Oncologia Medica: Tumori Urologici (PDF)
Document Details
Uploaded by WellBredEuphoria8350
Università per Stranieri di Perugia
2024
Rebecca Frezzato
Tags
Summary
These notes cover the topics of urological tumors, specifically, kidney, bladder, and prostate cancers. The document details the epidemiology, including the incidence in Italy. Risk factors and the histologic subtypes of renal cell carcinoma (RCC) are also discussed, along with molecular characterization of RCC, particularly the inactivation of the Von Hippel-Lindau (VHL) gene.
Full Transcript
MATERIA: Oncologia medica SBOBINATORE: Rebecca Frezzato PROF: Claudia Caserta REVISORE: Sara Coronati DATA: 3 ottobre 2024 1° ora...
MATERIA: Oncologia medica SBOBINATORE: Rebecca Frezzato PROF: Claudia Caserta REVISORE: Sara Coronati DATA: 3 ottobre 2024 1° ora TUMORI UROGENITALI L’importanza della patologia urologica è anche legata alla frequenza di queste patologie, infatti credo che nella vostra carriera qualsiasi cosa facciate avrete la possibilità di interfacciarvi con pazienti che hanno una patologia al rene, alla prostata o alla vescica in particolare perché sono tra i tumori con un’incidenza più alta. L’idea che avevo era di partire dal carcinoma renale, parlare poi della patologia uroteliale poi testicolo e prostata. CARCINOMA RENALE Cenni di anatomia Andrò molto rapida riguardo all’anatomia ma vi ricordo che esistono diversi tipi di carcinoma del rene. In particolare quello più comune è il carcinoma renale a cellule chiare che origina dalla corticale del rene in particolare dalle cellule del tubulo convoluto prossimale. Ci sono poi altre strutture del rene da cui originano altri tipi di tumori: in particolare quello che fa parte della componente urinaria ossia calici renali, pelvi e uretere che sono rivestiti da un epitelio di tipo uroteliale da cui originano i carcinomi uroteliali dell’alta via escretrice che è un altro ambito perché dal punto di vista terapeutico questi hanno un trattamento simili ai carcinomi uroteliali della vescica mentre quando parlo di carcinoma renale intendo prevalentemente i carcinomi a cellule chiare del rene quindi una patologia che origina dalla corticale del rene. Epidemiologia Parlando di incidenza questi sono i dati che si riferiscono all’ultima analisi pubblicata a cui partecipa anche la società di oncologia italiana che è l’AIOM, insieme a tutti i registri tumori, alla società di anatomia patologica in cui vengono registrati i casi e ogni anno vengono pubblicati, in genere a Pag. 1 di 44 dicembre, il numero di casi di tutti i tipi di tumori registrati nel nostro paese. E’ una pubblicazione interessante dal punto di vista epidemiologico perché ci dà un’idea di quali siano le patologie più frequenti e anche la prevalenza di questi tumori che si associa anche alla possibilità di guarire da questa patologia o di avere una lungo-sopravvivenza anche nelle fasi di malattia avanzata. Come vedete in Italia ci aspettiamo circa 12.000 nuovi casi di carcinoma renale ogni anno e circa il 70% affette da carcinoma renale è vivo a 5 anni dalla diagnosi – questo può significare che abbiamo una quota importante di pazienti in cui il rumore viene diagnosticato in una fase inziale in cui siamo in grado di guarire queste malattie. Circa il 25% dei pazienti che viene operato per una malattia localizzata avrà nel corso della vita una recidiva di questa malattia e per recidiva si intende una recidiva di tipo metastatico. Poi abbiamo 25-30% di pazienti in cui al momento della diagnosi sono già presenti metastasi. Questi dati vanno tenuti in mente perché ci dà anche un’idea di quanti poi possono essere i pazienti che noi trattiamo per una malattia metastatica e quanti sono quelli in cui invece facciamo un trattamento con intento curativo per una malattia localizzata. Fattori di rischio Tra i fattori di rischio per il carcinoma renale a cellule chiare in realtà non ci sono dei fattori di rischio così chiari, quello che sappiamo è che: I fumatori hanno rischio maggiore rispetto ai non fumatori di ammalarsi. L’obesità: rappresenta un fattore di rischio ma sapete che l’obesità è un po’ un fattore di rischio per molti altri tumori – anche per i tumori del polmone e della mammella esiste una più alta incidenza nelle persone sovrappeso. L’ipertensione arteriosa è stata identificata come un fattore di rischio La malattia cistica renale: è una condizione tipica dei pazienti dializzati per molti anni quindi che hanno un’insufficienza renale terminale – questi pazienti hanno un maggior rischio di sviluppare un carcinoma renale a cellule chiare. L’esposizione precedente a radiazioni ionizzanti: per esempio ragazzi che in età giovanile sono stati sottoposti a radioterapia curativa per es. un linfoma hanno una maggiore probabilità di sviluppare carcinomi del rene. Poi c’è tutto l’aspetto che riguarda la familiarità e in particolare delle rare sindromi genetiche che possono predisporre allo sviluppo di carcinoma renale. Tra le sindromi genetiche vi nomino la sindrome di Von Hippel Lindau che è una sindrome in generale rara dal punto di vista della popolazione ma è una sindrome in cui esiste un chiaro aumento della frequenza dei tumori del rene in particolare dell’istologia a cellule chiare. Pag. 2 di 44 Istologia Tra le istologie più comuni: Carcinoma renale a cellule chiare che fa un po’ da padrone perché circa il 75% di tutti i nuovi casi di tumore del rene sono carcinomi a cellule chiare Nell’ultima classificazione del WHO che risale al 2022 è stata un po’ modificata la classificazione dei carcinomi renali e in particolare è stata unificata una categoria: il carcinoma papillare di tipo 1 e tipo 2 visto che in realtà da un punto di vista prognostico non ci sono differenze vengono identificati sotto il nome di carcinomi renali a cellule papillari che rappresenta circa il 15% di tutti i casi di carcinoma renale. Sull’esame istologico il patologo dovrà sempre specificare qual è l’istologia del tumore se a cellule chiare o papillare. Poi ci sono delle forme molto più rare tra cui: Carcinoma cromofobo che è circa il 5% di tutti i tumori del rene ed è una variante a prognosi decisamente più favorevole rispetto alle altre varianti istologiche per cui avere un carcinoma cromofobo anche di grandi dimensioni, che potrebbe farci paura perché magari abbiamo delle masse di 7cm a livello renale ma con una diagnosi di carcinoma cromofobo è più tranquillizzante rispetto una diagnosi di cellule chiare in cui abbiamo un rischio di recidiva/comparsa di metastasi maggiore. Oncocitoma: considerato oggi un tumore benigno che somiglia dal punto di vista anatomo- patologico molto ad un cromofobo e viene considerato insieme a questo una variante a prognosi favorevole. Nella diapositiva precedente è stato un po’ semplificato la storia e l’istologia del carcinoma renale perché se guardate l’ultima classificazione della WHO sono state aggiunte tutta una serie di sottotipi di tumori del rene che però sono veramente molto rari basandosi soprattutto sulle caratteristiche molecolari: al di là di quello che il patologo vede al microscopio si possono fare della analisi genetiche sulle cellule tumorali per capire se ci sono delle alterazioni di uno o più geni e soprattutto sono stati identificati dei piccoli gruppi di tumori che però hanno un’incidenza dell’1% se considerate tutte queste istologie sulle quali ad oggi non ci sono molti dati su quello che è il comportamento/storia naturale in quanto sono stati classificati molto recentemente. Questo era solo per farvi capire quanto è complessa la caratterizzazione anatomo-patologica e la diagnosi di questi tumori che richiede sicuramente un patologo dedicato alla patologia urologica perché diventa abbastanza complesso riuscire ad identificare anche queste forme rare. Fino a qualche anno fa molti tumori del rene venivano dati come carcinomi non classificabili perché non si riusciva a capire bene che tipo di tipologia di tumori fossero. Pag. 3 di 44 Tra i fattori che l’anatomo-patologo ci deve sempre descrivere in un esame istologico c’è anche il grading che è un elemento importante perché correla con la prognosi – quanto più il grado nucleolare è alto peggiore è il comportamento della malattia ossia maggiore è il rischio che quella malattia sia diagnosticata in una fase avanzata oppure che nel corso degli anni possano comparire metastasi. Il grado nucleolare in realtà viene descritto solo sui tumori a cellule chiare e sul papillare, per tutte le altre istologie non è obbligatorio definire il grado perché ad oggi non c’è una chiara correlazione tra il grado e la prognosi nelle forme diverse rispetto al carcinoma a cellule chiare e al papillare. Nel carcinoma a cellule chiare il grado è un elemento essenziale per definire il rischio che la malattia si ripresenti e va da 1 (migliore) a 4 (peggiore): - Grado 1: tumori ben differenziati - Grado 4: tumori più indifferenziati in cui in alcuni casi è presente una differenziazione sarcomatoide che rappresenta l’elemento peggiore di sdifferenziazione di un tumore epiteliale: il termine sarcomatoide vuol dire che le cellule epiteliali, che originano quindi da un epitelio, diventano simili alle cellule di un sarcoma – quindi acquisiscono delle caratteristiche morfologiche a cellule fusate che sono facilmente identificabili su un vetrino/su un esame istologico banale ma sono delle caratteristiche che sono associate ad una aggressività biologica maggiore quindi una peggiore prognosi. Sono abbastanza rare perché la componente sarcomatoide è presente in meno del 10% dei tumori del rene a cellule chiare ma può essere presente anche nella componente papillare. Sappiamo oggi che la componente sarcomatoide è un elemento importante nella scelta della terapia per la malattia metastatica perché i pazienti con una compente sarcomatoide hanno una maggiore probabilità di risposta all’immunoterapia. ➔ Quindi è un fattore prognostico sfavorevole perché questi tumori sono molto più aggressivi/avanzati però può essere un elemento da considerare nelle scelte dell’oncologo. Caratterizzazione molecolare del carcinoma a cellule chiare Dal punto di vista della caratterizzazione molecolare del carcinoma renale ci sono alcuni aspetti da tenere in mente. Il più importante su cui mi piacerebbe attirare la vostra attenzione è l’inattivazione del gene di Von Hipple Lindau (VHL) – questo gene è inattivato in quasi la totalità dei carcinomi renali. Pag. 4 di 44 Questo è uno studio che è stato pubblicato nel 2014 su Nature ed è molto importante perché fa parte dello studio del cancer genoma atlas che è un enorme progetto in cui sono stati studiati praticamente tutti i tipi di tumori e per ogni tipo di tumore sono stati presi di campioni tumorali, in questo caso si trattatava del carcinoma renale a cellule chiare, sono state studiate le cellule ed estratto il DNA delle cellule tumorali per analizzare quali erano le mutazioni. Quindi è stato fatto un sequenziamento dei geni di questi tumori per capire quali erano le mutazioni più frequenti per ciascuna malattia. Noi sappiamo che questa malattia può avere alcune mutazioni che sono comuni a più tumori ma altre sono specifiche per un singolo tumore. In particolare nel carcinoma renale a cellule chiare la quasi totalità dei tumori aveva questa alterazione del gene di Von Hipple Lindau che è un gene localizzato sul braccio corto del cromosoma 3 ed è un gene che è responsabile di tutta una serie di situazioni che in particolare portano a questa condizione che è essenziale ed ha un risvolto terapeutico molto importante che è la neoangiogenesi tumorale. Quando il gene è mutato e la mutazione di VHL in realtà non è l’unico fattore che porta all’inattivazione del gene infatti ci possono essere anche dei fenomeni di perdita del gene stesso, inattivazioni legati a metilazioni – qualsiasi fattore che altera la funzione di questo gene fa si che si accumuli all’interno della cellula tumorale un eccesso di un fattore di crescita che è HIF1-α (ipoxia factor 1) che è un fattore di crescita che stimola poi a livello del DNA della cellula tumorale l’espressione di tutta una serie di geni che portano alla produzione di alcune proteine/elementi che hanno a che fare con la neoangionesi tumorale Pag. 5 di 44 in particolare il fattore di crescita per le cellule endoteliali (VEGF) che è uno dei fattori più importanti che viene iper-espresso nelle cellule del carcinoma renale che perdono la funzione del gene di VHL. Precisazione del professore VHL e HIF1-α funzionano normalmente quindi ogni volta che c’è ipossia noi abbiamo bisogno di avere neo-angiogenesi cioè fare arrivare in una zona ipossica i vasi per poter far arrivare ossigeno e metaboliti, quindi è necessario avere dei mediatori e la dottoressa Caserta vi ha fatto vedere che la pathway di VHL comprende il fatto che c’è HIF1-α e che questo comporta la trascrizione di una serie di molecole che sono importanti per la neoangiogenesi in condizioni di ipossia. Quindi questo è un qualcosa che normalmente è presente nell’organismo. La persona che ha descritto questo meccanismo ha vinto il premio Nobel perché ha descritto per la prima volta un fenomeno fisiologico che non è soltanto un fenomeno fisiologico generale ma VHL funziona anche da gene che è responsabile della trasformazione tumorale e di un eccesso di neoangiogenesi tumorale che nel caso del carcinoma renale è un elemento precoce della cancerogenesi. Poi vedremo come questo ha un risvolto anche dal punto di vista terapeutico. ➔ Quindi VHL funziona normalmente, HIF1-α funziona normalmente – quello che qui succede è che c’è un’attivazione costitutiva legata alla mutazione che non dipende più dall’ipossia per cui la neoangiogenesi è costitutiva non più indotta dall’ipossia. Già a pochi mm3 di tumore hanno bisogno di tanto sangue altrimenti il tumore non riesce a crescere. Il professore fa riferimento alla LAG nelle curve compersiane della scorsa lezione: vi dicevo che a differenza dei tumori ematologici in cui c’è una retta di crescita lineare, la prima parte della fase LAG, prima della fase esponenziale è legata al fatto che è necessario affinchè il tumore possa crescere di un periodo di latenza legata anche alla neoangiogenesi cioè alla costituzione di nidi tumorali con dei vasi propri. Quindi i tumori alla fine utilizzano delle pathway già presenti costitutivamente cosi come, vi ho fatto vedere la scorsa volta per l’immunità, PD-1 e CTLA-4 che normalmente sono presenti in infezioni virali/batteriche/parassitarie soltanto che nel caso dei tumori questo viene fatto in maniera costitutiva ossia c’è un’attivazione continua senza dei feedback inibitori che controllano questo tipo di attivazione. La neoangiogenesi chiaramente è un elemento sia per la crescita del tumore ma anche per la capacità del tumore di metastatizzare: è chiaro che più vasi ci sono maggiore è la possibilità che le cellule tumorali vadano in giro attraverso il sangue. ➔ Quindi il fatto che un tumore abbia una neoangiogenesi molto attiva è un elemento che è comune a molti tipi di tumori e nel caso del carcinoma è particolarmente evidente: infatti i chirurghi vi diranno che le masse renali tendono a sanguinare perché il carcinoma renale è molto vascolarizzato come lo sa anche il radiologo che vede una massa con tante aree che prendono contrasto in maniera molto attiva proprio perché c’è tanto sangue/tanti vasi quindi la massa si riempie di mezzo di contrasto. Infatti tra i tanti geni che vengono trascritti c’è l’eritropoietina (EPO): 1. C’è ipossia 2. Viene mandato un segnale Pag. 6 di 44 3. VHL attiva HIF1-α e cosa succede: - Da una parte si formano nuovi vasi - Dall’altra parte c’è eritropoietina per far arrivare globuli rossi e quindi ossigeno lì dove c’è un sito ipossico Solo che tutto questo avviene in maniera costitutiva. Questo stesso gene è quello responsabile delle forme sporadiche di carcinoma renale ma anche di quelle ereditarie solo che: - Nelle forme ereditarie ho ereditato un allele con l’alterazione del gene di VHL e ne acquisisco poi un altro - Nelle forme sporadiche sono alterazioni/mutazioni che vengono acquisite nel corso della vita Precisazione del professore su oncogeni/oncosoppressori Il primo modello di geni oncosoppressori è stato descritto sulla patologia del Retinoblastoma (Rb) da un pediatra quindi: nel modello di cancerogenesi quando è implicato il gene oncosoppressore un allele mutato viene acquisito e poi successivamente c’è l’inattivazione dell’altro gene oncosoppressore (allele). Essendo che ci sono due alleli uno viene ereditato mutato e l’altro poi viene inattivato successivamente. Quindi c’è una genetica di tipo recessivo perché è necessario che entrambi vengano inattivati mentre nel caso degli oncogeni l’attivazione è di tipo dominante perché basta un solo gene mutato per poter avere la patologia. Riassunto: Oncosoppressore: ereditato un solo allele – recessivo Oncogene: non ereditato – dominante Nella sindrome di Von Hipple Linadau, la sindrome ereditaria, oltre ad un aumento del rischio di tumori del rene ci sono anche altre patologie spesso associato ad una neoangiogenesi molto attiva, per esempio l’emangioblastoma o altre anomalie vascolari che fanno parte del quadro della sindrome di VHL. L’aumento del rischio vale un po’ per tutte le sindromi ereditarie genetiche oncologiche (onco- genetiche): l’incidenza di questi tumori è in genere più precoce rispetto all’incidenza dei tumori sporadici. Stadiazione L’altro elemento essenziale per la prognosi del paziente è lo stadio in cui viene diagnosticata la malattia. La stadiazione si basa sul sistema TNM dove: - T: tumore - N: linfonodi - M: metastasi Quando noi abbiamo un paziente con una malattia oncologica, quasi in tutte le patologie utilizziamo questo sistema TNM, nel carcinoma del rene andiamo a valutare il T principalmente in base alle dimensioni del tumore o all’invasione di alcune strutture vicine quali: il superamento della capsula, l’interessamento del tessuto adiposo che sta intorno al rene o l’interessamento della ghiandola surrenalica che sta sopra al rene. In base alle dimensioni e l’interessamento degli organi vicini stabiliamo il T. Pag. 7 di 44 Ogni volta che abbiamo un T, ad ogni stadio del T si correla una prognosi differente: i tumori con uno stadio T1 hanno una prognosi migliore rispetto a quelli che hanno un T3 o T4. Vale lo stesso discorso per l’N e M. E’ ovvio che i tumori con malattia metastatica, che noi definiamo stadi quarto possono avere una prognosi peggiore rispetto a quello dei tumori in uno stadio più iniziale. Il tumore inizialmente cresce a livello del rene poi può dare metastasi a distanza e le sedi più frequenti sono: Polmoni Ossa Fegato Linfonodi: in realtà nel tumore del rene, soprattutto i linfonodi loco-regionali cioè ileo-renale e para-aortici non è particolarmente frequente che siano interessati dal tumore. Nella maggior parte degli stadi iniziali circa il 5% dei casi ha metastasi linfonodali al momento della diagnosi per cui la linfoadenectomia nel carcinoma del rene non è obbligatoria ai fini della stadiazione del tumore. Presentazione clinica Oggi come oggi, la stragrande maggioranza dei pazienti che arrivano ad una diagnosi di carcinoma renale in realtà ci arrivano in maniera accidentale. Si tratta spesso di persone che fanno un’ecografia per altre ragioni, per esempio perché sono caduti e vanno in PS e viene fatta un’ecografia addominale oppure fanno un’ecografia di controllo per l’insorgenza di un diabete o di un’ipertensione arteriosa o altre ragioni. Pag. 8 di 44 Quindi in molti casi ci troviamo difronte a tumori in fase molto iniziale scoperti casualmente con l’ecografia. Non vi aspettate la presenza di sintomi: è difficilissimo vedere dei pazienti che arrivano con la classica triade – ematuria, dolore, massa palpabile. E’ veramente molto raro che questo accada, qualche volta accade in pazienti che in pazienti con malattie avanzate: può succede che un paziente che arrivi con una serie di sintomi (dolore osseo, dolore lombare, massa che si avverte) ha quasi sicuramente anche delle metastasi quindi in genere la presenza di sintomi o segni evidenti della malattia si associa ad uno stadio più avanzato della malattia. In alcuni casi, e questa è una cosa abbastanza caratteristica del tumore del rene, sono presenti sintomi sistemici che noi chiamiamo sindromi paraneoplastiche perché si tratta di una serie di altri elementi che possono essere associati al tumore del rene. Questa è una cosa di cui vi dovete ricordare perché anche nell’esperienza del medico di medicina generale può succedere che dagli esami del paziente venga fuori una VES alta, un’ipercalcemia, la presenza di anemia. Questi sono pazienti in cui un’ecografia addominale a volte porta anche alla diagnosi di un tumore del rene. L’altro elemento che può verificarsi è la poliglobulia cioè la presenza ad esempio di una piastrinosi associata anche ad un ematocrito elevato che può essere un altro dei segni sistemici di un tumore del rene. Non ci sono dei markers tumorali validati: non viene fatto il CEA (antigene carcino-embrionario) perché non ha nessun senso dosare dei markers in un tumore renale perché non ci sono dei fattori utili ai fini della diagnosi né utili ai fini dei controlli successivi che noi andiamo a fare. Diagnosi La diagnosi si basa sulle metodiche radiologiche. In moltissimi casi viene fatta un’ecografia perché è quello l’elemento da cui si parte di solito nella diagnostica. Pag. 9 di 44 All’ecografia bisogna sempre far seguire una TAC – gold standard nella diagnosi dei tumori del rene e deve essere una TAC torace e addome perché se io vedo una lesione del rene che penso sia un tumore è comunque importante fare anche la stadiazione quindi con un unico esame io posso indagare anche il torace che è una delle sedi più frequenti di metastatizzazione in un carcinoma renale. Analisi della TAC Questo tumore sposta le anse intestinali che ci sono davanti, ci sono anche delle zone interne ipo- vascolarizzate necrotiche e sposta anche i vasi. Analisi RM Questa è una piccola lesione renale alla risonanza. La risonanza non è l’esame che in prima battuta dobbiamo fare ad un paziente in cui sospettiamo un tumore del rene però in alcuni casi in cui magari abbiamo un dubbio diagnostico alla TAC può essere utile approfondire anche con una risonanza. Questo per quanto riguarda i tumori piccoli in genere sotto i 3cm. Una cosa importante è che quando vedete una massa così voi in realtà non è che sapete che cos’è perché potrebbe essere in questo caso sia un tumore del rene, sia un tumore dell’urotelio dal punto di vista teorico. Quindi se c’è un paziente che ha una massa così e voi avete il dubbio bisogna poi fare un’analisi istologica per poter differenziare perché come vi diceva la dottoressa Caserta il trattamento è poi completamente diverso perché un conto è la corticale renale, un conto è il bacinetto e l’uretere che presentano cellule transizionali tipo vescica. Quindi se c’è il dubbio è necessario un accertamento bioptico. E’ ovvio che in questo caso dubbi non ce ne sono perché questo è un nodulo capsulato che ha partenza dalla corteccia e il bacinetto non è assolutamente interessato – questo è un T1 che può essere “scucchiaiato”, asportato. Pag. 10 di 44 Biopsia renale Fino a pochi anni fa si diceva “non si toccano le lesioni renali, non si deve fare la biopsia” perché si aveva paura del rischio sia di complicanze che in effetti esiste perché fare la biopsia su una massa renale può determinare un rischio di sanguinamento ma soprattutto perché si temeva l’insemenzamento cioè la diffusione/disseminazione delle cellule tumorali lungo l’ago dell’ago-biopsia. Questo non è un evento che vi dovete aspettare perché accade nello 0,00% dei casi quindi la biopsia renale è una procedura assolutamente sicura e che va fatta nel caso in cui abbiamo un dubbio oppure in tutte le volte in cui non operiamo il paziente: - sicuramente nella malattia metastatica in cui abbiamo bisogno di una conferma istologica e allora andiamo a fare una biopsia della metastasi o della massa renale - ma anche in tutti quei casi in cui il tumore non si opera ma vengono fatti dei trattamenti locali che esistono e si possono fare sul carcinoma renale ma è sempre giusto e corretto fare una diagnosi istologica prima di fare il trattamento perché esistono anche delle lesioni benigne che somigliano molto anche alle forme tumorali soprattutto quando si tratta di lesioni molto piccole e quindi è sempre corretto in quel caso andare a fare la biopsia. Terapia della malattia localizzata In generale se io non ho dubbi che devo operare la lesione come per esempio il tumore che abbiamo visto sull’immagine della risonanza di 3 cm posso tranquillamente non fare la biopsia e fare direttamente l’intervento chirurgico. Questo è uno standard accettato se il radiologo è sicuro che questa sia una lesione solida, con caratteristiche che sembrano quelle di un carcinoma. La chirurgia può essere di due tipi: conservativa: non tolgo tutto il rene – in un tumore piccolo non deve essere asportato tutto il rene perché questo può comportare un rischio di insufficienza renale cronica che poi è un fattore di rischio per altre patologie e quindi per un aumento della mortalità dovuto non al tumore ma ad una patologia cardiovascolare che magari il paziente sviluppa nel corso della sua vita. Se possibile si può togliere il tumore in maniera conservativa ed è possibile farlo nella stragrande maggioranza dei casi anche fino a lesioni di 7cm – chiaramente dovrà essere l’urologo insieme al radiologo a decidere se quel paziente è suscettibile ad un intervento conservativo perché se il tumore infiltra l’ilo renale, il bacinetto, la pelvi renale è più difficile fare un trattamento conservativo ma se come spesso accade è tutta una lesione corticale esterna, esofitica al rene è possibile anche asportare in maniera conservativa lesioni molto grandi. - La dimensione non è più un criterio determinante ma è più la sede e l’infiltrazione (quanto e che strutture) che porta a decidere se fare una conservativa oppure no - Un altro elemento è se il paziente è mono-rene: si cerca di evitare di fare un trattamento chirurgico radicale anche per lesioni molto grandi. Pag. 11 di 44 - Altro fattore in cui si tende a fare una conservativa sono le i pazienti con le sindromi ereditarie perché purtroppo questi pazienti tendono ad avere nel corso della vita più tumori del rene: in una persona che presenta la sindrome di VHL possibilmente il trattamento deve essere più conservativo possibile perché c’è il rischio che dopo alcuni anni debba essere rioperato per un’altra lesione. radicale: può essere in alcuni casi necessario perché a volte la lesione è grande, infiltra magari il surrene, interessa l’ilo renale o c’è una trombosi dell’arteria renale e allora dobbiamo per forza operare in maniera radicale e fare una nefrectomia. Oggi la nefrectomia deve possibilmente essere fatta in laparoscopia: dal punto di vista oncologico i risultati sono identici rispetto ai trattamenti open. E dal punto di vista oncologico il trattamento parziale ha lo stesso risultato: il numero di persone che guarisce è uguale rispetto a fare una nefrectomia radicale – elemento importante per noi perché al di là di conservare la funzione renale vogliamo guarire questi pazienti quindi dobbiamo essere sicuri che quel trattamento sia efficace dal punto di vista oncologico e quindi della possibilità di guarigione. Il surrene va tolto? SI se è interessato e quindi se la TAC pre-operatoria mi dice che il surrene ha un’alterazione per cui io penso che lì ci sia una metastasi oppure quella grossa massa renale magari infiltra il surrene – in questo caso devo fare una nefrectomia e surrenectomia omolaterale. Se il surrene è radiologicamente normale non serve togliere il surrene. Per i linfonodi si usa lo stesso ragionamento, nel caso del tumore a cellule chiare (? dice renale ma non ha molto senso) non serve fare una linfoadenectomia durante l’intervento ai fini della stadiazione. Terapia adiuvante Ad oggi noi non abbiamo in Italia una terapia adiuvante anche se ci sono studi che dimostrano in realtà l’efficacia di un trattamento adiuvante. Adiuvante = terapia che viene fatta dopo l’intervento chirurgico R0 Il trattamento adiuvante generalmente viene fatto quando c’è un rischio che questa malattia si possa ripresentare perché ci sono alcune situazioni in cui io opero e so che quella malattia nel 40% dei casi si ripresenterà a distanza di x tempo – in quel caso il trattamento adiuvante è un aiuto che diamo al chirurgo per cercare di guarire quella malattia. Chiaramente non è detto che tutti abbiano bisogno di un trattamento adiuvante: ci sono delle situazioni in cui il tumore era molto piccolo T1/G1 ossia un tumore che ha una probabilità di guarigione una volta operato intorno al 95% dei casi – questi pazienti sono già guariti con il solo intervento chirurgico. ! Questo però non è vero per tutte le patologie oncologiche quindi c’è un’enorme differenza tra un’istologia e un’altra, tra una sede tumorale ed un’altra però nel carcinoma renale in generale il rischio che il tumore si ripresenti che quindi quella persona possa morire per colpa di quel carcinoma renale si realizza a partire dal T2/G3 in su. Pag. 12 di 44 Quindi i tumori T1 oppure un tumore operato T2/G2 sono tumori in cui il rischio di recidiva è talmente basso che non viene giustificato ad oggi un trattamento di prevenzione. Laddove ho un rischio più alto allora inizio a ragionare sulla possibilità di fare delle terapie adiuvanti per migliorare la prognosi di quei pazienti. Nel corso degli anni sono stati fatti tantissimi studi sul carcinoma renale, una volta si utilizzava la vecchia immunoterapia che erano l’interferon e IL-2. Nell’arco di 10 anni è cambiato tutto perché siamo passati all’impiego di anti-angiogenici cioè i farmaci anti VEGF che si sono dimostrati efficaci nella malattia metastatica e quindi li abbiamo studiati anche nella fase adiuvante. Sono stati fatti molti studi su diverse migliaia di pazienti che sono tutti negativi tranne uno che dimostrava un piccolo vantaggio dall’uso del Sunitinib adiuvante ma in realtà sono tutti studi negativi. Questi studi non hanno portato all’approvazione di nessun farmaco nella pratica clinica, per cui per moltissimi anni dopo tutte queste sperimentazioni abbiamo capito che non serviva fare una terapia di prevenzione utilizzando sunitinib o pazopanib o everolimus o tutti i vari farmaci anti-angiogenici che avevamo a disposizione. Negli ultimi anni è cambiata la strategia di trattamento della malattia metastatica. Quando una terapia si dimostra efficace nella malattia metastatica di solito si cerca di spostarla nella fase adiuvante perché se sul metastatico la terapia ha funzionato probabilmente funziona anche nel setting adiuvante. Nell’adiuvante io ragiono pensando che se qualche cellula tumorale è rimasta da qualche parte la stessa terapia efficace su una malattia metastatica lo dovrebbe essere anche su una malattia micrometastatica. In realtà non c’è una chiara dimostrazione di questa cosa nel carcinoma del rene. L’unico studio positivo è questo che è stato pubblicato recentemente sul New England Journal of Medicine che come sapete è la rivista più importante di medicina al mondo che ha dimostrato l’efficacia del Pembrolixumab come terapia adiuvante nei pazienti a partire dallo stadio T2/G3. Pag. 13 di 44 Tutti quelli che erano sotto il T2/G3 erano esclusi dallo studio quelli che erano sopra venivano arruolati. Venne arruolato anche il 5% di tutta l’intera popolazione: erano pazienti che avevano una malattia M1 NED cioè metastatici operati R0 → quindi persone metastasi polmonare/linfonodale che veniva asportata in maniera completa potevano accedere a questo trattamento adiuvante. Il trattamento prevedeva Pembrolixumab per un anno rispetto a quello che era lo standard ossia fare solo i controlli e c’è un aumento della sopravvivenza dei pazienti che hanno ricevuto Pembrolixumab. In tutto il mondo occidentale è già utilizzato come terapia adiuvante, negli Stati Uniti già da 1 anno, nel resto d’Europa è già disponibile mentre in Italia ancora no. Probabilmente all’inizio del prossimo anno lo avremo a disposizione e sarà una terapia di cui discutere con i pazienti: un paziente con T3/G3 è un paziente a cui possiamo proporre una terapia adiuvante per un anno con Pembrolixumab. Ci sono altri studi con l’immunoterapia che usa farmaci o anti-PD1 o anti-PDL1 che riescono a riattivare il sistema immunitario in particolare i linfociti a riconoscere le cellule tumorali come estranee perché altrimenti queste cellule in qualche modo inibiscono il linfocita e riescono ad evitare il riconoscimento. Questi farmaci hanno cambiato la storia di molti tipi di tumori ma nel carcinoma renale solo il pembrolixumab in fase preventiva ha dimostrato un vantaggio. Follow-up Ad oggi quello che viene fatto nei pazienti operati è un follow-up ossia controlli periodici giustificati dal fatto che c’è una quota comunque importante intorno al 30 % di pazienti operati che complessivamente nel corso della propria vita avrà una recidiva del tumore del rene. La recidiva può essere: - locale: a livello del tumore del rene se rimasto o a livello della loggia renale se il paziente ha fatto una nefrectomia - sistemica Pag. 14 di 44 Il follow-up viene deciso in base al rischio che ha questo paziente e vengono utilizzate le linee guida dell’AIOM (associazione italiana di oncologia medica) che ci dicono come classificare il paziente: Basso rischio Rischio intermedio Alto rischio In base al rischio di ripresa di malattia si decide ogni quanto fare i controlli e con che cosa: la TAC è l’esame che viene più utilizzato nella pratica clinica perché è l’esame che ci permette con un’unica indagine di pochi minuti di studiare tutti gli organi che ci interessano ossia dove sono più frequenti le recidive quindi polmone, addome e in parte anche le ossa. Classificazione prognostica della malattia metastatica Sulla malattia metastatica gli ultimi 20 anni hanno fatto la differenza, ci sono state moltissime innovazioni terapeutiche partendo da questa classificazione che è la classificazione del rischio. Questa è uno score che viene utilizzato nella pratica clinica per dire se un paziente con tumore metastatico ha una certa probabilità non di guarigione – non si parla di guarigione perché un paziente metastatico in generale è un paziente che non possiamo guarire – ma di vivere con la sua malattia: possiamo andare da una buona prognosi di 43 m a una prognosi peggiore di 8 m in base ai fattori di rischio. Questa differenza è stata identificata su una grossissima casistica oltre 15.000 pazienti con carcinoma renale in cui sono stati analizzati una serie di fattori basali che i pazienti avevano e poi da lì si è visto quali erano i fattori che correlavano in maniera migliore con la sopravvivenza e sono stati identificati questi 6 fattori che sono: Performance status: condizioni generali del paziente Tempo intercorso tra la diagnosi di malattia limitata e la comparsa di metastasi: paziente operato 5 anni fa rischio 0 mentre un paziente operato 6 m indicava una malattia più aggressiva quindi un rischio maggiore Fattori umorali: calcio, Hb, valori delle piastrine e dei neutrofili che si conoscono e sono dei fattori di rischio perché indicano una peggiore prognosi dei pazienti Terapia della malattia metastatica Questa classificazione è utile per le scelte terapeutiche perché alcuni pazienti ad esempio: Quelli a buona prognosi sono pazienti in cui io mi posso aspettare una lunga sopravvivenza e posso prendere delle decisioni “meno aggressive” dal punto di vista oncologico, posso permettermi l’attesa, di andare ad operare la singola metastasi che si presenta dopo 5 anni da una chirurgia iniziale. Pag. 15 di 44 Ci sono pazienti in cui l’unica terapia possibile è rappresentata da una terapia farmacologica quindi quelli con peggiore prognosi sono pazienti in cui devo essere io più efficace nel mio trattamento per poter ottenere un miglioramento della sopravvivenza. Farmaci anti-angiogenici L’evoluzione della malattia metastatica è stato lodevole negli anni e ad un certo punto abbiamo vissuto la rivoluzione dei farmaci anti- angiogenici perché si è capito che l’angiogenesi era un meccanismo sul quale noi potevamo agire e l’azione avviene sul meccanismo del VEGF che è un fattore di crescita per le cellule endoteliali. Vi ho detto prima che quando c’è la disgregolazione del gene di VHL il VEGF viene iper-espresso e quindi se io ho un iper-produzione di VEGF questo esce dalla cellula tumorale va nella zona intorno dove ci sono le cellule endoteliali che lo ricevono in quanto hanno il recettore che si chiama VEGFR (vascular endotelial growth factor receptor) – l’interazione tra il VEGF e il recettore stimola la proliferazione della cellula endoteliale che provoca l’aumento dei vasi e quindi la neo- angiogenesi tumorale. Capito questo meccanismo si è cercato di bloccare il recettore del VEGF e sono stati sviluppati una serie di farmaci qua elencati che sono delle molecole orali, terapie in compresse, Pag. 16 di 44 che i pazienti prendono a casa e che assumono in maniera continuativa. Sono farmaci che sono in grado di inibire l’angiogenesi perché bloccano l’attività del recettore de VEGF → una volta bloccata l’attività del recettore la cellula endoteliale non riesce a proliferare quindi muore, questo crea una minore vivacità della neo-angiogenesi che se è meno attiva il tumore riceve meno ossigeno/nutrimenti e quindi va in necrosi, regredisce. L’efficacia di questi trattamenti è stata dimostrata ampiamente nella pratica clinica perché queste terapie si sono utilizzate e si utilizzano adesso con dei risultati decisamente migliori rispetto a quello che avevamo 20 anni fa. Immunoterapia L’altro ambito di farmaci che utilizziamo nel carcinoma renale metastatico è l’immunoterapia quindi gli anti-PD1, anti-PDL1 e anti- CTLA4 in particolare il Nivolumab. Questi farmaci hanno l’effetto di agire su uno dei meccanismi di blocco del sistema immunitario: la cellula tumorale dovrebbe essere riconosciuta e uccisa dal sistema immunitario ma questo non accade perché ci sono delle interazioni che inibiscono il meccanismo di riconoscimento. I nostri farmaci sono anticorpi monoclonali specifici verso PD1 o CTLA4 e bloccano questa interazione negativa, questo freno che viene messo al sistema immunitario → se il freno viene tolto il sistema immunitario si iper-attiva e riesce a riconoscere le cellule tumorali come estranee e quindi ucciderle determinando la riduzione del tumore in dimensioni. Noi avevamo dei farmaci che agivano sull’angiogenesi, che venivano utilizzati nella nostra pratica clinica: lo standard di trattamento era utilizzare sunitinib e poi Nivolumab e Cabozantinib come seconda linea. Poi sono stati fatti degli studi che hanno combinato l’immunoterapia con l’anti- angiogenico – questi studi hanno tutti dimostrato un aumento della sopravvivenza quindi dell’efficacia terapeutica nei pazienti con malattia metastatica. Pag. 17 di 44 Queste sono le linee guida pubblicate adesso praticamente, in cui viene raccomandato l’impiego di una terapia di combinazione nei pazienti metastatici. Noi possiamo utilizzare 4 tipi di combinazioni diverse, a seconda del paziente viene scelta quella che è più adatta, ma sono tutte terapie di combinazione in cui viene fatta l’immunoterapia (anticorpi monoclonali somministrati endovena) in combinazione con una terapia anti-angiogenica che sono invece terapie in compresse che utilizziamo già da alcuni anni. Tossicità degli anti-angiogenici e dell’immunoterapia Questi due gruppi di terapie hanno tossicità molto differenti e la gestione degli effetti collaterali è un aspetto che si sta imparando a conoscere perché alcuni di alcuni di questi farmaci sono in commercio da pochi anni quindi è ancora tutto un settore in evoluzione. Solo per darvi un’idea generale gli anti-angiogenici sono farmaci che danno come effetto collaterale: prevalentemente ipertensione arteriosa poi mucositi del cavo orale diarrea perché c’è una colite intestinale effetti sulla pelle che sono molto fastidiosi per i pazienti: lesioni ipercheratosi come calli sotto pianta dei piedi e palmo delle mani che possono diventare dolorose e fastidiose per la deambulazione !! Importante saper riconoscere e gestire perché altrimenti facciamo vivere questi pazienti di più ma non meglio: importante usare il farmaco più efficace ma anche gestire gli effetti collaterali per migliorare la qualità di vita dei pazienti. Pag. 18 di 44 L’immunoterapia può dare un eccesso di risposta immunitaria e questo è un settore molto interessante perché purtroppo quando il sistema immunitario si attiva troppo si possono avere patologie autoimmuni: vediamo delle sindromi/effetti collaterali che simulano quello che sono le patologie autoimmuni, chiaramente non sono patologie autoimmuni ma ci somigliano molto come manifestazioni: coliti immuno-relate che somigliano a quelle del morbo di Chron, della rettocolite ulcerosa ipotiroidismo: effetto collaterale molto comune pancreatiti autoimmuni epatiti miocardite psoriasi, vitiligine, patologie della cute che hanno tutte una base immuno-relata Paradossalmente queste manifestazioni si associano ad una maggiore risposta al trattamento: di solito questi pazienti che hanno gravi tossicità immuno-relate hanno anche un’ottima risposta terapeutica perché evidentemente c’è un segnale di iper-attivazione del sistema immunitario che si manifesta come effetto anti-tumorale. Ci sono linee guida sempre in aggiornamento sulla gestione degli eventi avversi che viene fatta utilizzando farmaci immunosoppressori per bloccare l’eccesso immunitario che però potrebbe determinare la nuova crescita del tumore → meccanismo a cui va trovato un equilibrio per evitare un danno eccessivo ad organi vitali come cuore, fegato che ovviamente non possiamo permetterci ma al tempo stesso dobbiamo mantenere l’effetto anti-tumorale. Domanda: quanto dura l’immunoterapia? Nella malattia metastatica non c’è una durata precisa, o meglio ci sono degli studi in cui sono stati utilizzati solo due anni di immunoterapia. Per esempio nello schema dove utilizziamo pembrolizumab + lenvatinib o axitinib il pembrolizumab si faceva fino ad un massimo di 35 somministrazioni (2 anni) e poi si proseguiva con la terapia orale solo con anti-angiogenico che non viene mai interrotto anche se ci sono delle situazioni in cui si può fare nella Pag. 19 di 44 pratica clinica però in realtà gli studi erano disegnati con un trattamento continuativo fino a progressione di malattia o a tossicità inaccettabile. Parlando di malattie metastatiche non ci aspettiamo che il tumore sparisca del tutto, è raro che accada, nel tumore del rene con la migliore terapia che ho a disposizione accade nell’11% dei casi – in questo caso si ha una remissione completa che non significa guarigione in quanto il tumore può ricomparire con metastasi o un peggioramento della malattia. Se c’è una tossicità grave come una miocardite che si associa ad un altissimo tasso di mortalità anche se il paziente non muore per la miocardite quindi recupera non posso continuare l’immunoterapia. ! Se faccio un trattamento preventivo c’è una durata predefinita di 1 anno Poi nella pratica clinica ci sono dei pazienti in cui è stato interrotto il trattamento perché ha avuto un beneficio talmente importante da poterlo interrompere – anche se non c’è certezza che la malattia non si manifesta anche dopo molti anni di trattamento in quanto non ci sono studi clinici a sostegno. Viene somministrato endovena, lo schema di somministrazione varia da farmaco a farmaco: Nivolumab ogni 2-4 settimane, Pembrolizumab ogni 3 settimane oppure 6 settimane. Sono farmaci che hanno effetti collaterali diversi dalla chemioterapia: non cadono i capelli, non c’è nausea, vomito ma bisogna fare attenzione agli effetti immuno-relati perché hanno una tempistica particolare in quanto possono insorgere subito anche dopo 6 mesi la sospensione del trattamento (es. ipotiroidismo) per cui serve continuo follow-up. La miocardite invece è un evento acuto, si vede subito anche dopo un solo ciclo, anche se è un evento raro. Pag. 20 di 44 ONCOLOGIA MEDICA SBOBINATORE: CAMILLA CASALICCHIO PROF: Claudia Caserta REVISORE: REBECCA FREZZATO DATA: 03/10/2024 2a ORA CARCINOMI UROTELIALI E’ una patologia che riguarda tutto l’apparato urinario poiché questo ha un rivestimento epiteliale uroteliale e comprende: pelvi renale, uretere, vescica e uretra. Il trattamento è molto simile e quindi nelle linee guida troveremo un’unica trattazione e negli studi clinici i pazienti vengono uruolati insieme i pazienti con carcinoma della pelvi renale e pazienti con carcinoma della vescica. Incidenza I tumori dell’alta via escretrice, quindi pelvi e uretere, rappresentano il 5- 10% di tutti i casi, mentre quelli della vescica sono i più frequenti (90%). I tumori dell’alta via escretrice sono spesso clinicamente diagnosticati tardivamente perché danno meno sintomi, ad esempio l’ematuria in questo caso risulta essere più tardiva rispetto ad una dovuta ad un tumore Pag. 21 di 44 della vescica (la quale è riconosciuta anche più facilmente dal paziente). Anche per i medici è più difficile diagnosticare il tumore delle alte vie renali. Un'altra caratteristica dei tumori dell’alta via escretrice è che possono rientrare nella Sindrome di Lynch, ossia la sindrome del Carcinoma del colon non poliposico ereditario. In questa sindrome troviamo: al primo posto c’è il tumore del colon, al secondo posto il tumore all’endometrio, al terzo posto c’è il tumore dell’alta via escretrice. Il tumore della vescica è il tumore più frequente di questo gruppo ed è quello associato ad una prognosi migliore perché la stragrande maggioranza sono patologie facilmente trattabili in modo radicale tramite una resezione endoscopica. Fattori di rischio - fumo di sigaretta → è il responsabile di più del 50% dei casi. - esposizione a delle sostanze tossiche in alcuni ambienti di lavoro → ad esempio l’industria della pelle utilizza delle vernici cancerogene. Oggi questi fattori di rischio sono un po’ diminuiti grazie ai metodi di protezione. - forme parassitarie → specialmente in alcuni stati asiatici (non si trovano in Italia) - Età - Sindrome di Lynch Non ci sono programmi di screening attivi e non ci sono markers tumorali specifici, per cui la diagnosi viene fatta quasi sempre perché sono presenti i sintomi. Istologia - 90% dei tumori → carcinomi uroteliali papillari; spesso all’interno di questa classe posso avere delle componenti squamose o di adenocarcinoma o neuroendocrine - altre forme istologiche miste molto più rare (non citate) Pag. 22 di 44 Stadiazione Si utilizza la stadiazione TNM. Dividiamo le forme di tumore in 2 tipi: - carcinoma non muscolo- invasivo → 70% dei nuovi casi; interessano solo la mucosa e la lamina propria, non arriva alla tonaca muscolare della parete vescicale. Tempo fa venivano chiamati “superficiali” ma la prof si raccomanda di non chiamarli così. - carcinoma muscolo-invasivo→ 30% dei nuovi casi; sono divisi in: T2 quelli che infiltrano la tonaca muscolare (anche focalmente), T3 quelli che infiltrano tutta la parete fino alla sierosa vescicale Con il passare del tempo, da un tumore non muscolo-invasivo se ne può sviluppare uno muscolo- invasivo (c’è evoluzione tra le due forme) Presentazione clinica La macroematuria è il segno più frequente che spesso porta alla diagnosi. Più raramente ci possono essere altri sintomi caratteristici di irritazione vescicale: dolore, pollachiuria, stranguria. Nel 20% dei casi al momento della diagnosi la malattia è metastatica, infatti il paziente arriva alla visita perché presenta dolore osseo, dispnea legata a versamento pleurico o a Pag. 23 di 44 metastasi polmonari, cachessia o altri sintomi sistemici che fanno pensare ad una malattia ad uno stato avanzato. Diagnosi L’esame delle urine NON è un esame diagnostico, è solo un esame di sospetto di tumore della vescica perchè ci permette di vedere qualche eventuale cellula che si è sfaldata dalla lesione tumorale (può accadere che ci sia il tumore ma in quel momento le cellule non si sono sfaldate oppure possono esserci delle cellule simil- tumorali che in realtà sono causate da frequenti cistiti). Nel caso in cui ci fossero delle cellule atipiche dovrò fare esami più precisi, ovvero la cistoscopia e la TURB. Il 1° esame da fare è la cistoscopia. La biopsia non viene mai fatta durante la cistoscopia perché queste lesioni tendono a sanguinare molto; si fanno solo se sono presenti lesioni millimetriche, ma di solito si cerca di evitarle. In seguito alla cistoscopia si fa la TURB (resezione vescicale trans-uretrale), cioè un intervento chirurgico fatto in anestesia per via endoscopica nel quale si inserisce un resettore in vescica a forma di U tramite l’endoscopio. Il resettore permette di resecare una parte di tumore e di mandarlo ad analizzare. L’analisi dell’esame istologico è necessaria per fare la diagnosi. Nella maggior parte dei casi la TC viene eseguita per fare la stadiazione del tumore, quindi per vedere se ci sono eventuali metastasi dei linfonodi o di altre sedi. La scintigrafia viene utilizzata solo nel caso in cui i pazienti abbiano dolore alle ossa (per vedere se ci sono metastasi alle ossa). Prognosi La prognosi varia in base allo stadio: - se è un tumore non muscolo-infiltrante→ probabilità di guarigione fino al 98% dei casi nelle forme che non arrivano alla lamina propria; nelle forme T1 (N0M0) è fino all’88%. Pag. 24 di 44 - se è un tumore muscolo-infiltrante→ la probabilità di guarigione scende in maniera esponenziale perché la tonaca muscolare presenta molti vasi, quindi c’è una maggior probabilità che dia metastasi linfonodali o in altri organi. Terapia Nei tumori non muscolo- infiltranti, trattati generalmente dagli urologi, dopo la resezione (TURB), posso fare delle terapie locali nella vescica andando a ridurre il rischio di recidiva. E’ importantissimo ridurre il rischio di recidiva perché è una caratteristica dei tumori non muscolo-infiltranti, infatti, a distanza di mesi-anni dal primo intervento, c’è un’alta probabilità che il paziente debba ripetere la TURB per più frequentemente una lesione non muscolo infiltrante. Nel 30% dei casi ci può essere l’evoluzione da una forma non muscolo-infiltrante ad una forma muscolo- infiltrante. Nei tumori muscolo-infiltranti l’intervento chirurgico deve essere radicale: si fa la cistectomia radicale con linfoadenectomia iliaco- otturatoria bilaterale (trattamento chirurgico standard). Non si fa più una cistectomia parziale che si faceva anni fa perché oncologicamente non sono dei trattamenti adeguati. Pag. 25 di 44 I linfonodi si tolgono perchè è molto alta la probabilità di trovare metastasi linfonodali ed è utile per la stadiazione, di conseguenza serve all’oncologo per scegliere la terapia migliore per il paziente operato. Per questi tumori la chirurgia guarisce il 60% dei pazienti. Utilizziamo due strategie per aumentare la percentuale di guarigione: 1) immunoterapia adiuvante → post- chirurgica 2) trattamento (chemioterapia) neoadiuvante→ pre-chirurgico; deve essere fatto per un periodo di tempo limitato, ossia 3-4 mesi prima dell’intervento. Di solito lo scopo della terapia neoadiuvante è quello di ridurre la dimensione del tumore, ad esempio per rendere operabile un tumore non operabile (questo accade nel tumore della mammella: al posto di fare la mastectomia radicale si preferisce un trattamento conservativo, ossia fare una quadrantectomia), ma qui è quello di agire sulle cellule metastatiche che sono presenti. Queste cellule non si vedono neanche con la TC e la PET perchè, magari, sono pochissime (però ci sono!). Lo scopo non è quello di ridurre la massa tumorale perché l’intervento è solo uno, quindi non serve a niente ridurre il tumore dato che è già in programma togliere tutta la vescica. Gli studi fatti sulla chemioterapia neoadiuvante nel tumore della vescica ci dicono che se io aggiungo la chemioterapia prima dell’intervento chirurgico, riesco a guarire 6 persone in più su 100 (in ambito oncologico si dice: “ho un beneficio assoluto in termini di sopravvivenza globale del 6%”). Quindi se io faccio prima la chemioterapia e poi l’intervento guarisco il 66% dei pazienti e questo è il miglior trattamento possibile al mondo per il tumore alla vescica. Il carcinoma della vescica è una malattia molto chemiosensibile. Come farmaco si utilizza il Cisplatino. Ci sono due schemi: 1) schema cisplatino+gemcitabina 2) schema che prevede una combinazione di 4 chemioterapici, tra cui sempre il cisplatino Ricorda che per la malattia muscolo-invasiva si fanno in ordine: 1) resezione endoscopica (TURB), 2) avere conferma dall’anatomo patologo che sia una malattia muscolo-invasiva 3) fare TC per vedere che non ci siano metastasi 4) decidere di fare la chemioterapia neoadiuvante 5) intervento chirurgico Pag. 26 di 44 A volte può succedere che il paziente venga operato direttamente: magari l’urologo non parla con l’oncologo di un caso e procede subito con l'intervento oppure pensava che fosse una malattia più tranquilla ma, operandolo, scopre le metastasi ai linfonodi. In questo caso si propone una chemioterapia post-chirurgica con cisplatino+gemcitabina (4 cicli). Questo trattamento prevede una sopravvivenza maggiore del 5% a 5 anni dall’intervento, quindi i risultati sono più o meno uguali alla terapia neoadiuvante. ! Si preferisce fare la terapia neoadiuvante perché il paziente sta meglio prima dell'intervento. Bisogna tenere in considerazione che l’intervento è impegnativo, dunque è più difficile che ci sia un recupero tale del paziente da permettergli di essere in grado di iniziare la chemioterapia. Concetto generale di oncologia: la chemioterapia preventiva dev’essere fatta sempre vicino all'intervento perché è più probabile guarire la malattia se ho 5 cellule tumorali metastatiche rispetto a 5 milioni (esempio). Quindi, nel caso in cui facessi prima l’intervento, il paziente dovrà poi essere in grado di affrontare la chemioterapia e questa cosa è molto difficile che accada a causa di eventuali complicanze, come ascessi, processi infettivi, ematomi, ecc… Per quanto riguarda l’immunoterapia adiuvante si utilizzano due farmaci recentissimi che ancora in Italia non sono presenti, il Nivolumab e il Pembrolizumab. Questi aumentano la sopravvivenza nei pazienti che hanno ricevuto immunoterapia preventiva. L’immunoterapia è stata recentemente introdotta nei trattamenti neoadiuvanti: ci sono degli studi con chemioterapia + immunoterapia che sono stati presentati qualche settimana fa al congresso di oncologia. Per questi motivi si pensa che cambierà lo standard terapeutico, che molto probabilmente prevederà: chemioterapia + immunoterapia → chirurgia → immunoterapia. Ci sono abbastanza casi in cui i pazienti rifiutano l’intervento chirurgico perchè questo viene fatto in due modi: 1) stomia 2) intervento di neovescica→ ricostruzione di un serbatoio (che fa da vescica) con delle anse intestinali a cui vengono abboccati i due ureteri, l’uretra è collegata al serbatoio; la diuresi è naturale. Il problema di questa opzione è che il serbatoio non ha la stessa continenza della vescica, infatti ogni due ore deve essere svuotato tramite una specie di manovra di valsalva, premendo sulla pancia (anche di notte). Le donne hanno una pessima continenza oppure subiscono interventi per i quali necessitano del catetere, quindi l’intervento funziona male. Ci sono due interventi di stomia: 1) ureterocutaneostomia bilaterale→ i due ureteri vengono abboccati alla cute e rimangono fuori le due stomie con le sacchette Pag. 27 di 44 2) ureteroileocutaneostomia→ più comune; i due ureteri sono anastomizzati ad un pezzo dell’ileo, il quale viene attaccato alla cute; rimane la stomia esterna per la raccolta delle urine Per i pazienti che rifiutano il trattamento chirurgico si opta per un trattamento conservativo: resezione endoscopica, chemioterapia e radioterapia. Questo trattamento dà gli stessi risultati della chirurgia in termini di sopravvivenza, ma il dato di follow up è molto più breve perchè sono trattamenti che si fanno da meno tempo e non ci sono studi di confronto con la chirurgia, per cui non si può dire ancora che la possono sostituire. E’ da ricordare però perché è un’alternativa in pazienti selezionati che rifiutano l’intervento. Se ho come paziente un anziano che non può fare l’anestesia, opterò per una radioterapia palliativa, solo allo scopo di evitare il sanguinamento. Per quanto riguarda la malattia delle alte vie escretrici, si fanno l’intervento chirurgico e la chemioterapia adiuvante (in alcune situazioni dove la malattia è avanzata). Non ci sono indicazioni ad utilizzare la terapia neoadiuvante. Follow up Chi ha avuto un tumore delle vie urinarie è probabile che ne avrà un altro nel corso della vita: chi ha avuto un tumore della pelvi renale dovrà controllare la vescica con cistoscopie periodiche e viceversa. il rischio è maggiore rispetto a chi non ha mai avuto un tumore. Ricordare che il fattore di rischio principale è il fumo e quindi non lo posso rimuovere in maniera immediata. Malattia metastatica Utilizziamo principalmente la chemioterapia a schema cisplatino (la stessa della terapia adiuvante). Per poter fare il cisplatino, però, il paziente deve avere una buona funzionalità renale e un buon performance status. Se questo non accade, cioè non ha una funzionalità renale Pag. 28 di 44 adeguata, posso usare il carboplatino al posto del cisplatino. Dopo 4 cicli di chemioterapia si fa una TC per rivalutare lo stato della malattia: - nei pazienti che non sono in progressione, cioè se le metastasi sono stabili o si sono ridotte, si utilizza l’immunoterapia di mantenimento con l’Avelumab - nei pazienti che non sono migliorati si utilizza il Pembrolizumab (immunoterapico) Per i pazienti che non rispondono all’immunoterapia si utilizza un anticorpo farmaco-guidato, l’Enfortumab, che fa parte di una nuovissima categoria di farmaci oncologici che consistono in una componente anticorpale specifica per una proteina che presenta la cellula tumorale sulla sua superficie. Il meccanismo è questo: il tumore esprime la proteina sulla superficie → il farmaco si lega ad essa ed entra nella cellula→ quì libera un chemioterapico. In questo modo riesco a veicolare il chemioterapico direttamente nella cellula, risparmiando le cellule vicine. I chemioterapici, in generale, hanno effetti citotossici perché inibiscono la duplicazione del DNA andando a causare come conseguenza diversi effetti collaterali, come ad esempio la caduta dei capelli, la nausea, l’anemia, la piastrinopenia… Questi nuovi farmaci, invece, sono selettivi e, dunque, ottengono un’azione antitumorale migliore con effetti collaterali diminuiti. In oncologia i nuovi farmaci si sperimentano sui pazienti che non hanno opzioni terapeutiche disponibili. Se vedo che funzionano li utilizzo poi nei pazienti meno gravi. C’è un nuovo trattamento, non disponibile al momento ma che arriverà a breve, che è l’impiego combinato di Enfortumab + Pembrolizumab in prima linea per i pazienti che iniziano la terapia per la malattia metastatica. Si è visto che ha effetti migliori Pag. 29 di 44 rispetto alla chemioterapia utilizzata fino ad ora. In Italia solitamente passa un anno/un anno e mezzo dalla dimostrazione tramite studi del funzionamento di una terapia e l’attuazione di quest’ultima. La prof spiega il grafico in alto: la curva blu rappresenta la sopravvivenza dei pazienti che hanno fatto la terapia nuova (Enfortumab + Pembrolizumab), mentre la curva grigia sono i pazienti che hanno fatto cisplatino + gemcitabina in uno studio randomizzato di fase 3 (il migliore studio possibile). questo trattamento ha dato i risultati migliori, con una prospettiva di vita che è migliorata da 15 mesi a 31 mesi in pazienti metastatici con tumori della vescica, con tossicità minore. CARCINOMA DEL TESTICOLO Questo è uno dei pochi tumori che anche in fase metastatica riesce a guarire, specialmente nei pazienti giovani. Un errore in questi pazienti può essere molto grave dal punto di vista medico. Oggi ci sono delle linee guida molto chiare e precise. Per fortuna è un tumore abbastanza raro e, di conseguenza, è necessaria una centralizzazione dei casi in centri specializzati (non tutti gli oncologi ne sono esperti). Quando parliamo di tumore del testicolo ci riferiamo prevalentemente ai tumori a cellule germinali cioè i tumori che originano dai tubuli seminiferi, dalle cellule che ci sono a livello del testicolo e da cui originano gli spermatozoi. Ci sono anche altri tipi di tumore del testicolo che però sono più rari con una prognosi migliore per cui non verranno trattati. Pag. 30 di 44 Incidenza Colpisce specialmente i pazienti molto giovani, infatti sono i tumori più frequenti nella fascia d'età tra i 15 ed i 40 anni (si penserebbe al linfoma come tumore più comune ma è sbagliato; ovviamente si parla dei maschi). Fattori di rischio - criptorchidismo→ testicolo ritenuto - testicolo ipo/atrofico - Sindrome di Klinefelter - infertilità - tumore testicolo controlaterale→ il paziente ha una probabilità del 5% di sviluppare un tumore sull’altro testicolo Anatomia patologica Ci sono due gruppi: - tumori a cellule germinali→ più frequenti, sono divisi a loro volta in due sottogruppi: i seminomi (40-50% dei casi) ed i non seminomi (50-60% dei casi) - tumori stromali→ tumori a cellule di Leydig, a cellule di Sertoli,...; sono molto rari e si curano con la sola chirurgia (non saranno trattati) Stadiazione Per i seminomi ed i non seminomi la stadiazione si basa su TNM e sui markers. Se ho un paziente con T2 il tumore può avere all’interno dei vasi sanguigni e linfatici, questo rappresenta un elemento importante di rischio di metastasi (è un fattore di rischio riconosciuto specialmente per i non seminomi, meno sui seminomi) Pag. 31 di 44 Gli stadi più comuni sono 4: - stadio 1 → tumore al testicolo operato in cui ho i marcatori negativi/ un aumento dei marcatori ma ho un esame di stadiazione (TC o risonanza) che non mostra metastasi a distanza; - stadio 2 → ho fatto l’orchiectomia ma vedo delle metastasi linfonodali, possono essere: stadio 2A se sono inferiori a 2 cm, 2B se sono tra 2-5 cm, 2C se sono sopra i 5 cm; - stadio 3 → può presentare metastasi polmonari - stadio 4 Prognosi Il TNM non è l’unico metodo di stadiazione ma devo conoscere anche i valori dei markers tumorali, che sono rilevabili con un semplice esame del sangue: - beta-hCG → molto sensibile, quindi se è alta c’è qualcosa che non va perchè dev’essere normale (ogni test ha i suoi range, comunque al di sotto di 3 va bene, ma quando è maggiore di 5 deve essere indagata) - alfafetoproteina - LDH → più aspecifico, è un indice di volume della malattia: più è elevato il tumore, più è alto ATTENZIONE: Nel seminoma troviamo aumentati beta-hCG e l’LDH perchè non può produrre l’alfafetoproteina (sarà normale). In base al valore dei marcatori ho una classificazione prognostica, perché se il marcatore è alto il paziente ha sicuramente una malattia. Se ho tolto il tumore e il markers è comunque alto vuol dire che quel paziente ha metastasi, in quanto il valore dovrebbe essere tornato a zero. Pag. 32 di 44 I valori dei markers, quindi, sono fondamentali, infatti si fanno terapie anche solo se i markers sono alti. La TC ha una capacità risolutiva ed una sensibilità a riconoscere le metastasi che non è del 100%, quindi può capitare che il paziente possa avere una metastasi linfonodale anche se non risulta nell’imaging (ma risulterà sicuramente dai markers). Più sono numerose le cellule metastatiche, più è probabile che il linfonodo sia ingrandito. Il paziente può avere la malattia allo stadio 1, quindi un tumore centimetrico, ma sapere che ha il tumore a causa dei markers elevati. Diagnosi Viene fatta clinicamente. In genere il ragazzo arriva in pronto soccorso (e viene mandato dall’urologo) perché si è reso conto che ha una massa testicolare. In seguito si fa l’ecografia. La RM viene fatta solo se ci sono dei casi dubbi (magari ha una massa molto piccola o non siamo sicuri di una cosa). Poi si fanno i marcatori tumorali: se beta-hCG è alta la diagnosi è fatta. La TC ci serve solo per la stadiazione, cioè per escludere la possibilità di metastasi a distanza. La biopsia del testicolo NON VA MAI FATTA, sarebbe un errore gigantesco in quanto c’è un alto rischio di insemenzamento e perché posso modificare i drenaggi linfatici: il passaggio dell’ago può, quindi, far spostare le cellule tumorali in altre sedi linfonodali e drenaggi. La biopsia può essere fatta intraoperatoria. La biopsia non deve essere mai fatta come esame diagnostico. In seguito si fa la orchifuniculectomia per via inguinale. E’ importantissimo che sia poi seguito da un monitoraggio dei markers: se opero il ragazzo e tolgo il tumore, i marcatori devono scendere, se i marcatori non si normalizzano, vuol dire che c'è malattia metastatica microscopica che non ho visto con la TC. E’ importantissimo sapere quando fare gli esami per i markers perchè hanno tempi di decadimento diversi, quindi io devo fare il prelievo nel momento giusto per vedere se questi valori si riducono in maniera appropriata (DOMANDA DA ESAME AL 100%): - Alfafetoproteina → ha un tempo di decadimento di circa 5-6 giorni - betaHCG → tempo di decadimento di 24-36h - LDH → tempo di decadimento di 24h Prima dell’intervento si misurano i markers per fare il confronto con quelli post-operatori. Si fanno o il giorno dell'intervento o il giorno prima. Devo ripetere i prelievi: 1) il primo lo faccio il giorno dopo, dopo più o meno 24h (non sarebbe un errore farlo anche direttamente a 36h) Pag. 33 di 44 2) il secondo lo faccio dopo 5 giorni dall'intervento → se si normalizzano entro il 5° giorno posso interrompere i prelievi, se invece non si normalizzano li devo ripetere Prima di un qualsiasi trattamento dobbiamo parlare con il paziente (ragazzo) e spiegargli che qualsiasi scelta lui faccia, c'è una percentuale di possibilità che il trattamento possa impattare sulla sua fertilità. Se tolgo il testicolo con l'altro funzionante non ci sarà nessun problema ma se quel ragazzo ha un qualche problema (varicocele o qualsiasi malattia che riduce la sua fertilità) l'orchifunicolectomia può essere un elemento che pregiudica la fertilità futura, come anche gli interventi oncologici (chemioterapia e radioterapia). Quindi è importante affrontare questo discorso, visto che l'età in cui insorge questo tipo di tumore è giovanile (il ragazzo potrebbe non aver avuto figli) Si fanno uno spermiogramma ed una criopreservazione del liquido seminale prima dell’intervento (permettono di evitare problemi sia da un punto di vista medico-legale sia da un punto di vista generale, perché preserviamo la fertilità di un giovane uomo). Ci sono dei pazienti che risultano subfertili allo spermiogramma prima dell'intervento: non è una condizione frequentissima ma accade ed è giusto saperlo perché potrebbe essere attribuita all’intervento e, quindi, avere anche riscontri medico-legali. In realtà c'è una grandissima percentuale di pazienti che diventa genitore in maniera naturale anche dopo chemioterapia anche senza aver utilizzato lo sperma preservato. Non dobbiamo pensare che la chemioterapia crei dei danni a livello di fertilità sicuramente, ma è giusto parlarne per evitare i problemi sopracitati. Pag. 34 di 44 ONCOLOGIA MEDICA SBOBINATORE: SARA CORONATI PROF: Claudia Caserta REVISORE: CAMILLA CASALICCH IO DATA: 03/10/2024 3° ORA TERAPIA SEMINOMA STADIO 1 La SORVEGLIANZAsorveglianza è la prima scelta per questo tipo di tumore. Per un paziente che viene operato per un primo stadio di tumore al testicolo si tende a preferire questo tipo di opzione terapeutica, evitando sovra-trattamenti (esempio chemioterapie inutili) e se il paziente dovesse recidivare si attua la chemioterapia. Con la chemioterapia guarisco i pazienti con seminoma stadio- avanzato al 99%. Non serve quindi attuare prevenzione perché la prevenzione la attua laddove sulla malattia metastatica non ho delle terapie particolarmente efficaci. Se ho una terapia che mi guarisce all 99% i pazienti in stadio avanzato non c’è bisogno di fare l’adiuvante visto che l’ORCHIECTOMIAorchiectomia è risolutiva. TERAPIA NON-SEMINOMA STADIO 1 In questo caso le probabilità di guarigione sono leggermente più basse, quindi va distinto il rischio di recidiva sulla base di due fattori: in presenza di un’invasione vasculo-linfatica (LVI) vi è un rischio di recidiva del 50%, in assenza di invasione vasculo-linfatica (LVI) vi è un rischio del 15%. Per un paziente che ha un rischio del 15% si tende a preferire la SORVEGLIANZAsorveglianza, per chi ha un rischio del 50% viene proposto un solo ciclo di CHEMIOTERAPIAchemioterapia (che possono diventare 3-4 cicli in caso di malattia metastatica). La LINFOADENECTOMIA RETROPERITONEALElinfoadenectomia retroperitoneale è un’opzione da utilizzare, poichée l’altra opzione è rimuovere i linfonodi e vedere se ci sono metastasi:, se le metastasi sono presenti faccio una chemioterapia post intervento, se invece le metastasi non sono presenti rimane un primo stadio quindi il paziente è guarito. La linfoadenectomia retroperitoneale puòo essere effettuata in centri specializzati e casi selezionati, come ad esempio la presenza di un teratoma, che è un tumore che non risponde alla chemioterapia. La linfoadenectomia puòo causare come complicanza (oltre ad emorragie, infezioni, linfedema) EIACULAZIONE RETROGRADAeiaculazione retrograda (durante l’eiaculazione invece di uscire fuori va in vescica). L'eiaculazione retrograda è causata da una lesione di un nervo. Pag. 35 di 44 TERAPIA STADI IIA – IIB Nei seminomi con stadi più avanzati dipende dall’istologia. Si può utilizzare la RADIOTERAPIAradioterapia essendo il seminoma radiosensibile, nei non-seminomi si utilizza la CHEMIOTERAPIAchemioterapia. La chemioterapia è cardine dello schema BEP (lo schema BEP è la prima terapia di scelta nei pazienti con malattia avanzata) FOLLOW-UP Il FOLLOW- UP è importante in tutti gli stadi, in particolare in tutti i pazienti in STADIO 1stadio 1 dove viene proposta la sorveglianza. Qui i pazienti vanno seguiti, per poter intervenire tempestivamente se la malattia si ripresenta, con dei controlli mirati e periodici per almeno i primi 5 anni dopo la chirurgia ( visita clinica, imaging radiologico, marcatori tumorali). Il 90% dei tumori delle recidive si sviluppa a 3 anni dall’intervento. Il follow-up è importante anche in seguito a chemioterapia in quanto essa aumenta il rischio di problemi cardiovascolari e la formazione di seconde neoplasie, soprattutto ematologiche. DA RICORDARE Pag. 36 di 44 In un ragazzo che si presenta con una massa retroperitoneale, è opportuno considerare che si tratta nella maggior parte delle ipotesi di un carcinoma del testicolo, o, con scarse probabilità, di un tumore a cellule germinali primitive del retroperitoneo. Di fronte ad una massa in un ragazzo giovane, si procede quindi con la palpazione del testicolo per capire se è presente una massa testicolare primitiva; poi si continua con il dosaggio delle betaHCG , alfafetoproteina ed, LDH e se questi valori sono alti non c’è bisogno di altro per avere una diagnosi chiara. CARCINOMA DELLA PROSTATA EPIDEMIOLOGIA Il tumore alla prostata è al primo posto per incidenza e al terzo posto per mortalità. Questi sono i dati che si riferiscono all’ultima analisi pubblicata a cui partecipa anche la società di oncologia italiana che è l’AIOM. Vediamo nella curva che negli anni è aumentata ma solo perchè sono aumentate le diagnosi. Come vediamo nel 2023 sono state stimate circa 12.700 nuove diagnosi di carcinoma della prostata e circa il 91% dei pazienti è vivo a 5 anni dalla diagnosi. Il carcinoma della prostata è il tumore con più alta incidenza (“incidenza” significa “nuovi casi annui per 100.000 abitanti”) nel sesso maschile. Negli anni vi è stato un aumento nell’incidenza e un calo della mortalità, dovute principalmente all’aumento di diagnosi legate all’impatto degli screening. La metà dei pazienti con tumore alla prostata ha un’età avanzata quindi risulta inutile applicare una campagna di screening. Pag. 37 di 44 FATTORI DI RISCHIO ETA’ (l’incidenza aumenta con l’età)—> dopo 80 anni c’è un’ alta probabilità di sviluppare quasi sicuramente un adenocarcinoma alla prostata. ETNIA (l’etnia nera è più a rischio) FAMILIARITA’ → 25% FATTORI GENETICI (BRCA1/2 che possono predisporre tumori alla prostata con massima aggressività , ATM, SINDROME DI LYNCH) → 9-11% STILE DI VITA e FATTORI AMBIENTALI (FUMO, ALTO CONSUMO DI ALCOL, OBESITA’, ALIMENTAZIONE) SINDROME METABOLICA DIABETE INTEGRATORI DI SELENIO O VITAMINA-E NON HANNO DIMOSTRATO UTILITA’ NELLA PREVENZIONE DEL CARCINOMA PROSTATICO NEGLI UOMINI CON IPOGONADISMO, LA TERAPIA CON TESTOSTERONE NON AUMENTA IL RISCHIO DI CARCINOMA Tra i fattori di rischio importanti del carcinoma alla prostata vi sono sicuramente l’ETA’, la FAMILIARITA’, l’ASPETTO GENETICO (geni BRCA1/2), STILI DI VITA, FATTORI AMBIENTALI, SINDROME METABOLICA, DIABETE. PSA E SCREENING ANTIGENE PROSTATICO SPECIFICO è una glicoproteina con funzione di proteasi serinica. SCREENING PSA Lo screening del PSA ci permette di identificare tumori poco aggressivi in persone asintomatiche. Questa glicoproteina (PSA) viene secreta nel liquido seminale con la funzione di mantenerlo fluido, ma non è un marcatore specifico della presenza di un tumore: un livello elevato di PSA può indicare anche la presenza di un’infezione o di un’infiammazione o di un’ipertrofia prostatica. Pertanto l’utilizzo di questo screening è ancora motivo di discussione; infatti se da un lato favorisce la diminuzione di mortalità, dall’altro determina un aumento delle diagnosi di tumori caratterizzati da decorso talmente lento che non si sarebbero manifestati nell’arco della vita. Una volta informati su benefici e rischi conseguenti uno Pag. 38 di 44 screening con il PSA può essere offerto agli uomini che lo richiedono (SCREENING OPPORTUNISTICOscreening opportunistico). PRESENTAZIONE CLINICA La maggior parte dei pazienti sono asintomatici. In caso di riscontro di PSA elevato, a prescindere se durante l’esplorazione rettale digitale si nota qualcosa o meno, si procede con la RM RISONANZA MAGNETICA (se il valore è superiore a 3). Essa ha una maggiore sensibilità anche nell’identificare i tumori più significativi poiché esiste uno “score” che viene utilizzato dai radiologi che permette di capire se il nodulo che si presenta è benigno (score basso) e quindi non vi è bisogno di ulteriori indagini, oppure vi è bisogno di una BIOPSIA PROSTATICAbiopsia prostatica (score alto). La biopsia va eseguita in via transperineale (risp poiché vi è un minor rischio di infezione e va eseguita mirando al nodulo scoperto tramite la risonanza magnetica. ISTOLOGIA Da un punto di vista istologico la forma più