Riassunto Libro 2 Storia PDF
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Università degli Studi di Roma Tre
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Questo documento riassume il capitolo 6 di un libro di storia, focalizzandosi sulle relazioni industriali negli anni '80. Descrive il contesto economico, tecnologico e politico dell'epoca, evidenziando l'influenza delle politiche neoliberiste e il ruolo del governo.
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**[Nel rispetto dei reciproci ruoli]** **CAPITOLO 6** GLI ANNI OTTANTA: LE RELAZIONI INDUSTRIALI "TRIANGOLARI" E LA PARTECIPAZIONE ALLE DECISIONI AZIENDALI Il contesto nella prima metà degli anni Ottanta può essere studiato sotto diverse accezioni; - Economia; periodo storico caratterizzato da...
**[Nel rispetto dei reciproci ruoli]** **CAPITOLO 6** GLI ANNI OTTANTA: LE RELAZIONI INDUSTRIALI "TRIANGOLARI" E LA PARTECIPAZIONE ALLE DECISIONI AZIENDALI Il contesto nella prima metà degli anni Ottanta può essere studiato sotto diverse accezioni; - Economia; periodo storico caratterizzato da un'inflazione elevata e da maggiore competitività, le imprese cercano maggiore dinamicità - Tecnologia; si afferma il toyotismo con una produzione più snella e una maggiore flessibilità dovuta all'introduzione dell'informatica nelle imprese - Politica nazionale; il Partito comunista è all'opposizione dal 1979 mentre il Governo è affidato dal 1981 al 1991 al Partito socialista (10 per cento); Democrazia cristiana (35 per cento); Social democratici; Partito dei repubblicani e Partito dei liberali. Viene definito Governo "pentapartito". - Politica internazionale; vengono messe in atto politiche neoliberiste; Usa, Reagan (1981-1989) Uk, Thatcher (1979-1990) Negli anni Ottanta prese avvio un lungo e tortuoso percorso che ebbe come filo conduttore la ridefinizione delle regole di funzionamento della contrattazione collettiva e delle relazioni industriali. A livello interconfederale e di Governo lo scopo che si voleva perseguire era quello di rendere compatibili le procedure e i risultati della contrattazione salariale con le esigenze di regolazione della dinamica macro-economica (prezzi, salari, investimenti, occupazione, prelievo fiscale); a livello di settore e a livello aziendale si avviò la ricerca di un assetto più flessibile dell\'organizzazione e della gestione delle produzione, con l\'obiettivo di ridurre i costi e di migliorare la capacità di adattamento dell\'impresa alle richieste di un mercato sempre più esposto alla competizione globale. Si volevano superare, infatti, le rigide regole di controllo che il sindacato aveva imposto negli anni Settanta. Dopo l\'autunno caldo si tentarono dunque nuove strade, sia nei rapporti tra governo e parti sociali, sia a livello aziendale: le "relazioni triangolari" e le iniziative di coinvolgimento dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali allora tentate sembravano indicare un sostanziale mutamento di indirizzo nelle relazioni industriali. Tuttavia, la scena delle relazioni industriali non riuscì a evolvere verso un assetto che concorresse a dare stabilità al sistema economico e produttivo. Negli anni Ottanta si avviò una prassi di incontri e di intese \'triangolari\' tra governo e parti sociali con lo scopo di ridurre l\'inflazione. A tal fine si ritenne necessario ricondurre sotto stretto controllo la dinamica degli incrementi salariali attraverso una riforma del sistema di scala mobile e la definizione di alcune regole di "contenimento" della contrattazione nazionale e aziendale. Il governo non svolse solo un ruolo di regolazione, definendo il campo d\'azione e ponendo limiti all\'influenza delle organizzazioni sindacali, ma intervenne direttamente per favorire l\'occupazione o sostenere le imprese. Cessò insomma di svolgere funzioni di arbitro o di mediatore nei conflitti tra sindacati e imprese e si propose come un attore a pieno titolo. - Il patto antinflazione del 1981 Nel 1981 il governo Spadolini propose alle parti sociali un "patto antinflazione". Si stabilì di dar corso a negoziati "con ruolo attivo del Governo" con l\'obiettivo di realizzare il rientro dall\'inflazione e, per questa via, salvaguardare il potere di acquisto dei salari. Il governo si impegnò a fissare un "tasso contrattato di inflazione" e ad assumere in futuro decisioni coerenti con il raggiungimento di tale obiettivo. - Il protocollo Scotti del 1983 L\'accordo del 22 gennaio 1983, più noto con il nome di "protocollo Scotti" fu il primo accordo formalmente triangolare tra governo e parti sociali; con esso si modificò il valore del punto di contingenza, si ridusse il grado di copertura dei salari dall\'inflazione e si stabili un rallentamento della dinamica delle retribuzioni. Le parti ribadirono l\'adesione al metodo definito nel 1981, che prevedeva di ancorare le loro decisioni al tasso di inflazione programmato al fine di operare il graduale rientro dall\'inflazione. Il protocollo del 22 gennaio 1983 fu il primo documento in cui si stabilirono nuovamente alcune regole per il sistema contrattuale: al fine di contenere l\'inflazione e di difendere il potere d\'acquisto dei salari venne fissato l\'obiettivo del raccordo tra contrattazione collettiva e compatibilità economiche. L\'accordo definì un tetto agli aumenti salariali e alle riduzioni di orario di lavoro; introdusse il principio di non ripetitività della contrattazione aziendale, allo scopo di evitare che la stessa materia, una volta disciplinata a livello nazionale, divenisse poi oggetto di nuove richieste di revisione a livello aziendale; previde l\'introduzione nei contratti di clausole di prevenzione e di gestione dei conflitti in sede aziendale; delineò una prospettiva di rafforzamento dei diritti di in formazione sulle politiche che portarono tra il 1983 e il 1984 allo sblocco dei rinnovi nazionali di categoria. - -Il protocollo di San Valentino Nel 1984 si intervenne nuovamente sulla scala mobile e sui limiti agli aumenti retributivi. Il protocollo d\'intesa del 14 febbraio, oggetto di trattative tra il governo Craxi e le associazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro, stabilì la predeterminazione del numero massimo di scatti di punti di scala mobile per ciascun trimestre, nonché una riduzione del valore e del grado di copertura della retribuzione. Venne ribadito il riferimento al tasso di inflazione programmato come vincolo per le decisioni e i comportamenti degli attori e si definì il meccanismo del confronto a consuntivo tra il tasso di inflazione programmato e quello effettivo. Nel caso in cui il tasso effettivo fosse risultato superiore al tasso programmato sarebbero state adottate a favore delle retribuzioni opportune misure di garanzia fiscali. La trattativa, che si concluse con la stipulazione del protocollo, avvenuta appunto il 14 febbraio, giorno di San Valentino, senza la firma della Cgil, diede luogo a una spaccatura fra Cis e Uil, favorevoli all\'intesa, e Cgil, che era invece contraria. All\'accordo seguì l\'emanazione immediata (il 15 febbraio) di un decreto-legge che stabiliva il numero dei punti di variazione. Le reazioni sul piano politico furono assai vivaci e il Pci si fece promotore di un referendum abrogativo del decreto; le votazioni si svolsero nel mese di giugno del 1985: la maggioranza dei votanti si espresse contro l\'abrogazione, e il decreto rimase in vigore. La rottura di San Valentino segnò la fine di ogni residua ipotesi di organica unità sindacale, anche se, i sindacati presentarono una proposta unitaria sulla base della quale, tra la fine del 1985 e i primi mesi 1986, si realizzò una significativa correzione del sistema di scala mobile. - L'accordo dell'8 maggio 1986 Con l\'accordo interconfederale dell\'8 maggio 1986, il cui oggetto principale era la disciplina dei contratti di formazione-lavoro, venne infatti trovata una soluzione anche al problema dei decimali di contingenza che Confindustria si era rifiutata di pagare nel 1984. La questione fu chiusa dall\'accordo del 1986 che consenti di riaprire la discussione sulla riforma del salario e della contrattazione. La frattura del 1984 del fronte sindacale sul tema della riforma della scala mobile venne, dunque, parzialmente ricomposta dopo poco meno di un anno dall\'esito negativo del referendum. Nel 1984 la contrattazione interconfederale entrò in crisi. Nello stesso periodo si delineò una forte spinta al decentramento contrattuale lungo due direttrici: 1. Il protocollo Iri del 1984 Un buon esempio, ma non il solo e neppure il primo, di applicazione in ambito aziendale dei principi del protocollo Scotti è rappresentato dal protocollo Iri. Esso realizza la strategia di coinvolgere i sindacati nei processi di ristrutturazione delle imprese del gruppo, informandoli preventivamente e raccogliendone le osservazioni in tema di riflessi sul personale e ricadute occupazionali. Si ritiene che il Protocollo Iri stipulato nel 1984 e rinnovato nel 1986 abbia inaugurato la cosiddetta "stagione dei protocolli" alla quale parteciparono grandi gruppi industriali come Eni e Enel, i cui protocolli di relazioni industriali non rimasero sulla carta ma consentirono di gestire con il consenso dei sindacati. I "protocolli" sono documenti a carattere negoziale nei quali le parti si scambiano reciproci riconoscimenti e definiscono obiettivi condivisi, quali il comune interesse allo sviluppo dell\'impresa e alla valorizzazione delle risorse umane. Le norme e le procedure in essi contenute non sono in ultima analisi molto diverse da quelle previste nella "premessa politica" dei contratti collettivi di categoria degli anni Settanta. 2. Il documento Federmeccanica La strategia partecipativa, intesa come forma di coinvolgimento delle organizzazioni sindacali dei lavoratori nelle decisioni aziendali, avrebbe dovuto favorire una migliore comprensione dei problemi e dei vincoli della gestione. Essa non fu l\'unica strada esplorata dalle imprese per affrancarsi dalla presa dei sindacati sull\'organizzazione produttiva che aveva caratterizzato gli anni Settanta. Un altro modo di affrontare il problema delle possibili vie d\'uscita dall\'egualitarismo professionale e salariale fu quello delineato in un documento di Federmeccanica del 1984 che pose con chiarezza la questione della valutazione del personale e del riconoscimento del merito individuale. Non è possibile affermare che la soluzione di estromettere il sindacato dai problemi dell'azienda fosse facile da realizzare. Da un lato, infatti, poneva il problema di come tradurre in pratica una gestione del personale basata esclusivamente sul rapporto individuale e, dall\'altro, si presentava più come una provocazione per i sindacati che come una proposta di ridefinizione dei principi e delle regole di comportamento delle relazioni sindacali. 3. La trasformazione del contratto di categoria in normativa quadro Nella seconda metà degli anni Ottanta venne in evidenza una rinnovata vitalità della contrattazione collettiva, favorita dalla positiva congiuntura economica e dalla capacità dei soggetti negoziali di innovare o rinnovare i contenuti degli istituti contrattuali. La difficoltà del livello interconfederale di dettare nuove regole sollecitò le parti a livello di categoria a porre le premesse per una ridefinizione del ruolo del contratto nazionale.\ La contrattazione di categoria cominciò a trasformarsi: non ritenendo più utile dettare norme sostanziali su materie esposte a rapido mutamento si manifestò la tendenza a trasformare il contratto nazionale in una sorta di normativa-quadro contenente le procedure per la regolazione sostanziale delle stesse materie a livello aziendale. La soluzione più diffusa divenne quella del rinvio al livello aziendale. Era il contratto nazionale a indicare le competenze di quello aziendale e a definire il rapporto tra i due livelli. Tipica di questa fase di rinnovi fu la valorizzazione di sedi e di istituti di amministrazione congiunta del contratto, attraverso la creazione di "commissioni miste" e "osservatori". 4. Gli accordi che legano il salario a obiettivi di produttività Assieme ai protocolli di relazioni industriali, il collegamento tra salari e obiettivi di produttività rappresentò l\'elemento di maggior distacco dalle idee e dalle prassi di contrattazione del decennio precedente quando, chiusa la breve esperienza dei premi di produzione dei primi anni Sessanta, si era voluto sciogliere ogni legame tra incrementi salariali e andamento dei risultati della gestione aziendale. La FIOM era sostanzialmente contraria a questi accordi, anche se in alcuni contesti aziendali (come Olivetti) ritrattò rapidamente la sua posizione ostile. CGIL era contraria a sottoscrivere questi accordi, mentre CISL e UIL erano favorevoli. La linea della partecipazione (che si concretizzava nel coinvolgimento dei sindacati dei lavoratori nelle decisioni aziendali) non ebbe successo in Italia, soprattutto perché le imprese italiane non furono in grado di intraprendere strategie organizzative e di gestione del personale più complesse ed impegnative, caratterizzate anche da costi maggiori. Nacquero in questo periodo commissioni (miste e paritetiche), inoltre furono utilizzati accordi di produttività per la crescita dei salari, connessa a obiettivi volti a migliorare l'efficacia, l'efficienza e la qualità. La strategia della partecipazione funzionò soprattutto dove le imprese investirono nell'innovazione di prodotti/servizi, qualità e formazione del personale. 5. Nel rispetto dei reciproci ruoli Questa espressione fu utilizzata per la prima volta nei contratti del 1981 (metalmeccanici) e del 1991 (alimentaristi). Furono intrapresi percorsi alternativi rispetto al suddetto proposto da Federmeccanica, questi ovviamente richiedevano tempi molto lunghi, visto che bisognava orientare i sindacati verso il riconoscimento delle esigenze di stabilità e prevedibilità (fondamentali per la buona gestione aziendale); per poi gradualmente recuperare l'autonomia imprenditoriale nella gestione del personale, ridefinendo così il ruolo dei sindacati. Questi percorsi furono supportati soprattutto da imprese a partecipazioni statali ed enti pubblici economici; in questo periodo le grandi imprese pubbliche (che durante la crisi garantirono l'occupazione grazie al salvataggio di numerose aziende e all'espansione dei loro impianti), avviarono processi di ristrutturazione e di ridimensionamento dell'occupazione, a causa della diffusione delle ICT, a cui si aggiunse la privatizzazione degli asset non strategici per lo sviluppo industriale italiano. Questa nuova concezione delle relazioni industriali, si concretizza nel protocollo interconfederale del 22 gennaio 1983, a cui aderì con convinzione l'Intersind, che lo considerava come un impegno del governo e delle parti sociali finalizzato alla programmazione. Dopo la stipula di questo accordo, si riavviarono le trattative per rinnovare il contratto nazionale dei metalmeccanici (20 aprile 1983) che riaffermava: obiettivi di controllo manageriale, esclusività dei livelli contrattuali, responsabilità delle parti per il rispetto delle previsioni contrattuali (volte ad istituire un sistema delle relazioni industriali in grado di tutelare lo svolgimento dell'attività aziendale e che permetta di perseguire obiettivi prefissati). Il modello del protocollo (22 gennaio '83) e del contratto nazionale del (20 aprile) fu applicato con il protocollo IRI (dicembre '84), finalizzato a ristrutturare le imprese, gestendo l'occupazione, cercando anche di prevenire potenziali conflitti. Solo con l'accordo del 21 febbraio 1990, stipulato da Intersind e Asap con organizzazioni sindacali confederali, si attivò un confronto tra le parti volto a conseguire obiettivi comuni (superando i conflitti). Si apre così una fase caratterizzata da forme collaborative tra le parti, seppur le forti tensioni del decennio precedente, non erano del tutto scomparse (per questo erano previste procedure di conciliazione e gestione dei micro-conflitti, sviluppati soprattutto in periferia). **CAPITOLO 7** GLI ANNI NOVANTA E OLTRE Negli anni Novanta avviene una vera e propria rivoluzione a livello politico, economico e sociale: si consolidano i cambiamenti del II miracolo economico, l'economia italiana fondata sull'export continua a crescere, vengono eliminate gran parte delle partecipazioni statali e aumentano le privatizzazioni, con un conseguente cambiamento radicale della struttura produttiva. - A livello internazionale Dicembre 1989; Crollo muro di Berlino porta alla fine della guerra fredda e all'esplosione dei nazionalismi 1990; Durante il congresso della Bolognina del Pci (partito comunista italiano fondato da Gramsci e rifondato da Togliatti), il partito mise in discussione la propria identità, e l'anno successivo consolidò il cambiamento con la modifica del nome in Partito democratico di sinistra. Una minoranza contraria scelse invece di fondare il gruppo Rifondazione comunista. 1990; riunificazione della Germania, altre potenze incerte ma la Germania dell'Ovest scelse di accollarsi tutti i debiti della Germania dell'Est 1991; crollo dell'Unione sovietica e trionfo della globalizzazione (=mercati si allargano) 1992; Trattato di Maastricht, Comunità Europea diventa Unione Europea, viene fissato il cambio e introdotto l'euro (che verrà attuato effettivamente nel 2002) - A livello italiano Negli anni Settanta c'era stato un tentativo di governo di unità nazionale per far fronte al terrorismo e nei primi anni Ottanta ci fu il pentapartito. Tra il 1991-92 ci furono una serie di scandali riguardanti le tangenti che ricevevano i partiti per autorizzare lavori pubblici, "Tangentopoli". Esponenti di diversi partiti vengono indagati/arrestati, in molti si dimettono; crisi del tradizionale sistema politico (nato nel 1943-45), si affermarono nuovi partiti (es. Forza Italia con Berlusconi). Per dare stabilità al paese (senza successo), dal 1993 si decide di passare al sistema elettorale maggioritario, in cui sono i partiti a scegliere i candidati (prima era proporzionale con governi di coalizione). Nel 1994 si ebbero le prime elezioni in cui venne abolito il sistema delle preferenze (sotto accusa di essere soggette a corruzione anche se prima i candidati erano veramente espressione delle rappresentanze locali): le istanze che venivano dai territori erano comunque rappresentate ma con sistema maggioritario si aveva meno democrazia a favore di più stabilità, conseguente all'accentramento Intanto il debito pubblico elevatissimo spinse alla privatizzazione di numerose imprese italiane e l'economia viene ulteriormente messa in difficoltà dalla speculazione internazionale: a metà anni Ottanta si era ristretta la banda delle SME (Serpente monetario europeo), impedendo l'oscillazione nel cambio. Nel 1992 il governo Amato attuò una grande svalutazione della lira, aumentando la competitività delle merci italiane a livello internazionale e riducendo il debito pubblico, ma mettendo più in difficoltà i risparmiatori (all'estero tutto sarebbe costato di più). Si trattò dell'ultima operazione del genere, visto poi l'avvento dell'euro. Sempre nel 1992 (fine) di fronte a svalutazione spaventosa e continua e debito pubblico altissimo governo Amato decise di fare prelievo forzoso in tutti i conti correnti degli italiani (manovra finanziaria per ridare credibilità a moneta e impresa italiana, 92 mila miliardi). NUOVE REGOLE IN MATERIA DI SCIOPERO E DI RAPPRESENTANZA SINDACALE Negli anni Ottanta la centralizzazione organizzativa e l'egualitarismo salariale (consigli di fabbrica) avevano concorso alla formazione di un sistema di rappresentanza sindacale fortemente inclusivo ed egualitario ma che nel processo di sempre maggiore differenziazione socio-professionale portava all'esclusione di alcuni gruppi di lavoratori, in particolare figure professionali che svolgevano un ruolo chiave nel funzionamento dei pubblici servizi essenziali (es. piloti, medici, macchinisti, insegnanti). Le loro crescenti proteste comportavano la sospensione del servizio, con minimo danno per l'impresa ma gravi pregiudizi per gli utenti (si parla di "terziarizzazione del conflitto": mentre industria e agricoltura sono in pace, si scatena conflitto nel terziario). La situazione sempre più insostenibile portò prima ad un accordo sindacale e poi all'approvazione della legge 146 del 1990 sulla regolamentazione dello sciopero, con ambito di applicazione limitato ai "servizi pubblici essenziali". Tale legge, riprendendo i contenuti di codici di autoregolamentazione già in vigore in alcuni settori, mirava a tutelare i diritti della persona e assegnava il compito di stabilire quali fossero le "prestazioni indispensabili" da garantire in caso di sciopero alla contrattazione collettiva: settore per settore, con l'accordo tra le parti si andava quindi ad attuare la previsione di legge. Viene inoltre istituita un'apposita "Commissione di garanzia" composta di 9 membri (dal 2011 ridotti a 5) tra cui esperti di diritto costituzionale, di diritto del lavoro, di relazioni industriali (esperti sindacali), con il compito di assicurare la corretta applicazione della legge. Ciò costituisce tutt'oggi la normativa di riferimento per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici, ma i risultati sono ancora oggetto di polemica, e diedero vita ad un serrato dibattito tra imprese e sindacati sulle "nuove relazioni industriali". Nel 1991 venne stretto un accordo interno tra le 3 organizzazioni confederali: Cgil, Cisl e Uil stipulano l'intesa quadro per una rinnovata unità di azione in un contesto di pluralismo sindacale ormai consolidato. Per cambiare la rappresentanza sindacale a livello aziendale vengono introdotte le nuove "rappresentanze sindacali unitarie", le RSU, che avrebbero preso il posto delle Rsa (previste dallo Statuto dei lavoratori per singola associazione sindacale), assumendo inoltre poteri negoziali per le materie e nei limiti previsti dal contratto nazionale di categoria. Con l'accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil del 1993 (e successivamente per legge) vennero definite le regole sulla base delle quali procedere alle elezioni. I componenti delle Rsu, configurandosi come rappresentanti dei lavoratori, sarebbero stati eletti attraverso il voto su lista aperto a tutti, elette da tutti i lavoratori, iscritti o meno al sindacato, su liste di organizzazione, presentate dai sindacati firmatari dell'accordo ma con la possibilità di liste promosse da altre organizzazioni sindacali o da semplici lavoratori. Cgil, Cisl e Uil si riservarono però la possibilità di designare 1/3 dei componenti Rsu, da ripartire tra loro in base ai voti ottenuti. Le Rsu fin da subito furono caratterizzate da ambivalenza: da un lato erano legate all'obbedienza verso la gerarchia sindacale e dall'altro erano tenute alla lealtà verso i lavoratori, assumendo inoltre prerogative diverse da una zona all'altra. (oggi Rsu ancora valide ma sistema modificato intorno al 2014) Dunque, si formano due livelli di contrattazione: - RSU = organismi di rappresentanza sindacale unitaria in azienda - CCNL = contratti nazionali di categoria firmati dai sindacati di settore I sindacati avevano però delle riserve ad affidare la piena autonomia della contrattazione aziendale alle Rsu: essendo queste molto vicine alle istanze di base, si temeva che potessero costituire una minaccia per gli interessi del sindacato stesso (che deve poter dire di no ai lavoratori in caso non ci siano le condizioni per assecondare una certa richiesta). Si conviene anche sull'uso del referendum tra i lavoratori per approvare gli accordi. LA RIFORMA DEL SISTEMA CONTRATTUALE Nel 1990 vennero sottoscritti 3 accordi interconfederali (Confindustria, gennaio; Intersind e Asap, febbraio; Confapi, aprile) nei quali le parti accettarono di fissare un tetto agli aumenti retributivi sulla base di valori indicati dal Governo, vennero introdotte regole di prevenzione del conflitto e procedure da seguire in occasione dei rinnovi dei contratti ma diversi fattori fecero crescere le tensioni tra le parti. Ripresero le trattative e si stipulò un'intesa triangolare per impegnarsi verso la riforma del sistema di indicizzazione dei salari, della struttura contrattuale e della contrattazione collettiva. I rinnovi nazionali di categoria tra il 1990 e il 1992 cercarono di distinguere e specializzare il ruolo dei due livelli contrattuali (nazionale e aziendale) in materia di retribuzione. - Contesto politico: tentativo di contenere l'inflazione e il costo del lavoro, ma anche di conciliare le esigenze di competitività e di produttività delle imprese con gli obiettivi di tutela dell'occupazione. Il trattato di Maastricht impose dei requisiti economici e finanziari per l'ingresso nell'Unione economica e monetaria e la necessità di adeguarvisi spinse il Governo a chiedere la collaborazione delle parti sociali. che vanno quasi ad assumere un ruolo di "supplenza" del potere politico ("anni della supplenza sindacale"). Nel 1992 tali parametri spinsero GSI a firmare un Protocollo, l'accordo Amato, che definì nuove regole per la riforma della contrattazione (blocco eccetto che per accordi di produttività/redditività) e sancì la definitiva abolizione della scala mobile. La Cgil decise di firmare ma il suo segretario Trentin scelse di dimettersi subito dopo, per coerenza. Il successivo Protocollo sulla politica dei redditi del 1993 (tra sindacati, imprenditori e Governo Ciampi), ovvero una sorta di "carta costituzionale" delle relazioni industriali. Si trattò di un accordo diretto a contenere l'aumento delle retribuzioni entro il limite del tasso di inflazione programmato, con un meccanismo non automatico che assegnava ai contratti nazionali (CCNL) il compito di attuare tale "moderazione salariale". Il protocollo articolò inoltre la struttura della contrattazione collettiva su due livelli: 1\. Contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria 2\. Contrattazione aziendale o territoriale (contrattazione di secondo livello) La salvaguardia del potere di acquisto venne affidata esclusivamente al primo livello, mentre il secondo ebbe il compito di realizzare eventuali e ulteriori aumenti su obiettivi di produttività (testimonianza Ferrero) ma le aziende però che li firmeranno non arriveranno mai al 30% del totale. Conseguenze: riesce il contenimento dell'inflazione, ma quella italiana diventa la peggiore dinamica salariale europea; situa più stabile, si rientra nei parametri d'ingresso UE, in parte a scapito dei lavoratori Già dopo qualche anno di applicazioni risultò evidente l'esigenza di un intervento di revisione del Protocollo del 1993. Venne istituita dunque una Commissione presieduta da Gino Giugni, con il compito di effettuare una verifica sul funzionamento del modello di politica dei redditi. La relazione conclusiva ne evidenziò i successi (validità del metodo della concertazione, raggiungimento obiettivo primario di riduzione del tasso di inflazione, conseguimento obiettivi macroeconomici, crescita imprese) ma ne individuò anche i limiti (e la necessità di riforma): - la contrattazione di secondo livello (contrattazione decentrata, aziendale o territoriale) aveva avuto scarsa diffusione (solo ca il 20% delle imprese fece accordi di produttività); - il meccanismo di regolazione del rapporto inflazione programmata -- inflazione effettiva non favoriva il recupero del potere d'acquisto (i salari italiani erano i più bassi in Europa) NUOVE PIÙ FLESSIBILI TIPOLOGIE DI RAPPORTO DI LAVORO PER FAVORIRE L'OCCUPAZIONE Dalla metà degli anni Ottanta si era cominciato a intervenire per migliorare la flessibilità delle diverse modalità di ingresso in azienda: l'ampliamento graduale delle tipologie di contratto di lavoro avrebbe introdotto nuove forme di assunzione meno onerose per i datori di lavoro (e quindi indurli ad aumentare il numero delle assunzioni) ma queste avrebbero dovuto avere carattere temporaneo per potersi poi trasformare in occupazione stabile; invece tali forme divennero progressivamente lo strumento ordinario con il quale soddisfare le esigenze di personale a scapito delle assunzioni a tempo indeterminato. All'origine dell'introduzione di forme di lavoro flessibile vi era il problema di aggirare la rigida disciplina del rapporto di lavoro (vincolata a livello normativo)--mercato rigido, quasi solo contratti a tempo indeterminato. Già con il Protocollo Scotti del 1983 e i contratti di formazione-lavoro era stata avviata una riforma in questa direzione, ma solo nel 1996 venne stipulato da governo e parti sociali un "Accordo per il Lavoro", che individuava misure straordinarie per favorire l'occupazione. Tali misure divennero legge nel 1997 con il «Pacchetto Treu» (dal nome del ministro del lavoro del tempo) che comprendeva sia interventi nel campo dell'istruzione, ricerca e innovazione, sia rivisitazione del sistema degli incentivi all'occupazione e delle norme di disciplina del lavoro, oltre che l'introduzione degli stage (tirocini formativi), contratti part-time, contratto di apprendistato, contratto a progetto. Le nuove e più flessibili forme di contratto dovevano favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, o la ricollocazione di lavoratori in mobilità, anche attraverso sgravi fiscali ma assicuravano meno garanzie ai lavoratori. La regolamentazione dell'applicazione pratica di questi istituti fu affidata alla contrattazione collettiva di categoria (tra sindacati e imprese con i CCNL) e a quella aziendale, ma anche diverse direttive europee fecero pressioni affinché venissero applicate forme più flessibili e temporanee di impiego. Nei primi anni 2000 il ricorso al lavoro temporaneo, in forte aumento, era ancora considerato uno strumento a sostegno dell'occupazione: l'obiettivo primario divenne la liberalizzazione del collocamento e dello scambio sul mercato del lavoro e ciò fu sostenuto dall'entrata in vigore della "riforma Biagi" del 2003 (ispirata alle idee di Marco Biagi, ucciso nel 2002 dalle Brigate rosse). La riforma ampliò la possibilità per le imprese di fare ricorso a tipologie contrattuali a orario ridotto, modulato e flessibile ed estese l'elenco delle tipologie di impiego, sempre con l'obiettivo di rendere più flessibile il mercato del lavoro, aumentare l'efficienza e diminuire il tasso di disoccupazione. Ma ciò non trovò appoggio nelle parti sociali; Cgil si oppose apertamente e anche altre organizzazioni manifestarono dubbi. Dalla fine degli anni '90 ai primi anni del Duemila però la flessibilità si trasformò in precarietà a causa dell'uso spropositato di contratti di lavoro a termine e di altre tipologie "atipiche" di impiego, operato in alcuni settori (soprattutto quello dei servizi, ma anche nel settore pubblico) e per alcune tipologie di lavoratori (es. caso dei call center). Il problema fu proprio l'abuso di queste possibilità, favorito dall'assenza regole che ne limitassero l'utilizzo ad esigenze effettivamente temporanee e contingenti. Iniziò quindi una polemica trasversale, ancor oggi in corso, sulla loro effettiva utilità ai fini dello sviluppo e della creazione di nuovi posti di lavoro. SVILUPPO ECONOMICO, PRODUTTIVITÀ E COMPETITIVITÀ: CONCERTAZIONE E DIALOGO SOCIALE In quegli anni continuarono ad alternarsi in modo conflittuale governi di Centro-destra e Centro-sinistra, e come i governi successivi, raramente fecero ricorso alla concertazione. L'ultimo documento a mantenere una linea di continuità con il protocollo del 1993 fu il Patto di Natale stipulato dal governo D'Alema con le parti sociali nel 1998 (dicembre 1997 - gennaio 1998), che però non venne attuato; la concertazione sembra perdere peso ed efficacia. Il governo di centro-sinistra successivo (Amato) intervenne solo rispetto al mercato del lavoro e sulle pensioni (Ministro del lavoro Sacconi consultò studiosi come Biagi per avviare nuove riforme), senza affrontare la questione della contrattazione di II livello. Nel 2002, avendo rispettato i parametri di Maastricht, l'economia italiana entrò nella nuova dimensione della moneta unica, l'euro, che eliminò definitivamente la possibilità di fare svalutazioni competitive. Le imprese crebbero, favorite dai prezzi nell'esportazione (crescita export), l'inflazione era ai minimi storici e vigevano forti vincoli comunitari. Vi fu una lievitazione sostanziale del costo della vita e i salari erano bloccati per il meccanismo di moderazione salariale del 1993 (minor potere di acquisto delle persone); grande contrazione dei consumi (qualità della vita si riduce). A luglio 2002 venne sottoscritto tra il governo Berlusconi e le parti sociali il Patto per l'Italia, ma senza l'adesione della Cgil, andando quindi a costituire un patto separato (lacerante e fonte di scompiglio sociale). Questo prevedeva una serie di misure a favore dell'occupazione e una revisione della disciplina dei licenziamenti contenuta nello Statuto dei Lavoratori (motivo di contrasto con la Cgil) ma non venne dato seguito alla sua applicazione. A più riprese, tutti i sindacati, pur divisi, cominciarono a reclamare un diverso sistema per il recupero del potere d'acquisto dei salari (visto l'aumento esponenziale dei prezzi dovuto all'arrivo dell'euro). Nel 2003 Confindustria e le Confederazioni dei sindacati dei lavoratori sottoscrissero un accordo interconfederale avente ad oggetto il tema dello sviluppo economico e dell'occupazione, che sollecitava un ritorno alla concertazione con il governo ma il tentativo di dialogo non ebbe successo (da 2001 a 2006 governi di centro-destra, meno propensi alla concertazione). Lo stesso avvenne nel 2004, con un documento di analisi sul tema della competitività delle imprese. Nel 2006 viene eletto il secondo governo Prodi, che convocò le parti sociali riaprendo il dialogo (ma senza un vero e proprio ritorno alla concertazione). Il risultato fu la sottoscrizione triangolare nel 2007 del "Protocollo per la crescita e la competitività". L'obiettivo era riformare il metodo della concertazione triangolare e con esso le parti si impegnarono a promuovere una crescita duratura e insostenibile ma l'improvvisa crisi politica del 2008 non permise di attuarne i contenuti. \*Concertazione un accordo triangolare che vedeva come soggetti interessati; - governo - imprese - sindacati con la volontà principale di legare i salari ai cicli economici e produttivi. **CAPITOLO 8** CONTESTO ANNI 2000 2001:ingresso della Cina nell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) 2002: adozione euro 2007-2008: recessione internazionale originata dai mutui subprime statunitensi 2011: Crisi dei debiti sovrani: Berlusconi (2001-2006; 2008-2011) si dimette: subentra il governo tecnico di Monti(2011-2013) RELAZIONI INDUSTRIALI In Italia vigeva un sistema politico instabile, in cui l\'alternanza delle forze politiche al governo non permetteva continuità nell\'attuazione di accordi e riforme; infatti, nel 2008 ritornò al governo Berlusconi e non si riuscì ad attuare i contenuti del Protocollo del 2007. La situazione fu aggravata dalla crisi economica internazionale che colpì inizialmente Wall Street (USA e settore finanziario), per poi espandersi all\'intero quadro economico internazionale: in Italia si cominciò a porsi il problema di come rimanere competitivi nell\'export a livello mondiale. Nel 2009 dopo una lunga trattativa unitaria si arrivò alla firma di due accordi (gennaio ed aprile) tra parti sociali e Governo Berlusconi, aventi come obiettivo la riforma degli assetti contrattuali e in cui sui rivide parzialmente il meccanismo del 1993. Venne ribadito il compito del contratto nazionale di garantire il mantenimento del potere di acquisto dei salari, ma il punto di riferimento passò dal tasso di inflazione programmata all\'indice dei prezzi al consumo armonizzato (Ipca), ovvero indice tecnico stabilito da un soggetto terzo (ISTAT) e che tiene conto di diversi fattori. La differenza tra inflazione programmata ed inflazione effettiva porta ad un aumento dei minimi retributivi. La Cgil partecipò alle trattative ma decise di non firmare, contraria alla possibilità per i contratti di secondo livello di introdurre deroghe peggiorative al contratto nazionale e per il fatto che l'Ipca non includesse il prezzo dei beni energetici importati. Non impedì però che venissero firmati, unitariamente e in quegli stessi mesi, tanti CCNL nei vari settori in cui si prendeva atto, nella sostanza, dei contenuti dei due accordi di concertazione. LO STRAPPO DI MIRAFIORI Nel 2009 si scontrarono Fiat e Fiom, mettendo in tensione le relazioni industriali italiane. Nel 2010 la Fiat con Marchionne decise di rinunciare all\'adesione a Confindustria (ne uscirà il 1° gennaio 2012) ,anche a causa dei suoi investimenti in America, e firmò con Cisl, Uil e altre organizzazioni per lavoratori un accordo chiamato \"Fabbrica Italia\"; con la volontà di aumentare gli investimenti e di conseguenza la produttività; ma anche di diminuire l'assenteismo e la conflittualità in fabbrica. Vi fu un periodo di forti contrasti, in particolare sullo stabilimento di Pomigliano d\'Arco. L\'accordo verrà poi confermato da un referendum tra i lavoratori di fabbrica (2 lavoratori su 3 si dichiararono favorevoli all'accordo per avere un posto di lavoro stabile) ma non riconosciuto da Fiom. Lo stabilimento aveva il tasso di produttività più basso ed era male organizzato, ma l\'accordo mirava a cambiare radicalmente la produzione con conseguenze positive: ad oggi la fabbrica ha la produttività più alta in tutta Europa (competitività) e ha salvaguardato i posti di lavoro (assunzione di coloro che erano in cassa integrazione). L\'accordo però esasperò il conflitto tra Fiom e direzione aziendale della Fiat, coinvolgendo anche istituzioni, politica e i media: da un lato veniva minacciata la libertà imprenditoriale, dall\'altro il diritto del sindacato ad essere presente in azienda e a rappresentare i lavoratori. L\'ACCORDO INTERCONFEDERALE DEL 2011 A seguito dello scontro in Fiat i rapporti tra le organizzazioni sindacali: - Cgil vuole che si certifichi la rappresentanza; - Cisl vuole più partecipazione; - Uil vuole un accordo sul mercato del lavoro. A giugno 2011 venne firmata una prima intesa unitaria (Cgil, Cisl e Uil) sulla rappresentanza sindacale con Confindustria, mettendo definitivamente fine alla stagione degli accordi separati. Con tale accordo le organizzazioni sindacali si impegnarono a riconoscere come vincolanti gli obblighi derivanti da accordi sottoscritti a maggioranza dalle Rsu e la possibilità che i contratti aziendali deroghino alle norme del contratto nazionale anche in assenza di una specifica disciplina nazionale. I RIFLESSI DELLA CRISI ECONOMICA E FINANZIARIA SULLE RELAZIONI INDUSTRIALI A novembre 2011 cadde il governo Berlusconi (a causa del grande debito pubblico e del debito con la Germania); inizio di una serie di governi tecnici appoggiati dalla UE, (per alcuni anni). Il governo tecnico Monti nel contesto di crisi dell\'economia mondiale e della difficile situazione finanziaria del Paese era intervenuto con una azione di risanamento della finanza pubblica che portò a pesanti conseguenze sul mondo del lavoro e della produzione. Seguito dal governo tecnico Letta, fu caratterizzato da un rifiuto della concertazione (governo Ciampi): entrambi affidarono alle parti il compito di formulare proposte e trovare soluzioni per migliorare la produttività e competitività delle imprese, promettendo detrazioni fiscali e leggi a favore del lavoro. Si trattò quindi di intese tra le parti, supportate dal governo che però continuava a rifiutarsi di firmare nuovi accordi di concertazione triangolare. Altro punto importante fu il progressivo abbandono della ricerca a tutti i costi dell\'assenso di tutti i sindacati: la Cgil prese posizione esprimendo dissenso per il merito delle intese ma senza tradurlo in contestazione radicale (sorta di astensione). 2012-2013 vennero rinnovati e conclusi i rinnovi contrattuali di importanti categorie (CCNL di settore) e il 31 maggio 2013 venne firmato tra le parti sociali un protocollo d\'intesa sulla\ rappresentanza. Con esso vennero stabilite regole e procedure per la misurazione e la certificazione della rappresentatività dei sindacati ai fini della stipulazione dei contratti collettivi nazionali di categoria (ad es. affinché l\'accordo sia esigibile è necessario che l\'organizzazione sindacale da cui è proposto abbia il 50%+1 di rappresentatività nel settore a livello nazionale). Per misurare la rappresentatività veniva effettuata una media tra dato associativo (iscritti) e dato elettorale (RSU in fabbrica); il sindacato poteva stipulare un contratto collettivo nazionale del lavoro solo se in fabbrica possedeva almeno il 5 per cento della rappresentatività. Questa tipologia di sistema venne solo applicato nel settore pubblico e non in Fiat. Venne dato maggiore potere alle Rsu e si realizzò almeno in parte la collaborazione tra sindacato e impresa, con la possibilità per il primo di esercitare un potere di influenza sulle decisioni aziendali. Nel 2014 sale al governo Renzi, mantenendo la stessa linea di comportamento verso la concertazione delle parti sociali (e facendo dichiarazioni anche molto forti contro i sindacati). A gennaio 2014 venne elaborato unitariamente un Testo Unico sul tema della rappresentanza. Nel gennaio 2016 CGIL-CISL-UIL firmarono un documento unitario intitolato \"Un Moderno sistema di Relazioni industriali\", in cui venne delineata una radicale riforma del modello del 1993: produttività e sviluppo, mercato del lavoro, partecipazione e nuovo modello di contrattazione ne sono i principali contenuti. Confindustria e Federmeccanica però rifiutano di firmare dando inizio ad una lunga trattativa. ITALIA E USA, SISTEMI NAZIONALI A CONFRONTO: IL CASO FIAT -- CHRYSLER I lavoratori delle tre principali corporation del settore automobilistico americano (Ford, Chrysler, General Motors) sono rappresentati dal sindacato United Auto Workers (Uaw). Questo si distinse molto dalle azioni dei sindacati in Italia, avendo abbandonato da anni il tradizionale modello conflittuale che caratterizza il modello americano di relazioni industriali e accettato la strada della partnership con l\'azienda. L\'Uaw era riuscito ad ottenere livelli di trattamento economico e normativo relativamente elevati per la realtà americana (il welfare dei lavoratori, ad esempio, era gestito dal sindacato stesso, con le quote degli aderenti). Con la crisi del 2008 la Chrysler era finita sull\'orlo della bancarotta e il governo federale degli Stati Uniti aveva accettato di concedergli un prestito a condizione che venisse stipulato un accordo tra azienda e sindacato che impegnasse entrambi al risanamento e di trovare un partner industriale. Di conseguenza il sindacato Uaw impegnò le proprie risorse per il superamento della crisi, acquistando azioni dell\'azienda, che divenne anche partner della Fiat (consistente quota di azioni in cambio di capacità tecnologica, qualità e accesso alla rete commerciale europea).\ L\'Uaw concesse ulteriori sacrifici da parte dei lavoratori in favore della ripresa economica dell\'impresa (rinunciando ad aumenti e vantaggi di trattamento economico) e nel 2011, visti gli effetti positivi delle operazioni compiute, si riaprì la trattativa. La conclusione dei nuovi accordi portò i lavoratori a rivendere le loro azioni al loro prezzo di costo, senza ottenere aumenti dei minimi salariali, però centrali furono i temi dell\'occupazione e degli investimenti (es la riduzione dell\'outsourcing = rientro in azienda di lavorazioni precedentemente affidate all\'esterno). Inoltre, ottennero un maggior coinvolgimento a livello decisionale: sia nella gestione della formazione professionale che nell\'implementazione del sistema produttivo World Class Manufacturing (WCM). Il sindacato Uaw secondo Marianna De Luca ha quindi dimostrato flessibilità e ragionevolezza, e di essere in grado di utilizzare a suo vantaggio le logiche di funzionamento del capitalismo globale. **IL PATTO PER LA FABBRICA (2018)** Il documento firmato nel 2016 dai sindacati (Cgil-Cisl-Uil) era una dichiarazione unitaria, che Confindustria e Federmeccanica si erano rifiutate di firmare, dando inizio ad una lunga trattativa. Questa durò 3 anni, risolvendosi nel marzo 2018 con la firma di un documento comune tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil sulle nuove relazioni industriali, chiamato \"Patto della Fabbrica\". Si trattò di un documento bilaterale nella forma, visto che il governo si limitò a favorirlo con leggi ad hoc, in particolare legate a detassazione e incentivi vari (Firme e stemmi di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil su ogni pagina hanno valore di legge, ma manca firma del governo; accordo bilaterale). Fu definito un documento \"storico\" dagli osservatori nonostante le critiche delle opposizioni, con esso infatti si stabilizzarono i rapporti e si cercò di diffondere il Il livello di contrattazione, il Welfare aziendale, la produttività, gli accordi di formazione professionale (1 peso degli Istituti Tecnici Superiori, ITS) e la partecipazione al lavoro, il tutto finalizzato alla collaborazione per lo sviluppo economico e della competitività.\ Obiettivi comuni: - Modernizzare il paese: \"crescita sostenibile ed inclusiva\" e \"mercato del lavoro più dinamico ed equilibrato che favorisca l\'inserimento al lavoro di giovani e donne\" - Definire un accordo interconfederale che individui delle linee guida per i CCNL (che decideranno poi settore per settore), in modo da \"sostenere la competitività dei settori\" e \"favorire con la contrattazione di Il livello i processi di trasformazione\" Tra i pilastri alla base, fondamentali sono la democrazia sindacale e la misurazione e certificazione della rappresentanza: la Cgil in particolare chiede un criterio per stabilire la più forte rappresentanza sindacale e prevenire conflitti tra i sindacati. Per far ciò rimanda al Testo Unico firmato nel 2014, e chiede una misurazione della rappresentanza anche dei datori di lavoro (le imprese dovranno quindi mandare a CNEL tutti i dati per capire chi ha la rappresentatività maggiore), importante conoscere l\'effettivo livello di rappresentanza di entrambe le parti stipulanti un CCNL. Vengono poi definiti principi per regolare assetti e contenuti della contrattazione collettiva Si ribadisce l\'articolazione della contrattazione collettiva su due livelli: nazionale e aziendale (o territoriale). Ai fini di: - contribuire a determinare le condizioni per migliorare il valore reale dei trattamenti economici (migliorare condizioni di operai e impiegati) - aiutare le imprese ad essere competitive - valorizzare professioni e competenze (contro egualitarismo salariale che portò al 14 Ott. 1980) Il CCNL, come contratto collettivo nazionale di categoria viene chiamato ad assolvere la sua principale funzione di regolazione dei rapporti di lavoro e di garante dei trattamenti economici e normativi comuni a tutti i lavoratori del settore, ovunque impiegati sul territorio nazionale. Avrà inoltre il compito di individuare (calcolando e garantendo) gli indici TEC (trattamento economico complessivo) e TEM (trattamento economico minimo). Dovrà inoltre incentivare lo sviluppo della contrattazione di Il livello di contrattazione, con la quale si regoleranno invece gli incrementi salariali sulla produttività (incentivi). Una sezione importante è dedicata alle Relazioni Industriali. Insieme delle relazioni tra management e coloro che lavorano nelle imprese da questo dirette. Si vuole intervenire su alcuni ambiti di crescente rilevanza, i 5 punti essenziali delle relazioni industriali: Welfare, formazione, sicurezza sul lavoro, mercato del lavoro e partecipazione. a. Welfare Dato il contesto di riduzione del welfare pubblico (dovuto alla bassa crescita, all\'andamento demografico e alla continua riduzione dell\'incidenza sul Pil della spesa per servizi) viene considerato necessario contribuire alla realizzazione di un welfare contrattuale integrativo. b. Formazione Vista la crescente importanza del patrimonio delle competenze dei RU nelle imprese, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil insistono sulla necessità di investire nella formazione, in particolare con esperienze di scuola-lavoro e una formazione continua, in grado di adeguare le competenze dei lavoratori alle innovazioni nel lavoro (es cambio macchinari. c. Sicurezza sul lavoro Garantire la salute e la sicurezza sul posto di lavoro. Sul tema viene sottolineata l\'importanza di valorizzare ogni possibile sinergia con l\'INAIL, in particolare rispetto alle sue attività di prevenzione, ricerca e formazione (diffondere cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro). d. Mercato del lavoro Il mondo del lavoro negli ultimi anni ha dovuto affrontare il problema dell'esasperazione delle condizioni di lavoro precarie. Mentre in passato si credeva che incrementare la flessibilità avrebbe incrementato la crescita, successivamente era stato fatto un passo indietro. La volontà di questo documento era di supportare le politiche attive per l\'occupazione e rendere il mercato del lavoro più dinamico e inclusivo. e. Partecipazione Le parti sociali concordano nell\'affermare che i cambiamenti economici, produttivi e tecnologici del sistema industriale e manifatturiero richiedono oggi una diversa relazione tra impresa e lavoratori, in particolare un maggiore coinvolgimento e partecipazione (come sosteneva da tempo la Cisl). Esempio di modalità di partecipazione più efficaci: lavoro a obiettivi, per team ecc. Non vengono date però indicazioni su come dovrebbe essere implementata tale partecipazione, rimandando alla contrattazione di Il livello e assegnando ai CCNL il compito di definire i percorsi nei vari ambiti settoriali (sorta di formule per realizzarlo)