Summary

This document is a textbook chapter on the sociology of law, focusing on its definition, general sociological perspectives, and the work of key figures like Weber and Durkheim. It explores the difference between the perspective of a legal scholar and a sociologist towards law. The text also looks at general sociological ways of thinking about social behavior, and the systems view in sociology.

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Silvia Dell’Orletta SOCIOLOGIA del DIRITTO LIBRO: “Lineamenti di sociologia del diritto” Capitolo primo: La sociologia del diritto 1. Definizione e oggetto Sociologia del diritto=scienza che studia il diritto come modalità d'azi...

Silvia Dell’Orletta SOCIOLOGIA del DIRITTO LIBRO: “Lineamenti di sociologia del diritto” Capitolo primo: La sociologia del diritto 1. Definizione e oggetto Sociologia del diritto=scienza che studia il diritto come modalità d'azione sociale. Essa rappresenta una branca della sociologia, ma dotata di un alto grado di autonomia. Infatti, la sociologia del diritto: - condivide con la sociologia concetti fondamentali, tematiche e metodi d'indagine, - ma deve adattare tutto ciò alle peculiarità del diritto. E, in realtà, la sociologia del diritto ha origini molto più antiche della sociologia come scienza, risalente alla metà dell’800. Il sociologo del diritto affronta il suo oggetto - il diritto - da una prospettiva differente rispetto a quella del “giurista positivo” che vede il diritto come un elemento costante. Mentre, per il sociologo, il diritto è una variabile, da considerare in relazione ad altre variabili influenti sull'azione umana. Esempio: legge n. 898 del 1970, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, il cui testo originario prevedeva la possibilità di chiedere lo scioglimento del matrimonio civile o la cessazione degli effetti civili del matrimonio canonico per effetto dell'ininterrotta separazione coniugale, di fatto o legale, purché nel primo caso fossero trascorsi almeno due anni prima dell'entrata in vigore della legge e, nel secondo caso, fosse trascorso un cospicuo lasso temporale a partire dalla comparizione dei coniugi in tribunale: cinque anni in via generale, sei o sette quando vi fosse l'opposizione della controparte e ricorressero particolari circostanze. Di fronte a questa norma, il compito del giurista è risolvere i quesiti interpretativi che essa pone e indicarne l'interpretazione teoricamente più corretta. Es.: 1. Cosa si intende per «separazione di fatto» e con quali prove va dimostrata? 2. La locuzione «comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione» implica un ricongiungimento fisico e spirituale protrattosi per qualche tempo o può bastare un fuggevole incontro? Il giurista affronterà questo compito interpretativo avendo riguardo a: 1. lettera della norma in questione, 2. «ratio», 3. rapporti con altre norme, 4. principi generali dell'ordinamento. Ben diverso, riguardo alla stessa norma, è il compito del sociologo del diritto, il quale si chiederà, ad esempio, se la norma in questione, teoricamente finalizzata a sollecitare ripensamenti da parte dei coniugi separati, abbia davvero prodotto questo effetto. Constaterà allora che, sebbene l'indice di divorzialità degli italiani sia stato sin dall'inizio fra i più bassi d'Europa, la riconciliazione di coniugi separati è un evento del tutto eccezionale, tanto da far pensare che quel termine non abbia pressoché mai suscitato ripensamenti. Per converso, si chiederà se la previsione di un termine tanto lungo non abbia indotto molti coniugi separati e non divorziati a dar luogo a convivenze more uxorio con nuovi partner e Silvia Dell’Orletta così contribuito a indebolire il significato sociale dell'istituto del matrimonio, andando in senso opposto rispetto alle intenzioni del legislatore. Il sociologo del diritto cercherà di rispondere a questi quesiti attingendo a conoscenze già accumulate o svolgendo una personale ricerca con le tecniche appropriate, apportando nuovi contributi alla teoria di riferimento. ⇒ Dunque, mentre il giurista positivo svolge un compito al contempo teorico e pratico, descrittivo e prescrittivo, il sociologo del diritto svolge un compito esclusivamente teorico e descrittivo. Egli non è infatti chiamato ad indicare la corretta via da seguire, ma solo ad informare: ossia a stabilire correlazioni tra fenomeni e a darne una spiegazione teorica. Partendo da queste informazioni offerte dai sociologi, i giuristi ed i politici potranno, poi, assumere decisioni. 2. Visioni sociologiche generali La sociologia, le cui basi furono poste da Auguste Comte, nell’800, si ispira al positivismo filosofico. Fondamento di questa corrente era l'affermazione dell'unità metodologica di tutte le scienze e la riconduzione della stessa filosofia a scienza. In questo quadro, la sociologia fu concepita come lo studio scientifico dei comportamenti sociali, volto a dare spiegazioni nomologiche (=scoprire le leggi che governano i comportamenti sociali). Tale modo di pensare, tipico di un periodo caratterizzato da grande fiducia nel progresso e nelle capacità umane, era condiviso, sia pure con differenze, anche da altre correnti di pensiero, es. quella marxista. Benché alcuni fondamenti di questo sistema di pensiero siano rimasti fermi - es. l'importanza dell'osservazione - altri sono stati messi in discussione dalla fine dell'Ottocento: 1. l'idea che la conoscenza dei fenomeni sociali possa muovere induttivamente dal concreto all'astratto, dal singolo fenomeno alle «leggi» sotto cui dovrebbe ricadere; 2. la pretesa di condurre lo studio dei comportamenti umani secondo il modello delle scienze naturali è stata ridimensionata⇒ i fatti sociali non sono come i fenomeni naturali perché dipendono da atti di volontà dei soggetti agenti e, dunque, possono, a differenza degli eventi naturali, sottrarsi alle previsioni sulla loro ricorrenza. ⇒ In breve, i comportamenti umani, si muovono nei limiti non amplissimi dell'ambiente naturale ma, entro questi limiti, sono liberi: non sono atti meccanici, ma azioni che i soggetti pongono in essere per qualche motivazione, con un qualche obiettivo e attribuendogli un certo significato. Osservazioni di questo genere hanno indotto alcuni pensatori - es. Benedetto Croce e Giovanni Gentile - a negare tout court che si potesse dar luogo a una scienza sociologica. Su queste basi, il tedesco Max Weber (1864-1920), ha fondato una sociologia incentrata sul concetto di azione e definita «comprendente», in quanto volta a: 1. «comprendere l'azione umana secondo il suo senso» 2. «spiegarla causalmente nel suo corso», cioè secondo le concatenazioni di cause ed effetti, 3. formulare «leggi generali», ma basate su semplici correlazioni statistiche e capaci di suggerire previsioni non certe, ma probabilistiche. Weber elaborò i «tipi ideali» o «ideal-tipi» per indirizzare la comprensione dell'azione umana. 2 Silvia Dell’Orletta Muovendo dal principio che la conoscenza umana procede in modo deduttivo dall'astratto al concreto, lo studioso decide di osservare le forme concrete di azione sulla base di categorie concettuali astratte, elaborate prima di iniziare l'osservazione. Un es. di questo modo di procedere riguarda il concetto di «agire sociale», che può essere ricondotto a quattro tipi ideali: 1. l'agire razionale rispetto alla scopo, che mira a conseguire finalità coerenti con i mezzi di cui l'attore dispone; 2. l'agire razionale rispetto al valore, che mira alla realizzazione di valori o ideali in cui il soggetto crede, indipendentemente dalle conseguenze materiali; 3. l'agire tradizionale, che il soggetto compie «per abitudine acquisita», riproducendo irrazionalmente modelli costantemente ripetuti; 4. l'agire affettivo, che il soggetto compie dando voce a sentimenti o stati d'animo irrazionali. Questa classificazione costituisce, per il sociologo, un binario entro cui condurre l'osservazione delle forme concrete di azione, che egli riporterà al modello astratto cui più si avvicinano, anche se nessuna potrà mai identificarsi appieno con un modello. Weber ha compiuto un’analoga operazione con molti altri concetti sociologici sino a dar luogo a una teoria sociologica sistematica che si presenta come una grande galleria di tipologie ideali. Weber pervenne a questa ridefinizione dell'oggetto e dei compiti della sociologia sulla base della convinzione che la sociologia sia qualitativamente diversa dalle scienze naturali. Questa convinzione è oggi meno diffusa, poiché è possibile stabilire una linea comune fra scienze «naturali» e scienze umane. Infatti, accanto alle differenze evidenziate da Weber, esistono anche sostanziali convergenze fra i due campi del pensiero scientifico. Es. la prospettiva sistemica, che è presente sia nelle scienze naturali, che nelle scienze umane. Un sistema è un «complesso di elementi interagenti». Qualsiasi oggetto di studio può essere rappresentato come sistema: - l'individuo vivente, in quanto composto da organi che funzionano coordinatamente secondo un programma inscritto nel suo codice genetico; - la città, in quanto insieme coordinato di elementi fisico-materiali e culturali; - il pianeta Terra, rappresentabile come un sistema di eco-sistemi, composti ognuno da una moltitudine di elementi; ecc. La sociologia ha da subito adottato una prospettiva sistemica: era comune tra i sociologi ottocenteschi l'idea che gli aggregati sociali siano costituiti da elementi fra loro interagenti e interdipendenti. Nel corso del ‘900, tale prospettiva sistemica è stata più o meno seguita a seconda delle diverse correnti di pensiero e dei diversi momenti storico-politici. Il modo più rigido con cui la visione sistemica ha trovato applicazione in sociologia si ritrova nella corrente funzionalistica, fondata sull'idea che ogni società umana sia costituita da un insieme di elementi interagenti, ognuno dei quali coopera, attraverso le sue funzioni, al benessere del sistema complessivo. 3 Silvia Dell’Orletta Questa prospettiva, i cui primi fondamenti teorici si ritrovano nella opera di Emile Durkheim, viene sviluppata da molti autori del ‘900, fra cui Talcott Parsons e Niklas Luhmann. Si tratta di due studiosi che risentono fortemente dell'influenza di Weber, in quanto insistono sul carattere culturale e simbolico dell'interazione umana, e rappresentano l'uno la continuazione dell'altro: ma nel passaggio dall'uno all'altro avvengono alcuni mutamenti di rilievo. Parsons, come Durkheim, rappresenta ogni società come un aggregato di «attori sociali» che interagiscono rispondendo ad aspettative connesse agli status e ai ruoli che ricoprono nella società. Essere genitore, coniuge, politico, insegnante, ecc. suscita aspettative sia da parte del soggetto interessato, sia da parte di coloro che entrano in relazione con esso. Questi status e ruoli, che si presentano come fasci di aspettative e di norme sociali convergenti su ciascun soggetto, costituiscono per Parsons la struttura di base del sistema sociale. Essi possono, però, entrare in conflitto fra loro e un singolo individuo che ricopra più ruoli può vivere interiormente dei conflitti di ruolo molto aspri. In generale, tuttavia, grazie all'organizzazione sociale complessiva e alle istituzioni in cui essa si articola - famiglia, scuola, organismi politici, economici, giuridici - i diversi ruoli cooperano al mantenimento della struttura nel suo stato migliore. Ogni istituzione, si presenta, dunque, come un sistema parziale d'azione che, svolgendo le proprie funzioni, coopera armonicamente con altri sistemi, mantenendo il sistema complessivo in equilibrio: per es., secondo Parsons, il sistema giuridico svolge una funzione «integrativa», in quanto, rendendo più sicuri e meno conflittuali i rapporti fra i ruoli, favorisce la coesione sociale. Questa visione, nata negli anni del New Deal, fu accusata di rappresentare in forme scientifiche, ma al tempo stesso edulcorate, il «sogno americano»: ossia, l'idea di una società armonica, ricca di chances individuali, fondata su un consenso generalizzato attorno a grandi valori, in breve, tendente alla massima perfezione in un mondo imperfetto. Soprattutto alla fine degli anni ’60, essa fu accusata di ignorare diseguaglianze e conflitti che dividono ogni società in gruppi distinti e spesso contrapposti. Altre critiche furono mosse contro l'idea-base che ogni elemento del sistema sociale, attraverso le funzioni svolte, cooperi al benessere e all'equilibrio generale, concetti indimostrabili e troppo contaminati da preferenze ideologiche. A queste critiche ha cercato di rispondere Niklas Luhmann, autore che, rispetto a Parsons, ha una più approfondita conoscenza del fenomeno giuridico. La teoria di Luhmann, accogliendo l'insegnamento weberiano, sposta l'attenzione dagli individui che agiscono ai modi simbolici del loro interagire. Così, la società è vista non come un insieme di esseri umani collegati da relazioni di ruolo, ma come una rete di sistemi composti da atti di comunicazione dotati di un senso sociale. Ogni sistema compare come una struttura significativa, indirizzata cioè a conferire un significato alle azioni sociali. Noi viviamo, per Luhmann, in un ambiente: 1. che ci pone continuamente delle sfide e rende incerte le nostre aspettative 2. complesso, in quanto presenta un eccesso di possibilità rispetto a quelle concretamente attuabili, 3. contingente, perché aperto a eventi mutevoli e imprevedibili. 4 Silvia Dell’Orletta Di conseguenza, i sistemi sociali sorgono per orientare le nostre scelte: essi intervengono nell'ambiente per ridurne la complessità e per rendere più stabili le nostre aspettative. Es. il sistema giuridico, discriminando fra ciò che è lecito e ciò che è illecito, permette di stabilizzare le nostre aspettative «più forti», che vengono dedotte in norme, perché sono le aspettative che non siamo disposti ad abbandonare in caso di delusione, e perciò si definiscono normative e si contrappongono alle aspettative cognitive, che siamo, invece, disposti ad abbandonare in caso di delusione. ⇒ Nel passaggio da Parsons a Luhmann si risente la consapevolezza del fatto che la società umana può essere indagata in termini sistemici solo a condizione di attenuare la rigidità concettuale e rifiutare l'idea secondo cui i sistemi sociali sono qualcosa di stabile, «dato» aprioristicamente, chiuso in se stesso. Luhmann raccoglie nella sua teoria molti stimoli in tal senso. Tuttavia, egli mantiene fermi i presupposti più forti della sua visione sistemica. Infatti, come Parsons, sebbene non esplicitamente, egli rappresenta ancora l'organizzazione umana in termini integrativi, come un insieme in cui diversi sistemi sociali cooperano, se non a mantenere un equilibrio, quanto meno a risolvere problemi essenziali della vita sociale. ⇒ Altri autori, negli stessi anni di Luhmann, hanno visioni più aperte. Es. le «teorie del conflitto», che provengono da due filoni: - quello marxista, risalente alla teoria di Karl Marx e Friedrich Engels, - quello liberale, risalente alla teoria economica di Adam Smith, alla teoria politica di John Stuart Mill, alla teoria sociologica di Herbert Spencer e, in tempi più recenti, a Max Weber. Tratto comune tra i due filoni è l'idea che la società umana non sia armonicamente integrata, ma divisa in gruppi contrapposti. La differenza tra i due filoni è che: - il primo rappresenta questa contrapposizione in termini dicotomici, come conflitto fra due classi portatrici di opposti interessi - borghesia e proletariato - e ritiene che questo conflitto possa essere risolto solo attraverso il successo di una classe sull'altra, - il secondo la rappresenta in termini pluralistici, come incontro-scontro fra interessi di molteplici gruppi che si scompongono e si ricompongono e in cui i conflitti possono trovare soluzioni temporanee, senza mai estinguersi. Anche queste teorie, seppure dichiarino di rifiutare la teoria sistemica, ne applicano il nocciolo essenziale, laddove rappresentano le azioni sociali in modo interattivo, cioè in collegamento reciproco. I teorici del conflitto sottolineano, poi, la dipendenza delle istituzioni giuridiche dal potere economico e/o politico e, di conseguenza, il loro volto ambiguo, l'attitudine a sostenere le ragioni ora dei forti, ora dei deboli, a garantire la pace sociale o a fomentare la guerra. Le teorie dell'integrazione e le teorie del conflitto sono teorie macro-sociologiche che guardano la società, nel suo insieme, dall’alto. Invece, le teorie micro-sociologiche, sviluppatesi nel ‘900, esaminano i rapporti sociali più analiticamente, dal basso. Ma anche queste teorie rispettano i fondamenti essenziali della prospettiva sistemica, in quanto esaminano micro-sistemi di relazioni sociali: vita di coppia, famiglia, ecc. Es.: 5 Silvia Dell’Orletta ⇒ la corrente interazionistica, nata a Chicago negli anni ’20, che ha studiato gli aspetti più problematici delle interazioni tra soggetti, spesso determinati dal fatto che essi non conferiscono alle azioni o alle parole lo stesso significato. Queste teorie, le cui assonanze con la teoria weberiana sono evidenti, ebbero molte influenze sulle teorie macro-sociologiche. Infatti, il diritto, dal punto di vista sociologico, è un sistema di atti di comunicazione e buona parte della sua efficacia in una società dipende dal fatto che i soggetti facciano riferimento agli stessi usi linguistici e agli stessi valori delle norme giuridiche. ⇒ la corrente della scelta razionale, è nata sul terreno economico e politico, dove prevale proprio l'azione razionale-strumentale, volta a conseguire il massimo risultato col minimo sforzo. Anche qui l'attenzione s'incentra sul condizionamento reciproco dei soggetti interagenti, che dipende dalle chances di cui essi dispongono e dalle loro capacità di intuire le situazioni e di giocare bene le loro carte: questo accostamento conduce a vedere l'interazione sociale come un gioco con vincitori e vinti. Benché questo metodo abbia dei limiti derivanti dal fatto che non tutti i soggetti agiscono razionalmente, vi sono settori della sociologia in cui esso può essere utile⇒ es. la sociologia del diritto perché: 1. i rapporti giuridici coinvolgono aspetti della vita umana che i soggetti cercano di tutelare con scelte razionali, 2. i sistemi giuridici si ispirano a canoni di razionalità, 3. il diritto presenta forti analogie con il gioco regolato. ⇒ Concludendo, vi sono dei punti comuni fra le diverse correnti di pensiero sociologico: 1. la convinzione che la sociologia presenti un carattere peculiare in quanto il suo oggetto, la società umana, non è un dato obiettivo, ma un costrutto, cioè il frutto di una costruzione culturale cui partecipano tutti gli attori sociali, cioè gli innumerevoli individui che agiscono, cooperano o confliggono, compresi coloro che, nella veste di studiosi, osservano e descrivono scientificamente tali interazioni. Tali attori sociali non solo contribuiscono a delineare le fattezze dell'«oggetto-società», ma, formulando previsioni sul suo sviluppo, contribuiscono a mutarlo. 2. la tendenza ad adottare una prospettiva sistemica elastica e aperta, che parte dal punto di vista dell'interdipendenza di tutti gli elementi di ciascun sistema. In altre parole, i soggetti, rimossi dalla scena nelle versioni più astratte della teoria sociologica funzionalistica, alla Luhmann, vi sono tornati sino a far riscoprire il concetto di società che era stato elaborato, a fine ‘800, da Georg Simmel, il quale intendeva la società come continuo associarsi e interagire fra i soggetti e i sistemi costituiti dalle loro interazioni. 3. Concetti e tematiche fondamentali Ogni sistema d'azione sociale può essere osservato in modo: - sincronico: fotografandolo in un momento specifico⇒ tipo di osservazione statico, - diacronico: filmandolo in movimento⇒ tipo di osservazione dinamico. Questa terminologia risale ad Auguste Comte, fondatore della sociologia. Questa distinzione è artificiosa dato che, come disse Eraclito, «tutto scorre» ed è quindi illusorio «isolare» un momento singolo nel continuo procedere della vita sociale, ma essa permette di: 6 Silvia Dell’Orletta 1. individuare i fattori principali del mutamento sociale 2. distinguere le variabili indipendenti dalle variabili dipendenti di ogni sistema d'azione sociale. ⇒ Differenziazione interna della società Ai fini dell'analisi sincronica della società, il primo quesito che si pone al sociologo è se essa sia, al suo interno, unitaria o differenziata; se l'eventuale differenziazione interna corrisponda a vari ruoli e status; se questa diversità sia rigida o elastica, se cioè i soggetti siano costretti ad accettarla o possano rifiutarla. È un quesito aperto se siano mai esistite società perfettamente egualitarie. L'ideale di una società ugualitaria è ricorrente nella storia umana, sotto forma di ritorno a una primitiva e perduta età dell'oro o di conquista di una perfezione mai raggiunta in passato. Tuttavia, la realtà ha quasi sempre tradito questo ideale. Infatti, anche presso aggregati sociali «semplici», con scarsa differenziazione dei ruoli, vi sono sostanziali differenze di trattamento fra soggetti, per es. in base a forza fisica o potere politico. In sintesi, l'esperienza rivela ovunque una stratificazione sociale, cioè suddivisione delle società in diversi strati o gruppi, in base a vari fattori. Singoli individui possono far parte di diversi gruppi, spesso senza problemi, ma non di rado dovendo fronteggiare conflitti d'identità, che possono imporre scelte drastiche. Infatti, alcuni fattori possono condurre ad aderire totalmente alla vita di un gruppo, abbandonando ogni altra relazione sociale. I gruppi possono essere: - compatibili o repulsivi, - facilmente accessibili o chiusi. Soprattutto in presenza di gruppi chiusi, la stratificazione interna delle società può diventare rigida. Esempi di stratificazione: 1. rigide caste della società indù, a cui gli individui appartengono dalla nascita, indipendentemente dalla loro volontà, e di cui fanno parte sino alla morte senza possibilità di mutare la propria posizione sociale. Tale sistema è sopravvissuto al divieto di discriminazioni castali sancito dalla Costituzione indiana del 1950. 2. nell'Europa medioevale, il sistema feudale contemplava varie posizioni politico-sociali che dall'imperatore scendevano sino alla servitù della gleba, passando per molti strati intermedi. 3. nelle società moderne, secondo le teorie del conflitto permane la suddivisione in classi, gruppi sociali i cui membri sono contraddistinti, a seconda delle teorie, dalla proprietà e controllo dei mezzi di produzione o dal controllo del potere politico. Nonostante il principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini sia sancito da tutte le moderne costituzioni, la stratificazione di classe, ancor oggi, si riscontra nel diverso accesso dei singoli a ruoli, status, ricchezze e potere sociale. 4. nelle società dell'Europa orientale che hanno sperimentato sino alla fine degli anni ‘80 il «socialismo reale», in teoria rivolto all’abolizione della stratificazione di classe, l'accentramento del potere in capo al partito dominante dava luogo ad una ineguale distribuzione di ricchezze che si è resa ben visibile nel momento della crisi di quei regimi. A seconda della rigidità della stratificazione, varia la «mobilità sociale», cioè il passaggio di individui da uno strato all'altro. 7 Silvia Dell’Orletta ⇒ Tale mobilità è un fatto eccezionale nelle società in cui le posizioni sociali sono ascritte, cioè imposte agli individui dalla tradizione o dalla legge. ⇒ L'indice di mobilità sociale, invece, è più alto nelle società in cui le posizioni sociali non sono ascritte, ma scelte volontariamente. Queste società favoriscono i passaggi giuridici-formali da uno strato all'altro, anche se, come avvenuto con le caste indù, ciò non comporta l'eliminazione dei vincoli sostanziali, più resistenti di quelli formali. Inoltre, in tali società libere la mobilità è sia ascendente che discendente: come è più facile salire i gradini della scala sociale, così è più facile scenderli per incapacità o fortune avverse. ⇒ Le istituzioni La parola «istituzione» possiede molti significati in sociologia. Fra questi, secondo quello più consolidato, istituzione=complesso normativo di qualunque genere che struttura durevolmente un campo d'azione sociale. Questa definizione non restringe il concetto di istituzione alle sole istituzioni ufficiali, ma mostra che, anche pratiche sociali ricorrenti, ma meno formali, influenzano le scelte individuali e collettive: infatti, talune abitudini sociali - es. pranzo natalizio - sono «istituzioni» al pari di parlamento, governo, magistratura e, spesso, più convincenti di queste nell'ottenere l'adesione spontanea dei consociati. Uno dei terreni in cui il conflitto sociale è più aspro è il controllo delle istituzioni più rilevanti. Dalle istituzioni è facile passare all'analisi diacronica, che si concentra sui fattori che contribuiscono a modificare l'assetto di una società. Tra questi fattori alcuni presentano un'importanza particolare in quanto presenti, sia pure con diverso peso, in tutte le riflessioni sociologiche. Fattori fondamentali di dinamica sociale: produzione, potere, cultura 1) produzione=insieme delle modalità con cui gli esseri umani, sfruttando le forze naturali con la tecnologia disponibile in ogni momento storico, si procurano le risorse necessarie per la vita, non solo materiale, sul piano individuale e sociale. Vari sociologi hanno conferito al fattore produttivo un primato su ogni altro aspetto della vita sociale: ⇒ Durkheim ha individuato nella divisione del lavoro il fattore che determina il passaggio fra: - società con solidarietà «meccanica», caratterizzate da un basso indice di differenziazione sociale, - società con solidarietà «organica», caratterizzate da una moltitudine di posizioni sociali. ⇒ Marx ha individuato come base della vita sociale il modo di produzione, ossia la combinazione tra: - forze produttive, cioè risorse naturali e conoscenze tecnologiche, - rapporti di produzione, cioè l'organizzazione sociale e giuridica mediante la quale le forze produttive vengono sfruttate. ⇒ il moderno liberalismo, condivide col marxismo, almeno in parte, il riconoscimento dell'importanza dell'organizzazione produttiva: infatti, il suo fulcro è l’homo aeconomicus, ossia il soggetto astratto che produce o scambia beni e servizi ispirandosi al principio della massimizzazione del profitto. 2) potere, elemento su cui marxismo e liberalismo divergono: ⇒ per la teoria marxista, il potere si pone in posizione subordinata rispetto alla sfera economica, dunque l'organizzazione economica è la variabile indipendente e il potere politico è la variabile dipendente; 8 Silvia Dell’Orletta ⇒ per la teoria liberale è un concetto ampio, riguardante sia la sfera economica, sia altre sfere d'azione umana, es. quella politica. Dunque, in questa seconda teoria, il potere è la variabile indipendente. La definizione di potere più ricorrente in sociologia, a partire da Weber, lo configura come la capacità di soggetti individuali o collettivi di ottenere obbedienza da parte di altri soggetti. Questa forma di supremazia si esercita sia nella sfera privata, che nella sfera pubblica. Nell'ambito pubblico, il potere si manifesta soprattutto nella capacità di influenzare scelte che si definiscono «politiche» in quanto coinvolgono i membri di una pólis, cioè una cittadinanza in senso lato. L'importanza di questa forma di potere è tale il concetto ha finito per designare solo il complesso delle prerogative che spettano ai governanti e far dimenticare che anche costoro soggiacciono a poteri, spesso più forti, esercitati in altri settori della vita sociale, es. religioso o economico. In ogni caso, il potere politico è un formidabile strumento di mutamento sociale, la cui rilevanza appare chiara, quando i suoi detentori cercano di occultarlo e lo esercitano in forme indirette, per es. attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione per costruire il consenso sociale e l’«immaginario collettivo». 3) cultura=il complesso di conoscenze, idee, norme, valori, con cui una popolazione conferisce significati al suo vivere quotidiano. È «cultura» anche il modo di sfruttare l'ambiente, di cucinare, di interpretare i segni naturali. Ogni azione umana trae ispirazione dagli elementi del mondo culturale in cui il soggetto si muove. Tra questi elementi, le norme ricoprono un'importanza fondamentale. Esse, infatti, consacrano concezioni e valori in forma prescrittiva. In ogni aggregato sociale, inoltre, sono visibili diverse subculture, cioè culture di gruppi particolari, ora integrati ora divergenti rispetto alla maggioranza. Ai fini del mutamento sociale, è particolarmente importante il ruolo delle subculture. Ovunque: 1. la subcultura femminile si differenzia da quella maschile contribuendo alla dialettica fra i generi, 2. la subcultura giovanile è un potente motore di cambiamento generazionale, 3. tutte le subculture devianti, che esprimono valori concorrenziali rispetto a quelli dominanti, sono alla base del mutamento politico. Infatti, queste subculture danno luogo a movimenti sociali, cioè a iniziative coordinate, in conflitto con altri gruppi più consolidati, volte ad ottenere riconoscimento istituzionale. Ogni movimento sceglie il campo normativo più consono alla tutela dei suoi interessi. Più i movimenti sono vasti, più il campo d'azione che li impegna è quello politico. I movimenti sociali sono un motore rilevante del mutamento sociale. 4. Campi d'indagine e sviluppo della sociologia del diritto La sociologia del diritto studia in che modo il diritto interagisce con altri fattori dell'azione umana. Per far ciò, essa guarda al diritto sia nel suo complesso (interi ordinamenti), sia nelle sue parti (singoli istituti o istituzioni). La sociologia del diritto si occupa: 1. di ogni sistema giuridico e dei suoi rapporti con gli altri sistemi giuridici; 2. delle singole istituzioni giuridiche; 9 Silvia Dell’Orletta 3. del rapporto tra previsioni normative e comportamenti, ossia dei processi decisionali che conducono a definire dei comportamenti leciti o illeciti; 4. dei ruoli coinvolti nei processi di formazione e di applicazione del diritto, quali legislatori, giudici, giuristi, avvocati ecc.; 5. delle opinioni del pubblico sul contenuto e sui valori delle norme giuridiche. Dallo studio di questi problemi, il sociologo del diritto si chiede: 1. In che misura un sistema giuridico riflette la cultura e i valori di una popolazione? 2. Il diritto riflette gli interessi dei gruppi dominanti o contribuisce a controllarli nell'interesse generale? 3. Svolge una funzione irenica, ciò portatrice di pace, o polemogena, cioè fomenta i conflitti? 4. Tempera le disuguaglianze sociali o rafforza la stratificazione esistente? 5. Il diritto è una variabile dipendente o indipendente rispetto alla politica o all'economia? Dunque, la sociologia del diritto apporta un contributo particolare alla riflessione su questioni che sono patrimonio anche di altre discipline a lei affini: 1. la storia del diritto, da cui si distingue perché la sociologia si dedica soprattutto alla realtà presente, senza comunque trascurare il passato, così come un buon storico, del resto, non può trascurare la conoscenza del presente. 2. l’antropologia giuridica, che studia il ruolo della cultura nella formazione e nello sviluppo delle idee giuridiche, assumendo come oggetto privilegiato i diritti di tradizione orale. 3. filosofia del diritto tanto che, in molti paesi, Italia inclusa, la sociologia del diritto è stata frutto di alcune correnti della filosofia del diritto che hanno fondato le loro riflessioni sull'osservazione concreta del fenomeno giuridico. in più, la sociologia si è sviluppata grazie all'apporto di tre correnti di pensiero: 1. sociologia generale, 2. dottrine politiche, 3. scienza giuridica. Secondo Treves, ⇒ le prime due correnti hanno condotto studi di carattere macro-sociologico («il diritto nella società»); ⇒ la terza ha condotto studi di carattere micro-sociologico («la società nel diritto»). Una matura sociologia del diritto si è imposta, nella prima metà del Novecento, solo con quegli studiosi che hanno saputo combinare entrambe queste visioni e costruire una visione complessiva, sia macro-sociologica, sia micro-sociologica. Nella seconda metà del Novecento, quando la sociologia del diritto si è imposta come scienza autonoma e disciplina accademica, vi è, a seconda dei periodi, una prevalenza ora di tematiche macro, ora di micro. È possibile delineare quattro fasi: 1. dopo la seconda guerra mondiale, vi è una forte influenza della sociologia americana, ispirata a un'integrazione fra riflessione teorica ed osservazione empirica dei fenomeni giuridici. 10 Silvia Dell’Orletta Costituito nel 1962 un Comitato di ricerca in sociologia del diritto, studiosi di vari paesi iniziano ricerche sul tema della giustizia. In Italia, la complessa indagine su L'amministrazione della giustizia e la società italiana in trasformazione viene avviata nel 1962 e affidata a Renato Treves. 2. con la fine degli anni ‘60 e le contestazioni, si delinea un approccio più impegnato politicamente. Tale prospettiva, in America, assume caratteri radicali, con il movimento dei «Critical Legal Studies», mentre in Europa si congiunge con la visione marxista. Viene, dunque, proposta una sociologia del diritto impegnata a sostenere le ragioni delle classi subalterne e denunciare modalità e luoghi di controllo sociale. 3. a fine anni ‘70, la contestazione politica si attenua e si ha una ripresa della riflessione teorica. Emblematica di questa svolta in Europa è l'opera di Luhmann, che sviluppa la «grande teorizzazione» di Parsons, dedicando la sua opera al sistema giuridico, visto come sottosistema autonomo del sistema sociale globale. In America, troviamo Friedman, storico e sociologo del diritto. 4. tra fine degli anni ‘80 e inizio degli anni ‘90 si assiste alla nascita di un indirizzo più sensibile: ⇒ all'integrazione fra teoria e ricerca empirica, ⇒ alle innovazioni tecnologiche e ai mutamenti sociali di fine millennio (inquinamento, globalizzazione, migrazioni di massa), ⇒ ai diritti umani. 5. Il metodo La sociologia del diritto condivide con la sociologia il metodo d'indagine, che prevede uno stretto collegamento fra teoria e osservazione empirica. Il sociologo: 1. Parte da una teoria che riguarda il suo oggetto d'indagine, 2. Si pone degli interrogativi, 3. Traduce gli interrogativi in ipotesi, cioè risposte preventive, dettate da: -teoria di riferimento, -conoscenze già acquisite sull'argomento, -intuizioni personali. 4. Predispone le tecniche di ricerca più adatte a verificare le ipotesi. 5. In base alle informazioni ottenute, conferma, corregge o abbandona le ipotesi di partenza. 6. Al termine della ricerca, avrà dunque delle ipotesi più ampie, per ricominciare a osservare a un livello più alto e a riflettere su problemi più generali. Questo procedimento, tipico delle scienze sociali, si differenzia dal procedimento caratteristico della matematica e della logica, perché l’ipotesi matematica è assiomaticamente inconfutabile e conduce, attraverso deduzioni, alla dimostrazione di una tesi. Se la tesi non viene dimostrata, le deduzioni sono errate; se viene dimostrata, il procedimento si chiude. Nelle scienze sociali, al contrario, il procedimento rimane sempre aperto. Si tratta di un percorso «senza fine», unended, come l'ha definito il filosofo Karl Popper, che ha insistito sul fatto che la scienza aspira a rimuovere dubbi, più che a fornire certezze. 11 Silvia Dell’Orletta ⇒ Il primo passo che lo studioso deve compiere è il riferimento a una teoria, preliminare rispetto alla fissazione delle ipotesi e delle tecniche di indagine, perché nessun problema che solleciti la curiosità di un ricercatore si colloca nel vuoto. Anche i problemi più nuovi acquistano senso scientifico se collegati a un universo di conoscenze già accumulate. Naturalmente, più gli argomenti sono nuovi, più è facile che il ricercatore, al termine dell'indagine, apporti variazioni alla teoria. La contrapposizione di teorie scientifiche è spesso dettata dalla necessità, avvertita dagli scienziati, di presentare le proprie visioni teoriche nel modo più «puro» ed estremo. Ma le contrapposizioni tra teorie rivali sono spesso fallaci ed, entro certi limiti, esse sono integrabili e compatibili. La teoria, dunque, è costituita da ipotesi ed è suscettibile di mutamenti. Una teoria che venga assunta come inconfutabilmente vera esce dal mondo scientifico per assumere caratteri metafisici e si espone a confutazioni radicali. Ciò è accaduto in Europa, dopo gli anni ’70, con la teoria marxista, presentata come assolutamente vera, col paradossale risultato che la caduta dei regimi del «socialismo reale» ne ha provocato discredito sociale, travolgendo anche le parti che l'esperienza non aveva confutato. ⇒ In seguito, il ricercatore deve scegliere le tecniche di ricerca empirica, che si suddividono in: - qualitative, in cui il ricercatore si cala nella realtà studiata, ne osserva dall'interno tutti gli aspetti e ne fornisce una descrizione e una spiegazione senza ricorrere a formulazioni numeriche, - quantitative, in cui il ricercatore si colloca in una posizione più distaccata e fornisce le proprie interpretazioni attraverso formulazioni numeriche: ricorrenze statistiche, variabili, ecc La scelta di tecniche qualitative o quantitative dipende dall'impostazione culturale del ricercatore e dall'oggetto della ricerca. Alcune ricerche, per es. su gruppi etnici minoritari, si conducono con campioni di popolazione troppo ridotti perché le osservazioni possano tradursi in dati statistici significativi. Se è possibile rivolgersi a campioni di popolazione più ampi, si preferiranno i metodi quantitativi. ⇒ Le informazioni sono i dati che permettono al ricercatore di formarsi un'opinione. Le fonti delle informazioni possono essere di varia natura: testimonianze o documenti. 1. le testimonianze dei soggetti con cui si entra in contatto. Esse vengono ricavate mediante interviste. Questo metodo, il più ricorrente in sociologia, va commisurato alle caratteristiche degli intervistati e ai rapporti che sussistono fra questi e gli intervistatori. -Se esiste fra questi comunanza di linguaggio e di concetti culturali, sarà più facile utilizzare strumenti artificiali come i questionari. -Se manchino tali requisiti e, per esempio, l'intervistatore debba accostare gli intervistati con l'ausilio di un interprete o di un mediatore culturale, si raccomanderà il ricorso a interviste totalmente libere, i cui risultati saranno raccolti dall'intervistatore con un registratore e trascritti ex post per non turbare gli intervistati. Il dialogo, in questi casi, non sarà strutturato, ma frutto della vita comune che il ricercatore conduce con i gruppi sociali oggetto del suo studio. Le informazioni fornite dagli intervistati possono essere inaffidabili, non necessariamente per mala fede, ma anche, semplicemente, per la normale tendenza delle persone a rappresentare se stesse e i propri simili secondo una percezione influenzata da elementi culturali e psicologici. L’identità di ognuno di noi è funzione della nostra percezione e dell'altrui percezione di noi stessi. 12 Silvia Dell’Orletta Il ricercatore dovrà dunque adottare accorgimenti per ridurre il rischio di prospettazioni fuorvianti. 2. i documenti=i materiali attraverso cui gli esseri umani forniscono narrazioni, opinioni, indicazioni di volontà. Tali documenti possono essere espressi attraverso segni linguistici, iconici o musicali. Rispetto alla testimonianza, lo studio dei documenti presenta il vantaggio di una almeno apparente oggettività. Mentre l'intervistato reagisce al contatto con il ricercatore, il documento è, in questo senso, inerte. Anche al documento il ricercatore rivolge delle domande, ma le risposte sono già contenute nel documento stesso, anticipate e non posticipate. Eppure, anche qui il ricercatore deve porsi in modo critico. Il documento può ingannare tanto quanto un intervistato. Può, infatti, essere: 1. oggetto di una contraffazione, 2. autentico, ma con false indicazioni, 3. frutto di fraintendimento, 4. autentico e veridico, ma non passibile di generalizzazioni. Anche i documenti possono essere interpretati in modo puramente qualitativo o anche quantitativo. ⇒ L'analisi qualitativa della documentazione è la più tradizionale. ⇒ L'analisi quantitativa, frutto di elaborazione moderna, può presentare grandi vantaggi. Se si dispone di un notevole numero di documenti omologhi, rappresentativi della medesima realtà e dello stesso periodo storico, il conteggio numerico della ricorrenza di alcuni elementi, espressioni, errori, può rivelare delle realtà che, a prima vista, è difficile scorgere. Spesso l'autentica volontà di chi redige un documento si nasconde dietro la cortina delle parole: compito dell'interprete è scostare quella cortina, svolgendo la cd. «analisi del contenuto». La scelta della tecnica di ricerca sociologica (testimonianze o documenti) dipende dalla natura della ricerca. ⇒ Se questa ha per oggetto le opinioni del pubblico su certe norme, o il rispetto di certi diritti soggettivi, è opportuno chiederlo direttamente a un campione di popolazione. ⇒ Se la ricerca ha per oggetto dei comportamenti giuridici formali lungo un vasto lasso di tempo, potrà essere necessario ricorrere a una documentazione. Può trattarsi di: - documenti giuridici in senso stretto: leggi, contratti, testamenti, sentenze, atti amministrativi, ecc. - documenti che semplicemente informano sul diritto (giornali, cronache). Tale informazione può essere: - diretta, cioè vertente su specifici istituti o norme giuridiche, - indiretta, come accade con le fonti letterarie (romanzi, commedie, tragedie, ecc) che forniscono preziose informazioni giuridiche: un movimento culturale, di «Law and Literature», raccomanda questo metodo, soprattutto per le società antiche. Infine, il materiale giuridico è interpretabile anzitutto in senso giuridico-dogmatico, secondo le finalità proprie del lavoro del giurista. Di questo significato il sociologo deve tener conto; ma non può darlo per scontato, perché il suo compito non consiste nell'indicare il significato più corretto delle espressioni, ma censire le varie espressioni usate e formulare quesiti sui loro effetti concreti. 13 Silvia Dell’Orletta Capitolo secondo: Il diritto 1. Premesse La prima area tematica della sociologia del diritto è il diritto in generale. Il «diritto», nel corso dei secoli, è stato definito nei modi più vari: 1. complesso delle norme positive, indipendentemente dal loro contenuto; 2. complesso delle norme che, in virtù del loro «buon» contenuto, meritano obbedienza, non importa se riconosciute o meno dal potere; ecc. Ogni definizione di «diritto» è valida da un punto di vista specifico. Dal punto di vista sociologico, partendo dalla cultura giuridica, sia quella diffusa presso il pubblico generico, sia quella praticata dagli «operatori giuridici» (=«cultura giuridica interna»), si può constatare che, fra i vari concetti associati all'idea di diritto, quello più frequente è il concetto di norma. Ciò appare chiaro sia nelle società di tradizione orale, che nelle società letterate. ⇒ In ogni discorso specializzato sul diritto le norme costituiscono il nucleo centrale. Per questo, non è possibile allargare il concetto di diritto sino a comprendervi, oltre alle norme, tutte le attività connesse con la loro creazione e applicazione. Sebbene tale connessione sia evidente, questa proposta rischia infatti di far assumere alla parola un'estensione eccessiva, tale da far scomparire il confine fra le norme giuridiche e fenomeni attinenti ad altre sfere d'azione sociale, ad es. politica. Infatti, così, sarebbe tutto diritto, perché ogni azione ha rilevanza giuridica diretta o indiretta. ⇒ Il «sistema giuridico» può essere concepito come insieme di norme (=come equivalente di diritto), ma tale espressione compare in sociologia del diritto prevalentemente con un più ampio significato: 1. Friedman⇒ sistema giuridico=unità complessa che comprende una «sostanza», costituita dalle norme, e delle «strutture», ossia gli apparati decisionali che fanno o applicano le norme. 2. Luhmann⇒ sistema giuridico=«tutte le comunicazioni sociali che fanno riferimento al diritto», 3. William Evan⇒ sistema giuridico=complesso di «valori, norme, ruoli e organizzazioni». Ognuna di queste definizioni è astrattamente proponibile perché: 1. si tratta di scelte terminologiche, corrette se assunte in coerenza con un quadro teorico, 2. se per «sistema» s'intende un mero «complesso di elementi interagenti», tutte le entità di queste definizioni sono rappresentabili in termini sistemici. Ciò detto, pare opportuno adottare l'espressione «sistema giuridico» nella sua accezione più ristretta, quindi come equivalente di «diritto», perché le accezioni più vaste inducono a confondere: - il sistema delle norme giuridiche, - il sistema delle azioni collegate alle norme giuridiche, definito dal sociologo francese Pierre Bourdieu come «campo giuridico» (champ juridique). 2. Le norme come concetto sociologico La parola norma, dal latino, significa «squadra». Una squadra è uno strumento che guida e misura un'azione. Nel caso di un tratto grafico, la misura è quantitativa. Per altri tipi d'azione, avremo altre «misurazioni». 14 Silvia Dell’Orletta Qualsiasi azione sociale può essere rapportata a un modello preesistente che offre, come la squadra, una guida e una «misurazione». La norma è pertanto un modello al quale un'azione si rapporta. ⇒ Una norma può esaurire la sua funzione nella sfera psichica del soggetto agente senza venire a conoscenza di altri. Molte nostre azioni s'ispirano a modelli che non comunichiamo, i quali sono centrali nell'analisi psicologica, ma possono interessare indirettamente anche il sociologo, perché: 1. producono effetti sociali, 2. alle loro radici vi sono spesso norme socialmente diffuse che il soggetto ha interiorizzato. ⇒ Centrale per la sociologia è invece l'interesse per le norme che vengono comunicate, assumendo carattere sociale. In tal caso, esse si presentano come dei messaggi, che, partendo da una fonte o emittente, si dirigono verso uno o più riceventi, entrando così in un circolo semiotico. ⇒ Per quanto riguarda la struttura semiotica delle norme, esse, in quanto atti di comunicazione, sono composte da segni, cioè unità espressive il cui significato varia in base ai codici di riferimento. Es: 1. Il segno «P» ha un significato diverso a seconda che il codice di riferimento sia l'alfabeto latino (=«pi») o greco (=«erre»). 2. La parola «viola» può indicare un fiore, uno strumento musicale o un nome di donna: la corretta interpretazione di questo segno dipende dal codice di riferimento. 3. Per l'enunciato «ti voglio bene» i codici di riferimento coinvolgono sia concetti, che sensazioni emotive, che vanno intuite prima che comprese. 4. L’art. 2043 c.c.: «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno» rinvia a numerosi codici: codice linguistico: il pronome «colui», grammaticalmente maschile, potrebbe essere interpretato nel senso che l'espressione escluda i soggetti di genere femminile. codici semantici: che cosa significano le parole tecnico-giuridiche «danno», «doloso» e «colposo»? codice filosofico: a quale idea di «causa» si riferisce il verbo «cagionare»? ⇒ Dunque, la comunicazione umana dipende dal fatto che emittenti e riceventi dei messaggi si riferiscano agli stessi codici. Per l'art. 2043 c.c., entrano in gioco anche opinioni. Ad es. sulla causalità vi sono varie teorie. Bisogna dunque scegliere una teoria, che sarà diversa a seconda della cultura e della prospettiva di ognuno. ⇒ Un altro punto da affrontare è il percorso che le norme compiono nello spazio discorsivo in cui l'emittente le ha indirizzate. Secondo una rappresentazione elementare, i messaggi vanno da un emittente ad un ricevente, tra i quali, talvolta, si frappone un medium, che trasmette il segnale originario e, nel trasmetterlo, può convogliare elementi di disturbo - rumori, interferenze - che ne ostacolano la comprensibilità. Ma la comunicazione sociale non è mai così semplice. Persino fra due parlanti la comunicazione riprende elementi che provengono da sfere sociali più ampie. Col crescere del numero dei parlanti, aumenta l'influenza dei media. Il culmine si raggiunge con le norme di legge, indirizzate a una moltitudine indistinta di riceventi. 15 Silvia Dell’Orletta Già complessi in partenza, tali messaggi entrano in uno spazio indefinito, in cui molteplici media, individuali e di massa, intervengono a trasmetterli e ritrasmetterli. Un medium individuale come l'avvocato, richiesto di un parere su una norma, si atterrà anzitutto alle regole ermeneutiche e ai principali orientamenti della giurisprudenza. Invece, i mass media, tenuti a tradurre il linguaggio tecnico in linguaggio comune, comporteranno più ampie deformazioni in base a: cultura, opinioni e condizionamenti di ruolo del giornalista. Nel corso del viaggio attraverso i media, i messaggi normativi subiscono l'influenza di altri fattori: 1. il trascorrere del tempo, che modifica il costume ed il linguaggio. Cfr. espressioni quali «comune sentimento del pudore», che hanno acquisito nel tempo diversi significati. 2. il contesto geografico, Es. il concetto di «onore» assume una connotazione differente, nelle diverse regioni. 3. la diversità dei lessici nelle varie lingue: infatti, i modelli giuridici di origine anglosassone si stanno diffondendo in tutto il mondo, ma espressioni giuridiche del sistema di common law, non hanno equivalenti nelle lingue dell'Europa continentale e pongono problemi di traduzione. 4. l'influenza esercitata dalle subculture: in Italia si può ipotizzare che avvocati, giudici e notai, posti di fronte alle stesse norme, ne forniscano interpretazioni diverse, più formali fra i notai, meno formali giudici e avvocati. 5. soprattutto, il fatto che gli interessi dei soggetti interagenti circa le norme sono spesso divergenti. Es. di fronte all’art. 2043 c.c. e alle incertezze che può presentare una locuzione come «cagionare un danno», è assai probabile che: - la vittima di un atto lesivo propenda per un'interpretazione estensiva - il suo autore propenda per un'interpretazione restrittiva. Inoltre, l'ambiguità delle espressioni può essere un mezzo efficace per evitare gli scontri. Ciò accade spesso in sede di approvazione delle leggi, dove il messaggio normativo, che presenta sempre uno «spazio di indeterminatezza», compare in termini ancor più vaghi, lasciando campo aperto a molteplici interpretazioni. 3. Le norme giuridiche Caratteristiche: 1. Istituzionalizzazione 2. Collegamento obbligo-sanzione (teoria normativistica e struttura imperativa) 3. Eteronomia 4. Giustiziabilità o giudiziabilità 5. Pretesa di universalità ⇒ 1) Le norme devono essere istituzionalizzate. Infatti, modelli comportamentali possono essere più o meno stabili. Vi sono modelli che nascono e muoiono in una situazione sociale contingente. ⇒ Due persone che, incontrandosi per strada, vogliono evitarsi, possono silenziosamente accordarsi su un modello normativo effimero: una potrà cambiare marciapiede, l'altra entrare in un bar. 16 Silvia Dell’Orletta Ma questi sono comportamenti comuni, non modelli d'azione istituzionali. ⇒ Il saluto, presenta un'ampia gamma di variazioni: 1. mera opportunità di salutare, 2. obbligo sociale di farlo, ma come si preferisce, es. in una famiglia o in un'azienda, l'obbligo di salutare i membri più anziani è di solito prescritto da codici comportamentali orali non meno vincolanti di uno statuto formale, ma molti studiosi esitano a definire «giuridico» quell'obbligo. 3. obbligo di farlo secondo modalità definite, es.: - nella vita militare, dove il saluto è codificato nei regolamenti e ritenuto obbligatorio senza frontiere. - nel caso in cui sia contemplato nello statuto di un'associazione privata. ⇒ Dunque, più si sale la scala, più il saluto è un'atto istituzionale. La scala dell'istituzionalità delle norme è una linea continua, lungo cui è difficile tracciare un confine tra ciò che è giuridico e ciò che non lo è, tanto che l'indicazione di quel confine dipende in buona misura dai punti di vista degli osservatori. ⇒ 2) Le norme giuridiche sono caratterizzate dal collegamento tra obbligo giuridico e sanzione, cardine della teoria «normativistica» del diritto. Ispirandosi a Kant, Kelsen fa coincidere tali elementi con la struttura «ipotetica» della norma giuridica che - a differenza della norma morale - si presenta con la forma «se X, allora Y». La miglior rappresentazione di questa struttura si ritrova nelle norme del codice penale, per es.: «chiunque si impossessa della cosa mobile altrui [condizione X], è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni [conseguenza Y]» (art. 624 c.p.). Dunque, per Kelsen, attraverso la pressione psicologica esercitata dal timore della sanzione, chi detiene il controllo dello strumento giuridico può utilizzarlo come una «tecnica sociale» di condizionamento dei comportamenti. Per ottenere l’effetto sociale Z [rispetto della proprietà], un legislatore deve definire «illecito» il suo contrario X [furto] e porlo come condizione della sanzione Y [reclusione]. Norberto Bobbio, massimo seguace italiano di Kelsen, precisò che l'azione X può essere non solo illecita, ma anche lecita, e Y, correlativamente, può rappresentare per l'agente non solo uno svantaggio, ma anche un incentivo o premio, cioè una «sanzione positiva». Si recupera così il concetto teorizzato da Jeremy Bentham di «ricompensa» (reward). ⇒ Anche in sociologia, il collegamento fra diritto e sanzione appare spesso in posizione centrale. Nel De la division du travail social, Emile Durkheim individua nel diritto il «simbolo» della solidarietà sociale: il diritto si rivelerebbe attraverso il tipo di sanzione praticata in caso di trasgressione⇒ abbiamo: - sanzioni prevalentemente repressive, nelle società a basso indice di divisione del lavoro - sanzioni prevalentemente restitutive, nelle società ad alto indice di divisione del lavoro. ⇒ Non tutti gli enunciati normativi fanno riferimento a una sanzione. Le norme di un codice civile si limitano ad attribuire diritti e obblighi o fornire definizioni (art. 1321). Tuttavia, ciò che conta non è la struttura sintattica della singola norma, ma il modo con cui è organizzato l'intero sistema normativo. Sotto questo profilo, anche gli enunciati privi di riferimenti alla sanzione sono collegati in qualche modo a previsioni di tipo sanzionatorio. Per es., nel caso del diritto 17 Silvia Dell’Orletta civile bastano poche norme a indicare le sanzioni collegate ai vari comportamenti: nullità, annullabilità, risoluzione, rescissione, risarcimento, prescrizione del diritto, decadenza dall'azione; ecc. ⇒3) Altri problemi nascono circa l'individuazione dei soggetti cui compete stabilire e applicare le norme giuridiche. Un elemento che spesso si ritiene tipico del diritto, es. nella tradizione kantiana, è l'eteronomia, cioè il fatto che il modello normativo venga imposto: - da qualcuno, che ha o si arroga il potere di farlo, - a qualcun altro, che quel potere riconosce o è costretto a riconoscere. Questo requisito non è accettato da tutti gli studiosi. Sia Kelsen, che Bobbio, lo respingono osservando che le norme giuridiche possono essere frutto non solo di imposizione, ma anche di libera scelta, come nel caso dei contratti: non solo eteronome, ma anche autonome. In realtà, la prospettiva sociologica induce a mantenere fermo il requisito dell'eteronomia. È, infatti, facile constatare che le norme sono il risultato di una contrapposizione di interessi fra soggetti, anche quando due parti private sembrano scegliere concordemente, come nei contratti, i modelli cui si atterranno in futuro. Gli schemi contrattuali infatti rivelano il potere contrattuale dei contraenti: - quando il loro rapporto è egualitario, i diritti e i doveri reciproci tendono a equilibrarsi; - quando è disegualitario, la bilancia tende a pendere da una parte. ⇒ 4) Secondo Max Weber, abbiamo «diritto» quando la trasgressione delle norme può dar luogo a una «coercizione (fisica o psichica) da parte di un apparato di uomini predisposto a tale scopo». Dunque, affinché una norma sia giuridica, occorre che, dopo che viene trasgredita, qualcuno, dotato di autorità, ripristini l'ordine violato. Si profila così l'ulteriore requisito della giudizialità o giustiziabilità, che può considerarsi un riflesso della struttura ipotetica delle norme: la formula «se X, allora Y» esprime l'idea che vi sia qualcuno che affronta il dubbio e, se accerta che è accaduto X, allora dà luogo alla conseguenza Y. Alcuni studi antropologici hanno segnalato l'esistenza di società in cui non c’è una figura di giudice, ma il giudizio può essere emesso da qualunque soggetto, individuale o collettivo, e persino dalla parte offesa, ad es. in società di tradizione orale, debolmente differenziate, nelle quali l'inflizione di sanzioni è lasciata all'iniziativa di chi ha subito un torto, il quale agisce simbolicamente per conto della comunità. ⇒ 5) Pretesa di universalità Esaminiamo l’enunciato normativo «o la borsa o la vita», indirizzato a un soggetto da una «banda di briganti» che operi abitualmente in un territorio. Qui abbiamo tutti gli elementi della giuridicità, perché colui che formula l'enunciato: 1. è delegato a farlo secondo le regole del suo gruppo, 2. può valutare caso per caso e agire di conseguenza, rispondendo al gruppo cui appartiene secondo un codice normativo vincolante. Dobbiamo riconoscere caratteri di giuridicità a questa norma? Il quesito, cui viene istintivo rispondere negativamente, è invece molto complesso. 18 Silvia Dell’Orletta Un modo per affrontarlo è aggiungere ai requisiti della giuridicità la pretesa di completezza o universalità del sistema normativo. Si può cioè riservare la qualifica di «giuridico» solo ai sistemi di norme che permettono di valutare qualsiasi azione o evento che possa accadere in una società. Anche l'azione non contemplata da alcuna norma può essere oggetto di giudizio: - o in nome del principio generale per cui tutto ciò che non è vietato è permesso; - o secondo l'opposto principio per cui tutto ciò che non è esplicitamente permesso è vietato. Queste sono le norme «di chiusura» di un sistema normativo, che permettono di includere tutto. Contro questa opinione, potrebbe opporsi che esistono sistemi normativi che regolano soltanto alcuni aspetti della vita e che sarebbe arduo non definire «giuridici». Si può però obiettare che tali sistemi: - o hanno anch'essi pretesa di completezza. Es. il diritto della Chiesa cattolica, - o sono collegati a sistemi giuridici completi. Es. la cd. «lex mercatoria», complesso di norme con cui gli operatori economici regolano i loro scambi commerciali a livello transnazionale, che può essere recepita nei sistemi giuridici nazionali. Dunque, la norma enunciata dalla «banda di briganti» non appartiene a un sistema normativo universalistico, cioè è l'espressione di un gruppo che, rispetto all’ambiente sociale entro cui agisce, opera in senso trasgressivo, «deviante», dunque, si può convenire che non siano giuridici: 1. la norma, 2. il sistema normativo di cui la norma fa parte: quello secondo cui la banda di briganti regola i propri rapporti interni. Ma, se quel gruppo sociale controllasse un territorio il problema teorico si complicherebbe. Questa conclusione, dunque, si presenta più che altro come una convenzione, tanto che illustri giuristi hanno riconosciuto carattere giuridico anche alle norme delle associazioni criminali. 4. Tema dell'alternativa fra monismo e pluralismo giuridico ⇒ Le norme di un'associazione come la Mafia non hanno carattere «giuridico» perché il sistema normativo mafioso non ha pretesa di universalità, ma consente la regolamentazione di molte azioni da parte di altri sistemi normativi, a cominciare dallo Stato. ⇒ Invece, nell'Italia del biennio 1943-45, si contrapponevano due regimi con pretesa di universalità: - quello monarchico riconosciuto dagli alleati anglo-americani, che controllavano militarmente il sud, - quello fascista-repubblicano riconosciuto dai tedeschi, che controllavano militarmente il nord. Il regime monarchico e gli alleati riconobbero come rappresentante legittimo del governo nel Nord il CLNAI, Comitato di liberazione nazionale per l'Alta Italia, i cui militanti erano, per contro, definiti «banditi» dal governo fascista-repubblicano. Esistevano allora in Italia due sistemi giuridici o uno? ⇒ Da un lato, entrambi i regimi dichiaravano di parlare a nome dell'Italia intera e applicavano lo stesso corpo di leggi, civili, penali e amministrative⇒ si può rispondere che esisteva un solo sistema. ⇒ Ma, guardando alla realtà fattuale, si può anche rispondere che i sistemi erano due, perché a ogni individuo era chiesto, esplicitamente, di obbedire all'uno e di disobbedire all'altro. ⇒ È poi possibile aggiungere al quadro: 19 Silvia Dell’Orletta 1. i sistemi giuridici delle forze occupanti 2. il sistema giuridico del movimento partigiano 3. il sistema giuridico della Chiesa cattolica. ⇒ Un altro esempio è la situazione descritta da Antonio Pigliaru, giurista sardo, riguardo al sistema normativo della «vendetta barbaricina», ossia l'ordinamento consuetudinario delle comunità pastorali della Barbagia, basato su un codice orale che prescrive ai suoi membri la vendetta per ogni torto subito. Qui abbiamo un complesso di regole che si contrappone allo Stato italiano: tra le regole spicca, infatti, il divieto di collaborare con la giustizia statale. Non abbiamo due governi, ma una comunità inclusa forzosamente in una entità più ampia, da cui si distaccherebbe volentieri: se avessero potuto farlo, i pastori barbaricini si sarebbero probabilmente autoregolati senza lo Stato italiano. Quindi, Pigliaru parla di questo sistema come di un «ordinamento giuridico». Ma questa definizione può prestarsi a critiche. Siamo sicuri che la comunità pastorale barbaricina escludesse ogni forma di identificazione con lo Stato italiano? Infatti, una delle più belle testimonianze letterarie di quel periodo della storia sarda, quella di Salvatore Satta, pur riconoscendo che la società nuorese si divideva, come la Gallia descritta da Cesare, «in tre parti» (borghesi, contadini, pastori), non nota una così irriducibile scissione fra i tre gruppi sociali. ⇒ Fino a tempi recenti, fra i giuristi predominava la concezione monistica e statalistica del diritto, fondata sul principio di sovranità e di totale monopolio dello Stato sul diritto. Ma alcuni esponenti di minoranze etnico-culturali avevano formulato teorie pluralistiche: importante quella di Ehrlich, giurista austriaco appartenente alla comunità ebraica di Czernowitz, in Bucovina, che nelle sue opere si esprime a favore del pluralismo giuridico, osservando che il diritto «vivente» (lebendes Recht), nasce e si sviluppa nei più diversi gruppi sociali, da cui promana la pressione psicologica che induce i singoli a rispettare le norme. Inoltre, nel medioevo, l'intreccio di poteri era tale che lo stesso concetto di Stato si presentava in termini molto sfumati. Ma anche nel tempo attuale il mondo presenta contorni sempre più sfumati e complessi. La crisi dello Stato quale produttore monopolistico di diritto è apparsa in modo sempre più evidente di fronte alle trasformazioni sociali contemporanee, preannunciate dall'800, ma da ultimo apparse in forme vistose: globalizzazione, migrazioni di massa, rivendicazioni di gruppi e sottogruppi, consapevolezza della dipendenza «di tutto da tutto». ⇒ L'idea semplificante di un mondo suddiviso in tante unità statuali ben delimitate, ognuna sovrana nel proprio territorio e collegata con le altre dal diritto internazionale non può più reggere. Infatti, il potere normativo dello Stato viene costantemente eroso: - sia dall'alto, con l'intervento di nuove forme di sovranazionalità e di transnazionalità (Unione Europea, Fondo monetario internazionale, ecc.), - sia dal basso, col moltiplicarsi di rivendicazioni culturali, etniche e perfino campanilistiche. In sintesi, attualmente, vi è una pluralità di sistemi giuridici: infatti, a seconda dei casi, gli atti di ciascun soggetto sono regolati da consuetudini familiari, leggi religiose, leggi statali, direttive dell'UE, ecc. 20 Silvia Dell’Orletta ⇒ In questa situazione è, dunque, inevitabile parlare di pluralità di sistemi giuridici da un punto di vista descrittivo, tipico della sociologia del diritto. Mentre, sul piano prescrittivo, tipico della scienza giuridica pura, un conflitto deve necessariamente essere regolato secondo un solo sistema giuridico, con esclusione di ogni altro, se non in posizione subordinata. Può trattarsi di un sistema transnazionale, es. la lex mercatoria, o di un sistema nazionale, ma, comunque, il giudice o l'arbitro devono dichiarare un orientamento di fondo verso un sistema. Questa necessità prescrittiva contribuisce a far sopravvivere nella cultura giuridica un orientamento monistico-statalistico, sorretto anche dal fatto che su di esso si basa tuttora l'ordinamento internazionale incentrato sulle Nazioni Unite. ⇒ Inoltre, la più forte chiave di lettura alternativa a questa visione è quella che descrive l'odierno assetto del pianeta nei termini di un «impero universale» con accentramento dei poteri politici ed economici attorno a élites sociali consolidate e privilegiate. Ancora uno Stato, dunque, sebbene di nuovo tipo. ⇒ Dunque, pluralismo e monismo sono teorie opposte soltanto in apparenza, perché che riguardano, in realtà, due distinte sfere di analisi, ossia descrittiva e prescrittiva. 5. Ordine ed entropia dei sistemi giuridici Come «insieme di elementi interagenti», ogni sistema presenta un proprio ordine interattivo. I singoli elementi, cioè, si rapportano l'un l'altro secondo modalità ricorrenti. Scoprire i meccanismi che regolano l'interazione sistemica non è facile, soprattutto se si parte dal presupposto, comune a tutte le scienze, che tutti i sistemi siano connessi e interdipendenti: non solo i sistemi naturali fra loro, ed i sistemi sociali fra loro, ma gli uni e gli altri insieme, giacché natura e cultura si influenzano reciprocamente. Naturalmente il sistema giuridico, concepito come insieme di norme, non fa eccezione. Le norme, una volta enunciate, sono atti di comunicazione, cioè messaggi destinati a circolare in uno spazio discorsivo. Dai fattori che intervengono a trasmetterne e modificarne il significato dipende la quantità e la qualità delle informazioni. Quantità e qualità sono spesso in disaccordo. Un sistema che dia molte informazioni vaghe o contraddittorie è quantitativamente ricco, ma qualitativamente povero: la sua potenzialità informativa è bassa proprio perché è troppo alto il numero delle informazioni fornite. È un sistema entropico, in quanto presenta tante unità informative «equiprobabili», tali da accrescere, anziché risolvere, i dubbi di chi lo interroga. Il significato delle norme dipende dai soggetti che le interpretano, che possono intendere o fraintendere i messaggi, soprattutto in una comunicazione sociale diffusa, in cui i messaggi che entrano in circolo, passando da soggetto a soggetto, subiscono molte rifrazioni, come in un prisma. Questo è uno dei paradossi della scienza giuridica. ⇒ Da un lato essa proclama alcuni principi che riflettono un’esigenza di ordine: certezza del diritto, unità del sistema giuridico, assenza di lacune, ecc. ⇒ Dall'altro lato, la pluralità dei soggetti che intervengono nei processi interpretativi di fatto moltiplica il numero di messaggi normativi circolanti. 21 Silvia Dell’Orletta E, quanto più una cultura giuridica «interna» è sofisticata, tanto più numerose sono le interpretazioni che produce. Tutto ciò accresce l'entropia del sistema. Come ogni sistema, i sistemi giuridici oscillano dunque fra ordine ed entropia. Fra questi estremi vi è un pendolo che oscilla, ma con periodi irregolari, dal momento che l'oscillazione dipende da molti fattori, spesso imprevisti. Vi sono nella storia giuridica momenti in cui prevale l’esigenza di ordine e le regole giuridiche vengono raccolte e ordinate sistematicamente sino a formare un «codice» nel senso ampio del termine, cioè una fonte di conoscenza e chiave di interpretazione: es. XII Tavole, compilazione giustinianea, codificazione degli Stati moderni. Una volta che una simile opera è compiuta, tuttavia, i rapporti sociali mutano e gli interpreti cominciano a modificare il quadro normativo integrandolo con glosse, interpretazioni, correzioni, che gradualmente si consolidano nella vita sociale diventando istituzionali. Così il sistema che si è cercato di ordinare si disordina nuovamente, divenendo via via più entropico, sino a far sorgere una nuova necessità di ordine, e così via: infatti, l'idea che un ordine normativo sia definitivo è illusoria. ⇒ Uno dei compiti della sociologia del diritto è individuare le variabili che influiscono sull'oscillazione fra ordine e disordine. Nella sua storia unitaria, l'Italia ha conosciuto due codificazioni nel campo civile, due nel campo penale, due in procedura civile, quattro in procedura penale. Ognuno di questi interventi di riordino generale è stato seguito da una moltitudine di interventi settoriali integrativi, correttivi, modificativi, abrogativi, questi ultimi, spesso, non dichiarati. È venuta crescendo in modo alluvionale la legislazione speciale in ogni campo del diritto. Negli ultimi decenni, questo sistema complesso si poi è arricchito con la normativa comunitaria. Si può dire che l'entropia sistemica abbia raggiunto culmini inusitati, se Irti, uno dei più rigorosi civilisti italiani, ha potuto esclamare, a fine anni ’70, che stavamo vivendo «l'età della decodificazione» e se si è calcolato che le norme vigenti nel paese sono più di 200.000, ognuna soggetta a diverse interpretazioni. ⇒ Ma, in conclusione, ci si può chiedere se l'ordine di un sistema giuridico sia effettivamente preferibile a un certo grado di entropia? Infatti, alcune incertezze, che consentano libertà interpretative, possono essere, talvolta, delle utili valvole di sfogo di un sistema che, altrimenti, dovrebbe essere rifiutato in blocco. Se da un lato, un diritto altamente entropico, come quello descritto da Beccaria, è un pessimo diritto perché non permette una previsione affidabile ed è lasciato all'arbitrio dei singoli giudici, dall'altro lato le dittature spesso creano proprio un diritto perfettamente ordinato e «certo». 6. Funzioni del sistema giuridico Secondo la teoria funzionalistica o struttural-funzionalista, le istituzioni esistono in quanto svolgono delle funzioni, cioè cooperano a mantenere una società nel suo stato migliore o «in equilibrio». ⇒ Secondo Parsons, «il principe dei funzionalisti», il sistema giuridico svolge una funzione primaria di tipo «integrativo». Esso «serve, infatti, a mitigare gli elementi di conflitto e lubrificare i rapporti sociali». Il diritto, in sintesi, esiste ne cives ad arma ruant e compie la sua funzione se 4 problemi vengono risolti: 1. la legittimazione del sistema giuridico di fronte ai cittadini, 22 Silvia Dell’Orletta 2. la corretta interpretazione delle norme, 3. l'efficacia del meccanismo sanzionatorio, 4. il buon funzionamento della giurisdizione. ⇒ Luhmann fornisce, poi, una spiegazione più astratta, affermando che tutti i sistemi sociali esistono in quanto permettono di «ridurre la complessità» e che il sistema giuridico svolge questa funzione proponendo un meccanismo selettivo basato sul codice binario «lecito-illecito» (Recht-Unrecht). Ogni decisione giuridica si riduce a scegliere fra questi due poli. E questo semplice meccanismo dà armonia e stabilità alle aspettative «normative», che non si è disposti ad abbandonare. ⇒ Queste rappresentazioni del diritto e delle sue funzioni sociali presentano il vizio di osservare soltanto un lato della realtà. Infatti, esse guardano esclusivamente alle «eu-funzioni», cioè ai contributi positivi apportati da un elemento del sistema sociale al benessere dell'intero sistema. Ma: 1. vi sono elementi del sistema sociale che non giovano al benessere o all'equilibrio del sistema complessivo, in quanto svolgono, non delle «eu-funzioni», ma delle «disfunzioni»: l’abitudine, ormai istituzionalizzata in Italia, di condonare le evasioni fiscali e gli abusi edilizi. 2. non è possibile fissare in un punto preciso lo «stato d'equilibrio» di una società, perché: ⇒ Da un lato, la distinzione tra ciò che è benefico e ciò che non lo è, è soggettiva: anche una delle istituzioni più radicate e ritenute benefiche, come la scuola, è stata vivacemente attaccata. ⇒ Dall'altro lato, poiché «tutto scorre», l'equilibrio, se esiste, è sempre e comunque precario. In breve, non si può ignorare l'ambiguità del diritto, la sua natura di phármakon, cioè medicamento o veleno a seconda delle dosi, degli usi e dei punti di vista. Tutto ciò induce ad affrontare il tema delle funzioni del diritto in modo nuovo. Infatti, bisogna salvare il metodo dell'analisi funzionale, che conduce a chiedersi il «perché» dell'esistenza delle istituzioni sociali, ma rifiutare (almeno in parte) la teoria funzionalistica in favore di altre visioni della società, in particolare quella conflittualistica. Ciò conduce a delineare un quadro meno edulcorato, ma più realistico, del problema. ⇒ Già molti anni fa un grande giurista americano, Llewellyn, aveva dedicato un saggio a descrivere le «funzioni universali» del diritto in modo neutrale, rifiutando le scelte ideologicamente orientate. Molti autori hanno seguito la linea di Llewellyn, con variazioni più o meno sostanziali. Infatti, essa ha permesso di isolare alcune funzioni fondamentali del sistema giuridico, come: 1. l’«orientamento sociale»: infatti, le norme giuridiche orientano azioni e aspettative sociali, sebbene in modi ora uniformi, ora difformi; 2. il «trattamento dei conflitti»: infatti, le norme giuridiche offrono strumenti per gestire i conflitti, ma che possono anche aggravarli e fomentarli; 3. la «legittimazione del potere»: infatti, grazie alla loro potenza simbolica, le norme giuridiche offrono argomenti per convogliare consenso su qualsiasi tipo di potere, buono o cattivo, democratico o autocratico. ⇒ Nell'analisi funzionale del diritto ci si può spingere sino a cercare LA funzione del diritto, intesa quale concetto unico e onnicomprensivo che riassuma tutti gli altri. 23 Silvia Dell’Orletta Due esempi sono particolarmente significativi⇒ il diritto adempirebbe a: 1. Funzione generale di controllo sociale Questo concetto, che può essere inteso in senso «debole», come capacità degli individui di influenzarsi a vicenda con mezzi adeguati, ma viene impiegato in sociologia nel suo senso più forte, come attività volta a indirizzare gli individui a tenere comportamenti conformi alla visione di coloro che detengono il potere. In questa prospettiva, ricorrente soprattutto nella letteratura marxista, il diritto appare come uno strumento di dominio di alcuni su altri: la borghesia sul proletariato, i governanti sui governati. Questa visione enfatizza il ruolo degli istituti giuridici indirizzati alla repressione, specialmente penale, e infatti viene propugnata e applicata soprattutto dalle correnti della «criminologia critica». Tale visione ha un suo fondamento, soprattutto per i sistemi politici autocratici, caratterizzati da forti concentrazioni di potere, ma il diritto può anche essere frutto di intese fra pari e vittorie anche dei deboli contro i forti (es. riconoscimento diritti umani). 2. Funzione allocativa Nel The Legal System di Friedman, l’autore si chiede: «Quale sia la funzione della giustizia». La risposta che egli dà trasporta sul terreno sociologico un concetto filosofico risalente ad Aristotele: «si può dire che la giustizia ha a che fare con aspettative e apporzionamenti». Dunque, la funzione allocativa riassume tutte le altre, si dispiega soprattutto sul terreno economico e consiste nel distribuire beni e servizi scarsi in base alla distribuzione del potere politico in ogni società. Anche questo intervento estremamente lucido, tuttavia, potrebbe rivelare solo un lato della realtà. Proprio in termini aristotelici, si può, infatti, ricordare che la giustizia non è solo «distributiva», volta ad allocare risorse scarse, ma anche «commutativa», volta a commisurare valori diversi che non riguardano solo l'ambito economico. Certamente la giustizia è un tema che non può essere dimenticato quando si parla di diritto. Tuttavia, è opportuno separare questo tema da quello delle funzioni, per non confondere fra loro due piani distinti: realtà e idealità. Capitolo terzo: Diritto e azione 1. Concetti generali ⇒ L'azione giuridica è una modalità specifica dell'azione normativa che, a sua volta, è una modalità specifica dell'azione sociale. ⇒ Agire socialmente significa compiere atti destinati a produrre effetti che non si esauriscono nella sfera individuale dell'attore, ma coinvolgono anche altri soggetti. Tali atti possono essere intelligenti o stupidi, adatti o inadatti agli scopi perseguiti. Il senso che vi attribuisce l'attore può essere condiviso da altri o meno. Gli effetti sociali che ne conseguono, a loro volta, possono essere conformi o difformi rispetto alla volontà di chi agisce. Infatti, essi dipendono da molti fattori: 1. le volontà di coloro che interagiscono, 2. i modi con cui vengono compiuti e percepiti, 3. i mezzi di ciascun soggetto, 24 Silvia Dell’Orletta 4. eventi esterni. Questi fattori possono operare sui soggetti in senso frenante o attraente: possono cioè limitare o ampliare la loro libertà d'azione. A volte essi sono prevedibili, altre volte meno. ⇒ Agire normativamente significa orientare l'azione propria o altrui secondo modelli normativi di qualsiasi natura (religiosa, morale, culturale, giuridica). Anche le norme operano sia in senso frenante che attraente: possono limitare l'azione o liberarla. Esse sono dirette a legittimare l’azione: è raro imbattersi in un'azione che non abbia motivazioni o riferimenti di tipo normativo. Anche l'azione «anomica», teorizzata da Durkheim e Merton, che si svolge al di fuori di un orizzonte normativo identificabile, è spesso il risultato di uno smarrimento dell'attore nella pluralità di ordinamenti morali, religiosi e giuridici contemporanei. ⇒ Agire giuridicamente significa orientare l'azione propria o altrui in relazione a norme giuridiche. Il diritto è un potente fattore di orientamento sociale, perché suggerisce un'immagine «positiva» dell'azione, in termini: ⇒ linguistici: è «diritto» ciò che non è «storto» ⇒ etici: per la sua associabilità con l’ideale umano di giustizia. Inoltre, anche quando non riesce a convincere, il diritto possiede una grande forza persuasiva, incutendo timore per il suo collegamento con il potere politico sanzionatorio. Infine, il dominio sullo strumento giuridico può anche legittimare ingiustizie. L'azione giuridica può svolgersi: 1. in forma generica, quando rivolta ad un pubblico indifferenziato di destinatari, 2. in forma specifica, quando rivolta a destinatari singolarmente individuati o individuabili. 2. L'azione giuridica generica Parlare di azione giuridica generica significa parlare di «norme generali e astratte». ⇒ La legislazione, dall'illuminismo, nei paesi di civil law, è stata posta al vertice delle fonti di diritto sacrificando le altre fonti tradizionali, come la consuetudine, il precedente, la dottrina. La legge è il frutto della decisione di un organo politico sovrano, che esprime in forma di precetti vincolanti per tutti quella che Rousseau chiamava la «volontà generale» del popolo. Quest'organo è il parlamento, ente collettivo che manifesta la volontà del popolo attraverso procedure formali. ⇒ Nel processo legislativo operano una molteplicità di attori sociali. A cominciare dalle lobby, ossia gruppi interessati all'emanazione o alla non emanazione di una legge, in base ai loro interessi: presso le sedi dei parlamenti operano agenzie permanenti, specializzate in questa attività. ⇒ Spesso, il processo che inizia non arriva in fondo. Però, nella società mediatica, conta soprattutto dare notizia: infatti, annunciare pubblicamente che una legge sarà emanata produce effetti di per sé: 1. manifesta la sollecitudine del ceto politico verso un problema, 2. può indurre una convinzione diffusa che quella legge esisterà o addirittura esiste già. Un'analisi dei giornali rivela frequenti casi di confusione fra leggi annunciate e leggi emanate, soprattutto nei titoli, oltre i quali il lettore o l'ascoltatore medio spesso non procedono. 25 Silvia Dell’Orletta Queste tecniche si sprecano soprattutto durante le campagne elettorali, quando il parlamento che deciderà non esiste ancora, ma la maggioranza dei fruitori dei media sorvola su questo particolare. ⇒ Avviato l'iter legislativo, sono molti gli attori che compaiono sulla scena o agiscono dietro le quinte. Le lobbies esterne, che sono particolarmente efficaci nelle fasi in cui le discussioni si svolgono in forma meno rituale, per es. nelle commissioni parlamentari, dove maggioranze e opposizioni assumono ruoli più sfumati. Le lobbies interne al Parlamento, trasversali rispetto agli schieramenti politici. Nei sistemi bicamerali si deve poi tener conto di ciò che avverrà nell'altro ramo del Parlamento. A questo punto entrano in gioco i numeri, i sistemi di votazione, le scelte del presidente di turno, le assenze impreviste, ecc. Alcune leggi devono essere votate entro un termine tassativo, come le leggi di programmazione economico-finanziaria o di conversione dei decreti-legge. L'ansia di concludere favorisce mediazioni e speculazioni dell'ultimo istante. Sapere che una legge sarà comunque approvata favorisce la presentazione di emendamenti, a volte estranei al suo contenuto, che può non essere facile respingere. Nei casi più rilevanti le influenze esterne, per es. dei media, possono condizionare l'iter legislativo. ⇒ Da una serie di azioni così complessa è facile che il progetto originario esca ampiamente cambiato. Infatti, è necessario fare concessioni: - sia per acquisire il consenso delle minoranze, - sia per ottenere una maggioranza compatta. Un parlamento è un'arena di conflitti che spesso sono più aspri fra gli esponenti di una maggioranza o dello stesso gruppo politico, che non fra maggioranza e opposizione, dove i contrasti assumono aspetti ripetitivi, dunque più controllabili. ⇒ Se non è possibile accordarsi sulla sostanza delle norme, non è infrequente che le parti si accordino sulle parole, sfumando i significati e rendendo problematica l'applicazione della legge che sarà emanata. Una legge vaga, oscura o contraddittoria, tuttavia, produce anch'essa degli effetti, perché è la tappa intermedia di un processo comunicativo e, a causa dei suoi difetti, essa susciterà più interpretazioni. Il potere esecutivo sarà costretto a precisarne il contenuto con circolari e comunicazioni. I tribunali emetteranno sentenze difformi finché si consoliderà un'opinione prevalente che, sotto forma di massima, svolgerà la stessa funzione sociale che spetta alla legge stessa. Infatti, i media individuali e di massa presenteranno quella massima sotto forma di regola generale. ⇒ Effetti socialmente rilevanti si producono anche se una legge si rivela del tutto inapplicabile, perché: - Il fatto che sia stata emanata permette ai suoi proponenti di usarla come strumento di propaganda, - Gli oppositori possono criticarla pubblicamente. I due schieramenti si rivolgono a uditori solo parzialmente comuni, perché ognuno risponde primariamente ai propri elettori e dunque il potenziale simbolico della legge può esprimersi in entrambe le direzioni. 26 Silvia Dell’Orletta ⇒ Infine, se si pensa che: 1. ogni norma si presta a più interpretazioni, 2. le interpretazioni si moltiplicano col passare del tempo, 3. le leggi, programmate per regolare rapporti futuri, possiedono un'alta capacità di resistenza, 4. esistono periodi di iper-produzione legislativa, si può comprendere come mai negli ultimi decenni la fonte legislativa statale sia entrata in crisi e siano riemerse fonti di diritto alternative. Gli Stati hanno reagito a questa crisi, ad es. con il trasferimento di poteri normativi generali alle autorità indipendenti, chiamate a intervenire in settori molto delicati: - dal punto di vista tecnico-scientifico, come telecomunicazioni, privacy, antitrust, - dal punto di vista politico, tanto da suggerire dubbi circa la loro legittimazione democratica. Inoltre, nel mondo attuale, forti tendenze globalistiche si confrontano con forti tendenze localistiche, tanto che si è coniato il vocabolo «glocalismo» per designare questa combinazione di forze. ⇒ L'azione giuridica generica si manifesta oggi con una moltitudine di modelli comportamentali: 1. fonti statuali, come normative locali o settoriali, 2. fonti giurisdizionali, sotto forma di precedenti giudiziari o arbitrali influenti di fatto se non vincolanti di diritto, 3. fonti negoziali, sotto forma di regole create privatamente per regolare rapporti economici, 4. fonti autoritative, che emanano norme generali non diverse dalle leggi, ma con procedure più elastiche e intenti più pragmatici: es. regolamentazione degli organi dell'Unione Europea, 5. rinascita della consuetudine, fonte tradizionale che la cultura codicistica aveva respinto ai margini della vita del diritto. Ma molte norme generali, anche quando paiono prodotte da qualche autorità, sono, in realtà, il consolidamento di consuetudini già affermate. Ciò sembra dar ragione alla famosa opinione pluralistica di Georges Gurvitch, secondo cui «lo Stato è un piccolo lago profondo nell'immenso mare del diritto che lo circonda da ogni parte». 3. L'azione giuridica specifica=interazione giuridica tra soggetti singoli, individuali o collettivi, che nasce dalla loro tendenza ad estendere il più possibile le rispettive sfere di autonomia, in un mondo caratterizzato da scarsità di risorse e conflitti. Es di azione giuridica specifica sono: contratto, testamento, azione giurisdizionale, azione amministrativa e azione imorenditoriale. Il contratto è un'istituzione di primaria importanza storica e politica, oltre che giuridica⇒ si pensi : 1. al contrattualismo, che dal ’600 in poi giustifica il potere politico come risultato di un accordo contrattuale, libero e autonomo, che conferisce a un sovrano, individuale o collettivo, poteri di governo 2. alla teoria di Henry S. Maine, liberale dell'epoca vittoriana, secondo cui le posizioni sociali sono liberamente scelte per contratto nel corso della vita, anziché automaticamente acquisite alla nascita in forza dello status familiare e sociale ereditato. Il contratto nasce dall'incontro delle libere volontà delle parti. Ma fino a che punto esiste tale libertà? 27 Silvia Dell’Orletta ⇒ Anche nei regimi economici liberistici, che la sacralizzano, molti sono i limiti che la vincolano, in nome del pubblico interesse. ⇒ Nel corso del ‘900 le politiche di welfare hanno indotto molti governi occidentali a intervenire nell'area della libertà contrattuale a favore delle parti più deboli. Tali strategie, che hanno suscitato riflessioni scettiche sulla sopravvivenza del contratto come manifestazione di autonomia privata, hanno avuto effetti a volte opposti rispetto alle attese. Infatti, la costituzione di monopoli pubblici in alcuni settori-chiave dell'economia, come le comunicazioni, i trasporti o le fonti di energia, si è spesso tradotta in gravi sacrifici per l'utente medio, privato di ogni potere contrattuale e costretto a pagare prezzi più alti di quelli di mercato, come sarebbe accaduto in regime di monopolio privato. ⇒ Dagli ultimi due decenni del Novecento, in nome di un rinnovato liberismo, si è imposta un'inversione di rotta, con privatizzazioni. In questo clima, è rinata una fiducia anche teorica nel contratto. Ma nel libero mercato, la mancanza di regole, comporta: 1. la formazione di oligopoli e cartelli, come dimostrano, in Italia, gli es. delle telecomunicazioni e delle assicurazioni: due mercati in cui il contraente medio difetta di una seria possibilità di negoziare clausole e prezzi, 2. manovre speculative in settori, come il commercio minuto, ad es. con l'introduzione dell'euro. Dunque, un regime di perfetta libertà ed equilibrio delle parti in materia contrattuale è, in realtà, solo un modello teorico verso cui orientarsi, mantenendo, comunque, un apparato di controllo, che non deve, tuttavia, essere soffocante. Il pericolo della politica antimonopolistica dell'Unione Europea è irretire l'azione economica con regole troppo minuziose, senza con ciò riuscire a circoscrivere il potere dei contraenti più forti. ⇒ La libertà contrattuale implica anche fiducia nella controprestazione. Pochi decenni fa, Stewart Macaulay, diceva che, accanto agli aspetti formali e scritti della formazione di un contratto importante, sono fondamentali anche gli aspetti personali «non contrattuali» (cfr. giri giapponese) collegati al rapporto di fiducia reciproca tra le parti: es. parola data, stretta di mano, telefonata cordiale, ecc. In pochi decenni, il processo di formalizzazione, secondo Max Weber, ha conquistato il campo delle relazioni contrattuali, facendo trionfare la forma scritta. Infatti, nella struttura attuale, le grandi metropoli sono collegate economicamente nella rete atomistica e spersonalizzata delle «global cities». Inoltre, la diversità di culture impone particolari cautele alle parti quando si redige uno schema contrattuale a dimensione transnazionale. Ne consegue una tendenza alla standardizzazione, soprattutto in alcuni settori, come trasporti, spedizioni, affiliazioni commerciali (cd. «franchising»). ⇒ Il contratto, dunque, è un es. tipico di: - autonomia se i contraenti vengono considerati congiuntamente, - eteronomia se essi vengono considerati separatamente e si fa luce sulle strategie e le tattiche che ogni contraente pone in essere per garantirsi il massimo vantaggio possibile. 28 Silvia Dell’Orletta ⇒ Altre forme d'azione giuridica specifica presentano caratteri di eteronomia in modo più diretto. Es. il testamento, strumento tipico di trasmissione inter-generazionale di ricchezze e di status, e anche, atipicamente, di ammonimenti, valori, sentimenti d'affetto o di avversione. La popolarità di questo strumento giuridico, con cui un soggetto può vincolare in modo assai restrittivo l'azione dei suoi successori, varia a seconda delle culture e dei sistemi giuridici. ⇒ Nei regimi di «testamentary freedom», prevalenti nei paesi di common law, il testamento è più diffuso che nei regimi di «partage forcé», introdotto dai rivoluzionari francesi dell'89 e basato sull'istituto della quota di riserva - la «successione necessaria» del nostro codice civile - e sull'uguale suddivisione dei patrimoni tra i successibili dello stesso grado. Anche in questi ultimi tuttavia - es. in Italia - l'atto di ultima volontà può servire ad apportare correzioni non marginali a quella che sarebbe la sorte del patrimonio se il de cuius morisse senza aver redatto testamento. Il testatore confida nella futura obbedienza spontanea degli eredi sfavoriti: infatti, l'atto di ultima volontà esercita una forte pressione psicologica grazie al suo alto grado di simbolismo. ⇒ L'eteronomia si fa più vistosa man mano che dal campo «privato» ci si sposta verso quello «pubblico». L'azione giurisdizionale è l'esempio più tipico. Attraverso l’azione giurisdizionale un conflitto latente diventa esplicito, formale e «pubblico». Inoltre, proprio per questo carattere di pubblicità, le parti assumono ruoli formali - «attore» e «convenuto» - che incanalano le loro azioni entro binari precostituiti. Anche in regimi giuridici che riconoscono ampia libertà d'azione ai protagonisti del processo, le armi di cui ciascuno di essi dispone sono prescritte e non possono essere cambiate. Il rapporto tra le parti del processo, che in origine ha avuto una dimensione bilaterale, ed. nel campo della giustizia civile, oggi prevede altri soggetti: 1. il giudice, portatore di una simbologia sociale arcaica ma proprio per questo potente, 2. i difensori delle parti, che filtrano le domande, le traducono in linguaggio curiale, ecc., 3. il pubblico esterno che, nei casi più rilevanti, commenta e interviene, pervenendo talvolta a condizionare gli esiti. Questa complessa interazione si configura come un gioco, con vincitori e perdenti, definiti come tali dalla sentenza, dotata di efficacia formale e sostanziale. Un gioco i cui esiti dipendono da una tale molteplicità di fattori da renderlo spesso poco prevedibile. ⇒ Il fattore più rilevante che influisce sul processo è la capacità di assorbimento del sistema giudiziario. Metaforicamente, questo funziona come una successione coordinata di filtri e di valvole. Se qualcosa, in qualunque fase, intralcia il flusso di azioni, i conflitti non trovano soluzione istituzionale soddisfacente e rischiano di scaricarsi altrove, nel migliore dei casi in forme di «giustizia alternativa», nel peggiore in forme di devianza. ⇒ I flussi di litigiosità, quindi, dipendono: 29 Silvia Dell’Orletta - nel campo della giustizia civile, da variabili «endogene», cioè attinenti al sistema giudiziario stesso, più che da variabili «esogene», relative agli eventi esterni (indici di natalità, di incremento demografico, ecc.), - nel campo della

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