Sbobina Biologia - Prima Lezione - PDF
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Alessandria
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Gli appunti di biologia coprono gli argomenti relativi alla struttura e funzione delle cellule eucariote, in particolare quelle animali. Si approfondiscono aspetti come l'interazione tra cellule e ambiente esterno, le diverse tipologie di comunicazione cellulare e le tecniche di osservazione microscopica utilizzate in biologia.
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1° turno: El Farssi Hajar 2° turno: Filastò Davide BIOLOGIA PRIMA LEZIONE Durante il corso di biologia si studierà la cellula, in particolare, quella eucariote. Le cellule eucariote si dividono in due grandi gruppi:...
1° turno: El Farssi Hajar 2° turno: Filastò Davide BIOLOGIA PRIMA LEZIONE Durante il corso di biologia si studierà la cellula, in particolare, quella eucariote. Le cellule eucariote si dividono in due grandi gruppi: la cellula animale e la cellula vegetale e nel corso si andranno a studiare le cellule eucariote animali. La cellula è l'unità funzionale e strutturale di qualunque organismo vivente e quindi anche dell'uomo, infatti, le caratteristiche che determinano l’uomo, come la sua fisiologia, morfologia, anatomia ecc. derivano tutte dalle strutture più piccole, ossia le cellule: l'organizzazione di più cellule che comunicano ed interagiscono tra di loro e con l'ambiente esterno va a formare tessuti e organi che, tutti insieme, danno luogo all’organismo. Esistono anche organismi che sono eucarioti unicellulari formati da un'unica cellula. A sinistra si nota una singola cellula eucariote in coltura A destra, un agglomerato di cellule dove si vedono regioni circolari che sono i nuclei delle cellule. Da questa foto, si deduce come le cellule non vivano isolate, ma organizzate. A sinistra si vede una sezione istologica in cui sono tutte cellule organizzate a dare una struttura, per precisione un epitelio intestinale, quindi un tessuto: le cellule sono organizzate per formare i villi intestinali, strutture che servono ad aumentare la superficie di contatto e aumentare la capacità di assorbimento dell’organismo. Questa funzione è resa possibile grazie all'organizzazione delle cellule che ''parlano'' ed interagiscono tra di loro e con l’ambiente extracellulare. Quindi, la cellula non solo non è sola, ma non è nemmeno scollegata da ciò che le sta intorno. C'è sempre un’attiva comunicazione tra le cellule e ciò che circonda le cellule, perché la cellula deve sempre sapere in che ambiente si trova, con chi è a contatto e anche come deve ''comportarsi''. Ciò è possibile poiché la cellula è in grado di percepire tutti i segnali provenienti dall'ambiente esterno ed interpretarli per reagire appropriatamente in base al tipo di stimolo. Ad esempio, una cellula deputata all'assorbimento del glucosio, nel caso in cui questo fosse presente nell'ambiente esterno, verrà captato, inglobato ed infine utilizzato. Ovviamente ciò non succede in assenza di glucosio. La stessa cellula, in presenza di uno stress come può essere una variazione di ph o la presenza di ossidanti ecc., reagirà in un altro modo rispetto a quando è in condizioni ottimali perché ogni cellula è in grado di percepire questi segnali dall'esterno. Si ha poi il processo di trasduzione del segnale: il segnale dall'esterno viene, in qualche modo, trasferito all'interno della cellula e, in base al tipo di segnale, la cellula reagirà producendo degli output come, ad esempio, molecole da rilasciare all’esterno, attivazione di vie metaboliche o produzione di antiossidanti ecc. Questi output servono anche per modificare l'ambiente esterno e comunicare con le altre cellule. La comunicazione, all’interno dell’organismo, non avviene solo in prossimità: la cellula non comunica soltanto con la cellula adiacente o quelle vicine. Esistono diverse modalità di comunicazione (o segnalazione), come la comunicazione endocrina (garantisce la comunicazione a distanza tra le cellule dell’organismo), paracrina (comunicazione con le cellule vicine) ed autocrina (la cellula comunica con se stessa). Per quanto riguarda la segnalazione endocrina, viene ad essere sfruttato il torrente circolatorio che è in grado di trasportare le molecole segnale anche in regioni lontane da quelle in cui son state prodotte. Inoltre, la cellula terminale (colei che riceve il segnale) può comunicare con la cellula sorgente (colei che invia il segnale) attraverso una sorta di feedback. Questo perché è necessaria una comunicazione in entrambi i sensi in modo che l’organismo possa regolare se stesso e regolare, in maniera continua ed efficace, tutto ciò che avviene. Non sorprende che da un’unica cellula progenitrice, cioè lo zigote, che deriva dalla fusione di due cellule germinali (cellule aploidi), i gameti maschili e femminili, si generino tutte le cellule del nostro corpo. Questo succede perché, da un punto di vista genetico, tutte le nostre cellule sono identiche, quello che cambia è l'espressione genica: ogni singola cellula possiede tutta la sequenza di DNA e quindi tutte le informazioni disponibili per generare un nuovo organismo, intero e completo. Ciò che fa si che le nostre cellule siano diverse tra di loro è l'espressione genica cioè come le diverse cellule utilizzano le informazioni di volta in volta. Per comprendere meglio il discorso, possiamo immaginare il contenuto genetico di ogni cellula come una banca dati: la banca dati contiene, al suo interno, tutte le informazioni ma, per realizzare uno scopo ben preciso, si utilizza solo la porzione di questa che risulta utile e, quindi, non tutte le altre informazioni che non sono utili per la sua realizzazione. Quindi tutte le cellule hanno tutte le informazioni al loro interno, varia la loro capacità di poter reperire o meno determinate informazioni genetiche. L’informazione genetica è molto flessibile, infatti, le cellule non sono organismi rigidi e statici e possono variare la loro espressione genica e la loro funzione. Le dimensioni delle cellule sono al di sotto del limite di risoluzione dell'occhio umano. Per poter studiare e visualizzare il mondo cellulare, o comunque ciò che si trova all'interno della cellula, si ha bisogno di uno strumento: il microscopio. Ci sono diversi tipi di microscopio che presentano diverse capacità di messa a fuoco. Più aumenta la necessità di visualizzare strutture molto piccole, maggiore è la complessità dello strumento da utilizzare. Osservando la foto a destra, è possibile constatare che, ad occhio nudo, si possono visualizzare poche strutture come, ad esempio, le uova di rana oppure alcuni organismi unicellulari come il paramecio. Per visualizzare strutture come la cellula epiteliale, che ha le dimensioni di 30 micrometri (o micron (um)) i linfociti (12 um), i cloroplasti contenuti all'interno di cellule vegetali (8 um), i mitocondri (2 um), i batteri (circa 1 um) o le ciglia, strutture specializzate di alcune cellule (250 nm), è necessario l’uso del microscopio ottico. Microscopio Il microscopio ottico (a destra) presenta una fonte di illuminazione, rappresentata solitamente da una lampadina (oppure dei laser), sulla base, vi è poi un appoggio dove si pone il preparato e una torretta girevola che serve ad alloggiare i diversi obbiettivi, in maniera che questi siano intercambiabili per la visualizzazione del preparato. Gli obbiettivi contengono lenti che offrono diversi gradi di ingrandimento: cambiando il tipo di obbiettivo si ottengono diversi ingrandimenti. Gli obbiettivi che permettono maggiori ingrandimenti sono costituiti da un insieme di lenti più complesso rispetto agli obbiettivi che permettono ingrandimenti minori. Vi è poi l'oculare che viene utilizzato per l’osservazione del preparato. Questo può essere sostituito od affiancato da una telecamera digitale che ci permette di visualizzare su uno schermo il preparato, ma anche di registrare le informazioni ricavate. Invece, per studiare strutture molto più piccole come i virus (100 nm), i ribosomi (30 nm), i filamenti citoscheletrici, il doppio strato lipidico, fino ad arrivare al DNA (spessore di circa 2nm), il microscopio ottico non è più sufficiente ed è necessario il microscopio elettronico, di dimensioni maggiori rispetto all’ottico (in foto a sinistra un vecchio modello). La differenza tra i due è che il microscopio ottico utilizza una fonte luminosa che può essere una semplice lampadina o dei laser, mentre invece il microscopio elettronico utilizza come fonte di illuminazione una sorgente di elettroni. Si arriva a visualizzare anche molecole più piccole del DNA, ma non i singoli atomi. Per visualizzarli, è necessario ricorrere al microscopio atomico che è completamente diverso da tutti gli altri microscopi. Nelle immagini sottostanti, sono rappresentati alcuni esempi di preparati visti al microscopio ottico A sinistra, uno striscio di sangue su vetrino preparato con la colorazione ematossilina eosina che permette di colorare in maniera diversa il citoplasma dal nucleo. In questo caso, il preparato è costituito maggiormente da delle strutture a forma di ciambella, i globuli rossi, che presentano uno spessore maggiore verso le estremità ed uno spessore minore nel centro. La differenza di spessore è il motivo per cui le cellule esternamente appaiono molto più colorate rispetto al centro. Ciò è dovuto al fatto che, nel centro, c’è meno colorante rispetto all’esterno. Gli spot (i punti) viola non sono impurità, ma sono piastrine. A sinistra abbiamo una sezione di un tessuto cutaneo. Osservabile è una linea scura che divide epitelio (superiormente) e derma (inferiormente). Utilizzando ematossilina eosina, i puntini colorati di viola intenso sono i nuclei delle cellule, la colorazione rosa esterna costituisce il citoplasma di ciascuna cellula. Le immagini soprastanti sono ottenute sempre attraverso il microscopio ottico, ma meglio accessoriato: il microscopio ottico a fluorescenza confocale che sfrutta una tecnologia che ci permette di visualizzare il preparato utilizzando dei marcatori, ovvero sostanze colorate (fluorocromi), che ci permettono di osservale delle particolari cellule oppure particolari strutture cellulari. Nella foto in alto a sinistra, in blu è rappresentato il nucleo di ciascuna cellula e la colorazione è data da un particolare colorante, il DAPI, una molecola intercalante che interagisce con il DNA. Nel momento in cui il DAPI interagisce con il DNA e viene illuminato (ed eccitato) dalla luce, è in grado di diventare fluorescente. Il colore verde è dato dal cosiddetto probe, una molecola che fluoresce nel verde e che ha la capacità di marcare un'altra struttura subcellulare ossia i mitocondri. I mitocondri sono rappresentati in forma tubulare/filamentosa anche se in genere dipende dal tipo di cellula e dalle sue condizioni. All’interno di una cellula, i mitocondri si allungano, si dividono in due o più strutture, modificano la loro posizione etc. quindi, anche gli organelli cellulari non sono quasi mai strutture statiche. Cambiando le condizioni di coltura in cui si trova una cellula e portandola in condizioni di stress modificando, ad esempio, parametri quali temperatura, nutrienti, pH etc., si nota anche un cambiamento della forma degli organuli e, in particolare, dei mitocondri che perdono la forma tubulare assumendone una più discreta. Nella foto in alto a destra è rappresentato, utilizzando diversi coloranti, il tessuto nervoso in verde, in particolare i neuroni con i prolungamenti assonici (o neuriti), un’altra popolazione cellulare evidenziata in rosso e dei dischetti in viola che sono i nuclei. A sinistra vediamo sempre un’immagine di mitocondri ricavata utilizzando nuovamente un microscopio ottico a fluorescenza confocale. L’immagine rende l’idea di come siano fatti i mitocondri. In questo caso viene ad essere utilizzata una proteina marcatrice viola che interagisce con il mitocondrio (in verde). Vediamo nel punto “E” dell’immagine che la molecola viola è in grado di colorare la superficie del mitocondrio piuttosto che il suo interno. Lo strumento utilizzato per le analisi cambia in base a ciò che si vuole evidenziare e studiare. Per quanto riguarda il microscopio elettronico, l’immagine che si ottiene, e le conseguenti informazioni, cambiano da quelle ottenute con il microscopio ottico. Il microscopio elettronico sfrutta, come sorgente luminosa, un fascio di elettroni. Esistono due tipologie di microscopi elettronici: il microscopio elettronico a trasmissione (TEM) e il microscopio elettronico a scansione (SEM). Nel TEM gli elettroni passano attraverso il preparato fornendo l’immagine interna del preparato. Con il microscopio a scansione si hanno altre informazioni che riguardano la superficie del preparato, quindi presenta un’analogia con ciò che forniva il microscopio ottico a fluorescenza confocale. Anche qui si possono utilizzare delle metodiche per mettere in evidenza strutture piuttosto che proteine particolari. L’immagine data dal microscopio elettronico va interpretata come una radiografia dove le strutture scure sono quelle più elettrondense e quindi attraversate con più difficoltà dal passaggio degli elettroni, quelle più chiare sono quelle che sono attraversate con più facilità dagli elettroni. Differenziando le zone elettrondense dalle zone meno elettrondense è possibile determinare la struttura del preparato analizzato. Il TEM può essere utilizzato per analizzare gli organelli della cellula, ad esempio il mitocondrio. Attraverso l’analisi del mitocondrio è possibile osservare il suo stato e stabilire se è fisiologico o se ci sono delle alterazioni: ci sono delle malattie che affliggono in particolare il mitocondrio e, quindi, analizzandolo tramite il TEM è possibile determinarne il suo stato. In generale con il TEM e con la semplice osservazione cellulare e dei suoi organelli è possibile comprendere lo stato della cellula. Ad esempio, se si segue in tempo reale il processo dell’apoptosi, ci accorgeremo che i mitocondri, quasi fino alle fasi conclusive hanno una morfologia e una funzionalità normale, però osservando lo stato del nucleo, è ben comprensibile quale sia la condizione della cellula: durante l’apoptosi il DNA condensa formando delle strutture elettrondense che si adagiano sulla superficie interna dell’envelope nucleare. Invece, durante il processo feroptotico di morte si nota un cambiamento conformazionale dei mitocondri. Negli esempi fatti sopra, si comprende, ad esempio, il tipo di morte cellulare. Questa informazione è importante perché i tipi di morte cellulare hanno diversi ripercussioni sui tessuti, sugli organi e sull’organismo stesso: l’apoptosi, ad esempio, si è evoluta in maniera tale da evitare lo spargimento all’esterno di tutto ciò che è contenuto all’interno della cellula, in maniera da evitare la risposta infiammatoria, formando dei piccoli frammenti cellulari circondati da membrana: tutto quello che è contenuto all’interno della cellula, normalmente non si trova all’esterno di essa, perciò le cellule della risposta infiammatoria riconoscono il suo contenuto come qualcosa di estraneo ed attivano la risposta infiammatoria. È proprio quello che accade con la necrosi: la morte necrotica è causata da traumi e la cellula, quando muore, rilascia all’esterno tutto il suo contenuto causando l’innesco del processo infiammatorio. Nella immagine sottostante, a sinistra la morte apoptotica, a destra la morte necrotica Il SEM, fornisce un’idea della tridimensionalità del preparato stesso. Nella foto a destra è possibile vedere, in basso a destra, la fagocitosi osservata sopra con il SEM e sotto con il TEM. Con il SEM è possibile vedere cosa c’è dentro una cellula utilizzando una tecnica nota come “freeze-fracture” che causa una rottura della cellula. Molto diverso è il microscopio atomico grazie al quale si possono visualizzare macromolecole oppure molecole più piccole Per quanto riguarda le dimensioni di una cellula, le strutture mediamente si trovano nell'ordine dei micrometri e dei nanometri. Un micron sono 0−6 metri, un nanometro sono invece 0−9m e cosi via fino ad arrivare ai picometri ovvero 0−12m. Le cellule hanno dimensioni medie di 10 micrometri, mentre la struttura che le avvolge, ovvero la membrana plasmatica, ha uno spessore di soli 5 nm. La membrana non è isolata o fine a sé stessa, ma è legata a tutto ciò che interno ed esterno alla cellula. Conferisce resistenza, dinamicità, facilità di interazione permettendo alla cellula di interagire sia con altre cellule sia con l'ambiente esterno (ad esempio, con la matrice extracellulare) in maniera da ricevere segnali dall’esterno e di trasdurli all'interno e, anche, di emanare dei segnali verso l'esterno. Di cosa è fatta una cellula? Gli elementi principali che costituiscono una cellula sono diversi: il più abbondante è l'idrogeno, seguito dall’ossigeno (si ricorda come H e O formino H2O e di come il corpo umano sia principalmente costituito da questa (67%)) e dal carbonio che si trovano in uguale quantità, mentre sono presenti in minore quantità azoto, magnesio, fosforo, potassio, calcio ecc. Ciò che permette la vita e la formazione di tutte le macromolecole tipiche degli organismi o della materia inanimata è la capacità di atomi diversi di combinarsi tra di loro tramite dei legami chimici. Possono combinarsi in vario modo per dare luogo a macromolecole diverse che hanno, a loro volta, strutture e funzioni diverse. Si hanno due tipologie di legami chimici che sono il legame ionico e il legame covalente. Questi si differenziano tra loro dal tipo di interazione che coinvolge gli atomi. Nel legame covalente due elementi mettono in comune gli elettroni più esterni, nel legame ionico i due elementi non mettono in comune gli elettroni come nel caso del legame covalente, ma uno cede all'altro l'elettrone più esterno. Quello che stabilisce che tipo di legame si viene a formare è la differenza di elettronegatività tra gli elementi, ovvero la capacità dell'atomo di attrarre gli elettroni di legame. Essendo una differenza, non si tiene in considerazione il valore assoluto di elettronegatività dei singoli elementi ma il valore della loro differenza. Quindi non è un valore assoluto ma è un valore relativo che dipende dagli elementi. Maggiore è la differenza di elettronegativa, maggiore sarà la probabilità che il legame sia ionico, minore è la differenza, maggiore sarà la probabilità che il legame sia covalente. Gli elementi tendono a formare legami tra loro per raggiungere una maggiore stabilità (o la configurazione elettronica esterna più stabile): gli elementi singolarmente sono si stabili, ma, legandosi, tendono a raggiungere una situazione in cui il loro contenuto energetico è minore rispetto alla loro situazione iniziale. Nel legame covalente gli elettroni più esterni sono condivisi, tuttavia, in base alla differenza di elettronegatività, è possibile avere legami covalenti polari, in cui gli elettroni condivisi sono più concentrati verso l’elemento più elettronegativo facendogli acquisire una parziale carica negativa e facendo acquisire una parziale carica positiva a quello meno elettronegativo (si pensi all’acqua dove gli elettroni sono più concentrati sull’atomo di ossigeno) oppure è possibile avere legami covalenti puri quando la differenza di elettronegatività è bassa e quando gli elettroni sono perfettamente condivisi tra gli elementi. Nel caso del legame ionico, la differenza di elettronegatività è talmente elevata che l’elemento più elettronegativo strappa un elettrone all'elemento meno elettronegativo. Acqua La molecola d’acqua è generata dalla condivisione di elettroni da parte dell'idrogeno e dell'ossigeno. I legami che si formano tra l’O e i due atomi di H sono legami covalenti polari: essendo l’ossigeno più elettronegativo dell'idrogeno e presentando due elettroni spaiati è propenso a formare due legami covalenti polari con due atomi di idrogeno in quanto ognuno dei due possiede un elettrone spaiato. Per rappresentare l'elemento più elettronegativo (l’ossigeno in questo caso) si utilizza il simbolo “delta meno” ( −), mentre quello meno elettronegativo (l’idrogeno) viene rappresentato con “delta più” (δ+). Considerando il caso dell’acqua, l’elettrone dell’idrogeno, quando si forma il legame covalente polare tra H e O, questo è più spostato verso l’O e, pertanto, l’idrogeno presenta una parziale carica positiva data dal protone. Inoltre l'ossigeno, sugli orbitali più esterni, ha due coppie di elettroni stabili che, ruotando intorno all’O, formano le cosiddette nuvole elettroniche. Le nuvole elettroniche comprimono spazialmente i legami che si instaurano tra l’O e i 2H facendo si che si formi un angolo di legame caratteristico di 104,5°. L’O, avendo due nuvole elettroniche ed essendo più elettronegativo dell’H, fa si che le molecole di acqua possono interagire tra di loro grazie ad un legame che si forma tra l'idrogeno di una molecola e i doppietti elettronici dell'ossigeno di un'altra. Questo legame è noto come legame idrogeno ed è possibile grazie al fatto che l’idrogeno presenta una parziale carica positiva che fa si che questo possa interagire con un doppietto elettronico di un’altra molecola d’acqua compensando la sua carenza elettronica. Questo, in alcuni casi, determina un passaggio vero e proprio di un atomo di idrogeno da una molecola all’altra. Questo passaggio causa la dissociazione dell’acqua e la formazione degli ioni H3O+ e OH-. La dissociazione delle molecole d’acqua è in un equilibrio che, tuttavia, non è perfetto perché non si ha la medesima concentrazione tra le forme indissociate (H2O+H2O) e le forme dissociate (H3O+ + OH-). La dissociazione dell'acqua è definita debole, vuol dire che la forma dissociata H2O+H2O è preferita alla forma indissociata H3O+ e OH- anche se queste esistono. Considerando la reazione H 2O + H 2O ↔ H 3O+ + OH−, il suo equilibrio è più spostato verso sinistra e quindi verso la forma indissociata. Gli acidi e le basi possono essere suddivisi in forti e deboli in base alla loro dissociazione. Considerando, ad esempio, HCl, che è un acido forte, in soluzione acquosa questo è completamente dissociato, quindi, in questo caso, l’equilibrio è spostato verso destra, ovvero verso la forma dissociata dell’acido. Si definisce acido debole, invece, un acido che in soluzione acquosa non è completamente dissociato e tende, anzi, alla forma indissociata. Ogni molecola di acqua può formare 4 legami ad idrogeno con altre quattro molecole d’acqua, formando un tetraedro con angoli di circa 120°. Mentre in soluzione acquosa le interazioni tra le molecole dell’acqua sono molto dinamiche fra di loro e, quindi, possono interagire in vario modo, quando l’acqua congela lentamente, assume una conformazione cristallina ben precisa formando strutture discrete ben organizzate con i legami che si vedono a destra. Essendo la struttura cristallina più organizzata, occupa anche più spazio (oltre ad avere un volume maggiore). Se il congelamento avviene rapidamente, invece, le molecole di acqua non hanno il tempo di organizzarsi in queste strutture cristalline. Ritornando al legame ad idrogeno, questo non si forma soltanto tra molecole di acqua, ma ogni volta che l’H interagisce con atomi molto più elettronegativi (solitamente quando interagisce con Fluoro (F), Ossigeno (O) o Azoto (N)). La distanza di legame è diversa a seconda dell’elemento che si lega all’idrogeno (nella molecola d’acqua, il legame ad idrogeno è lungo 0,27nm). Le molecole di acqua interagiscono anche con quello che è disciolto nell’acqua stessa, ciò è possibile se le molecole disciolte in acqua (che quindi sono solubili in acqua) hanno la capacità di formare legami idrogeno o hanno dei legami fortemente polarizzati. Invece, le sostanze che non possiedono legami polarizzati non riescono ad interagire con l’acqua perché sono prive di carica, che sia netta o parziale, venendo, pertanto, escluse da questa. È il caso dell'olio: mettendo delle gocce d’olio in una bottiglia di acqua e poi shakerandola, si nota che le gocce diventano molto piccole e si disperdono nell’acqua, quasi come se l’olio si stesse sciogliendo al suo interno. In realtà, aspettando un po’ di tempo, le microgoccioline tendono a riaggregarsi fra di loro e a separarsi dall’acqua. Questo è garantito dalle interazioni idrofobiche tra le goccioline di olio. Una volta riassemblate, le gocce formano una sfera in quanto è la figura solida in cui, a parità di volume, si ha meno superficie e quindi offre una minore possibilità di interazione con l’acqua. L’acqua, quindi, è in grado di solubilizzare e portare in soluzione solo le molecole polari: ad esempio, gli amminoacidi, oltre che essere in grado di interagire fra di loro, interagiscono con l’acqua grazie ai gruppi NH2 e COOH. Lo stesso vale per l'urea che, per via dei gruppi NH e C=O, può formare legami ad idrogeno con l'acqua. Infine, la capacità di formare legami ad idrogeno è importante anche per il DNA perché questo permette l'interazione fra i due filamenti, più specificamente tra le basi azotate di questi. Maggiore è il numero di legami ad idrogeno che si vengono a formare, maggiore sarà la stabilità di tale struttura e maggiore sarà l’energia necessaria per poter rompere i legami. Macromolecole Le macromolecole sono costituite da monomeri più piccoli che, combinandosi tra di loro, danno origine ai polimeri. Dai monosaccaridi si ottengono i polisaccaridi, dagli acidi grassi si ottengono i lipidi, dalla combinazione di amminoacidi si ottengono le proteine, infine, dai nucleotidi si ottengono gli acidi nucleici. I monomeri sono come mattoncini che combinati riescono a dare strutture molto complesse e dinamiche, ma anche molto ordinate. Carboidrati Tutti gli zuccheri possono essere scritti con la formula generale (CH 2O)n, con n compreso tra 3 ed 8, e sono denominati come idrati del carbonio o carboidrati. La gliceraldeide, a destra, è lo zucchero più semplice, è scritta come (CH 2O)3 e possiede come gruppo funzionale un gruppo aldeidico. Gli zuccheri si dividono in aldosi e chetosi in base al gruppo funzionale: se il gruppo è aldeidico si ha CHO come gruppo funzionale, mentre se il gruppo è chetonico si avrà C=O. Gli zuccheri si dividono anche in base al numero di carboni. Si dividono in triosi (costituiti da 3 atomi di carbonio), pentosi (5 atomi di carbonio) ed esosi (6 atomi di carbonio) e, ovviamente, possono trovarsi sia in forma aldeidica che chetonica (si veda foto sotto a sinistra). I carboni si possono identificare all'interno di una molecola di zucchero numerandoli: il numero più basso viene attribuito al carbonio più vicino al gruppo funzionale. Gli zuccheri in realtà, in natura, presentano una struttura chiusa (o forma ciclica) chiudendosi su sé stessa. Prendendo come esempio il glucosio (si veda foto sotto a destra), la forma ciclica si ha a seguito dell’interazione tra il carbonio portante il gruppo funzionale (in questo caso, il gruppo aldeidico su C1) con l'ossigeno del C5 formando un legame covalente. La rappresentazione dei gruppi OH all'interno delle molecole di zucchero non è casuale, infatti, considerando la struttura lineare, questi legami possono ruotare attorno all'asse, se la struttura, invece, si chiude non possono più ruotare perché sono profilati da tutto ciò che li circonda. E' quindi una posizione spaziale ben definita che identifica la molecola. Modificando la posizione degli OH, si ottengono zuccheri diversi. Nel caso del fruttosio, che è un chetoesoso, è il C2 (il carbonio portante il gruppo funzionale) che interagisce sempre con C5. Tuttavia, l’interazione tra questi due carboni, fa si che la struttura ciclica risultante sia pentagonale. Il ribosio è, invece, un aldopentoso. La sua struttura ciclica si forma dall’interazione del C1 con l'OH del C4 formando nuovamente una struttura ciclica pentagonale. A destra possiamo vedere l’orientamento dei suoi OH Rimenzionando il fatto che modificando la posizione degli OH si ottengono zuccheri diversi, se l'OH del C4 del glucosio venisse disegnato sotto, anziché sopra, non si parlerebbe più di glucosio ma di un'altra molecola: il galattosio. Così come se l’OH del C2 venisse posizionato verso l’alto al posto che verso il basso, si parlerebbe di mannosio piuttosto che di glucosio. Queste molecole sono medesime, presentano gli stessi atomi di carbonio, di ossigeno ed idrogeno, ma variano fra loro per la disposizione del gruppo funzionale OH. Questo è importante in quanto gli enzimi, essendo molto specifici, riconoscono, ad esempio, il glucosio piuttosto che il mannosio proprio grazie alla disposizione spaziale dei gruppi OH. Polisaccaridi I monosaccaridi (monomeri di zucchero) si possono combinare insieme, attraverso la reazione di condensazione, per formare polimeri di zucchero: i disaccaridi (costituiti da due monomeri), gli oligosaccaridi (costituiti da 3 a 10 monomeri) e i polisaccaridi (costituiti da più di 10 monomeri). La reazione di condensazione è una reazione di polimerizzazione che avviene tra i monomeri di zucchero. La reazione prevede la formazione del legame glicosidico e la fuoriuscita di una molecola d’acqua per ogni legame glicosidico formato. È una reazione reversibile e la sua reazione inversa è chiamata reazione di idrolisi. La reazione di idrolisi consiste nella rottura di un legame glicosidico addizionando una molecola d’acqua. Se i legami da rompere fossero due, allora ne sarebbero necessarie due e via dicendo. Ciò è possibile perché gli zuccheri sono molecole polari e possono interagire con l’acqua. Considerando il dimero nell’esempio nella foto a sinistra, l’acqua, rompendo il legame glicosidico esistente tra i due monomeri, dona un gruppo OH ad uno dei due e un atomo d’idrogeno all’altro. A sinistra, la reazione di condensazione tra glucosio e fruttosio da cui si ottiene il saccarosio. Esistono diverse tipologie di legami glicosidici tra monosaccaridi e questi vengono identificati con nomi diversi. Il fatto che gli zuccheri possano formare polimeri tra loro è importante perché, ad esempio, considerando una cellula, come può essere l’epatocita, esposta ad un ambiente ricco di zucchero, non lo utilizza tutto bensì lo internalizza dentro di sé e lo accumula al fine di utilizzarlo in un secondo momento, quando ha bisogno di energia. Per accumulare zucchero, la cellula deve rendere la molecola non reattiva e far si che occupi il meno spazio possibile. In altre parole, deve far interagire tra di loro i monosaccaridi e condensarli sotto forma di glicogeno, il polisaccaride di riserva tipico degli animali. All’interno degli epatociti rappresentati nella foto soprastante, sono ben evidenti dei granuli elettrondensi. Questi granuli sono granuli di glicogeno. Questi granuli vengono scomposti dalla cellula attraverso la reazione di idrolisi quando necessità di maggiore energia. I legami che si possono formare tra i vari monomeri non sono solo lineari ma possono anche formare delle biforcazioni e conferire una struttura ramificata al polisaccaride. In particolare, i monomeri di glucosio possono combinarsi tra loro attraverso diversi legami glicosidici per formare polimeri diversi come la cellulosa, l’amido o il glicogeno. Nella foto, vediamo un polisaccaride costituito sia dai legami α1-4, sia da legami α1-6, tipici sia dell’amido che del glicogeno. Cellulosa e glicogeno (o cellulosa e amido) sono due polimeri con funzioni diverse: il glicogeno e l’amido, costituiti da una struttura ramificata/ spiralizzata, sono due polimeri di riserva energetica (rispettivamente per gli animali e piante), la cellulosa, invece, è caratterizzata da un legame β1-4 e da una struttura più planare rispetto a quelle del glicogeno e all’amido, ha funzione di sostegno ed è il principale componente della parete cellulare delle cellule vegetali. A seconda del legame che si instaura tra i monomeri, il polimero assume caratteristiche diverse e ciò si ripercuote sulla sua funzionalità. A sinistra, il confronto tra le architetture dei polisaccaridi glicogeno, amido e cellulosa Acidi Grassi L’acido grasso è una molecola idrocarburica costituita da una coda apolare, composta da un numero variabile di atomi di Carbonio (C) legati, a loro volta, ad atomi di idrogeno (H), e una testa polare, avente come gruppo funzionale un gruppo carbossilico (COOH). La coda carboniosa dell’acido grasso è apolare per via del fatto che la differenza di elettronegatività è molto bassa tra C e H, pertanto non presenta cariche parziali o nette. Solo la testa, costituita dal COOH, è polare a causa della differenza di elettronegatività tra gli atomi di C e O (ossigeno. Inoltre il gruppo COOH solitamente è dissociato in COO-: il fatto che sia dissociato dipende dal pH dell’ambiente in cui si trova. Spazialmente un generico acido grasso è caratterizzato da una struttura lineare. La testa polare dell’acido grasso è l’unica porzione della molecola che riesce ad interagire con l’acqua, la coda, invece, tende ad interagire con il minor numero possibile di molecole d’acqua. Inoltre le code apolari interagiscono tra loro tramite interazioni apolari. Al fine di comprendere meglio questo concetto, si considera una bolla di sapone sferica e una micella. Sia all’esterno, sia all’interno della bolla è presente aria, tuttavia il perimetro (o il suo spessore) è costituito da due monostrati di acidi grassi e, tra i due monostrati, è presente un sottile strato d’acqua. I due monostrati sono orientati in maniera tale che le teste polari degli acidi grassi siano rivolte verso lo strato d’acqua mentre le code siano verso l’esterno. La micella: quando utilizziamo il sapone per pulire gli indumenti da macchie di grasso, quello che succede è che le macchie vengono scomposte dal sapone. Il sapone è un sale di sodio (o di potassio) di un acido grasso, quindi presenta la stessa struttura di un acido grasso a differenza della testa polare: è costituito da code apolari (uguali a quelle dei grassi) e da una testa polare COONa. Quando il sapone entra in contatto con le macchie di grasso, si scompone in maniera da formare una micella che ingloba il grasso da solubilizzare. Le micelle sono strutture sferiche dove la superficie esterna è caratterizzata dalle teste polari della molecola di sapone che, essendo polari, possono interagire con l’acqua in maniera tale che le micelle possano essere “trasportate via”, mentre all’interno troviamo le code apolari del sapone che interagiscono con il grasso e, allo stesso tempo, sono isolate dall’ambiente polare. La disposizione dei saponi in questa maniera rende la micella stabile. Fosfolipidi sono molecole derivanti dagli acidi grassi e principali costituenti di tutte le membrane cellulari (tra cui la membrana plasmatica e le membrane degli organelli della cellula), oltre che costituire una fonte energetica. I fosfolipidi sono trigliceridi, lipidi costituiti da 3 molecole di acidi grassi condensati ad una molecola di glicerolo, dove una delle code apolari (in particolare quella che legata al C3) viene sostituita da un gruppo fosfato che farà parte della cosiddetta testa polare insieme al glicerolo. (A sinistra è rappresentata la reazione di condensazione tra 3 acidi grassi e una molecola di glicerolo (R indica la coda apolare degli acidi grassi), a destra un fosfolipide) Al fosfato presente sulla testa del fosfolipide, che ha carica negativa, si possono legare varie molecole cariche positivamente e in base a ciò si ottengono fosfolipidi diversi (nella foto sopra, è legata la colina). A sinistra altra rappresentazione dei fosfolipidi. Il fatto che una coda sia leggermente piegata è dovuto all’insaturazione (si intende la presenza di doppi legami tra atomi di carbonio) presente nella coda carboniosa apolare: nel punto in cui è presente il doppio legame, la coda si distorce letteralmente piegandosi verso un lato. La presenza di una o più insaturazioni influenza il modo in cui i fosfolipidi interagiscono fra loro: se i fosfolipidi fossero tutti lineari allora si impaccherebbero meglio tra loro e, quindi, le molecole sarebbero più vicine fra di loro e interagirebbero di più fra loro. La presenza di almeno un doppio legame in una delle code apolari di un fosfolipide, e la conseguente piega assunta da questa, fa si che le molecole dei fosfolipidi siano più distanziate fra loro. Ciò influenza la fluidità della membrana, cioè la capacità dei fosfolipidi di muoversi all’interno della nostra membrana plasmatica. Ciò si traduce nel fatto che, se abbiamo acidi grassi saturi le molecole della membrana plasmatica, essendo molto più vicine fra di loro, interagiscono di più tra di loro e, perciò, a parità di temperatura, si muoverebbero più lentamente rispetto alla stessa membrana costituita da acidi grassi che presentano almeno una insaturazione su un fosfolipide. Questo è dovuto al fatto che questi ultimi fosfolipidi sono più distanziati e quindi c’è bisogno di minore energia affinché questi si possano spostare attorno alla membrana. Inoltre a parità di dimensioni, una membrana costituita da code sature sarà anche più rigida e congelerà prima rispetto alla stessa membrana costituita da almeno un fosfolipide presentante un’insaturazione. Colesterolo Il colesterolo ha una funzione strutturale a livello delle membrane, oltre che essere la molecola base per la sintesi di ormoni steroidei, vitamina D e acidi biliari. È costituito da una porzione apolare, che corrisponde alla maggior parte della molecola, formata dai quattro anelli rigidi e dalla catena laterale flessibile, e da una testa polare, rappresentata semplicemente dal gruppo ossidrilico (OH), che può interagire con l’acqua. Nella foto a sinistra, sottostanti al colesterolo, sono rappresentati due steroidi: il testosterone e l’estrogeno. Il colesterolo può interagire con le membrane, per precisione si può intercalare all’interno della membrana cellulare in quanto ha una coda apolare che può interagire con le code dei fosfolipidi mentre la testa polare (OH) si posizionerà in prossimità delle teste polari dei fosfolipidi. La quantità di colesterolo che si inserisce all’interno della membrana alterano le caratteristiche della membrana stessa, in particolare la fluidità della membrana. Amminoacidi Gli amminoacidi costituiscono i mattoncini base per la sintesi delle proteine. Per la sintesi delle proteine si considereremo solo i 20 amminoacidi standard, anche se il numero di amminoacidi esistenti in natura è molto maggiore. Tutti gli amminoacidi sono costituiti da due gruppi funzionali: il gruppo carbossilico (COOH) e amminico (NH2). Lo scheletro di tutti gli amminoacidi è lo stesso, cioè tutti gli amminoacidi presentano un atomo di carbonio, definito carbonio alfa, a cui sono legati i due gruppi funzionali, un atomo di idrogeno e una catena laterale R. Ciò che differenzia gli amminoacidi fra di loro è proprio la catena laterale. Normalmente a pH 7, in soluzione acquosa, gli amminoacidi si trovano nella forma ionizzata, cioè i due gruppi funzionali si trovano nella forma ionica H3N+ e COO-. Nella foto a sinistra è osservabile in basso l’organizzazione spaziale degli amminoacidi, in basso a destra si tiene conto non solo delle dimensioni delle molecole ma anche il volume elettronico. Gli amminoacidi sono organizzati in base alle proprietà conferitegli dalla catena laterale. Generalmente si dividono in due grandi categorie che sono gli amminoacidi che presentano la catena laterale polare e quelli che presentano la catena laterale apolare. Gli amminoacidi che presentano la catena laterale apolare non possiedono né una carica netta, né una carica parziale. Gli AA che presentano la catena laterale polare hanno dei gruppi polarizzati oppure che presentano carica netta negativa e definiti acidi (di cui fanno parte solo due amminoacidi che sono l’acido aspartico e l’acido glutammico) o positiva e definiti basici (di cui fanno parte Arginina, Lisina e Istidina). Proteine Le proteine sono dei polimeri costituiti da AA. Gli amminoacidi si combinano fra loro tramite il legame peptidico che interessa il gruppo amminico di un amminoacido con il gruppo carbossilico del successivo. Ogni proteina ha una certa lunghezza, composizione e struttura determinata dalla combinazione dei 20 amminoacidi standard e dalle interazioni chimiche che presentano i vari amminoacidi che la compongono. Come per i carboidrati valeva il concetto che cambiando l’orientamento dei gruppi OH si ottenevano composti diversi, lo stesso è applicabile alle proteine, ovvero è si importante la composizione amminoacidica della proteina ma è altresì importante l’organizzazione tridimensionale della stessa nello spazio. Esiste un numero finito di proteine anche se è molto elevato. Questo perché le proteine sono frutto della combinazione dei 20 amminoacidi standard e in quanto il numero di amminoacidi presenti nella combinazione può variare. Nella tabella soprastante sono osservabili esempi di proteine e di come varia il loro peso molecolare, il loro numero di residui amminoacidici e il loro numero di catene polipeptidiche: abbiamo un parallelismo tra il numero di amminoacidi e il peso molecolare della proteina, oltre che una lunghezza diversa (non specificato nella tabella). Tuttavia, in modo molto approssimativo, sebbene ogni amminoacido abbia una catena laterale diversa e, di conseguenza, un peso molecolare diverso, è stimabile per ognuno di loro un peso molecolare di 110 KDa (chilo Dalton), pertanto è possibile stimare il peso di una proteina sapendo solamente quanti residui amminoacidici la compongono. Le proteine sono costituite da un minimo di una catena polimerica ma possono esserne costituite anche da due o più: la glutammina sintetasi, tipica di Escherichia coli, è caratterizzata da 12 diverse catene polimeriche. Un altro esempio è l’emoglobina, costituita da 4 catene polimeriche. La formazione del legame peptidico (a sinistra) causa la fuoriuscita di una molecola di acqua, si tratta di una reazione di condensazione. Ovviamente, così come valeva per i carboidrati, esiste la reazione inversa di idrolisi: l’acqua spezza il legame peptidico cedendo un gruppo OH al carbonio legato all’O di un amminoacido e un H al gruppo azotato dell’altro amminoacido. L’organizzazione spaziale di ogni amminoacido è disposta nelle 3 dimensioni (vedi foto a sinistra in basso), non è ovviamente piatta come la formula in alto nella foto. Convenzionalmente l’orientamento spaziale degli amminoacidi che consideriamo è quella che segue la sintesi proteica e che prevede, dunque, il gruppo amminico a sinistra del carbonio alfa, il gruppo carbossilo a destra (detto anche C terminale), superiormente abbiamo l’atomo di idrogeno e inferiormente la catena laterale. Esempio (vedi foto a sinistra): avendo gli amminoacidi metionina, acido aspartico, leucina e tirosina, si combinano sequenzialmente uno con l’altro ottenendo un polipeptide che presenta, appunto, sempre il gruppo amminico a sinistra e il gruppo carbossilico (o C terminale) a destra. Possiamo dire che la sequenza di amminoacidi va da N al C terminale (N-Cterm). Modificando l’ordine di sequenza di questi 4 amminoacidi, si ottiene un polipeptide diverso da quello precedente. Si intende per struttura primaria di una proteina la semplice successione lineare N-Cterm degli amminoacidi. I pallini verdi e blu del tubicino a sinistra indicano le catene laterali degli amminoacidi, in particolare il colore verde indica gli amminoacidi apolari, il blu gli amminoacidi polari. I gruppi laterali degli amminoacidi possono interagire con altri gruppi peptidici o con altri gruppi laterali della stessa proteina (vedi foto a sinistra). Gli amminoacidi possono formare tra loro legami ionici se interagiscono amminoacidi carichi positivamente e amminoacidi carichi negativamente, legami idrogeno se interagiscono due gruppi polari, così come quando interagiscono un gruppo carbonilico e un gruppo amminico di due amminoacidi diversi. Così come accadeva nelle micelle, nelle proteine i residui polari si trovano più verso l’esterno in maniera da interagire con gli ambienti polari, mentre i gruppi apolari hanno una propensione ad interagire tra di loro e ad escludersi, come fanno tutte le molecole apolari (grassi inclusi), dall’interagire con l’acqua (o qualsiasi altra sostanza polare): tendendo a formare una nicchia apolare portandosi all’interno della proteina e questo riarrangia tridimensionalmente la struttura proteica oltre che specificare la sua funzione: considerando una proteina costituita all’esterno da gruppi apolari, si suppone che questa sia una proteina di membrana in quanto le molecole apolari interagiscono con altre molecole apolari. Un'altra interazione tipica delle proteine è il ponte disolfuro (S-S). Il ponte disolfuro si forma tra due residui di cisteina (amminoacido che presenta un gruppo SH sulla sua catena laterale) vicini tra loro. Attraverso una reazione di ossido-riduzione, i due gruppi SH si ossidano, perdono rispettavemente un’H e i due atomi di S si legano formando un ponte. La formazione di un ponte disolfuro conferisce stabilità e una corretta distribuzione tridimensionale alla proteina. La struttura tridimensionalità che assume una proteina è fondamentale per svolgere la sua corretta funzione. Se una proteina non raggiunge la sua corretta forma tridimensionale, queste proteine vengono riconosciute in maniera sbagliata e, se non si riesce a correggere la sua struttura, vengono degradate quando possibile. Tuttavia non sempre una proteina mal ripiegata riesce ad essere eliminata e, quando ciò accade, si assiste ad un accumulo di queste proteine mal ripiegate che possono causare danno o malattie nell’uomo. Una proteina tende ad organizzarsi nello spazio in strutture più complesse rispetto alla struttura primaria, conosciute come strutture secondarie, terziare e quaternarie. A loro volta, le strutture secondarie sono suddivise in beta foglietto e alfa elica. In generale non è detto che le proteine in struttura secondaria siano esclusivamente in alfa elica o esclusivamente in beta foglietto, ma solitamente presentano più subunità organizzate parzialmente in alfa eliche e parzialmente in beta foglietti, presentando quindi sostanzialmente una combinazione di queste disposizioni e andando a formare quella che è chiamata struttura terziaria (generalmente le proteine presentano tutte una struttura terziaria). Infatti, la struttura terziaria delle proteine è data dal ripiegamento delle strutture secondarie su loro stesse. Più strutture terziarie unite tra loro formano una struttura quaternaria (esempio, l’emoglobina). Le catene laterali degli amminoacidi apolari e polari costituenti una proteina contribuiscono a determinare la formazione delle strutture di ordine superiore in quanto, ad esempio, come già citato sopra, allo stesso modo di una micella i gruppi apolari tenderanno ad interagire tra di loro, rifugiandosi all’interno della proteina, e ad escludere l’interazione con le sostanze polari, acqua inclusa, mentre i gruppi polari tenderanno ad essere esposti all’esterno in maniera da interagire con le sostanze polari quando questo è possibile. Nelle foto sopra sono rappresentate una alfa elica e un beta foglietto. Ciò che determina il fatto che una proteina sia in alfa elica piuttosto che in beta foglietto sono gli amminoacidi stessi che possono interagire tra di loro attraverso legami ad idrogeno (che si formano tra l’ossigeno di un gruppo carbossilico di un amminoacido e l’idrogeno di un gruppo amminico di un altro amminoacido) in maniera che questa spirale possano essere mantenute nella conformazione corretta. Per quanto riguarda nello specifico i beta foglietto, i foglietti possono essere paralleli o antiparalleli tra di loro e i legami ad idrogeni si stabiliscono solo tra residui amminoacidici appartenenti a foglietti diversi, garantendo la stabilità della proteina. Come già accennato, le proteine tendono ad organizzarsi maggiormente in una combinazione di alfa eliche e beta foglietti che interagiscono tra loro in maniera variegata. A sinist ra, rapp res ent at a s chem at i c am en t e l’organizzazione di una proteina presentante segmenti sia in alfa elica (in basso rappresentati con i rettangoli) che in beta foglietto (in basso rappresentati con le frecce), mentre le regioni di congiunzione (i trattini neri) sono porzioni amminoacidiche della proteina che rimangono in struttura primaria. Le regioni di congiunzione, oltre a legare i vari domini in alfa eliche e beta foglietto, in alcune proteine hanno funzioni e caratteristiche fondamentali. Ad esempio in alcuni fattori di trascrizione, che sono proteine che intervengono nella regolazione del processo di trascrizione del DNA, dove queste regioni di congiunzione interagiscono con gli acidi nucleici attraverso le cosiddette dita di zinco: in presenza di dita di zinco, le regioni di congiunzione risultano più risollevate e sono caratterizzate da 4 residui di cisteina in posizioni precise (se così non fosse non avremmo le dita di zinco) in modo da interagire ottimamente con un atomo di zinco. Questa interazione da luogo ad un dominio che causa una modificazione della struttura della regione di congiunzione facendole assumere una struttura digitiforme, utile per l’interazione con il DNA. Struttura quaternaria: a fianco rappresentati alcuni esempi di proteine in struttura quaternaria. Si notano l’emoglobina, costituita da 4 strutture terziarie che interagiscono fra loro, il canale di membrana dello ione potassio (K+) dove i monomeri sono tutti costituiti da strutture secondarie ad alfa elica. Visto dall’alto riusciamo ad apprezzare il canale acquoso per il passaggio dello ione potassio dall’esterno verso l’interno della cellula o viceversa. Un altro esempio è la proteasi del virus HIV. L’immagine a sinistra mostra quanto possono essere diverse le strutture tridimensionali delle proteine. Come per lo zucchero la disposizione degli OH definiva uno zucchero da un altro, lo stesso vale, anche se in maniera diversa e molto di più, per le proteine: la struttura primaria della proteina è molto importante ma da sola non ha senso se non è accompagnata da una corretta struttura tridimensionale. Ribadiamo come per gli zuccheri l’avere un OH sopra o sotto il piano identifichi uno zucchero o un altro e come gli enzimi siano in grado di riconoscerli diversi (si pensi agli enzimi che distinguono il glucosio dal mannosio). Lo stesso concetto vale anche per le proteine anche se in maniera molto più estesa. Il corretto ripiegamento tridimensionale di una proteina determina se la proteina sia funzionale o meno. Le proteine mal ripiegate, inoltre, possono essere dannose per la stessa cellula o per l’intero organismo. Un esempio è dato la proteina prionica (PrPc è la sigla utilizzata per indicare la versione fisiologica) che, quando è mal ripiegata, passa da una struttura prevalentemente organizzata in alfa eliche ad una prevalentemente organizzata in beta foglietti (indicata con la sigla PrPsc). La PrPsc è causa delle malattie prioniche (la più famosa è la malattia di Jakob Creutzfeldt (CJD), in particolare la vCJD, nota come “morbo della mucca pazza”). La composizione amminoacidica della PrPc e della PrPsc è la stessa, quello che varia è la struttura secondaria che la proteina assume a seguito di un cambiamento nell’interazione tra gli amminoacidi che la costituiscono. La PrPc è sensibile all’azione proteasica degli enzimi proteasi ed è solitamente associata alla membrana citoplasmatica dei neuroni, anche se la sua funzione fisiologica ancora non è nota del tutto, si sa che probabilmente ha una qualche funzione nella comunicazione sinaptica. La PrPsc è resistente all’azione proteasica degli enzimi (in quanto, a seguito del cambiamento strutturale, non viene più ad essere riconosciuta da questi) accumulandosi e causando danno all’organismo e la sua morte inevitabile. Il fatto che la PrPc e la PrPsc abbiano la stessa composizione amminoacidica ma diversa organizzazione spaziale ci fa intendere che, pur conoscendo la struttura primaria di una proteina, non possiamo dedurre l’organizzazione spaziale che assume in struttura secondaria e terziaria. Ritornando alla PrPsc, il suo accumulo nell’encefalo causa la morte apoptotica dei neuroni. Tuttavia, la sua pericolosità non è solo dovuta al suo accumulo ma anche al fatto che riesca a convertire (tramite un processo non ancora noto) le PrPc in PrPsc e facendo si che le malattie prioniche tendano a peggiorare rapidamente fino alla morte dell’individuo. Un altro esempio di come le proteine possano causare malattia è la malattia di Alzheimer, causata dalla proteina amiloide, proteina caratterizzata dalla presenza di 42-43 amminoacidi e derivata dal taglio proteolitico del suo precursore proteico (APP, amyloid precursor protein). Mentre l’APP presenta una conformazione filamentosa, la proteina amiloide presenta un’errata conformazione spaziale formando le cosiddette placche amiloidi della malattia di Alzheimer. Le placche sono dovute ad una precipitazione delle proteine amiloidi che, aggregandosi, formano residui simili a grovigli, riscontrabili poi analizzando una sezione di tessuto. Una tecnica sperimentale che ci permette più o meno di prevedere la struttura secondaria/terziaria di una proteina è la cristallografia. Questa tecnica si basa su un’analisi di paragone tra proteine presentanti struttura e funzione simili oltre che utilizzare una serie di algoritmi che, data la sequenza primaria, indicano quanto probabilmente la struttura sarà organizzata sotto forma di alfa elica o sotto forma di beta foglietto e se quella proteina è più apolare o polare. Nucleotidi I nucleotidi sono i monomeri costituenti gli acidi nucleici. I nucleotidi non servono solo ed esclusivamente a formare gli acidi nucleici, così come gli amminoacidi non servono solo a sintetizzare solo AA, tutti questi monomeri possono avere diverse funzioni all’interno della cellula. A sinistra è rappresentata la tipica struttura di un nuclotide trifosfato. I nucleotidi possono avere dal singolo gruppo fosfato ad un massimo di 3. Un nucleotide è costituito da uno zucchero, che è il ribosio nel RNA o il deossiribosio (manca un atomo di ossigeno sul carbonio 2) nel DNA, a cui sono legati i gruppi fosfato sul carbonio 5, mentre il carbonio 1 è impegnato nel legame N-β glicosidico con la base azotata. Un nucleoside è un nucleotide senza gruppi fosfato. Le basi azotate si dividono in due categorie: pirimidine e purine. Le purine sono l’adenina (A) e la guanina (G), mentre pirimidine sono citosina (C), timina (T) e uracile (U). T è presente solo nel DNA, U solo nell’RNA. I nucleotidi sono anche molecole utilizzabili nel trasferimento di energia: infatti, l’importanza dei gruppi fosfati è che sono molecole presentanti legami ad alta energia (sono legami fosfo-anidridici). Pertanto, più gruppi fosfati ci sono (e, quindi, quanti più legami fosfo- anidridici ci sono), più energia viene trasportata dal nucleotide. Di conseguenza, in termini energetici, si considerano specialmente i nucleotidi che presentano 3 gruppi fosfati, detti anche nucleotidi trifosfato, di cui fa parte anche l’ATP (adenosina trifosfato, vedi immagine sopra), la principale molecola “energetica”. A riprova di quanto abbiamo detto, sappiamo che l’ATP ha un contenuto energetico maggiore rispetto all’ADP (adenosina difosfato) che, a sua volta, ha un contenuto maggiore dell’AMP (adenosina monofosfato). Essendo la principale molecola energetica, l’organismo spende tanta energia per sintetizzare ATP, attraverso, ad esempio, il processo della respirazione cellulare e poi perché, oltre ad essere una molecola ad alto contenuto energetico, è utilizzata anche dalla cellula per fare altre attività: infatti i nucleotidi - Sono implicati nei cicli energetici dove vengono utilizzati come molecole di scambio energetico cedendo o acquistando gruppi fosfati - funzionano come cofattori enzimatici - sono donatori di gruppi fosfato: infatti i gruppi fosfato non rappresentano solo una fonte di energia, ma vengono anche trasferiti dagli enzimi su delle molecole target per modificarne la loro struttura (pensiamo ad alcuni canali di membrana, come la pompa sodio-potassio, che cambiano conformazione se sono legati all’ATP) e la loro attività (per esempio per attivare o inibire un substrato), - sono molecole costituenti il DNA - si possono combinare con altri elementi chimici per formare coenzimi (esempio il Coenzima A) - possono funzionare come secondi messaggeri (brevemente funzionano come molecole segnale per trasferire informazioni all’interno della cellula), un esempio è l’AMP ciclico (cAMP). - vengono utilizzati come forza di trasporto (rivediamo l’esempio del canale di membrana che necessita un gruppo fosfato al fine di cambiare conformazione), - vengono utilizzati come forza meccanica, in particolare il gruppo fosfato fa da motore per alcune proteine trasportatrici che possiamo ritrovare sul citoscheletro (la chinesina è un esempio, il gruppo fosfato causa anche qui un cambiamento nella conformazione della proteina) - vengono utilizzati come forza chimica, in particolare facilitando le reazioni chimiche: prendendo come esempio l’ATP, può energizzare (cioè rende più reattiva) una molecola trasferendogli un gruppo fosfato, ciò fa si che la molecola sia più propensa a reagire per tornare ad uno stato energetico più basso. Quando un nucleotide trifosfato (NTP) cede un gruppo fosfato ad un substrato qualsiasi, passa nella forma meno energetica NDP. Combinando un NDP con un Pi, si riottiene NTP. Ciononostante, anche l’NDP può essere utilizzato come fonte di energia, anche se è meno energetico di NTP. L’NDP, cedendo un ulteriore gruppo fosfato, diventa NMP. Donando due gruppi fosfato al NMP, si ottiene nuovamente NTP. La cellula persegue due obiettivi fondamentali che sono la crescita e il differenziamento cellulare. Con omeostasi cellulare si intende che, in un contesto “cellulare sociale”, come può essere un tessuto o un organo in cui le cellule interagiscono tra di loro, sia che siano uguali sia che siano di diverse tipologie, i meccanismi responsabili della crescita, del differenziamento e della morte (morte apoptotica) cellulare devono essere tra loro integrati e finemente regolati. Alcune volte questi processi portano allo stesso risultato. Ad esempio, il differenziamento cellulare, alle volte, è una sorta di morte cellulare: considerando l’epitelio della nostra cute è ben visibile una linea più scura che divide derma ed epidermide. Quella linea scura è lo strato germinativo (o basale) dell’epidermide dove vengono prodotte le cellule che andranno a sostituite le cellule morte che si trovano nello strato più alto ( lo strato corneo). Le cellule dell’epidermide, man mano che passano dallo strato germinativo a quello corneo, si differenziano, differenziamento che però termina con la morte delle cellule. Si può parlare in questo caso di “differenziamento terminale”. Le cellule morte della cute non presentano più il nucleo al loro interno e sono piene di proteine filamentose che hanno lo scopo di conferire resistenza e isolare la cute. La cute viene isolata perché si vuole evitare un’eccessiva evaporazione dell’acqua (vi sono anche strutture ad alto contenuto di grassi), per conferire una protezione dai parassiti evitando che questi entrino all’interno del nostro corpo. La cute resiste alla trazione grazie alla presenza di proteine filamentose come il collagene. Tutte le cellule prive di nucleo sono considerabili morte e, pertanto, l’unico modo in cui le cellule più superficiali della pelle vengono eliminate è tramite esfoliazione. Gli stessi eritrociti (non hanno il nucleo al loro interno), deputate al trasporto di O2, sono cellule terminalmente differenziate e reputate anch’esse cellule morte. Sono più paragonabili a dei sacchetti che contengono emoglobina e che, di conseguenza, trasportano, attraverso il sangue, l’ossigeno dai polmoni ai tessuti e la CO2 dai tessuti ai polmoni. Nel caso in cui non ci sia l’omeostasi cellulare, l’organismo va incontro a malattie legate o all’iperproliferazione o all’eccessiva morte, esempi rispettivi sono i tumori e l’immunodeficienza. La mancata omeostasi cellulare si ripercuote su tessuti e organi. Possiamo affermare che i programmi di crescita e differenziamento cellulare sono geneticamente determinati e ricordiamo che i nucleotidi sono fondamentali proprio perché all’interno degli acidi nucleici è racchiusa tutta l’informazione di cui la cellula ha bisogno per svolgere correttamente la sua funzione. Acidi Nucleici Sono polimeri dei nucleotidi, sono molecole depositarie dell’informazione genetica. I principali acidi nucleici sono il DNA, un polimero di deossiribonucleotidi, e l’RNA, un polimero di ribonucleotidi. La prima differenza tra i due acidi nucleici è lo zucchero (il deossiribosio per il DNA, il ribosio per l’RNA). Il C1 (carbonio 1) dello zucchero è impegnato con un legame N-β glicosidico con una base azotata (i nucleotidi si differenziano fra loro per le basi azotate e quindi paragonabili in tal senso alle catene laterali degli amminoacidi). I singoli nucleotidi si assemblano fra di loro per formare l’acido nucleico attraverso i legami fosfodiesteri tra il C5 di uno zucchero e il C3 dello zucchero successivo. In particolare è il gruppo OH del C3 ad essere impegnato in un legame con il gruppo fosfato legato al C5 del nucleotide successivo. Anche qui, come nelle proteine, c’è una convenzione di scrittura che rispecchia la sintesi del DNA: la sequenza di nucleotidi si scrive partendo dal C5, o meglio da ciò che chiamiamo 5’, verso il C3, o meglio il 3’. Il 5’ indica il gruppo fosfato libero mentre il 3’ è l’OH libero. In maniera sintetica una sequenza di nucleotidi si scrive come si vede nella foto a sinistra, nella parte tutta a destra. Se aggiungo, ipoteticamente, un’altra base alla sequenza CAG la base verrà aggiunta al 3’ libero attraverso un legame fosfodiestere. L’energia, affinché si formi il legame, si ottiene dalla liberazione dei gruppi fosfato del nucleotide e quindi dalla rottura dei legami fosfo- anidridici. Per il DNA c’è un’altra convenzione: il DNA è costituito da due filamenti antiparalleli, quindi per rappresentare una sequenza di DNA bisogna scrivere solo il filamento contenente la sequenza codificante, cioè quella che verrà poi trascritta in una sequenza complementare di mRNA, presentante la stessa direzionalità, e che verrà tradotta dal ribosoma per la sintesi del polipeptide. Si scrive solo un filamento perché intanto le coppie sono complementari, quindi, sebbene le interazioni tra le basi possano essere diverse, quella consentita e che conferisce la corretta struttura alla doppia elica è solo una per ogni base azotata: A si unisce a T attraverso due legami ad idrogeno, mentre C si lega a G con 3 legami ad idrogeno. Come anticipato, le basi azotate possono anche accoppiarsi a basi azotate errate conferendo una struttura tridimensionale distorta e non compatibile con la vita alla doppia elica. BIOLOGIA SECONDA LEZIONE STRUTTURA DEGLI ACIDI NUCLEICI: GENERALITÀ Gli acidi nucleici non sono altro che polimeri di nucleotidi. Questi ultimi sono legati tra di loro attraverso legami covalenti detti fosfodiesterici tra il C5’ e il C3’ degli zuccheri che li compongono. Ciò significa che i gruppi impegnati nel legame sono il gruppo fosfato del C5 del desossiribosio, e il 3’ OH presente sul C3 del deossiribosio successivo. Affinché un nucleotide possa essere utilizzato nella sintesi di un polimero di RNA o DNA, deve avere un 5’ fosfato ed un 3’ OH libero, così detto poiché è un sito accettore del legame con il fosfato. Allo stesso tempo, per poter permettere la sintesi ad opera di enzimi cellulari, sia che si tratti di DNA polimerasi, sia che si tratti di RNA polimerasi, il nucleotide deve avere il 3’ OH disponibile. Se non lo è, la sintesi si arresta e questa peculiarità viene sfruttata nei processi di sequenziamento. Il sequenziamento Sanger avviene per interruzione di catena: non si fa altro che una sintesi in vitro di molecole di DNA utilizzando lo strand da sequenziare e, per andare ad individuare la presenza di ciascun nucleotide lungo la sequenza che vogliamo identificare, si utilizza una miscela di nucleotidi normali con in aggiunta un nucleotide con il 3’ OH mancante. Tale nucleotide, dunque, interromperà la sintesi in quel punto. Utilizzando dei marcatori radioattivi fluorescenti si riesce a capire quale nucleotide si trova ed in quale posizione, e man mano si legge la sequenza. Per convenzione, il DNA viene dunque rappresentato dall’estremità 5’ a quella 3’. Il 5’ è rappresentato a sinistra, il 3’ a destra. Questo rispecchia la sintesi del DNA o la sua trascrizione che, attraverso la traduzione, rispecchia la sintesi della proteina – se la sequenza è codificante. Il nostro genoma, difatti, non è interamente codificante. I nucleotidi vengono detti trifosfati poiché sono molecole ad alta energia, imbrigliata nei gruppi fosfato – specificatamente nei legami tra fosforo ed ossigeno, i cosiddetti legami fosfoanidridici. Tale energia può essere utilizzata al fine di catalizzare le reazioni chimiche di cui necessita la cellula, e che non avverrebbero spontaneamente in condizioni sperimentali. In presenza di un singolo gruppo fosfato si ha un deossiribonucleotide monofosfato che, insieme ad un altro nucleotide, formerà un legame fosfodiestere legando l’estremità 5’ a quella 3’ del successivo. A differenziare DNA da RNA è anzitutto lo zucchero pentoso, che nel DNA è deossiribosio in C2 e nell’RNA ribosio. In secondo luogo, il tipo di basi azotate in quanto nell’RNA è presente uracile piuttosto che timina. Osservandone la struttura, timina ed uracile sono identiche a meno di un gruppo metile. La timina è un uracile con un gruppo metile in più. La motivazione dell’esistenza di tale differenza non è del tutto chiara; tuttavia, si è ipotizzato che il gruppo metile presente sulla timina impedirebbe al DNA di uscire dal nucleo, come invece accade all’RNA messaggero, che deve necessariamente uscire dal nucleo per espletare le proprie funzioni. Quest’ultimo infatti permette la prosecuzione della traduzione nel citoplasma. STORIA DELLA SCOPERTA DEL DNA La scoperta del DNA e della struttura nonché della sua sequenza sono relativamente recenti. La scoperta del DNA quale principio trasformante, cioè contenente le informazioni necessarie per la vita di alcuni ceppi batterici, in questo caso, si devono in particolare agli esperimenti di Griffith, in seguito combinati con quelli di Avery, McLeod e McCarthy. Griffith aveva a disposizione di due ceppi batterici di streptococco causante la polmonite. Un ceppo al microscopio ottico aveva aspetto ruvido, l’altro liscio. Iniettando i batteri con l’involucro liscio nei topi, questi davano luogo a polmonite e morte dell’animale. Se questi batteri venivano uccisi ed inattivati con il calore ed iniettati nel topo, non causavano alcuna malattia e morte. Se si fossero iniettati i batteri ruvidi e vivi, questi non avrebbero avuto alcun effetto. Mescolando insieme dei batteri patogeni uccisi con il calore ed un ceppo ruvido vitale, alcuni animali sviluppavano la polmonite, morivano ed era possibile osservare nell’animale morto il ceppo liscio vitale, sebbene fosse stato ucciso. Da ciò dedusse che vi era un qualche principio trasformante in grado di rendere patogeni i batteri non patogeni. Gli esperimenti successivi di Avery, McLeod e McCarthy hanno permesso in seguito di identificare gli acidi nucleici come le molecole trasformanti. Questi ultimi applicarono dei protocolli che permettevano loro di isolare da un ceppo batterico la componente proteica, lipidica e degli acidi nucleici. Mettendo a contatto la componente proteica, lipidica o di acidi nucleici non patogeni, si osservava che soltanto nel momento in cui i batteri incubavano con il preparato di acidi nucleici mutavano divenendo virulenti. Gli acidi nucleici possedevano dunque qualche informazione necessaria e sufficiente per trasformare i batteri non patogeni e patogeni, dunque in grado di alterarne il fenotipo. A questo punto tuttavia non si conosceva ancora la struttura precisa del DNA. Chargaff successivamente analizzò la percentuale di singoli nucleotidi nel genoma di diversi organismi. Guardando la semplice percentuale di presenza dei singoli nucleotidi, non si riuscivano a trarre conclusioni utili. Queste ultime, tuttavia, si palesarono quando Chargaff iniziò a fare delle combinazioni tra i nucleotidi. Egli difatti osservò che il rapporto A+ G/ T+C restituiva sempre un numero molto vicino ad 1. Se invece effettuava combinazioni diverse, il rapporto variava. Vi era dunque un motivo apparente poiché questa frazione fosse uguale ad uno, e lo era in pressoché tutti i genomi degli organismi presi in esame (funghi, batteri, essere umano). Vennero dunque formulate le regole di Chargaff: La composizione in basi del DNA varia da una specie all’altra; Le molecole di DNA isolate da tessuti diversi nella stessa specie hanno la medesima composizione; La composizione in basi del DNA di una data specie non si modifica con l’età dell’organismo, con lo stato nutrizionale o in seguito di variazioni ambientali; Gli studi di Chargaff ci hanno dato queste informazioni ma non era ancora stata dedotta la struttura del DNA in virtù della quale si potevano spiegare questi rapporti, ovverosia gli appaiamenti fissi tra basi azotate. Una rivoluzione in questo senso si è avuta dai primi studi della Franklin quando lavorava nel laboratorio di Boris Wilkins, dove è stata prodotta la prima immagine radiografica, interpretata poi da Watson e Crick. Si tratta di una diffrazione ai raggi X di un cristallo di DNA. In breve, abbiamo una sorgente di raggi X che raggiungono il campione, il DNA cristallizato. Tra questi due elementi vi è un filtro fatto di piombo, che scherma i raggi X in cui vi è un foro. Il foro serve a far arrivare sul campione soltanto i raggi perpendicolari al campione stesso, al fine di non avere problemi nell’interpretazione del risultato. I raggi vengono poi diffratti e visualizzati raccolti a valle da una lastra fotografica. Oggi utilizzano altri sensori come quelli delle videocamere. I raggi vengono deviati in virtù della posizione degli atomi nello spazio. Le zone maggiormente scure sono quelle a maggiore densità di atomi. Le regioni elettrondense non vengono attraversate dagli elettroni, mentre le regioni chiare vengono facilmente attraversate. Da questo si è potuto dedurre che il DNA è una elica di forma regolare, suggerita dalla posizione altrettando regolare degli spot osservabili nella parte centrale dell’immagine. Lo scheletro fosfato ribosio si trova sull’esterno, ed è rappresentato dalla regione più scura. Un altro passo in avanti è stato fatto nel 1953 da Watson e Crick che costruirono un modello tridimensionale basandosi sull’immagine che era stata ottenuta dalla Franklin. Essi conclusero che: Il DNA è costituito da due eliche (strand) avvolte intorno allo stesso asse per formare un’unica elica destrorsa; Lo scheletro idrofilico, composto da un’alternanza di deossiribosio e gruppi fosforici, è all’esterno della doppia elica (le linee scure elettrondense apprezzabili nella diffrazione); Le basi azotate sono impilate all’interno della doppia elica con le loro strutture planari ad anello poste in posizione perpendicolare all’asse longitudinale della molecola; La relazione spaziale che si crea tra le catene genera una scanalatura maggiore ed una scanalatura minore. Se partiamo da questa immagine centrale (b), vedete come le eliche sono avvolte l’una sull’altra ma all’esterno si trova la struttura fatta di zucchero, fosfato e del polimero di nucleotidi. Le basi azotate si trovano rivolte verso l’interno ma in direzione perpendicolare all’asse centrale. È possibile in sintesi dedurre che: Ogni base di una catena è appaiata sullo stesso piano con una base dell’altra catena; L’adenina è sempre legata alla timina mediante due legami ad idrogeno; La guanina è sempre legata alla citosina mediante tre legami ad idrogeno; Le due catene dell’elica sono antiparallele e complementari Crick e Wilkins hanno ricevuto il Nobel per le loro scoperte nonostante il contributo della Franklin, che è stato riconosciuto solo successivamente. Oggi sappiamo, grazie a queste scoperte, che il passo dell’elica equivale a 3.4 nanometri, che la distanza tra due coppie di nucleotidi successivi è di 0.34nm e lo spessore di uno strand di DNA nella sua conformazione classica è precisa, sono 2nmm, non più e non meno. Questo viene sfruttato nei processi di replicazioni e permette alla cellula di rilevare errori nella sequenza di DNA. In particolar modo proprio per come la struttura si dispone nello spazio, da luogo ad un solco maggiore e ad un solco minore. I solchi sono i siti di interazione tra il DNA e le proteine ad esempio, i fattori di trascrizione ma non soltanto. Molto spesso tale interazione avviene attraverso quelli che abbiamo chiamato zync fingers. Le proteine che presentano questi motivi sono caratterizzate da una alfa elica che si inserisce nel solco maggiore del DNA interagendo con le basi. Sulla faccia dell'elica si trovano residui di istidina che vanno ad interagire con l'atomo di zinco. L'interazione con l'atomo di zinco permette di mantenere saldamente posizionata l'elica all'interno del solco maggiore poiché lo zinco stesso interagisce con residui di cisteina posizionati sulla faccia di due foglietti beta antiparalleli. I solchi sono quindi un dominio dei fattori trascrizionali. La struttura così regolare in termine di spessore del DNA è assicurata dal fatto che le interazioni avvengano sempre con due legami idrogeno tra adenina e timina e di tre legami idrogeno tra citosina e guanina. Si possono formare altre interazioni indubbiamente ma ciò porta a distorsioni locali della struttura prontamente riconosciute dalla cellula la quale interpreta questa difformità locale come un appaiamento sbagliato: la cellula non è un sequenziatore in grado di individuare la corretta sequenza di basi, ma è questa anomalia di configurazione localizzata in un determinato punto che permette di attivare i sistemi di correzione. Nell’immagine successiva nella quale la molecola è osservata dall’alto, lungo l’asse longitudinale, si apprezza una circonferenza regolare in cui esternamente vi sono scheletri di zucchero fosfato mentre invece tutte le basi azotate sono disposte verso l’interno e perpendicolari all’asse principale della molecola. Questa sovrapposizione verso l’interno non solo assicura le interazioni corrette tra le due catene ma permette anche l’interazione tra le due basi azotate consecutive in modo da stabilizzare tutta la struttura. Il DNA è costituito quindi da: Due polimeri di desossirbonucleotidi avvolti ad elica destrorsa, antiparalleli; Appaiati tra loro in modo complementare; In natura i due polimeri hanno struttura secondaria ad elica destrorsa (B-DNA), forma maggiormente rappresentata in natura. La maggior parte di DNA è dunque organizzato in questa forma B, ad elica destrorsa. La complementarità di base fa sì che le eliche si trovino sempre alla stessa sostanza. I gruppi fosfato, come si apprezza nell’immagine, sono i più esterni alla molecola. Dal momento che il gruppo fosfato è un PO4- la struttura è carica negativamente. Non sono soltanto questi gruppi, ma sono anche esposti esternamente. Le regioni apolari della molecola, costituiti dalle basi azotate, sono poste internamente, interagiscono tra di loro e con le basi consecutive, poste sopra e sotto la catena. Queste interazioni servono, insieme ai legami idrogeno, a stabilizzare la struttura. Oltre alla struttura B, esiste una struttura A del DNA rispetto alla precedente è più schiacciata quindi aumenta la sezione trasversale. La struttura interna cambia sensibilmente. Le basi azotate sono sempre rivolte trasversalmente rispetto all’asse longitudinale ma si crea anche un foro interno che non vi è nella configurazione B Esiste un’ulteriore struttura denominata Z che è stirata, a parità di numero di basi è più lunga ergo la sezione è più stretta ergo è come se le basi si compattassero al centro. Osserviamo difatti la struttura a tripla elica, che è una conformazione locale del DNA. In questo caso alle due eliche fondamentali si inserisce una terza elica. Trasversalmente la sezione è più ampia ed assomiglia alla forma A del DNA. Localmente il DNA può avere anche delle strutture particolari o secondaria come quella a forcina. Può capitare che vi siano due sequenze identiche invertite. Se guardiamo questo strand in direzione 5 3, abbiamo una sequenza di basi GTGCCACA. Se consideriamo l’altro strand in senso opposto, vi ravvisiamo la stessa sequenza. Queste sequenze sono complementari invertite ergo se localmente questa porzione di DNA si risolve nelle due eliche, le regioni complementari si appaiano su sé stesse dando luogo a questa forma. La regione che si appaia non fa parte del filamento complementare ma del singolo filamento. Queste regioni sono chiamate loop, ricche di sequenze ripetute. Tornando alla tripla elica, anche quest’ultima è formata da una porzione locale del medesimo DNA che denatura. Il DNA denatura localmente ed una delle due eliche si inserisca nel solco maggiore creando localmente un’elica costituita da tre strand. L’elica aggiuntiva interagisce con l’altra attraverso legami ad idrogeno irregolari. Gli stessi gruppi che consentono i normali legami vengono utilizzati per interagire in modo irregolare. Ovviamente questa struttura è rischiosa poiché il terzo filamento non è protetto ed a maggior rischio di danno del DNA. Le basi sono più facilmente soggette a rischio. N.B la citosina interagisce preferenzialmente con la guanina. Questo significa che può interagire anche con altre basi, formando dei legami che tuttavia non sono consentiti dalla struttura del DNA. Il fatto che le basi siano impilate l’una sull’altra ed alla stessa distanza l’una dall’altra, permette che si rafforzi la stabilità della struttura. RNA sta per acido ribonucleico. I nucleotidi utilizzati per sintetizzare il filamento dell’RNA hanno come zucchero il ribosio e non il deossiribosio, avendo dunque un gruppo -OH sul C2 dello zucchero pentoso. Si pensa che sia una delle prime molecole formatesi nel brodo primordiale. A differenza del DNA, che ha una composizione fissa, la sua risulta piuttosto varia. Nelle sequenze di RNA abbiamo l’uracile al posto della timina. È men