Oncologia Medica 07/10/2024 PDF
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Università per Stranieri di Perugia
2024
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This document is a lecture about skin cancers, including melanoma. It details skin anatomy, the causes of melanoma, and its epidemiology. The document also explains the risks, prevention methods and treatments for melanoma.
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ONCOLOGIA MEDICA (prof Mandalà) SBOBINATORE: ELISA MARTINA ANDRENACCI REVISORE: ADELE FEDERICI 07/10/2024 1° ORA I TUMORI CUTANEI Oggi tratteremo il melan...
ONCOLOGIA MEDICA (prof Mandalà) SBOBINATORE: ELISA MARTINA ANDRENACCI REVISORE: ADELE FEDERICI 07/10/2024 1° ORA I TUMORI CUTANEI Oggi tratteremo il melanoma e i tumori cutanei non melanomi. Quella che vediamo qui è l’anatomia della cute. Abbiamo l’epidermide e il derma: ciò che li differenzia è che a livello epidermico non troviamo né vasi linfatici, né vasi ematici venosi e arteriosi, né ghiandole. Al di sotto del derma troviamo l’ipoderma e il tessuto sottocutaneo. A sua volta l’epidermide è suddivisa in: Strato corneo Strato lucido Strato granuloso Strato spinoso Strato basale, che è quello che si rinnova IL MELANOMA Il melanoma cutaneo si origina a livello della giunzione dermo-epidermica. Ricordiamo che per melanoma si intende un tumore maligno (non esistono melanomi benigni) che origina dai melanociti. Nell’ambito dello sviluppo embrionale esistono 3 foglietti: l’ectoderma, il mesoderma e l’endoderma; nell’ectoderma esiste un tessuto sottospecializzato che prende il nome di neuroectoderma ed è quello da cui originano i melanociti, così come anche i neuroni. Sono quindi delle cellule che hanno un aspetto di tipo neurale, con delle digitazioni a livello delle quali si verifica l’esocitosi dei melanosomi, vescicole contenenti melanina che vengono poi fagocitate dai cheratinociti. Tale melanina si dispone poi a formare un ombrello attorno al nucleo dei cheratinociti, proteggendo in questo modo il DNA dall’azione dei raggi UV. I melanociti in realtà non si distribuiscono solo a livello cutaneo, ma anche a livello delle mucose, dell’uvea, del sistema nervoso centrale: questo significa che il melanoma non è un tumore maligno della pelle, bensì solo dei melanociti, e sebbene si origini preferenzialmente a livello della pelle, si può riscontrare primitivamente anche in altre sedi. 1 Vi sono due ragioni per via delle quali il melanoma è più frequente sulla cute: innanzitutto perché durante il processo di migrazione che si verifica nel corso dello sviluppo embrionale la maggior parte delle cellule migra proprio in questa sede, e poi perché i melanociti cutanei sono soggetti ad un danno esotossico legato all’esposizione ai raggi ultravioletti. EPIDEMIOLOGIA Ogni anno in Italia abbiamo circa 14 000 casi di melanoma; l’incidenza si attesta quindi attorno a 12 nuovi casi per 100 000 abitanti. È meno frequente nella popolazione pediatrica e il rischio ovviamente aumenta con l’età. Nella fascia 0- 39 anni è più frequente nelle donne, con una localizzazione prevalente a livello degli arti inferiori, mentre con l’avanzare dell’età diventa più frequente negli uomini e la localizzazione preferenziale è rappresentata dal dorso. Complessivamente la mortalità è più alta negli uomini piuttosto che nelle donne. Tra i fattori di rischio per il melanoma distinguiamo fattori endogeni ed esogeni; tra i primi: Il fototipo, classificato secondo la scala di Fitz-Patrick, che va da un fototipo I (tipico della popolazione nordeuropea e caratterizzato da carnagione chiara, capelli chiari, lentiggini), fino al fototipo VI (caratteristico delle popolazioni africane); la presenza di melanina, e soprattutto di eumelanina, che svolge il ruolo fondamentale di protezione, è maggiore nel fototipo VI, mentre la sensibilità ai raggi UV, al contrario, è maggiore nei fototipi I e II, che appartengono a soggetti che in seguito all’esposizione solare si scottano e non si abbronzano; il rischio di cancro è maggiore per questi fototipi Presenza di più di 20 nei Presenza di nei atipici Familiarità Stato di immunodepressione (pazienti trapiantati, HIV +, con leucemia linfatica cronica, ecc) Il melanoma geneticamente determinato con trasmissione verticale di tipo mendeliano si riscontra nel 10% dei casi e il gene che ha maggiore penetranza è il CDKN2A, responsabile della cosiddetta sindrome del nevo congenito, che determina un aumentato rischio di insorgenza di melanoma e al tempo stesso di carcinoma del pancreas. Tra i fattori esogeni citiamo: L’esposizione, soprattutto ricreativa, ai raggi UV (che riguarda soggetti che si espongono al sole senza protezione e coloro che fanno uso dei solarium, annoverati dallo IARC tra i cancerogeni noti) 2 L’appartenenza a fototipi I e II si associa ad un rischio relativo compreso tra 2 e 3,6: questo significa che il rischio di sviluppare il melanoma è di 2-3,6 volte maggiore rispetto a quello della popolazione generale aggiustata per sesso, età e distribuzione geografica. L’80% dei melanomi non insorge su neo, bensì su cute sana; alcuni nevi congeniti possono però andare incontro a trasformazione maligna. Negli ultimi anni abbiamo osservato un notevole aumento della sopravvivenza, legato sia alle diagnosi più precoci che alla disponibilità di nuove terapie. Per poter distinguere tra una neoformazione pigmentata benigna o maligna occorre seguire la regola dell’ABCDE: A: asimmetria (sono simmetriche le lesioni benigne e asimmetriche quelle maligne) B: bordo (regolare o irregolare) C: colore (uniforme o non uniforme) D: diametro (< o > 6 mm) E: evoluzione La valutazione dei nei si effettua facendo spogliare il paziente (il medico deve controllare ogni area della cute, compresi gli spazi interdigitali e la pianta del piede), e oltre alla valutazione a occhio nudo si effettua anche quella con dermatoscopio. TIPOLOGIE Da un punto di vista anatomo-patologico i melanomi vengono classificati secondo la classificazione WHO, ma ci basta sapere che esistono le seguenti forme: Superficial spreading, la più frequente Melanoma nodulare Lentigo maligna, che si presenta soprattutto nelle persone più anziane a livello del volto e ha un andamento abbastanza lento Melanoma acrale-lentigginoso, localizzato a livello degli arti e delle estremità Melanoma amelanotico, in cui le cellule mancano di melanina Melanoma desmoplastico, caratterizzato da una reazione infiammatoria perilesionale particolarmente marcata, con spiccata tendenza alla recidiva locale e alto carico mutazionale, che determina un’ottima risposta all’immunoterapia CLASSIFICAZIONE La classificazione dei melanomi si basa, come per gli altri tumori, sulla TNM: il criterio T nell’ambito del melanoma è il cosiddetto spessore di Breslow, che non è il diametro della lesione a occhio nudo, ma la distanza compresa tra lo strato granuloso e l’ultimo nido tumorale localizzato nel derma (o, nei casi particolarmente gravi, nell’ipoderma); si calcola in mm ed è quindi valutato al microscopio. 3 Attenzione! A parità di spessore l’ulcerazione della superficie rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo con valore prognostico negativo: i pazienti che la presentano hanno maggiore probabilità di recidiva e morte. Ad esempio, un melanoma T2 è un melanoma con uno spessore compreso tra 1,1 e 2 mm; in assenza di ulcerazione parliamo di T2a, mentre in sua presenza di T2b. La lettera a identifica sempre l’assenza di ulcerazione, mentre la lettera b la sua presenza. (Questi dettagli non sono oggetto di esame) Ovviamente, nel tempo, maggiore è l’estensione locale di malattia e peggiore è la prognosi. Un buon report dell’esame istologico non dev’essere narrativo, bensì sinottico; devono essere presenti informazioni relative a: Spessore in mm Eventuale presenza di ulcerazione (si può specificare anche la sua estensione, che secondo alcuni studi correla comunque con la prognosi) Numero di figure mitotiche nell’hotspot (il mm2 con maggiore numero di mitosi nell’intero preparato; anche questo è un fattore prognostico indipendente) Istotipo e fase di crescita (orizzontale o verticale) Presenza dei TILs (tumor infiltrating lymphocytes), che possono essere definiti brisk, se vi è un infiltrato linfocitario intratumorale esteso, o non brisk, se invece l’infiltrato è solo peritumorale Presenza di aree di regressione (e sostituzione con tessuto fibrotico) Presenza di invasione perivascolare Presenza di microsatelliti (ovvero nidi tumorali separati dal tumore principale, che hanno di fatto lo stesso impatto prognostico di una metastasi ai linfonodi loco-regionali, tanto che nella classificazione TNM sono valutati come N1c) Margini (se l’asportazione chirurgica è stata effettuata in maniera radicale o non radicale) Si definisce linfonodo sentinella il primo linfonodo che drena la linfa di quello specifico distretto cutaneo. Quando si effettua l’intervento chirurgico di asportazione del melanoma occorre innanzitutto effettuare una resezione rasente alla lesione (e cioè con un margine di 1-2 mm dalla lesione); sul materiale ottenuto si effettua quindi un esame istologico. 4 Dal T1b (ovvero un melanoma con uno spessore superiore a 0,8 mm, o anche inferiore se presente ulcerazione) in poi vi è l’indicazione ad effettuare anche l’asportazione del linfonodo sentinella. Il secondo intervento è quindi detto di radicalizzazione. Prima della sua esecuzione viene iniettato un mezzo di contrasto, che raggiunge il linfonodo loco-regionale. Il vantaggio dell’asportazione rasente consiste nel fatto che questo permette la corretta individuazione del linfonodo sentinella; se si facesse già in partenza un intervento più radicale si rischierebbe poi di pensare come linfonodo sentinella un linfonodo che in realtà drena una porzione di cute più lontana dal melanoma. Il grado di coinvolgimento del linfonodo è un altro elemento importante: una localizzazione intraparenchimale multifocale estensiva si associa ovviamente ad una prognosi peggiore. Oltre alla presenza o assenza delle metastasi, anche la loro sede gioca un ruolo importante dal punto di vista prognostico: definiamo M1a un melanoma con localizzazioni cutanee, sottocutanee o linfonodali, M1b se sono presenti localizzazioni polmonari, M1c quando invece abbiamo localizzazioni viscerali e M1d in presenza di localizzazioni nel sistema nervoso centrale. A parità di localizzazione, un valore di LDH sierico più elevato si correla ad una prognosi peggiore. Si scrive quindi 0 se l’LDH è normale e 1 se è alterata. MUTAZIONI GENETICHE Dal punto di vista genetico la mutazione più frequentemente associata al melanoma è quella del gene BRAF: nel 90% abbiamo la mutazione V600E (sostituzione della valina in posizione 600 con un acido glutammico), mentre nel 7-8% dei casi abbiamo la mutazione V600K (sostituzione della valina con la lisina), ma esistono anche mutazioni non V600. Vi sono inoltre mutazioni di NRAS nel 25% dei casi, mutazioni di cKIT, che si riscontrano invece nell’1% dei casi e sono più frequenti nell’ambito di melanomi localizzati in sedi particolari, come quelli della mucosa anale (qui la mutazione attivante si riscontra nel 15% dei casi). Infine citiamo le mutazioni di NF1, gene che attiva RAS. Esistono anche melanomi che non hanno mutazioni di BRAF, NRAS, KIT o NF1, né traslocazioni del gene NTRK: questi melanomi sono detti non oncogene- addicted, il che significa che non vi sono mutazioni targettabili. Esiste una correlazione anatomo- molecolare, e cioè mutazioni differenti presentano una distribuzione topografica particolare nel corpo: Mutazioni V600E sono più frequenti nei melanomi del tronco, perché legate ad esposizioni acute ed intermittenti alla luce UV; Melanomi V600K sono invece tipici dell’età avanzata e riguardano soprattutto il distretto testa- collo, quindi sono associati all’esposizione cronica ai raggi UV (il carico mutazionale è quindi superiore rispetto ai V600E); Melanomi NRAS sono più frequenti a livello acrale, oltre che nel distretto testa-collo; 5 Melanomi cKIT nelle mucose (principalmente a livello anale, meno frequente a livello orale o nasale) o a livello acrale TRATTAMENTO La gestione del melanoma dev’essere affidata ad un team multidisciplinare. Il melanoma in situ (di spessore < 5 mm) è un melanoma epidermico, che non ha superato la membrana basale, e che quindi ha una probabilità di metastatizzazione pari a 0 e dunque può essere considerato come una condizione precancerosa, poiché la probabilità di morte associata è 0 e quella di recidiva molto bassa: in questo caso è sufficiente la chirurgia (qualsiasi ulteriore indagine, come ad esempio TC o PET, dev’essere considerata malpractice, poiché del tutto superflua). Nel melanoma di spessore < 2 mm il margine di resezione dev’essere di 1 cm (valutato attraverso l’esame istologico); per melanomi > 2 mm il margine dev’essere invece di 2 cm. Per il melanoma pT1b si deve effettuare la rimozione del linfonodo sentinella. In passato, in caso di positività microscopica del linfonodo sentinella, ovvero di positività accertata all’esame istologico anche se non valutabile sulla base delle indagini cliniche e strumentali, era indicato lo svuotamento del bacino linfonodale. Ad oggi però le linee guida non lo suggeriscono più, in quanto 2 studi di grandi dimensioni (l’MSLT2 e il DeCOG) hanno dimostrato che l’asportazione dell’intero bacino linfonodale non comporta un aumento della sopravvivenza libera da metastasi a distanza, e in generale non vi è alcun impatto sulla sopravvivenza. Osserviamo qui la frequenza delle mutazioni: quella di BRAF è presente nel 45-50% dei casi, quella di RAS nel 30%, quella di NF1 nel 9% dei casi, e infine abbiamo un triple-wild type (ovvero l’assenza delle 3 mutazioni appena citate) nel 15% dei casi. 6 Nella slide vediamo come nelle aree non esposte a chronic sun damage, come il dorso, la mutazione di BRAF è presente nel 45% dei casi, mentre nella cute esposta, quindi a livello di testa e collo, solo nel 15- 30%; a livello uveale questa non è presente. Il professore riporta il caso di una sua paziente, con storia personale di melanoma uveale (diagnosticato e trattato 17 anni fa tramite terapia con protoni) e presentatasi da lui un paio di mesi fa in seguito al riscontro di un nodulo mammario, rivelatosi poi essere una metastasi di melanoma. In questi casi è essenziale distinguere tra un melanoma primitivo dell’uvea o della cute, poiché il trattamento è radicalmente differente. Non sempre però il tumore primitivo è chiaramente identificabile: nel 10% dei pazienti il primitivo è ignoto, magari perché andato incontro a regressione. Nel caso della paziente in questione quindi, è stata effettuata un’analisi molecolare estensiva, che ha permesso il riscontro della mutazione di GNAQ. GNAQ e GNA11 sono delle proteine tipo RAS, che funzionano da interruttori molecolari a livello membranario. L’analisi ha quindi permesso di stabilire che si trattava di un melanoma originatosi a livello coroidale, visto che queste due mutazioni sono specifiche e riguardano l’80% dei pazienti. La mutazione di BRAF invece esclude completamente l’origine uveale. 7 TERAPIA ADIUVANTE E NEOADIUVANTE Vediamo quindi il trattamento adiuvante e neoadiuvante. Come sappiamo, la terapia adiuvante è quella che si effettua dopo l’intervento chirurgico R0; la neoadiuvante è invece la terapia che si effettua prima dell’intervento. Oggi abbiamo a disposizione un ampio ventaglio di terapie adiuvanti molto efficaci. Qui possiamo vedere 3 studi, tutti pubblicati sul New England Journal of Medicine: quello che riguarda il trial clinico che ha portato all’introduzione della terapia a base di Pembrolizumab nel melanoma di stadio III, quello relativo al confronto tra Nivolumab e Ipilimumab nel melanoma di stadio III o IV, e quello riguardante le terapie target nei pazienti con BRAF mutato. Quelle che vediamo qui sono le curve a 5 anni, ma ormai sono disponibili anche i dati a 10 anni, che ci mostrano un vantaggio del 20% in termini di riduzione della probabilità di recidiva. Nello stadio III dopo l’intervento si può effettuare un’immunoterapia a base di anti PD-1, indipendentemente dalla mutazione di BRAF, oppure una terapia target con un MEK-inibitore: hanno entrambe durata di un anno, ma la durata dell’effetto si estende fino a 10 anni. Questo significa che se un paziente presenta un rischio di recidiva del 50% in base alle caratteristiche del proprio melanoma, il rischio di non recidiva diventa del 70%. Si prevengono soprattutto le metastasi a distanza. Nello stadio II ad alto rischio (T3b, T4a, T4b con linfonodi negativi) [N.B. Questi aspetti relativi agli stadi non saranno oggetto di esame], nello stadio III, o nello stadio IV resecato si può quindi effettuare terapia adiuvante secondo le modalità appena spiegate. 8 Recentemente è stato portato avanti uno studio relativo ad un vaccino: per lo sviluppo del vaccino è necessario prelevare il tumore, estrarre i neoantigeni, ovvero le proteine mutate, sulle quali viene eseguita una valutazione di biologia computazionale, volta a stimare la probabilità che i peptidi che compongono queste proteine siano correlati all’HLA del paziente; si sintetizza dunque un mRNA che codifica per 34 neoantigeni; si tratta dunque di un vaccino personalizzato, che viene aggiunto all’immunoterapia. I dati preliminari mostrano una riduzione del rischio di recidiva e metastasi a distanza. Lo studio di fase III ci fornirà prossimamente le conclusioni di cui necessitiamo per stabilire se la combinazione di questi due trattamenti rappresenta la nuova frontiera nella terapia di questa malattia. 9 Per quanto riguarda la terapia neoadiuvante, questa si effettua quando vi sono linfonodi palpabili, ovvero macroscopicamente positivi a metastasi. Michele Teng è la pioniera di questa terapia e ha portato avanti degli studi sui topi che mostrano che la somministrazione della terapia prima dell’intervento è associata ad una maggiore efficacia. In questo momento in Italia la terapia neoadiuvante non è disponibile, poiché ci troviamo ancora nell’ambito di studi clinici, ma possediamo già sufficienti evidenze per affermare che la sua efficacia è superiore. La maggiore efficacia si spiega se si considera che l’immunoterapia prima della chirurgia va a determinare un’espansione clonale che amplia notevolmente il repertorio di linfociti tumore-specifici, e agisce sia rafforzando l’azione dei linfociti già presenti che stimolando la proliferazione di nuove cellule. Il fatto che in questo caso il tumore sia ancora presente determina una più efficace attivazione del sistema immune. In seguito all’attivazione del sistema immune abbiamo la formazione di cellule della memoria che mantengono la risposta immunologica nel tempo. I pazienti che ottengono una remissione patologica totale a livello linfonodale, cosa che si verifica nel 50% dei casi, possono definirsi guariti in maniera definitiva, dopo soli 2 o 3 cicli di terapia. Per questo motivo è stata richiesta un’approvazione anticipata alle autorità competenti. Per il melanoma metastatico prima non erano praticamente disponibili terapie, mentre attualmente ne abbiamo circa 11, grazie alle quali siamo in grado di salvare circa il 50% dei pazienti. A 10 anni infatti abbiamo una sopravvivenza del 52% e questi pazienti possono essere considerati guariti. La terapia di prima linea è in generale l’immunoterapia, a meno che non si abbia assoluta necessità che il paziente risponda positivamente in tempi brevissimi. Infatti caratteristica della terapia target è il cosiddetto “effetto Lazzaro”, così chiamato perché i pazienti vanno incontro ad un miglioramento improvviso delle condizioni generali entro giorni dall’inizio della terapia; tuttavia questa risposta tende a diminuire nel tempo, mentre l’immunoterapia è caratterizzata da una risposta più lente ma anche più stabile. 10 Anche in caso di metastasi cerebrali asintomatiche l’immunoterapia ha permesso di raggiungere risultati sorprendenti, con una sopravvivenza del 70% a 3 anni. Secondo studi clinici recentemente effettuati, a 5 anni più del 50% dei pazienti è ancora vivo. Non riusciamo ancora bene a distinguere, prima dell’inizio della terapia, pazienti maggiormente responsivi o meno alla terapia. Esistono allo stato attuale diversi progetti di ricerca per l’individuazione di marker adeguati. 11 ONCOLOGIA MEDICA (prof Mandalà) SBOBINATORE: ADELE FEDERICI 07/10/2024 2 ORA REVISORE: ELISA ANDRENACCI NON MELANOMA SKIN CANCER Quando si parla in generale di tumori non melanoma (altri tumori dermatologici saranno trattati più nel dettaglio a Dermatologia) possiamo distinguere: Carcinoma basocellulare: nella popolazione bianca il rischio di sviluppare questo tumore è di circa il 30%. Può avere una recidiva locale se non trattato adeguatamente (chirurgia con margini liberi). Il rischio di disseminazione linfonodale è rarissimo, per cui la mortalità è molto bassa. Carcinoma squamocellulare: è meno frequente del basocellulare nella popolazione generale, ma nei pazienti immunodepressi (ad esempio pazienti con patologie autoimmuni che fanno immunosppressione o cortisone; pazienti HIV+ non trattati; pazienti con trapianti d’organo; pazienti con LLC, ecc.) c’è un’inversione del ratio, questi pazienti hanno cioè una maggiore incidenza di spinocellulari rispetto ai basocellulari. Questo tumore, sempre rispetto al basocellulare, ha un rischio un po’ maggiore di disseminazione locoregionale, anche ai linfonodi. A volte può avere una disseminazione a distanza, ma nulla a che vedere rispetto al melanoma. Carcinoma a cellule di Merkel: è il meno frequente di questi tre ma ha un’aggressività biologica maggiore. La maggior parte dei carcinomi baso e spinocellulari guarisce in circa il 95% dei casi, si fa quindi il trattamento chirurgico oppure radioterapico. 12 L’argomento che a breve verrà trattato riguarda pertanto una minoranza dei pazienti. Il prof sottolinea però che ovviamente se il numero assoluto è estremamente alto, una percentuale anche del 5%, significa che ogni anno si hanno ad esempio 10 pazienti che si trovano in una situazione di malattia localmente avanzata o metastatica nel caso dello spinocellulare (le metastasi del basocellulare sono invece molto più rare). Diverso è invece il discorso per il Merkel, ma verrà affrontato dopo. Cosa intendiamo con malattia localmente avanzata? Si tratta di una malattia in cui il trattamento locale, chirurgico o radioterapico, non è fattibile; per meglio dire è fattibile ma a costo di un danno estetico e funzionale inaccettabile. Pertanto anche se una paziente è tecnicamente operabile, ma c’è un danno estetico mutilante o danno funzionale importante, bisogna considerare la malattia localmente avanzata. La malattia può essere considerata localmente avanzata o perché c’è un’estensione locale molto estesa oppure perché si trova in zone critiche che non permettono di poter fare interventi maggiori o perché c’è un’estensione anche di piccole lesioni ma diffuse in tutto il corpo. 13 Qui ad esempio vediamo un paziente con Sindrome di Gorlin: predisposizione genetica per insorgenza di tumori basocellulari. Presa singolarmente non è una malattia molto estesa ma la diffusione è così importante che rende impossibile il trattamento chirurgico. Nel momento in cui c’è una predisposizione genetica (con un gene mutato nelle cellule germinali e quindi presente in tutte le cellule somatiche) l’insorgenza del tumore è più precoce e multifocale in quanto c’è un campo di cancerogenicità che è maggiore rispetto a dove c’è una mutazione somatica. Qual è la base genetica del carcinoma basocellulare? (Il prof vuole sapere bene questa parte) La mutazione nel pathway di Hedgehog. La via di Hedgehog è un importante via dell’ organogenesi che dice alle cellule che ad esempio devono formare la testa, il collo, le braccia in che punto disporsi; regola pertanto la polarizzazione, segmentazione e organizzazione degli organi (ad esempio fegato in ipocondrio destro, la milza in ipocondrio sinistro) durante l’embriogenesi. Studi su Drosophila, insetto della frutta, hanno dimostrato che quando la via di Hedgehog è inattiva l’embrione prende la forma di un riccio e muore, per questo che viene chiamata via di Hedgehog (in inglese significa “riccio”). È una via attiva in molti tipi di tumore. 14 Nella forma eredo familiare del carcinoma basocellulare c’è una mutazione germinale: nella maggior parte dei casi è mutato il gene PTCH1. Nelle forme sporadiche, non germinali, non ereditarie (nel 70%) c’è mutazione dei geni PTCH1 e 2, mentre nel 20% si riscontra mutazione di SMO. Ci sono anche mutazioni minori come p53 e SUFO. Via di Hedgehog: ci sono due geni che codificano per due importanti proteine che sono PTCH e SMO. SMO è attivo durante la vita embrionale; PTCH inattiva SMO ed è quindi inattivo durante la vita embrionale. Nella vita adulta PTCH è attivo ed inibisce SMO ed inibendo SMO, quest’ultimo non manda segnali endocellulari. Laddove ci sia un’inattivazione, una mutazione di PTCH, questa inibizione di PTCH su SMO non sarà presente e quindi SMO riprende a funzionare come accade nella vita embrionale, regolando geni target coinvolti nella proliferazione e sopravvivenza cellulare. Ci sono anche altri geni coinvolti nella cascata, ma la maggior parte delle mutazioni sono a livello di PTCH che non inattiva perciò SMO. Abbiamo dei farmaci che sono il Vismodegib e il Sonidegib che inibiscono SMO, andando quindi ad inibire l’attivazione della via di Hedgehog. Gli studi sono nati a partire dalla Ciclopamina : negli USA si notò che in alcuni campi le pecore mangiavano un’erba particolare e gli agnelli nascevano ciclopi o con delle malformazioni. Dentro l’erba che mangiavano si è riscontrata la presenza della Ciclopamina che disattiva la via di Hedgehog. Sono stati quindi sviluppati dei farmaci che hanno un’attività simile alla Cicloplamina per i carcinomi basocellulari. 15 Le risposte alla terapia sono riposte importanti che si mantengono anche nel tempo indipendentemente dalla lesione e possono dare però, essendo terapie croniche, effetti collaterali. Abbiamo due farmaci: il Vismodegib che ha l’approvazione alla dose di 150mg al giorno per via orale sia per le forme localmente avanzate che metastiche; il Sonidegib che è sempre un Hedgehog inibitore, somministrato alla dose di 200mg a giorni alterni, approvato solo per la malattia localmente avanzata (che riguarda la maggior parte dei pazienti). Le ragioni di discontinuazione, nonostante il trattamento sia estremamente efficace, sono legate al fatto che in cronico questi farmaci danno effetti collaterali come alopecia, disgeusia, perdita di peso, spasmi muscolari. Vediamo alcuni esempi : Qui una lesione del padiglione auricolare andata in remissione completa. 16 Lesione ulcerata completamente guarita. Altra lesione, un carcinoma basocellulare, davanti al trago, in sede periauricolare, andato in remissione completa. 17 Questi sono casi limite dove addirittura non si vede più l’occhio. Il problema quindi di questi farmaci è l’utilizzo cronico che determina effetti collaterali portando ad una riduzione della compliance. DIFFERENZE CARCINOMA BASOCELULLARE E SPINOCELLULARE Il carcinoma basocellulare analogamente allo spinocellulare è un carcinoma che insorge nelle sedi cronicamente esposte: danno cronico da UV. Hanno però una chirurgia molto diversa. Il basocellualre come lo spinocellulare ha un alto carico mutazionale ma c’è una differenza sostanziale nel microambiente tumorale. Abbiamo appena detto che la via di Hedgehog è attiva durante la vita embrionale, questo non è casuale, infatti affinché il feto si sviluppi è necessario uno stato di immunodepressione, in modo tale che non venga visto dal sistema immunitario della madre, altrimenti ci sarebbe un rigetto. Allora vediamo come l’altra caratteristica fondamentale del basocellulare rispetto allo spinocellulare è legata alla via Hedgehog: gli antigeni tumorali sono espressi sia dal basocellualare che dallo squamocellulare, ma il basocellualre non ha espressione delle MHC1, cioè dell’HLA, manca della presentazione dell’antigene. Gli antigeni ci sono ma non vengono presentati al sistema immunitario perché la via di Hedgehog determina una down regolazione dell’HLA di prima classe. Ribadiamo quindi che gli antigeni sono presenti, ma non vengono esposti al sistema immunitario, non sono quindi visibili. Vediamo quindi come MHC1 nell’immunoistochimica dello squamocellulare è molto presente, ma poco presente nel basocellualre. 18 Per quanto riguarda invece l’infiltrato linfocitario è presente con linfociti reattivi nello squamocellulare, ma non è presente nel basocellualre. Pertanto nonostante entrambi abbiano un carico mutazionale alto, con molti neoantigeni, da un lato c’è down regolazione di MHC ed il carcinoma non viene visto dal sistema immunitario, nell’altro caso viene invece visto dal SI, ci sono quindi tanti neoantigeni presentati al SI. La via di Hedgehog ha un senso filogentico deve infatti garantire protezione all’embrione, è però immunosppressiva, conseguentemente ci aspetteremo una risposta all’immunoterapia minore nel basocellualre rispetto allo spinocellulare. Esistono però delle risposte anche nel basocellualre che sono nell’ordine del 30%. C’è la possibilità di utilizzare un farmaco di seconda linea, un anti PD1, Cemiplimab dopo fallimento del Vismodegib (approvato per malattia localmente avanzata e metastatica: 150mg/gg per os) e/o del Sonidegib (approvato per malattia localmente avanzata 200mg tutti i giorni o a giorni alterni) con un tasso di risposta del 30%. 19 20 CARCINOMA SQUAMOCELLULARE Se noi prendiamo 100 casi di squamocellulare, la maggior parte di essi ha una malattia limitata, ciò significa che, una volta asportato il tumore, il pz guarisce. Dal momento però che si tratta di un’incidenza molto elevata, anche una piccola percentuale può significare molti pz. Mi spiego meglio: nonostante la percentuale di tumori squamocellulari si aggiri intorno al 5%, in termini assoluti si parla comunque di 600 casi annui circa. Per quanto riguarda questo tumore, si tratta di una patologia tipica dell’età avanzata, con maggior incidenza nel sesso maschile e spesso preceduta da lesioni precancerose. Spesso insorge un pz con cheratosi attinica ed i fdr più importanti sono l’esposizione ai raggi UV, età avanzata, sesso maschile, fototipo chiaro ed immunosoppressione. Si tratta di una malattia complessa localmente avanzata, ovvero non suscettibile a chirurgia o radioterapia. Piccolo excursus: in inglese si utilizzano due termini per sottolineare la differenza di due concetti distinti: cure (guarire, anche se nel nostro caso specifico potrebbe significare optare per un intervento esteticamente invalidante che incide notevolmente sulla qualità della vita del pz) e care (trattare/prendersi cura, ma senza possibilità di guarigione). 21 Il trattamento del carcinoma squamocellulare deve essere necessariamente deciso da un team multidisciplinare: il chirurgo deve decidere se fare l’intervento, che tipo di intervento e mettere a conoscenza il team degli eventuali danni/complicanze post operatorie. La chemioterapia e la terapia target sono poco efficaci, con percentuali di risposta basse e di breve durata mentre l’immunoterapia ha un ruolo. In italia il farmaco approvato per il trattamento è il Cemiplimab, un anticorpo anti-PD1. Esso ha un ruolo estremamente importante nel sistema immunitario in generale di tutti i pz trapiantati (per cause variegate). Il prof fa un esempio di un pz che ha subito un trapianto di rene e ha sviluppato un carcinoma squamocellulare non più trattabile né con chirurgia né con radioterapia, per cui è stata richiesta una valutazione circa il trattamento più appropriato. Il problema in questo caso è legato alla necessità di stimolare il sistema immunitario a fronte di un rischio importante di rigetto. Bisognerà dunque decidere come effettuare l’immunosoppressione, quale sia la tecnica più adeguata per ottenere massima efficacia contro il tumore ma basso rischio di provocare rigetto. 22 Il dosaggio del Cemiplimab prevede 350 mg ogni 21 gg come prima scelta nel carcinoma localmente avanzato metastatico con una buonissima risposta a lungo termine. Riportiamo ora qui il caso di un pz giusto alla nostra attenzione: si tratta di un pz anziano, con uno spino cellulare del vertice che ha subito terapia con Cemiplimab (vediamo i risultati nella slide, si tratta di un “intervento senza ferita”, completamente scomparso). Il prof scorre delle slide su un pz con carcinoma spino cellulare evidenziando le condizioni pre e post trattamento ( rispettivamente dopo 3 cicli, 5 cicli e 3 mesi e mezzo di terapia). Noi abbiamo anche la possibilità di effettuare immunoterapia come trattamento neo adiuvante, dunque prima dell’intervento chirurgico, con risposte complete nel 50% dei casi dopo tre cicli di immunoterapia. 23 CARCINOMA DI MERKEL È un tumore maligno della cute, che prende origine dalle cellule di Merkel, che sono cellule neuroendocrine della pelle. Pur essendo chemio- radiosensibile e con un’incidenza inferiore rispetto allo spino e basocellulare, si tratta di un tumore estremamente aggressivo. In pazienti maggiormente a rischio sono gli anziani, gli immunocompromessi, chi ha subito una fotoesposizione importante, i trapiantati e coloro che hanno neoplasie ematologiche. Ne esistono due forme: Una prima forma correlata ai raggi UV (tumorigenesi UV-relata). Si caratterizza per un alto carico mutazionale (legato al danno al DNA causato dai raggi), risponde bene all’immunoterapia Una seconda forma la cui eziopatogenesi è dovuta ad un’infezione da Merkel Poliomavirus (forma virale). Si caratterizza per basso carico mutazionale, risponde anch’esso molto bene all’immunoterapia a tal punto che dopo un certo periodo di tempo, gli stessi pz chiedono quando possono interrompere il trattamento. In generale dunque si tratta di una lesione per lo più asintomatica, si espande rapidamente, più frequente nei pz immunisoppressi, dopo i 50 aa, che riscontriamo nelle zone maggiormente fotoesposte (NB: acronimo AEIOU: asymptomatic, expading rapidly, immunesuppression, older than 50, UV exposed areas). 24 Lasciato a sé stesso, diventa estremamente aggressivo passando da un T1/2 (tumore di circa 2cm) fino ad un T4 con invasione della fascia e dell’osso, con peggioramento drastico delle curve di sopravvivenza. Il trattamento prevede una chirurgia con margini di 1-2cm con linfadenectomia in caso di linfonodo sentinella positivo e radioterapia adiuvante nella sede di escissione e nelle sedi dove abbiamo riscontrano metastasi linfonodali. La terapia di prima scelta nei casi avanzati è l’Avelumab, un anticorpo anti-PDL1 (ricordiamo che PDL1 è espresso dalle cellule tumorali e PD1 da quelle immunitarie, dunque posso agire o bloccando l’uno o l’altro impedendone l’interazione e dunque riattivando il sistema immunitario). Questo anticorpo oggi è approvato nelle forme metastatiche di carcinoma di Merkel e le risposte sono maggiori del 50% che si mantengono nel tempo. Per tumori meno avanzati dunque operabili, posso procedere con l’intervento seguito eventualmente da radioterapia mentre nei casi inoperabili procedo con antiPD1. Se il linfonodo sentinella è negativo sottopongo il pz a follow up, mentre se è positivo procedo con linfadenectomia. Nelle forme metastatiche il trattamento di prima linea è l’Avelumab in Italia mentre all’estero sono disponibili altri 25 farmaci antiPD1 come il Retifanimab o il Pembrolizumab. A fallimento dell’immunoterapia ci sono solo trial clinici. Il prof scorre fa vedere una slide riguardo l’evoluzione di un carcinoma in un pz in seguito a trattamento. 26