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This document provides an overview of ortopedia topics like arthritis, scoliosis, spondylolysis, and spondylolisthesis. It details the causes, symptoms, and treatments related to these conditions. The document also discusses different types of lumbar pain and disc hernias.

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MEDICINA CLINICA I – ORTOPEDIA ARTROSI L’artrosi è una patologia cronico-degenerativa ad andamento progressivo caratterizzata dalla graduale perdita del fisiologico equilibrio tra fenomeni degenerativi e riparativi che determina uno scompenso globale dell’articolazione. Ha inizi...

MEDICINA CLINICA I – ORTOPEDIA ARTROSI L’artrosi è una patologia cronico-degenerativa ad andamento progressivo caratterizzata dalla graduale perdita del fisiologico equilibrio tra fenomeni degenerativi e riparativi che determina uno scompenso globale dell’articolazione. Ha inizio con il processo di degradazione della cartilagine, che causa a sua volta un’in ammazione della membrana sinoviale con conseguente formazione di osteo ti a livello dell’osso sub-condrale. L’andamento clinico della malattia è caratterizzato da periodi di benessere alternati a riacutizzazioni che tendono ad essere sempre più frequenti e sintomatiche. Nelle fasi avanzate le degenerazioni articolari con le deformità associate possono condurre ad intervento chirurgico. Esistono due tipologie di artrosi: Primaria: si veri ca senza cause evidenti, legata a fattori intrinseci (invecchiamento e genetica) Secondaria: causata da un fattore speci co (perlopiù problemi biomeccanici o patologie) FISIOPATOLOGIA La cartilagine articolare riveste le superfici articolari facilitando una reciproca e più morbida concordanza dei capi articolari riducendo l'usura degli stessi nelle sollecitazioni fisiologiche e nei microtraumi. È costituita da una componente cellulare (condrociti 5%) e da una extracellulare (H2O, glicoproteine, collagene, proteoglicani), sulla quale agiscono le terapie. Il principale processo patologico che guida la degenerazione della cartilagine nell’artrosi è l'aumentato catabolismo della matrice cartilaginea. La degenerazione (teoria del rimodellamento del condrone) si compone di tre fasi: 1) Fase del rigonfiamento 2) Fase della duplicazione cellulare 3) Fase dell’espansione clonale del condrone fi fi fi fi Questi meccanismi microscopici portano ad un insieme di danni macroscopici: 1) Comparsa di fenditure/ulcere ed esposizioni dell'osso sub-condrale con sclerosi di quest’ultimo e conseguente riduzione dello spazio articolare 2) Formazione di osteofiti per aumentare la superficie di appoggio, ridotta dal processo artrosico 3) Cisti o geoidi sub-condrali, formate dall’azione erosiva del liquido articolare 4) Inspessimento della membrana sinoviale N.B: tutti i tessuti articolari e alcuni tessuti periarticolari possono venire coinvolti nell’osteoartrosi. Tendini e legamenti periarticolari sono sottoposti a sollecitazioni, portando a tendiniti e retrazioni. I muscoli circostanti si indeboliscono e divengono meno atti al sostegno. PATOGENESI PATOLOGIE DEL RACHIDE SCOLIOSI Si intende una deviazione laterale della colonna associata alla rotazione dei copri vertebrali sul loro asse che determinano una deformità permanente e tridimensionale del rachide. Si sviluppa: Sul piano frontale –> si manifesta con una curva, singola o doppia Sul piano trasversale –> si manifesta come una torsione dei corpi vertebrali (causa del gibbo) Sul piano sagittale –> si può veri care un aumento o diminuzione delle curve siologiche CLASSIFICAZIONE: - Idiopatica: patogenesi non chiarita, ma legata a predisposizione genetica - Congenita: legata a malformazioni vertebrali – casi rari! - Neuromuscolare: legata a malattie neurologiche e/o muscolari - Sindromica: associata a malattie (cromosomopatie, osteodisplasie, patologie del collagene..) fi fi La scoliosi idiopatica è la forma scoliotica più frequente e può insorgere in tutte le fasi della vita. - Scoliosi idiopatica infantile: 0-3 aa - Scoliosi idiopatica giovanile: 4-9 aa - Scoliosi idiopatica dell’adolescente: 10 aa - maturazione scheletrica È più frequente nel sesso femminile, tuttavia nell’uomo può aggravarsi maggiormente ed interessa più frequentemente il tratto dorsale e lombosacrale. La gravità del quadro clinico dipende dal grado di scoliosi e dalla localizzazione della curva (tratto dorsale, lombosacrale o entrambi). La scoliosi idiopatica ha un decorso che tende al peggioramento con un picco nella fase appena prima dello sviluppo ed uno stop dopo l’adolescenza. Pertanto, la fase prepuberale è fondamentale in quanto: un non trattamento può peggiorare drasticamente una scoliosi; è il momento più adatto per trattare la scoliosi ed avere buoni risultati. ESAME OBIETTIVO L’atteggiamento scoliotico è un vizio posturale non strutturale, non evolutivo e reversibile alla sospensione dello stimolo che lo ha indotto (abitudini posturali sbagliate, contratture muscolari). Il test di Adams permette di distinguere la scoliosi vera dall’atteggiamento scoliotico: nel primo caso flettendo il tronco l’asimmetria si fa più evidente; mentre nell’atteggiamento scoliotico flettendo il tronco l’asimmetria sparisce. L’atteggiamento scoliotico, a differenza della scoliosi vera e propria, non è caratterizzato né da rotazione vertebrale né da gibbo costale o lombare. IMAGING L’esame diagnostico più accurato per veri care la presenza della scoliosi e per quanti carla è la radiogra a della colonna in toto sotto carico in due proiezioni. Questo esame ci permetterà di: - individuare eventuali malformazioni ossee responsabili della deformità (scoliosi congenita) - misurare l’entità della curva con l’angolo di Cobb - valutare la fase di maturazione scheletrica, in base all’ossificazione del nucleo della cresta iliaca, attraverso il test di Risser (Risser 0-5) TRATTAMENTO Curve < 20° Cobb –> ginnastica posturale Curve 20-45° Cobb –> trattamento con busti ortopedici (almeno 12h/gg) e ginnastica posturale Curve > 45° Cobb –> trattamento chirurgico: artrodesi vertebrale posteriore strumentata fi fi fi SPONDILOLISI – Lisi istmica Interruzione dell’istmo, porzione ristretta dell’arco posteriore delle vertebre lombari compresa fra le apo si articolari superiori e quelle inferiori. Colpisce selettivamente L5 (70-80% dei casi), talvolta è unilaterale. La lisi si determina per sollecitazioni statico-dinamiche e mette in evidenza un tessuto broso denso, con note degenerative. Spesso è asintomatica, oppure genera lombalgie recidivanti accompagnate da modesta dolenzia. Dalla RX si nota la decapitazione del cagnolino, immagine che rappresenta schematicamente l’emiarco posteriore della vertebra. Ogni emiarco vertebrale posteriore riproduce schematicamente l’immagine di un cagnolino nella quale l’istmo corrisponde al collo. Il trattamento si differenzia sulla base della sintomatologia: - asintomatica: ginnastica posturale ed esercizi di rinforzo dei muscoli addominali - sintomatica: riposo, analgesici e busto ortopedico - sintomatica da oltre 10-12 mesi: chirurgia SPONDILOLISTESI Si veri ca quando una vertebra lombare, non più unita dalle apo si articolari, scivola anteriormente e in basso rispetto alla vertebra sottostante. È un fenomeno sia acuto che graduale, si arresta all’inizio dell’eta adulta. In questo caso, oltre alla lisi istmica che disancora il corpo vertebrale dalle strutture dell’arco posteriore, è presente anche una lassità disco-legamentosa e un’alterazione della normale inclinazione del sacro. Il disco intervertebrale appare schiacciato e ridotto a un’ammasso di tessuto broso. Dal punto di vista sintomatologico, alla palpazione delle apo si spinose si avverte la sensazione di uno scalino. In genere è accompagnata da iperlordosi e può provocare lombosciatalgie (o lombalgie) a seconda che sia interessata o meno la radice spinale corrispondente. Dolore acuto anche in seguito a trauma modesto. Dalla RX in proiezione laterale si evidenziano tre gradi di scivolamento – classi cazione di Meyerding: - Grado I: scivolamento 0-25% - Grado II: scivolamento 26-50% - Grado III: scivolamento 51-75% - Grado IV: scivolamento 76-100% Dopo i 25-30 anni il processo di scivolamento può considerarsi stabilizzato. Il trattamento varia in funzione del grado di scivolamento: per i gradi II e III se il trattamento conservativo, incluso l’uso di busto ortopedico, non risulta suf ciente può essere indicata una chirurgia di artrodesi posteriore. Se lo scivolamento è > 50% si procede con la riduzione della vertebra e stabilizzazione al sacro. fi fi fi fi fi fi fi fi LOMBALGIA La lombalgia è un termine che descrive il dolore nella parte bassa della schiena, in corrispondenza della regione lombare. La sintomatologia è limitata alla regione lombare senza risentimento sulle radici spinali. È una malattia che si può considerare dell’età adulta, molto spesso legata alla pratica di determinate professioni, tale per cui si osserva rigidità del tronco (soprattutto nei tentativi di essione anteriore del rachide). Dolore spontaneo, localizzato al rachide lombare, è espressione di una compressione da parte del disco del nervo seno-vertebrale di Luschka, che determina la contrazione dei muscoli paravertebrali, con secondario atteggiamento obbligato del rachide lombare in lieve essione anteriore o laterale. LOMBALGIA ACUTA Compare improvvisamente, senza causa apparente e provoca dolore e contrattura intensi. Avviene solitamente per distensione acuta dell’anulus broso in seguito a compressione vertebrale. Questo determina irritazione delle terminazioni sensitive delle fibre dell’anulus fibroso e del legamento longitudinale posteriore, messe in tensione dalla spinta del nucleo. Con l’esame RX si osserva una riduzione della normale lordosi e/o deviazione laterale del rachide lombare (causate dalla contrattura dei muscoli paravertebrali). Solitamente si risolve in pochi giorni con un trattamento sintomatico (riposo e terapia medica). Può diventare cronica oppure evolvere in lombosciatalgia. LOMBALGIA CRONICA Più frequente della forma acuta; molto invalidante. I fattori responsabili più frequenti sono: la protrusione dell’anulus; l’artrosi; anomalie del tratto lombosacrale; squilibri statico-dinamici per spostamento della linea di carico del rachide oppure processi infettivi/tumorali (infatti non va mai sottovalutata!!). Al trattamento farmacologico va necessariamente integrato quello sioterapico. fl fl fi fi ERNIA DEL DISCO Condizione che si presenta quando il nucleo polposo, ancora ben idratato, fuoriesce dalle bre dell’anulus attraverso preesistenti deiscenze di natura degenerativa, in genere situate nella zona postero-laterale del disco, il punto di minor resistenza alla forza espulsiva del nucleo. Solitamente colpisce l’ultimo disco lombare (rarissima ai livelli superiori del tratto). Se comprime le radici del nervo femorale, tra L2 e L4 –> lombocruralgia (dolore irradiato alla parte anteriore della coscia) In rapporto alla diversa collocazione dell’ernia si distinguono: a) Ernia postero-laterale del disco interposto tra L4 e L5 b) Ernia postero-laterale del disco tra L5 e S1 c) Ernia postero-mediale tra L4 e L5 In rapporto alla forza espulsiva del nucleo e alla resistenza opposta dall’anulus distinguiamo: a) Ernia contenuta: trattenuta dal legamento longitudinale posteriore, ancora integro b) Ernia protrusa: ha rotto il legamento ma non si è allontanata dal punto di origine c) Ernia espulsa o migrata: l’ernia rompe il legamento e il nucleo polposo si distacca In rapporto alla struttura del tessuto erniato (consistenza e colore) distinguiamo: Ernia immatura: forma recente/contenuta; nucleo biancastro, elastico, lucente Ernia matura: forma meno recente e già protrusa; nucleo degenerato, giallastro, opaco fi In rapporto all’intensità delle alterazioni radicolari provocate dall’ernia: Ernia recente: radice edematosa, ipomobile, iperemia Ernia inveterata: radice assottigliata e ssata con numerose aderenze al grasso periradicolare, alle strutture legamentose adiacenti e al tessuto discale erniato. I sintomi tipici dell’ernia discale si manifestano a livello del rachide e sono: dolore in sede lombare (accentuato alla pressione in sede paravertebrale); rigidità del rachide lombare con netta limitazione dei movimenti del tronco; contrattura muscolare accompagnata da appianamento della siologica lordosi e dalla dif coltà di essione anteriore del busto. LOMBOSCIATALGIA Sindrome dolorosa le cui cause di insorgenza possono essere: ernia discale; artrosi; anomalie congenite del rachide; processi in ammatori o tumorali. Il dolore si distende, a partire dalla regione lombare, lungo il dermatomero corrispondente alla radice nervosa interessata. Segno di Delitala Dolore periferico alla pressione esercitata sulla linea paravertebrale a livello dell’emergenza della radice in esame. Segno di Laségue Dolore lombare provocato dall’estensione del ginocchio a coscia flessa sul bacino, per distensione delle radici del nervo. Segno di Valleix Dolore che si risveglia alla pressione esercitata su alcuni punti elettivi che corrispondono a L5 (testa del perone; faccia esterna della gamba; premalleolare esterna) oppure a S1 (regione glutea posteriore; faccia posteriore della coscia, della gamba e del piede). fi fl fi fi fi Altri sintomi rilevabili nel paziente sono: turbe della della sensibilità cutanea (parestesie, ipoestesie o raramente anestesie); alterazioni dei ri essi osteotendinei; de cit del tono/tro smo muscolare e, solo in casi gravi nell’interessamento della radice di L5, de cit motori dei muscoli estensore proprio dell’alluce, estensore comune delle dita, tibiale anteriore e peronei (ipovalidità alla essione dorsale dell’alluce saggiata contro resistenza – Segno di Dandy). In rapporto al diverso impegno delle singole radici interessate dall’ernia si distinguono 3 sindromi: Sd da irritazione (iniziale): dolore; parestesie e talvolta iperre esie Sd da compressione (avanzata): dolore; danno radicolare; de cit: sensibilità, motilità e ri essi Sd da interruzione (rara): assenza di dolore per interruzione della radice; de cit muscolari In rapporto al diverso livello dell’ernia e del danno prodotto sulle radici nervose si distinguono: Sindrome monoarticolare S1 Sindrome monoarticolare L5 Sindrome biarticolare Sindrome bilaterale (rara) DIAGNOSI E TRATTAMENTO Orientano per la diagnosi di ernia discale l’età relativamente giovane del paziente (30-50); l’esordio in genere brusco della sintomatologia; la distribuzione radicolare dei disturbi sensitivi e motori; TAC e RM. Si può optare per: - Trattamento incruento: riposo a letto; terapia medica; cauta siocinesiterapia; eventuale corsetto - Trattamento cruento: asportazione, per forme più dolorose/pazienti con seri de cit neurologici LOMBOCRURALGIA Espressione di una processo che, oltre alle strutture discolegamentose del rachide lombare, interessa anche le radici che danno origine al nervo crurale (L2-L4). I sintomi sono gli stessi delle sindromi precedenti, ma il segno caratteristico è il segno di Wasserman (o inversione del segno di Laségue), con dolore alla regione lombare e eventuale irradiazione alla faccia anteriore della coscia, provocato dall’iperestensione dell’arto sul bacino a ginocchio esteso. fl fi fi fi fl fi fi fi fi fl fl STENOSI LOMBARE Abnorme ristrettezza del canale vertebrale e conseguente compressione del sacco durale e/o delle radici spinali caudali. È meno frequente nei soggetti giovani (50-70 aa). Può interessare l’intero canale vertebrale o solo quello radicolare. Idiopatica: ristrettezza costituzionale del canale vertebrale Secondaria: determinata da marcate alterazioni artrosiche interapo sarie e/o del corpo vertebrale Combinata: associazione della forma idiopatica e di quella secondaria La sintomatologia è essenzialmente radicolare e simile all’ernia del disco. Si presenta meno spesso in forma acuta, ma più frequentemente pluriarticolare e bilaterale. Frequentemente si manifesta con claudicanza intermittente. TIP: se il paziente ha dolore ad entrambe le gambe è più probabile che abbia una stenosi rispetto ad un’ernia. DIAGNOSI E TRATTAMENTO Età relativamente anziana; modesta o assente lombalgia; distribuzione dei disturbi prevalentemente bilaterale e pluriarticolare. Sono determinanti TAC e RM. Necessaria sioterapia, quando non è suf ciente si può eseguire una decompressione delle strutture nervose mediante laminectomia unilaterale o bilaterale (dilatazione delle lamine per far passare il nervo). Talvolta si associa ad una stabilizzazione posteriore della colonna. fi fi fi MANO – PATOLOGIE PIÙ COMUNI SINDROME DEL TUNNEL CARPALE È una sindrome irritativa e/o compressiva, che fa parte delle sindromi da intrappolamento, a carico del nervo mediano, che passa tra il legamento trasverso del carpo e i tendini essori delle dita. Frequente in donne oltre i 40 anni. Si manifesta (spesso di notte) attraverso parestesie alla faccia palmare delle prime tre dita e metà radiale del 4° dito. È caratterizzata da una fase irritativa (dolore e parestesie) e da una fase compressiva. Per la diagnosi si utilizzano il test di Tinel e il test di Phalen. Il trattamento prevede la somministrazione di antin ammatori, antinevritici ed in ltrazioni di cortisonici; nella fase resistente si procede chirurgicamente con la neurolisi. MORBO DI DUPUYTREN Patologia a carico della mano caratterizzata dalla essione progressiva e permanente di uno o più dita, provocata dalla bromatosi (irrigidimento) dell’aponeurosi del palmo della mano che riveste i tendini essori. È più frequente nel sesso maschile (40-60 aa), è spesso bilaterale. L’eziopatogenesi è incerta, può essere causato da microtrauma, atro a, ereditarietà. Lo sviluppo patologico è lento e progressivo, come anche l’atteggiamento in essione della Iª e IIª falange dei raggi interessati. Si possono distinguere diversi stadi della malattia: Stadio 0 (solo nodulo) Stadio 1 ( ex 0-45°) Stadio 2 ( ex 45-90°) –> necessario inviarli al chirurgo/ortopedico Stadio 3 ( ex 90-135°) Stadio 4 ( ex > 135°) fl fl fl fl fl fi fl fl fi fi fl fi La diagnosi è esclusivamente clinica. Il trattamento prevede una aponeurectomia (risultati migliori se eseguito in tempi brevi). A causa del rischio di recidiva è il peggior intervento della mano. MALATTIA DI DE QUERVAIN Malattia in ammatoria dei tendini contenuti nel primo canale dorsale del carpo rappresentati dal tendine estensore breve e abduttore lungo del pollice. Colpisce solitamente le donne (30-60 aa). L’esordio della malattia coincide spesso con periodi in cui si concentrano attività manuali che comportano movimenti ripetitivi di abduzione del pollice e di esso-estensione del polso atteggiato in deviazione ulnare. La sintomatologia è caratterizzata da dolore e tumefazione a livello del versante laterale del polso. Il dolore, accentuato dai movimenti del pollice, s’irradia sia in direzione prossimale lungo l’avambraccio che distale lungo il pollice e viene accentuato dalla deviazione forzata del polso in direzione ulnare. Il trattamento nella fase iniziale è il medesimo del tunnel carpale; la chirurgia consiste in una neurolisi praticata sul versante laterale del polso, attraverso la quale viene aperto il canale estensorio e vengono semplicemente liberati i tendini. DITO A SCATTO Malattia in ammatoria. Una tenosinovite causa l’inspessimento del tendine essore del dito che si incastra con la puleggia rimanendo bloccato, per poi scattare quando si estende. Al di là della facilità nella diagnosi, può risultare comunque di una certa utilità l’esecuzione di un’ecogra a allo scopo di veri care il grado di in ammazione dei tendini essori. L’intervento, da effettuare, noto come tenolisi dei essori, consiste nella liberazione del tendine tramite la sezione della puleggia che lo blocca. Dopo l’intervento il paziente dovrà muovere il dito attivamente per evitare la formazione di aderenze cicatriziali. Quando la malattia è congenita il problema è presente già alla nascita e in circa il 25% dei casi e può interessare altre dita oltre al pollice. La patologia può essere bilaterale. Clinicamente si può individuare un nodulo palpabile in corrispondenza dell’articolazione metacarpo-falangea. L’approccio terapeutico al dito a scatto congenito consiste inizialmente in manovre ripetute di esso-estensione da effettuarsi con una certa cautela; tali manovre possono essere un po’ fastidiose, ma dif cilmente sono dolorose. Nel 33% dei casi si assiste ad una guarigione spontanea nel giro dei primi dodici mesi di età. L’intervento chirurgico dovrebbe essere eseguito entro il quarto anno di età, attendere oltre può essere rischioso perché potrebbe residuare una contrattura in essione. fi fi fi fl fl fl fi fi fl fl fl fi PIEDE – PATOLOGIE PIÙ COMUNI PIEDE PIATTO – VALGO Appiattimento della volta longitudinale interna del piede e deviazione del calcagno in valgismo. Normalmente il piede poggia al suolo in corrispondenza della tuberosità del calcagno e della testa del I° e del V° metatarso. Principali fattori che causano il piede piatto: - lassità capsulo-legamentosa costituzionale - insuf cienza dei tendini ad azione cavizzante (tibiale posteriore, peroneo lungo, essore lungo dell’alluce e comune delle dita) - retrazione del tendine di Achille - malattie neurologiche (spina bi da, mielodisplasia, neuro bromatosi, ictus) - fratture calcaneali - displasie dei tessuti molli Si osservano piedi piatti siologici in quasi tutti i bambini no ai 3 anni; dai 3 ai 6 anni il piede si normalizza. Si distingue una forma congenita, una acquisita o idiopatico e una forma secondaria ad altra patologia. Il piede piatto congenito è dovuto a un difetto di segmentazione delle ossa tarsali, che rimangono unite attraverso dei ponti ossei de niti sinostosi, che non consentono lo sviluppo completo di cavitazione del piede (si veri cano più frequentemente tra astragalo e calcagno). Più frequente è il piede piatto acquisito o idiopatico: dai 3 ai 6 anni viene meno il rimodellamento e il piede rimane piatto e pronato. Il piede piatto può essere anche secondario a: - lassità capsulo-legamentosa (sindromi di Ehlers-Danlos, Marfan e iperlassità legamentosa) - patologie neuromuscolari (miopatie e distro e) - traumi: come le fratture di calcagno o lesioni del tendine tibiale posteriore - trattamenti chirurgici precedenti La sintomatologia è inizialmente modesta (facile stancabilità alla posizione eretta; appiattimento della volta sotto carico); successivamente si ha dolore al collo del piede con rigidità estesa alle dita. Pe la diagnosi si utilizzano: podogramma e RX. Il trattamento dev’essere preso in considerazione dall’età di 5 anni. È più indicato un effetto correttivo attraverso un plantare speci co no all’età di 8 anni. La chirurgia si esegue sopra gli 8 anni per fallimento del trattamento conservativo o qualora non sia stato intrapreso alcun trattamento; in questo caso l’intervento permette di trattare la deformità attraverso l’impiego di endortesi di Giannini che correggono il piattismo sfruttando la crescita. Quando l’accrescimento è completato (14-16 aa) gli interventi correttivi sono rappresentati da osteotomie; nei casi evoluti con secondaria artrosi il trattamento è rappresentato dalle artrodesi. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fl fi PIEDE TORTO CONGENITO Deformità del piede presente alla nascita caratterizzata da uno stabile atteggiamento vizioso del piede per alterazione dei rapporti reciproci tra le ossa che lo compongono cui si associano alterazioni capsulari, legamentose, muscolo tendinee e delle fasce. Si distinguono quattro categorie: Piede equino-cavo-varo-addotto-supinato (più frequente) Piede talo-valgo Metatarso addotto o varo Piede re esso valgo Il piede torto congenito è l’anomalia ortopedica congenita più frequente (70-75%), predilige il sesso maschile ed è spesso bilaterale. È una malattia ereditaria multifattoriale condizionata da fattori ambientali intrauterini. È sostanzialmente causato da un malfunzionamento di tutte le strutture che dovrebbero tenere il piede nella posizione siologica normale (es. la supinazione del piede torto è dovuta ad una ridotta lunghezza del tibiale posteriore; la posizione in equino del piede è dovuta ad un accorciamento eccessivo del tendine d’Achille). La diagnosi è basta sull’associazione delle deformità già descritte, col piede che appare atteggiato in equinismo, varismo e supinazione. Si distinguono tre gradi di gravità: - I° grado: deformità modesta associata a scarsa resistenza al tentativo di riportare il piede in atteggiamento ortomor co - II° grado: piede e gamba formano un angolo retto sul piano frontale, netta resistenza al tentativo di correzione - III° grado: piede e gamba formano un angolo inferiore a 70-80° sul piano frontale I° grado II° grado III° grado Per quanto riguarda il trattamento, sin dalla nascita si utilizzano apparecchi gessati correttivi o tutori che insieme alla manipolazione, giorno dopo giorno, risolvono quasi sempre il problema. Se l’ipercorrezione del piede (per stretchare le strutture troppo corte) associata alla manipolazione non funziona si può ricorrere ad intervento. fl fi fi PIEDE CAVO Il piede cavo è una alterazione strutturale del piede caratterizzata da un innalzamento della volta plantare e da uno stato persistente di supinazione del complesso astragalo-calcaneare. È più spesso associato a malattie neuromuscolari di tipo post-traumatico (malattie in cui tendini vengono ritratti). Spesso è associato alle dita in griffe. È essenziale effettuare un’accurata anamnesi ed eseguire un esame radiogra co. Per valutare le problematiche capsulo-legamentose è opportuno ricorrere ad esami di secondo livello, ossia TAC e RM. Il trattamento nel bambino è conservativo; la chirurgia è riservata alle forme più severe e prevede delle osteotomie e procedure sui tessuti molli. Piede cavo Dita a griffe ALLUCE VALGO Deviazione in valgo dell’articolazione metatarso-falangea dovuta principalmente a problematiche anatomiche. Più frequente nelle donne. Deformità progressiva: la testa metatarsale si sposta medialmente; la falange prossimale diverge in valgo; la borsa mediale si in amma. Lo spostamento mediale in adduzione del primo metatarso causa la sublussazione dell’articolazione sesamoidea- metatarsale; la super cie articolare mediale diviene scoperta ed esposta a traumi -> ipertro a bursale (dolore, tumefazione, arrossamento) con conseguente squilibrio delle forze durante la deambulazione (lesioni della cartilagine articolare ed erosioni). Le tecniche chirurgiche dell’alluce valgo sono molte e variano in funzione della preferenza di chi opera. È importante ricordare che il trattamento post-operatorio varia in funzione della tecnica chirurgica utilizzata. NEUROMA DI MORTON Alterazione degenerativa di uno o più nervi plantari che determina l’ispessimento benigno del nervo (formazione di una pallina) solitamente a livello del III° spazio intermetatarsale. Considerata una sindrome canalicolare ad eziologia multifattoriale. Quasi sempre secondaria a squilibri biomeccanici (calzature inadeguate/costrittive; traumi ripetuti). Il dolore, urente o lancinante, aumenta alla palpazione (test di Mulder); si avverte la sensazione di un corpo estraneo (necessità di togliersi le scarpe). Utile conferma con ecogra a o RM. Il trattamento dei sintomi lievi a recente insorgenza consiste nel riposo, nell’utilizzo di impacchi freddi e di calzature adeguate e in ltrazioni con corticosteroidi a lunga durata d'azione + anestetico locale. Per i sintomi importanti, a vecchia fi fi fi fi fi fi insorgenza, si utilizzano delle tecniche di ablazione (es. congelamento criogenico del nervo) ed eventualmente l’escissione chirurgica: a volte si sviluppa un altro neuroma nella sede di escissione del nervo (neuroma di amputazione) che può richiedere un re-intervento. NEOPLASIE DEL SISTEMA MUSCOLO SCHELETRICO – TUMORI Gli elementi fondamentali per il sospetto di un tumore sono: tumefazione > 5 cm a crescita rapida; febbre (sd Ewing); dolore persistente e ingravescente non correlato ai movimenti. La diagnosi tumorale è clinica; si basa sull’età del paziente e sugli accertamenti radiologici; successivamente si effettuano esami in laboratorio e biopsia. DIFETTO FIBROSO Neoplasia benigna più frequente, conosciuta anche come broma non ossi cante (il tessuto osseo non si ossi ca bene e viene sostituito con tessuto broso). Colpisce prevalentemente femore e tibia, ha sede meta saria. È asintomatico, spesso viene scoperto con esami fatti per altri motivi. Talora ha esordio con una frattura. Convincere i genitori che non bisogna fare interventi chirurgici!! DISPLASIA FIBROSA La displasia brosa comporta lo sviluppo anomalo del tessuto osseo durante l’infanzia. Può coinvolgere una o più ossa. Possono essere presenti displasie brose multiple, pigmentazione cutanea e anomalie endocrine (sindrome di Albright o sindrome di McCune-Albright). Le lesioni ossee normalmente cessano di svilupparsi durante la pubertà. ENCONDROMA Si sviluppa da residui di cartilagine eterotopica derivati dal piatto epi sario di accrescimento, durante lo sviluppo encondrale dell’osso (nella zona di crescita dell’osso, anche quando rimangono delle cellule cartilaginee che si duplicano e sviluppano delle cavità). In più del 50% dei casi è asintomatico. Si avverte dolore dopo attività sica, può causare possibili fratture. È necessario lasciar guarire la frattura, successivamente intervento di curettage ed eventuale sintesi. OSTEOCONDROMA – ESOSTOSI Esostosi ricoperte da cartilagine ialina. Nel 90% dei casi colpisce le meta si delle ossa lunghe (femore distale, tibia prossimale, omero prossimale). Asintomatico, ma presenta tumefazione. Alterazione del pro lo anatomico che causa dolore con l’attività per con itto con tendini e strutture adiacenti. Rischio di frattura dell’esostosi. Intervento di resezione (segare) alla base. MEM – Malattia delle Esostosi Multiple Deformità (esostosi) multiple, ereditarie nella maggior parte dei casi. Rischio di trasformazione maligna (27%: condrosarcoma secondario). Sedi critiche: bacino, scapola. CISTI OSSEA SEMPLICE Localizzazione: omero prossimale, femore prossimale. Se la cisti è grande può rompere l’osso; la frattura della cisti può portare a guarigione spontanea (si può fare un’in ltrazione della cisti con cortisonici per stimolare la guarigione). CISTI ANEURISMATICA Colpisce la IIª decade (10-19 aa), si sviluppa sotto la cartilagine di accrescimento (senza romperla). È de nita aneurismatica perché aumenta di dimensioni ed è piena di sangue. Viene trattata con iniezioni sclerosanti; embolizzazioni ripetute nelle regioni non operabili (iniezione di sostanze che portano alla chiusura dei vasi); curettage + adiuvanti (osso sintetico/cemento) per riempire la zona. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fl fi fi fi fi OSTEOMA OSTEOIDE Lesione benigna caratterizzata dalla presenza di un nidus di tessuto osteoide circondato da una zona di iperostosi reattiva. Tumore che interessa i giovani (10-35 aa). Hanno un dolore continuo (anche di notte) sensibile (aumenta) con l’aspirina e l’assunzione di alcol. La scintigra a è la metodica più sensibile alla captazione sia del nidus che della zona reattiva. Sedi principali: femore e tibia. Viene trattato con asportazione completa del nidus o viene “bruciato” con radiofrequenze. TCG – Tumore a Cellule Giganti Tumore istologicamente benigno con aggressività locale (quando cresce di dimensioni disintegra gli elementi circostanti). Si distinguono: forma silente (G1), attiva (G2), aggressiva (G3). In meno del 2% dei casi presenta metastasi polmonari. Elevata percentuale di recidive locali (33%). Curettage adiuvanti locali e cemento/resezione. Denosumab: recente terapia con ef cacia oltre alla CHIR. OSTEOSARCOMA [sarcoma = maligno] Colpisce pazienti giovani (10-25 aa) ed è il 2° tumore maligno più comune dell’osso. Più frequente nel sesso maschile; colpisce soprattutto femore distale (40%), tibia e omero prossimali. Il trattamento prevede: terapia neo-adiuvante (pre-intervento), chirurgia e terapia adiuvante (post). CONDROSARCOMA Colpisce pazienti relativamente giovani (30-60 aa), è il 3° tumore maligno più comune dell’osso. Sedi colpite: bacino, ossa lunghe tubulari (femore e omero). Nelle ossa lunghe è prevalentemente prossimale, colpisce la regione meta saria. Dev’essere trattato chirurgicamente in quanto ha la peculiarità di essere chemioresistente e radioassistente. TUMORI A PICCOLE CELLULE BLU – Sarcoma di Ewing Colpisce soggetti giovani (< 20 aa). Tumefazione dolorosa con sintomi sistemici (febbre, malessere, calo ponderale..). Trattamento con chemioterapia neo-adiuvante + chirurgia + RT post-operatoria. ESAMI DI DIAGNOSI ED INTERVENTI TUMORALI RADIOLOGIA DELLE LESIONI BENIGNE Le lesioni benigne presentano: orsetto sclerotico (bordo che delimita); possibile deformità dell’osso; assenza di reazioni periostali; fratture patologiche (rare, ma non impossibili). fi fi fi RADIOLOGIA DELLE LESIONI MALIGNE TAC Consente di de nire anatomicamente i rapporti e la matrice della lesione ed anche le eventuali calci cazioni (possono essere segno di necrosi). Permette inoltre di veri care se ci sia o meno un interessamento della parte endostale dell’osso. RMN con mezzo di contrasto (mdc) Vede se c’è edema perilesionale del midollo; se c’è liquido (cisti aneurismatica); l’estensione dei tessuti molli; il coinvolgimento articolare e delle strutture neuro-vascolari. BIOPSIA Gesto chirurgico fondamentale per la diagnosi dei tumori dell’apparato muscolo-scheletrico. I margini del tumore e la funzione dell’arto possono essere compromessi da una biopsia mal condotta. L’intervento di resezione può essere condotto da un chirurgo meno esperto, quello di biopsia deve essere praticato da un chirurgo esperto nel campo oncologico. Si effettua quando la lesione eteroformativa del sistema muscolo-scheletrico è sintomatica e/o a rapida crescita; quando ha durata > 4 settimane ed un diametro > 5 cm. Ogni lesione deve essere considerata come maligna prima della diagnosi. La biopsia deve attendere l’imaging completo. Il tratto deve sempre essere considerato contaminato. METASTASI Le metastasi sono la diffusione di cellule tumorali da un tumore primario ad altre parti del corpo. L’osso è una sede molto frequente di metastasi (molto più probabile trovare una metastasi ossea rispetto ad un tumore osseo). In presenza di metastasi aumentano il dolore e la morbilità; la qualità della vita e la sopravvivenza (rispetto ad un tumore locale) si riducono e peggiorano gli outcome clinici. In caso di metastasi, il tasso di guarigione è inferiore al 35% ed è indipendente dal trattamento chirurgico; dipende invece dal tumore primitivo. fi fi fi ANCA Giunto sferico dell'articolazione sinoviale che collega il cingolo pelvico all'arto inferiore. Composto da testa del femore e acetabolo. Progettato per garantire stabilità (distribuzione dei carichi ottimale) e un'ampia gamma di movimenti. Ricoperta da un sottile strato di cartilagine ialina. Ha un labbro, ossia uno strato circolare di cartilagine che circonda la parte esterna dell'acetabolo, rendendolo più profondo e contribuendo così a fornire maggiore stabilità. La biomeccanica dell’anca è molto particolare; il peso corporeo, infatti, passa per il centro della sin si pubica (L5-S1), mentre il carico è trasferito sull’anca destra e sinistra (carico a sbalzo) e genera una forza di reazione (JRF) sulla linea del femore. Questa forza di reazione è contrastata e bilanciata dall’insieme delle forze generate dai muscoli adduttori e dal peso corporeo. È perciò necessario che il sistema di carichi e forze dell’articolazione sia ben bilanciato. Quando ciò non accade (es. alterazione dell’anatomia del collo femorale), variano anche le forze. I segni clinici di patologie all’anca sono: Dolore Rigidità Perdita di funzione Crepitazione Discrepanza nella lunghezza dell’arto In base ai sintomi riportati e alla localizzazione del dolore si possono riconoscere alcune patologie: Anterior hip pain: arthritis, hip exor strain, iliopsoas bursitis, labral tear Lateral hip pain: greater trochanteric bursitis, gluteus medius tear, iliotibial band syndrome (athletes), meralgia paresthetica (lateral femoral cutaneous nerve syndrome) Posterior hip pain: hip extensor and external rotator pathology, degenerative disc disease, spinal stenosis REFERED PAIN: hip pathology can be referred to the knee as they share the same nerves!!!! N.B: just because your patient has hip pain does not mean they have hip pathology… do not forget about referred pain from hernias, aorto-iliac vascular occlusive disease, etc. ESAME OBIETTIVO 1. ISPEZIONE: andatura del paziente; cicatrici/gonfiore/deformità; ASIS (lunghezza arti) 2. PALPAZIONE: dolorabilità sul grande trocantere, nella regione glutea (borsite trocanterica) 3. MOVIMENTO: flessione/abduzione/adduzione/rotazione e controllo ROM 4. TEST: Faber Test; Trendelemburg Test fi  fl DISPLASIA CONGENITA DELL’ANCA (DDH) Affezione caratterizzata, alla nascita, da insuf ciente sviluppo delle due componenti articolari dell’anca e da concomitante lassità capsulo-legamentosa. Si presenta una modi cazione dei rapporti articolari che, a seconda dell’entità, è possibile con gurare in un quadro di anca instabile; nel tempo, con l’azione muscolare e del carico può portare a sublussazione o lussazione. Affezione ereditaria che interessa soprattutto il sesso femminile (80%); spesso bilaterale (45%), può essere associata ad altre anomalie come il piede torto. Le cause della DDH possono essere genetiche o meccaniche. Dal punto di vista anatomico-patologico, si osserva una ridotta profondità del cotile; un ritardo nella comparsa del nucleo di ossi cazione della testa femorale; un eccessivo valgismo del collo del femore ed una lassità della capsula articolare. È classi cabile in 4 stadi: I. Prelussazione II. Sublussazione III. Lussazione IV. Lussazione inveterata I segni clinici di presunzione di una DDH sono: asimmetria delle pliche cutanee; tendenza della gamba all’extrarotazione, adduzione e essione (dovuta ad abnorme tensione dell’ileopsoas); lieve accorciamento dell’arto; rigidità articolare; patologie associate (piede torto). I segni clinici di probabilità di una DDH sono: manovra dello scatto di Ortolani e manovra dello Stantuffo. Scatto di Ortolani Manovra dello Stantuffo Metodo di Ombredanne (esame indiretto) Il nucleo cefalico è normale se si trova nel quadrante infero-interno; sublussato/lussato se è risalito e lateralizzato. Linea di Shenton (esame diretto) Linea curva continua che normalmente segue il margine mediale dell'epi si femorale e quello superiore del forame otturatorio. Essa può apparire interrotta nella lussazione congenita per la dislocazione verso l'alto del femore. fl fi fi fi fi fi fi La diagnosi, complessivamente, si avvale dello schema della triade di Putti: 1) Sfuggenza del tetto 2) Ipoplasia del nucleo cefalico 3) Interruzione dell’arco di Shenton Per quanto riguarda il trattamento, prima si interviene meglio è. Il momento migliore per intervenire è il periodo neonatale. L'obiettivo del trattamento è mantenere la testa del femore in sede (centrata nel cotile) mediante una esso-abduzione dell’anca. Nei neonati no a 6 mesi di età si applica il tutore di Pavlik per un periodo di 4 settimane. Se il trattamento non funziona (o non sono seguite correttamente le procedure) si somministra un intervento di riduzione chiusa in anestesia generale. In caso di lussazione dell’anca nei bambini con più di 18 mesi si effettua una osteotomia femorale. Tutore di Pavlik Osteotomia femorale OSTEOCONDROSI Alterazioni di tipo necrotico-degenerativo ad eziologia incerta che colpiscono uno dei vari nuclei epi sari o apo sari, durante il periodo della maggiore attività osteogenetica. Diverse localizzazioni: Morbo di Osgood-Schlatter: apo si tibiale anteriore Morbo di Perthes: epi si prossimale del femore Morbo di Scheuremann: corpi vertebrali dorsali MORBO DI PERTHES Abbastanza frequente nei bambini (4-12 aa); prevalente nei maschi; interessa il nucleo epi sario prossimale del femore; nel 10% dei casi è bilaterale; il decorso è lento (tra i 2-3 anni). La teoria patogenetica più accreditata è la teoria vascolare: minore apporto ematico o occlusione vasale. Inizialmente si ha degenerazione della cartilagine epi saria; sinovite plasmacellulare; necrosi e frammentazione dell’osso subcondrale. Successivamente, nei casi non trattati, si ha schiacciamento e deformazione del nucleo epi sario, accorciamento ed ingrossamento del collo femorale e spianamento della testa (coxa plana/magna), con conseguente incongruenza articolare. La sintomatologia è caratterizzata da dolore all’anca, dopo affaticamento, con irradiazione al ginocchio lungo la zona interna della coscia. Il soggetto affetto presenta una claudicatio di fuga (zoppia); atteggiamento in adduzione e rotazione esterna dell’anca; ipotro a del quadricipite femorale. È necessario uno studio radiogra co, anche per capire l’ evoluzione della malattia. Siccome si tratta di una frammentazione di un nucleo in crescita, è necessario proteggere la zona sia in termini di conservazione del ROM che in termini di carico; ancor più importante è garantire il posizionamento fi fi fi fl fi fi fi fi fi fi fi centrato della testa del femore nel cotile. Sul lungo termine è necessario prevenire l’artrosi dell’articolazione. In alcune situazioni si somministra un trattamento di contenimento, in altri casi si ricorre ad osteotomia. Possono subentrare complicanze (deformità testa femore; lesione labbro..). EPIFISIOLISI Scivolamento dell’epi si femorale sulla meta si; prevalente nel maschio adolescente (10-16 aa), normalmente unilaterale. L’eziologia della malattia è sconosciuta; le cause potrebbero essere i carichi siologici su si debole oppure dei carichi abnormi su si normale (incide il sovrappeso). Clinicamente si presenta con stessi sintomi del M. di Perthes (zoppia e dolore) associati a riduzione del ROM –> la rotazione esterna obbligata durante la essione dell’anca è fortemente suggestiva. Se non trattata degenera con un progressivo scivolamento verso il basso della testa no a che non si stabilizza (rischio artrosi, necessario intervento). La classi cazione radiologica, varia esattamente in funzione della % di scivolamento epi sario relativamente alla meta si (lieve, moderata, severa). La classi cazione tradizionale distingue il grado della malattia sulla base dell’insorgenza dei sintomi (acuta, cronica, acuta su cronica). La classi cazione di Loder distingue la malattia (stabile/instabile) in base alla capacità o meno di locomozione. Il trattamento è chirurgico, consiste nella fissazione in situ con singola vite come trattamento iniziale (1 vite perpendicolare alla si) o nell’osteotomia di femore prossimale nei casi gravi. Tra le complicanze post-operatorie, la principale è osteonecrosi. CONFLITTO FEMOROACETABOLARE (FAI) Il femoroacetabular impingement è una condizione che deriva dalla relazione anatomica-funzionale anormale tra il femore prossimale e il bordo acetabolare, associata a movimenti ripetitivi, che causano lesioni del labbro e della cartilagine acetabolare. Interessa giovani o giovani adulti (maggiormente uomini); può essere preceduta da piccolo trauma o completamente atraumatica. Si avverte dolore intermittente esacerbato da attività sica intensa o da posizione seduta prolungata. fi fi fi fi fi fi fi fi fl fi fi fi fi fi Per la diagnosi si somministrano: Test di Faber (Flessione, ABduzione, ExtRarotazione): spesso positivo nel FAI Test di Faddir (Flessione, ADDuzione, IntRarotazione) Rolling test: intra-extrarotazione dell’anca a ginocchio esteso a paziente supino Test del con itto femoroacetabolare posteriore CHIRURGIA OPEN Viene effettuata una osteotomia trocanterica (Ganz) ad anca aperta e lussata anteriormente (permette una visione a 360° della testa femorale e dell’acetabolo, facilitando la correzione delle anormalità anatomiche e dei trapianti cartilaginei). Il recupero post-operatorio è più lento e aumenta il rischio di necrosi, indotto dallo stress vascolare alla testa del femore. TECNICA ARTROSCOPICA Femoroacetabular Impingement Recupero veloce; netta diminuzione dei rischi di necrosi ma la visione non è sempre ottimale ed è operatore dipendente. g. 1—Flowchart shows Femoroacetabular Impingement Conventional Ra assification of types of Imaging Techniqu moroacetabular mpingement. The role of ima Acetabulum Femur (excessive coverage) (nonspherical head) impingement is to e = Pincer impingement = Cam impingement malities associated exclude arthritis, av General Focal Osseous bump Femoral retrotorsion, joint problems on ra Coxa vara thrography can then Coxa Protrusio Anterior Posterior Lateral Anterosuperior clude labral tears, ca profunda acetabuli (acetabular retroversion) (prominent posterior wall) (pistol-grip deformity) pathologic signs of i impingement is susp g. 2—Normal ography is then usu onfiguration ofGINOCCHIO hip with cartilage and labral ufficient joint clearance standing of the bone lows unrestricted nge of motionTRAUMI (top). In DISTORSIVI Standard conven ncer impingement, ing for femoroace Un xcessive acetabular trauma in valgo- essione-rotazione esterna causa in genere la lesione di una o più componenti cludes two radiogr vercoverage leads to del compartimento interno/mediale, come il LCM. Un trauma in varo- essione-rotazioneposterior interna pelvic vie arly linear contact etween femoral può lesionare elementi del compartimento esterno/laterale, come il LCL. Se il trauma avviene view ofinthe proxima ead–neck junction and iperestensione può avvenire la rottura isolata del legamento crociato anteriore (LCA). to the axial view, cetabular rim, resulting preferably in 45º of labrum degeneration nd significant cartilage to reveal pathomor amage. Posteroinferior femoral head–neck ortion of joint is teroposterior pelvic amaged (contrecoup) in the supine positio ue to subtle nally rotated to com fl fl fl Valgo-flessione-rotazione esterna Varo-flessione-rotazione interna In caso di distorsione al ginocchio, la prima cosa da fare in acuto è il test del cassetto anteriore unitamente al Lachman test per valutare se c’è lesione del LCA (positivo se la tibia scorre in avanti rispetto al femore). Immediatamente dopo si esegue il test del cassetto posteriore per valutare se c’è lesione del LCP (positivo se la tibia scorre indietro rispetto al femore) che talvolta è resa visibile a occhio da una riduzione della prominenza della tuberosità tibiale anteriore. Cassetto anteriore Cassetto posteriore Lesioni associate: spine tibiali (punto di inserzione del LCA); testa del perone; lesione dello SPE se trauma molto importante in varo; contusioni della cartilagine e dell’osso subcondrale. Ossi cazioni del LCM (postchirurgiche o spontanee). LUSSAZIONE Può essere anteriore o esterna. Causa lesioni multi-legamentose, ma anche vascolari e nervose. LASSITÀ POSTERIORE CRONICA Dovuta ad una lassità del LCP che causa frequente sovraccarico femororotuleo. La rottura del LCP è ben tollerata; la lassità viene riguadagnata in 1-2 anni, nonostante la persistenza del cassetto. La ricostruzione del LCP è rara. LESIONE LCA Nel bambino causa frattura delle spine tibiali (90%), non ancora completamente ossi cate; solo raramente la rottura del legamento (10%). La clinica è la medesima dell’adulto: con LCA rotto si possono praticare sport come corsa, bicicletta, nuoto (no rana) ma non sport che prevedono cambi di direzione, che causerebbero ulteriori lesioni meniscali e cartilaginee. PATOLOGIA TRAUMATICA DELL’APPARATO ESTENSORE Un trauma all’apparato estensore del ginocchio può causare lesioni muscolari, oppure: fi fi ROTTURA DEL TENDINE QUADRICIPITALE La rottura del tendine quadricipitale (che di norma tira la rotula in alto, verso il quadricipite) causa uno spostamento della rotula verso il basso, impossibilitando l’estensione del ginocchio. Si opera per ricostruire chirurgicamente il tendine (l’intervento può essere di riparazione tra due segmenti del tendine, oppure di reinserzione del tendine sull’osso patellare). Nell’adulto la lesione può essere più prossimale; se non trattata può causare impotenza funzionale all’estensione completa e una calci cazione del polo rotuleo in corrispondenza di dove si è creato ematoma. FRATTURA DELLA ROTULA La frattura di rotula causa un’incapacità ad estendere completamente la gamba. Si può sintetizzare con un cerchiaggio di Zuggurtung ( li metallici all’interno e attorno alla rotula per compattarla). ROTTURA DEL TENDINE ROTULEO La clinica della rottura del tendine rotuleo è la stessa del tendine quadricipitale, viene lesionato il tendine che normalmente mette in tensione la rotula con la tibia, perciò si vedrà uno spostamento della rotula verso l’alto. Normalmente viene suturato il tendine e viene applicato un cerchiaggio preventivo, che poi verrà tolto (l’apparato estensore non ha una grossa tenuta). AVULSIONE DELLA TUBEROSITÀ TIBIALE ANTERIORE –TTA L’avulsione della TTA consiste nello strappamento della tuberosità tibiale anteriore causato da una tensione eccessiva provocata dal tendine rotuleo (soprattutto soggetti in crescita) –> è una frattura! N.B: osso con osso guarisce meglio rispetto a tendine con tendine e a tendine con osso. fi fi INSTABILITÀ DELLA ROTULA L’angolo di valgismo formato dal tendine rotuleo e dal tendine quadricipitale è chiamato angolo Q. I legamenti alari stabilizzano medialmente e lateralmente la rotula. L’instabilità rotulea è una patologia che spesso si presenta in soggetti bambini e adolescenti, costituita da un’insieme di quadri clinici che portano a fenomeni di dolore o lussazione della patella. Alla base di questa patologia vi è una displasia dell’apparato estensore (teoria del treno sui binari – rotula su troclea femorale). La lateralizzazione della rotula causa un’iperpressione del comparto esterno (raramente interno) con tendenza alla lussazione, e quindi dolore. Lateralizzazione della rotula con iperpressione sul comparto esterno LUSSAZIONE TRAUMATICA VERA – ROTULA Il paziente non ha mai sofferto di anomalie femoro-rotulee; la lussazione della rotula, la prima volta, avviene per trauma diretto (talvolta anche con minime forze favorenti) e prevalentemente all’esterno, per conformazione anatomica. Il meccanismo traumatico avviene quasi sempre in VALFE (valgo- essione) e causa l’inevitabile rottura del legamento alare interno. La lesione dell’alare interno può avvenire con o senza bratta ossea, e può comportare la frattura della cresta mediale della rotula o del bordo della troclea (sfregamento). Chi ha una displasia dell’apparato estensore, spesso, dopo un primo episodio di lussazione, può presentare lussazioni recidivanti. Il soggetto che non ha fattori predisponenti alla lussazione della rotula (a maggior ragione se atleta), dopo un primo episodio, viene operato con sutura (o comunque i legamenti si cicatrizzano da soli e guariscono). I soggetti che hanno fattori predisponenti a tale trauma spesso non vengono operati ai legamenti (perché cadrebbero in lesioni recidive) ma si agisce per correggere le deformità che favoriscono la lussazione. In casi molto rari si può osservare una lussazione congenita della rotula associata a malformazioni muscolo-legamentose e anomalie di fl sviluppo delle super ci osteocartilaginee. In questo caso la rotula subisce una lussazione che è necessaria ogni qualvolta si voglia ettere il ginocchio (obbligo di chirurgia). La diagnosi ed il trattamento devono tener conto dei fattori classi cabili come in gura: Complessivamente i fattori dell’instabilità rotulea, anche rilevabili con esami strumentali, sono: Angle Q TA - GT -> distanza tra apo si tibiale anteriore e gola della troclea (mediamente 12 mm) Lassità costituzionale Patella alta Displasia della troclea Valgismo Antiversione femorale SPALLA LUSSAZIONI RECIDIVANTI ANTERIORI Si parla di lussazioni recidivanti se si ripresentano frequentemente (intervallo variabile). Interessano sport come tennis, rugby e pallamano, ma non solo. Le lussazioni recidivanti avvengono in seguito a traumi anche minimi o semplicemente con movimenti di RE (rotazione esterna) o abduzione della spalla. La causa principale è una instabilità cronica anteriore. Il ripetersi delle lussazioni genera: Lesioni del cercine glenoideo Lesioni capsulari Hill-Sachs: lesione della testa omerale che sbatte contro il bordo inferiore della glena Bankart: lesione del margine anteriore della glena che sbatte contro la testa dell’omero Lesioni alla cuf a dei rotatori Le lussazioni recidivanti sono favorite da una iperlassità costituzionale, valutata tramite: - Sulcus Test: iperlassità inferiore, positivo se si crea un solco - Test del cassetto: lassità antero-posteriore, positivo se la testa dell’omero scatta avanti e indietro - Test dell’abduzione passiva: positivo se l’abduzione supera i 90° - Apprehension Test: extrarotazione con spalla in abduzione, positivo con sensazione di instabilità - Relocation Test fi fi fi fl fi fi Sulcus test Test del cassetto Abduzione passiva Apprehension test Il trattamento della lussazione anteriore di spalla: 1) Tecnica di Bankart: tecnica artroscopica che ripara solo tessuti molli. Capsuloplastica anteriore (reinserzione della capsula sulla glena) per riparare il cercine (o labbro) glenoideo. 2) Blocco anteriore della glena: tecnica aperta (per arrivare alla capsula anteriore bisogna tagliare il sottoscapolare). Trapianto osseo ssato con viti al margine anteriore della glena 3) Trasposizione della coracoide (tecnica di Latarjet) nella porzione anteriore della glena 1 2 3 PATOLOGIA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI Rotture traumatiche Rottura del sovraspinato o rotture massive con conseguente dolore sotto l’acromion con possibile irradiazione al deltoide. Grave limitazione funzionale (spalla pseudoparalitica). La diagnosi avviene con ECO-RM che mostrano la rottura. Il trattamento delle rotture recenti può essere di reinserzione chirurgica: soprattutto nei soggetti giovani con cuf a non degenerata, oppure di tipo conservativo: sioterapia e rinforzo dei muscoli abbassatori della spalla (gran dorsale; piccolo pettorale; trapezio). Se la rottura avviene su una cuf a già degenerata il dolore è quasi permanente, aumenta durante la notte e peggiora con l’elevazione del braccio. Test clinici di problematiche al sovraspinato: Test di Neer Test di Hawkins Test di Yocum JOBE test fi fi fi fi Se la lesione è piccola si sutura; nei casi inveterati si reinserisce il tendine in una trincea ossea. Sindrome da con itto sotto-acromiale Abnorme impingement tra i tendini della CDR e l’acromion nei movimenti di essione e abduzione del braccio che crea in ammazione, degenerazione o rottura della cuf a. L’in ammazione della borsa sinoviale subacromiale-deltoidea può peggiorare la clinica riducendo ulteriormente lo spazio disponibile ed aumentando l’impingement. Test di Neer con in ltrazione antin ammatoria. De cit tendinei della CDR Lesioni o degenerazioni che colpiscono uno o più tendini dei muscoli della CDR. Una situazione frequente è il de cit del tendine del bicipite (capo lungo/breve); i test utilizzati sono: Palm-up test Test di Yergason Lesione o rottura del capo lungo del bicipite La rottura del capo lungo del bicipite porta alla comparsa nella zona del braccio di una pallina, in essione contrastata: segno di Popey. Il trattamento della rottura del CLB consiste in una tenodesi, ovvero la rimozione della parte danneggiata del tendine del bicipite e ssazione della sua estremità ad un osso, di solito il tubercolo del bicipite, situato sull’omero. Questa lesione porta all’ascensione della testa omerale, con riduzione dello spazio articolare e conseguente con itto subacromiale. Segno di Popey Tenodesi I con itti subacromiali causati da lesioni inveterate della CDR sono trattati, sia in artroscopia che in chirurgia classica, con una acromioplastica di Neer, ossia la rimozione di una parte dell’acromion. fl fi fl fi fl fi fi fi fi fl fi fl fi Acromioplastica di Neer Calci cazioni della cuf a Depositi di calcio che si formano nei tendini dei muscoli che compongono la CDR (in particolare al tendine del sovraspinato). Le calci cazioni possono causare dolore, in ammazione e limitazione dei movimenti della spalla. Le calci cazioni vengono trattate in artroscopia. PATOLOGIE OSSEE METABOLICHE Si possono distinguere due categorie: Patologie metaboliche con insuf ciente mineralizzazione ossea: rachitismo e osteomalacia Patologie metaboliche con inadeguata osteogenesi e aumentata osteolisi: osteoporosi RACHITISMO Malattia metabolica caratterizzata da insuf ciente mineralizzazione ossea in seguito a carenza di calcio e vitamina D. Il rachitismo interessa lo scheletro in fase di accrescimento (soprattutto nei primi due anni); può essere associato ad altre patologie come malattie dell’assorbimento intestinale; brosi cistica; celiachia oppure a resezioni intestinali. Si distingue: - Rachitismo tipo I: causato da alterato metabolismo epatico o osteodistro e renali (è una forma geneticamente trasmessa) - Rachitismo tipo II: associato alla resistenza alla vitamina D degli organi periferici Il rachitismo si manifesta con: deformità delle ossa, più comuni a carico del cranio e della colonna (incremento della cifosi e della scoliosi) e a carico degli arti inferiori (ginocchio varo o valgo); indebolimento osseo delle ossa dell’occipite; rallentamento della crescita staturale; ritardo nella eruzione dei denti e nell’inizio della deambulazione. La diagnosi è clinica; gli esami di laboratorio evidenziano: lieve ipocalcemia; ipofosforemia; ipovitaminosi D; aumento della fosfatasi alcalina. Nel rachitismo le zone di coniugazione delle cartilagini di accrescimento appaiono ingrossate; tipiche sono le meta si a coppa di champagne di ulna e radio. Inoltre sono chiaramente visibili le deformità ossee, come il ginocchio valgo o varo. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi La terapia è preventiva e consiste, nei nati pretermine, nella somministrazione di vitamina D e calcio durante il I° anno di vita. Se ci sono deformità scheletriche è utile che vengano corrette il prima possibile, ad esempio con appositi tutori, per evitare l’artrosi secondaria. Nelle diagnosi conclamate, la terapia è volta alla correzione degli indici carenziali (vitamina D, calcemia, fosfatemia), mentre nei casi secondari a patologia di organo, la terapia è volta alla risoluzione della patologia primitiva (fanno eccezione le forme genetiche in cui è necessario un dosaggio più elevato di vitamina D). Metafisi a coppa di champagne OSTEOMALACIA L’osteomalacia, tipica dell’età adulta, è una osteopatia metabolica demineralizzante, caratterizzata dalla presenza di tessuto osteoide non calci cato in misura superiore alla norma associato a: malassorbimento vit. D; celiachia; morbo di Chron; diverticolosi; resezioni gastriche; insuf cienza renale e/o epatica. L'osteomalacia non dev'essere confusa con l'osteoporosi, nella quale si riscontra una riduzione della quantità di matrice ossea normalmente mineralizzata; nell'osteomalacia, invece, si veri ca la condizione opposta: la microarchitettura ossea è normale, ma il suo contenuto minerale risulta insuf ciente. Il quadro clinico è dominato da dolori ossei diffusi e da un’astenia muscolare che può far pensare inizialmente ad una patologia muscolare, mentre le deformità scheletriche possono passare inosservate. Si possono sviluppare delle deformità a carico degli arti inferiori e del bacino ma soprattutto si veri cano delle fratture patologiche dovute alla scarsa resistenza dell’osso osteomalacico. Tipiche sono le fratture vertebrali da schiacciamento. L’osteomalacia presenta un quadro radiogra co caratterizzato da un aumento di trasparenza ossea, una riduzione delle trabecole della spongiosa, corticali assottigliate. La terapia consiste nella somministrazioni di adeguate dosi di vitamina D, associata ad integrazione di calcio e fosforo (in caso di carenza anche di questi ultimi), trattamento delle patologie d’organo. OSTEOPOROSI L’osteoporosi è una malattia a carattere evolutivo che determina una riduzione progressiva della massa ossea. Aumentano gli spazi midollari e diminuisce la componente minerale di calcio e fosforo senza alterazioni del rapporto tra la componente organica e la componente inorganica (struttura ossea non alterata, ma più debole, quindi più esposta a fratture). L’osteoporosi colpisce prevalentemente le donne. Le cause sono distinte in primarie (familiarità; menopausa; carente assunzione di calcio e vitamina D nell’età adulta; non aver avuto gravidanze; sedentarietà; fumo; alcol) e secondarie (uso di corticosteroidi; associazione di altre patologie; immobilizzazione). Ha insorgenza molto lenta, quindi i sintomi sono spesso subdoli. Quando la densità ossea diminuisce si può andare incontro a dolori ossei intensi e persistenti. Spesso può anche comparire una frattura spontanea. Le sedi più colpite sono il rachide lombare, l’epi si prossimale del femore e la frattura fi fi fi fi fi fi fi del polso (anche per traumi minori). La diagnosi si fa con la tecnica DEXA, ossia una densitometria ossea a livello di rachide e femore. Raffrontando il risultato densiometrico del paziente con quello medio di soggetti sani di 25-30 aa (picco di massa ossea), espressi in T-score, classi chiamo: - Salute ossea normale: > -1 - Osteopenia: tra -1 e -2.5 - Osteoporosi: < -2.5 - Osteoporosi severa: < -2.5 con frattura Il trattamento preventivo più comune nell’osteoporosi primaria è l’assunzione giornaliera di calcio e vitamina D, che inibiscono il riassorbimento osseo. Anche l’esercizio sico rientra nel trattamento dato che il carico stimola la produzione di osso. Per quanto riguarda l’osteoporosi secondaria la terapia consiste nel curare la patologia primaria. IPERPARATIROIDISMO Patologia derivante da una eccessiva attività delle ghiandole paratiroidee che causa un incremento della concentrazione ematica di paratormone che altera il metabolismo del calcio e del fosforo (ipercalcemia ed ipofosforemia) e determina delle lesioni a livello scheletrico (l’aumento del paratormone determina una importante attivazione osteoclastica a livello osseo con intensa osteolisi ossea). Il mal funzionamento delle paratiroidi può essere primario (idiopatico/ereditario), oppure secondario ad altre patologie (insuf cienza renale cronica, malassorbimento intestinale di calcio, rachitismo, osteomalacia, allattamento, gravidanza). I segni e sintomi più evidenti sono: dolori; deformità; tumefazioni (tumori bruni: tessuto broso midollare sostituito a tessuto osseo); fratture patologiche. La certezza diagnostica è data dall’esame ecogra co che identi ca un adenoma o una iperplasia ipotiroidea. Le alterazioni ossee si sviluppano molto lentamente e sono reversibili, infatti, eliminando la causa dell’iperpartiroidismo le lesioni ossee tendono a riparare in 9-15 settimane (deformità importanti permangono). La terapia consiste nell’asportazione dell’adenoma o della ghiandola parotidea iperplastica. GOTTA La gotta è una malattia del metabolismo delle purine caratterizzata da iperuricemia (aumentata produzione o ridotta escrezione di acido urico: il prodotto nale del catabolismo delle purine). L’aumento di acido urico nel sangue determina un’attivazione dei meccanismi dell’in ammazione (fase acuta) seguita dalla deposizione di cristalli di urato (fase cronica) a livello articolare (cartilagini, membrana sinoviale, tendini, borse). Le articolazioni più frequentemente colpite sono la fi fi fi fi fi fi fi fi metatarso-falangea del I° dito del piede, le ginocchia le mani e i polsi. L’articolazione si presenta edematosa, tesa, arrossata, calda e dolente. Il dolore raggiunge il massimo dell’intensità a 48h dalla comparsa e recede spontaneamente in 7-10 gg. Nella fase acuta, molto dolorosa, vengono somministrati antiin ammatori a dosaggio importante. Il trattamento cronico, invece, avviene attraverso l’impiego di farmaci che inibiscono la sintesi di acido urico. MALATTIA DI PAGET La malattia è caratterizzata da un alterato turnover osseo con prevalenza dell’attività osteoclastica e formazione disordinata di nuovo osso da parte degli osteoblasti. Questi fenomeni determinano una progressiva deformazione delle ossa. Le ossa più frequentemente colpite sono quelle di: bacino; femore; cranio; tibia; colonna lombo sacrale; clavicola e coste. La malattia può interessare un solo osso oppure più ossa (poliostotica). La diagnosi può essere confermata da esami di laboratorio che evidenziano un aumento importante della fosfatasi alcalina nel siero. Nella maggior parte dei casi la malattia non necessita di terapia. Può essere necessaria una terapia antidolori ca per il dolore da deformazione progressiva. Per ridurre invece il riassorbimento osseo si possono usare bifosfonati e calcitonina. PRINCIPALI PATOLOGIE DEL GOMITO E AVAMBRACCIO Il gomito rappresenta un crocevia superaffollato di strutture. Ciascun compartimento comprende strutture osteoarticolari; capsulolegamentose; muscolotendinee; nervose e vascolari. Una patologia del gomito può coinvolgere contemporaneamente più di una struttura. Compartimento Esterno Maggiormente utilizzato nelle attività che avvengono con spalla extraruotata, gomito esteso, avambraccio supinato, polso esteso. Comprende: articolazione omero-radiale; capsula; legamento collaterale esterno; legamento anulare; muscoli epicondiloidei (del cacciavite); nervo radiale. Compartimento Interno Maggiormente utilizzato nelle attività che avvengono con spalla intraruotata, gomito esso, avambraccio pronato, polso esso. Comprende: articolazione omero-cubitale; capsula; legamento collaterale interno; legamento anulare; muscoli epitrocleari; nervo ulnare. fi fl fi fl Compartimento Anteriore Maggiormente utilizzato nelle attività che avvengono con spalla intraruotata, gomito esso, avambraccio pronato, polso esteso, dita esse. Comprende: articolazione omero-cubitale; capsula; pronatore rotondo; essori super ciali delle dita; essore radiale del carpo; nervo mediano; tendine distale del bicipite brachiale; arteria brachiale. Compartimento Posteriore Maggiormente utilizzato nelle attività che avvengono mediante estensione ripetuta del gomito con spalla intraruotata, avambraccio supinato. Comprende: articolazione omero-cubitale; capsula; tricipite. fl fi fl fl fl TENDINOPATIE Possono coinvolgere il tendine del bicipite distale (patologia da sovraccarico o rottura); i tendini dei muscoli della loggia laterale: epicondilite (gomito del tennista, molto frequente) o dei muscoli della loggia mediale: epitrocleite (gomito del gol sta). La diagnosi si avvale di esami clinici (pressione; funzione attiva contro resistenza del gruppo muscolo-tendineo interessato) e di esami strumentali (RX; RM; eco). Il trattamento delle tendinopatie al gomito consiste nella sioterapia (massaggi di scarico della membrana interossea, per liberare la muscolatura tra radio e ulna; stretching dei muscoli epicondiloidei/epitrocleidei; riequilibrio della catena cinetica dell’arto superiore) associata a terapia farmacologica (FANS, antibiotici) e terapia in ltrativa (lidocaina, cortisonici, PRP, acido ialuronico). Quando tutto ciò non funziona si ricorre alla terapia chirurgica. NEUROPATIA DEL NERVO RADIALE Si manifesta con dolore e de cit motorio dei muscoli dipendenti e con ipotro a della loggia dorsale dell’avambraccio. Questa patologia si manifesta spesso per compressione del nervo, perciò la diagnosi si avvale di un esame elettromiogra co e successivamente di RM, RX o ecogra a. C’è una zona dell’avambraccio, detta arcata di Frohse, in cui il nervo radiale passa sotto al muscolo supinatore breve. La più comune neuropatia da compressione del nervo radiale è quella che interessa il suo ramo terminale profondo chiamato anche nervo interosseo posteriore (NIP). NEUROPATIA DEL NERVO ULNARE Le compressioni del nervo ulnare, che fornisce sensibilità e controlla i muscoli della parte laterale di avambraccio e mano, sono molto più frequenti di quelle del nervo radiale. Anche in questo caso, per valutare se vi sia una compressione del nervo, oltre al test di Tinel, si utilizza l’elettromiogra a (poi RM, Rx, eco). Il trattamento chirurgico consiste nel release (liberazione) del tendine, oppure nella trasposizione anteriore. Release tendineo Trasposizione anteriore fi fi fi fi fi fi fi fi NEUROPATIA DEL NERVO MEDIANO La compressione del nervo mediale (rara) è causata dal lacerto broso del tendine del bicipite. Il nervo mediano fornisce sensibilità alla parte anteriore della mano; la diagnosi (clinica) ed il trattamento sono gli stessi delle compressioni viste precedentemente. ARTROPATIE DI GOMITO Deviazioni assiali Alterazioni del normale allineamento delle ossa, che possono portare a un posizionamento scorretto degli arti. Possono essere di natura post-traumatica (fratture) oppure congenite. Patologie sistemiche Malattia di Paget: formazione anomala di tessuto osseo da parte degli osteoblasti che rende l’osso meno resistente, quindi maggiormente suscettibile a fratture. Artrite reumatoide: condizione in cui il sistema immunitario attacca erroneamente il tessuto sano dell’articolazione (membrana sinoviale), provocando in ammazione e danno strutturale. Condromatosi: formazione di noduli o frammenti di cartilagine all’interno delle articolazioni Sinoviti: in ammazioni della membrana sinoviale RIGIDITÀ ARTICOLARI Limitazione funzionale del movimento articolare, in particolare della prono-supinazione e della esso-estensione. La rigidità articolare piò derivare da: calci cazioni muscolari (depositi di sali di calcio); incongruenze delle componenti osteoarticolari; capsuliti adesive (blocco articolare in seguito ad in ammazione); deviazioni assiali. Il trattamento delle rigidità articolari consiste nella sioterapia; quando non è suf ciente, si ricorre alla mobilizzazione in narcosi (sotto anestesia); ed eventualmente alla terapia chirurgica (miniinvasiva o artroscopica). fl fi fi fi fi fi fi fi MALATTIE GENETICHE CON COINVOLGIMENTO OSTEOARTICOLARE SINDROME DI MARFAN Malattia genetica autosomica dominante del tessuto connettivo caratterizzata da alterazioni muscolo-scheletriche, oculari e cardiovascolari per via di una mutazione del gene della brillina. La malattia causa: iperlassità articolare; altezza patologica; arti sottili; aracnodattilia (mani con dita lunghe e sottili); scoliosi. I segni clinici positivi sono: Wrist sign Thumb sign Rapporto span/altezza > 1.05 OSTEOGENESI IMPERFETTA Anche conosciuta come malattia delle ossa fragili o malattia delle ossa di vetro. Comprende un gruppo di difetti ereditari della sintesi del collagene che, a seguito della formazione di molecole biologicamente instabili, causano alterazioni scheletriche (legamenti, occhi, denti e cute). La fragilità ossea è l’elemento più caratteristico di questa malattia che si manifesta più comunemente nell’infanzia e tende a attenuarsi con il passare degli anni. Causa un ridotto accrescimento e spesso nei bambini si osservano fatture o microfratture secondarie a traumi banali. OSTEOPETROSI Patologia delle ossa fragili caratterizzata dall’aumento della densità ossea e dalla riduzione degli spazi midollari. Nonostante l’aspetto iperdenso alle radiogra e, lo scheletro è fragile e va spesso incontro a fratture (la riduzione dello spazio midollare riduce la vascolarizzazione dell’osso). ACONDROPLASIA È la più comune displasia scheletrica, caratterizza da una alterazione della crescita della cartilagine epi saria (crescita molto lenta), no alla comparsa di un nanismo disarmonico (brevità delle ossa lunghe). È una patologia autosomica dominante. Lo sviluppo psico-sessuale dei pazienti affetti è normale e la loro aspettativa di vita è sovrapponibile a quella della popolazione sana. MUCOPOLISACCARIOSI Malattie rare riconducibili alla alterazione enzimatica dei mucopolisaccaridi o glicosaminoglicani che si accumulano in cellule/tessuti/organi perché non vengono degradati. Generalmente la malattia si manifesta con perdita di apprendimenti precedentemente acquisiti; irrigidimento articolare; disturbi uditivi/visivi/cardiaci/respiratori. fi fi fi fi DISTROFIE MUSCOLARI Gruppo di malattie muscolari geneticamente determinate ad evoluzione progressiva, causate dalla degenerazione primitiva del tessuto muscolare per de cienza di uno o più enzimi coinvolti nel metabolismo delle bre. I muscoli colpiti sono normalmente innervati. L’età più colpita è l’infanzia o l’adolescenza (anche se esistono alcune forme di distro a nell’adulto); il sesso più colpito è quello maschile. Distro a muscolare di Duchenne La forma più grave e comune, causata da una mutazione del gene della distro na (proteina presente nei muscoli che ha il compito di mantenere la stabilità delle membrane cellulari). L’esordio avviene tra i 3-5 anni colpendo prevalentemente gli arti inferiori con disturbi iniziali che riguardano la marcia: cadute, dif coltà a correre o salire le scale. Alla debolezza/atro a dei muscoli della coscia e del cingolo pelvico si contrappone l’aumento di volume muscolare del muscolo tricipite della sura (polpaccio), successivamente sostituito dal quadro di pseudo-ipertro a in quanto si assiste ad una sostituzione del tessuto muscolare con tessuto adiposo. Osservando il paziente di pro lo si nota l’accentuazione della lordosi lombare con una ipercifosi compensatoria (indice di coinvolgimento dei muscoli paravertebrali). Durante la deambulazione il paziente divarica gli arti e ondeggia ad ogni passo con caduta laterale del tronco e del bacino verso l’arto di appoggio (andatura anserina). Un atteggiamento tipico del paziente con distro a di Duchenne lo si nota quando questi si solleva dalla posizione sdraiata o seduta: a causa della debolezza dei muscoli del tronco e del cingolo pelvico, il malato tende ad arrampicarsi su se stesso dapprima appoggiandosi a terra per sollevarsi, poi sulle ginocchia ed in ne sulle cosce (manovra di Gowers). Il decorso è lento e progressivo; dopo circa 10 anni dall’inizio della malattia, il paziente perde la capacità di deambulare. Da questo momento in poi si sviluppano rapidamente retrazione muscolare che determinano deformità osteoarticolari (cifoscoliosi, piede equino). In genere i pazienti affetti da distro a muscolare di Duchenne vivono no alla terza/quarta decade. La morte sopraggiunge per complicanze respiratorie, favorite dall’atro a dei muscoli del tronco e dell’addome. Distro a muscolare di Becker Esordio più tardivo (5-15 aa). Atro a dei cingoli e pseudoipertro a del tricipite surale in assenza di retrazioni muscolari o deformità scheletriche. L’aspettativa di vita un paziente affetto da distro a fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi muscolare di Becker è uguale a quella della popolazione generale, ma la capacità di deambulare viene persa circa 20 anni dopo l’esordio. N.B: nel trattamento della distro a, la siokinesiterapia è fondamentale per il mantenimento funzionale ed il rinforzo muscolare che possono garantire l’autonomia deambulatoria. TORCICOLLO CONGENITO OSSEO E MIOGENO Deviazione laterale permanente del capo e del collo rispetto al tronco. Può essere congenito, di natura ossea o miogena, oppure secondario ad altre patologie. Il quadro clinico appare evidente con la deviazione laterale irriducibile del capo (per retrazione dello sternocleidomastoideo). Torcicollo osseo Torcicollo miogeno Il trattamento del torcicollo osseo consiste in interventi di taglio, modi cazione e sintesi dell’osso. Il trattamento del torcicollo miogeno, invece, varia a seconda dell’età del paziente. Nel primi due anni di vita si esegue un trattamento conservativo che consiste nell’utilizzo di fasce morbide e/o collari che mantengono il collo in posizione neutra. L’intervento chirurgico si esegue nei soggetti oltre due anni di età e consiste nella tenotomia (taglio del tendine) e nel release del muscolo sternocleidomastoideo. Successivamente si applica un collare di mantenimento che mantiene il capo in ipercorrezione, ossia ruotato ed inclinato in senso opposto, per circa 2 mesi. Il torcicollo secondario può essere dovuto ad alterazioni osteoarticolari; a traumi (sublussazione o lussazione rotatorie della prima e seconda vertebra cervicale) oppure ad atteggiamenti compensativi associati a disturbi uditivi/oculari. SPINA BIFIDA Malformazione congenita dovuta ad una mancata chiusura posteriore del tubo neurale attraverso il quale il contenuto del canale può erniare. È abbastanza frequente e si osserva quasi sempre nel tratto lombosacrale. Le cause sono ignote anche se è certo che sono coinvolti molteplici fattori genetici e legati alla gravidanza (es. carenza di acido folico nella madre). L’anomalia consiste in una mancata chiusura dell’arco vertebrale posteriore, cui spesso si associano malformazioni del sacco durale, delle radici e delle meningi spinali. Da un punto di vista clinico la spina bi da può essere: Occulta: mancata fusione dei nuclei di ossi cazione delle lamine dei corpi vertebrali Meningocele: agenesia delle lamine vertebrali e della dura madre che determina una protrusione dell’aracnoide e del liquido cefalo-rachidiano Mielomeningocele: protrusione coinvolge anche il midollo spinale fi fi fi fi fi Il trattamento della spina bi da occulta, di meningocele o mielomeningocele è chirurgico e consiste nella correzione della deformità attraverso l’apertura del sacco durale, l’affondamento delle radici erniate e la copertura plastica muscolare e cutanea. Il trattamento è immediato perché può evitare la morte rapida per meningite. COSTA CERVICALE Difetto anatomico congenito, rappresentato dal processo trasverso della settima vertebra cervicale molto sviluppato, tanto da sembrare una costa (mega-apo si di C7), oppure dalla costa cervicale propriamente detta, che presenta una vera e propria articolazione costo trasversaria. Questa costa può provocare una sindrome da con itto con il plesso brachiale (nervi delle radici da C5 a T1) e/o con l’arteria succlavia. Clinicamente il paziente può essere del tutto asintomatico oppure lamentare dolore cervicale. Chiedendo al paziente di girare la testa verso il lato interessato trattenendo il respiro, può scomparire il polso radiale (manovra di Atson). La diagnosi è radiogra ca, mentre il trattamento va dalla terapia sica, alla scalenotomia, all’exeresi della parte prominente. IPOPLASIA E APLASIA DEGLI ARTI Per ipoplasia si tende l’incompleto sviluppo degli arti, che si presentano di dimensioni ridotte e spesso con alterazioni funzionali associate. L’aplasia è il mancato sviluppo degli arti derivante da un difetto di differenziazione durante l’embriogenesi. Il trattamento in caso di aplasia è chirurgico, allo scopo di rendere funzionale il moncone residuo per applicare una protesi. Nell?

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