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This document provides an overview of biomaterials, classifying them by chemical nature (metals, polymers, ceramics, composites, and biological origins). It also categorizes them by the effects on the organism (bioinert, biotoxic, bioactive, and bioresorbable). The document covers the biological response to implants, including inflammation, coagulation, and the body's response to foreign bodies. It also discusses biocompatibility testing, both in vivo and in vitro.
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Classificazione dei biomateriali in base alla natura chimica: Metalli: Vantaggi: Elevate proprietà meccaniche, resistenza all’usura e duttilità Svantaggi: Scarsa biocompatibilità, rigidità, alta densità, corrosione Protesi ortopediche e odontoiatriche, strumenti chirurgici Polimeri (naturali o s...
Classificazione dei biomateriali in base alla natura chimica: Metalli: Vantaggi: Elevate proprietà meccaniche, resistenza all’usura e duttilità Svantaggi: Scarsa biocompatibilità, rigidità, alta densità, corrosione Protesi ortopediche e odontoiatriche, strumenti chirurgici Polimeri (naturali o sintetici): Vantaggi: Elevata tenacità, bassa densità, lavorabili, degradabili Svantaggi: Limitate proprietà meccaniche Suture, cateteri, drenaggi, protesi, cementi, trattamenti ematici, sostituti anatomici e tessuti molli Ceramici: Vantaggi: Buona compatibilità, inerzia chimica, buone proprietà meccaniche a compressione Svantaggi: Alta densità, fragili, difficilmente lavorabili Impianti ortopedici e odontoiatrici Compositi: Vantaggi: Compatibili, inerzia chimica, buone proprietà meccaniche, resistenti alla corrosione Svantaggi: Scarsa coesione tra le fasi, difficilmente lavorabili Protesi valvolari e ortopediche Materiali di origine biologica: Vantaggi: Ottima biocompatibilità Svantaggi: Non affidabili, scarse proprietà meccaniche, difficile trattamento e conservazione Sostituzione organi, supporto per ingegneria tissutale Classificazione biomateriali con effetti sull’organismo: Bioinerti → Non inducono reazione o reazione trascurabile Biotossici → Provocano reazioni indesiderate con interazioni chimiche, biochimiche o fisiche Bioattivi → Provocano risposte desiderate e controllate dall’organismo Bioriassorbibili → Vengono degradati e metabolizzati senza provocare reazioni indesiderate Classificazione biomateriali con effetti sul materiale: Biostabili → Resistono all’azione dei meccanismi dei tessuti senza variare la struttura chimico-fisica Biodegradabili → Si degradano gradualmente per mezzo delle azioni dell’organismo Compatibilità dei dispositivi medici con l’ambiente tecnologico: Biologica → Legata alla natura chimica e biochimica Morfologica → Legata a forma, dimensione e massa del dispositivo e alla funzione e posizione Funzionale → Legata al ruolo svolto rispetto a quello inteso La biocompatibilità del materiale è condizione necessaria ma non sufficiente per la biocompatibilità del dispositivo. La biocompatibilità è specifica per l’applicazione, non per il dispositivo in generale. Possiamo solamente prevedere l’evoluzione a livello probabilistico partendo dalle condizioni iniziali. Requisiti di affidabilità: Tempo di applicazione → Permanente, temporaneo o periodico Posizione → Totalmente o parzialmente intracorporeo, totalmente extracorporeo Funzione → Vitale o non vitale I dispositivi medici sono posti in diverse classi, descritte dalla loro criticità e rischio. Reazione dell’organismo all’impianto: Quando il corpo percepisce una lesione, esso reagisce con l’infiammazione, che ha lo scopo di riparare le lesioni e combattere infezioni. Nel caso di infiammazione per più di 3-5 giorni il processo infiammatorio è cronico e impedisce la cicatrizzazione. Caratteristiche: tumefazione, arrossamento, aumento di temperatura, dolore e alterazione funzionale Ci sono diverse fasi: Emostasi: 1. Vasocostrizione dei capillari lesi con la muscolatura liscia 2. Produzione locale di molecole mediatrici e permeabilizzazione dei capillari 3. Vasodilatazione dei capillari con fuoriuscita di proteine plasmatiche, globuli rossi e bianchi e piastrine (formazione di essudato → plasma, globuli bianchi e cellule morte, pus → globuli bianchi, può essere settico o asettico) 4. Azione del fibrinogeno, aggregazione piastrinica, coagulazione e riparazione dei vasi, con limitazione dell’infiammazione La coagulazione è un processo irreversibile, risultato di una cascata complessa di reazioni biochimiche che portano alla formazione del coagulo (una rete di fibrina che intrappola globuli rossi, piastrine e plasma. Può essere estrinseca (dopo un danno ed emissione di protrombina tissutale) o intrinseca (quando il sangue tocca un materiale diverso dalla superficie dei vasi). Le due strade convergono verso il fattore 10A (protrombinasi) che dà il via alla coagulazione. La trombina attiva il fibrinogeno in fibrina, che è insolubile. Si tratta di un equilibrio tra coagulanti e anticoagulanti (eparina, antitrombina, antiaggreganti piastrinici). La coagulazione avviene più facilmente e velocemente su superfici rugose, idrofobe ed elettropositive (le piastrine sono negative). Viene normalmente controllata dalla fibrinolisi previene l’eccessiva crescita del coagulo. Il plasminogeno viene trasformato in plasmina, un enzima in grado di distruggere la fibrina dei coaguli. Fase proliferativa: I fibroblasti depositano collagene, si formano nuovi capillari, agiscono enzimi fibrinolitici prodotti da cellule endoteliali. Fase di rimodellamento: Diminuzione di fibroblasti attivi ed equilibrio tra sintesi e degradazione di collagene. Cicatrizzazione: Guarigione definitiva. Emolisi: La rottura dei globuli rossi (per T>42°C, pressione osmotica o sforzi di taglio eccesivi, sostanze tossiche o alcuni farmaci) provoca il rilascio dell’emoglobina e frammenti di membrana nel sangue. Quando è eccessiva i reni possono essere danneggiati. Risposta al corpo estraneo: C’è anche la risposta al corpo estraneo, che può essere più o meno forte a seconda del materiale: 1. Il materiale impiantato adsorbe uno strato di proteine 2. I globuli bianchi identificano il materiale estraneo e si legano, formando cellule giganti polinucleate 3. Quando muoiono, rilasciano citochina che chiama la produzione di collagene dai fibroblasti 4. Il corpo estraneo viene incapsulato da un callo collagenoso. La gravità della risposta dipende dal tipo di inerzia del materiale: Inerzia chimica → Il materiale non reagisce con i tessuti dell’organismo Inerzia fisica → Dipende dallo stato e dalle dimensioni rispetto alla componente cellulare La presenza di entrambe le inerzie ci suggerisce una risposta infiammatoria lieve con una sottile capsula fibrosa, mentre l’assenza di entrambe rende probabile una grave risposta infiammatoria cronica con callo spesso. Materiali ceramici: sono solitamente chimicamente inerti e incapsulati da un sottile strato fibroso. Se privi di inerzia fisica generano la crescita dei tessuti, che può essere voluta. Polimeri: sono solitamente chimicamente inerti, ma possono rilasciare sostanze tossiche con la degradazione. Quando sono biodegradabili la demolizione è voluta. Metalli: presentano il problema della corrosione, con il rilascio di ioni e possibile reazione grave. La passivazione (ex. titanio) rende il materiale inerte chimicamente con uno strato di ossido o materiale ceramico inerte. Valutazione di biocompatibilità: Dato che non è qualcosa di misurabile empiricamente, abbiamo bisogno di procedure standard. Si valutano le reazioni materiale→tessuto e tessuto→materiale, in funzione del tempo, che dipendono dalle caratteristiche del materiale e dell’ospite. Le risposte dell’ospite: Locale (solo nel sito interessato) o sistemica (coinvolge altri siti) Immediata o tardiva Strutturale (dipende dalla natura fisica del materiale), fisiologica (natura chimica), batteriologica (infezioni) o immunologica (risposta immunitaria di ipersensibilità) Le risposte del materiale: Composizione chimica (acidità, ioni, polarità) Mobilità molecolare (terminazioni di catena) Topografia (rugosità, porosità, difetti) Domini (con proprietà diverse) Adsorbimento (passaggio di una specie chimica dalla soluzione alla superficie) Adsorbimento proteico: Le proteine escono dalla soluzione per passare sulla superficie del solido. Questo fenomeno è importante perché il segnale biochimico contenuto nelle proteine guida il comportamento delle cellule circostanti. Possono infatti condizionare la coagulazione, l’attivazione del complemento e l’adesione di batteri e cellule. Guidano anche il riconoscimento di un materiale estraneo. Se la superficie è carica, le proteine si orientano in base alla loro affinità elettrica. Ci sono 3 tipi: Labile → La proteina si adsorbe senza interazioni Medio → La proteina si adsorbe con cambiamenti strutturali Forte → La proteina si denatura, cambiando forma e interagendo fortemente La variazione eccessiva delle proteine è pericolosa, in quanto il riconoscimento proteico (antigene) è fondamentale nel controllo del rigetto. Punto isoelettrico: pH in cui le cariche esposte dalla proteina si annullano a vicenda. Molecole vicine al punto isoelettrico vengono adsorbite più velocemente. Unfolding: La proteina si srotola dai suoi legami intramolecolari, cambiando forma. Molecole con pochi legami intramolecolari hanno unfolding e generano contatti più numerosi con la superficie più velocemente. Un biomateriale deve poter sostituire un materiale biologico, idealmente senza che l’organismo si accorga della sua presenza. La scienza dei biomateriali si occupa della produzione caratterizzazione morfologica, chimico-fisica, meccanica e funzionale di nuovi materiali. Serve inoltre una caratterizzazione biologica in vitro e in vivo per valutare l’applicabilità in medicina. I test: 1. Individuazione di un test standard (prova ripetibile e sperimentale) 2. Scelta dei materiali di controllo (materiali capaci di indurre una risposta nel materiale e nell’ospite) 3. Misura della risposta (misura della risposta del materiale/ospite fornita dal test standard e confronto con la risposta ottenuta con i materiali di controllo) ISO 10993: È lo standard internazionale che introduce la valutazione della biocompatibilità e guida alla selezione dei diversi test da svolgere sul materiale in questione. È sviluppato dal Comitato Tecnico. 23 standard. La selezione si basa sul tipo di dispositivo e sulla durata del contatto. Come abbiamo già specificato, i test di biocompatibilità non valutano le proprietà intrinseche del materiale, ma mirano a simulare le condizioni di esposizione ad esso nella sua applicazione e prevedere cosa avviene. Test in vitro: Citotossicità (10993-5): “I test di citotossicità sono un metodo di valutazione dei danni biologici acuti provocati dalle sostanze rilasciate dai dispositivi medici tramite l’osservazione degli effetti che queste producono su cellule di mammifero coltivate in vitro in un mezzo nutriente”. È possibile svolgere il test in forma indiretta: si posiziona il materiale dentro ad un liquido che simula i fluidi biologici (37°C) per dei giorni. Si raccoglie il fluido, si filtra e si posiziona nella coltura cellulare per studiare gli effetti. La forma diretta: si posiziona il materiale direttamente a contatto con la coltura cellulare e si osservano gli effetti. I materiali di riferimento sono il positivo (sicuramente citotossico), negativo (non ha effetti) e la coltura bianca (senza cellule e materiale). In ogni coltura si lasciano 24h per garantire l’adesione e la riproduzione delle cellule in vitro. Dopo il periodo di contatto con il materiale, si procede con analisi morfologica e funzionale. Morfologica: Malformazioni, degenerazione, morte cellulare Alterazione della densità cellulare e alterazione della differenziazione Funzionale: Vitalità cellulare (test colorimetrici, dosaggio di proteine ed enzimi) Indice mitotico (proliferazione, marcatori del DNA) Adesione cellulare (radioisotopi e misura di radioattività per area) Secrezioni (quantificazione con spettrofotometria delle molecole endocellulari emesse) Chemotassi (misura di segnali chimici ed indici di processi infiammativi) Fagocitosi (misura l’incubazione di microparticelle del materiale, fondamentale per infiammazione) Trasformazione linfocitaria (analisi di linfociti prelevati da portatori di impianti) Adesività batterica (studio della cinetica dell’adesione batterica) Test colorimetrici: Rosso neutro, MTT e Alamar Blue sono chiamati coloranti vitali perché sono legati alla vita cellulare. Rosso neutro (Neutral Red Uptake Assay): Il colorante viene assorbito dalle cellule e trattenuto dai lisosomi (contengono enzimi e digeriscono), che lo rilasciano con una soluzione opportuna. Solo le cellule vitali con lisosomi intatti possono catturare e rilasciare il rosso. 1. Aggiunta soluzione colorante alla coltura 2. Incubazione di 3 ore a 37°C 3. Rimozione soluzione in eccesso e lavaggio con PBS 4. Aggiunta soluzione decolorante acido acetico glaciale e alcol (lisi cellulare) 5. Agitazione, centrifugazione e lettura spettrofotometrica dell’assorbanza (λ=540 nm) Test MTT: Il colorante viene assorbito e ridotto dai mitocondri in formazano (blu-viola) che rimane nella cellula. 1. Aggiunta soluzione colorante alla coltura 2. Incubazione di 4 ore a 37°C 3. Rimozione soluzione in eccesso e lavaggio con PBS 4. Aggiunta soluzione decolorante dimetil-solfossido (lisi cellulare) 5. Agitazione, centrifugazione e lettura spettrofotometrica dell’assorbanza (λ=550 nm) Test Alamar Blue: Misura la proliferazione cellulare nel tempo. Si utilizza l’indicatore REDOX resazurina (blu e debolmente fluorescente). La proliferazione riduce la specie, che diventa resofurina (rosa, fluerescente). Si utilizza la differente intensità di fluorescenza (λ=590 nm) e la diversa assorbanza. 1. Aggiunta della soluzione colorante 2. Incubazione di 4 ore a 37°C 3. Estrazione della soluzione e lettura spettrofotometrica dell’assorbanza (resazurina 600 nm, resofurina 570 nm) 4. Ripristino della coltura con un mezzo di coltura fresco, il test può essere ripetuto. Test Kenacid Blue: Valuta il numero di cellule attraverso il dosaggio delle proteine totali. Il colorante si lega alle proteine delle cellule fissate. 1. Lavaggio con PBS 2. Aggiunta di soluzione fissativa (acido acetico, alcol e acqua) e agitazione 20 min 37°C 3. Rimozione fissativo e aggiunta soluzione colorante 4. Incubazione 20 min a 37°C 5. Lavaggio e aggiunta soluzione decolorante 6. Incubazione 20 min 37°C 7. Lettura spettrofotometrica dell’assorbanza a λ=280 nm Citocompatibilità: I test di citocompatibilità consistono in prove di adesione e proliferazione cellulare. Implicano un contatto diretto delle cellule col materiale da testare. A tempi prestabiliti si controllano le cellule al microscopio, osservando l’adesione tra loro e con il materiale. Il controllo sono cellule coltivate direttamente nel pozzetto della piastra da coltura (polistirene). Mutagenicità (ISO 10993-3): Si intende la proprietà di un materiale di indurre variazioni genetiche permanenti ed ereditabili alle cellule in contatto con il materiale o le sostanze da esso rilasciate. La risposta di mutazione è generalmente proporzionale alla dose di agente mutante. A breve termine: anche in sole 48 ore, utilizzando procarioti o eucarioti semplici A lungo termine: test in vivo su popolazioni di roditori medio-lunghe o studi epidemiologici Test di Ames: È il test di mutagenesi più usato al mondo, evidenzia mutazioni geniche indotte dai materiali su colture batteriche di Salmonella typhimuruim. Consiste nello stabilire la capacità della sostanza in esame di indurre mutazioni in un ceppo di salmonelle modificate (non possono sintetizzare l’amminoacido istidina). Se l’agente chimico è in grado di indurre una retromutazione, allora il ceppo potrà sintetizzare di nuovo la specie. Si usa anche un controllo. Spettroscopia: Si tratta di un test che sfrutta la legge di Lambert-Beer → Assorbimento di luce correlato con concentrazione di materiale. Si utilizza una cuvetta trasparente con una soluzione, non c’è interferenza della cuvetta. Una sorgente di luce bianca viene fatta passare per un prisma e un collimatore per selezionare la lunghezza d’onda adeguata. I sistemi più moderni prendono il fascio di luce selezionata e lo dividono in due, per ricavare entrambe le intensità necessarie. Prendiamo l’assorbanza come additiva. Emocompatibilità (ISO 10993-4): Si trattano dei test in vitro che studia la compatibilità dei materiali con il sangue. Lo standard ISO prevede che queste prove devono essere svolte sui materiali destinati alla costruzione di dispositivi medici che entrano in contatto con il sangue durante il loro normale uso. Ci sono test diversi in base al tipo di contatto: Comunicanti esternamente per via indiretta con il sistema circolatorio (tubi…) Comunicanti esternamente con il sangue in ricircolo (filtri dialisi…) Impiantati (protesi vascolari, stent) I principali test sono: tempo di tromboplastina, adesione piastrinica, assorbimenti fibrinogeno, leucociti, eritrociti, fibrina, emolisi, attivazione del complemento, adesione, indice mitotico… Test di adesione piastrinica: Il test mira a studiare l’adesione delle piastrine sulla superficie del materiale. Viene utilizzato anche un controllo negativo (alcol polivinilico) e positivo (vetro rivestito di fibrinogeno). 1. Condizionamento 18h in PBS del materiale 2. Immersione del materiale in plasma umano ricco di piastrine 3. Incubazione 18h a 37°C 4. Rimozione del plasma e lavaggio con PBS (per rimuovere piastrine non adese) 5. Fissaggio delle piastrine adese (glutaraldeide e GTA) 6. Disidratazione con etanolo e essiccamento 7. Analisi con microscopio elettronico Test di assorbimento fibrinogeno: Consiste nel controllare la concentrazione del fibrinogeno assorbito dal materiale attraverso la spettrofotometria. Si utilizza anche un controllo positivo e negativo, e un bianco con solo fibrinogeno. 1. Preparazione soluzione di fibrinogeno (1 mg/ml, pH 7.4) 2. Aggiunta del materiale da testare in soluzione ed incubazione con leggera agitazione 37°C 3. Prelievo del surnatante ad intervalli predefiniti 4. Lettura spettrofotometrica del surnatante λ=280 nm Il surnatante è la fase liquida che sovrasta una fase solida che si è separata dal liquido per precipitazione o sedimentazione. Test in vivo: Test di tossicità sistemica (ISO 10993-11): Devono rilevare gli effetti sistemici (non locali) dovuti all’azione di sostanze rilasciate dai materiali su organi e tessuti lontani dalla zona di contatto. La tossicità viene valutata in base alla frequenza di esposizione: Acuta → Uniche o ripetute entro 24h Sub-acuta → Ripetute fino a 14-28 giorni Sub-cronica → Ripetute fino a 3 mesi Cronica → Ripetute fino a 2-3 anni o 90% età della cavia L’esposizione può essere dermica, endovenosa, orale…, oppure direttamente con l’impianto. Si valutano sintomi visibili, variazioni di peso, del sangue, tessuti e comportamento. Pirogenicità (ISO 10993-11): L’obbiettivo è rilevare la presenza di sostanze pirogene (causanti febbre). Il test tipico consiste nell’iniezione intravenosa dell’estratto di materiale in cavie e nel controllo della loro temperatura corporea nelle ore successive. Generalmente i pirogeni più comuni sono tossine prodotte da batteri GRAM-, ovvero non originanti dal materiale in sé ma da processi non sterili con cui viene trattato. Sensibilizzazione (ISO 10993-10): La sensibilizzazione è la progressiva avversione del sistema immunitario ad una sostanza estranea. a) Fase di sensibilizzazione → La prima esposizione non provoca reazione, ma il sistema immunitario produce anticorpi IgE. Essi si legano all’istamina e sono pronti a reagire. b) Fase di reazione allergica → La successiva esposizione fa legare gli anticorpi con l’antigene sul materiale e provoca il rilascio degli agenti infiammatori del sistema immunitario (rossore, prurito, gonfiore, rinite e broncospasmo). Si vuole studiare se il contatto ripetuto (sulla pelle di una cavia) può dare sensibilizzazione. 1. Fase di induzione → Il materiale viene bendato alla pelle della cavia per un periodo di tempo 2. Fase di riposo → Due settimane di riposo per attendere l’eventuale sensibilizzazione 3. Fase di applicazione scatenante → Riapplicazione del materiale su un’area nuova e osservazione Irritazione (ISO 10993-10): Si vuole misurare la risposta infiammatoria locale ad applicazioni singole, ripetute o continue della sostanza di prova, senza il coinvolgimento del sistema immunitario. I sintomi tipici sono arrossamento, gonfiore, riscaldamento e dolore. Vogliamo quindi studiare la risposta locale a sostanze irritanti rilasciate dal materiale. Test di irritazione intracutaneo od oculare → si iniettano gli estratti dal materiale nella pelle o si mettono nell’occhio. Il controllo è una iniezione del solvente. Test di irritazione della pelle primaria → Si mette la sostanza in contatto con la pelle Il primo è aggressivo, quindi la norma invita ad eseguire una attenta ricerca in letteratura e vitro per evitare inutili sofferenze alle cavie. Cancerogenicità (ISO 10993-3): Il test rivela gli effetti causati da alterazioni del DNA derivanti da mutazioni o aberrazioni generiche indotta dal contatto con il materiale. Un tipo di test si basa sulla rivelazione di eritrociti micronucleati nel midollo osseo di topi, derivati dall’anomalo comportamento di eritroblasti. Questo mostra che nella fase di divisione cellulare c’è stato un errore conseguente da un danno cromosomico. Test di impianto (ISO10993-6): La norma specifica i test per la valutazione degli effetti locali dopo l’impianto di biomateriali. La norma fornisce indicazioni su: Specie animale da utilizzare come cavia Tessuto dove effettuare l’impianto Modalità e durata di impianto Metodi di valutazione della risposta biologica (valutazione capsule ed esame istopatologico) Fasi test: 1. Preparazione del materiale nella forma voluta 2. Sterilizzazione e impianto in condizioni asettiche 3. Esame dei tessuti dopo: 1-12 settimane per impianti brevi, 12-78 settimane per impianti lunghi Sperimentazione clinica: Oltre i test in vitro e in vivo, sono necessari delle prove cliniche su umani. Sono sempre necessarie per l’approvazione al commercio e utilizzo medico. Consistono in trials clinici, evoluzione clinica e analisi retrospettiva. Anche solo per accedere alla sperimentazione clinica sono necessarie le approvazioni degli enti nazionali o internazionali. Si deve presentare un dossier che descrive e documenta gli esiti positivi dei test in vitro e vivo, per dimostrare la sicurezza ed efficacia nel procedere nei test clinici. Si deve inoltre fornire: 1) Descrizione del materiale/dispositivo 2) Descrizione delle procedure chirurgiche 3) Descrizione delle procedure post-trattamento 4) Tipo di valutazione attesa: confronto prima-dopo del paziente, confronto con soggetti sani 5) Prova dei benefici per i riceventi e dell’assenza di rischi importanti A seguito dell’approvazione, il dispositivo viene testato su un numero predefinito di pazienti volontari, che verranno seguiti e monitorati nel decorso clinico. Fasi sperimentazione clinica: Fase 1 (settimane-mesi): L’obbiettivo è valutare la sicurezza con Se cessata la forza applicata il materiale non ritorna alle dimensioni originali Limite elastico -> valore di sforzo oltre il quale il materiale ha comportamento plastico Modulo elastico: E’ la pendenza della curva sforzo-deformazione nella regione elastica, indica la rigidità del materiale (resistenza alla deformazione). Definizioni rottura: Rottura -> Separazione di un corpo in due o più parti a causa di stress (di solito propagazione cricca) Rottura fragile -> In assenza di deformazione plastica, improvvisa e veloce (ex. Ceramici) Rottura duttile -> In seguito ad una notevole deformazione plastica, con riduzione di sezione. Processo graduale con riscaldamento (ex. metalli e polimeri) Duttilità -> Capacità di deformazione plastica prima di rottura. Allungamento percentuale a rottura. Tenacità -> Area sottesa alla curva fino a rottura. Indica quanta energia riesce a contenere fino a rottura Sforzo ciclico e rottura a fatica: Uno sforzo ciclico a sollecitazioni più basse di rottura può comunque danneggiare il materiale. Essa viene chiamata sollecitazione a fatica. Fasi rottura a fatica: 1. Innesco della cricca 2. Crescita graduale cricca 3. Riduzione della sezione resistente 4. Rottura I fattori che influenzano la resistenza a fatica sono la finitura superficiale, ambiente aggressivo e frequenza di sollecitazione. Viscoelasticità: La relazione che lega sforzo a deformazione dipende dal tempo. In generale, all’aumento della velocità di deformazione. Polimeri e materiali biologici → Viscoelastici Ceramiche e metalli → Viscoelasticità trascurabile a T fisiologica Isteresi: Nel caso di materiali elasto-plastici, per sforzi inferiori al limite elastico, non vi è perdita di energia e la curva di carico e scarico sono uguali. Nel caso di materiali viscoelastici c’è perdita di energia, e la curva di scarico è più bassa del carico (isteresi). Durezza: E’ la resistenza di un materiale alla deformazione plastica localizzata. Risulta importante nelle zone esposte a sollecitazioni o accoppiamenti cinematici. Prova di durezza -> Si utilizza un punzone con una forza nota e si osserva l’impronta lasciata. Ci sono diverse prove (Brinell, Vickers, Knoop, Rockwell), che utilizzano punzoni e osservazioni diverse. Ci sono anche diverse scale di durezza a seconda del test e alcune comparano con minerali noti (Mohs). In generale, un materiale duro non si riga con l’acciaio, un materiale semiduro viene rigato e quelli teneri si scalfiscono con l’unghia. Si considera anche la resistenza all’abrasione e alla scalfitura. Proprietà termiche: Il calore generato dall’innalzamento della temperatura corporea può influenzare il materiale dell’impianto e arrecare danni ai tessuti circostanti. Transizione vetrosa -> Superata la T di trans. Vetrosa, i polimeri variano molto le proprietà, diventando simili al vetro sciolto. Calore specifico -> Quantità di calore necessario per aumentare di 1°C una unità di massa di materiale. Si misura in cal/g. Dilatazione termica -> Indicano quanto si dilatano i materiali con l’aumento della temperatura, sia linearmente che per volume. Può avere effetti indesiderati se non tenuto di conto. Temperatura di fusione Tm -> Transizione da solido a liquido Proprietà fisico-chimiche: Densità -> Nel caso in cui la densità dell’impianto sia molto diversa da quella dei tessuti circostanti, c’è la possibilità che la gravità possa causare il suo movimento nel tempo. La densità diminuisce all’aumentare della temperatura, dato che il materiale si espande di volume ma la massa rimane costante. Porosità -> E’ la caratteristica di possedere delle cavità interne o comunicanti con l’esterno. Se presenti, diminuiscono la densità del materiale. I pori possono essere aperti o chiusi. Se sono aperti rendono la superficie permeabile. Possono essere utili per la filtrazione di fluidi corporei e la realizzazione di scaffold tissutali. Utilizzando l’equazione di Washburn è possibile graficare il volume di pori cumulativo (utilizzando come parametro la pressione e il volume di liquido intruso. Sappiamo che per ogni punto del grafico esso sarà il volume occupato dai pori di dimensione maggiore o uguale a quello dell’ascissa (la pressione necessaria aumenta con il diminuire del diametro del poro). Per ricavare la distribuzione frazionale, deriviamo la cumulativa del volume rispetto al diametro. Assorbimento raggi X: La capacità di assorbire raggi X è importante per controllare il posizionamento di impianti interni. I metalli in generale sono ben visibili nelle lastre, ma i materiali polimerici sono radiotrasparenti. Per rendere visibili i materiali radiotrasparenti si aggiungono materiali radio-opachi, come il solfato di bario nel cemento per ossa e tungsteno nelle protesi vascolari. Raggi X: Sono onde elettromagnetiche con energia superiore ai raggi UV. Possono essere ottenuti sparando un raggio di elettroni verso atomi, che interagiscono con loro emettendo raggi X. Un altro metodo è l’interazione di un raggio di elettroni con gli orbitali interni, forzando l’atomo a far scendere elettroni per sopperire alla mancanza e generando raggi X con lunghezza d’onda caratteristica. Il sistema tipico è un vacuum tube con un filamento riscaldato per catodo e anodo metallico. 35 kV vengono applicati e gli elettroni vengono sparati contro il metallo, generando raggi X. Effetto fotoelettrico -> Fotoni dei raggi X fanno espellere elettroni interni agli atomi. Il fotone scompare. Effetto Compton -> I fotoni incidono sugli elettroni di valenza, ionizzandolo e perdendo energia. Il fotone non è più raggio X. Produzione di coppie -> Raggi X molto energetici possono attraversare un atomo e scomparire, generando un elettrone un positrone. Questi effetti sono tutti dipendenti dal numero atomico, con diverse proporzioni. In generale, atomi pesanti assorbono molto meglio i raggi X. Proprietà dei materiali metallici: I materiali metallici sono usati in circa 30% dei dispositivi medici. Le buone proprietà meccaniche dei metalli li rendono in grado di sopportare carichi importanti in modo ciclico, quindi vengono usati nell’ortopedia e nell’odontoiatria per sostituire tessuti duri come ossa e denti. E = 100-200 GPa, carico di snervamento = 300-1000 MPa Duttilità e malleabilità Resistenza a fatica meccanica Lavorabilità Biocompatibilità Conducibilità elettrica e termica I metalli hanno il problema della corrosione, con rischio di perdita di funzione e rilascio di ioni tossici. I metalli hanno una struttura cristallina, caratterizzata dal legame metallico tra gli atomi. Viene immaginato come un reticolo di ioni positivi immersi in un mare di elettroni di valenza. Questo legame giustifica la conducibilità, ma anche la duttilità e malleabilità. Difetti del reticolo cristallino: La struttura cristallina è la ripetizione spaziale della cella elementare (varia a seconda del metallo). I difetti cristallini sono irregolarità del reticolo con dimensioni dell’ordine del diametro atomico. Difetti puntuali -> Vacanze, difetti interstiziali, impurezze Difetti lineari -> Dislocazioni Difetti di superficie -> Difetti di interfaccia Difetti macroscopici di volume o massa -> Pori, cricche, inclusioni Vacanza: E’ il difetto più semplice, che consiste in un vuoto in un sito atomico. Non è eliminabile, dato che può avvenire durante la solidificazione o per mobilità atomica. Ci sono sempre. Impurezze: Un materiale puro non si può ottenere, ci sono sempre altri elementi mischiati. L’impurezza può essere sostitutiva (al posto di atomi) oppure interstiziali (riempiono gli interstizi presenti) Dislocazioni: E’ un difetto di linea, ovvero sono distorsioni del reticolo attorno ad una linea. Si formano nella solidificazione oppure con deformazioni plastiche. Metalli elementari e leghe: I metalli possono essere puri oppure essere leghe composte da uno o più elementi. La prima lega è stato lo Sherman Vanadium Stell, con cui sono state fatte placche e viti per ortopedia, ma ha il problema della corrosione. Leghe: Si tratta di una miscela mono o poli fasica di due o più elementi di cui almeno un metallo (base). Per fase si intende una porzione di materiale omogeneo sia per struttura fisica che composizione chimica. Non ci sono rapporti stechiometrici fissi, le composizioni possono variare. I metodi principali sono la fusione (sciolti, miscelati e raffreddati) e la sinterizzazione (le polveri degli elementi vengono miscelate e poi riscaldate e pressate fortemente) Processi tecnologici di produzione e trasformazione: 1. Estrazione dei metalli dai minerali, miscelazione e solidificazione 2. Deformazioni plastiche a caldo o freddo 3. Trattamenti termici per affinare le proprietà meccaniche 4. Processi di finitura superficiali: Gli obbiettivi sono aumentare la durezza, ridurre la corrosione, difetti e sostanze superficiali indesiderate e ottenere proprietà diverse tra interno ed esterno del materiale. Corrosione: La corrosione è il principale problema nell’uso dei metalli nei dispositivi medici. I fluidi corporei sono ricchi di acqua, proteine e ioni che aggrediscono le superfici dei metalli. I problemi principali della corrosione sono la degradazione delle proprietà chimico-fisiche e il rilascio di ioni potenzialmente tossici a livello locale e sistemico. Basi elettriche della corrosione: Si tratta di un fenomeno elettrochimico, risultato di due reazioni elettrodiche complementari (REDOX). Ossidazione -> Reazione anodica, vengono liberati elettroni. Ex. Fe → Fe2+ + 2e- Riduzione -> Reazione catodica, gli elettroni riducono la specie chimica. Se c’è O2 -> ½ O2 + H2O + 2e- → 2OH-, se non c’è O2 -> 2H+ + 2e- → H2 Le reazioni devono avvenire allo stesso momento e con la stessa velocità. Termodinamica della corrosione: La tendenza alla corrosione di un metallo è determinata sulla base della serie elettrochimica dei potenziali standard di riduzione. Potenziale standard di riduzione: fem di una pila con un elettrodo costituito dal metallo immerso in soluzione 1 M dei suoi ioni a 25°C e un elettrodo standard, in cui idrogeno gassoso viene fatto gorgogliare attraverso uno strato di platino platinato poroso (potenziale di riferimento nullo). Il metallo quindi si ossida e rilascia elettroni, che l’idrogeno gassoso utilizza per ridursi. La fem misurata tra i due elettrodi è dunque il potenziale standard di riduzione del metallo. Ci sono tabelle standard. La corrosione (ossidazione) avviene spontaneamente se il potenziale della cella è > 0. Ci deve essere quindi un catodo in comunicazione con il metallo (anodo) che ha carica superiore. Il catodo è generalmente idrogeno o ossigeno che si riduce. Potenziali di riduzione in funzione del pH: Nel caso di metalli in contatto con soluzioni acquose, il potenziale di riduzione dell’idrogeno/ossigeno dipende dall’acidità della soluzione. All’interno del corpo umano abbiamo quasi ovunque la presenza di ossigeno, quindi la reazione catodica consiste in quella di riduzione di O2. Al pH fisiologico (intorno a 7), sappiamo dalle tabelle che si corrodono tutti i metalli ad eccezione del platino e l’oro. Il pH varia molto a seconda della zona e le circostanze, può andare da 1 per lo stomaco fino a 7.35 per il sangue. Corrente e velocità di corrosione: La corrosione determina il passaggio di elettroni da anodo a catodo, e quindi una corrente elettrica da catodo ad anodo. L’intensità della corrosione è proporzionale all’intensità della corrente elettrica ed è calcolabile attraverso l’equazione di Faraday. Diagramma potenziale-corrente: Possiamo stimare la velocità di corrosione tramite il diagramma potenziale-corrente. Passivazione: Un metallo suscettibile alla passivazione sviluppa uno strato di ossido compatto e aderente alla superficie. Questo strato ossido modifica le caratteristiche anodiche del metallo. L’ossido possiede infatti una elevata resistività elettrica e diminuisce il passaggio di corrente, quindi anche la corrosione. Su alcuni metalli, come il ferro, questo non funziona perché l’ossido è poroso e non aderente. Esistono serie di nobiltà dei metalli, di cui una pratica che considera anche l’ossido. Il primo è il platino, poi ci sono metalli come oro, acciaio inox passivato, titanio, argento e nichel. Tipi di corrosione: Corrosione generalizzata (acciai): Avviene quando il metallo si trova in contatto diretto con una soluzione elettrolitica. Le variazioni locali di concentrazione generano delle differenze di potenziale che avviano la corrosione. Esse sono casuali e quindi tutta la superficie ne è colpita. Non è una corrosione molto aggressiva o veloce, ma la presenza di proteine adsorbite la può aumentare anche di 10 volte, dato che facilitano le differenze di cariche superficiali. Aerazione differenziale: E’ dovuta ad una diversa concentrazione di ossigeno a contatto con una superficie metallica umida (lo strato di acqua è di spessore variabile). La diversa diffusione di ossigeno in zone più sottili o più areate produce una differenza di concentrazione, quindi anche di potenziale (pila a concentrazione ad ossigeno). La zona a più elevata concentrazione di ossigeno ha potenziale maggiore e si comporta da catodo, mentre l’altra è anodo. Corrosione galvanica: Avviene nel caso di contatto fra due metalli con differenti potenziali elettrochimici: il metallo con potenziale di riduzione inferiore si corrode (anodo) mentre l’altro si ossida (catodo). La velocità di corrosione dipende dalla differenza fra i potenziali dei due metalli. Può avvenire con il contatto di metalli diversi, per presenza di impurezze o zone con nobiltà diversa. Nel caso di impurezza costituita da un metallo più nobile (potenziale di riduzione maggiore), esso funziona da catodo. La reazione anodica del metallo avviene nelle zone limitrofe all’impurezza. Nel caso contrario, l’impurezza agisce da anodo e si corroderà. Si verrà a formare una cavità che potrà successivamente dare problemi di vaiolatura. La corrosione galvanica è più veloce della generalizzata, è favorita da ambienti acidi. Corrosione di fessura (acciaio inox, no titanio): Avviene quando nel metallo sono presenti difetti. Per provocare corrosione da fessura devono essere molto strette (25-100 μm) e profonde. Il metallo si ossida e riduce l’ossigeno presente nella fessura. La reazione catodica si sposta all’esterno e la reazione anodica continua nella fessura, dove c’è poco ossigeno e molti ioni positivi. Corrosione per vaiolatura: Si forma in caso di cavità piccole (100-200 μm). Avviene in presenza di ioni specifici, può essere molto pericolosa perché può sembrare insignificante, ma in verità attraversare tutto il materiale. Corrosione intergranulare: Sono celle galvaniche che si generano tra grani e bordo di grano con inclusioni. Può essere molto rapida ed estesa. Si può innescare anche una corrosione di fessura. Trattamenti come la saldatura possono indurre questo tipo di corrosione, che avviene spesso nelle leghe ed acciai. Negli acciai viene aggiunto cromo con trattamenti termici per renderli inox, ma questo può indurre differenze di concentrazione di cromo nei grani. Se il tenore di cromo è Dovuta al flusso di fluido. Sfregamento -> Provocato da due superfici in moto. In questo caso non si parla di corrosione chimica, ma di vera e propria rimozione di materiale. Corrosione sotto sforzo: E’ molto localizzata e dovuta alla formazione di cricche superficiali conseguenti allo sforzo di trazione, in presenza di sostanze corrosive. Sono quindi un’opportunità per l’innesco di corrosione in fessura. Effetti dei biomateriali corrosi: Nichel -> Dermatite Cobalto -> Anemia Cromo -> Ulcere e danni a sistema nervoso centrale Alluminio -> Epilessia e Alzheimer Vanadio -> Tossico Biomateriali metallici inossidabili: Acciai inossidabili o Austenitici (impiantabili, protesi articolari, mezzi di osteosintesi) o Martensitici (ferri chirurgici, lame Leghe di cobalto (impiantabili) Titanio (rivestimenti superficiali) Leghe di titanio (applicazioni ortopediche) Acciai inossidabili: Sono leghe a base di ferro con basso contenuto di carbonio e alto contenuto di cromo e nichel. Il cromo favorisce la passivazione con la formazione di ossido di cromo. Un altro elemento in lega è il molibdeno che riduce la corrosione. Altri elementi possono essere aggiunti a seconda delle proprietà meccaniche necessarie. Acciaio austenitico: Cr-Ni oppure Cr-Mo-Ni. Contiene la fase solida austenite (CFC), che è una soluzione solida di ferro con bassissimo tenore di carbonio. La fase è resa stabile dal Nichel. o Ha ottime caratteristiche meccaniche e resistenza alla corrosione. Ferritico: Contiene cromo, pochissimo carbonio e poco molibdeno e Nichel. La struttura cristallina è ferritica (cubica a corpo centrato). Martensitica: Contiene cromo, poco carbonio e poco nichel. Ha una fase solida chiamata martensite (struttura tetragonale a corpo centrato) prodotta dalla tempra di una fase austenitica. o E’ molto duro e tenace o Viene usato per fabbricare strumenti chirurgici da taglio AISI 316L (inox low carbon): E= 193 GPa Sforzo a rottura = 655 MPa Densità = 7.9 g/cm3 E’ austenitico. Contiene in ordine: cromo, nichel e pochissimo carbonio. Può essere indurito con lavorazioni a freddo E’ duttile e può essere lavorato Non magnetico Migliore resistenza alla corrosione tra gli acciai inox Viene utilizzato per protesi temporanee, ma anche per protesi importanti come quella all’anca. Si usa per costruire la coppa acetabolare, rendendo il metallo poroso (50%), con l’utilizzo della sinterizzazione laser o tradizionale. Il materiale poroso favorisce l’ancoraggio del tessuto osseo circostante. Leghe di cobalto: E= 195 GPa Sforzo a rottura= 655 MPa Densità = 9.15 g/cm3 Le principali sono: Per colatura del fuso -> Co-Cr-Mo Per forgiatura -> Co-Cr-Ni-Mo In genere le leghe contengono alto tenore di cromo e il molibdeno viene aggiunto per ridurre le dimensioni dei grani e aumentare le proprietà meccaniche. Le leghe di cobalto hanno la massima resistenza all’usura tra i metalli e una migliore resistenza alla corrosione rispetto all’acciaio inox. Si utilizzano negli stent e negli impianti dentali grazie alla eccellente biocompatibilità con sangue e tessuti molli. Usate più spesso dell’acciaio inox e leghe di titanio per protesi ortopediche. Ottime proprietà meccaniche e lavorazione Elevata resistenza e duttilità Densità e modulo elastico maggiore dell’osso -> Possibilità di stress shielding Co-Cr-Ni-Mo ha proprietà meccaniche superiori, ma nichel tossico Lega di cobalto F75 (Co-Cr-Mo): Eccellente resistenza alla corrosione e sforzo di rottura > 655 MPa Difficilmente lavorabile, resistenza a fatica modesta Lega di cobalto F562 (Co-Cr-Ni-Mo): Eccellente resistenza alla corrosione anche sotto sforzo, rilascio di ioni Ni uguale all’AISI 316L, anche se ne contiene 3 volte tanto. Sforzo a rottura 1800 MPa (lavorato a freddo), buona resistenza a fatica. Soffre di corrosione a fessura, attrito con se stesso e altri materiali Si usa spesso per steli di protesi d’anca. Titanio e le sue leghe: Il titanio è conosciuto per la sua resistenza alla corrosione e la sua resistenza/peso. E’ leggero, duro e duttile. Si usa per le protesi articolari. Elevata biocompatibilità, proprietà meccaniche simili all’acciaio ma denso la metà, elevata resistenza alla corrosione in fessura e non magnetico. E’ possibile immobilizzarvi in modo covalente molecole bioattive. Corrosione per sfregamento, scarsa resistenza a taglio-> tende a grippare, difficile lavorazione, reagisce con ossigeno alle alte temperature La resistenza all’ossidazione dipende dalla formazione di un film aderente di diossido di titanio, che è duro e resistente agli attacchi chimici. La lega in titanio per applicazioni biomedicali è Ti6Al4V. L’ossigeno influisce sulla duttilità e resistenza. E= 110 GPa -> La metà di acciaio e leghe di cobalto, ma si considera che è molto meno denso. Alta resistenza specifica. Le leghe di titanio vengono utilizzate per pompe cardiache, involucri per pacemaker, parti di valvole cardiache, viti ortopediche e odontoiatriche, protesi ortopediche. Inoltre, il titanio puro ha una scarsa risposta infiammatoria da parte dei tessuti ed è considerato il metallo più biocompatibile. E’ però stato sostituito dalla sua lega, che seppure contiene elementi meno biocompatibili (vanadio cancerogeno e alluminio tossico), ha proprietà migliori. E’ solito trovare il titanio rivestito con ceramici per evitare il fenomeno del grip. Leghe nichel-titanio: Hanno la proprietà della memoria di forma, ovvero poter essere deformate plasticamente e tornare alla forma originale quando sottoposti a calore. 55-Nitidol: Ni-Ti, circa metà in peso di nichel e titanio. Lo Shape Memory Effect è vicina alla temperatura ambiente, è molto lavorabile e non magnetico, ha basso modulo elastico ed è duttile, resiste a fatica e corrosione ed è biocompatibile. Si usa nei fili per archetti in ortodonzia, clips per aneurismi intracranici, filtri per vena cava, muscoli contrattili per cuori artificiali, stent autoespandibili e valvole cardiache transcutanee. Altri metalli -> Amalgama dentale: Si tratta del materiale di riempimento dentale per trattare le cavità da carie. E’ composto da circa 50% di mercurio e da una polvere di argento, rame, stagno e zinco. Il mercurio ha la funzione da legante per formare una pasta lavorabile. E’ facilmente utilizzabile, costa poco e dura molto Ha colore scuro, si deve espandere la cavità e il mercurio è tossico Oro e sue leghe: Viene legato con rame, platino, argento o zinco. E’ stabile e resiste alla corrosione. Viene utilizzato in odontoiatria per corone e capsule. Platino: Ha elevata resistenza alla corrosione, conduce elettricità ma ha scarse proprietà meccaniche. Viene utilizzato per gli elettrodi dei pacemaker. Tantalio (Ta2O5): Ha elevata resistenza alla corrosione e ottime capacità di osteointegrazione. Ha costi elevati, alta temperatura di fusione, alto modulo elastico (186 GPa) ed elevata densità (16.6 g/cm3). Si usa per rivestimenti porosi su protesi impiantabili in acciaio inox e titanio. Metalli bioriassorbibili: I metalli fino ad ora citati sono biostabili, ovvero non hanno interazioni dirette importanti con il corpo umano. Leghe di magnesio, zinco e ferro sono metalli bioriassorbibili. Buona biocompatibilità in vivo Degradazione controllata Proprietà meccaniche superiori rispetto ai polimeri biodegradabili Prodotti di degradazione metabolizzati Si studiano queste leghe per applicazione che richiedono una completa rigenerazione tissutale. Leghe di magnesio (con alluminio, manganese ed elementi rari): Si studiano come mezzi di osteosintesi. E = 41 GPa Densità = 1.74 g/cm3 Corrodono rapidamente in ambiente fisiologico, rilasciano metalli ionici e perdono velocemente le proprietà meccaniche. Leghe di zinco: Si studia per lo sviluppo di stent vascolari. Corrode più lentamente delle leghe di magnesio, ma si deve ancora comprendere il meccanismo di corrosione. Leghe di ferro: Si studia per lo sviluppo di stent vascolari. Ha la corrosione più lenta rispetto ai tre, con proprietà meccaniche superiori. Gli ioni ferro rilasciati possono infiammare i tessuti, aumento di radicali liberi che interagiscono con membrane lipidiche, proteine e DNA. Biomateriali polimerici: I polimeri sono macromolecole che possono raggiungere anche 107 Dalton di peso molecolare. Sono formati dalla ripetizione di monomeri, molecole legate tra loro con legami covalenti. L’unità ripetitiva è il monomero con i legami esterni. Il numero di unità strutturali per catena di polimero prende il nome di grado di polimerizzazione (DP): DP < 10 oligomeri 10 < DP < 100 bassi polimeri 100 < DP < 1000 medi polimeri DP > 1000 alti polimeri La funzionalità di un monomero è il numero di legami che può fare. Classificazione per struttura: Lineare -> Legami deboli tra catene e scorrimenti viscosi, comportamento viscoelastico, proprietà meccaniche peggiori. Ramificati -> Presentano rami laterali sulla catena principale Reticolati -> Legami covalenti tra catene, proprietà meccaniche superiori. Classificazione per natura dei monomeri: Omopolimeri -> ripetizione dello stesso monomero Copolimeri -> hanno monomeri differenti o Casuali -> La successione dei monomeri non ha ordine specifico o Alternati -> Gruppi di unità si alternano o A blocchi -> Gruppi di unità si ripetono in blocchi o A innesto -> Gruppi diversi si innestano come rami nella linea principale Classificazione per origine: Polimeri sintetici -> Plastiche, resine, gomme Polimeri naturali -> Proteine, polisaccaridi Classificazione per meccanismo di polimerizzazione: Polimeri di condensazione -> Unione di molecole con produzione di una molecola di acqua Polimeri di addizione (radicale o ionica) -> Di solito polimerizzazione a catena, con un doppio legame diventa singolo e permette l’unione di un’altra unità Classificazione per comportamento termico: Termoplastici -> Si possono modellare più volte riscaldandoli Termoindurenti -> Una volta formata la struttura reticolata non possono essere più plasmati Classificazione fisica: Amorfi -> Hanno catene molecolari che non possono ruotare, grandi dimensioni e struttura disordinata. Spesso sono trasparenti e prendono proprietà viscose quando superano la T di trans. vetrosa. Cristallini -> sono ordinate e distanze tra unità strutturali ben definite. Semicristallini -> Hanno parti cristalline e amorfe Grado di cristallinità: E’ il rapporto tra peso di sostanza cristallina e peso totale. I polimeri ramificati hanno valori molto bassi, mentre quelli lineari sono molto elevati. Il grado di cristallinità può essere variato con trattamenti termici. Proprietà di polimeri cristallini: Rigidità Basso attrito e resistenza all’usura Durezza Resistenza a rottura Resistenza a deformazione Proprietà termiche polimeri: In ordine crescente, abbiamo T di trans. viscosa (importante per gli amorfi), T di rammollimento (la sostanza fluisce ad un rate definito), T di fusione e T di degradazione. I polimeri reticolati mantengono praticamente costante il loro modulo elastico con la temperatura, i semicristallini hanno una diminuzione importante quando fondono, mentre gli amorfi perdono le proprietà già alla temperatura di transizione vetrosa. I polimeri termoplastici hanno legami che si rompono quando viene fornita sufficiente energia, rendendo possibile il cambio di forma. I polimeri termoindurenti hanno una struttura reticolare che impedisce il movimento tra le catene e mantiene il modulo elastico fino alla degradazione. E’ importante per i polimeri impiantabili avere una temperatura di transizione vetrosa inferiore alla temperatura corporea, se è necessario che essi siano deformabili e tenaci. Effetto del peso molecolare: Nei polimeri il peso molecolare è il peso del monomero moltiplicato per il grado di polimerizzazione. Meccanismi di polimerizzazione: Poliaddizioni (con meccanismo a catena): Le poliaddizioni sono possibili quando i monomeri contengono legami multipli fra gli atomi di carbonio. Monomero e unità strutturale sono simili e differiscono solo per la diversa disposizione dei legami. Policondensazioni (meccanismo a stadi): Le sostanze di partenza contengono due o più gruppi funzionali che reagiscono tra loro. In genere le reazioni fra i monomeri avviene con eliminazione di piccole molecole (come acqua). Le unità strutturali e i monomeri non hanno la stessa struttura. Meccanismo polimerizzazioni a catena: 1) Fase di inizio: Reazione iniziale con apertura del doppio legame e creazione di centro attivo sul monomero di partenza. Può essere attivata da luce, calore, iniziatore (radicale -> pol.radicalica, ione -> pol.ionica) 2) Fase di propagazione: La reazione procede rompendo i doppi legami di altri monomeri e addizionandoli alla catena. 3) Fase di terminazione: a. Ricombinazione -> accoppiamento tra due catene in accrescimento b. Disproporzionamento -> Due catene si incontrano e si inattivano reciprocamente c. Trasferimento di catena -> La catena incontra un agente di trasferimento e termina la sua crescita. Si ottiene un polimero morto e un agente di trasferimento attivo che si ricombina con il monomero. Proprietà delle polimerizzazioni a catena (poliaddizioni): Assenza di sottoprodotti, accrescimento veloce, presenza di monomero nei prodotti di reazione. Proprietà delle polimerizzazioni a stadi (policondensazioni): Presenza di sottoprodotti, accrescimento lento, assenza di monomero nei prodotti di reazione. Grado di conversione -> E’ una funzione del tempo che esprime la quantità di monomero utilizzata diviso quella iniziale. Anche se la polimerizzazione a catena è tecnicamente più veloce, risulta più lenta e incompleta rispetto quella a stadi perché in quest’ultima tutti i monomeri possono iniziare a interagire tra loro, mentre quella a catena va gradualmente perché devono liberarsi i centri attivi. Grado di polimerizzazione e peso molecolare: Il DP è un valore medio, dato che le numerosissime catene che si formano hanno diversi numeri di unità ripetitive. Di conseguenza anche il peso molecolare dovrà essere medio. Si tratta di fare una semplice media pesata per il numero di molecole per ogni peso molecolare. Grado di dispersione: Si cerca di ottenere il più basso GD possibile perché le frazioni a basso peso molecolare influiscono sulle caratteristiche del materiale: agiscono da plasticizzanti, hanno maggiore mobilità e rischiano di essere disperse e ostacolano il corretto impacchettamento delle catene più lunghe. Polimeri in medicina: Occupano il 45% dei biomateriale, sia nei prodotti monouso (siringhe, tubi, sacche…) che non monouso (dispositivi oftalmici, protesi ortopediche, dispositivi dentali). Pro: La varietà di polimeri è molto grande, con caratteristiche differenti e la possibilità di sintetizzarne nuovi per soddisfare specifiche necessità. Sono molto lavorabili e i polimeri sintetici hanno una struttura chimica simile a quelli naturali, per cui possono anche essere legati tra loro per il fissaggio di protesi. Buona biocompatibilità ed esistenza di polimeri biodegradabili e metabolizzabili. Contro: I polimeri per uso medico devono contenere una quantità minima, meglio nulla, di additivi e residui monomerici. Essi sono spesso tossici e anche cancerogeni. Metodi di lavorazione dei polimeri: Stampaggio a iniezione (polimeri termoplastici leggeri): Il polimero viene riscaldato ad una temperatura maggiore di T rammollimento e iniettato con una vita senza fine dentro ad uno stampo, dove poi si raffredda ed indurisce. Stampaggio a compressione (per polimeri termoindurenti): Le polveri termoindurenti vengono compresse nello stampo. Poi viene scaldato e si reticola con il raffreddamento. Stampaggio per soffiatura (per polimeri termoplastici): Il polimero viene formato a cilindro a chiuso in uno stampo riscaldato. Viene soffiato gas all’interno e il polimero si espande e aderisce allo stampo. Estrusione: Il polimero viene scaldato e forzato attraverso una matrice. Esce quindi una forma continua che può essere tagliata. Per esempio si può usare per fili. Biodegradazione: Consiste nell’alterazione chimico-fisica del materiale in ambiente biologico, con la rottura di legami chimici in catena principale o laterale. Può essere voluta per il rilascio controllato di un farmaco o la pianificata dissoluzione di impianti oppure indesiderata. I prodotti della degradazione dovrebbero essere ben tollerati dall’organismo. I principali mezzi di biodegradazione sono idrolitica o enzimatica. In entrambi i casi c’è diminuzione di peso molecolare, perdita di proprietà meccaniche, perdita di funzionalità. I fattori che influenzano la biodegradazione: Stabilità chimica del polimero Idrofobicità del monomero (rallenta la degradazione) Struttura del polimero (cristallini sono più impacchettati) Fattori meccanici Rapporto superficie/volume Processo di sterilizzazione Sterilizzazione dei polimeri: Prima di essere impiantati, i materiali devono essere sterilizzati per inattivare i microrganismi che potrebbero generare infezioni. AUTOCLAVE -> Vapore umido ad alta pressione a 130°C. Non idoneo per polimeri sensibili al vapore ad alta temperatura CALORE SECCO -> Temperature alte (170°C). I polimeri devono riuscire a sopportare queste temperature. OSSIDO DI ETILENE -> Più lungo e costoso, ma non danneggia i polimeri. RAGGI GAMMA -> Può deteriorare i polimeri rompendo le catene. Classificazione dei polimeri ad uso medico: Polimeri sintetici: Possono essere non degradabili se preservano la struttura durante l’utilizzo. Vengono utilizzati per impianti permanenti. Possono essere degradabili se perdono gradualmente l’integrità, con un tempo che può essere settimane o anni. Vengono generati dei sottoprodotti che dovranno essere metabolizzati e risultare non tossici. Vengono usati per dispositivi temporanei come suture, rilascio di farmaci, protesi temporanee, mezzi di osteosintesi. Polimeri naturali: Sono polimeri derivati da creature viventi, con ottima biocompatibilità. Sono inoltre biodegradabili enzimaticamente. Possono essere bioattivi e interagire con i tessuti rimodellandosi. Gli svantaggi comprendono la possibilità di provocare risposte immunitarie, essere complicati da purificare e sterilizzare, rischiando quindi di portare patologie. Si dividono in proteine, polisaccaridi e poliesteri batterici. Biomateriali ceramici: Sono composti inorganici che possono contenere metalli e carbonio nelle sue forme allotropiche. I legami sono ionici e/o covalenti. Ci sono le ceramiche tradizionali cotte, porose o compatte. I ceramici avanzati sono preparati per sinterizzazione di materiali inorganici non metallici e utilizzati per applicazioni biomedicali. Sono biocompatibili, hanno bassa risposta immunitaria e inerzia chimica verso i fluidi biologici. Hanno elevata resistenza alla compressione, basso attrito e buone proprietà estetiche. Sono bioinerti ma alcuni bioattivi. Possiamo trovarli utilizzati in moltissimi settori: ortopedico (protesi articolari), odontoiatrico (denti e impianti artificiali), otorinolaringoiatrico (chirurgia ricostruttiva) e cardiovascolare (protesi valvolari). Sono generalmente policristallini, composti da un metallo e un non metallo. Il sistema più semplice è che siano in rapporto 1:1, dove i raggi ionici degli elementi costituenti determinano la struttura base policristallina. ❑ RA /RX ~1 struttura cubica semplice ❑ RA /RX < 0.7 struttura cubica a facce centrate In generale i reticoli ceramici sono più complessi di quelli metallici. ✓ Elevata durezza ✓ Basso coefficiente d’attrito ✓ Elevata temperatura di fusione ✓ Bassa conducibilità termica ed elettrica x Fragilità x Alta temperatura di sinterizzazione x Scarsa riproducibilità x Elevati costi di lavorazione Polimeri sintetici: Non degradabili → preservano la loro struttura pressoché immutata quando sono impiegati nell’ambiente biologico in cui svolgono la loro funzione. Vengono dunque impiegati per gli impianti permanenti. Degradabili → perdono gradualmente la loro integrità strutturale, con una cinetica di degradazione che varia da qualche settimana a qualche anno, a seconda dell’interazione fra la loro struttura chimica e l’ambiente che li ospita. La degradazione genera una serie di sottoprodotti che dovranno essere metabolizzati dall’organismo nel quale è stato effettuato l’impianto. Sono adatti per utilizzi con ridotti tempi di applicazione (suture, rilascio controllato di farmaci, protesi vascolari temporanee, mezzi di osteosintesi e ingegneria tissutale). Polimeri sintetici per uso biomedico: ✓ Poliacrilati: Polimetilmetacrilato, poliidrossietilmetacrilato, polialchilcianoacrilati; ✓ Poliammidi: Nylon, Kevlar; ✓ Poliesteri non biodegradabili: Polietilentereftalato; ✓ Polimeri fluorurati: Politetrafluoroetilene; ✓ Polisilossani: Polidimetilsilossano; ✓ Poliolefine: Polietilene, polipropilene, polistirene; ✓ Poliuretani; ✓ Polimeri termoplastici ad elevata resistenza: Poliacetali, policarbonati, polisulfoni; ✓ Poliesteri biodegradabili: Acido polilattico, acido poliglicolico, acido poli(lattico-co-glicolico), policaprolattone, polidiossanone; Poliacrilati: ▪ Polimeri ottenuti per polimerizzazione radicalica ▪ Materiali amorfi e solitamente trasparenti ▪ Elevata biocompatibilità ▪ Eccellente stabilità chimica ▪ Più rigidi e fragili rispetto ad altri polimeri ▪ Lavorazione per stampaggio, fusione, macchine tradizionali ▪ Applicazioni: lenti a contatto, lenti impiantabili, protesi dentali e maxillo-facciali, cementi ossei per protesi di giuntura ▪ Poliacrilati per applicazioni biomedicali: polimetilacrilato (PMA), polimetilmetacrilato (PMMA), polialchilcianoacrilati, poliidrossietilmetacrilato (PHEMA). PMA e PMMA: Il PMAA presenta una trasmissione della luce pari al 92% e un alto indice di rifrazione (1.49). È più resistente allo stiramento del PMA (carico di rottura 60 vs 7 MPa), ha una temperatura di rammollimento più elevata (125° vs 33° C). Il PMMA ha eccezionali proprietà di trasparenza alla luce visibile e ottima biocompatibilità. Questo lo rende il materiale perfetto per contenitori, lenti a contatto rigide e impiantabili e cemento per ossa. Cemento per ossa: Quest’ultimo viene usato in ortopedia per l’applicazione di protesi cementate. ▪ I suoi componenti solidi sono polvere di PMAA, perossido di bonzoile (iniziatore che si decompone), solfato di bario (radiopaco) ed eventuali antibiotici. Vengono sterilizzati con raggi gamma. ▪ La componente liquida è composta da MMA, butilmetacrilato (rende il cemento meno fragile), N,N- dimetil-p-toluidina (abbassa la temperatura di decomposizione dell’iniziatore), idrochinone (evita la polimerizzazione spontanea). ▪Il processo di polimerizzazione produce polimeri a catena molto lunga che penetrano tra le microsfere della polvere polimerica e le legano insieme producendo un’unica massa di sostanze. Viene sterilizzata con ultrafiltrazione. Il processo di indurimento ha diverse fasi: alla temperatura ambiente si mescola per 2-3 minuti, dopodiché si ha un tempo di applicazione di 5-8 minuti. Segue finalmente il tempo di indurimento con temperatura più alta (reazione esotermica, raggiunge un massimo e poi si scende). Le problematiche del cemento per ossa sono le seguenti: 1) Tossicità idrochinone, perossido di benzoile, monomero 2) Ritiro volumetrico fino al 21-22% 3) Esotermia della reazione di polimerizzazione Polialchilcianoacrilati: Le ferite cutanee caratterizzate da una tensione non eccessiva (i bordi sono ravvicinati senza bisogno di forti trazioni) possono essere riparate congiungendo i lembi mediante un adesivo cutaneo ▪ Il cianoacrilato è il componente di base, ma le proprietà fisiche di ogni prodotto variano considerevolmente in ragione della struttura chimica del polimero. ▪ Limite: il calore sviluppato durante la reazione di polimerizzazione può danneggiare i tessuti. Idrogel acrilici (PHEMA): Sono poliacrilati contenenti gruppi ossidrilici nella loro struttura. Sono capaci di assorbile acqua dal 30% al 60% del loro peso, hanno una buona permeabilità all’ossigeno. Sono utilizzati per lenti a contatto morbide. Poliammidi: ▪ Buona biocompatibilità ▪ Stabile aderenza con i tessuti connettivi ▪ Metodo di sterilizzazione: raggi gamma ▪ Limite: elevata igroscopicità (assorbono facilmente quantità di acqua pari al 10% del loro peso) ▪ Suscettibili di erosione superficiale provocata da idrolisi enzimatica ▪ Riduzione della resistenza a trazione (25% dopo 3 mesi; 83% dopo 24 mesi). Nylon: sintesi Viene denominato in base al numero di atomi di carbonio nell’unità ripetitiva. 1. Polimerizzazione per condensazione tra una di-ammina e un di-acido. 2. Polimerizzazione per apertura di anello Il nylon ha elevata tendenza a formare fibre. Ha legami a idrogeno intercatena ed elevata cristallinità (resistenza in direzione della fibra). In generale, all’aumentare del numero di gruppi amminici, aumentano la temperatura di transizione vetrosa (Tg) e la resistenza meccanica. Viene utilizzato nei fili da sutura. Kevlar: ▪ Poliammide aromatica ▪ Altamente cristallino ▪ Punto di fusione intorno ai 500°C ▪ Quasi insolubile ▪ Facilmente trasformabile in fibre che hanno una resistenza fino a cinque volte maggiore rispetto all’acciaio ▪ Applicazioni: materiali compositi per sostituzione di tendini e legamenti. Poliesteri non biodegradabili: ▪ Polimeri termoplastici lineari, ottenuti per policondensazione in ambiente acido. Il PET ha Tm= 270°C, è facilmente estruso e ottenuto in forma di fibre (Dacron). È resistente e biostabile* (verificare xchè asterisco) Ha applicazioni nelle protesi vascolari di diametro medio/grande (Dacron), data la sua facile suturazione e la sua buona emocompatibilità. È anche utilizzato per anelli di sutura per protesi valvolari e per reti di contenimento di ernie. Difetti: Deterioramento protesi, legato a difetti strutturali, tecniche di fabbricazione e finitura (frammentazione fibre e dilatazione dell’impianto) e idrolisi. La durata media è di 30 anni, ma già dopo 10 la metà delle fibre risulta deteriorato. Ambienti acidi accelerano il deterioramento. Polimeri fluorurati: Sono polimeri a base di fluoro e carbonio. Nell’immagine, il Teflon (PTFE). La polimerizzazione è radicalica sotto pressione, in presenza di eccesso di acqua. Si tratta di un polimero altamente cristallino con caratteristiche fisiche e meccaniche eccellenti. Non si estrude, ma si stampa. Segue sinterizzazione a T>327°C, che è anche temperatura di fusione. PTFE espanso (Goretex): Una peculiarità del PTFE è la possibilità di espansione su scala microscopica, con formazione di un materiale microporoso, il Goretex (microfibrille orientate di PTFE tenute insieme da nodi solidi). Presenta una superficie liscia, viene utilizzato per protesi vascolari. Polisilossani: Sono polimeri a base di silicio: ▪ Eccellenti proprietà chimico-fisiche, biocompatibilità, emocompatibilità, affidabilità nel tempo ▪ Chimicamente stabili ▪ Non subiscono alterazioni durante l’uso clinico di ultrasuoni e radiazioni ▪ Sterilizzabili con autoclave, ossido di etilene, radiazioni gamma Polidimetilsilossano: È un elastomero, viene utilizzato per cateteri, rubi e riempitivi per tessuti mancanti. Poliolefine: Polimeri ottenuti per poliaddizione. Hanno una elevata cristallinità (elevate proprietà fisiche e meccaniche). Polietilene: È un polimero termoplastico che cristallizza facilmente grazie alla semplicità strutturale dell'unità ripetitiva. Esiste commercialmente in tre differenti tipi (“grade”): a bassa densità (“low density”, LDPE): polimero ramificato che si ottiene dall’etilene gassoso per addizione radicalica ad alta pressione (1000-3000 atm), utilizzando perossido di idrogeno come iniziatore ad alta densità (“high density”, HDPE): viene prodotto a pressione più bassa (100 atm) utilizzando dei catalizzatori di tipo Ziegler-Natta con formazione di catene non ramificate con peso molecolare ultra alto (“ultra high molecular weight”, UHMWPE): specifici catalizzatori permettono la formazione di catene lineari particolarmente lunghe (PM fino a 2x10^6 ) UHMPWPE: ✓Buona biocompatibilità ✓Grado di cristallinità >80% ✓Elevata stabilità chimica ✓Elevata resistenza agli urti ✓Buona resistenza alla fatica meccanica ✓Ridotto coefficiente d’attrito → protesi articolari ✓Non si presta a lavorazioni per estrusione o stampaggio, come avviene invece per LDPE e per HDPE, ma a sinterizzazione; ✓Sterilizzazione con raggi gamma Applicazioni polipropilene: componenti di protesi ortopediche (UHMWPE) - coppa acetabolare/inserto nelle protesi d'anca - componente tibiale/inserto nelle protesi di ginocchio. componenti di consumo (LDPE, HDPE) - siringhe - tubi, cateteri e sistemi di infusione - contenitori Polipropilene: All’aumentare del grado di cristallinità, aumenta la densità, la temperatura di rammollimento e la resistenza chimica. ✓Buona biocompatibilità ✓Resistenza a flessione per carichi ripetuti → Applicazione: Giunture per protesi di dita ✓Ottima resistenza ad agenti chimici e permeabilità ai gas ✓Processabile per sinterizzazione ad alta temperatura Polistirene: Viene ottenuto per polimerizzazione radicalica. Il PS è generalmente disponibile in tre forme: - non modificato (“general purpose”, GPPS), trasparente, facile da lavorare, stabile termicamente, bassa densità (1.04-1.12 g/cm3 ), modulo elastico relativamente elevato - alto impatto (“high impact”, HIPS), additivi gommosi che si legano alle catene in crescita durante la polimerizzazione con conseguente aumento di duttilità, resistenza all’impatto ed alla frattura - espanso Il PS viene di solito utilizzato in processi di stampaggio per iniezione a temperature di 180-250 °C con aggiunta di additivi quali stabilizzanti e lubrificanti. Il PS, in particolare il GPPS, è utilizzato per la produzione di fiasche per colture cellulari, provette, scatole Petri, etc.. Copolimeri acrilonitrile-butadiene-stirene: Sono copolimeri dello stirene: acrilonitrile-butadiene- stirene (ABS). Copolimeri le cui proprietà possono variare entro ampi margini al variare del contenuto relativo dei tre monomeri. Sono in genere copolimeri resistenti alla maggior parte dei comuni solventi e trovano applicazione nella realizzazione di kit per somministrazioni intravenose, kit diagnostici, accessori per dialisi, etc Poliuretani: I poliuretani si ottengono per reazioni tra alcoli e isocianati bifunzionali: La versatilità di questa classe di polimeri dipende dal fatto che R1 e R2 possono rappresentare una ampia varietà di gruppi. ▪ Sono polimeri molto usati per applicazioni biomediche, in quanto hanno eccellenti proprietà chimico-fisiche, di biocompatibilità e di affidabilità nel tempo in ambiente biologico; ▪ I poliuretani sono in genere copolimeri a blocchi o a segmenti, costituiti da due fasi: una meno rigida (soft segment), una più rigida (hard segment); ▪ Il rapporto in peso tra le due fasi determina le caratteristiche meccaniche del polimero. ▪ In genere, per le applicazioni biomediche si usano poliuretani che hanno proprietà di elastomeri (Biomer®, Pellethane®, Corethane®, Cardithane®, Tecoflex®) ▪ ELASTOMERO «un materiale che a temperatura ambiente può essere allungato ripetutamente per almeno due volte la sua lunghezza originale e, dopo la cessazione della sollecitazione, ritorna immediatamente alla sua approssimativa lunghezza originale» ▪ Ottima emocompatibilità ▪ Applicazioni: ✓ superfici interne delle camere di pompaggio di cuori artificiali e di sistemi di assistenza cardiocircolatoria; ✓ protesi valvolari cardiache biomorfe; ✓ protesi vascolari di piccolo calibro. Altre applicazioni riguardano la realizzazione di guanti chirurgici e rivestimenti delle protesi di arto superiore Polimeri termoplastici ad elevata resistenza: ▪ Materiali di recente sviluppo, caratteristiche simili a quelle dei metalli leggeri; ▪ Eccellenti proprietà meccaniche, termiche e chimiche; ▪ Composizione catena principale → rigidezza ✓ Poliacetali - Delrin ✓ Policarbonati - Lexan ✓ Polisulfoni – Udel Poliacetali: ▪ Delrin ® (DuPont) – poliossimetilene ▪ PM > 20000 ▪ Proprietà meccaniche eccellenti ▪ Ottima resistenza ad agenti chimici e acqua Applicazioni → Stent per valvole aortiche. Polisulfoni: ▪ Udel ® (Union Carbide) ▪ Amorfo ▪ Elevata stabilità termica ▪ Elevata stabilità agli agenti chimici Applicazioni: Membrane per emodialisi, in quando devono essere permeabili ai metaboliti da rimuovere e all’acqua, ma devono essere impermeabili alle proteine. Requisiti: - Emocompatibilità - Resistenza meccanica - Nessun rilascio di sostanza tossiche, cancerogene o contaminanti Policarbonati: ▪ Lexan ® (General Electric) ▪ Amorfo ▪ Trasparente ▪ Eccellenti proprietà meccaniche e termiche Applicazioni: Componenti di macchine cuore/polmone, dispositivi di assistenza ventricolare. ▪ Alcuni policarbonati sono più leggeri, più resistenti, più rigidi e con un indice di rifrazione più elevato del vetro → lenti per occhiali Polimeri sintetici biodegradabili: ▪ Materiali che forniscono la loro prestazione per un tempo «programmabile» e poi si degradano ▪ Biodegradazione: demolizione attraverso meccanismi idrolitici o enzimatici. ▪ Non inducono reazioni da corpo estraneo di tipo cronico permanente: essi infatti sono gradualmente demoliti ed eliminati o riassorbiti dall’organismo e non lasciano tracce di residui nel sito di impianto ▪ I polimeri sintetici biodegradabili maggiormente utilizzati sono poliesteri alifatici: Acido poliglicolico (PGA) Acido polilattico (PLA) Acido poli(lattico-co-glicolico) (PLGA) Policaprolattone (PCL) Polidiossanone (PDO) Acido poliglicolico (PGA): 1. Polimerizzazione diretta: 2. Polimerizzazione indiretta: Proprietà e applicazioni: ▪ Elevato grado di cristallinità (45-55%) ▪ Modulo elastico elevato ▪ Tg = 35-40°C; Tm > 200°C ▪ Prodotto di degradazione non tossico, eliminabile tramite urina e ciclo di Krebs ▪ Scarsa solubilità in solventi organici ▪ Tempi di degradazione: 6-12 mesi ✓ suture bioassorbibili ✓ dispositivi bioassorbibili per il fissaggio osseo ✓ scaffold per ingegneria tissutale Acido polilattico (PLA): ▪ Si può sintetizzare per condensazione diretta dall’acido lattico, oppure per polimerizzazione dal lattide (dimero ciclico dell’acido lattico). ▪ L’acido lattico presenta due stereoisomeri: L-acido lattico, D-acido lattico. ▪ PLLA: contiene solo l’isomero L-acido lattico amorfo Tg 55-60°C E = 1.9 GPa Tempi di degradazione: 12-16 mesi ✓ drug delivery ✓ ingegneria tissutale ▪ PDLLA: contiene in modo random sia L- che D- acido lattico Grado di cristallinità: 37% Tg 60-65°C; Tm 175°C E = 4.8 GPa Tempi di degradazione: 2-5 anni ✓ suture riassorbibili ✓ dispositivi di fissaggio ortopedici ▪ La degradazione produce acido lattico. Copolimeri acido lattico-glicolico (PLGA): ▪ La velocità di degradazione e le proprietà meccaniche possono essere controllate variando il rapporto in peso tra i due monomeri ▪ Vicryl: 90% acido glicolico, 10% acido lattico Applicazioni → materiali da sutura; chiodi, viti e placche per impianti ortopedici e dentali; rilascio controllato di farmaci; substrati per la crescita controllata di tessuti Policaprolattone (PLC): ▪ Semicristallino ▪ Solubile in molti solventi organici ▪ Tg -60°C; Tm 55-60°C ▪ Tempi di degradazione: 2-3 anni ▪ Applicazioni → sistemi transdermici, scaffold biodegradabili, drug delivery Polidiossanone (PDO): ▪ Polimero semicristallino ▪ T g = -10°C-0°C ▪ E = 1.5 GPa ▪ Degradazione idrolitica (6-12 mesi) ▪ Prodotti di degradazione facilmente eliminati tramite urine e ciclo di Krebs Applicazioni: ✓ Fili da sutura bioriassorbibili monofilamento ✓ Viti di fissaggio per piccola ossa e frammenti osteocondrali ✓ Fili di trazione per chirurgia estetica I fili da sutura bioriassorbibili di PGA, PLLA e PLGA comportano maggior rischio di infezioni e maggior attrito quando penetrano tessuti. Polimeri naturali: Si trattano di polimeri derivati da creature viventi, con ottima biocompatibilità. Classificazione: Hanno il vantaggio di essere biodegradabili (attraverso gli enzimi), hanno bioattività, presentano ligandi specifici per certi tipi di cellule e sono suscettibili ai processi di rimodellamento. Hanno gli svantaggi di poter provocare risposte immunitarie, essere complessi da estrarre e purificare, necessitare di procedure di ricostituzione e poter trasmettere patologie. Proteine: Sono sequenze di amminoacidi, tenute insieme da legami peptidici. Hanno diversi livelli di struttura: Struttura primaria → L’ordine degli amminoacidi; Struttura secondaria → La forma che assume la sequenza (alfa-elica o foglietto ripiegato); Struttura terziaria → La struttura tridimensionale dell’intera sequenza, che si può ripiegare su se stessa; Struttura quaternaria → L’eventuale unione con altri polipeptidi. Collagene: ▪ Il collagene costituisce più del 25% delle proteine totali nei mammiferi ▪ È una proteina fibrosa che conferisce importanti proprietà ai tessuti connettivi: proprietà meccaniche (resistenza a trazione) proprietà biologiche (via estrinseca della coagulazione) ▪ Il collagene è il componente principale della matrice extracellulare. ▪ Viene sintetizzato dalle cellule, partendo da amminoacidi liberi. PM = 300000 ▪ Ciascuna catena polipeptidica è costituita da una sequenza ripetitiva Gly-X-Y. ▪ Le molecole di collagene (tropocollagene) hanno una struttura a tripla elica, in cui tre catene polipeptidiche (catene ) si avvolgono per formare un’elica regolare lunga circa 280 nm e del diametro di 1.4 nm. ▪ Ogni catena polipetidica è un’elica sinistrorsa, mentre la tripla elica derivante dall’avvolgimento delle tre -eliche è destrorsa. Le catene alfa differiscono tra loro per la differente sequenza di amminoacidi. Attualmente si conoscono 22 tipi di collagene, di cui il più utilizzato nei biomateriali è quello di tipo I. ✓ Collageni di tipi II e III: tre catene identiche ✓ Collagene di tipo I: una catena 1 (I) e due catene 2 (I). Catene alfa: - 1050 amminoacidi - sequenza caratteristica: — (Gly — X — Y) — - X e Y sono spesso prolina e idrossiprolina (~33% glicina, 25% prolina, 25% idrossiprolina) - La glicina è responsabile della flessibilità del collagene. La biodegradazione del collagene: ▪ Nell’ambito della normale fisiologia, esistono diversi processi che coinvolgono la degradazione del collagene: - morfogenesi costruttiva: la degradazione di un tessuto vecchio avviene a beneficio della formazione di uno nuovo (crescita) - eliminazione riparativa: un tessuto danneggiato viene rimosso e sostituito da uno nuovo (guarigione ferite, rimodellamento) - distruzione patologica: la degradazione avviene a causa di patologie distruttive (tumore invasivo) ▪ Degradazione del collagene come biomateriale: - degradazione enzimatica attuata da metallo-proteinasi molto specifiche (collagenasi), contenenti Zn e aventi Ca come cofattore ▪ È possibile modulare la velocità di degradazione mediante procedura di reticolazione. ▪ La degradazione è più lenta per collagene estratto da animali adulti. Il collagene come biomateriale: Caratteristiche del collagene come biomateriale: ▪ buone proprietà meccaniche (elevata resistenza a trazione) ▪ biodegradazione controllabile ▪ proprietà emostatiche ▪ bassa/moderata antigenicità (dipendente dalla specie, dalle tecniche di lavorazione, dal sito d’impianto) ▪ modeste risposte infiammatorie ▪ abilità di promuovere l'adesione e la crescita cellulare Fonti: tessuti particolarmente ricchi di collagene fibroso: - Pelle (bovina o porcina) - Tendini (bovini o equini) Esempi applicativi: Strutture a matrice spugnosa attraverso liofilizzazione → Si prepara una sospensione di collagene in soluzione acquosa acidificata e si congela a -80 °C. Si pone la sospensione congelata in un vuoto e si riscalda leggermente, causando la sublimazione della parte liquida, ottenendo un materiale spugnoso e poroso. La ricostituzione del collagene: ▪ Il collagene nativo mostra una elevata resistenza a trazione ed una elevata resistenza alla proteolisi nonostante si trovi in condizioni di notevole idratazione. Il motivo è da attribuire ai numerosi legami che esistono a vari livelli fra fibrille, fibre e fasci fibrosi. ▪ I processi di estrazione del collagene dai tessuti comportano inevitabilmente la rottura di gran parte di tali legami e per tale motivo il collagene post-estrazione non presenta le stesse elevate proprietà di quello nativo. ▪ Senza un trattamento volto a ripristinare una struttura reticolata, le caratteristiche tensili e di resistenza alla proteolisi in condizioni idratate sarebbero inaccettabili. Limiti → La reazione di equilibrio comporta la presenza di molecole libere di formaldeide potenzialmente tossiche. Svantaggi → ▪ La GTA tende a polimerizzare e conseguentemente: - diminuisce la concentrazione di monomero disponibile - gli oligomeri più difficilmente riescono a penetrare fra le fibrille - le due estremità dell’aldeide si legano a residui della stessa catena ▪ Tossicità Vantaggi → Scegliendo opportunamente i gruppi R1 e R2, la isourea può risultare solubile in acqua e quindi facilmente eliminare attraverso semplici lavaggi. Trattamento termico: 1. Procedura di disidratazione (3 h 50°C, 30 min 90°C) sottovuoto; 2. Procedura di reticolazione (18 h 130°C) sottovuoto. Vantaggi: La reticolazione per trattamento termico non richiede alcun agente chimico esterno. Limiti: Nonostante la sua semplicità, questo metodo di reticolazione ha diversi svantaggi: - il grado di reticolazione è relativamente basso a causa del piccolo numero di gruppi laterali capaci di reagire; - richiede temperature piuttosto alte e condizioni di disidratazione spinte per evitare che le catene di collagene si denaturino Trattamento enzimatico: Le transglutaminasi sono una famiglia di enzimi che catalizza la formazione di legami covalenti sia intra- che intermolecolari tra residui glutamminici e lisinici presenti in proteine substrato. Applicazioni del collagene: Medicazione di ferite: Il foglio di collagene diventa oggetto dell’attacco delle metallo-proteinasi e viene arricchito con agenti antimicrobici e antibatterici. Agente emostatico: Granuli di collagene e trombina vengono somministrati in siringa, in modo mirato. Ingegneria tissutale e rilascio controllato. La prima pelle ingegnerizzata approvata dall’FDA (1998). Limitazioni del collagene: Costo elevato Variabilità delle proprietà chimico-fisiche e della degradazione Rischio di trasmissione di infezioni, a causa dell’origine allogenica (non dello stesso paziente) o xenogenica (non umano) Difficile da sterilizzare Gelatina: ▪ Materiale proteico ottenuto dalla denaturazione del collagene ▪ Il processo di estrazione rompe la tripla elica del collagene e offre una miscela eterogenea di catene polipeptidiche singole, doppie e triple, contenenti da 300 a 4000 aminoacidi ▪ Sequenza caratteristica –Gly-X-Y– ▪ Gelatina tipo A (pre-trattamento acido), gelatina tipo B (pretrattamento basico) ▪ Solubile in acqua (T>40°C) ▪ Reticolabile termicamente, chimicamente ed enzimaticamente ▪ Le proprietà della gelatina sono condizionate dalla sorgente e dalle condizioni di estrazione della gelatina Vantaggi: ▪ Economica ▪ Facilmente disponibile ▪ Biocompatibile ▪ Biodegradabile ▪ Proprietà antigeniche ridotte rispetto al collagene ▪ Promuove l’adesione cellulare ▪ Possiede gruppi funzionali diversi e facilmente accessibili per modifiche chimiche Svantaggi: ▪ Soggetta a infezioni batteriche ▪ Rischio di trasmissione di infezioni ▪ Ampio range di pesi molecolari (da 10.000 a diverse centinaia di migliaia di Dalton) Applicazioni: Spugne assorbenti per applicazioni chirurgiche; rilascio di farmaci; ingegneria tissuitale. Fibrina: ▪ Biopolimero coinvolto nel processo di coagulazione del sangue ▪ Deriva dal fibrinogeno, per opera della trombina ▪ Immunocompatibile ▪ Biocompatibile ▪ Biodegradabile (fibrinolisi) ▪ Iniettabile ▪ Contiene proteine della matrice extracellulare (come la fibronectina), che favoriscono l’adesione e la proliferazione cellulare Polimerizzazione della fibrina: Applicazioni cliniche: Sigillante (colle di fibrina) → I diversi prodotti commerciali differiscono per concentrazione di fibrinogeno (proprietà meccaniche) concentrazione di trombina (velocità di formazione del coagulo). Comunemente contengono anche componenti anti-fibrinolitici. Scaffold iniettabili per la rigenerazione tissutale. Polisaccaridi: Acido ialuronico (origine animale): L’acido ialuronico (HA) è presente in molti tessuti anche se in forme e quantità diverse. È uno dei principali componenti polisaccaridici della matrice extracellulare e svolge un ruolo importante nella lubrificazione delle articolazioni. Riveste anche un importante ruolo biologico nella migrazione cellulare: la sua sintesi ed il suo accumulo extracellulare sono associati ai processi coinvolti nella riparazione tissutale. L’HA è coinvolto nei processi di mitosi e la sintesi di HA è elevata nelle cellule in coltura. Si può trovare nell’umor vitreo, nel liquido sinoviale, nella pelle, cartilagine, tendini, cordone ombelicale e nelle pareti dell’aorta. ▪ L’HA è costituito da un semplice disaccaride che si ripete in maniera lineare. ▪ È il più grande tra i glicosamminoglicani e il suo peso molecolare raggiunge diversi milioni. Proprietà: ▪ Solubile in acqua ▪ Biodegradabile - Ossido nitrico e metallo-proteinasi + endocitosi - Enzimi lisosomiali + eliminazione attraverso le normali vie metaboliche ▪ Reticolabile mediante processi chimici e fisici ▪ Non immunogenico Fonti: - umor vitreo e liquido sinoviale bovino - creste di gallo - biotecnologie (processi di fermentazione batterica) HYAFF-11: Si tratta dell’acido ialuronico modificato (esterificato). Il processo di esterificazione rende l’HA insolubile e riduce la sua velocità di degradazione. L’ HYAFF-11 subisce degradazione idrolitica e, in funzione del grado di esterificazione, i tempi di degradazione variano tra 1-2 settimane e 2-3 mesi. Le applicazioni sono legate all’ingegneria tissutale, come per esempio la rigenerazione in vitro della pelle. Per esempio la Laserskin (Fidia Advanced Biopolymers, Italia: ▪ Membrana sottile ottenuta per inversione di fase da soluzione in DMSO ▪ Microperforata tramite laser per facilitare l’infiltrazione e la proliferazione cellulare ▪ Semina con cheratinociti autologhi È facile da maneggiare e i micropori favoriscono la migrazione dei cheratinociti. Viene inoltre utilizzato per la produzione di medicazioni avanzate: ▪ Modula il processo infiammatorio ▪ Prende parte al processo di guarigione delle ferite ▪ Promuove l’angiogenesi Viene utilizzato per la realizzazione di supporti biocompatibili per l’ingegneria dei tessuti: ▪ Modula la migrazione e il differenziamento cellulare durante l’embriogenesi ▪ Regola l’organizzazione della matrice extracellulare ▪ Coinvolto nei processi di riparazione tissutale Altre applicazioni: sostituiti iniettabili per tessuti soffici 1) chirurgia oculare: soluzioni viscose ad elevato PM sono utilizzate come sostituto dell’umor vitreo e per proteggere il tessuto sensibile dell’occhio durante l’estrazione della cataratta, il trapianto di cornea, la chirurgia oculare del glaucoma. 2) terapia dell’osteoartrosi: soluzioni viscose sono utilizzate come sostituto del fluido sinoviale per ridurre il dolore e migliorare la mobilità articolare in pazienti con osteoartrosi. Alginato (origine vegetale): L’alginato è un polisaccaride di origine vegetale che viene estratto dalle alghe brune (di cui rappresenta fino al 40% del peso secco). È disponibile commercialmente come sale sodico dell’acido alginico. Le specie più importanti di alghe dalle quali si estraggono gli alginati sono la Laminaria digitata, la Laminaria hyperborea e la Macrocystus pyrifera. La composizione e le proprietà dell’alginato dipendono grandemente dalla sorgente di estrazione. Struttura: ▪ L’alginato consiste di due acidi uronici, connessi da legami 1-4 glicosidici. ▪ Il rapporto tra i due acidi uronici e la disposizione sequenziale lungo la catena dipendono dalla sorgente di estrazione. ▪ Il PM può arrivare fino a 500000. I residui possono essere arrangiati in vario modo all’interno del polimero. La composizione e l’estensione delle sequenze, insieme al PM, determinano le proprietà fisiche dell’alginato. Reticolazione: ▪ L’acido alginico è solubile in acqua, ma diventa insolubile se associato a cationi bivalenti. ▪ I cationi bivalenti si legano al polimero ogni volta che ci sono due residui di acido guluronico adiacenti. ▪ Il processo di reticolazione consiste nella sostituzione degli ioni sodio, appartenenti a residui di acido guluronico, con ioni calcio. Proprietà e usi: Pro: ▪ Biocompatibile ▪ Non provoca risposta infiammatoria Contro: ▪ Non subisce degradazione enzimatica nei mammiferi ▪ La degradazione in vivo è non controllata e lenta ▪ Scarsa adesione cellulare → modifica con molecole bioattive L’alginato viene utilizzato per comporre idrogel, in cui possono essere incapsulate cellule. Viene anche utilizzato per materiale da impronta, per il rilascio controllato e per l’ingegneria tissutale (scaffold tradizionale, dispositivi con cellule incapsulate), e ausili per la guarigione delle ferite. Poliesteri batterici (poliidrossialcanoati): Si trattano di poliesteri biodegradabili prodotti da batteri come loro fonte di energia. Si dividono in poliidrossibutirrato (PHB), polidrossivalerato (PHV) e i loro copolimeri (PHBV). Proprietà: PHB: ▪ Altamente cristallino (>60%) ▪ Comportamento meccanico di tipo fragile ▪ Degrada per erosione superficiale idrolitica ▪ Il prodotto di degradazione è l’acido idrossibutirrico, che è un costituente del sangue umano. Ne deriva la non tossicità e l’elevata biocompatibilità del materiale PHBV: ▪ Grado di cristallinità inferiore rispetto al PHB, più flessibile e più processabile. Applicazioni: Rilascio controllato, suture bioriassorbibili, ingegneria tissuitale. Altri materiali di origine biologica → Il pericardio: ▪ Il pericardio è una sacca fibrosa che, nei mammiferi, riveste il cuore. ▪ Forma e dimensioni corrispondono a quelle del cuore. ▪ È costituito da due lamine: una esterna e fibrosa (pericardio fibroso), una interna e sierosa (pericardio sieroso). Istologia del pericardio: ▪ Il pericardio fibroso è una lamina sottile, ma resistente e inestensibile, di tessuto connettivo denso. Comprende fasci di fibre di collagene, fibre elastiche e fibroblasti. ▪ Il pericardio sieroso comprende due lamine: una lamina viscerale, aderente al miocardio e una lamina parietale, aderente al pericardio fibroso. Tra le due lamine è presente una piccola quantità di liquido viscoso (liquido pericardico), la cui funzione è quella di facilitare i movimenti del cuore. ▪ La lamina parietale è costituita da cellule mesoteliali piatte o cubiche, sostenute da un sottile strato di tessuto connettivo, ricco di collagene ed elastina. ▪ La lamina viscerale è costituita da uno strato di cellule mesoteliali che poggiano su uno strato di tessuto connettivo, ricco di fibre elastiche e provvisto di una rete capillare e nervosa. ▪ Il pericardio utilizzato come biomateriale comprende pericardio fibroso e lamina parietale. Proprietà del pericardio: Origine: bovina o suina (sono stati valutati anche tessuti pericardici provenienti da cavalli, struzzi, canguri). ✓ Facilmente disponibile ✓ Tessuto ricco di collagene ✓ Emocompatibile ✓ Elevata resistenza e proprietà meccaniche ✓ Facile da suturare × Risposta immunitaria × Rischio di calcificazione e degenerazione del tessuto × Durata circa 10 anni Processo di raccolta e preparazione: Il pericardio è ottenuto da animali adatti, viene decellullarizzato e sterilizzato. Si ottiene così una matrice acellulare e sterile. Dopodiché, si rende emocompatibile in vitro e poi utilizzato. Applicazioni: ✓ Protesi vascolari ▪ Protesi vascolari biologiche sono prodotte utilizzando pericardio bovino trattato con GTA. ▪ La GTA ha un’efficace effetto citotossico, che elimina le cellule dai tessuti ed inoltre stabilizza il collagene producendo legami chimici intercatena. ▪ Le protesi più recenti sono ottenute mediante cucitura di un pezzo di pericardio bovino precedentemente trattato con GTA e corrugato. Il corrugamento ha lo scopo di rendere il vaso flessibile prevenendone l’occlusione durante le flessioni. ✓ Protesi valvolari ▪ Le protesi valvolari pericardiche sono state sviluppate a partire dagli anni ‘70, nel tentativo di combinare elevata emocompatibilità e buona fluidodinamica. ▪ Le protesi valvolari pericardiche sono costituite da una striscia di pericardio bovino, suturata esternamente su una struttura di supporto e dotata di un anello di sutura. ▪ Vengono utilizzate strisce di pericardio, di spessore costante (circa 0.4 mm), prelevate dalle zone centrali del sacco pericardico, che avendo un maggior contenuto di elastina garantiscono una maggiore deformabilità. ▪ Offrono apertura dei lembi più completa e maggiore durata rispetto al pericardio porcino. ✓ Riparazione difetti cardiaci congeniti o acquisiti (es. ricostruzione anello valvola mitrale; trattamento difetti postinfartuali del setto) ✓ Ricostruzione della parete addominale ✓ Ricostruzioni gengivali Biomateriali ceramici Derivano dal greco Keramos, ovvero materiale cotto. Si trattano di composti inorganici che contengono elementi metallici e non. Anche il carbonio vi appartiene, nelle sue diverse forme allotropiche. I legami chimici sono ionici e/o covalenti. Ceramici tradizionali: manufatti a base di argilla ✓ A pasta porosa (es. terrecotte) ✓ A pasta compatta (es. porcellane, gres) Ceramici avanzati: preparati per sinterizzazione di materiali inorganici non metallici. Sono utilizzati per applicazioni biomedicali. Vantaggi: ✓Biocompatibilità ✓Basso impatto sul sistema immunitario ✓Inerzia chimica verso fluidi biologici ✓Elevata resistenza alla compressione ✓Basso coefficiente d’attrito ✓ Buone proprietà estetiche per applicazioni dentali ✓Sono bioinerti e talvolta bioattivi I settori in cui sono utilizzati: ORTOPEDICO Protesi articolari, Mezzi di osteosintesi ODONTOIATRICO Implantologia, Denti artificiali OTORINOLARINGOIATRICO Ossicini dell’orecchio interno, Chirurgia ricostruttiva del naso e della gola CARDIOVASCOLARE Protesi valvolari Struttura dei materiali ceramici: ▪ Generalmente policristallini ▪ Composti del tipo AmXn (A metallo, X non metallo) ▪ Sistema più semplice: AX. Rapporto tra i raggi ionici degli elementi costituenti → struttura cella elementare ❑ RA /RX ~1 struttura cubica semplice ❑ RA /RX < 0.7 struttura cubica a facce centrate ▪ Tra i composti AmXn (n≠m) ricordiamo Al2O3 che ha struttura esagonale compatta ▪ In generale, i reticoli sono più complessi di quelli metallici Proprietà dei materiali ceramici: ✓ Elevata durezza ✓ Basso coefficiente d’attrito ✓ Elevata temperatura di fusione ✓ Bassa conducibilità termica ed elettrica x Fragilità x Alta temperatura di sinterizzazione x Scarsa riproducibilità x Elevati costi di lavorazione Fattori che influiscono sulle proprietà: ✓ Composizione chimica delle polveri di partenza ✓ Fasi presenti ai bordi di grano ✓ Popolazione granulometrica: dimensione, forma e distribuzione Produzione di manufatti ceramici: I. TRATTAMENTO = miscelazione delle polveri con leganti II. FORMATURA = l’impasto assume la forma desiderata, tramite tecniche diverse (es. pressatura, iniezione, estrusione, colaggio) III. ESSICCAMENTO ED ELIMINAZIONE LEGANTI IV. SINTERIZZAZIONE = il pezzo è sottoposto a temperature molto elevate, che aumentano la coesione tra i grani e quindi la densità del materiale V. FINITURA = lucidatura superficiale Classificazione: CERAMICHE BIOINERTI: allumina, zirconia CERAMICHE BIOATTIVE: idrossiapatite, β-trifosfato di calcio (β-TCP), biovetri CERAMICHE BIORIASSORBIBILI: β-trifosfato di calcio (β-TCP) Bioinerzia: il materiale impiantato non induce né subisce alterazioni chimiche o biologiche dovute al contatto con l’ambiente biologico Bioattività: il materiale è in grado di indurre nei tessuti biologici una risposta attivando processi chimici e biologici all’interfaccia Ceramiche bioinerti: Allumina: La sua formula chimica è Al2O3. È rigida, dura e fragile. La rigidezza e durezza la rendono adatta per la sostituzione di tessuti duri, per l’ortopedia, odontoiatria, e otorinolaringoiatria. La sua curva sforzo- deformazione è di tipo fragile. Lo sforzo di rottura per trazione è circa il 5-10% dello sforzo a rottura per compressione. E = 380 GPa σt = 400 MPa σc = 4000 MPa Purezza > 99.5%, contenuto di ossidi metallici e ossido di silicio < 0.1%. Proprietà tribologiche: Il coefficiente di attrito in un accoppiamento allumina-allumina è più basso rispetto a metallo-PE. Il coefficiente d’attrito diminuisce nel tempo, avvicinandosi ai valori dell’articolazione naturale. L’usura nell’accoppiamento allumina-allumina è da 2 a 10 volte inferiore rispetto a quello che si ha per metallo-PE. Quindi, le proprietà tribologiche migliorano nel tempo e sono migliori rispetto a quelle degli altri materiali. ▪ La bagnabilità del componente è un requisito fondamentale perché l’usura si trovi in un range di valori accettabili. Minore è l’ang