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EnchantingJasper5019

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University of Bari Aldo Moro

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oncology cancer biology medical research

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This document discusses the concept of oncology, focusing on various aspects such as the genesis of tumors, their classification, associated pathophysiology, and the criteria used for determining benign and malignant conditions. It delves into the genetic and epigenetic alterations that contribute to neoplastic transformation. The text outlines cellular, genetic, and environmental elements.

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21/09/2021- Oncologia- Boccarelli metabolico). Queste attività rientrano nella normale fisiologia e funzionalità cellulare, ma risultano alterate in una cellula di tipo canceroso, per la quale sarà necessario un trattamento detto farmacogenomica. Ovviamente questo tipo di indagini richiedono la col...

21/09/2021- Oncologia- Boccarelli metabolico). Queste attività rientrano nella normale fisiologia e funzionalità cellulare, ma risultano alterate in una cellula di tipo canceroso, per la quale sarà necessario un trattamento detto farmacogenomica. Ovviamente questo tipo di indagini richiedono la collaborazione di più figure professionali come medici, fisici, farmacologi e biologi molecolari, che nel loro insieme hanno come obiettivo quello di capire quali possano essere tutti quei meccanismi che rappresentano la causa dei diversi tumori e all’interno dei quali vi sono cellule diverse le une rispetto alle altre, così da poter garantire la guarigione o almeno allungare la sopravvivenza del paziente. Questo studio complessivo richiede l'utilizzo di una serie di mezzi, anche virtuali, come le banche dati, nelle quali si depositano tutte le informazioni ottenute dai vari ricercatori a livello internazionale. Nel 1976 Nowell ha pubblicato un articolo, presente proprio in una banca dati, che tratta dell’evoluzione clonale della popolazione delle cellule tumorali. Nowell è stato previdente, perché la sua pubblicazione contiene dei concetti che nel tempo si sono realmente valutati e identificati come reali. L’ abstract contiene questa frase: ” le popolazioni delle cellule tumorali sono apparentemente più instabili geneticamente delle cellule normali, forse a causa dell’attivazione di loci genetici specifici nella neoplasia ” Quindi riprende il concetto già sviluppato da Boveri. Il processo neoplastico Il processo tumorale può essere definito come un processo multifasico e multifattoriale; esso è di per sé un processo lento, caratterizzato da varie fasi che possono essere correlate e coadiuvate da più fattori. Discuteremo: Criteri di classificazione Patogenesi dei tumori: ruolo delle alterazioni genetiche ed epigenetiche Cause dei tumori Epidemiologia dei tumori Caratteristiche cellulari dei tumori Relazioni tra tumori e microambiente Caratteristiche cliniche dei tumori Patogenesi Il tumore è una massa di tessuto anomalo, costituita da cellule tumorali, formanti il parenchima, e da uno stroma; questo binomio cresce in maniera incontrollata, superando la capacità di crescita del tessuto normale, anche in seguito all’eliminazione degli stimoli che ne hanno determinato l’attivazione, e determinando infine l’insorgenza di una malattia sistemica che si manifesterà con una sintomatologia ben definita. Il parenchima è caratterizzato da cellule che crescono senza un controllo ben definito, quindi da un’alterazione della proliferazione e della differenziazione. Normalmente le cellule proliferano e si differenziano assumendo le stesse caratteristiche del tessuto di appartenenza; in questo caso i due 3 21/09/2021- Oncologia- Boccarelli processi risultano essere completamente alterati. Queste alterazioni sono causate da mutazioni sia di tipo genetico, quindi multiple, che di tipo epigenetico: le prime sono mutazioni a carico della sequenza del DNA, le altre si realizzano invece in seguito ad alterazioni dei sistemi molecolari che regolano il giusto funzionamento dei processi di replicazione e trascrizione. Nel momento in cui è in essere la malattia, si viene a determinare una interazione tra il parenchima tumorale e lo stroma, generando delle modificazioni a carico del microambiente, che inizialmente può essere non responsivo, impedendo la crescita del tumore, mentre successivamente diventando responsivo ne garantisce la diffusione. Quindi questa interazione fa sì che si venga a determinare inizialmente un rimodellamento della regione interessata dalla crescita del tumore, seguito da un processo di invasione e da uno angiogenico, fino ad arrivare alla diffusione del tumore: in questo caso si parla di tumore metastatico, associabile quasi esclusivamente a quello di tipo maligno. Cause della trasformazione neoplastica Una cellula normale, quindi una cellula che svolge la funzione associata al tessuto di appartenenza, sottoposta all’azione proveniente da agenti di danno fisico, biologico o chimico, può subire alterazioni a carico del DNA. Questi eventi non sono acuti, ma possono avvenire nel corso della vita, interessando soprattutto tessuti altamente proliferanti. Nel momento in cui il danno al DNA non viene riparato, avremo una mutazione nel genoma delle cellule somatiche. La mancata riparazione può a sua volta dipendere da mutazioni di geni codificanti per proteine coinvolte nei sistemi di riparazione del DNA, oppure di geni che regolano il ciclo cellulare e l’apoptosi. Una volta che la cellula ha acquisito o subito queste mutazioni, si potrà avere l’attivazione di particolari geni definiti oncògeni, che potranno promuovere la crescita cellulare; oppure l’inattivazione di altri particolari geni definiti oncosoppressori, responsabili del controllo negativo della proliferazione; o 4 21/09/2021- Oncologia- Boccarelli ancora si potranno avere alterazioni nei geni che regolano l’apoptosi. La conseguenza di questi fenomeni di attivazione e inattivazione sarà una proliferazione cellulare sregolata. Allo stesso modo, alterazioni dei geni che regolano l’apoptosi determineranno una riduzione dell’apoptosi, contribuendo quindi alla proliferazione cellulare. A seguito di questi due eventi, aumento della proliferazione e ridotta apoptosi, si realizzerà una espansione clonale, ovvero lo sviluppo di un clone cellulare trasformato. Affinché questa cellula possa dare origine allo sviluppo di una massa tumorale, sarà necessaria la presenza di condizioni, nell'ambiente entro in quale si trova tale cellula, che porteranno, in tempi anche piuttosto lunghi, allo sviluppo di fenomeni quali l’angiogenesi, l’evasione del controllo immunitario e mutazioni aggiuntive. Questi fattori contribuiscono alla progressione tumorale, che risulta essere soprattutto di tipo maligno, la quale si concluderà, se non c’è una base di prevenzione e una identificazione della sua presenza, con l’infiltrazione del tessuto sottostante e metastatizzazione in siti diversi dal tessuto d’origine. Criteri di classificazione Generalmente la classificazione dei tumori viene fatta su base istogenetica, cioè osservando principalmente la componente parenchimale. Le cellule normali di un qualsiasi tessuto sono caratterizzate da: Forme e dimensioni regolari e uniformi Nuclei normocromici, di forma e volume regolari Cromatina finemente dispersa Nucleoli di forma, dimensione e numero costante (generalmente singoli e piccoli) Citoplasma più o meno espanso Rapporto nucleo/citoplasma costante Il parenchima delle cellule tumorali sarà ovviamente diverso, a causa dei processi proliferativi anormali, caratterizzati da alterazioni del volume, delle proprietà cromatiniche e della organizzazione strutturale del tessuto, fenomeni che complessivamente prendono il nome di displasia. Analizzando ad esempio il tessuto epiteliale, esso risulta normalmente caratterizzato da una membrana basale, dalla componente basale dell’epitelio, dalle cellule parabasali e infine dalle cellule superficiali, il tutto disposto in modo ordinato. In seguito, ad esempio, ad un’infezione da HPV, virus oncogeno, si avrà l’insorgenza di una displasia lieve, caratterizzata da una organizzazione strutturale normale, ma con numero di cellule basali aumentato, nuclei più voluminosi e ipercromatici. Segue quindi la displasia grave, nella quale il numero delle cellule basali risulterà maggiormente alterato, i nuclei di grandi dimensioni, ipercromatici e con cromatina addensata a zolle irregolari. Lo stadio successivo è quello del carcinoma in situ, in cui la massa non ha ancora invaso la membrana basale e quindi il tessuto sottostante; l’incapacità di infiltrare, lo rende aggredibile sotto ogni aspetto dal punto di vista preventivo. Esso è tuttavia caratterizzato da cellule atipiche, 5 21/09/2021- Oncologia- Boccarelli con caratteri morfologici di malignità dovuti alla perdita di differenziazione, che rendono le cellule morfologicamente differenti da quelle del tessuto d’origine. Parliamo invece di metaplasia, quando un tessuto differenziato si trasforma in un altro con la stessa origine biologica. Si tratta generalmente di un’alterazione reversibile che però, nel momento in cui si arriva alla metaplasia in seguito a displasia, può portare ad una condizione pre-cancerosa, come ad esempio nell’esofago di Barret, in cui l’epitelio dell’esofago viene trasformato completamente, oppure nella metaplasia a carico dei polmoni nei fumatori, in cui l’epitelio ciliato diviene pavimentoso. Nel momento in cui dobbiamo definire un processo neoplastico “maligno”, dobbiamo considerare i cosiddetti criteri citologici di malignità, che comprendono: Criteri generali Criteri nucleari Criteri nucleolari Criteri citoplasmatici Criteri generali Prendono in considerazione soprattutto: Grado di ipercellularità: scarsa coesione cellulare; Aggregati cellulari: insieme di cellule le cui dimensioni si riducono, a favore della componente nucleare piuttosto che citoplasmatica, aggregandosi e aumentando il grado di malignità; Pleomorfismo cellulare: indica notevoli variazioni morfologiche nell’ambito della popolazione neoplastica. L’anatomopatologo fa questa valutazione tenendo conto del tessuto normale di appartenenza: maggiore è la differenza, maggiore è il pleomorfismo acquisito; Mitosi: indica attività proliferante della popolazione neoplastica con l’aumento del numero delle mitosi per cellula e della loro atipia. Criteri nucleari Pleomorfismo nucleare: indica variazione di forma e di volume dei nuclei. Distinguiamo: o Anisocariosi: indica la presenza di nuclei di dimensioni diverse; o Macrocariosi: indica la presenza di nuclei di dimensioni elevate; o Poichilocariosi: indica la presenza di nuclei di forma diversa, irregolari e deformi. Rapporto nucleo/citoplasma: elevato e a favore del nucleo, indica un’intensa attività nucleare associabile a ipercromasia; Irregolarità della cromatina: distribuzione grossolana della cromatina verso i margini del nucleo a formare delle vere e proprie zolle, associabile all’ipercromatismo; Multinuclearità: cellule neoplastiche con più nuclei, conseguenza delle mitosi anomale Criteri nucleolari Pleomorfismo nucleolare: indica le variazioni di forma e di volume dei nucleoli; 6 21/09/2021- Oncologia- Boccarelli Multinucleolarità: aumento del numero di nucleoli. Criteri citoplasmatici Iperbasofilia: elevata colorabilità del citoplasma; Vacuolizzazione: presenza di numerosi vacuoli di forma e di dimensioni variabili; Differenziazione: nel citoplasma possono svilupparsi delle funzionalità diverse che portano a processi di cheratinizzazione, secrezione, granulazione. L’insieme di tutti questi parametri, che si osservano a seguito di colorazioni specifiche, permette una prima diagnosi istologica di un determinato preparato. 7 21/09/2021- Oncologia- Boccarelli Tumori benigni e maligni Oltre ai criteri di classificazione, è importante tener conto di ulteriori parametri, che possono avere un ruolo clinico-prognostico, permettendo di definire con maggior certezza se un tumore è di tipo benigno o maligno. Questi parametri sono: Differenziazione e anaplasia Tasso di crescita (tempo di raddoppiamento della massa) Capacità di invasione Capacità di generare metastasi Differenziazione: è possibile distinguere diversi gradi di variazione morfologica, fino ad arrivare a cellule del tutto indifferenziate, con caratteristiche di staminalità, definite cellule staminali del tumore. In questo ultimo caso parleremo di anaplasia ed il tumore risulterà essere maligno. Dunque, il tumore benigno è costituto da cellule ben differenziate, associabili alle cellule del tessuto normale di appartenenza, mentre il tumore maligno è costituito da cellule differenziate di vario grado fino al raggiungimento dell’anaplasia. Tasso di crescita: generalmente la cellula tumorale iniziale, da cui prende origine tutta la popolazione, viene definita clone trasformato. Quest’ultimo, in relazione a una serie di condizioni positive che si possono creare nel microambiente, può proliferare. Anche la proliferazione contribuisce quindi a distinguere i due tipi di tumore, attraverso l’analisi del tasso di crescita, ovvero del tempo di raddoppiamento della massa tumorale: quando risulta essere lento e non correla con la differenziazione, allora il tumore è benigno; se invece parliamo di crescita rapida associabile ad una differenziazione sino al grado di anaplasia, allora si tratta di tumore maligno. Invasione: questo indice non esiste nel tumore benigno, in quanto la crescita è localizzata; si parla addirittura in alcuni casi della presenza di una capsula. Nel tumore maligno si viene invece a determinare una crescita infiltrativa, capace di superare la membrana basale, prima forma di difesa nei confronti dei tumori invasivi. Metastasi: il tumore benigno non metastatizza mai, mentre quello maligno sì. Invasione e metastasi sono indici di malignità. Un’ulteriore classificazione è quella basata sulla nomenclatura utilizzata per identificare i vari tipi di tumori, tenendo conto del tessuto d’origine della massa (non è necessario imparare nel dettaglio): 8 21/09/2021- Oncologia- Boccarelli Considerando il concetto di tessuto normale e canceroso e tutto quanto detto fin ora, non possiamo parlare del cancro come di una malattia acuta, ma bensì di una malattia cronica che si evolve nel tempo. Se si potesse fare diagnosi precoce e in tempi rapidi, la malattia potrebbe anche essere eradicata; uno dei limiti maggiori è dato tuttavia dagli strumenti utilizzati, che risultano essere scarsamente risolutivi sino a quando la massa tumorale non raggiunge delle dimensioni definite. Al tempo stesso anche quando raggiunge tali dimensioni, il più delle volte il soggetto manifesta dei sintomi associabili al tumore, ma anche sintomi secondari, portando ad una diagnosi spesso tardiva. Osservando l’organizzazione tissutale partendo da un tessuto normale, avremo dapprima la trasformazione in un tessuto iniziato, poi in una displasia lieve, nella quale vi è ancora una condizione di reversibilità, displasia moderata e severa, situazione ancora definita come pre-cancerosa, e infine in carcinoma in situ che progredisce in carcinoma a tutti gli effetti. Il tumore può svilupparsi in diversi istotipi secondo archi temporali estesi ed altamente variabili. Ad esempio, il carcinoma al colon, diffuso sia negli individui di sesso maschile che femminile, subisce una lenta progressione: ha una condizione iniziata dai 5 ai 20 anni, in cui si può sviluppare semplicemente come adenoma, condizione tardiva displastica non cancerosa. Se non viene svolta 9 21/09/2021- Oncologia- Boccarelli una diagnosi precoce di adenoma, questo può andare incontro in 5-15 anni allo sviluppo di una condizione pre-cancerosa, fino alla formazione del tumore vero e proprio. Nel carcinoma del polmone si passa direttamente da una condizione normale ad una condizione cancerosa se il soggetto fuma da 20 a 40 pacchi di sigarette all’anno (in media 1-2 pacchetti alla settimana). Attraverso il fumo di sigaretta forniamo cronicamente ai polmoni una certa quantità di sostanze mutagene, che nel tempo possono generare mutazioni a carico del DNA sia dell’epitelio dell’albero respiratorio superiore, che del parenchima polmonare. Il carcinoma alla mammella può essere caratterizzato da un’atipia iperplastica del tessuto, dovuta esclusivamente a tessuto proliferante nell’età fertile della donna, che può portare direttamente al carcinoma duttale in situ, il quale in seguito alla diagnosi dovrà essere rimosso, perché nel giro di 6-10 anni può andare incontro a trasformazione neoplastica Infine, il cancro alla prostata rappresenta una dei carcinomi più diffusi negli individui di sesso maschile. Esso nei primi 20 anni può trasformarsi in una neoplasia intraepiteliale prostatica (condizione di pre-cancerosi) che, se non diagnostica, nel giro di 10 anni può portare alla manifestazione diretta di cancerosi. Vie di diffusione Quando un tumore si localizza in un determinato tipo di tessuto, questo, qualora non venga diagnosticato precocemente, potrà diffondersi ad altri tessuti. Le vie di diffusione sono l’apparato circolatorio e l’apparato linfatico. Ovviamente a seconda della sede del tumore c’è una diffusione differente: i carcinomi, di origine epiteliale, diffondono per via linfatica; invece i sarcomi, di tipo connettivale, diffondono per via ematogena. Familiarità e predisposizione genetica Familiarità e predisposizione genetica sono due concetti simili, ma non sono la stessa cosa. Essi sono spiegabili con un sillogismo. Consideriamo le seguenti affermazioni: “il cancro è una malattia genetica” (abbiamo detto che le mutazioni sono a carico di geni specifici del genoma), “le malattie ereditarie sono malattie genetiche” (ci sono malattie ereditarie come fibrosi cistica o ipercolesterolemia familiare dovute a mutazioni di geni) e “il cancro è una malattia ereditaria”; quest’ultima affermazione non può considerarsi vera, perché il cancro è una malattia genetica, ma è ereditario solo in particolari condizioni. Ci sono dei geni che possono predisporre all’insorgenza di una neoplasia, ma non è detto che possa manifestarsi nel corso della vita del soggetto una malattia neoplastica; e questa predisposizione è inoltre legata ad una percentuale bassissima che si trasmette secondo le leggi di Mendel. Quindi il cancro è una malattia genetica, ma non è esclusivamente ereditaria, lo è solo talvolta come predisposizione. La multifattorialità delle neoplasie è dovuta al fatto che l’influenza genetica, nell’ambito delle neoplasie risulta essere molto debole, mentre risulta essere molto più importante l’influenza 10 21/09/2021- Oncologia- Boccarelli ambientale. Infatti, è molto più presente l’influenza genetica in patologie come depressione grave, psoriasi, schizofrenia anziché nei tumori. Le mutazioni a carico di cellule germinali, dunque trasmissibili, sono minime e sono inoltre a carico di geni che stabiliscono solo la predisposizione, ma non danno certezza che il soggetto sviluppi la neoplasia. Il tumore è perciò un fenomeno multifattoriale perché ci sono diversi fattori esogeni ed endogeni che concorrono alla sua genesi. Inoltre, è un processo multifasico perché ogni tumore è determinato da alterazioni sequenziali a carico di: oncogeni, oncosoppressori e geni di riparo del DNA. 11 23/09/2021-Oncologia-Boccarelli Multifattorialità E Multifasicità Del Processo Neoplastico Familiarità E Predisposizione Genetica Le patologie multifattoriali dipendono sia da una base genetica, a volte identificata in più geni, sia dalle abitudini di vita (alimentazione, assunzione di sostanze, fumo, attività fisica, ecc.), sia da fattori ambientali che influenzano fortemente la manifestazione fenotipica (età d’insorgenza e gravità). Il tumore è un processo: multifattoriale, perché ci sono più fattori esogeni ed endogeni che concorrono alla genesi della malattia, multifasico, perché ogni tumore è caratterizzato da alterazioni che possono essere sequenziali a carico di alcuni geni facenti parte di alcune grandi famiglie:  oncogeni  oncosoppressori  geni di riparo del DNA Per andare a valutare in maniera corretta i parametri che possono essere coinvolti nella multifattorialità è necessario considerare: Familiarità Predisposizione genetica Modalità della trasmissione (autosomica dominante o recessiva) Rischio di sviluppare neoplasie legata alla penetranza, che indica la frequenza che un genotipo esprima il fenotipo Variabilità dell’espressione della predisposizione genetica (espressività= natura e gravità del fenotipo a parità di genotipo) Sensibilità diagnostica, vale a dire la valutazione di tutti quei fattori necessari per poter definire con certezza che un soggetto possa manifestare la malattia neoplastica qualora sia predisposto Distinguiamo alcune forme di tumori, alla cui manifestazione possono contribuire in misura diversa sia i fattori ambientali esotossici (fumo, asbesto, farmaci, ormoni) sia fattori ereditari come eventuali sindromi e predisposizioni genetiche:  Tumori sporadici = 70-80% del totale, influenzati in maggior misura da fattori esotossici  Tumori familiari = 10-20% del totale, a cui contribuiscono in egual misura fattori ambientali e fattori predisponenti  Tumori ereditari =1-5% del totale, in cui è più rilevante l’influenza dei fattori ereditari Andando ad osservare le componenti associabili alla multifattorietà, la percentuale più alta nel contributo all’ insorgenza di neoplasie è data dal tabacco e della dieta, a differenza della ereditarietà che si attesta al 2%. 12 23/09/2021-Oncologia-Boccarelli Quando andiamo a parlare di PENETRANZA, che è la frequenza con cui un qualsiasi allele si manifesta fenotipicamente all’interno di un genotipo, dobbiamo prendere in considerazione alcuni geni che sono stati identificati come responsabili di manifestazioni neoplastiche. Geni come P53, APC, BCRA1, BCRA2, PTEN, CDKN2, ecc., hanno un’alta penetranza che però è associata ad una maggiore rarità, al contrario geni con bassa penetranza come MSMB, FGFR2, ecc., risultano essere più comuni. I geni associati all’ereditarietà sono predisponenti, ma non è certo che generino malattia neoplastica. Sono caratterizzati da una penetranza alta (10%) o bassa (20%). Considerando che i fattori ereditari costituiscono il 2% di tutti i fattori legati alla trasformazione neoplastica, il 10% o il 20% del 2% risulta essere una quota molta ridotta dell’influenza della predisposizione genica nella neoplasia. FAMILIARITÀ: la tendenza di alcune malattie ad aggregarsi in determinati nuclei familiari. Tale familiarità può essere dovuta a fattori ambientali, condivisi dai familiari, a fattori genetici (in buona parte sconosciuti) o ad entrambi. EREDITARIETÀ: è la trasmissione di un determinato carattere da una generazione alla successiva, ed è sempre dovuta a fattori genetici (trasmissione verticale). Per capire se una neoplasia può essere ereditaria è necessario che si vengano a prendere in considerazione:  Casi multipli nella famiglia  Più generazioni colpite  Associazione di specifici tipi di cancro nella stessa famiglia o nello stesso individuo (ad esempio l’oncosoppressore BCRA1/BCRA2 è un gene che può essere responsabile del carcinoma della mammella e del carcinoma dell’ovaio ma anche del carcinoma del pancreas)  Esordio ad un’età più giovane rispetto ai tumori sporadici  Caratteristiche tipiche di sindromi specifiche (vedi tabella) Sindromi neoplastiche ereditarie trasmesse con modalità autosomica dominante 13 23/09/2021-Oncologia-Boccarelli Nel carcinoma della mammella e dell’ovaio si osserva più spesso la mutazione di BCRA1(45%) rispetto a BCRA2(40%) e ciò comporta una predisposizione del carcinoma della mammella. Nel carcinoma della mammella per la mutazione di BCRA1 c’è una netta distinzione tra componente sporadica (rappresenta il 75%), raggruppamenti familiari (25% di manifestazione) ed i raggruppamenti ereditari (10%). Nell’ambito del carcinoma ovarico soltanto il 5-10% è legato ad una trasmissione ereditaria, la restante parte vede l’insorgenza della neoplasia in seguito a mutazione sporadica. Sindromi neoplastiche ereditarie trasmesse con modalità autosomica recessiva Quando parliamo di XERODERMA PIGMENTOSUM bisogna tener conto che è costituito da una famiglia di geni, la quale è coinvolta nei processi di riparazione del DNA. Eventuali mutazioni di questi geni portano alla codifica di proteine che non assolvono alla propria funzione (studia tabella). In particolare XPC fa parte del sistema di riparazione (NER) utilizzato dalle cellule per liberarsi delle lesioni del DNA come i fotoprodotti UV responsabili dei tumori della pelle. In conclusione, lo sviluppo del cancro:  è un processo multifasico che coinvolge cambiamenti in geni regolatori  dipende da alterazioni in vari pathways della trasduzione del segnale nella cellula  dipende dall’alterazione di molti geni in un pathway di trasduzione e molte di queste alterazioni possono essere ridondanti. 14 23/09/2021-Oncologia-Boccarelli Le Alterazioni Genetiche: Oncogeni E Oncosoppressori Le mutazioni a carico di geni che sono coinvolte nella trasformazione neoplastica generalmente non sono letali e possono essere di tipo acquisito (in cellule somatiche, da cause ambientali esogene ed endogene) o ereditario (in cellule germinali, da cause ambientali e stocastiche). Queste alterazioni sono localizzate in più classi di geni tumore-associati (cancer-associated genes): a) proto-oncogeni (che promuovono la crescita cellulare), b) geni oncosoppressori (che inibiscono la crescita cellulare), c) geni che regolano l’apoptosi (che possono comportarsi da oncogeni o da oncosoppressori) d) geni della riparazione del DNA (che influenzano il tasso mutazionale globale del genoma, ed eventualmente la riparazione di oncogeni, di oncosoppressori, e di geni dell’apoptosi) e) alterazioni epigenetiche (metilazione del DNA, modificazioni degli istoni, RNA non codificanti) capaci di indurre cambiamenti stabili dell’espressione di geni tumore-associati. Protoncogeni I protoncogeni stimolano la proliferazione cellulare, pertanto sono presenti sia nelle cellule normali che nelle tumorali con la differenza che in queste ultime essi sono mutati in oncogeni. E’ sufficiente che la mutazione del protooncogene sia presente in 1 dei 2 alleli perché si evidenzi il fenotipo alterato (eccesso di proliferazione cellulare) e la mutazione risulti essere dominante. I protooncogeni costituiscono una classe eterogenea di geni che codificano per segnali che stimolano il ciclo cellulare, e comprendono: Fattori di crescita Recettori di membrana per fattori di crescita Proteine coinvolte nella trasduzione del segnale Fattori di trascrizione in grado di legarsi al DNA Cicline, chinasi ciclino-dipendenti e loro inibitori (regolatori del ciclo cellulare) Il tipo di protoncogene è associabile ad una particolare mutazione e ad un particolare tumore:  TGF-α risulta essere overespresso nel carcinoma epatico  HGF overespresso nel cancro della tiroide  PDFG receptor può subire una traslocazione che porta a leucemie e gliomi  Il recettore del fattore delle cellule staminali è caratterizzato da una mutazione puntiforme nei tumori gastrointestinali, nelle leucemie, nei seminomi  KRAS subisce mutazione puntiforme nel carcinoma del colon, del polmone e del pancreas  HRAS subisce mutazione puntiforme nel carcinoma della vescica  NRAS subisce mutazione puntiforme nei melanomi e nei tumori ematologici  WNT responsabile di una trasduzione di segnale che va a coinvolgere la β-catenina la quale può subire una mutazione puntiforme o un’ overespressione nei carcinomi epatocellulari  MYC (con le sue isoforme c-myca,n-myc,l-myc) può essere oggetto di traslocazione o amplificazione che portano a linfomi, neuroblastomi, carcinomi a piccole cellule del polmone  CICLINA D subisce traslocazioni o amplificazione con conseguenti linfomi e tumori della mammella e dell’esofago  CICLINA CHINASI può essere oggetto di amplificazione o mutazione puntiforme che portano a glioblastomi, melanomi e sarcomi 15 23/09/2021-Oncologia-Boccarelli Che tipo di mutazione trasforma un protoncogene in un oncogene? Mutazioni puntiformi che cambiano le proprietà della proteina codificata alterandone la struttura primaria Amplificazione genica (anche centinaia di copie) porta a proteine in eccesso Traslocazioni di segmenti cromosomici che portano il proto-oncogene in regioni trascrizionalmente attive e causano la produzione di proteine in eccesso Traslocazioni cromosomiche che creano geni chimerici Le mutazioni oncogeniche sono dominanti Oncogene Ras Una mutazione puntiforme di RAS è presente nel tumore del colon, del polmone, della mammella , della vescica. Essa porta alla formazione di un mRNA mutato che una volta tradotto darà vita ad una proteina alterata. Le isoforme di RAS (HRAS, NRAS, KRAS) sono caratterizzate dall’avere un dominio di omologia molto alto perché hanno una sequenza di amminoacidi sovrapponibili, per cui la regione di omologia corrisponde al 90%. Soltanto l’ultima parte, la regione HVR, ha l’8 % di omologia che è legata agli amminoacidi che risultano essere mutati. Generalmente le mutazioni sono a carico di alcune basi azotate che sono legate agli amminoacidi in posizione 12, 59, 61. In condizioni normali in posizione 12 troviamo una glicina, in posizione 59 alanina, in posizione 61 glutammina. Nel carcinoma del polmone il 22,4 % di HRAS presenta in posizione 61 una leucina al posto della glutammina, KRAS in posizione 12 presenta una cisteina o un arginina, NRAS in posizone 61 ha una arginina. 16 23/09/2021-Oncologia-Boccarelli RAS è un trasduttore del segnale vale a dire che si frappone tra lo stimolo che viene da un recettore di segnale e la conduzione del segnale a valle. RAS è una molecola di segnalazione della famiglia GTPasi: quando è inattivo si complessa con un GDP e ciò comporta la necessità di RAS di caricarsi di un gruppo fosfato. Tale processo è permesso dall’interazione con SOS (proteina scambiatrice di gruppi fosfato) che va ad attivare RAS, il quale interagisce con altre proteine a livello di residui di serina o treonina cedendo GTP e attivandole, dando via alla cascata trasduzionale. La trasformazione oncogenica si verifica quando l'attività GTPasica è inattivata da mutazioni puntiformi, il che si traduce in uno stato GTP costitutivamente attivo. I fattori che vanno ad attivare RAS sono molteplici: fattori di crescita, citochine che agiscono sui loro recettori, recettori di adesione, recettori a 7 domini transmembrana che va ad attivare GEF il quale attiva RAS. 17 28/09/2021 – Patologia – prof. Boccarelli Regolazione dell’attività di Ras Ras può essere attivata da recettori per fattori di crescita, recettori per citochine, recettori per molecole di adesione oppure mediante stimoli provenienti da proteine a 7 passi (queste elencate sono tutte strutture proteiche facenti parti della membrana plasmatica). Quando c'è questo tipo di interazione (es. GF-recettori per fattori di crescita), lo stimolo extracellulare modula l’attività delle proteine GEFs, che doneranno alla proteina Ras il gruppo fosfato, garantendo il passaggio alla forma di ras- GTP. Le proteine Ras attive, a questo punto, sono in grado di interagire con molti effettori, portando a diverse risposte biologiche. Ras e attivazione delle cascate di segnalazione downstream (a valle) Prendiamo in esame EGF (Epidermal Grow Factor). È un fattore di crescita che interagisce con un recettore transmembrana, il quale si fosforila, consentendo l’interazione con le proteine GEF (SOS e Grb2). Queste proteine permettono il trasporto di gruppi Pi alla proteina Ras. Ras attivata può: 1) attivare Raf (attraverso il trasporto di gruppo Pi), la quale attiva la cascata delle MAP chinasi ® attivazione di fattori nucleari che determineranno sopravvivenza cellulare e proliferazione. 2) interagire con Ral, inducendo traffico vescicolare (in questo caso si tratta di vescicole endosomiali liberate nello spazio extracellulare che favoriscono la comunicazione cellula- cellula; si è visto che in queste vescicole vengono caricati anche i cosiddetti miRNA) e progressione del ciclo cellulare. 3) interagire con PI3K ® attivazione di Rac, proteina coinvolta nella motilità cellulare. Le cellule trasformate vanno incontro a processi di riorganizzazione del citoscheletro (liberazione di ioni Ca2+ dal reticolo endoplasmico, con riorganizzazione di actina e miosina) con acquisizione di movimento ameboide. L’acquisizione di motilità è un primo evento responsabile delle capacità metastatizzanti delle cellule tumorali. Dopodiché, PI3K può anche interagire con AKT, che fosforilata crea una cascata di messaggi: può inibire proteine 19 28/09/2021 – Patologia – prof. Boccarelli apoptotiche (BAD, BIM; Foxo) ® proliferazione cellulare; può attivare MDM2 il quale inibisce p53 (gene master nel controllo della cellula) ® il controllo svolto da p53 è alterato (aumenta il rischio di mutazioni); può attivare meccanismi associati a mTOR. Quindi se RAS è mutato avremo una mancata regolazione di tutti i processi a valle. Questo porta ad alterazione del ciclo cellulare, maggiore motilità e maggiore predisposizione alle metastasi, inibizione dei processi apoptotici. RAS recluta PI3K (via fosfolipasi C) coinvolto in meccanismi di liberazione di ione Ca2+ e/o attivazione di PTEN (oncogene) Ras nell’attivazione di RAF/MEK/ERK (MAPKK). RAS può assumere varie proteine GEF responsabili dell’attivazione delle piccole GTPasi RAL e RAC. Attraverso l'attivazione di queste varie proteine intracellulari, RAS serve per avviare un ampio programma di espressione oncogenica che si traduce in proliferazione cellulare, sopravvivenza e migrazione. Ral-A e Ral-B sono responsabili dell’attivazione di Cdc42 o Rac, proteine capaci di indurre produzione di filipodia e lamellipodia. Questo comporta acquisizione di motilità. Nelle cellule normali questo stimolo ha un inizio e una fine, ma nelle cellule in cui ras è mutato, lo stimolo risulta sempre continuo. 20 28/09/2021 – Patologia – prof. Boccarelli Mutazioni della proteina RAS nei tumori umani Le mutazioni a carico di Ras possono colpire: tratto biliare, intestino, cervice uterina, utero, vulva, vagina, ovaio, tube uterine, polmone, cellule del sangue, pancreas, epidermide, testicoli. L'apparato di riproduzione femminile (cervice, ovaio, vulva e utero) è fortemente colpito. L'isoforma maggiormente coinvolta nella trasformazione è KRAS nella gran parte dei tumori osservati. - cervice uterina (frequenza di mutazione di RAS è del 17%, maggiormente a carico dell’isoforma KRAS). - ovaio e tube (frequenza di mutazione di KRAS 13%) - utero (frequenza 19%, a favore di KRAS) - vulva/vagina (frequenza 16%, KRAS e HRAS) - intestino, (KRAS 50%) - polmone (KRAS 20%) - cellule mieloidi (NRAS 11%) - pancreas (KRAS 79%) - epidermide (NRAS) (la voce death rate per year, quindi tasso di mortalità annuo, dalla prof viene considerata erroneamente come tempo di sopravvivenza dalla diagnosi) Oncogene myc Anch’esso ha una manifestazione funzionale di tipo dominante in seguito alla mutazione. Le maggior parte delle mutazioni a carico di questo oncogene sono amplificazioni. Risulta espresso fortemente in neuroblastomi, soprattutto in fase avanzata. In condizioni normali, myc si localizza sui siti promotori di tutti i geni che verranno trascritti, agendo quindi come fattore di trascrizione. Quando si va incontro a un processo di mutazione di myc, amplificazione, si determina una serie di disregolazioni per quanto riguarda i geni trascritti da myc tra cui attivazione di RAS, perdita di APC (oncosoppressore), ecc. a) La disregolazione di MYC si verifica in molti tumori umani attraverso diversi meccanismi: amplificazione del gene MYC e/o percorsi di segnalazione aberranti. Questi cambiamenti possono portare a programmi trascrizionali disregolati nei tumori. Myc può essere amplificato nel carcinoma del polmone (8,4%), carcinoma della mammella (15%), pancreas (12,6%), ovaio (33,2%) 21 28/09/2021 – Patologia – prof. Boccarelli In altri casi, si osserva come la disregolazione di myc possa essere data da percorsi di segnalazione aberranti (nel glioblastoma PTEN, EGF, APC; nel carcinoma del colon retto APC, RAS, SMAD, EGF, ecc.) Da un punto di vista epidemiologico, RAS e MYC sono due oncogeni fortemente rappresentativi delle alterazioni funzionali delle cellule tumorali. Nel momento in cui vengono mutati sono responsabili dell'alterazione di percorsi direttamente o indirettamente da essi regolati. Altri meccanismi di mutazione di myc - traslocazion: che possono sottoporre myc a un controllo diverso, ad esempio dato dai siti promotori delle Ig) - inserimento di altre regioni promotrici di alcuni virus: in questo caso, la macchina replicativa virale porterà ad un’alterata funzione del gene stesso). - Struttura dell’oncogene myc E’ caratterizzato da 3 regioni: 1) regione di attivazione trascrizionale, estremità 5’ 2) regione di DNA binding, estremità 3’ 3) regione di localizzazione nucleare (N), parte centrale. Myc è un fattore di trascrizione e quindi come tale è a localizzazione nucleare. Le isoforme c-myc, n-myc, l-myc risultano essere poco conservate nella parte centrale, mentre la parte del binding al DNA è conservata, chiaramente funzionale al riconoscimento delle sequenze promotrici del DNA. Attività trascrizionale di myc La figura mostra 4 meccanismi di attività di Myc: (a) Modello classico. Myc lega e dimerizza con max. myc/max riconosce le regioni responsive del gene target (E- box). (b) Effetto dello stato della cromatina. In questo modello, l'azione di myc può essere guidata dalla funzione e dallo stato della cromatina (più o meno compatta). l dimeri Myc/Max legano E-box in un ambiente di cromatina attiva, contrassegnato dalla presenza di isole cpG (demetilate) e da modificazioni istoniche attive come la metilazione H3-K4. (c) Effetto del dosaggio di Myc. A bassi livelli di Myc, i dimeri Myc/Max si legano principalmente al promotore di e-box. Ad alti livelli di Myc, i dimeri Myc/Max si legano anche alle regioni enhancer distali, dette regioni E-box imperfette ("iE"). 22 28/09/2021 – Patologia – prof. Boccarelli (d) intervento di altri fattori. I dimeri myc/max sono reclutati dal recettore dell’acido retinoico (RAR) e dal suo elemento di riconoscimento sul DNA (RARE). Rafforzamento dell'efficacia trascrizionale di myc. Meccanismi di repressione trascrizionale da parte di myc a. Myc reprime la trascrizione bloccando le funzioni di attivazione del fattore di trascrizione MIZ-1. L’associazione di myc con MIZ-1 blocca l’interazione con p300 (acetiltransferasi) e introduce la DNA metiltransferasi (Dnmt3a). L'effetto è di deacetilare gli istoni del gene e causare la metilazione del DNA del promotore, reprimendo quindi la trascrizione. b. Repressione tramite reclutamento di una istone deacetilasi (HDAC) ® deacetilazione degli istoni e quindi maggiore compattazione della struttura della cromatina per inibire la trascrizione. Qualora myc risulti essere mutato, tutti questi meccanismi non possono essere realizzati. Le acetiltransferasi, metilasi, istone deacetilasi rappresentano un controllo sovrastrutturale, epigenetico, degli oncogeni che possono essere responsabili della trasformazione. Ecco perché non possiamo attribuire a un solo gene mutato l’alterazione funzionale, e quindi cancerosa, di una cellula. Si accumulano n mutazioni di geni in una popolazione cellulare, responsabili in compartecipazione dell'alterazione funzionale della cellula che potrà dare origine a un clone trasformato. Quindi non si può dire che MYC o RAS, da soli, possano dare una mutazione cancerosa, ma, la compartecipazione di tutte queste alterazioni possono portare all'insorgenza del clone canceroso. A partire dal clone iniziato (che magari può avere la sola mutazione di RAS), seguono nel tempo (da un minimo di 5 a un massimo di 15 anni) acquisizioni di altre e diverse mutazioni, sino al raggiungimento di un numero di mutazioni a carico di oncogeni e oncosopressori che portano alla condizione di cancro metastatico. 23 28/09/2021 – Patologia – prof. Boccarelli Myc regola la crescita cellulare e la proliferazione Ci sono segnali che provengono da recettori diversi (r. tirosin chinasici, r. per T-cell, r.TGF-b, r. WNT a 7 passi). Le varie vie di trasduzione del segnale del recettore attivano MYC, il quale dimerizza con max e si associa sulle regioni E- box, insieme ad altri componenti trascrizionali ® induzione trascrizionale di geni coinvolti nella crescita e nella proliferazione cellulare. Pathway del WNTR, responsabile dell’interazione con un oncosoppressore (APC), che a sua volta regola la b- catenina (elemento costitutivo delle adesioni cellula- cellula). In condizioni di quiescenza, la quantità di b- catenina presente nel citoplasma è degradata in via proteasomica. Quando invece ci sono stimoli proliferativi, la b-catenina trasloca nel nucleo e determina la transattivazione di myc. Pertanto, quando la beta catenina risulta essere alterata perché APC è mutato, l’interazione della b-catenina con myc è alterata ® aumenta il potere oncogenico di myc. Questo è un esempio di disregolazione di myc in percorsi di segnalazione aberranti. Myc è deregolato in senso oncogenico, mediante amplificazione genica, traslocazione cromosomica o perdita di regolatori a monte e antioncogenico, poiché la perdita di regolazione di myc può anche essere dovuta a p53 e Arf che vanno ad inibire il processo di amplificazione del messaggio proliferativo da parte di myc (azione antioncogenica di p53 e Arf che agiscono sugli effetti che myc mutato può provocare). Effetti pleiotropici dell’espressione di myc Processi che myc regola o ai quali partecipa: 1. azione come fattore di trascrizione (con il fattore E2F) 2. responsabile del riparo del DNA (MLH1, BIN1) 3. ciclo cellulare (trascriz. di alcune cicline) 4. regolazione metabolismo (trascrizione di GLUT1, LDH, GLS) 5. adesione cell-cell e organizzazione citoscheletro (agendo sulla trascrizione di integrine, cdc42) 6. traslazione 7. biosintesi di proteine 8. altri target 24 28/09/2021 – Patologia – prof. Boccarelli Altri meccanismi che possono trasformare protoncògeni in oncogeni: traslocazione La traslocazione è un fenomeno in cui parti di un cromosoma vengono portate su un altro cromosoma. Questo comporta che alcune regioni cromosomiche (geni) risultano essere regolate da meccanismi promotori differenti. Per cui si possono avere dei geni chimerici in seguito a traslocazione e quindi un mRNA chimerico ® proteine chimeriche con nuovi domini (quindi alterazione del binding canonico). Un altro evento possibile è quello di un protoncogene traslocato in un locus attivamente trascritto e quindi una maggiore produzione di proteina. Bcr-abl Un esempio di questo processo di traslocazione è dato dalla traslocazione chr 9;22 ® cromosoma Philadelphia (leucemia mieloide cronica) cromosoma 9: gene bcr1 cromosoma 22: gene abl Meccanismo. Si verifica un crossing over, con l’ottenimento di un nuovo cromosoma, detto cromosoma Philadelphia (traslocazione 9;22) in cui 3 esoni del gene bcr1 sono correlati a 4 esoni del gene abl, per cui si ottiene un nuovo oncogene che è il prodotto di fusione tra bcr e abl. Prodotto ricombinante la cui funzione risulta essere alterata poiché il gene Abl è sottoposto al controllo del promotore del gene bcr1. Il prodotto è una proteina chimerica ad azione tirosin-chinasica costitutivamente attivata. La proteina tirosin-chinasica avrà il ruolo di fosforilare proteine che sono a valle del pathway. 25 28/09/2021 – Patologia – prof. Boccarelli Le proteine tirosin chinasiche generalmente sono dei recettori di membrana (ubiquitari). Dobbiamo distinguere un dominio extracellulare e un dominio citosolico con una porzione transmembrana che corrisponde all’a-elica. Questo tipo di recettore monomerico, dimerizza in seguito al legame con il ligando. Si verifica poi un processo di autofosforilazione reciproca dei residui tirosinici. I recettori tirosin-chinasici sono diversi strutturalmente, ma caratterizzati tutti dal dominio tirosin chinasico nella regione intracitoplasmatica. Recettori ad attività tirosin-chinasica: 1. r. di EGF, monomerico, costituito da due residui ricchi di cisteina e una componente intracitoplasmatica; 2. r. IGF-1, dimerico poiché legato da ponti disolfuro nella porzione esterna. 3. r. PDGF 4. r. NGF 5. r. FGF 6. r. VEGF, questi sono caratterizzati nella regione extracellulare da Ig-like domain, in quanto ricorda l’organizzazione strutturale delle immunoglobuline. I protoncogeni RAS e MYC, finora trattati, sono responsabili del controllo positivo del ciclo cellulare, quindi aumentano la proliferazione. 26 28/09/2021 – Patologia – prof. Boccarelli Geni oncosopressori (geni implicati nell’inibizione della crescita) Sono responsabili del controllo negativo della crescita cellulare. Quando sono mutati non sono più in grado di controllare negativamente la divisione cellulare. Sono inattivati nel processo di cancerogenesi. (studia tabella: localizzazione, gene, funzione, tumori associati a mutazioni somatiche, tumori associati alle sindromi familiari- trasmissione verticale. Il prof. li ha elencati tutti) Geni implicati nel controllo del ciclo cellulare Gli oncosoppressori sono geni che codificano per proteine che agiscono da freno per la divisione cellulare e subiscono un'inattivazione (riduzione dell’espressione genica o mutazioni inattivanti) durante il processo di cancerogenesi. I prodotti degli oncosoppressori possono essere: - proteine che bloccano i fattori di trascrizione (es. Rb), - proteine che inibiscono l'attività dei sistemi ciclina+CDK (es. P16), - proteine (es. p53) che inibiscono la progressione del ciclo cellulare in modo indiretto (es. tramite induzione di inibitori delle CDK [p21/WAF]). L'assenza del controllo negativo sulla proliferazione si manifesta fenotipicamente solo quando l'oncosoppressore è deleto o mutato in entrambi gli alleli (eccesso di proliferazione cellulare per mancanza dell'azione frenante dell'oncosoppressore). Gli oncosoppressori quindi sono recessivi. 27 28/09/2021 – Patologia – prof. Boccarelli Regola del doppio colpo Sviluppata da Knudson su osservazioni dirette sul retinoblastoma e in, particolar modo sul gene (RB1) responsabile di questa condizione che è precancerosa e successivamente cancerosa. Knudson sviluppò l’ipotesi dei due colpi come eventi mutazionali che interessano i geni oncosoppressori. La mutazione può essere trasmessa in linea germinale, su uno dei due alleli (mutazione germinale), con l'altro allele che continua a garantire la funzione oncosoppressoria. Nel corso della vita può accadere che si venga a generare una inattivazione genetica anche del secondo allele (per cause diverse; es. non disgiunzione mitotica, non disgiunzione e duplicazione, ricombinazione mitotica, conversione genica, mutazione puntiforme, delezione e silenziamento). Oltre all’inattivazione genetica (1) ci può essere*: - sequestro della proteina pRB da oncoproteine virali (2), - fosforilazione della proteina pRB, che diventa costitutivamente attivata, - degradazione della proteina pRB, in questo caso non è funzionante nel suo controllo negativo. Quindi, dal punto di vista germinale c’è già una mutazione. Può accadere che insorga, a carico dell’altro allele una mutazione, dovuta a queste cause suddette, oppure altri* meccanismi cellulari che portano comunque la proteina pRB ad essere inattivata. Oncosoppressori: classificazione funzionale 1. Geni che controllano (negativamente) la proliferazione 1.1 Molecole di superficie: TGFb-R: (gene per recettore di TGFb, che determina un aumento dell'espressione di p16 (INK4A) con conseguente inibizione di D/cdk). Caderine: Glicoproteine di adesione intercellulare (cellule epiteliali). 1.2 Trasduzione del segnale: APC (poliposi adenomatosa del colon; la proteina codificata da APC è coinvolta nella trasduzione del segnale inibendo la beta catenina; APC i livelli di beta catenina aumentano, la proteina trasloca nel nucleo e c'è un aumento della proliferazione). NFI (neurofibromatosi tipo 1); è una GTPase activating protein che converte ras da attivo in inattivo. 1.3 Molecole di regolazione del ciclo e della trascrizione: Rb, p16 2. Geni che regolano l’apoptosi L'apoptosi è un fenomeno controllato geneticamente che determina la morte programmata di una cellula a un certo punto del ciclo vitale. Alterazioni del p53, che regola finemente questo processo, sono associate al rischio oncogeno. 3. Geni che controllano la riparazione del DNA Le mutazioni ereditarie che diminuiscono la capacità di riparazione del DNA sono associate a rischio oncogeno: XP (Xeroderma pigmentosum e quindi il sistema di NER); HNPCC (Hereditary nonpolyposis colorectal cancer, riparo dei mismatch); BRCAI e BRCA2 (difetti multipli della riparazione, NHEJ ricombinazione omologa). 28 09/30/2021- Oncologia - Prof.ssa Boccarelli Gli ONCOSOPPRESSORI possono essere classificati secondo la loro attività funzionale e localizzazione. Infatti alcuni sono localizzati sulla membrana plasmatica, e per questo hanno FUNZIONE RECETTORIALE; altri possono far parte di CANALI DI TRASPORTO; altri ancora possono far parte del CITOSCHELETRO del citosol; oppure possono essere presenti nel nucleo. ONCOSOPPRESSORE TGF-β Ora entrando un po’ più nello specifico cerchiamo di analizzare uno dei pathway che possiamo prendere in considerazione nell’ambito della funzionalità cellulare, ed analizziamo l’azione del TGF-β. La sua azione è legata alla presenza di un recettore sulle cellule capace di interagire con esso: il RECETTORE PER TGF-β, un recettore transmembrana con attività TIROSIN CHINASICA. In primo luogo il TGF-β interagisce con il monomero TGFβR2 (TGF-β receptor 2) e solo dopo questo legame, viene richiamato il secondo monomero TGFβR1 il quale si complessa a questa struttura formando un DIMERO. A seguire abbiamo un evento di FOSFORILAZIONE di entrambi i monomeri, con conseguente attivazione di BERSAGLI EFFETTORI → rappresentati dalle proteine SMAD (proteine che si trovano nel citosol come MONOMERI e che complessano quando arriva lo stimolo proveniente dal dimero formatosi precedentemente). Le proteine SMAD interpellate sono le SMAD 2, 3 e 4. Lo stimolo che proviene dal recettore per il TGF-β quindi, permetterà di far complessare prima le SMAD 2 e 3; poi se non è presente un’altra proteina chiamata SMAD7 allora al dimero SMAD 2/SMAD 3 si complesserà anche SMAD 4 formando un TRIMERO → il quale migrerà nel nucleo comportandosi come FATTORE DI TRASCRIZIONE, regolando la trascrizione di geni (favorendo o inibendo la proliferazione cellulare). Eventuali mutazioni a carico del recettore cellulare di TGF-β fanno sì che il messaggio di complessazione per SMAD2-3-4 sia sempre continuo. ONCOSOPPRESSORE APC/ β-CATENINA La presenza dell’APC permette di regolare in senso NEGATIVO la proliferazione cellulare. Quando la cellula è in una fase di quiescenza, succede che al suo interno (più precisamente a livello citoplasmatico) l’oncosoppressore APC + AXINA + GSK3B + CITOCHERATINA 1 si legano tutte alla β- CATENINA formando un complesso che porterà proprio quest’ultima alla degradazione. Quando invece abbiamo un segnale che proviene dall’esterno in cui è coinvolto il ligando WNT, questo interagisce con il suo recettore a 7 passi transmembrana FRIZZLED al quale poi si aggiunge anche LPR5/6 formando un complesso. Tutto questo attiva la proteina DVL che, interagendo col complesso APC + AXINA + GSK3B + CITOCHERATINA, permette il rilascio della β-CATENINA che quindi potrà entrare nel nucleo e legarsi a regioni responsive del DNA insieme ad altre proteine. Questa azione determinerà l’azione trascrizionale di FATTORI LEF/TCF che andranno a trascrivere molti geni tra cui anche l’ONCOGENE MYC (coinvolto nel controllo della proliferazione cellulare). Se l’oncosoppressore APC subisce delle mutazioni → essendo APC mutata non si forma il complesso capace di legare la β-CATENINA → sarà sempre libera di entrare nel nucleo → con conseguente stimolazione della proliferazione cellulare. 29 09/30/2021- Oncologia - Prof.ssa Boccarelli ONCOSOPPRESSORE pRB Da un punto di vista strutturale questa proteina è caratterizzata da vari DOMINI, tra questi abbiamo: 1) DOMINI DI FOSFORILAZIONE. 2) DOMINI DI ACETILAZIONE. 3) DOMINI DI SUMOILAZIONE. 4) DOMINI DI CLIVAGGIO. Ognuno di questi domini è strettamente correlato al legame con altre proteine. In particolare tra le altre strutture che si legano a questa abbiamo: 1) FATTORE E2F1, E2F2, E2F3 ed E2F4. 2) METILASI. 3) CICLINA D. 4) CADERINA. La pRB è una proteina importante perché il suo ruolo di oncosoppressore viene svolto effettuando un controllo del ciclo cellulare nel passaggio da G1 ad S. In questa fase la cellula si sta preparando a sintetizzare tutti gli elementi necessari a duplicare il DNA; quindi è importante che vi sia un controllo che verifichi il corretto stato della cellula. La struttura della pRB è abbastanza particolare, infatti ricorda una sorta di “tasca” che accoglie al suo interno il fattore E2F1 o altri membri della famiglia del fattore di E2F1. In seguito allo stimolo attuato da FATTORI DI CRESCITA abbiamo che il ciclo cellulare ha inizio perché le CICLINE vengono attivate dalla FOSFORILAZIONE mediata dalle CHINASI CICLINE DIPENDENTI. In particolar modo la CICLINA D viene fosforilata dalla famiglia delle cicline CDK46. Successivamente la CICLINA D cede il proprio gruppo fosfato alla pRB → quando questa viene fosforilata passa nel suo STATO INATTIVO. Nello STATO ATTIVO la pRB controlla il fattore E2F accogliendolo nella sua tasca, ma a seguito di fosforilazione (e conseguente passaggio nello stato inattivo) si ha un cambio conformazionale della struttura di questa determinando il rilascio del fattore E2F che è libero di andare a interagire con le regioni promotrici e determinare la trascrizione di tutti i geni necessari per la progressione del ciclo cellulare. Nel momento in cui pRB non è più funzionante, questo controllo del fattore E2F non sussiste e quindi questo può essere sempre libero e determinare SEMPRE la progressione del ciclo cellulare. Esistono quindi vari modi per poter regolare l’azione di pRB, tutti legati fondamentalmente alla condizione in cui versa la cellula: 30 09/30/2021- Oncologia - Prof.ssa Boccarelli 1) Abbiamo detto che per far passare la pRB dallo stato attivo ad inattivo serve una FOSFORILAZIONE. Quindi un primo metodo di controllo di questa consiste proprio nel bloccare le CHINASI CICLINE DIPENDENTI che permetteranno poi l’evento di fosforilazione di pRB; di conseguenza questo porterà la cellula a non produrre i fattori necessari alla progressione del ciclo cellulare e di conseguenza alla SENESCENZA. 2) Un secondo metodo consiste nella METILAZIONE della proteina pRB. Quando viene metilata la fosforilazione di pRB non è più possibile, portando ad un arresto del ciclo cellulare (per i motivi visti nella 1) e quindi la cellula va in SENESCENZA. 3) Quando abbiamo un DANNO AL DNA, vengono attivate un’altra serie di proteine (come P300 e ATM) che agiscono su pRB determinandone l’ACETILAZIONE, questo porta all’allontanamento da E2F, il quale può interagire con una serie di proteine responsabili della trascrizione di GENI APOPTOTICI, portando la cellula ad APOPTOSI. Un ruolo importante per la funzionalità della pRB è dato dalla interazione con delle SUBUNITA’ VIRALI del PAPILLOMA VIRUS, che determina la sua inattivazione. Il papilloma virus è costituito da 2 subunità proteiche: E6 ed E7; quest’ultima va ad inserirsi all’interno della “tasca” della pRB in quanto ha forte affinità per essa. La forte omologia tra i due fa sì che si abbia quindi una COMPETIZIONE tra E2F ed E7, la quale porterà E2F a non essere più legata alla tasca di pRB con conseguente trascrizione dei geni legati alla proliferazione. GENI ONCOSOPPRESSORI CHE REGOLANO L’APOPTOSI P53 Il gene più rappresentativo responsabile del controllo dell’apoptosi è la P53. Scoperta più di 50 anni fa, veniva associata all’onco-proteina del virus SV40. Per capire che questa proteina fosse un oncosoppressore ci vollero molti anni proprio perché quando fu ritrovata questa proteina in eccesso nella cellula, si vide che essa proliferava molto più velocemente → quindi era stato assegnato inizialmente a p53 il ruolo di ONCOGENE. Solo nei primissimi anni 2000 si capì che questa proteina è un oncosoppressore ed è coinvolta in moltissimi processi tra cui anche PROCESSI METABOLICI. La sua attività è coinvolta nel riparo del DNA e la maggior parte dei tumori solidi (più del 50%) presentano mutazioni della p53. Tra tutte le sue funzioni possiamo dire che la p53 controlla la PROGRESSIONE DEL CICLO CELLULARE e controlla il DESTINO DELLA CELLULA (tenendo conto della funzione della p53 nella trascrizione di GENI PER IL CONTROLLO DEL RIPARO o APOPTOSI). Considerando la proteina p53 possiamo dire che questa è caratterizzata da vari domini: 1) N-TERMINALE: normalmente è un dominio di TRANS-ATTIVAZIONE. 142 aa formano questo dominio. 2) DOMINIO CENTRALE: corrisponde al dominio di BINDING con DNA. Proprio questa regione è quella maggiormente colpita da mutazioni. 200 aa formano questo dominio 3) C-TERMINALE: in cui distinguiamo: 31 09/30/2021- Oncologia - Prof.ssa Boccarelli a. Una componente che permette la formazione di un TETRAMERO. 25 aa formano questo dominio. b. Regione che definiamo DOMINIO REGOLATORIO. Circa 30 aa formano questo dominio. Il funzionamento della p53 oltre ad essere determinato dalle molteplici proteine che interagiscono con questa, tiene conto anche del fatto che alcune regioni della proteina possono subire processi di FOSFORILAZIONE, UBIQUITINILAZIONE, SUMOILAIZIONE, ACETILAZIONE e METILAZIONE. A seconda che avvenga uno di questi processi piuttosto che un altro, possiamo effettivamente capire quando questa deve essere attivata o inattivata. STRUTTURA DELLA P53 Prendendo in considerazione l’immagine di sopra e considerando la struttura della p53 come TETRAMERO, questa può essere formata da varie subunità, qui illustrate con colori diversi. Il tetramero può considerarsi ATTIVO quando è costituito da subunità TUTTE colorate in azzurro, le quali vengono definite come subunità WILD-TYPE; viceversa qualora vi sia una mutazione per una o più di una subunità di p53 (indicate con il colore rosso e definite come subunità MUTATE) nella composizione del tetramero, allora la proteina verrà considerata come INATTIVA. Quindi quando si osservava una grande quantità di p53 nella cellula e si diceva che fosse la quantità di questa ad essere responsabile dell’azione oncogenica, si stava facendo una osservazione errata; proprio perché la proteina è sì presente, ma quella presente si trova nello stato INATTIVO. Quindi la sua azione di oncogenicità non era da ricercarsi nella sua espressione massiva, ma dal fatto che quella presente era funzionalmente inattiva. Per cui il discorso fatto sulla TEORIA DEL DOPPIO COLPO non è valido per la p53 → in quanto se solo una sua subunità presenta una mutazione, e tutte le altre si trovano in uno stato wild-type, comunque noi avremo una inattivazione di tutto il tetramero. Infatti per la p53 non parliamo di teoria del doppio colpo, ma di TEORIA DEL DOMINANTE NEGATIVO. 32 09/30/2021- Oncologia - Prof.ssa Boccarelli In quest’altra immagine invece osserviamo il modello del tetramero p53 che si lega al DNA. Quando tutti e quattro i monomeri risultano essere legati allora la p53 è considerata FUNZIONANTE ed ATTIVA. Ma per arrivare a questo stato la proteina passa per una serie di forme. In particolare abbiamo che: 1) La forma TRANSIENTE o TRANSITORIA vede il legame del primo monomero del tetramero sul DNA. 2) A questa segue la forma INSTABILE in cui un secondo monomero si lega al DNA. 3) Infine osserviamo la forma STABILE quando abbiamo il legame di tutti e 4 i monomeri al DNA. Inoltre per poter svolgere la funzione di fattore di trascrizione, la p53 deve legarsi a particolari regioni del DNA le quali vengono definite come REGIONI CONSENSO o RESPONSIVE. Il legame a queste regioni può avvenire o con tutti e 4 i monomeri che formano la proteina, oppure solo con alcuni dei monomeri. L’interazione con le regioni consenso del DNA corrisponde ad un particolare tipo di regolazione per la p53 → definita come REGOLAZIONE IN CIS. n.b. la REGOLAZIONE IN TRANS si ha quando la p53 interagisce con altre proteine (e non con le regioni del DNA). Un esempio che possiamo fare è l’interazione con la proteina MDM2 (il suo regolatore). Quando la proteina interagisce con il suo regolatore, MDM2 dimerizza con MDMX permettendo una inibizione della p53 → perché la avvolge e ne determina la sua degradazione. Questo evento è permesso perché la proteina non deve essere sempre presente nella cellula (soprattutto nel nucleo dove ha funzione di trascrizione), quindi nel momento in cui ha svolto la sua funzione successivamente dovrà essere degradata. Ovviamente anche la proteina MDM2 può essere soggetta a regolazione. Tant’è che quando abbiamo la presenza di STIMOLI MITOGENI (rappresentati dalla presenza di proteine come AKT e GSK3), questi portano ad una FOSFORILAZIONE della MDM2 la quale viene allontanata → in più l’evento di fosforilazione permette di richiamare anche un’altra proteina detta 14-3-3 che permette la sua UBIQUITINILAZIONE e conseguente DEGRADAZIONE. Stessa sorte subisce la proteina MDM2 anche quando abbiamo per esempio un DANNO AL DNA oppure uno STRESS RIBOSOMIALE → anche in queste condizioni sarà necessario che la p53 espleti le sue funzioni, ed 33 09/30/2021- Oncologia - Prof.ssa Boccarelli affinché questo possa accadere vi è la necessità che la proteina MDM2 venga allontanata e degradata. La degradazione della p53 avviene secondo queste modalità: A seguito della terminazione della sua attività trascrizionale, la p53 deve essere bloccata tramite il legame con la MDM2. Questa consente alla ligasi E1 ed E2 di legarsi a residui di ubiquitina, i quali successivamente verranno legati al livello della p53. Il ciclo si ripete fino a quando non avremo formato una coda di ubiquitine a livello della p53 che verrà quindi degradata. Oltre ad MDM2, il controllo della p53 è legato anche ad eventi di ACETILAZIONE. Questi consentono ai geni che codificano per la p53 di poter cambiare la loro conformazione. La trascrizione del gene viene sempre garantita dalla proteina CREB-300 la quale va ad acetilare la PROTEINA DI BINDING DELLA P53 con il DNA. Facendo questo è possibile rendere attiva la p53 che quindi può determinare un BLOCCO DEL CICLO CELLULARE o indurre APOPTOSI. La p53 può trovarsi sia nel NUCLEO che nel CITOSOL. Nel nucleo se deve essere allontanata viene legata ad MDM2 e poi ubiquitinata per essere degradata. Nel citosol, è stato visto come questa possa attivare i processi che responsabili dell’APOPTOSI oppure anche nel citosol può essere ubiquitinata da una proteina detta DUBs per poi essere degradata dal proteasoma. FUNZIONI DELL’ONCOSOPPRESSORE P53 Le sue funzioni sono molteplici. Se per esempio ci troviamo in presenza di DEFICIENZE NUTRIZIONALI → vuol dire che alla cellula mancano gli elementi per garantire la sopravvivenza, per cui tutto ciò che è necessario per indurre la proliferazione viene a mancare → la presenza e l’attivazione della p53 permette di indurre la cellula verso la SENESCENZA (blocco del ciclo cellulare fino a quando non vengono ripristinate le condizioni ottimali) oppure verso l’APOPTOSI. Se ci troviamo in condizioni di IPOSSIA, vengono attivati una serie di meccanismi che portano la cellula alla morte per APOPTOSI anche grazie all’attivazione della p53. La stessa cosa vale anche in caso di DANNI AL DNA, ma dobbiamo specificare che l’azione della p53 permette anche di poter riparare il DNA perché va a trascrivere quei geni per il ripristino della condizione normale del DNA (come GAB45). Quindi in condizioni di danno, blocca il ciclo cellulare 34 09/30/2021- Oncologia - Prof.ssa Boccarelli (trascrivendo uno dei geni necessari per il blocco del ciclo cellulare, come per esempio l’inibitore p21) e va a trascrivere anche i geni per il riparo. Qualora il danno non possa essere riparato perché troppo esteso, allora verrà attivata la via che porterà all’apoptosi. In che modo viene attivato il processo apoptotico in caso di danni al DNA? vengono trascritti alcuni geni come PUMA, NOXA e BAX (i quali sono coinvolti nel processo apoptotico). Quando abbiamo casi di STRESS OSSIDATIVO e la quantità di ROS supera di molto la capacità dei sistemi antiossidanti, al fine di evitare ulteriori danni viene attivata la via per l’APOPTOSI. Stesso destino lo si ha quando abbiamo stimoli esterni dati da ORMONI e vari processi fisiologici che comunicano a quella cellula la necessità di attivare la p53 con conseguente blocco del ciclo cellulare. In caso di danno di tipo ossidativo però dobbiamo fare una distinzione: 1) Se abbiamo RADIAZIONI di tipo γ: abbiamo un doppio taglio al DNA →si attiva ATM → permette di FOSFORILARE la p53, che viene quindi allontanata da MDM2, determinando un accumulo di p53. Il suo accumulo però viene definito come BIORITMICO. In questa condizione la p53 si accumula e valuta se il danno può essere riparato. 2) Se abbiamo RADIAZIONI UV: abbiamo un singolo taglio al DNA → si attiva ATR → permette di fosforilare la p53, la quale si accumula non più in modo BIORITMICO ma in modo SOSTENUTO. Questo permette che una quantità importante di questa proteina venga trascritta per poter riparare il danno. Mentre pRB è il 1° controllore (nella fase tra G1 ed S), la p53 è il 2° controllore (nella fase tra G2 ed M). Quindi prima che la cellula entri in mitosi e si divida, questa viene “bloccata” e si valuta tutto ciò che è stato sintetizzato. Se la valutazione risulta essere positiva allora la cellula va in MITOSI; qualora vi fosse una valutazione negativa allora avremmo inevitabilmente l’induzione della morte cellulare. 35 10/05/2021 - Oncologia - Boccarelli Abbiamo visto come p53, proteina e gene appartenente alla famiglia degli oncosoppressori, sia coinvolto in molti processi funzionali della cellula e, quando p53 è mutato (mutazione definita in questo caso dominante negativo, in relazione alla struttura tetramerica della proteina), le sue funzionalità sono completamente compromesse e il destino della cellula può orientarsi verso la trasformazione neoplastica. Il network delle interazioni di p53 diventa sempre più complesso con il progredire della ricerca. Ci sono tutta una serie di attività svolte da p53 e proteine con cui essa interagisce scoperte grazie alla collaborazione tra biologi molecolari, informatici e di coloro che sono coinvolti nella patogenesi delle neoplasie. Studiando p53 dobbiamo sempre tener conto che è un dominante negativo. Perciò, quando una qualsiasi mutazione colpisce il dominio di interazione con il DNA (dominio di DNA binding), la p53 passa dall’avere un’attività di soppressore tumorale (oncosoppressore che garantisce la corretta funzionalità della cellula e non ne permette la trasformazione), alla perdita della sua funzione stessa di oncosoppressore. Ma al contempo si ha un guadagno di funzione perché p53 acquista attività oncogenica: non è più in grado di regolare tutti i processi di proliferazione cellulare e promuove la trasformazione tumorale. Il core di p53 corrisponde al dominio DBD (DNA Binding Domain) formato da circa 200 paia di basi e caratterizzato da un numero rilevante di mutazioni. Questo grafico mostra la FREQUENZA DELLE MUTAZIONI RELATIVE ALLE SINGOLE TRIPLETTE DEL DBD. Le mutazioni più frequenti sono quelle relative alle triplette R175, G245, R249, R282, R248, R273. A loro volta le mutazioni di R248 E R273 sono le più rappresentate. Consideriamo la tripletta R248 composta normalmente da citosina, guanina, guanina. La citosina e la guanina possono essere sostituite da altre basi azotate e ciò comporterà un cambiamento nell’amminoacido corrispondente. La citosina può essere trasformata in timidina (ciò accade 661 volte e porta all’inserimento dell’amminoacido triptofano) e la guanina in adenina (ciò accade 779 volte e porta all’inserimento dell’amminoacido glutammina). Il cambiamento degli amminoacidi causa un cambiamento strutturale e conformazionale nella regione di binding al DNA. Lo stesso accade in caso di sostituzione della citosina con la guanina o della guanina con una timidina oppure con un’altra citosina: si avrà la conseguente sostituzione con gli amminoacidi glicina, leucina e prolina (ma la percentuale di mutazione in questo caso risulta essere più bassa con valori rispettivamente di 22, 111 e 18 volte). Le due basi azotate citosina e guanina sono dei siti fragili, frequentemente coinvolti nelle mutazioni. Ciò porta a mutazione dell’amminoacido e della struttura della proteina, compromettendone la capacità di interazione con il DNA. 36 10/05/2021 - Oncologia - Boccarelli Lo stesso dicasi per la tripletta R273 in cui sempre la coppia citosina-guanina vede il cambio con la cisteina, l’istidina, la glicina, la prolina, la leucina, comportando l’alterazione della struttura. Questo studio è garantito dalla valutazione di vari istotipi tumorali e nell’ambito di questi si è proceduto all’estrazione del DNA, alla valutazione mediante sequenziamento del gene p53 e si è visto tutto quello che è alterato a livello della regione di binding. Le barrette più piccole del grafico corrispondono ad altri codoni che risultano mutati nel DBD con una percentuale molto più bassa, tuttavia anche in questo caso si avrà compromissione della funzionalità di p53. Questa rappresentazione grafica è stata realizzata nel 2007, ma gli istotipi tumorali sono sempre gli stessi. Ciò che può cambiare sono le percentuali che oscillano nell’ambito degli istotipi, anche se la tendenza di una p53 mutata e quindi con attività oncogenica non è cambiata. Difatti, la gran parte dei carcinomi ovarici presenta una p53 mutata quasi nel 50% dei casi; poi segue il colon- retto, il polmone. I carcinomi più rappresentativi della mammella oppure della prostata vedono coinvolta anche la p53 oltre ad altri oncogeni e oncosoppressori. Qualora ci sia una mutazione di p53 tutto il processo di controllo della vitalità e della funzionalità corretta della cellula viene compromesso. Interazione di p53 con l’oncoproteina E6 dell’HPV Parlando di pRB abbiamo detto che ci sono delle proteine virali a funzione oncogenica. Prb, infatti, interagisce con l’oncoproteina dell’HPV E7 la quale va ad inserirsi nella tasca della proteina del retinoblastoma simulando da un punto di vista strutturale il fattore di trascrizione E2F e in questo modo pRB resta attiva, non viene fosforilata e quindi pensa di tenere nella sua tasca E2F che in realtà è libero e può trascrivere tutti i geni necessari per la proliferazione; è invece E7 a essere legata nella tasca. L’altra proteina oncogenica dell’HPV è E6 che interagisce in maniera perfetta con l’oncosoppressore p53, ciò determina un potenziamento degli effetti oncogeni dell’HPV che inattiva in modo efficace i due punti di controllo del ciclo cellulare (sia il primo checkpoint - transizione G1/S- con E7 che lega pRB, sia il secondo checkpoint - transizione G2/M - con E6 che lega p53). E6 si frappone a livello della struttura tetramerica della p53 a garantire il processo di ubiquitinazione. E6 si lega con una componente strutturale che consente alla proteina p53 di essere completamente degradata perché ne garantisce l’ubiquitinazione. Si sostituisce, perciò, al meccanismo mediato da Mdm2 che normalmente interagisce con p53 e consente alla ligasi di legarsi alla struttura p53-Mdm2 e di far legare residui di ubiquitina che portano poi alla degradazione della proteina. Allo stesso modo E6 porta all’ubiquitinazione e alla degradazione di p53. Venendo continuamente degradata p53 non può svolgere la sua funzione di oncosoppressore 37 10/05/2021 - Oncologia - Boccarelli Isoforme di p53 La p53 ha delle isoforme chiamate p63 e p73. Queste isoforme differiscono dalla p53 perché contengono un dominio aggiuntivo detto dominio SAM; pertanto, p63 e p73 hanno un peso molecolare maggiore rispetto a p53. Le caratteristiche strutturali di p63 e p73 restano pressoché identiche perché hanno il dominio di oligomerizzazione. Tuttavia, poco si sa di funzioni indipendenti delle due isoforme che non siano quelle che noi identifichiamo come appartenenti a p53. Consideriamo la p53 come oncosoppressore e gene leader nel controllo dell’economia della cellulla. Riassumendo, la perdita dell’attività di p53 implica che: Le cellule possono continuare il ciclo cellulare soprattutto quando il loro DNA risulta essere danneggiato; Nel momento in cui il ciclo cellulare non è controllato, se ci sono cromosomi danneggiati, ci sarà instabilità genomica e compromissione di tutto il patrimonio genico in quanto p53 non è più in grado di garantire il riparo. Ciò compromette tanti altri geni con conseguente promozione del processo di cancerogenesi; Le cellule possono evitare l’apoptosi poiché p53 è coinvolta nella trascrizione di geni che controllano la via intrinseca (mitocondriale) dell’apoptosi; Le cellule trasformate sono resistenti alle terapie farmacologiche; N.B. alterazioni di geni che sono propri dell’apoptosi possono compromettere l’apoptosi; alterazioni di geni del riparo possono compromettere alcuni aspetti del riparo. Ma, nel caso di mutazione di p53 tutte queste alterazioni concorrono nella stessa cellula e ciò può portare in maniera indiscutibile al progredire della cancerogenesi. Questi discorsi su ras, myc, pRB, p53, riguardano informazioni contestualizzate alla funzione di proto-oncogeni mutati o oncosoppressori, ma ne riparleremo andando a considerare la funzionalità metabolica e tutti quei processi che si generano e causano l’evoluzione cancerosa. Geni della riparazione del DNA Nell’ambito della multifattorialità e multifasicità del processo neoplastico consideriamo i geni della riparazione del DNA. I geni che controllano il riparo del DNA possono comportare un riparo diretto o un riparo indiretto a seconda che vengano coinvolte alcune basi azotate o entrambe le eliche del DNA. Questo tipo di riparo è coinvolto quasi in contemporanea a seconda del tipo di danno e viene genericamente identificato col termine “riparo del DNA”. Il riparo diretto riguarda il proofreading, l’O6-metilguanina-DNAmetiltrasferasi (O6-MGMT) e i dimeri di pirimidina. Il riparo indiretto comprende il sistema di escissione, il sistema di ricombinazione e il mismatch repair. Ciascuno di questi tipi di sistemi è composto da un numero notevole di proteine, ad esempio: Base Excision Repair (BER) richiede il sistema XRCC1 o il sistema APE; Nucleotide Excision Repair (NER) richiede ERCC1 o XPD; 38 10/05/2021 - Oncologia - Boccarelli Ricombinazione omologa richiede ATM e ATR (come abbiamo già visto queste due proteine intervengono attivando p53 in caso di danno al DNA causato rispettivamente da radiazioni γ o UV), RAD 54 e RAD54B; Ricombinazione non omologa richiede BRCA1 e BRCA2; Mismatch Repair che richiede MLH1, MLH3, PMS1, PMS2. Molti di questi geni facenti parte del riparo sono associabili a sindromi preneoplastiche che portano alla predisposizione nell’ambito di una famiglia in senso verticale alla manifestazione probabile della malattia neoplastica (soprattutto per quanto riguarda gli oncosoppressori BRCA1 E BRCA2 che richiedono il doppio colpo). BRCA1 e BRCA2 Consideriamo BRCA1 e BRCA2 (mutati in particolare nel carcinoma della mammella e nel carcinoma ovarico). Essi si distinguono per alcuni domini. BRCA1 è molto più caratterizzato da un punto di vista nucleotidico e amminoacidico per quanto riguarda le regioni di interazione con altre proteine. BRCA1 è composto da 1863 aa, BRCA2 da 3418 aa (è leggermente più lungo). In BRCA1 ci sono regioni specifiche quali regioni di binding al DNA; in BRCA2 regioni di binding non sono state specificatamente identificate, sono regioni variabili. Ci sono molte proteine che interagiscono con BRCA1 come ATM (fortemente coinvolta nei meccanismi di riparo), RAD51 (anch’essa molto coinvolta nel riparo), GADD45, p53, pRB. In quest’immagine osserviamo l’interazione di BRCA1 con altre proteine. BRCA1 interagisce con p53 che attiva WAF1 responsabile della regolazione del checkpoint G2/M del ciclo cellulare. Il legame di p53 a WAF1 fa aumentare GADD45 e ciò controlla il passaggio da G2 a M qualora il danno possa essere riparato. BRCA1 interagisce con pRB per il controllo del checkpoint G1/S. L’attivazione di BRCA1 è a monte in relazione al danno al DNA che porta all’attivazione delle chinasi ATM e ATR che fosforilano BRCA1 attivandola. BRCA1 fosforilata attiva p53 e pRB, ma anche proteine del gruppo MSH (proteine della ricombinazione omologa) oppure può attivare il rimodellamento della cromatina mediante l’attivazione dell’istone deacetilasi. Considerando in maniera generale la capacità di controllo del riparo del DNA di BRCA1, quando viene compromesso si può arrivare all’instabilità genomica. Ma al tempo stesso mutazioni di BRCA1 possono alterare la cromatina mediante le interazioni tra BRCA1 con istone deacetilasi e con pRB oppure possono alterare la trascrizione tramite l’interazione di BRCA1 con c-Myc o con E2F. Ancora, 39 10/05/2021 - Oncologia - Boccarelli BRCA1 interagisce con RAD50 e RAD51 e se è mutata si avrà compromissione del riparo del DNA, oltre che della regolazione del ciclo cellulare e del ciclo di ubiquitinazione. A questo punto, avendo considerato la grande famiglia dei proto-oncogeni che mutati determinano la formazione di oncogeni e la famiglia degli oncosoppressori, possiamo delinearne in maniera generale le caratteristiche e le differenze. La funzione dei proto-oncogeni consiste nella progressione del ciclo cellulare e nel controllo della proliferazione cellulare, mentre gli oncosoppressori sono responsabili del blocco del ciclo cellulare, dell’apoptosi e del riparo del DNA. L’attività dei proto-oncogeni è quella di favorire la crescita neoplastica poiché controllano la proliferazione e quando sono mutati essi perdono il loro controllo positivo della proliferazione. Perciò si dice che hanno attività proneoplastica nella loro funzione normale (quando sono alterati l’attività proneoplastica viene ulteriormente favorita). Invece, gli oncosoppressori sono detti antitumorali perché inibiscono la crescita cellulare controllandola negativamente, ma quando mutano promuovono essi stessi la crescita tumorale. Le mutazioni a carico dei proto-oncogeni sono dominanti, quelle a carico degli oncosoppressori sono recessive. Mentre i proto-oncogeni acquisiscono una funzione, gli oncosoppressori perdono la loro funzione. Le mutazioni che riguardano i proto-oncogeni sono: amplificazione genica e alterazione della regolazione della trascrizione; invece gli oncosoppressori sono colpiti da: delezione, mutazioni inattivanti e ipermetilazione. Alterazioni epigenetiche Alcuni proto-oncogeni e oncosoppressori possono anche non avere mutazioni nelle loro sequenze nucleotidiche, ma la loro funzione può essere compromessa per l’alterazione di meccanismi sovrastrutturali del controllo della cromatina che dipendono da anch’essi da proteine tradotte in relazione alla trascrizione da alcuni geni mutati. Stiamo parlando di alterazioni epigenetiche. L’epigenetica è ormai una delle branche più recenti della biologia, anche se molti degli studi su alcune manifestazioni funzionali facessero pensare alla possibilità che ci fossero componenti che dirigessero alcune attività cellulari. Nessuno riesce a capire da un punto di vista funzionale l’esistenza di un ciclo del mondo vegetativo e quindi che le foglie ad un determinata fase della stagione primaverile escano fuori per poi diventare caduche nella stagione autunnale. Questo bioritmo vegetativo delle piante o dei fiori ha fatto pensare che esistano condizioni che regolino dell’esterno, e non dall’interno, alcune proteine che possono essere funzionalmente attivate per garantire alcuni processi. L’EPIGENETICA è definita come lo studio dei cambiamenti ereditabili nell’espressione genica che non sono causati da cambiamenti nella sequenza del DNA. Il termine è stato ripreso da Aristotele il quale parlava di epigenesi, ossia nello «sviluppo di forme organiche individuali a partire dal non formato» (su un albero non ci sono le foglie e in un determinato momento della vita di quest’albero 40 10/05/2021 - Oncologia - Boccarelli a seconda del variare delle stagioni si vengono a formare le foglie) ed è stato introdotto dal genetista Conrad Waddington nel 1942 per descrivere alcuni fenomeni che portano dal genotipo al fenotipo. Il concetto di epigenetica ha rappresentato un interrogativo nella biologia cellulare e si è cercato di capire come si potesse parlare di epigenetica nell’ambito di studi che riguardassero esclusivamente i geni. Lo studioso Thomas Jenuwein fu il primo a descrivere i fenomeni epigenetici distinguendoli da quelli genetici. Egli ha paragonato il testo scritto nel libro dall’autore alla genetica e l’interpretazione data da ciascuno di noi al libro all’epigenetica. Ogni lettore può estrarre dal testo informazioni diverse e può interpretarne la trama in modo differente. Allo stesso modo, l’epigenetica permette interpretazioni diverse di un modello fisso (codice genetico) e può dare luogo a diverse letture, a seconda delle condizioni variabili con cui il modello viene interrogato. Consideriamo i fenomeni inseriti nel controllo epigenetico e come questi meccanismi consentano una lettura diversa del nostro genotipo. Questi fenomeni sono le modificazioni istoniche e la metilazione del DNA ed insieme concorrono alla possibile diversa lettura del DNA e garantiscono lavorando in modo sincrono o asincrono il RIMODELLAMENTO DELLA CROMATINA. Il rimodellamento della cromatina deriva dal compattamento che il DNA ha con gli istoni. Il DNA è avvolto intorno a degli ottameri. Un ottamero è formato da dimeri degli istoni H2A, H2B, H3, H4. L’ottamero nel suo insieme costituisce il nucleosoma e il DNA si avvolge intorno ad esso in modo tale da essere compattato. Gli ottameri hanno delle code dette code terminali degli istoni che possono subire modificazioni post-traduzionali responsabili della riorganizzazione della cromatina. Queste modificazioni possono essere determinate da acetiltrasferasi istoniche (HAT) che aggiungono gruppi acilici o da metiltrasferasi istoniche (HMT) che aggiungono gruppi metilici. I gruppi acilici possono essere poi rimossi dalle deacetilasi (HDAC), mentre i gruppi metilici possono essere rimossi dalle metilasi (KDM). Questo lavoro in concerto di acetilasi-deacetilasi e metilasi- demetilasi consente di compattare o srotolare la cromatina nel corso del processo di silenziamento di una regione di DNA o di attivazione del processo trascrizionale. Esistono nel DNA delle regioni specifiche dette ISOLE CpG, ricche di citosina e guanina. In questo caso interviene la DNA metiltrasferasi (DNMT). Questa modificazione non è legata a un cambiamento della sequenza nucleotidica, ma all’aggiunta di un gruppo metile a livello delle basi azotate citosina e guanina garantendo il silenziamento di quella regione di DNA. I processi alla base della metilazione o di escissione di basi o di riparazione del DNA avvengono tramite eventi di idrossilazione o di ossidazione e l’insieme di questi eventi causa alterazione sovrastrutturale della sequenza di basi azotate specifica della struttura primaria del DNA. Anche queste funzioni aggiuntive alle modificazioni post-trascrizionali e post-traduzionali possono essere responsabili dell’insorgenza del processo di neoplasia qualora questi meccanismi siano alterati. L’ACETILAZIONE ISTONICA avviene sulle code degli istoni. Le code degli istoni sono cariche positivamente e interagiscono in maniera elettrostaticamente molto forte con i gruppi fosfato carichi negativamente del DNA. L’acetilazione delle code ne determina il distacco dalla doppia elica. Ciò rende possibile ad alcune proteine trascrizionali di legarsi al DNA e di dare inizio al processo di trascrizione dei geni interessati. METILAZIONE DELLE ISOLE CpG. La DNA metiltrasferasi sostituisce l’OH in posizione 5 della citosina con un gruppo metile, con formazione di 5-metilcitosina. Il gruppo metilico causa una 41 10/05/2021 - Oncologia - Boccarelli conformazione diversa del DNA con conseguente silenziamento di quel gene. Queste isole influenzano fortemente l’attività trascrizionale dei geni. Infatti, in alcuni oncosoppressori, quando ci sono delle metilazioni della loro sequenza (come accade ad esempio con pRB), si ha una mutazione che non compromette la base azotata ma si ha comunque il silenziamento genico supponiamo del secondo allele e alla mancanza di espressione della proteina con conseguente deficit del secondo checkpoint. La metilazione e l’acetilazione possono essere accompagnate da un ulteriore controllo da parte di proteine contenenti un CROMODOMINIO o un BROMODOMINIO. Il bromodominio è una regione di 50 aa in grado di legarsi a lisine acetilate a livello delle code istoniche. Il cromodominio è una regione di 37 aa che si lega a lisine metilate delle code degli istoni H3 e H4. In un caso o nell’altro si avrà l’inattivazione dei processi trascrizionali. Tutto ciò rappresenta un controllo sovrastrutturale della cromatina che funzionalmente altera la struttura della cromatina da inattiva oppure attiva consentendo o meno la trascrizione di alcuni geni. Laddove ci sono residui di azione da parte di acetilasi, deacetilasi, metilasi o demetilasi la funzionalità stessa della funzione della cromatina è compromessa e quindi si può pensare che anche queste alterazioni possano essere responsabili dell’insorgenza di neoplasie. Acetilazione aberrante nel cancro e coinvolgimento delle HAT-HDAC: Geni codificanti per diverse HAT si trovano traslocati, amplificati, sovraespressi e/o mutati in diversi tumori; Mutazioni missenso o nonsenso dell’acetilasi p300 sono state riscontrate nei carcinomi del colon/retto; Gli individui con mutazione che inattiva l’attività HAT di CBP hanno aumentata predisposizione all’instaurarsi di tumori; Perdita di eterozigosi del locus a ridosso della proteina CREB300 o anche di geni a ridosso della proteina è associata a carcinomi epatocellulari; Processi di fusione riguardanti la CREB300 si generano alterazioni responsabili di tumori ematologici. 42 10/07/2021 - Oncologia - Boccarelli Epigenetica e tumori Iniziamo col rispondere

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