Summary

Questo documento tratta il colore nel digitale, esplorando la sua importanza nella comunicazione visiva e nella grafica. Vengono discussi concetti chiave come la rappresentazione digitale del colore, i canali colore, la profondità di colore, e vari modelli di colore come RGB e CMYK. Il testo analizza la discretizzazione, la compressione digitale e la riproduzione del colore attraverso i dispositivi, concludendo con il concetto di gamut e il Color Management System (CMS).

Full Transcript

Mirko Olandese 12/03/2024 Il colore nel digitale Conoscenza degli elementi fondamentali necessari alla descrizione del colore e studio del suo significato psicologico nell'ambito pubblicitario. MODULO 03 Informatica del colore Hai mai notato strisce nelle...

Mirko Olandese 12/03/2024 Il colore nel digitale Conoscenza degli elementi fondamentali necessari alla descrizione del colore e studio del suo significato psicologico nell'ambito pubblicitario. MODULO 03 Informatica del colore Hai mai notato strisce nelle sfumature di colore sullo schermo? La rappresentazione digitale del colore è un aspetto fondamentale della grafica computerizzata e della comunicazione visiva moderna. Per comprendere come gestire efficacemente il colore negli ambienti digitali, è necessario conoscere i principi base della sua codifica e le caratteristiche dei diversi sistemi di rappresentazione. Innanzitutto, quando in informatica parliamo di colore, ci riferiamo essenzialmente al trattamento riservato alle immagini digitali: siano esse multicolore o in scala monocromatica. Come sappiamo, possiamo distinguere innanzitutto tra due tipologie di file immagine: Immagini raster Immagini vettoriali Per quanto riguarda le immagini raster, o bitmap, i formati principalmente utilizzati sono: JPEG (ideale per postare o inviare foto e immagini) PNG (supporta la trasparenza dello sfondo: ideale per grafica web) GIF (supporta animazioni ma è limitato nella gamma cromatica) TIFF (versatile e ottimo per la fotografia professionale) Per le immagini vettoriali, quindi scalabili, i formati più comuni invece sono: SVG (standard per grafica web scalabile) AI (formato nativo di Adobe Illustrator) EPS (formato di interscambio professionale) PDF (standard universale: può contenere sia raster che vettoriali) I canali colore Innanzitutto un'immagine digitale a colori non è altro che un file definito da una serie di dati digitali, suddivisi tra le componenti cromatiche principali di cui è composta l'immagine. La sequenza di informazioni che definisce singolarmente ciascuna di queste componenti dell'immagine viene comunemente indicata con il nome di canale colore. Un file immagine può avere uno o più canali colore in base a quanti sono i colori principali che lo definiscono, cioè quei colori che, una volta sovrapposti, ci restituiranno la colorazione finale dell'immagine. Per esempio, nello specifico: Immagini in CMYK hanno 4 canali colore (ciano, magenta, giallo, nero) Immagini RGB hanno 3 canali colore (rosso, verde, blu) Immagini in scala di grigi hanno un solo canale (monocromatico) Utilizzando programmi di grafica, in particolare Adobe Photoshop, è possibile visualizzare (in scala di grigi), manipolare e regolare i singoli canali colore di un'immagine per ottenere un controllo preciso sulla resa cromatica finale del file. Il colore digitale Nel passaggio dal mondo analogico a quello digitale, il colore deve essere convertito in una serie di valori numerici che il computer possa elaborare. Questo processo prende il nome di discretizzazione e comporta la trasformazione di un fenomeno continuo (la luce) in un insieme finito di valori discreti (ossia di numeri). La discretizzazione avviene attraverso due processi principali: Campionamento Quantizzazione Durante il campionamento, il colore viene "misurato" a intervalli regolari, generando appunto dei "campioni". Più campioni equivalgono ad una maggiore precisione del colore. Il campionamento determina quindi quanti pixel verranno utilizzati per rappresentare l'immagine. Durante la quantizzazione, ogni campione precedentemente individuato viene quindi convertito in un valore numerico. In altre parole, la quantizzazione stabilisce quanti livelli di colore potranno essere rappresentati per ogni pixel. Immaginiamo di dover rappresentare una sfumatura di colore. Nella realtà pensiamo ad un gradiente come ad una transizione continua, in cui i colori sfumano dolcemente uno nell'altro. Proprio come vediamo accadere, per esempio, in un arcobaleno. Nel digitale, invece, dobbiamo "discretizzare" questa sfumatura, cioè sequenziarla in una serie di gradini. La profondità di colore L'operazione di discretizzazione definisce quanti sono i livelli possibili di profondità per ogni canale colore. Il numero di questi livelli determina quante sfumature diverse di quel dato colore possiamo rappresentare. Più alto sarà il numero di livelli utilizzati, più fedele sarà la riproduzione della sfumatura originale. La profondità di colore indica quanti bit vengono utilizzati per rappresentare il colore di ogni pixel. I bit sono le unità minime d'informazione con cui lavora l'informatica. Ad un bit è possibile assegnare soltanto due numeri, 0 oppure 1: è il cosiddetto sistema binario. Questi due valori elementari corrispondono a due soli livelli di profondità (un colore e il suo opposto). A questo punto, comprendiamo che un maggior numero di bit per ogni canale digitale equivale esponenzialmente a più combinazioni possibili di 0 e 1, cioè alla creazione di gradini più piccoli all'interno della sfumatura, i quali comportano, a loro volta, una transizione più fluida del gradiente di colore. In altre parole, maggiore è il numero di bit, più accurata sarà la rappresentazione del colore. Quindi, una maggiore profondità del colore garantisce una migliore qualità dell'immagine, a scapito però della dimensione complessiva del file, accresciuta dall'aumento di informazioni digitali. Da questo vincolo nasce l'esigenza, in informatica, di trovare molto spesso un compromesso tra qualità e dimensione di un'immagine digitale. Livelli di profondità 1 bit per canale è quella qualità che possiamo sperimentare quando, su Adobe Photoshop, applichiamo l'effetto "Soglia" ad una qualsiasi immagine a colori. Come possiamo notare, l'immagine viene immediatamente ridefinita solo in valori di nero e di bianco, assoluti. In altre parole, ciascun pixel può essere acceso (1) oppure spento (0). 8 bit per canale (ossia 1 byte) rappresenta lo standard per i display e per il web. E' un livello di profondità del colore di qualità sufficiente per la maggior parte degli usi, come la scala monocromatica (un solo canale) e lo spazio colore RGB (tre canali colore). Rappresenta anche un buon compromesso poiché garantisce file di dimensioni ragionevoli. 16 bit per canale comporta, invece, la creazione di file d'immagine molto grandi. É una profondità di colore utilizzata nella fotografia professionale poiché permette un editing digitale avanzato. Facendo un esempio molto comune, in un'immagine RGB a 24 bit (8 bit per 3 canali), ogni pixel è rappresentato da 3 byte (uno per ogni canale), ciascuno con valori che possono andare da 0 a 255, per un totale di combinazioni possibili che supera, appunto, i 16 milioni di colori. Un'insufficiente profondità di colore può causare un problema comune nella rappresentazione digitale del colore: il banding. Questo difetto si manifesta come "bande" visibili nelle sfumature. Il banding può essere mitigato con il dithering, ossia una tecnica digitale che, utilizzando pattern di pixel, migliora le transizioni tra una banda e un'altra, creando l'illusione ottica della presenza di più colori. La compressione digitale La compressione digitale è un'operazione di riduzione dei dati informatici di un file, al fine di ridurne le dimensioni. Quando parliamo di compressione, parliamo spesso di immagini digitali compresse. Ovviamente questa operazione va ad influenzare il colore di un'immagine. La compressione può essere di due tipi: Lossless (senza perdita) Lossy (con perdita) Nella compressione senza perdita avremo file, ovviamente, più grandi poiché vengono mantenuti quanto più possibile tutti i dati che definiscono l'immagine originale. É il caso dei formati PNG e TIFF. Quest'ultimo, può essere, per scelta dell'utente, anche non compresso. Per contro, la compressione con perdita permette di ottenere file più piccoli ma può comportare: perdita di dettaglio nelle sfumature, artefatti visivi intorno ai bordi netti, posterizzazione (riduzione delle sfumature di colore), blocchi visibili nelle aree uniformi. L'esempio per eccellenza di compressione lossy è rappresentato dal formato JPEG. La scelta del formato di un file immagine è fondamentale per gestire al meglio la profondità del colore, e quindi la qualità dello stesso, ma anche il peso del file. In tal senso, bisogna sempre considerare l'uso finale che si vuole fare del file, partendo quindi dal formato che garantisce la massima qualità disponibile (TIFF 16 bit) e, se necessario ridurre le dimensioni del file, comprimerlo solo all'ultimo passaggio (JPEG 8 bit). La riproduzione del colore Perché a volte i colori sembrano diversi tra monitor e stampa? Non tutti i colori che l'occhio umano è in grado di percepire possono essere riprodotti sui display dei dispositivi digitali né, tanto meno, ottenuti tramite periferiche di stampa. Possiamo dunque dedurre che i colori ottenibili con il modello RGB, progettato per gli schermi, e quelli riproducibili con il modello CMYK, utilizzato dalle stampanti, costituiscono due sottoinsiemi dello spettro visibile. Nella gestione dei processi produttivi, questo problema ha un'importante implicazione pratica: la necessità di conoscere e mappare con precisione i colori che i diversi dispositivi in circolazione sono o non sono in grado di riprodurre. Il concetto di gamut Il termine gamut, o "gamma", indica l'estensione cromatica coperta da una data periferica. Cioè, costituisce l'insieme di tutti i colori che un dispositivo può: Catturare (fotocamere, scanner) Visualizzare (monitor) Riprodurre (stampanti) Graficamente, il gamut di un dispositivo viene rappresentato come un poligono tracciato all'interno del diagramma di cromaticità CIE 1931 xy: conoscendo le proprietà di questo sistema, comprendiamo che tutti i colori racchiusi nel gamut possono essere ottenuti miscelando quelli presenti ai suoi angoli. Il Triangolo CIE, essendo una mappa bidimensionale dello spettro visibile, permette di visualizzare e confrontare, in modo rapido e oggettivo, la gamma cromatica coperta da un dato dispositivo con tutti i colori percepibili dall'uomo. L'immagine mostra il gamut di un televisore Sony X930C da 65" con X-tendend Dynamic Range Com'è possibile intuire, il diagramma cromatico, rappresentando uno spazio colore indipendente da qualsiasi dispositivo, fornisce un "terreno neutrale" per confrontare gamut diversi, permettendo di comprendere i limiti dei vari sistemi di riproduzione del colore. Confronto tra dispositivi diversi Innanzitutto emerge che periferiche molto diverse, quali sono, appunto, monitor e stampanti, mostrano ovviamente gamme cromatiche differenti. È possibile accorgersi di questa incongruenza già semplicemente confrontando tra loro i gamut degli spazi colore teorici da cui questi due tipi di dispositivi dipendono: rispettivamente, RGB e CMYK. L'immagine mostra il diagramma cromatico con, indicati, solo i perimetri dei colori visibili a schermo quando si lavora in modalità RGB (gamut a forma triangolare) e, al suo interno quelli visibili in modalità CMYK (gamut dalla forma irregolare). Nello specifico, possiamo notare che non tutti i colori dell’insieme RGB trovano un corrispondente nell’insieme CMYK, poiché, come sappiamo, si tratta di sistemi diversi di sintesi del colore. In altri termini, non è possibile stampare esattamente tutti i colori che vediamo sul monitor del nostro pc. Confronto tra dispositivi simili Tuttavia, nel confronto tra gamut non emerge soltanto la nota distinzione tra dispositivi che utilizzano modelli diversi di rappresentazione del colore, ma anche importanti differenze fra dispositivi simili che utilizzano lo stesso modello di riproduzione del colore. Dunque, anche periferiche dello stesso tipo, ma di aziende concorrenti, possiedono comunque gamme cromatiche differenti. Per esempio, le stampanti professionali hanno gamut più estesi di quelle consumer. Allo stesso modo, monitor di marchi diversi possono presentare estensioni cromatiche differenti. Varianti di RGB Ovviamente parlando di monitor e di colore nel digitale, diventa necessario approfondire, in particolare, le peculiarità del modello RGB, il quale esiste già di per sé in diverse varianti. Come sappiamo, l'RGB è basato sulla sintesi additiva dei tre colori primari della luce: Rosso (Red), Verde (Green) e Blu (Blue). Per questo motivo, si tratta di un modello di rappresentazione del colore da cui dipendono tutti i dispositivi che emettono o catturano luce: monitor, schermi, proiettori e scanner. Esistono tuttavia diverse implementazioni specifiche del modello RBG con gamut tra loro differenti. Ciascuna variante di RGB rappresenta un vero e proprio spazio colore autonomo, con i propri casi d'uso, vantaggi e limiti. Tra le varianti principali del modello RGB troviamo: sRGB Adobe RGB ProPhoto RGB L'immagine mostra, all'interno diagramma cromatico, il confronto tra le estensioni cromatiche delle varianti di RGB e il gamut del modello CMYK, evidenziando le aree di copertura di ciascuno spazio colore. Lo spazio colore sRGB (standard RGB) è stato sviluppato da Microsoft e HP nel 1996 per standardizzare la visualizzazione dei colori sul web. Garantisce quindi un'ampia compatibilità tra dispositivi diversi (fotocamere digitali consumer e monitor di fascia media). Nello specifico, sRGB ha un gamut relativamente ridotto (circa il 35% dei colori visibili) che permette una gestione del colore semplificata, ideale per contenuti web, ma inadatta alla stampa professionale. Sviluppato da Adobe Systems nel 1998, lo spazio colore Adobe RGB è utilizzato principalmente in ambito professionale per fotografia digitale avanzata, elaborazione di immagini ad alta qualità, prestampa e stampa. Adobe RGB copre meglio i ciano e i verdi, offrendo quindi un gamut più ampio rispetto a sRGB (copre circa il 50% dello spazio colore CIE LAB) e garantendo così una riproduzione più fedele dei colori CMYK. Lo spazio colore ProPhoto RGB, sviluppato da Kodak nel 1999, è lo spazio RGB utilizzato per conservare il massimo di informazioni colore in fase di editing o per l'archiviazione di immagini in alta qualità a lungo termine. ProPhoto RGB presenta il gamut più ampio, con una copertura quasi completa dei colori visibili (ne copre circa il 90%), tanto da includere anche colori non riproducibili dai dispositivi attuali. Richiede una profondità di colore a 16 bit per evitare fenomeni di posterizzazione. In sintesi, se visualizzassimo lo stesso file immagine su due schermi diversi, i colori che vedremmo sarebbero comunque leggermente diversi. E lo stesso varrebbe per il risultato di stampa di un'immagine digitale su due macchine differenti. A questo punto, rimane quindi il problema di come i colori appaiono all'occhio umano. In altre parole, anche a parità di numeri (ad esempio, RGB: 210, 40, 40) avremmo comunque una percezione del colore diversa su periferiche concorrenti, cioè che utilizzano lo stesso modello di rappresentazione del colore. Di conseguenza, comprendiamo anche che il gamut effettivo di un certo dispositivo rappresenta sempre un sottoinsieme dell'estensione cromatica coperta dallo spazio colore teorico associato a quel dispositivo. Dobbiamo quindi dedurre che la visualizzazione dei colori nei vari dispositivi non è determinata soltanto dal modello di riferimento per la riproduzione del colore - RGB per gli schermi e CMYK per le stampanti - ma dal gamut coperto singolarmente da ciascuna periferica. Per fare un esempio. Un comune schermo LCD, in genere non riuscirà a riprodurre perfettamente tutti i colori teoricamente definiti dal modello sRGB per cui è stato progettato, ma solo una gran parte di essi. Il suo gamut effettivo sarà quindi più limitato dello spazio colore teorico sRGB da cui dipende. La percezione del colore La conversione del colore Al variare dei mezzi, quindi, cambia anche il gamut e questo assunto ha un'implicazione importante: su macchine differenti, i medesimi numeri identificativi dei colori finiscono per assumere un valore relativo diverso. Risulta chiaro che il problema di una corretta visualizzazione dei colori su diverse macchine non è legato al fatto di avere colori rappresentati con gli stessi numeri, ma avere uno strumento in grado di modificare quei numeri, in modo che i colori percepiti rimangano gli stessi su dispositivi più o meno diversi. Per fare ciò, bisogna utilizzare, come elemento di collegamento tra le periferiche, coordinate assolute del colore fornite da uno spazio colorimetrico che sia indipendente dai dispositivi, siano essi simili o diversi tra loro. Per questo scopo, il già citato diagramma di cromaticità CIE 1931, seppur indipendente, non risulta adeguato in quanto non tiene conto però dei fattori psicologici legati alla percezione del colore da parte dell'occhio umano, determinando quindi degli squilibri tra colori. Per ovviare a questi fattori è stato sviluppato il CIE Lab 1976 che rappresenta invece un modello colorimetrico percettivamente uniforme, cioè in grado di rappresentare l'intero spettro visibile in modo maggiormente uniforme a quella che è la percezione umana rispetto al sistema precedente. Inoltre, mentre RGB e CMYK descrivono la quantità di colorante necessaria per la riproduzione dei colori da parte di una data periferica, lo spazio CIELab descrive invece l'aspetto di un colore, attraverso i suoi attributi percettivi. Proprio per queste sue caratteristiche, lo spazio CIE Lab, indipendente dalle periferiche, viene utilizzato, da alcuni programmi per l'elaborazione delle immagini digitali, tra cui Photoshop, come sistema colorimetrico di riferimento per convertire, in modo prevedibile, un colore da un modello di rappresentazione del colore all'altro. La tabella mostra, con un esempio, come funziona la conversione colore: a sinistra, abbiamo alcuni valori forniti in sRGB; al centro, abbiamo gli stessi valori convertiti in coordinate CIELAB; a destra, infine, abbiamo i valori corrispondenti a quelle coordinate in CMYK. A questo punto abbiamo capito come funziona la conversione del colore da una periferia ad un'altra. In generale, comunque, è fondamentale definire la scelta del modello colore corretto all'inizio del flusso di lavoro per evitare conversioni non necessarie e perdita di qualità. La costruzione di tabelle di conversione permette quindi di individuare quali sono i rapporti tra i valori relativi e le rispettive coordinate colorimetriche assolute. Conoscendo il gamut dei dispositivi, a questo punto, basta un CMS: un sistema in grado di mettere insieme questi rapporti colorimetrici, per poter far coincidere, non solo i colori di un monitor sRGB con quelli di una stampante CMYK, ma anche i colori di una fotocamera Adobe RGB con quelli di uno schermo sRGB, e via dicendo. Il Color Management System Un Color Management System (CMS), è appunto un sistema di gestione del colore che svolge diverse operazioni in più fasi: caratterizzazione e calibrazione dei dispositivi profilazione e conversione digitale dei colori Di CMS ne esistono diversi tipi: molti sono "chiusi", ossia sistemi "proprietari" specifici di alcune macchine e apparati; quelli "aperti" invece sono soltanto un paio. Tra i pochi CMS aperti, ci interessa approfondire solo quello dell'International Color Consortium (ICC) che rappresenta ormai uno standard nel settore. L'ICC è diventato ormai il sistema universalmente utilizzato per la profilazione dei dispositivi e per la conversione tra periferiche diverse, di input e di output. La tecnologia ICC è ormai implementata nei sistemi operativi così come nelle più diffuse applicazioni specifiche legate alla grafica e all'impaginazione, come i software della suite Adobe. Un Color Management System è il risultato dell'interazione tra varie componenti: Motore di colore Profili colore Intenti di rendering Sistema operativo e applicazioni Il motore di colore o Color management module (CMM) è il motore di calcolo che si occupa di profilare in tabelle i rapporti tra le varie periferiche e di utilizzarli per la conversione colore. Tuttavia, vista la mole di dati da gestire, risulta pressocché impossibile costruire tabelle di caratterizzazione davvero complete: per esempio, tra un monitor e una stampante ci sarebbero milioni di colori da convertire. I CMM realizzano quindi solo una serie di conversioni chiave tra i colori (alcune migliaia), mentre tutti gli altri dati intermedi vengono invece creati automaticamente utilizzando un sistema di interpolazione. Un ulteriore problema sorge quando alcuni colori di un dispositivo, per esempio un monitor, potrebbero non possono essere compresi nella gamma di un altro, ad esempio una stampante. Questo significa che, non intervenendo, non sarebbe possibile stampare quel colore. Per ovviare a questa limitazione si utilizzano i cosiddetti intenti di rendering. Gli intenti di rendering cercano di creare un colore approssimativo e nel contempo plausibile, riportando il colore fuori gamma all'interno del perimetro del gamut. Il sistema di gestione ICC prevede quattro tipologie di intenti di rendering: Colorimetrico relativo Colorimetrico assoluto Percettivo Saturazione Le specifiche del CMS prevedono che il "profilo ICC" contenga tante tabelle di configurazione quanti sono gli intenti di rendering e che lo stesso profilo possa essere utilizzato sia quando la periferica è l'origine, sia quando è la destinazione. In questa situazione, per ogni intento di rendering, vi deve essere una prima tabella che va da coordinate di periferica a coordinate colorimetriche (si usa quando il profilo è l'origine della conversione) e una seconda, che va da coordinate colorimetriche a coordinate di periferica (va usata quando il profilo è la destinazione della conversione). Lo spazio colorimetrico di un profilo ICC, infine, deve utilizzare uno dei due spazi colore stabiliti dalla CIE: il CIE 1931 con coordinate XYZ oppure il CIE 1976 con coordinate L*a*b* e illuminante bianco D50.

Use Quizgecko on...
Browser
Browser