Tumori Cerebrali - ONCOLOGIA MEDICA - 21 Ottobre 2024 PDF

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2024

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brain tumors oncology medical neurology

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This document covers brain tumors, specifically, their epidemiology, risks, and classifications. It details the types, incidence, and factors related to the development of primary brain tumors. It provides an overview of the different types of brain tumors, such as meningiomas and gliomas, highlighting the importance of the IDH mutation in their classification.

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ONCOLOGIA MEDICA 21 OTTOBRE 2024 SBOBINATORE: MARILISA MELLONE ORE 16-17 REVISORE: MARCO SCAGLIETTI TUMORI CEREBRALI  Quando si parla di tumor...

ONCOLOGIA MEDICA 21 OTTOBRE 2024 SBOBINATORE: MARILISA MELLONE ORE 16-17 REVISORE: MARCO SCAGLIETTI TUMORI CEREBRALI  Quando si parla di tumori cerebrali si fa riferimento a quelli primitivi, nati direttamente nel sistema nervoso centrale.  Sono dei tumori che vengono trattati grazie alla collaborazione di diverse figure professionali, come il neurologo, l’oncologo, il neurochirurgo e il radioterapista oncologo.  EPIDEMIOLOGIA - Sono dei tumori relativamente rari, in particolare se rapportati a quelli cerebrali metastatici, derivanti soprattutto dal tumore polmonare, mammario e dal melanoma. - Rappresentano solo il 2% di tutti i tumori - Presentano una distribuzione diversa a seconda dell’età, però in generale la loro incidenza decresce all’aumentare dell’età:  Nei bambini sono i tumori solidi più comuni (40,3 nuovi casi su 100.000)  Negli adolescenti/giovani adulti (tra 15 e 39 anni) rappresentano la seconda causa di mortalità cancro-relata (11,8 nuovi casi su 100.000)  A partire dai 40 anni, la loro incidenza come causa di morte decresce (5.7 nuovi casi su 100.000) - Hanno una diversa incidenza in base al comportamento biologico. I meningiomi rappresentano la maggior parte dei tumori benigni. Di tutti i tumori cerebrali primitivi, 1/3 è rappresentato dai gliomi cerebrali, cioè quelli più comuni. Tra tutti i gliomi, in termini di frequenza il glioblastoma multiforme è il glioma maggiormente rappresentato, addirittura fino al 60% dei casi Poi ci sono forme meno rappresentate come astrocitoma e oligodendroglioma. Pagina 1 di 20  FATTORI DI RISCHIO Ad oggi, non sono ben chiari i FDR di questi tumori cerebrali. Tra quelli riconosciuti, ma che si applicano a pochi casi selezionati, ricordiamo: - Pregressa esposizione a radiazioni ionizzanti, soprattutto da bambini o in giovane età (es. pregresso trattamento radiante nei bambini per tinea capitis, anche se oggigiorno non si pratica più; pregressa irradiazione cranio-spinale, soprattutto in pz giovani con leucemia linfatica acuta)  il tempo di latenza è piuttosto lungo (20-30 anni) perché poi la pregressa radiazione ionizzante possa favorire l’insorgenza dei tumori cerebrali primitivi - Stato di immunodeficienza (es. pz con infezione da HIV) perché c’è una stretta relazione tra sistema immune e cancro - EREDITARIETA’: è sicuramente una possibilità in questo tipo di tumori. Si tratta soprattutto di mutazioni di geni oncosoppressori, trasmesse per via genetica. Nonostante ciò, sono pochi i tumori cerebrali (solo il 5%) che hanno l’ereditarietà come FDR - PREDISPOSIZIONE GENETICA, legata a determinati geni o polimorfismi genetici Nella tabella, sono indicate le alterazioni genetiche più comunemente legate a un aumentato sviluppo di tumori cerebrali. N.B. Non è ancora, invece, chiaro se le onde elettromagnetiche dei telefoni cellulari rappresenti un FDR; infatti, esistono solo dati conflittuali e non univoci.  CLASSIFICAZIONE Un tempo era una classificazione prevalentemente istologica, ma poi si è arricchita di dati molecolari. Quindi attualmente essa si basa su una classificazione integrata, cioè, sia molecolare sia genetica. La cellula progenitrice, cioè la cellula gliale può o no assumere una prima mutazione precoce, cioè quella del gene IDH.  Nel caso in cui il glioma non abbia questo tipo di mutazione e sia IDH wt, si parla di GLIOBLASTOMA PRIMITIVO  Nel caso in cui presenti una mutazione di IDH, essa può acquisire ulteriori mutazioni nel tempo. In particolare, 1. se acquisisce la mutazione del gene 1p/19q allora evolve verso un tumore detto OLIGODENDROGLIOMA Quindi si diagnostica un oligodendroglioma, quando sono presenti sia la mutazione di IDH sia la mutazione del gene 1p/19q 2. se c’è solo mutazione di IDH, ma non di 1p/19q allora si parla di ASTROCITOMA Pagina 2 di 20 IDH1/2 sono geni molto importante nella cancerogenesi dei gliomi La loro mutazione è un evento molecolare molto precoce, che porta all’accumulo di un oncometabolita, cioè il 2-idrossiglutarato, implicato nella formazione e progressione dei gliomi perché trasloca nel nucleo e agisce da fattore di trascrizione. Infatti, recentemente questo oncometabolita è diventato un target terapeutico perché sono stati sviluppati dei farmaci a bersaglio molecolare, appannaggio però dei gliomi di basso grado, che più spesso presentano questo tipo di mutazione. La classificazione nei gliomi è importante, perché per essi non esiste il TNM, in quanto non sono tumori che danno metastasi (o comunque molto raramente). La loro storia naturale, quindi, è caratterizzata dalla nascita e crescita locale all’interno del sistema nervoso centrale, dell’encefalo. Quindi è rilevante la classificazione tra oligodendroglioma, astrocitoma e glioblastoma multiforme È importante anche valutare il grado, da un punto di vista istologico, perché più alto è il grado, peggiore è la prognosi.  PROGNOSI - La presenza della mutazione di IDH1/2 identifica tumori a migliore prognosi, quindi astrocitomi od oligondendrogliomi In più, gli oligodendrogliomi hanno la codelezione del gene 1p/19q, che risulta essere anche un marker diagnostico, insieme alla mutazione di IDH. La presenza di una co-delezione rende questi tumori maggiormente sensibili a un trattamento radio- e/o chemio-terapico - L’assenza della mutazione di IDH1/2 è tipica dei tumori a peggior prognosi, come glioblastoma multiforme Pagina 3 di 20 Quindi in ordine, in termini di prognosi, abbiamo al primo posto gli oligodendogliomi, seguiti dagli astrocitomi e infine dai glioblastomi multiformi.  DIAGNOSI CLINICA Ci sono una serie di sintomi, principalmente cerebrali, estremamente eterogenei a seconda della localizzazione del tumore, dell’area cerebrale coinvolta e dell’aggressività del tumore. Se è un glioma di basso grado: - cresce lentamente, quindi le manifestazioni sono più sfumate e la diagnosi non è immediata - le prime avvisaglie sono delle crisi comiziali, disturbi della personalità e/o psichiatrici (in caso di coinvolgimento dei lobi frontali) Invece, i tumori a crescita rapida, come glioblastoma multiforme: - si possono manifestare in prima battuta con sindromi da emilato; quindi, insorgono con sintomi e segni più acuti - danno un effetto massa, quindi si possono presentare con segni e sintomi di ipertensione endocranica (come cefalea, nausea, vomito, vertigini) o deficit motori agli arti IMAGING 1. Il primo esame per porre sospetto di tumore cerebrale è la TAC ENCEFALO, preferenzialmente con MDC per escludere la presenza di eventi ischemici ed emorragici 2. L’esame gold standard è la RM con gadolinio come MDC e, soprattutto in sequenze T1-pesate, permette di vedere se la lesione cerebrale prende contrasto, in quanto la presa di contrasto correla con l’aggressività del tumore. Con la RM, si possono anche studiare la perfusione tumorale (un aumento del flusso sanguigno si verifica nei tumori di alto grado) e il grado di diffusione delle molecole di acqua (il cui movimento risulta ridotto in caso di aumentata cellularità, in presenza quindi di un tumore attivo). Nei gliomi di basso grado, la presa di contrasto nelle sequenze T1-pesate non è presente (immagine D). Invece si presentano come lesioni iperintense nelle sequenze T2-pesate (immagine C). Pagina 4 di 20 Nei gliomi di alto grado, c’è un’eterogenea presa di contrasto da parte della lesione nelle sequenze T1-pesate (immagine D), soprattutto intorno alla lesione dove c’è la massa tumorale vitale in fase di crescita all’esterno. Al centro della stessa lesione, invece, c’è un’area necrotica Nelle sequenze T2-pesate (immagine C) e FLAIR (immagine B) si vede una lesione iperintensa e l’edema circostante, a causa di un processo infiammatorio attorno molto marcato. 3. In caso di tumori cerebrali che possono diffondere attraverso il liquor cefalo-rachidiano (es ependimoma e medulloblastoma), occorre eseguire anche una RM con mdc del nevrasse e una puntura lombare, per valutare l’eventuale presenza di cellule tumorali nel liquor GLIOBASTOMA MULTIFORME  Costituisce più del 50% di tutti i gliomi maligni  L’età mediana di insorgenza è di 62 anni  La caratteristica all’esame istologico è che la presenza di cellule pleomorfe, cioè altamente indifferenziate e di aree di necrosi perché non arriva sufficiente quota di O2, emorragia e anormale vascolarizzazione (quindi c’è neoangiogenesi molto marcata)  Da un punto di vista molecolare, non c’è mutazione di IDH e mutazione di TERT, importante da dimostrare da un punto di vista diagnostico  TERAPIA La terapia principale è la chirurgia, che però difficilmente può essere radicale, perché la malattia coinvolge un organo nobile; quindi, bisogna stare attenti a non lasciare sequele post-operatorie gravi. Spesso, quindi, si parla di gross total resection. In generale, la rimozione di circa il 70% della massa tumorale si associa a una migliore sopravvivenza. In alcuni casi, però, è un tumore inoperabile, ad esempio se interessa zone profonde come il corpo calloso. Dopo la chirurgia, solitamente si fa un trattamento radio-chemioterapico:  Il trattamento radiante si fa per un totale di 60 Gy sulla zona residua dalla chirurgia  Il trattamento chemioterapico più usato è la TEMOZOLOMIDE. È un agente alchilante non ciclo specifico, che agisce formando addotti con il DNA Pagina 5 di 20 Rispetto alla sola chemioterapia, i pz di hanno guadagnano, di media, un vantaggio in termini di sopravvivenza di 2 mesi e mezzo. La quota di glioblastomi multiformi che risponde particolarmente alla chemio- terapia è quella che presenta metilazione del gene MGMT. Se il gene MGMT è funzionante, permette di riparare il danno al DNA che il temozolomide causa. Quindi se non è funzionante perché mutato, l’agente alchilante ha maggior effetto, perché il danno che provoca non viene riparato e la temozolomide agisce in modo efficace e incontrastato. Solitamente si verifica una mutazione epigenetica (che non riguarda il gene, ma una parte che controlla l’espressione del gene), cioè mutazione del promotore del gene MGMT, che causa silenziamento del gene MGMT, che così non produrrà più l’enzima di riparazione del DNA. Quindi la metilazione del gene MGMT è un fattore predittivo di beneficio del trattamento con temozolomide, anche se in generale la combinazione di RT e CT si esegue anche nei pz non metilati. La curva in arancione indica i pz metilati e trattati con RT e temozolamide, che beneficiano maggiormente del trattamento radio-chemioterapico La curva blu, indica i pz non metilati e trattati con RT e temozolamide. La curva in rosso, invece indica i pz non metilati e trattati con la sola radioterapia. Si nota quindi dal confronto della curva rossa con quella blu che non c’è molta differenza in termini di sopravvivenza se si fa solo RT o RT+temozolomide. Pagina 6 di 20 Grazie al trattamento radio e chemioterapico si è riusciti ad ottenere una buona quota di pz sopravvissuti (10%) a distanza di 5 anni dalla diagnosi Man mano si sta procedendo verso un trattamento personalizzato del cancro, per i gliomi sia di alto grado sia di basso grado (che il professore dichiara di non trattare per brevità di tempo) Ad oggi, è consigliabile eseguire un sequenziamento genetico, perché si possono trovare delle mutazioni genetiche driver rare che possono aprire la porta all’utilizzo di farmaci biologici potenzialmente efficaci  RECIDIVE Poiché spesso non si può rimuovere il tumore in maniera radicale, a causa della sua crescita infiltrativa e dell’alta probabilità di sviluppare una marcata e precoce chemio o radioresistenza, molti pz recidivano. Però, al momento della recidiva, le opzioni terapeutiche che si possono offrire sono poche: molti pz non sono in condizioni cliniche tali da poter ricevere un ulteriore trattamento. Diventa quindi più importante focalizzarsi sui sintomi e sulle problematiche connesse con il fine vita.  FATTORI PROGNOSTICI SFAVOREVOLI - Condizioni cliniche scadute (KPS attraverso la vaccinazione  Prevenzione secondaria -> attraverso l’esecuzione del PAP test o del HPV test Prevenzione secondaria La prevalenza delle infezioni da HPV in Italia nella fascia d’età 17-70 anni, rilevata attraverso screening o controlli ginecologici, è al 7-16%. Se però si considerano le donne che hanno una citologia anormale all’esecuzione del Pap test, la presenza del virus può arrivare al 35%, fino a raggiungere il 96% nei casi di displasia severa che precede il carcinoma. 1. Esecuzione del Pap test Si effettuano attraverso la raccolta delle cellule che si sfaldano nel muco cervicale, è pertanto più efficace se effettuato durante la fase ovulatoria del ciclo ovarico, essendo il muco più fluido che garantisce una maggiore desquamazione. Una volta prelevato il campione, lo si “striscia” su di un vetrino e lo si colora con la colorazione di Papanicolau e si esamina il preparato al microscopio, al fine di rilevare i primi segni di lesione pre-cancerosa e/o la presenza del virus HPV.  Attraverso il Pap test, si è ridotta la mortalità da carcinoma della cervice uterina di circa il 70%. Tale test è la prima prevenzione dal carcinoma cervicale di cui disponiamo; pertanto, viene raccomandato a tutte le donne nella fascia di età 25-64 anni sessualmente attive e con cadenza triennale (una volta ogni 3 anni).  La sensibilità del Pap test è alta: al 75-90%. Non raggiunge la massima sensibilità per via del fatto che i referti cervico-vaginali mancano di riproducibilità, soprattutto per le lesioni pre-invasive e non ci sono marker biologici predittivi della capacità, né delle tempistiche, di queste lesioni di progredire verso il carcinoma squamoso. C’è anche un numero considerevole di falsi positivi: 7-20% che richiede, in alcuni casi, test di approfondimento diagnostico, come la colposcopia o test HPV. 2. HPV TEST  Per quanto riguarda lo screening con il determinante dell’HPV (HPV test) viene effettuato in donne tra i 30-35 anni fino a circa 65. Non si esegue questo test nelle donne tra 20-35 anni in quanto si hanno molte infezioni in questa fascia d’età che nell’80% dei casi risolvono spontaneamente e pochissime cronicizzano, rendendo il Pap test il migliore al fine di rilevare lesioni pre-invasive. Se si eseguisse questo test, darebbe moltissimi falsi positivi, essendo più sensibile rispetto al Pap test. Pagina 9 di 20  L’HPV test permette di rilevare il virus prima ancora che abbia iniziato a dare anomalie cellulari. Se eseguito nelle corrette fasce d’età, ha una sensibilità migliore del Pap test, riducendo i falsi negativi all’8-10%. In caso di persistenza della positività ad HPV aumenta il rischio di progressione neoplastica di 250 volte rispetto a coloro che sono invece persistentemente negative.  L’HPV test viene usato quindi come supporto diagnostico in tutti i casi dubbi col Pap test e permette di identificare lesioni persistenti. N.B. La negatività ai due test comporta una probabilità inferiore all’1% di sviluppare una lesione tumorale o pre-tumorale nel corso della vita.  Una volta eseguito lo screening usando l’HPV test, se questo risulta positivo, allora verrà eseguito un Pap test. Se risulta:  Positivo -> si procede con la colposcopia  Negativo -> si ripete l’HPV test dopo un anno. Se persiste positività al solo HPV test, si esegue la colposcopia LA COLPOSCOPIA La colposcopia, associata ad un attento esame clinico, può aiutare nella diagnosi precoce di infezione da HPV:  Condilomatosi acuminata -> “classici” condilomi: lesioni dalla caratteristica morfologia verrucoide, visibili anche senza colposcopio  Lesioni subcliniche -> visibili solo al colposcopio dopo aver applicato una soluzione a base di acido acetico che permette di far risaltare le lesioni che si possono localizzare su: o Vulva o Vagina o Cervice  Lesioni SIL (lesioni intraepiteliali squamose) -> possono essere: o L-SIL (basso grado) -> comprende la displasia lieve, quindi lo stadio CIN1 o H-SIL (alto grado) -> comprende:  Displasia moderata, ovvero CIN2  Displasia severa, ovvero CIN3 Possono avere morfologia e caratteristiche peculiari a seconda del sito che coinvolgono (vulva, vagina o cervice). Il rischio di progressione della displasia è direttamente correlato al grado della lesione primitiva:  CIN1: o Regredisce spontaneamente nel 47% dei casi o Evolve a CIN2 nel 16% dei casi  CIN2: o Regredisce nel 43% dei casi o Evolve a CIN3 nel 22% dei casi  CIN3 -> tende a cronicizzare e a non regredire, oltre ovviamente al rischio di evolvere in carcinoma invasivo. Per queste ragioni, viene consigliata la distruzione o l’escissione della lesione attraverso elettrochirurgia con: o Ansa diatermica o Laser-coonizzazione Pagina 10 di 20 Prevenzione primaria (vaccinazione) I vaccini sono costituiti da proteine virali del capside:  HPV-L1  HPV-L2 Ottenute attraverso tecniche di ingegneria genetica. Sono essenzialmente dei “capsidi senza DNA” e, dal punto di vista della struttura, sono identici ai virioni naturali tanto da poter evocare un’efficace risposta anticorpale neutralizzante tipo-specifica. La quantità di Ab sviluppati in maniera naturale a seguito di un’infezione (e guarigione) da HPV si mantiene su livelli estremamente bassi, diversamente da ciò che succede con la vaccinazione, che permette di mantenere livelli estremamente più alti di Ab neutralizzanti che si mantengono elevati per molti anni. Questi vaccini sono ancora in follow-up, ma pare che non richiedano richiami a lungo termine perché la protezione si mantiene anche per oltre 10 anni. È necessario che i livelli circolanti di anticorpi siano elevati, in quanto si concentreranno in misura maggiore nelle aree sito di infezione, impedendo l’ingresso del patogeno nella cellula. Sono stati sviluppati due grandi gruppi di vaccini:  Cervarix® -> bivalente (HPV 16, 18)  Gardasil® -> quadrivalente (HPV 6, 11, 16, 18). Esiste poi il Gardasil 9, il vaccino prevalente effettuato in Umbria che è nonavalente (HPV 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52, 58) Sono tutti indicati a partire dagli 11 anni d’età per entrambi i sessi. Sono indicati ad uso profilattico: non hanno effetto sulle infezioni attive o patologie cliniche in atto da HPV. C’è però una campagna di screening per donne di età 17-25 anni che hanno o superato l’infezione o rimosso la lesione per le quali è indicata la vaccinazione. Posologia del vaccino:  Paziente tra i 9 e i 14 anni (nonostante sarebbe meglio vaccinarsi a partire dagli 11 anni compiuti): sono consigliate 2 dosi, a distanza di 5 mesi l’una dall’altra o comunque non più distanti di 1 anno. Questo periodo di 5 mesi è necessario in quanto è il tempo che impiegano i linfociti B a maturare e differenziarsi  Paziente che ha almeno 15 anni: sono consigliate 3 dosi: la seconda a distanza di 1 mese dalla prima a cui fa seguito l’ultimo richiamo almeno 3 mesi dopo. Il ciclo di vaccinazioni per HPV deve comunque concludersi entro 1 anno Pagina 11 di 20 Secondo un lavoro del New England, la vaccinazione è tanto più efficace tanto più precocemente è somministrata. L’efficacia della vaccinazione viene valutata sulla base della riduzione dell’incidenza dell’infezione persistente da HPV e sulla riduzione dell’incidenza di lesioni precancerose. In una popolazione ideale si spera di coprire il 90-100% delle lesioni invasive e pre-invasive a fronte del 50-70% della popolazione reale. Il profilo di sicurezza per tali vaccini è favorevole, con reazione avverse analoghe a quelle degli altri:  Cefalea (il più comune)  Febbre (2°-4° giorno dopo la vaccinazione)  Dolori muscolo-articolari  Eruzioni cutanee (molto modeste in incidenza)  Reazioni gastrointestinali (bassa incidenza):  Diarrea  Dispepsia  Nausea Sempre relativamente all’efficacia della vaccinazione anti-HPV, sono stati fatti 26 studi che hanno coinvolto oltre 73˙000 partecipanti, che abbiano ricevuto almeno 1 dose di vaccino, con un profilo di sicurezza tra i 6 mesi e i 9 anni. La maggior parte di questi studi gli individui hanno età nella fascia 15-26 anni, mentre sono solo 3 quelli dove le donne hanno età >25 anni (fino 45 anni d’età). La popolazione studiata è questa in quanto sono 2 i picchi di infezioni HPV relate nella donna: intorno ai 20 anni e sopra i 40, intorno ai 45 anni. Soprattutto gli studi relativi alle donne tra i 15 e i 26 anni hanno dimostrato una elevata riduzione del rischio di lesioni precancerose con un elevato livello di incidenza. Non ci sono dati circa la sicurezza del vaccino in gravidanza, nonostante in alcuni casi la gravidanza sia stata scoperta dopo la vaccinazione stessa. In ogni caso, non si associa al rischio di aborti e il rischio di nati prematuri è essenzialmente molto basso. I principali motivi di insuccesso della vaccinazione anti-HPV nelle femmine e nei maschi:  Mancata raccomandazione da parte dei sanitari (pediatra o MMG)  Mancata conoscenza  Preoccupazione su sicurezza ed effetti collaterali  Non ritenuta necessaria  Mancata attività sessuale -> è importante effettuare il vaccino prima del 1° rapporto sessuale Pagina 12 di 20 Carcinoma mammario ereditario Il carcinoma della mammella è - nel 70% dei casi sporadico, - familiare nel 10-30% (ciò significa che ha 1 o più parenti che hanno o hanno avuto carcinoma della mammella, senza evidenza di mutazione genetica) - ereditario “solo” nel 5-10% dei casi. Dal momento che si hanno circa 50˙000 nuovi casi/anno di carcinoma della mammella, circa 5˙000 di questi sono dovuti ad una mutazione genetica ereditaria, la quale oltretutto presenta la stessa incidenza dal carcinoma ovarico. Il riconoscimento di un tumore della mammella è fondamentale in quanto: - Il trattamento può essere diverso rispetto a quel del cancro sporadico - Il follow-up e la sorveglianza sono diversi, spesso più intensi - Rilevare un rumore ereditario permette di identificare una serie di soggetti a rischio - Permette la diagnosi precoce e, eventualmente, chirurgia profilattica I geni più implicati nel carcinoma ereditario della mammella sono:  BRCA1 (cromosoma 17q21)  BRCA2 (cromosoma 13q12.3) (Dove BR indica BREAST e CA sta per cancer)  La loro trasmissione segue un modello di ereditarietà autosomico-dominante, ovvero: o Probabilità del 50% di ereditare la mutazione (se uno solo dei genitori malato) o Nessun salto generazionale o Uguale rapporto di ereditarietà tra i maschi e le femmine  Meccanismi oncosoppressori dei due geni: - Inibiscono la crescita delle ghiandole mammarie - Sono coinvolti nella riparazione del DNA, in particolare tramite meccanismi di riparazione omologa - Interagiscono con le proteine RAD (si formano i complessi BRCA1-RAD50 e BRCA2-RAD51 che permettono di localizzare i siti di danno al DNA) - Regolano l’attività di altri geni, come p21 - Ruolo fondamentale nell’embriogenesi Pagina 13 di 20  Nonostante siano sempre indicati insieme, inducono dei fenotipi di trasformazione tumorale un po’ diversa: - Entrambi: o Aumentano il rischio di carcinoma della mammella, portando l’incidenza della neoplasia nella popolazione mutata al 60-85% (nella slide dopo ha detto “50-75%”) rispetto al 10% circa della popolazione generale non mutata o Rischio del 20-60% di sviluppare un secondo tumore della mammella metacrono - BRCA1: o Maggiormente correlato al tumore dell’ovaio (15-45% popolazione mutata rispetto all’1,4% della popolazione non mutata) o Maggiore rischio di insorgenza per altri tumori (es. gastro- intestinali) o i carcinomi della mammella che causa la sua mutazione, sono:  Più insidiosi  Più aggressivi (spesso fenotipo Basal-like)  Di alto grado  Media dell’età di insorgenza a 40,5 anni - BRCA2: o Minor rischio di tumore ovarico rispetto BRCA1 o Rischio del 10% di carcinoma della mammella nell’uomo o Maggior responsabile dell’insorgenza di carcinoma prostatico (fino al 20%) o Maggior rischio di insorgenza di:  Carcinoma del pancreas  Carcinoma gastrico  Colangiocarcinoma  Melanoma o I carcinomi della mammella che causa la sua mutazione, sono:  Di grado più basso rispetto la mutazione di BRCA1  Tendenzialmente luminali  Spesso in situ  Media dell’età di insorgenza a 42,5 anni Pagina 14 di 20 Diversamente da quanto accade per il carcinoma ovarico BRCA-relato che conferisce miglior prognosi rispetto ai non BRCA-relati, per il carcinoma della mammella il maggior studio prospetto di coorte (non ha indicato di che studio si trattasse) ha dimostrato che non c’è variazione nella prognosi rispetto quelli sporadici. Questo perché: - Il Triplo Negativo BRCA1-relato sembrerebbe avere prognosi migliore - Il Luminale BRCA2-relato sembrerebbe avere una maggior incidenza di recidive sistemiche IDENTIFICAZIONE DEI PZ È fondamentale poter identificare tutti i pazienti con mutazioni, oltre che di BRCA1-2 anche di altre che possono favorire l’insorgenza di queste neoplasie. A tal proposito si fa compilare, ad ogni paziente che afferisce in ambulatorio, un questionario da compilare dove si valuta:  Studio dell’albero genealogico (non solo la familiarità di 1°-2° grado)  Età di insorgenza di una o più neoplasie, sia sincrone che metacrone e sia della mammella che dell’ovaio  Associazione con altre neoplasie  Caratteristiche istologiche del tumore Si mettono assieme i dati ottenuti per acquisire un consenso informato che viene valutato con sette principali modelli di valutazione del rischio e, se ≥ al 10%, il paziente è candidato ad effettuare l’analisi genetica. Tutti questi modelli presentano comunque dei limiti:  Conoscitivi e tecnici  Alcuni considerano solo la familiarità di 1° e 2° grado  Alcuni geni responsabili di cancro della mammella non sono tutt’ora noti  Sensibilità e specificità diverse tra i diversi tipi di test  Discordanza tra i test Pagina 15 di 20 Ecco allora che ci vengono incontro le linee guida, anche nazionali, dato che attraverso i test fino al 50% dei carcinomi BRCA-relati non vengono identificati Quindi si prendono delle sottopopolazioni dove si sa che il test va effettuato:  Carcinoma mammario ad età dai 35 anni a cadenza annuale. La sensibilità è minore, intorno al 40%  Ecografia mammaria -> dalla scoperta della mutazione a cadenza biannuale # CHIRURGIA PROFILATTICA Se la paziente non vuole sottoporsi agli esami di screening, può effettuare chirurgia profilattica, in particolare,  mastectomia bilaterale profilattica. Gli studi effettuati indicano che si ha una riduzione del rischio di carcinoma mammario del 90%. Non è del 100% per via del fatto che rimane il rischio di sviluppare un carcinoma mammario in sede ectopica, ad esempio, a livello del solco sottomammario o della linea ascellare anteriore. Questo tipo di prevenzione però non si associa ad un incremento della sopravvivenza.  l’ovariectomia bilaterale profilattica, ammesso che la paziente non voglia intraprendere una gravidanza, con cui che si è vista una riduzione del 40-50% dell’incidenza del carcinoma ovarico. Per quanto riguarda lo screening nell’ambito ovarico, si ha:  Ecografia pelvica transvaginale  Visita ginecologica  Determinazione di CA-125 Ogni 6 mesi a partire dai 30 anni, nonostante l’efficacia di questi programmi di screening non sia stata documentata. Per questo motivo, in caso di una paziente BRCA+, non si darà indicazione alla sorveglianza a meno che la paziente non sia estremamente giovane e in cui si deve ponderare anche il rischio cardiovascolare. Inoltre, il carcinoma in queste pazienti tende a insorgere a livello delle tube, dove la diagnosi è ancora più complessa. Quindi, a partire dai 40-45 per BRCA1 e dai 45- 50 per BRCA2 si consiglia l’intervento profilattico di salpingo-ovariectomia, obbligatorio in tutte le linee guida nazionali e internazionali. Rimane un rischio del 4,3% di sviluppare carcinoma del peritoneo. Pagina 17 di 20 SORVEGLIANZA D’ORGANO IN PZ BRCA1 E 2 MUTATE Per quanto riguarda la sorveglianza in altri organi:  Tumore della prostata -> dai 35- 40 anni visita urologica associata o meno ad ecografia prostatica  Tumore del colon -> colonscopia ogni 5 anni  Tumori a livello cutaneo (la prof non ha specificato se melanomi o altro) -> visita dermatologica associata o meno ad epiluminescenza annuale. Gli ultimi studi la consigliano insieme alla visita oculistica, quest’ultima a cadenza biennale  Tumori del fegato e delle vie biliari -> sono in corso studi che prevedono follow-up e RMN ogni 6 mesi, ma ancora non ci sono dati che permettano di determinarne con esattezza l’efficacia La prof. ribadisce l’importanza di un ambulatorio genetico-oncologico che permetta di rilevare le pazienti con queste varianti patogenetiche e delineare per loro un percorso adeguato. Auspicamente, arriveremo a conoscere e correlare ogni singola mutazione uno specifico rischio di insorgenza di carcinoma mammario e/o ovarico e/o altre neoplasie. Questo perché le neoplasie possono colpire l’intero DNA, non specifiche aree (hot-spots) ma il gene nella sua interezza. Questo comporta tempi maggiori di analisi laboratoristica, dovuto al fatto che il test viene ripetuto due volte e i geni devono essere esaminati e studiati nella loro interezza. TERAPIA TARGET Si stanno validando terapie specifiche nei confronti del tumore della mammella. La terapia target, in questo caso, è costituita dagli inibitori di PARP. È un enzima, poli-ADP-ribosio polimerasi che contribuisce alla riparazione del danno attraverso il meccanismo del base-excision-repair. In questo modo la cellula perde un altro (oltre a BRCA, già mutato) importantissimo meccanismo di riparazione del danno cellulare e va incontro a morte. È tanto più efficace tanto più precocemente viene ad essere somministrato. I farmaci approvati con rimborsabilità AIFA nel trattamento del tumore avanzato della mammella sono Olaparib e Talazoparib. Pagina 18 di 20 Ciò è stato possibile attraverso due studi gemelli, gli studi Olympiad (per Olaparib) e Embraca (per Talazoparib) mettevano a confronto il chemioterapico in studio con la chemioterapia convenzionale dalla “terza linea”: le pazienti dovevano aver ricevuto almeno due linee per la malattia avanzata. Questi studi hanno dimostrato come sia possibile dare:  Incremento della sopravvivenza libera da malattia rispetto alla chemioterapia convenzionale  Tassi di risposta doppi Per quanto riguarda gli effetti avversi questi sono piuttosto gestibili e comportano l’interruzione della terapia solo nel 5% dei pazienti e coinvolgono soprattutto:  Tratto GI  Tratto midollare  Anemia Per quanto riguarda sindromi mielodisplastiche, non si hanno dati Gli inibitori di PARP stanno iniziando ad essere utilizzati anche con un setting più precoce, cioè nelle pazienti che vengono operate in senso radicale (trattamento adiuvante). Si è assistito ad un vantaggio significativo della sopravvivenza di queste pazienti indipendentemente dalle loro caratteristiche (es. pre/post-menopausa): riduzione del rischio di malattia invasiva o di morte del 37%. Per quanto riguarda la sopravvivenza globale, si assiste ad un guadagno assoluto di circa il 4% Non ci sono differenze rispetto al placebo per quanto riguarda la qualità della vita durante il trattamento, ciò dimostra che il farmaco è comunque ben tollerato. Pagina 19 di 20 ALTRE MUTAZIONI, OLTRE A QUELLE DI BRCA Fino al 10% delle pazienti che sono negative per mutazione di BRCA possono avere mutazioni di altri geni (il laboratorio oncologico mammario di Perugia permette di distinguere tra 27 geni diversi). A seconda del gene, cambia anche il rischio di sviluppare il rischio di carcinoma della mammella, alcuni di questi geni sono:  PALB2 -> determina rischi piuttosto alti di carcinoma di: o Prostata o Pancreas o Tumori della mammella endocrino-positivi  ATM -> associato ad aumentato rischio di: o Leucemie o Linfomi o Tumori della mammella o Tumori del pancreas o Tumore della prostata  CDH1 -> gene di Napoleone, associato al rischio di: o Tumore gastrico aggressivo o Tumore della mammella di istotipo lobulare  CHEK2  P53 -> sindrome di Li Fraumeni A seconda della mutazione, stanno cambiando le linee guida per il trattamento: ad esempio, in caso della mutazione di RAD51C e D, è raccomandata la salpingo-ovariectomia. È quindi fondamentale avere a disposizione un ambulatorio dedicato ad un consueling adeguato, alla terapia e ad informare i parenti del paziente nel caso in cui la neoplasia abbia una componente ereditaria. È anche fondamentale che le informazioni che arrivano dal servizio di counseling siano ben comprensibili ed organizzare (e assicurare) corretti percorsi terapeutici. Pagina 20 di 20

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