merce (prodotto Denaro ricavato denaro, anche sotto da vendere sul dalla vendita di forma di materia mercato) M prime, macchinari, Forza lavoro Per il capitalismo D1 deve sempre essere maggiore di D. Questo differenza si chiama “profitto” ed è quello che cerca il capitalista. Una volta ottenuto il capitalista prosegue cronologico la sua massimizzazione. Differenza idea Weber e Marx La differenza tra Weber e Marx è che la ricerca del profitto nasce da un imperativo di tipo etico, quasi religioso. In quanto ill capitalista è colui che continua ad investire, non godendosi la vita, in quanto sfoga la sua inquietudine con questa attività. Inquietudine che nasce dal bisogno di essere tra i salvati di Dio. Il mondo weberiano vede nel capitalista un individuo che cerca in tutti i modi di risultare efficiente, per questo trasforma la società. Marx riconosce lo stesso processo, ma con un’idea più spietata del capitalista, cioè lo vede come uno sfruttatore. Ottenere la massimizzazione dal pro tto Occorre fare riferimento alla teoria classica del valore, in base al quale il valore della merce M dipende dalla quantità di lavoro impiegato per la sua produzione (cioè di fatto di tutti quei processi di trasformazione che portano a produrre M). La tecnologia dimezza i tempi di produzione, però al contempo non produce un aumento di valore, ma anzi dimezza il valore unitario della merce stessa. Questo perché il tempo prima dedicato alla produzione di 1 oggetto ora ne consente la produzione di 2. In questo modo aumento i pezzi fi prodotti, ma il profitto rimane lo stesso (e si abbassa il prezzo unitario dell'oggetto; se vendo 2 sedie guadagno lo stesso che guadagnavo prima). Per produrre profitto al capitalista non resta che agire sul costo del lavoro, (e che è un altro fattore di produzione del valore) diminuendolo. II capitalista farà quindi lavorare l'operaio per più tempo, rispetto a quello che gli riconoscerà economicamente (salario di sussistenza). Questo surplus di valore generato dal lavoro in più dell'operalo si chiama PLUSVALORE ed è ciò di cui il capitalista si appropria indebitamente. Il proletariato accetterà questa situazione di oggettivo sfruttamento, perché esiste il sottoproletariato, cioè l’ESERCITO INDUSTRIALE DI RISERVA. In poche parole, se il proletariato uno, non accetta le condizioni di lavoro proposte, non sarà un problema per il capitalista in quanto ce n’è un secondo che le accetterà. Perché il capitalismo è destinato a implodere (per auto-contraddizione): IL SAGGIO DI PROFITTO Saggio di profitto= PV/(V+C) è Il rapporto tra Il profitto (D-M-D1) e il capitale investito In questa formula: Pv= plusvalore V=capitale variablle (salario riconosciuto agli operai) C=capitale costante (investimento in macchinari) PV non può aumentare, perché le ore lavorative sono già al massimo (o comunque prima o poi ci arrivano). Anche ridurre V è impossibile perché i salari sono già a livello di sussistenza (a meno di investire in tecnologia (se ti metto in condizioni di lavorare più velocemente, consumi meno energie e ti devo pagare di meno...) Ma questo farebbe aumentare C. Però può accadere che operai più organizzati (es. sindacalmente) riescano a spuntare V più alto, oppure che la concorrenza costringa il capitalista a investire di più in C. Per far fronte a questo calo del saggio di profitto, aumenterà la produzione e si arriverà a crisi per saturazione del mercato, dalla quale solo le imprese più forti (ma numericamente minoritarie) riescono a sopravvivere. La divisione in classi della società secondo Marx ha solo due classi, stratificate sulla base economica: Il ruolo dell’ideologia ammantare la realtà di idee che nascondano e giustificano la realtà così come è veramente. Riassunto primi due autori: GEORG SIMMEL Georg Simmel lo possiamo considerare un autore eclettico ed inattuale (al suo tempo). Con il termine inattuale intendiamo che il suo era uno sguardo anticipato, cioè con il suo pensiero non era apprezzato poiché “moderno” rispetto al clima intellettuale dei sui contemporanei. Per questo era poco compreso ed apprezzato. Simmel ebbe delle difficoltà date dalla sua origine, in quanto ebreo, e perché veniva considerato eclettico, cioè privo di specializzazione, anche se egli ha un proprio pensiero / un suo centro ovvero la metropoli. La sua sociologia può essere così soprannominata: metropolitana. Per Simmel la metropoli è una segno sfera, cioè un insieme di segni comunicativi ma anche di elementi confusionari. Per lui la città è un luogo da cui non si può prescindere. La metropoli la potremmo definire la vita dello spirito, in quanto ha degli effetti sulla nostra personalità e sulle nostre scelte. Possiamo così definirla come un bombardamento di stimoli, che bisogna saper gestire in modo da diventare, come sosteneva Simmel, un “blasé” cioè colui che cerca e che riesce a restare distaccato da stimoli che dovrebbero stimolarci stimoli, talvolta anche forti. La metropoli La metropoli possiamo considerarla il centro della modernità, in quanto al suo interno avvengono i fenomeni sociali che più interessano la sociologia di Simmel. Nella metropoli la vita quotidiana è considerata al centro della scena, in quanto ci attirano le sue possibilità infinite legate al fatto che molti individui diversi tra loro si concentrano in uno spazio limitato. Spazio caratterizzato al contempo anche dalla “banalità” e dall’elevato numero di interazioni e di possibilità. In questa struttura la vita si fa veloce, frenetica, così come le stesse interazioni che si combinano e ricombinano. Nascono nuovi stili di vita, nuove abitudini, nuovi costumi, nuovi bisogni e nuovi consumi prima impensabili, e tra queste novità Simmel si sofferma soprattutto sulla moda (tipico fenomeno metropolitano). Simmel è uno dei primi studiosi di moda, che capì con maggiore profondità e lucidità le logiche che si celano dietro a questo fenomeno. Egli capì che la moda ha qualcosa che interessa il collettivo, in quanto risponde ad un bisogno intrepidamente sociale. Vivere in società significa assorbire delle attitudini, delle esigenze ed altro che nascono in quanto viviamo in questo contesto. La moda per lui non era solamente un modo ostentare la propria ricchezza, ma era un modo per sentirsi parte di un gruppo. Questo bisogno viene denominato da Simmel bisogno d’appartenenza, che entra in contrastato con un altro bisogno, quello di distinguersi dagli altri. In un contesto in cui siamo a rischio solitudine, sradicamento e anonimato, quindi, in un contesto che rischia di farci perdere l’identità, la moda diviene quel criterio con cui riusciamo, a livello simbolico, a costruirci delle identità o dei nuclei di distinzione. L’ultimo punto di riflessione di Simmel, sulla metropoli, è che davanti al cambiamento e a questa immensa quantità di stimoli l’individuo deve farsi blasé, cioè deve cercare di restare distaccato da questi cambiamenti. Infine nella metropolitana aumenta la micete sociale, cioè cambiano i concetti di vicinanza e lontananza. In questo contesto appare la figura dello straniero, a cui dedica tre paginette del suo libro “Sociologia”, si tratta di uno degli excursus più noti di Simmel perché leggendolo ci viene semplice comprendere la sua sociologia. Dalla società alla Socievolezza Contrariamente ad altri studiosi, Simmel parte da una dimensione micro ovvero inizia i suoi studi partendo dall’individuo che, secondo lui, è dotato a priori di questa capacità di socievolezza, una sporta di istinto alla comunicazione. La socievolezza per lui è la base dei nostri legami sociali, dunque quest’ultimi si creano perché alla base c’è questa base. L’interesse di Simmel, è che posto che siamo relazionamente aperti gli uni agli altri, quali forme di relazione possono generarsi a partire da questo nostro orientarci all’altro? La sociologia di Simmel è una delle primissime sociologie dell’incontro dell’altro, per questo diventa una sorta di mappatura di ciò che lui denomina: forme di sociazione, cioè i tipi di interazione che possono nascere all’interno delle nostre relazioni. Attraverso una metafora possiamo spiegare ciò che interessa a Simmel fosse interessato non tanto ai singoli individui, intesi da lui come atomi, ma alla loro caratteristica, in questo caso la loro capacità di creare dei legami in modo da poter realizzare diverse tipologie di molecole. Infatti in base al legame che si crea, si genereranno diverse tipologie di molecole. Simmel è anche convinto che a livello di principio sia possibile che in una società micro, si possano formare delle istituzioni macro attraverso un processo di combinazione molecolare. Siccome a Simmel interessano questi aspetti e queste forme che le relazioni assumono, la sua sociologia è stata definita formale, perché interessata alle forme delle nostre relazioni quindi non si preoccupa tanto delle forme di legame che si creano tra le persone. La sociologia di Simmel potremmo anche definirla come una sociologia geometrica, in quanto la variabile dello spazio non è indifferente al modo in cui le nostre relazioni possono prendere forma, ma anzi questa variabile è a sua volta influenzata dalle relazioni che diventano dei ruoli fisici. Esiste così una sorta di circolarità tra: il modo in cui diamo forma alla relazioni, in quanto influenza la forma allo spazio fisico, che a sua volta influenza la forma della nostra relazione-interazione. Altra componente fondamentale che entra in gioco nelle relazioni è il processo di categorizzazione, cioè le nostre relazioni dipendono fortemente dai nostri contenuti mentali, cioè dai concetti che utilizziamo per definire la nostra esperienza. Giunge così alla conclusione che le relazioni sono influenzate dal modo in cui ci rappresentiamo mentalmente la realtà. Tale rappresentazione non viene però realizzata dall’ individuo da solo, ma in un contesto di gruppo. Sociologia geometrica: Le gure / forme minime Esistono alcuni aspetti detti formali, che sono essenziali nel modellare la dinamica delle nostre relazioni, parliamo così di diade e triade. Esse rappresentano le differenze, in termini di relazioni, che possono nascere all’interno di gruppi costituiti da due o tre persone. Una sostanziale differenza tra i due gruppi, è che la triade è più complessa e dinamica rispetto alla diade, in quanto in quest’ultima si verificano più varietà di situazioni. Altra distinzione è che, nel legame a due, non si verificherà mai la situazione del gruppo contro il singolo, dove nascono figure che in una diade non si potrebbero formare. Queste figure sono: - Il paciere ovvero colui che cerca di riportare la pace - Il sobillatore è l’individuo che, notando una maggiore vicinanza tra gli altri due individui della triade, cercherà di creare scompiglio nel loro rapporto in modo tale da creare discordia. fi Queste riflessioni possono essere applicate anche a gruppi più ampi. Ampiezza dei gruppi, libertà e controllo sociale Simmel si domandò se un individuo si sentisse maggiormente libero all’interno di un gruppo esteso oppure in un gruppo più ristretto. Il problema che vuole studiare, è come l’ampiezza di un gruppo influisce sul comportamento individuale a partire dal grado di libertà che percepiamo all’interno del gruppo. Pluri-collocazione sociale Simmel intuisce che, nella società moderna, il soggetto sarebbe stato sempre più pluri-collocato cioè sono aumentate le cerchie sociali alle quali lui/lei appartiene. Non è detto che le cerchie a un apparteniamo siano simili tra loro poiché possiamo, come diceva Goffman, indossare una maschera a seconda della situazione in cui ci ritroviamo. Questo al contempo aumenta la libertà dell’individuo, dove può assumere identità diverse grazie alle diverse sfere che non prendono il mio tutto. Il problema che può nascere, è che, in caso di conflitto tra più sfere l’individuo deve scegliere come comportarsi. Per questo l’ideale sarebbe quella di mandatele una distanza tra i vari gruppi, cioè mantenere una disgregazione. Simmel e l’anticipazione dei Network analysis, e concetti di capitale sociale bonding e bringing Simmel anticipò la realtà dei network, in cui l’individuo non appartiene a nessuno se non ad una rete dentro alla quale costruisce relazioni diverse, denominate rete egocentrata. Possiamo così parlare di capitale sociale, inteso come l’insieme delle relazioni di fiducia che ciascuno invidio possiede. Di quest’ultimo ne esistono due tipologie: Capitale Sociale Bonding —> è un legame forte ed identitaria che fondamentalmente può essere paragonato a quello della famiglia, una comunità, o una amicizia importante. Sono tutte quelle relazioni che si fondano su una fiducia totale. Il vantaggio di questo legame è che dà stabilità ed appartenenza all’individuo. Al contempo però, tende a farci chiudere, cioè ci fa attuare un processo di selezione così da instaurare legami solamente con coloro che riteniamo simili a noi. Capitale Sociale Bringing —> tra gli individui che fanno parte al nostro gruppo Bond ci potrebbero essere alcuni che sono per motivi professionali, ad esempio, collegati ad un altro tipo di rete. Attraverso quest’ultimi riusciamo così a metterci in contatto tra due isole bond. Questo legame viene definito da alcuni come un legame debole, però dal punto di vista strategico questo legame mi permette di accedere ad altre realtà. Un altro studioso Granovetter, parla della forza del legame debole, quindi il modo in cui moltiplicando le nostre cerchie sociali di appartenenza, aumentiamo la possibilità creare legami di tipo bond e viceversa, cioè più aumenteranno i legami di tipo bond, maggiori saranno le possibilità di avere dei legami di tipo bridge. In qualche modo Simmel capisce che, la modernità avrebbe portato un diverso tipo di legame sociale in cui più che la densità emotiva, identitaria o comunitaria, si sarebbero formati legami più laschi, lunghi, molto più bridge e meno bond. In quanto la società è diventata sempre più simile ad una rete, dove il legame bridge risulta più importante del bond. Termini come bond e bridge non sono stati inventati da Simmel, ma sono nati sulla base delle sue riflessioni. Lo straniero: excursus di Simmel Lo straniero è un termine odiernamente utilizzato per intendere, colui che vive in un paese diverso rispetto le sue origini. Simmel attribuisce a questo termine un ulteriore significato: [“Se il migrare, come distacco da ogni punto spaziale dato, costituisce il termine di paragone rispetto al ssarsi in un tale punto, allora la de nizione sociologica dello « straniero » rappresenta , per così dire, l’unità di tutte e due le de nizioni – certamente rivelando anche qui che il rapporto verso lo spazio è solo, da una parte, la condizione mentre, dall’altra parte, è il simbolo dei rapporti verso le persone.” ] Simmel ci sta dicendo che, attraverso la figura dello straniero, capisco qualche cosa dello spazio e, del ruolo che ha nel definire/modellare le relazioni tra le persone. [Qui lo straniero non viene inteso, nel senso nora spesso accennato, come il viandante, che viene oggi e domani se ne va, ma come quello che viene oggi e poi domani rimane – per così dire il viaggiatore potenziale, il quale, nonostante non abbia continuato a spostarsi, non ha ancora superato del tutto quel sentimento del distacco proprio di colui che arriva e riparte. Egli è ssato all’interno di un determinato ambito spaziale – o un ambito, i cui limiti determinati sono analoghi a quelli spaziali; la sua posizione però viene essenzialmente determinata dal fatto che egli non vi appartiene sin dall’inizio, dal fatto che egli inserisce in tale spazio delle qualità che non ne derivano e non possono derivarne.] Lo straniero è colui che si è spostato, avvicinandosi ad un altro luogo, dove ha deciso di stanziarsi. Questo da vita ad una doppia situazione: da un lato la novità data dal nuovo contesto, ma dall’altro lato si stabilisce in un luogo con cui non ha condiviso la storia fin dall’origine. Quindi tenderà ad inserire in questo nuovo contesto degli elementi di novità in quanto non permeato con quelli appartenenti al luogo. [L’unità di vicinanza e di lontananza, che ogni rapporto tra gli uomini sottintende, ha raggiunto qui una costellazione, che si può formulare nel modo più breve in questo modo: la distanza all’interno del rapporto signi ca che la persona vicina è lontana, l’essere straniero, invece, signi ca che la persona lontana è vicina.] Simmel sta affermando che la figura dello straniero ci permette di comprendere i rapporti tra gli esseri umani sono definiti da un mix di vicinanza e lontananza. Prima dello straniero queste due dimensioni non esistevano, o almeno così credevamo. Per questo per comprendere a pieno le nostre relazioni dobbiamo tenere conto di queste due dimensioni diverse, tra loro disgiunte. Questo riguarda qualsiasi rapporto tra le varie categorie sociali, non soltanto con lo straniero. Simmel ci insegna che lo straniero non è un termine indicante una categoria, ma è il risultante di un individuo che vorrebbe entrare nel gruppo, presentando delle differenze iniziali. Il Noi collettivo Simmel vuole farci capire che la società funziona come una realtà dinamica, che cambia e si evolve. Essa ha al centro un “Noi” collettivo definito da: una sua identità comune, valori, significati convinsi, e una cultura. All’interno di una cultura di gruppo, però, abbiamo degli strumenti concettuali attraverso il cui organizziamo la nostra esperienza, cioè il mondo che sta al di fuori dei confini del nostro noi. Queste categorie le utilizziamo per organizzare la realtà a noi esterna, nello specifico gli altri cadendo nelle nostre categorie possono essere visti come distanti o distanti dal nostro “Noi”. In questo caso l’idea di straniero, forzando l’idea di Simmel, possiamo dire che è un prodotto del Noi, perché reagisce alle logiche del Noi di avvicinamento ed allontanamento. Vi sono due tipi di strategie applicate dal Noi: 1. Simbolico: mantengo una categoria da me distante così da distinguerci da quest’ultimi, e facendo prevalere il mio status. 2. Fisico: la distanza simbolica può incarnarsi in un mantenere una distanza fisica. fi fi fi fi fi fi fi Ad esempio in alcuni locali o discoteche, vi è una vera e propria selezione all’ingresso. Trasformando così il termine L’esclusivo dall’essere una forma di distanziamento a qualcosa di bello, che ci fa sentire importanti. Importante sapere che i valori del noi possono variare. Ghetto/Ghettizzare Il ghetto urbanisticamente parlando è un quartiere situato agli estremi delle città; i suoi individui essendo isolati tendono a creare delle ideologie autoctone. LA SOCIOLOGIA IN AMERICA La sociologia andando oltre oceano si lascia influenzare, affiancando alle teorie e alle idee dei maestri della tradizione europea, nuovi concetti e visioni. Un esempio è l’idea di metropoli di Simmel, che coniò la definizione pensando alla Berlino del tempo, mentre oltre oceano abbiamo Chicago, una metropoli con le dimensioni ben lontane da quelle europee. Le due correnti della sociologia La prima cosa da tenere a mente è che, giungendo negli Stati Uniti, la sociologia si polarizzata in due linee, che erano già in precedenza consolidate nel precedente continente. Abbiamo una linea che possiamo far risalire ad un’ispirazione di tipo weberiano, dove si collocano tre protagonisti: Blumer, Goffman e Garfinkel. Essi li ricordiamo per via di alcuni eventi, che gli hanno resi nel mondo della sociologia molto celebri. Blumer è ricordato come colui che diede vita a questa scuola di pensiero che aveva come base l’internazionalismo. Gli altri, invece, possiamo definirli in modi differenti in quanto Goffman viene visto come l’inventore dell’approccio drammaturgo, in quanto costruì la sua sociologia utilizzando metafore teatrali. Infatti paragonò la nostra vita ad una rappresentazione teatrale; infine abbiamo Garfinkel, con la sua etnometodologia. Mentre l’altra corrente citata è quella basata sulle ideologie durkhemiane dove rinveniamo Parsons e Merton. Linea weberiana caratteristiche Questa linea weberiana non è un vero paradigma, ma è un insieme di punti di intersezione cioè sono tutti quegli elementi comuni tra i diversi sociologi, anche se spiegati con differenti parole. Questi elementi sono: - La centralità dell’interazione, tutti gli studiosi della linea weberiana ritengono che l’unità di analisi ed oggetto di studio della sociologia sia l’interazione. Inoltre sono convinti che soltanto, partendo da un approccio micro per poi perseguire al macro, la società può essere studiata nei migliori dei modi. - La definizione e la concezione che hanno dell’interazione è di tipo comunicativo. In qualche modo, sono studiosi, che ci forniscono gli strumenti necessari per mettere a fuoco il processo comunicativo. Colui che spiccherà particolarmente in questa tematica sarà Goffman. - Studiare un interazione comunicativa comporta dare una rilevanza alle situazioni. Questi sociologi percepiscono la vita sociale come un insieme di situazioni quotidiane diverse ed eterogenee, nelle quali siamo quotidianamente immersi. Esse sono considerate azioni essenziali per poter studiare l’individuo. - La vita quotidiana è un insieme di situazioni che, non richiedono competenze ed azioni differenti, ma è una sorta di contenitore di significati, ovvero la possiamo paragonare ad un contenitore delle interpretazioni del mondo pronte all’uso. Essa contiene delle situazioni talmente generali ed evidenti, che le diamo per scontate. - Rilevanza del “taken for granted” , cioè delle cose che diamo per scontato e che consentono alla vita sociale di svolgersi il più possibile senza intoppi. Ad esempio: l’avvenimento della pandemia ha sconvolto la nostra quotidianità. In qualche modo ha azzerato una serie di cose che facevano parte della nostra routine, facendoci riflettere su tutte quelle cose che davano per scontate ma che, ripensandoci, non erano così automatiche. Lo stesso vale per il canale comunicativo, che ha subito un mutamento in quanto è passato dall’essere faccia a faccia, all’essere attraverso un computer. Non abbiamo così bisogno di metterci d’accordo sulle situazioni. E’ anche vero che, basta un interazione della nostra quotidianità per farci prendere atto di quanto sia data per scontata. Tutti questi studiosi daranno un sostanziale peso a questo “dare per scontato”. Garfinkel andrà a cercare tutti quei fattori che interrompono la nostra quotidiana perché solo così possiamo conoscerci e comprendere. Questi studiosi utilizzano come punto di partenza della loro ricerca il metodo qualitativo, in quanto vogliono capire cosa accade nella vita quotidiana, in particolare la sua qualità, per questo le miglior tecnica da impiegare è quella di questa corrente. HERBERT BLUMER A Blumer possiamo attribuire il merito di aver sistematizzato contenuti anticipati da Cooley e Mead. Dunque non esisterebbe la figura di Blumer se non ci fosse stato Mead, che lasciò degli appunti molto confusionari, sistemati e resi leggibili dal nostro autore. Interazionalismo simbolico L’interazionalismo simbolico nacque nel 1937. La sua fondazione viene spesso associata alla figura di Blumer, quando, in realtà, era un concetto già precedentemente coniato da Mead ma mai messo in una forma comprensibile. L’interazionalismo simbolico è una corrente di pensiero che vede la società come, un insieme di persone che interagiscono tra loro. Esso esaminando le interazioni tra individui e gruppi di individui è giunto alla conclusione che, il comportamento umano non nasce da una serie di risposte a degli stimoli, ma dall’interpretazione dei significati attribuiti soggettivamente alle sollecitazioni provenienti dalle interazioni umane. L’interazionalismo simbolico riprende l’idea di Weber, secondo cui l’azione sociale è da intendere come quell’azione dotata di senso e compiuta dall’individuo in modo volontario. I nostri autori vogliono riprendere questo concetto di Weber, secondo cui la società è il prodotto degli scambi relazionali, mentre ciò che interessa a Blumer è approfondire il processo che sta alla base della costruzione della società, vuole capire come nascono e come avvengono questi scambi. L’altro aspetto che si occupano di studiare, non è soltanto il significato degli scambi per la società, ma anche ciò che significano per l’individuo, cercano di comprendere come gli scambi influenzano la personalità e la singolarità. Ci offrono così una visione del soggetto che Blumer, sulle teorie di Mead denominerà il sé. Il sé è il soggetto in grado di auto osservarsi ed interagire con se stesso. Mead: interazione tra gesti L’idea di interazione sociale fatta propria da Blumer, è quella di Mead, che identifica nella società umana due forme o livelli di interazione sociale: la conversazione dei gesti e l’uso di simboli significanti. La conversazione dei gesti per Mead è quando si risponde automaticamente senza interpretazioni, - questo modello è soprattutto utilizzato dagli animali ma talvolta anche nel mondo degli esseri umani - mentre il secondo concette riprende il primo ma vi aggiunge l’interpretazione dell’azione. Il significato diventa così il punto di inizio della nostra conversazione. Inoltre Mead sosteneva che, l’individuo crea il proprio sé e le proprie azioni in relazione con gli altri, in un continuo processo di codifica e decodifica. Ad esempio: il soggetto 1 deve scegliere un termine che, abbia un significato corrispondente a ciò che intende e che sia inserito in un sistema di significati. Soltanto così, una volta che il messaggio giungerà al soggetto 2, potrà essere decodificato. Il problema è che, non tutti intendiamo nello stesso modo i termini utilizzati, infatti il termine verrà rielaborato secondo la sua idea. La comunicazione, diventa così un processo che accadde in modo molto semplice, ma che può essere vittima di fallimento. La comunicazione è dunque una condivisione di significati che, però, devono essere interpretati nel medesimo modo, per non essere soggetti a fraintendimenti. Ad esempio: se abbiamo due personaggi aventi un visione divergente del medesimo soggetto, la comunicazione che otterremo sarà caratterizzata da due modi diversi di vedere la stessa cosa, ma nonostante questo non finirà in discussione ma in accettazione. Questa accettazione della visione di un medesimo elemento in due modi contraddittori prende il nome di negoziazione, cioè gli attori sociali negoziano tra loro i significati. Inoltre se è vero che, le nostre interazioni producono significati, allora è anche vero che accade il contrario. Vi sono però alcuni gesti e segni presenti nella nostra cultura, il cui significato deve essere decodificato per forza da tutti nello stesso modo. Cooley ed il sé ri esso Gli altri individui ci riferiscono in modo indiretto o diretto delle informazioni, in risposta ad un nostro atteggiamento. Tutte queste espressioni vengono, in un secondo momento, reinterpretate/ decodificate dal soggetto protagonista, che costruirà un’idea circa quanto gli è stato detto. Ad esempio, taglio i capelli, mi fanno i complimenti, cerco di capire se sono complimenti sinceri oppure no. Cooley denomina questo prosecco con il termine sé riflesso, in quanto il soggetto mette l’oggetto in se stesso, cioè diventa l’oggetto. Questo movimento riflessivo indica un movimento di ritorno (esce dagli altri), per essere fatta propria dal singolo e poi reindirizzata. In base alla mia possibilità di confrontarmi con gli altri possono capire qualcosa di me stesso. Il riconoscimento diventa qualcosa di più profondo, in quanto le nostre qualità possiamo riconoscerle solamente perché qualcun altro ce lo riferisce. Dunque il se riflesso si realizza nel momento in cui ci troviamo inseriti all’interno di una rete di relazioni. Il narcisista Partendo da questa riflessione possiamo parlare di narcisismo, in quanto nasce dal sottrarsi alla dinamica dei “sé riflesso” come una conversazione con l’altro e con la società. Il narcisista è una persona molto sicura di sé, si sente superiore agli altri, e questa condizione lo porta a non necessitare dell’opinione altrui. Il narcisista risponde così a due caratteristiche: - essere incline alla depressione - Auto glorificazione Rispecchia questi due elementi in quanto vive al di fuori di un autentica dinamica di riferimento, cioè si crede il migliore, ma nel momento in cui gli viene mostrato di non essere quanto pensa cade in una sorta di depressione. Io, Me e Sè: Mead Mead sostiene che vi sono due dimensioni in noi molto diverse: l’io ed il me, mentre il sé per Mead non è nient’altro che l’essere aperti al mondo. fl Mead ci spiega che l’io è il nostro essere aperti al mondo, risultando la nostra componente più originale. Il me invece, è la nostra parte più costrittiva, cioè come devo apparire e comportarmi in società. Mead ci sta cosi dicendo che, dentro la nostra personalità c’è una parte di società, cioè l’insieme dei giudizi, le opinioni e i feedback che gli altri danno di noi. Nel me ci sono così delle persone concrete che definiamo “altro concreto”. La loro opinione conta molto per noi, dunque tenderemo ad ascoltarle e ad accettare le loro idee. Mentre l’altra categoria è da lui denominata “altro generalizzato” ovvero un tu con il quale dialoghiamo (noi stessi), che è molto astratta. Questo processo secondo Mead inizia già nella prima infanzia. Dal suo punto di vista questa struttura del se ci fa capire che, alla fine noi non siamo mai veramente soli, ma anche per esprimere le mie idee più personali o per comunicare le nostre emozioni più intime abbiamo bisogno di una parte pubblica, ovvero per dire chi siamo e cosa facciamo necessitiamo di un altro individuo che ci capisca. Una società priva di un linguaggio comune è inutile, per questo necessitiamo di un linguaggio sociale che ci renda un essere sociale. In sostanza Mead definisce il nostro sé come conversazione, in quanto siamo in grado di conversare contemporaneamente sia con la società che con noi stessi. Dunque secondo mead la società si rinnova per questo, in quanto è in grado di apportare delle modifiche in noi. Le tre fasi di sviluppo Mead ha suddiviso lo sviluppo dell’uomo in tre tappe. I. Imitazione —> il bambino/a tenderà ad imitare quanto visto anche senza conoscere il significato del gesto. II. Play —> il gioco possiamo definirlo come una tappa importante in quanto durante questa fase, il bambino inizia ad articolare l’Io ed il Me. Per sviluppare queste due sfere il bambino si improvvisa in diversi ruoli, cioè si proietta al di fuori della sua persona assumendo un altra identità e proiettando quanto vissuto nel gioco, che prende il nome di simboli. Il bambino inizia a capire che ci sono dei ruoli. III. Game —> Il bambino capisce che ci sono delle aspettative nei suoi confronti e che il gioco dipende anche dal suo farsene carico (in base al ruolo) capisce inoltre che per dare significato alla sua azione deve tenere conto di un insieme articolato e complesso di ruoli contemporaneamente. Questa presa di consapevolezza si rafforzerà durante l’ultima tappa cioè il Game, dove la dinamica relazione diventa più complessa perché gli altri hanno delle aspettative su di me, in quanto le mie azioni avranno delle conseguenze su loro. ALFRED SHUTZ Alfred Shutz nasce a Vienna nel 1899 e muore a New York nel 1959. Le sue ideologie appartengono alla fenomenologia sociale, una corrente nata da una filosofia e il cui principio fondante è di partire da ciò che ci appare come più evidente, più comune e naturale. Si tratta così dello studio della realtà primaria. Grazie a Shutz sarà introdotto nel radar degli studi sociali il concetto di senso comune, concetto fondamentale dei suoi studi. Alla stessa scuola aderiranno i suoi discepoli Berger e Luckmann, i quali scriveranno l'importante saggio "La realtà come costruzione sociale", ma anche autori come Habermas si collocherà entro questa corrente. Caratteristiche salienti - Critica a Weber e all'azione/attore razionale (secondo lo scopo) Come un po’ tutta la sociologia nord americana della linea weberiana, si parte dal grande maestro tedesco Weber andando poi oltre. Anche Shutz si pone i medesimi problemi che caratterizzano l’interazionalismo simbolico, ovvero: perché ci intendiamo, come facciamo a capirci, come facciamo a comprenderci ecc. Altro aspetto che lo accomuna anche ad altri è, lo stare nello spirito weberiano, ma movendo delle critiche. Le azioni razionali non sono le più rilevanti nel costruire la società e il suo ordine e anche l'attore sociale non si comporta spesso da lucido esecutore di una catena mezzi-fini (a volte si rende conto solo a posteriori del senso della sua azione). Nella società e nella costruzione del suo ordine prevalgono invece le routine della vita quotidiana. E’ a queste che Schutz rivolge la sua attenzione prevalente. In buona sostanza nella vita quotidiana, siamo permeati dal senso comune, cioè quell’insieme di significati, valori, norme e simboli. Quest'ultimo è un atteggiamento pratico secondo il quale possiamo dare per scontato il senso di tante cose e il fatto che bene o male ci appare (quasi) uguale per tutti (intersoggettivo). Nella vita quotidiana, quando agiamo secondo il senso comune, il nostro approccio al mondo è di tipo pratico-intuitivo. In quanto è orientato all'intendersi, «capiamo al volo», che dona fluidità alla nostra vita sociale. Proprio per questo, se viviamo la quotidianità tuffandoci nel senso comune, il mondo ci appare a-problematico (quindi dotato di una sua «evidenza»). Il senso comune è l'insieme di tutte quelle cose che diamo per scontato. Esempio: se invito qualcuno a cena è normale che cucinerò qualcosa Shutz però precisa che, la nostra vita, non è totalmente costituita dal senso comunque. Se il mondo non è un insieme di fatti oggettivi ma richiede la nostra interpretazione, il mondo della vita quotidiana con il suo senso comune è la "realtà preminente". Egli ci dice che, se esiste una realtà preminente, allora significa che esistono anche altre sfere di realtà che lui chiama "province finite di significato", ovvero dei mondi paralleli che hanno una loro specificità. Le province nite di signi cato Shutz sostiene che esistono anche altre sfere di realtà che chiama provincie finite di significato, cioè dei mondi paralleli che hanno una loro specificità. Si tratta di un mondo non dotato di senso comune, in quanto nulla è dato per scontato. Nelle provincie di significato rinveniamo la: - Scienza - Immaginazione - Religione Shutz è convinto che tutte le provincie finte di significato siano focalizzate su un solo aspetto e quindi sono finite, ed, in secondo luogo, quando entriamo in una provincia finita di significato abbiamo l'impressione di scavalcare una soglia che possono essere scandite da pratiche concrete. Quindi, mentre nella nostra vita quotidiana applichiamo un atteggiamento pratico nei confronti del mondo, quando entriamo in queste province tale atteggiamento muta, venendo meno. Esempio: varcare la soglia di un edificio sacro. Se entriamo in chiesa si ha l'idea di scavalcare una soglia per iniziare ad appartenere a quella realtà. Le tipizzazioni - costrutti di primo livello e costrutti di secondo livello Nella nostra vita quotidiana utilizzavamo delle categorie, ovvero quei l’insieme di quei concetti utilizzati per classificare la realtà. Secondo Schultz, nella nostra vita quotidiana, non siamo altro che dei categorizzatori, cioè il nostro senso comune è dato dal categorizzare i vari elmetti della realtà. Anche il sociologo, nel suo mestiere, costruisce delle categorie che Schultz si denomina tipizzazioni. Secondo Schultz, quando lo scienziato costruisce le tipizzazioni deve cercare di renderle comprensibili anche all'attore sociale, che deve poterle riconoscere come effettive nel descrivere la sua esperienza. In questo senso si parla di costrutti di primo livello (tipizzazioni fi fi   costruite e utilizzate dall'attore sociale) e costrutti di secondo livello (tipizzazione costruite e utilizzate dallo scienziato sociale). Lo straniero Shutz scriverà un opera denominata “Lo straniero”. Al suo interno ci viene presentata questa figura come il caso limite, cioè chiunque può esserlo in base alle categorie. Lo straniero è anche colui che ci fa comprendere come, le cose che diamo per scontato nella fattispecie non lo sono. ERVING GOFFMAN Idee generali: Goffman ha costruito una sociologia, per quanto influenzato da coloro che l’hanno preciderò, così specifica ed originale che viene collocarlo per certi aspetti nell’interazionalismo simbolico, anche se in modo molto peculiare, in quanto trasforma alcuni di questi elementi in modo originale. La sociologia di Goffman possiamo coì dire essere caratterizzata da un approccio detto «drammaturgico», perché chiaramente impostato su metafore e dinamiche teatrali. Per Goffman l'attore sociale è a tutti gli effetti un attore drammaturgico. Egli fa così uso della metafora del teatro per spiegare la struttura della vita. Se per Shutz il teatro avrebbe rappresentato una provincia finita di significato, in quanto è un mondo caratterizzato dalla finzione che però accettiamo, entrandoci e facendo nostre le esperienze. Goffman non percepisce così il teatro, per lui questo è la rappresentazione della nostra vita, in cui il Sé (termine ripreso da Cooley/Mead) è come un attore su un palcoscenico. Questo palcoscenico è la vita quotidiana, o meglio le sue numerose e spesso effimere «situazioni». Ogni situazione secondo l’autore ha la sua drammaturgia e rappresenta una piccola opera teatrale a se stante. Il fatto che noi recitiamo una parte, quindi che la vita sociale consista nello stare dentro alcune situazioni, non significa che siamo dei mentitori che fanno determinate azioni con il fine di ingannare, ma siamo degli attori e questo nostro aspetto non può essere soppresso. Ribalta (scena) e retroscena Goffman individua due zone nelle quali avvengono diverse situazioni, cioè la ribalta e il retroscena. Due elementi distinti da un diverso regime della visibilità, e che possono essere sia spazi reali (proprio come a teatro) che spazi simbolici. D'altro conto gli attori approfitteranno sempre dello stesso spazio e del controllo su di esso per aiutarsi a tenere distinti questi due luoghi. Esempio: Esame universitario —> La scena dello studente è far vedere che è preparato, mentre nel retroscena terrà delle cose che non è il caso di mostrare, come il fatto che non sa alcuni argomenti. Quanto interagiamo, quindi, proprio per il fatto di essere con altri, si creano due spazi: uno spazio pubblico che mostriamo agli altri, e uno spazio privato che teniamo per noi e non mostriamo. È come a teatro che si ha la scena e il retroscena, noi vediamo lo spettacolo ma non sappiamo cosa succede dietro alle quinte. Possiamo così dire che non siamo noi a scegliere che faccia a mostrare, ma è il contesto e al società ad influenzarci. Nulla vieta all’individuo di mettere in atto altre facce ma questo comporterebbe la sua auto esclusione. Per Goffman la situazione è il principale fattore di influenza. Da un lato lo possiamo considerare un autore durkhemiano in quanto i fatti sociali influenzano il nostro comportamento, ma vi è anche questa componente strutturale nella quale le componenti della situazione ci consigliano quale siano i migliori atteggiamenti da mettere in pratica. Situazione sociale - frames Ma come possiamo capire quale atteggiamento mettere in atto nella situazione in cui ci troviamo? Goffman si pone tale dilemma trovando risposta in un processo denominato situazione sociale. La situazione sociale ci illustra che, una rappresentazione per avere luogo è fondamentale necessita di due o più attori condividano il senso dato alla medesima rappresentazione (situazione sociale). Questo processo è chiamato da Goffman frames. I frames sono solitamente strutturati e vivono “già formati” nella nostra cultura e, quando sono molto forti e utilizzati, si incarnano in luoghi fisici reali. Capire, come osservatore, una situazione alla quale ci accostiamo significa non solo coglierne il “frame” ma anche i principali keys, cioè i più specifici aspetti di quel frame. L’osservatore deve così entrare nella scena, sostenendola ed entrando nel meccanismo perché solamente così può renderla una realtà effettiva. Esempio: video mimi che giocano a tennis. Il fotografo ha deciso di condividere il contesto della situazione, dunque di partecipare al frame, anche se assurdo. I frame per Goffman possono essere di due tipologie : - Cognitive - Etiche-sociali: galateo, buone maniere, ecc Ci permettono di capire che significato attribuire alla situazione, così da comportarci in modo consono. Per far sì che ciò funzioni è importante che tutti condividano il medesimo frame. I frame girano nella nostra cultura, talvolta sono così forti è consuetudine da essersi trasformati in cose. Però sta al singolo individui scegliere se usarli o meno. Si tratta di qualcosa di molto pratico e pragmatico. Il problema inizia quando gli individui non capiscono il frame, o quando non è chiaro. - Mancata intesa sul frame Come anticipato, talvolta il frame può non essere inteso, dunque l’individuo può far notare un comportamento che secondo lui non è consono, anche se in quel momento è giusto. Semplicemente non è stato accettato per via di una mancata corretta rielaborazione del frame. - Mancata chiarezza del frame In tal caso l’individuo può ritrovarsi in una situazione in cui non sa quale comportamento mettere in atto. L’individuo tenta di comprendere quale atteggiamento mettere in atto, ma facendo risultare la situazione come “forzata”. La forza di frame dipende anche dagli strumenti di cui dispongo per sostenerlo. Parliamo così di materialities, cioè degli aspetti materiali che caratterizzano la nostra quotidianità. Talvolta i frame possono anche risiedere nelle nuove tecnologie, cioè negli strumenti di cui disponiamo per sostenerlo. Inoltre, ogni luogo contiene una sorta di giudizio comportamentale su chi lo frequenta. Stigma e istituzioni totali Stigma e istituti on totali sono due concetti particolarmente utilizzati nello studio sociologico dei fenomeni devianti. Il primo viene tratto dall’operato Stigma, mentre il secondo dall’opera Asylum. Lo stigma è, innanzitutto, una sorta di etichetta che attribuiamo agli altri individui. Si tratta di un’etichetta tendenzialmente negativa, ciò comporta che la mancata esistenza di stigma positivi anche se usati/creati nel parlato. Lo sigma possiamo così definirlo come: “un’attributo che mostra una discrepanza, rispetto al complesso di attribuì considerati normali cioè ordinari e naturali da un gruppo”. Può diventare talvolta totalizzante, cioè la persona a cui attribuiamo una determinata etichetta viene vista solamente sotto quell’aspetto. In altre parole, queso attributo dissonante diventa quello principale che utilizziamo per definire il soggetto in questione (viene “assolutizzato” è caricato di significato). Gli attributi che stigmatizziamo vengono scelti solitamente tra i tratti fisici, etico-morali, o religiosi; per questo ciascuno di noi è fortemente soggetto a sigma. Goffman sostiene che lo stigma tende a realizzarsi perché a partire da esso si organizzano i modi in cui trattiamo l’altro facendolo, alla fine, diventare ciò che lo stigma dice di esso. In questo caso è una sorta di profezia che si auto-adempie. Lo stigma viene anche interpretato come una sorta di meccanismo che porta l’individuo ad assumere un’atteggiamento congruo all’etichetta che gli viene attribuita. Tale meccanismo prende il nome di teoria dell’etichettamento. Istituzioni totali Le istituzioni totali sono dei luoghi dall’elevato controllo sociale, nel Yale non è possibile per chi vi appartiene, avere un retroscena, quindi uno spazio di libertà. sono dei luoghi che totalizzano la vita dell’individuo. Queste istituzioni sono dette totali perché totalizzano la vita di chi si trova al suo interno, ovvero tutta la vita delle persone che vi ridono si svolger al loro interno. Per tale motivo le istituzioni sono protette ed isolate dall’eterno da rigidissimi sistemi di controllo

Use Quizgecko on...
Browser
Browser