Neurofisiologia Completo PDF
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Università degli Studi di Brescia
2023
Massimiliano Gobbo
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Summary
These lecture notes cover neurophysiology, focusing on muscle movement and skeletal muscle tissue. The document outlines the role of skeletal muscle in movement, stabilization, and even thermoregulation. It also dissects the organization, function, and structure of skeletal muscle tissue at the cellular and molecular levels. The summary also includes details on the role of myokines.
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Materia: Neurofisiologia Docente: Massimiliano Gobbo Data: 01 dicembre 2023...
Materia: Neurofisiologia Docente: Massimiliano Gobbo Data: 01 dicembre 2023 Lezione: 1 Argomenti: movimento, tessuto muscolare scheletrico FISIOLOGIA DEL MUSCOLO SCHELETRICO IL MOVIMENTO Il movimento è fondamentale per l’esistenza e la sopravvivenza umana. Esso consente di procacciarsi il cibo, nutrirsi, riprodursi, comunicare (voce e gesti), esprimere uno stato d’animo attraverso i muscoli mimici, ecc… Nei vertebrati l’attività motoria è il risultato della presenza e dell’azione dell’apparato locomotore costituito da ossa, muscoli e articolazioni. I muscoli sono il motore dell’apparato, strutture in grado di generare forze per permettere il movimento. Queste forze agiscono sulle ossa, che costituiscono delle leve attorno a dei fulcri (articolazione). Questa non è l’unica funzione dell’apparato locomotore, ma ricopre un ruolo importante per la postura, dove non abbiamo movimento, sebbene ci siano dei muscoli che stanno lavorando e quindi generano forza. In questo caso si parla di stabilizzazione o mantenimento. Il movimento può essere visto come passaggio da una postura ad un’altra. Un’altra funzione dei muscoli è quella di stabilizzare le articolazioni. Questo significa mantenere il contatto tra le due superfici articolari, senza avere un distanziamento tra le superfici osteoarticolari e quindi non avere lussazioni. Abbiamo dei fattori di stabilizzazione che possono essere: Fattori passivi: capsula e legamenti. Fattori attivi: muscoli. In certe articolazioni come la spalla la coattazione muscolare è fondamentale in quanto deve essere libera di compiere movimenti ma deve comunque rimanere stabilizzata, attraverso la contrazione muscolare. Altre funzioni: possono scaldare l’organismo; quando abbiamo freddo iniziamo a tremare perché i muscoli tremano. Tremando i muscoli, si attivano in maniera molto rapida e ogni volta che si attivano, generano calore, spendono energia e una quota di essa viene persa con il calore (quindi scaldano). I muscoli scheletrici hanno anche una funzione endocrina, quando vengono attivati liberano delle sostanze, le miochine (ne esistono circa 100) che hanno una funzione simile a quella degli ormoni (esempio: azione antinfiammatoria). Questa funzione si ha solo quando il muscolo si attiva e non a riposo (importanza attività fisica). Le miochine sono in antitesi con le lipochine, molecole prodotte dal tessuto adiposo che provocano un’infiammazione cronica quando siamo troppo sedentari portando a provocare varie malattie. Capacità di movimento L’efficienza fisica (physical fitness) è la capacità di movimento che ha un soggetto. Il concetto è legato al ADL (Activities of Daily Living) perchè se ho una buona efficienza fisica sono in grado di svolgere le attività quotidiane. A seconda di ciò che fa una persona avrò delle ADL differenti, ma generalmente si riferiscono alle cose piu semplici (mangiare, camminare, vestirsi, ecc). L’efficienza è correlata allo stato di salute perché nel momento in cui ho un buon livello di efficienza fisica sono autonomo, ho una miglior qualità di vita e mantengo lo stato di salute. Ogni volta che si riducono l’autosufficienza e l’efficienza fisica abbiamo anche dei problemi di salute e dobbiamo dipendere dagli altri. L’obiettivo del fisioterapista è quello di recuperare il più possibile l’autonomia della persona, perché questo migliora la qualità di salute e quindi della vita stessa. 1 TESSUTO MUSCOLARE SCHELETRICO Il tessuto muscolare scheletrico è un tessuto muscolare volontario e la sua contrazione è stimolata dai motoneuroni-α che si trovano nelle corna anteriori del midollo spinale. Questi movimenti che nascono dai motoneuroni non sempre sono volontari perché esistono anche delle azioni riflesse che sono involontarie. In un quadro generale, però il tessuto muscolare scheletrico viene considerato volontario. È striato perché presenta un’alternanza di bande chiare e scure. È il tessuto corporeo maggiormente rappresentato in un soggetto (40-45% del peso corporeo). Abbiamo circa 660 muscoli corporei. Organizzazione a fasci Il muscolo è un fascio di singole cellule disposte tutte in parallelo tra loro. Le fibre sono cellule molto allungate che, come numero, possono variare da 100 a 10000 indicativamente. Sono chiamate fibre extrafusali perché si trovano esternamente ai fusi neuromuscolari e hanno la funzione di generare la forza. Le fibre intrafusali sono poste all’interno dei fusi neuromuscolari e sono delle strutture che fungono da recettori utili per la propriocezione. Le fibre muscolari sono di forma allungata, cilindrica e affusolata alle estremità, sono multinucleate, hanno un diametro di 10-100 μm e un’altezza che generalmente va da un tendine all’altro (cm). Sono disposte in parallelo e legate da tessuto connettivo, costituito da fibre collagene e fibre elastiche. Questo tessuto accoglie vasi sanguigni e nervi: Attorno ad ogni fibra ci sono i capillari che portano nutrimenti e ossigeno alle fibre. Le diramazioni nervose terminali prendono contatto con ogni fibra per controllare la contrazione. Funzione del tessuto connettivo: Contenitiva: funzione di sostegno e supporto. Isolante: le fibre non possono essere in continuità tra loro nel muscolo scheletrico, ma ci deve essere la possibilità di attivare solo una parte di fibre. Proprietà passive (elastiche): permettono il ritorno elastico alla condizione naturale. Classificazione del tessuto connettivo: Endomisio: strato sottilissimo che circonda ogni singol fibra muscolare. Perimisio: circonda un fascicolo, un gruppo di fibre. Epimisio: circonda l’intero muscolo, guaina connettivale piu spessa che entra a far parte della fascia muscolare (avvolgimenti ancora più esterni che generalmente ricoprono più muscoli). Alle estremità del muscolo il connettivo si fonde e continua con il tendine, ovvero un cordone elastico connettivale che si inserisce sulle ossa mediante l’inserzione osteo-tendinea, a livello del periostio (tendine si incontra con l’osso). Le inserzioni dirette del muscolo sulle ossa sono rare, per questo unità muscolo tendinea è molto importante. Unità muscolo tendinea: il muscolo va sempre visto in relazione con il tendine, perchè i tendini influenzano tantissimo la funzione muscolare. Nel momento in cui le fibre muscolari si contraggono lo fanno in senso longitudinale e avvicinano i due tendini tra di loro. Quando un muscolo si contrae esercita una tensione (viene trasferita su elementi esterni al muscolo), una forza generata dall’accorciamento delle fibre. La tensione è in antagonismo al carico muscolare che è la forza che si oppone alla tensione data dal peso che sto spostando. In certi casi la tensione è sufficiente per spostare il carico, se il carico fosse superiore alla tensione, non ci sarebbe lo spostamento. 2 Struttura della fibra muscolare Ogni fibra muscolare è caratterizzata da: Sarcolemma: membrana cellulare che circonda la cellula, all’interno della quale è presente il sarcoplasma (citoplasma), nel quale sono disciolte diverse strutture. Miofibrille: servono per generare la contrazione. Reticolo sarcoplasmatico: ha una funzione regolatoria. Mitocondri e granuli di glicogeno: fondamentali per produrre energia necessaria per sviluppare la contrazione. Le cellule satelliti sono cellule staminali attaccate al sarcolemma della cellula muscolare e sono in grado di rigenerare le fibre quando qualora ci sia stato un danno o una lesione. Queste cellule sono pronte a differenziarsi e generare una nuova fibra. Hanno una capacità riparativa specifica e possono rigenerare porzioni muscolari danneggiate per circa sette volte. Miofibrille Le miofibrille sono una sequenza di sarcomeri, disposti in serie, lunghe come la fibra. Sono le principali strutture intracellulari e sono responsabili della striatura. Ogni sarcomero è costituito dia miofilamenti, sempre paralleli tra loro costituiti da due filamenti: spessi (miosina) e sottili (actina). La loro disposizione determina l’alternanza di bande chiare e scure. Il sarcomero è l’unità contrattile di base, questo significa che la contrazione si genera a livello di ogni sarcomero e poi viene moltiplicata per tutti quelli esistenti. Ogni sarcomero ha due linee Z scure (disco) che lo delimitano e che durante la contrazione si avvicinano. Al centro è presente la linea M. I filamenti spessi si trovano nella parte centrale e si estendono dalla linea M verso le linee Z; mentre i filamenti sottili prendono attacco alla linea Z e si portano verso il centro. Esiste una zona di sovrapposizione tra actina e miosina che si chiamata zona AI. Caratteristiche da ricordare dei miofilamenti: Miosina: lunghezza 1,6 μm; diametro 15nm Actina: lunghezza 1 μm; diametro 5 nm Tra le varie miofibrille abbiamo gli accumuli di glicogeno che forniscono glicogeno per formare nuova ATP nei mitocondri dei muscoli scheletrici (glicolisi). Quando un muscolo ha lavorato molto non vediamo piu gli accumuli di glicogeno perché ha esaurito le riserve di glicogeno. Disposizione dei filamenti all’interno del sarcomero: ogni filamento spesso è circondato da 6 filamenti sottili, ogni filamento sottile è circondato da 3 filamenti spessi. La struttura determina la funzione, quindi se cambio composizione il muscolo non funziona piu nel modo corretto. Per generare forza è necessario creare un contatto tra i due filamenti, ponti trasversi, e questa è una distanza ottimale. Se i due filamenti si distanziano troppo, non si crea più il rapporto ottimale e non sono in grado di generare forza, oppure la genero in maniera ridotta. Stessa cosa se si avvicinano troppo. In alcune patologie viene a mancare questa geometria precisa e questo causa debolezza muscolare. Reticolo sarcoplasmatico Avvolge ogni miofibrilla come se fosse un manicotto ed è costituito da vescicole, canalicoli e cisterne terminali. Ha la funzione di regolare la contrazione e rappresenta un deposito di ioni calcio che si possono diffondere all’interno del sarcoplasma al fine di innescare la contrazione muscolare. Non viene liberato tutto il calcio presente, ma si liberano dei quanti, non si svuota ai totalmente. 3 Le cisterne terminali sono in contiguità, prendono contatto, con i tubuli T, delle strutture sottili (piccoli canali) che partono dal sarcolemma formando delle invaginazioni. Ai due lati del tubulo T ci sono due cisterne terminali e insieme questi tre elementi formano la triade. Per ogni sarcomero abbiamo una triade. Siccome il tubulo T è in continuità con il sarcolemma, ciò che succede sul sarcolemma si riflette in profondità sul tubulo T e quindi all’interno della cellula. Es. se cambia il potenziale d’azione del sarcolemma, cambierà anche quello del tubulo T. Proteine Le principali proteine che compongono il sarcomero: Proteine contrattili: actina, miosina. Proteine regolatorie (regolano la contrazione): troponina, tropomiosina. Proteine strutturali (mantengono la struttura del sarcomero): titina, nebulina. Miosina La miosina forma i miofilamenti spessi ed è costituita da 2 catene pesanti e 4 leggere. La miosina ha due teste e una coda, associate ad ogni testa trovo 2 catene leggere; le code sono attorcigliate ad elica. Le catene pesanti si possono considerare come delle mazze da golf e sono disposte in modo da avere tutte le teste rivolte verso le linee Z e le code verso la linea M, ogni filamento spesso ha all’incirca 300 molecole di miosina. Ogni singola molecola di miosina ha dei bracci di leva, dei punti di flessibilità o cardini, che permettono una rotazione. Queste rotazioni sono fondamentali perché, se il braccio di leva si piega, la testa della miosina si allontana dal miofilamento spesso e si mette in contatto con i filamenti sottili formando i ponti trasversi. A questo punto la testa della miosina si è agganciata al filamento sottile e può ruotare su sé stessa, ruotando lo sposta producendo forza. La regione centrale del filamento spesso in prossimità della linea M è definita zona H o zona nuda perché non presenta teste di miosina. Actina L’actina forma i filamenti sottili. Ogni filamento è costituito dall’intreccio di 2 catene di actina. La singola molecola di actina ha una forma a sfera ed è chiamata G-actina (actina globulare). Queste perle proteiche se vengono lasciate in una soluzione fisiologica polimerizzano spontaneamente, ovvero si mettono a contatto l’una con l’altra formando una catena (collana di perle) e prendendo il nome di F-actina (actina filamentosa). Queste collane di perle sono 2 e sono attorcigliate a elica tra loro. Quando si crea un ponte trasverso la testa della miosina si lega ad una molecola di G-actina che ha un sito di legame per la miosina che, quando ruota, trascina verso l’interno il filamento sottile. Una volta che si è accorciata, la testa si stacca e si riattacca ad un’actina un più lontana; questo è un ciclo che si ripete continuamente. 4 Tropomiosina È una proteina filamentosa lunga circa 7 molecole di actina, disposta tra le 2 catene filamentose di actina, in un solco. La tropomiosina in condizioni di riposo copre i siti di legame dell’actina; quindi, la testa della miosina non pio attaccarsi. L’unico modo per avere un ponte trasverso è che la tropomiosina si sposti ed entri più profondamente, in un solco, liberando i siti di legame. Troponina È una proteina più globulare rispetto alla tropomiosina ed è formata da tre subunità: Troponina C: serve per legare il calcio liberato dal reticolo sarcoplasmatico. Troponina T: è attaccata alla tropomiosina. Troponina I: serve per legarsi all’actina. Quando il calcio arriva alla troponina C questa cambia la sua conformazione e porta in profondità la tropomiosina; quindi, si liberano i siti di legame tra actina e miosina. Titina È la proteina più grande che abbiamo nell’organismo, infatti parte dalla Z e arriva fino alla linea M, passa attraverso i filamenti spessi tenendoli in posizione (stabilizza la miosina). È una specie di molla perché consente al sarcomero di tornare alla lunghezza di partenza dopo una contrazione. Nebulina Stabilizza i filamenti sottili di actina agganciandoli alla linea Z e mantenendoli paralleli al filamento spesso. CONTRAZIONE MUSCOLARE Durante la contrazione il sarcomero si accorcia di circa 1μm (macroscopicamente di diversi cm). L’accorciamento del sarcomero è spiegato attraverso la “teoria dello scorrimento dei miofilamenti” secondo la quale la lunghezza dei miofilamenti non cambia, piuttosto cambia il loro livello di sovrapposizione (interdigitazione → gradi diversi di sovrapposizione). La forza che spinge i filamenti a scorrere durante la contrazione muscolare è generata dalla rotazione della miosina, che ha tre attività biologiche: Forma miofilamenti spessi. Lega l’actina (ponti trasversi). Idrolizza ATP (enzima ATPasico). Ogni testa di miosina ha un sito di legame per l’ATP ed ha un’azione enzimatica; infatti, lo lega e lo idrolizza (ATP + H2O → ADP + Pi + H+ + energia). Si tratta di una reazione esoergonica, quindi libera energia che viene sfruttata per la contrazione muscolare. Quindi la testa della miosina ha 2 siti di legame, 1 per l’actina e 1 per l’ATP, ma non può legare contemporaneamente queste due molecole. NB. Ogni volta che la testa si attacca all’actina e ruota usa un ATP. Tutte le teste di miosina sono scoordinate tra di loro per avere sempre una presa continua sul filamento sottile e per permettere da una parte il legame con l’actina e su altre quello con l’ATP. 5 Materia: Neurofisiologia Docente: Massimiliano Gobbo Data: 4 dicembre 2023 Lezione: 2 Argomenti: ciclo di interazione acto-miosinico, giunzione neuromuscolare, accoppiamento eccitazione-contrazione, meccanismo di rilasciamento muscolare e fattori che influenzano la forza sviluppata da una fibra. CICLO DI INTERAZIONE ACTO-MIOSINICO Prevede 5 fasi diverse (tutti eventi controllati dal SNC): 1. Stato A (rilasciato): la miosina è legata all’ATP quindi, non interagisce con l’actina (per cui in questa situazione ha una bassa affinità). La miosina ha alta affinità per l’ATP quindi tende a legare l’ATP libero nel citoplasma. Questo stato dura pochissimo perché la miosina scinde l’ATP in ADP (ATPasi). 2. Stato B o miosina-ADP-Pi (rilasciato energizzato): il legame con l’actina non è ancora avvenuto, però è stata accumulata dell’energia grazie alla scissione dell’ATP. La miosina legata all’ADP e Pi ha alta affinità per l’actina. 3. Stato C: formazione del ponte trasverso (miosina + actina) solo in presenza di calcio liberato dal reticolo sarcoplasmatico (se questo non avviene allora il processo si ferma allo stato B). In questo stato non si produce ancora forza, in quanto non è avvenuta la rotazione della testa della miosina. 4. Stato D: con il rilascio del fosfato inorganico avviene la rotazione della testa della miosina. Questo evento è seguito dal colpo di forza (power stroke) che permette il trascinamento del filamento sottile. 5. Stato E o di rigor: avviene il rilascio di ADP, ma la testa della miosina è ancora strettamente agganciata all’actina, quindi il sarcomero è ancora contratto (stato di rigidità). Questa condizione spiega il rigor mortis: rigidità muscolare che si forma dopo che l’organismo è deceduto (nel giro di poche ore e dura da 24 a 72h a seconda della temperatura dell’ambiente) a causa della mancanza di ATP. Se non c’è ATP il legame tra actina e miosina permane, se invece l’ATP è presente la miosina che ha molta affinità per questa molecola energetica si stacca dall’actina per legarla. La molecola di ATP è necessaria per distaccare il legame acto-miosinico, non per formarlo. L’energia liberata serve per il colpo di forza (accorciamento del sarcomero). 6 Se presente ATP nel citoplasma la miosina lega l’ATP e ciò determina il distacco dell’actina , quindi il ciclo ricomincia. Se la concentrazione di Pi aumenta sarà più difficile staccare la testa della miosina (contro gradiente). La velocità del ciclo, in alcuni muscoli è più veloce in altri più lenti (in base alla tipologia di fibre). GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE I muscoli scheletrici sono controllati dai nervi periferici attraverso dei motoneuroni posti nelle corna anteriori del midollo spinale. Potenziale di membrana (potenziale di riposo): è la differenza di potenziale della membrana a riposo. Presenta un valore fisso nel tempo (90 mV per fibrocellule) dovuto alle diverse concentrazioni degli ioni dentro e fuori la cellula. Questo potenziale varia in base alla tipologia di cellula. Potenziale d’azione: variazione rapida del potenziale di membrana (depolarizzazione) con ritorno veloce al valore di riposo. Questa depolarizzazione è il processo bioelettrico che le cellule usano per comunicare, raggiungendo altre cellule come il muscolo scheletrico. La giunzione neuromuscolare è anche detta sinapsi specializzata ed è il luogo dove il motoneurone alfa comunica, tramite il suo assone, con le fibre muscolari. Per ogni fibrocellula abbiamo una giunzione neuromuscolare. Una volta penetrato nel muscolo, ciascun assone motorio si suddivide in parecchie branche che innervano un gruppo di fibre muscolari. Non avviene dispersione di corrente. Il Pazione nervoso che arriva lungo l’assone genera un Pazione muscolare sulla membrana della fibra muscolare grazie alla giunzione neuromuscolare. Caratteristiche fondamentali di una giunzione neuromuscolare: Membrana presinaptica: membrana del bottone sinaptico. All’interno del bottone sinaptico ci sono delle vescicole sinaptiche che contengono il neurotrasmettitore acetilcolina (ACh). Placca motrice = membrana post-sinaptica: si continua con il sarcolemma. Tra queste due membrane c’è uno spazio sinaptico. Passaggio da PA nervoso a PA muscolare Il Pazione nervoso determina la fusione delle vescicole con la membrana presinaptica e quindi la liberazione per esocitosi dell’ACh nello spazio sinaptico. Questo avviene grazie a dei recettori legati ai canali per il calcio, il quale entra nel bottone sinaptico, si lega ad alcune proteine (calmodulina…) che attivano il trasporto delle vescicole verso la membrana e l’attivazione del neurotrasmettitore. 7 Una volta liberata l’ACh raggiunge la placca motrice, dove si lega a dei recettori per l’acetilcolina = colinergici nicotinici (canali solitamente chiusi e si aprono solo quando arriva l’ACh) che la legano. Sono canali per il sodio (> fuori) che si aprono e permettono l’ingresso dello ione nella fibra muscolare depolarizzandola generando quindi un P azione muscolare. Il Pazione muscolare si propaga per tutto il sarcolemma fino ad arrivare ai tubuli T portandosi all’interno della fibra muscolare fino alla triade. L’ACh una volta liberata nello spazio sinaptico, legata ai recettori colinergici, deve essere disattivata velocemente. Questo è possibile grazie all’enzima colinesterasi, che si trova nello spazio sinaptico. Il neurotrasmettitore viene quindi scisso in acetato e colina che vengono ricaptati per la sua rigenerazione. Tutta questa serie di eventi avviene in pochi millisecondi, quindi questo può ripetersi decine di volte al secondo. ACCOPPIAMENTO ECCITAZIONE CONTRAZIONE L’accoppiamento eccitazione-contrazione è quella serie di fenomeni di membrana e intracellulari che vanno dal potenziale d’azione muscolare (a livello della fibra muscolare) fino all’interazione tra actina e miosina e quindi allo sviluppo di forza e di accorciamento (colpo di forza). 1. Il potenziale d’azione muscolare si propaga lungo la membrana della fibra e dei tubuli T; 2. Attivazione dei recettori (voltaggio dipendenti) della diidroporidina nella membrana dei tubuli T; 3. Attivazione dei recettori della rianodina nella membrana del reticolo sarcoplasmatico (cisterne terminali); 4. Liberazione di calcio nel sarcoplasma da parte del reticolo sarcoplasmatico; 5. Spostamento della tropomiosina verso l’interno del filamento sottile; 6. Liberazione dei siti di legame dell’actina per la miosina; 7. Attacco actina-miosina; 8. Rotazione della testa della miosina; 9. Contrazione. 8 Perché la fibra possa contrarsi in modo uniforme il potenziale azione muscolare si propaga longitudinalmente (verso l’estremità della fibra) e in profondità (tubuli T). Come fa il potenziale d’azione muscolare a determinare la liberazione del calcio dal reticolo sarcoplasmatico? Grazie a due tipi di recettori di membrana: Recettori di diidropiridina (DHP): nella membrana dei tubuli T. Recettori della rianodina (RyR): nella membrana del reticolo sarcoplasmatico. I recettori DHP (voltaggio dipendenti) dopo l’arrivo del Pazione muscolare entrano in contatto con il piede dei recettori RyR. I recettori RyR sono formati da due porzioni: canale del calcio e piede. I piedi sono strutture proteiche poste a ponte tra i tubuli T e le cisterne terminali. Il calcio esce secondo gradiente di concentrazione e più calcio è presente più ponti trasversi si formeranno. Recupero attivo del calcio Il recettore DHP dopo l’arrivo del potenziale d’azione muscolare entra in contatto con il piede dei recettori RyR che ha un sensore di voltaggio che capta il potenziale d’azione muscolare. Quest’ultimo gli fa cambiare la conformazione aprendo il canale per il calcio dei recettori RyR, il quale esce secondo gradiente. Il calcio liberato va a legarsi sulla troponina C per iniziare il ciclo di interazione actomiosinico. Il calcio che era stato liberato viene poi ricatturato dal reticolo sarcoplasmatico (recupero attivo). La ricaptazione richiede una pompa Ca2+- ATPasi (consumo ATP) e non un semplice trasportatore o canale perché il calcio viene spinto contro il suo gradiente di concentrazione. Esistono delle condizioni genetiche in cui c’è un deficit del recupero di calcio. Se il calcio liberato non viene richiamato dal reticolo sarcoplasmatico, il muscolo resta contratto. Forma lieve: ritardo nel rilassamento = dolore. Forme gravi: i muscoli che restano contratti sono i muscoli respiratori = decesso. MECCANISMO DI RILASCIAMENTO MUSCOLARE Dopo la contrazione e il raggiungimento del picco di forza segue una fase di rilasciamento in cui la forza diminuisce progressivamente (non collassa tutta insieme) fino ai valori di riposo e il muscolo ritorna passivamente alla sua lunghezza iniziale grazie alla natura elastica della titina e alla mancanza di stimoli per la generazione di colpi di forza (passivo dal punto di vista meccanico ma spreca ATP per riprendere il calcio). Il singolo ciclo contrazione - rilasciamento è chiamato scossa muscolare (scossa singola = single twitch). 9 Prevede due fasi: Fase di salita o di contrazione. Fase di discesa o fase di rilassamento. Fattori che influenzano la forza sviluppata da una singola fibra Diverse fibre hanno la capacità di sviluppare tensioni diverse. Inoltre, una stessa fibra, può sviluppare intensità di forza diverse. I fattori che influenzano la forza sviluppata dalle fibre muscolari sono cinque: 1. Diametro fibra (quanto è grande la sezione trasversa). 2. Lunghezza iniziale del sarcomero (prima che avvenga la contrazione). 3. Frequenza potenziali d’azione (influenza la quantità di calcio che si lega alla troponina). 4. Tipo di miosina. 5. Attivazioni precedenti rispetto a quella analizzata (post attivazione). Il fatto che un muscolo abbia avuto delle contrazioni precedenti può influenzare la sua nuova attivazione. Le fibre risponderanno agli stimoli con delle forze maggiori (post activation potentiation = PAP o in casi particolari PTP post tetanic potentation). L’effetto di potenziamento è maggiore nei primi 10/15 secondi e dura circa un minuto. È garantito dalla fosforilazione delle catene leggere della miosina che modificano la conformazione delle teste della miosina: sviluppo di più forza. 1) Diametro della fibra Determina quante miofibrille (quindi sarcomeri) sono disposte in parallelo tra loro. Maggiore è il diametro, maggiore sarà anche la quantità di ponti trasversi ottenibile nella sezione della fibra. La forza di una fibra dipende dal numero di ponti trasversi che si possono ottenere. N.B. la massima forza sviluppata da una fibra non dipende dal numero di sarcomeri disposti in serie. Esempio: Muscolo più voluminoso più forza = più fibre in parallelo. 2) Lunghezza iniziale del sarcomero La lunghezza iniziale del sarcomero influenza il numero di ponti trasversi che possono essere generati, perché va ad influenzare il grado di sovrapposizione tra actina e miosina. Questo avviene grazie alla relazione tensione-lunghezza ovvero la tensione sviluppata da una fibra muscolare in funzione della sua lunghezza di partenza. 10 Esempio: quando dobbiamo saltare ci accasciamo per trovare una lunghezza ideale (permette di ottenere una forza maggiore) del quadricipite prima di contrarlo. Esiste una lunghezza ottimale dei sarcomeri (che noi troviamo in modo automatico grazie a dei meccanismi di propriocezione) per la quale la forza sviluppata è massima = 2-2,2 µm Al di sopra e al di sotto di questa lunghezza la forza diminuisce fino ad arrivare anche a 0. Se allungo il sarcomero fino a 3,6 µm non c’è nessuna sovrapposizione tra actina e miosina, perciò, non è possibile creare ponti trasversi → forza 0 anche se dovessi liberare del calcio. Questa condizione non è possibile in tutti i muscoli (tranne infortuni). Accorciando il sarcomero la sovrapposizione tra filamenti spessi e sottili aumenta progressivamente fino ai 2,2 µm, valore in cui si verifica la sovrapposizione massimale dei miofilamenti = tutte le teste di miosina hanno interazione con actina. Aumenta il numero di teste di miosina con cui l’actina può interagire. La forza sviluppata cresce linearmente. Tra 2 e 2,2 µm la forza massimale rimane invariata perché non ho ulteriori ponti trasversi possibili → al centro ho solo la zona nuda del filamento spesso (non ho teste di miosina per un’ampiezza di 0,1 µm per lato). Se accorcio rispetto ai 2 µm la forza diminuisce perché l’actina trapassa la linea M e si deforma, non c’è più la costituzione geometrica precisa (alcuni più vicini altri più lontani). Piegandosi questi miofilamenti deformati cercano di ritornare alla condizione iniziale, generano quindi una forza opposta che sommandosi a quella di contrazione genera una forza finale ridotta. Accorciando ancora di più arriviamo a 1,6 µm (lunghezza filamenti spessi) → i filamenti spessi vanno a contatto con le linee Z. 11 3) Frequenza potenziali d’azione La forza generata dalla contrazione di una singola fibra può essere incrementata aumentando la frequenza dei potenziali d’azione, ricordandoci che il motoneurone può stimolare una fibra muscolare ripetutamente (solo in situazioni particolari mandano solo un potenziale), lavorano con treni di impulsi più o meno ravvicinati tra di loro. Impulsi più distanti: contrazione e rilasciamento completo di scosse singole. Si verificano nelle cosiddette fascicolazioni muscolari (il muscolo saltella da solo), solitamente quando il muscolo è stanco, stress, posizioni particolari (vasi importanti schiacciati). Impulsi più ravvicinati: le scosse singole non riescono ad arrivare allo 0 e permettere al muscolo di rilasciarsi, così si sommano a quella successiva generando una contrazione più intensa grazie alla sommazione del calcio (non viene sequestrato del tutto e ne viene liberato altro dallo stimolo successivo). Se i potenziali d’azione continuano a stimolare ripetutamente la fibra a intervalli brevi, la fibra raggiunge uno stato di contrazione massimale = tetano. Esistono 2 tipi di contrazione tetanica: Incompleto (clono): la frequenza di stimolazione è minore e la fibra si rilascia leggermente tra gli stimoli. Normalmente i nostri muscoli lavorano con un tetano incompleto. Completo o fuso: la frequenza di stimolazione non permette alle fibre di rilasciarsi. Si verifica durante i crampi, le tensioni così elevate generano dolore (tirare tendini, comprime vasi, comprime nervi: ambiente acido e poco ossigeno). La condizione di tetano si verifica in una singola fibra che lavora in maniera asincrona con tutte le altre. L’effetto finale è quello di avere una forza generalmente stabile (minima oscillazione: tremore fisiologico). Quando i muscoli si affaticano iniziano a tremare, questo è dovuto ad un meccanismo di controllo coordinato dal SN che va a determinare una sincronizzazione delle fibre (picchi e rilasciamenti continui) piuttosto di non riuscire a garantire un mantenimento di forza costante. A scapito della precisione con cui ci opponiamo alla resistenza il SN dà origine una forza oscillatoria dove, comunque, si verificano dei picchi di forza necessaria per contrastare l’eventuale peso. 12 N.B. quando aumenta la frequenza non ho una fusione di potenziali d’azione (sempre periodo di latenza tra uno e l’altro). Sono l’effetto meccanico e la sommazione del calcio che si sommano. 4) Tipologie di miosina: Nei muscoli scheletrici dell’uomo esistono tre diverse isoforme della miosina (MHC1): Miosina di tipo I (MHC I). Miosina di tipo IIa (MHC IIa) Miosina di tipo IIx (specifica per l’uomo) o MHC IIb (usata in passato, in generale in ogni essere vivente). Le isoforme della miosina determinano la velocità di contrazione di una fibra e sono codificate da geni diversi (diversa sequenza amminoacidica che conferisce proprietà diverse) con lo stesso compito, ma con proprietà diverse. Le MHC di tipo II scindono (idrolizzano) l’ATP più rapidamente e quindi completano i cicli contrattili più velocemente (picco di forza di ogni scossa singola, viene raggiunto più rapidamente). Le MHC di tipo I hanno capacità ATPasica più lenta rispetto alla IIa e IIx, ovvero raggiungono il picco della scossa singola in più tempo. MHC I < MHC IIa < MHC IIx 1 MHC: myosin heavy chain 13 Materia: Neurofisiologia Docente: Massimiliano Gobbo Data: 11 dicembre 2023 Argomenti: energetica muscolare, tipi di fibre, unità motoria e plasticità muscolare. Ogni fibra muscolare esprime una sola forma di miosina. Le 3 principali: Fibre tipo I: lente Fibre tipo IIa: rapide Fibre tipo IIx: rapide Fibre lente → diametro piccolo → più deboli Fibre rapide → diametro grande → più forti Esistono anche in percentuale molto minore delle fibre ibride (contengono due tipi di miosina) che possono poi specializzarsi verso un tipo di fibra a seconda della funzione del muscolo. Considerando v e F otteniamo 𝑃 = 𝑣 ∙ 𝐹 Nella quotidianità necessitiamo di sviluppare forza in tempi brevi (alzarsi lentamente è più faticoso) → sviluppare P → le fibre rapide sviluppano maggior potenza. ENERGETICA MUSCOLARE ATP = donatore immediato di energia libera, consumato e continuamente rigenerato (turn over). L’ATP prodotto viene consumato in 1 min dai muscoli; un uomo a riposo consuma 40kg di ATP in 24h e 0,5kg di ATP/min durante uno sforzo fisico. Il tessuto muscolare scheletrico è il tessuto che consuma maggior quantità di ATP: Durante la contrazione (rilascio ponti trasversi e poi colpo di forza); Durante il rilasciamento (per pompare Ca++ nel RS). ATP nel citoplasma: 3-5 mM → sufficiente solo per poche contrazioni, ma il muscolo non entra nello stato di rigor in quanto l’ATP viene rigenerato continuamente. La risintesi dell’ATP avviene attraverso 3 vie: 1) Via della fosfocreatina; 2) Via anaerobica; 3) via aerobica. N.B. inizia contemporaneamente, ma danno effetti in tempi diversi; esempio: quando inizio a fare jogging e dopo qualche minuto “spezzo il fiato” perché subentra un’altra via → più siamo allenati più si riduce il tempo di passaggio da un meccanismo ad un altro, questo è il motivo per cui un atleta allenato necessita di meno tempo per consumare lipidi, perché giunge in meno tempo alla via aerobica. 14 1) VIA DELLA FOSFOCREATINA (PCr) è la più immediata: PCr + ADP → Cr + ATP Quando i muscoli entrano in attività e si accumula ADP (per idrolisi da parte della miosina) il gruppo fosfato ad alta energia della PCr viene traferito all’ADP. I legami fosfato ad alta energia della PCr vengono poi rigenerati a partire da creatina e ATP quando i muscoli sono a riposo. Questa reazione viene garantita dall’enzima creatina chinasi (CK) contenuta in grosse quantità nelle fibre muscolari. Elevati livelli plasmatici di CK possono identificare clinicamente un danno muscolare, sia scheletrico che cardiaco (impiegati per la diagnosi di lesione del miocardio). Esempio: aumento livelli di CK riscontrato in caso di miopatie e negli atleti post maratona dovuto alla lesione delle fibre. La PCr, invece, non è abbondante nei muscoli, e la sua concentrazione non può essere aumentata oltre un certo livello. La PCr è considerata una riserva energetica tampone in quanto è in grado di fornire ATP con la stessa velocità con cui esso è idrolizzato (mantenendo costante l’ATP intracellulare), dopo pochi secondi però, la creatina in circolo si esaurisce (rapida deplezione). Primi 60m dei 100m uso PCr, ma poi necessito un’altra via di apporto → glicolisi 2) GLICOLISI (VIA ANAEROBICA) Glucosio → 2 piruvato + 2/3 ATP e 2 piruvato→ 2 acido lattico (tramite LDH, enzima lattico deidrogenasi). L’acido lattico inizia ad accumularsi nei muscoli e può anche uscire entrando in circolo. Quest’ultimo è uno dei fattori principali di generazione della fatica muscolare (ambiente più acido che influenza negativamente l’interazione tra actina e miosina). Si parla infatti della DOMS = indolenzimento ritardato del muscolo, è l’effetto dell’acido lattico e non la sua presenza perché dopo 20 min viene metabolizzato dal fegato tramite ciclo di Cori. Avviene nel citoplasma. Produce ATP utilizzando il glucosio (glicogeno) cellulare. Rapida, ma poco produttiva (solo 2/3 ATP). interviene nei 400m Attiva nel caso in cui l’apporto di O2 non sia sufficiente per la via aerobica all’interno dei mitocondri. 15 3) VIA AEROBICA Glicolisi + ciclo di Krebs + fosforilazione ossidativa: glucosio → 2/3 ATP + 36 ATP = 38/39 ATP β-ossidazione + ciclo di Krebs + fosforilazione ossidativa: acidi grassi → 129 ATP La via aerobia: - avviene nei mitocondri. - rendimento elevato, ma processo lento. non potrebbe dare ATP abbastanza rapidamente durante esercizio fisico intenso. Le PROTEINE di norma non sono fonte di energia per la contrazione muscolare. Gli amminoacidi vengono usati per sintetizzare nuove proteine piuttosto che per produrre ATP. In caso di digiuno prolungato vengono utilizzate proteine muscolari per garantire la sopravvivenza dell’organismo, ecco perché si ha una diminuzione della massa muscolare. DIVERSI TIPI DI FIBRE → CORREDI ENZIMATICI DIVERSI Le fibre muscolari possono essere classificate in base alle loro proprietà: Meccaniche. Morfologiche (istologiche). Biochimiche. Ciò rende le varie fibre adatte ai compiti specifici a cui esse sono dedicate. FIBRE I – fibre lente ossidative MHC-I (con velocità di contrazione bassa). Produzione di ATP soprattutto per via aerobia (ossidativa). Tra i prodotti finali della via anaerobia non figura l’acido lattico: resistenza alla fatica, ma sviluppo di poca forza (sviluppare forza per tempi lunghi ma a bassi livelli). Grande quantità di mioglobina (fibre rosse): lega l’ossigeno e lo cede in caso di necessità. Elevato numero di mitocondri (sede di enzimi ossidativi, molto espressi). Tanti capillari nel connettivo circostante = endomisio per il rifornimento di ossigeno. Diametro piccolo (deboli): se fossero grandi l’ossigeno non riuscirebbe a diffondere bene in tutta la fibra. FIBRE IIx – fibre rapide glicolitiche MHC-IIx (velocità di contrazione alta). Produzione di ATP per via glicolitica anaerobica (veloce). Poca mioglobina (fibre bianche). Pochi mitocondri, molti depositi interni di glicogeno. Rete capillare meno sviluppata perché l’ossigeno non viene molto utilizzato. Diametro grande (forza elevata). Velocità di contrazione elevata + forza elevata = fibre più potenti che abbiamo a disposizione, ma la disponibilità di O2 per queste fibre è ridotta e anche la possibilità di utilizzarlo: si accumula acido lattico e si affaticano presto. 16 FIBRE IIa – rapide ossidative MHC-IIa (veloce attività ATPasica: produzione di forza in tempi rapidi). Produzione di ATP mista: metabolismo aerobico + enzimi glicolitici. Abbondante mioglobina (fibre rosse). Abbondanti mitocondri, ma anche depositi di glicogeno. Ricca rete capillare. Diametro intermedio. Sono fibre veloci ma piuttosto resistenti alla fatica. FIBRE IBRIDE (Fibre di transizione) I → I-IIa → IIa → IIa-IIx → IIx Hanno capacità di trasformarsi in un tipo di fibra preciso a seconda delle richieste dell’organismo. UNITÀ MOTORIA Motoneurone e fibre muscolari da esso innervate N.B. Un motoneurone non innerva mai una singola fibra, ma ciascuna fibra muscolare è innervata da un solo motoneurone. Quando un motoneurone invia un Paz lungo il suo assone tutte le fibre di tale unità motoria si contraggono. UM = minima quantità di tessuto muscolare che può essere attivata. UM = unità funzionale del muscolo, è la più piccola parte in grado di svolgere la funzione dell’organo in toto. (Sarcomero = unità contrattile) Il numero di fibre innervate può variare e influenza la funzione: Basso numero di fibre nelle UM → controllo fine della forza (perché aumenta di pochissimo), UM di 3/5 fibre (esempio: mano, occhio). Alto numero di fibre nelle UM → controllo grossolano della forza, UM di centinaia/migliaia di fibre (esempio: quadricipite). Tutte le fibre di una singola UM sono dello stesso tipo → ho 3 tipi diversi di UM: Tipo S: slow, lente; fibre lente ossidative. Tipo FR: rapide, resistenti alla fatica; fibre rapide ossidative. Tipo FF: rapide, affaticabili; fibre rapide glicolitiche. In ogni muscolo sono presenti unità motorie diverse, anche se i muscoli possono avere in prevalenza un certo tipo di fibre. Nell’uomo l’unico muscolo che ha 90% fibre di tipo S è il soleo. 17 La differente composizione in fibre riflette le caratteristiche d’uso, permettendo di differenziare i muscoli in: Muscolo di tipo tonico: mantenere attività (contrazione) per tempi prolungati esempio: mantenimento postura con muscoli antigravitari. F bassa per evitare affaticamento rapido → unità S e FR. Muscolo di tipo fasico: esempio: scatto, salto, lancio; necessito F elevate → unità FF. Inoltre, la composizione delle fibre presenta variabilità interindividuale: alcuni soggetti presentano muscoli con prevalenza di fibre II altri prevalenza fibre tipo I, quindi esiste una predisposizione genetica a determinate attività/sport (“campioni si nasce” l’allenamento arriva fino ad un certo punto e se l’individuo non è portato fisicamente può andare incontro a sindrome da over training cioè esaurimento energetico). PLASTICITÀ MUSCOLARE Capacità del muscolo di adattarsi a condizioni diverse. L’organismo si adatta alle abitudini quotidiane. Se una determinata area muscolare non viene utilizzata il cervello si riorganizza per dare energia ad altri tessuti. Ipertrofia: aumento della massa muscolare dovuto a un aumento del diametro delle fibre muscolari, senza aumentarne il numero. Iperplasia: aumento del numero di fibre muscolari; generalmente l’allenamento ci porta ad una condizione di ipertrofia (contributo maggiore) solo in condizioni molto estreme (es. sollevamento pesi) può subentrare anche l’iperplasia (nell’uomo difficile da trovare). Ciò accade perché, in seguito ad allenamenti estremi, le cellule possono ingrandirsi fino ad un certo punto, dopodiché l’unico modo per continuare l’ingrandimento è dividersi. Ipotrofia (disuso): si riduce il diametro delle fibre, non il numero; processo reversibile dovuto a sedentarietà. Conversione del tipo di fibre: nel mondo animale c’è la possibilità di trasformare fibra di tipo I (non ibrida) in fibra di tipo IIa/IIx, nell’uomo non accade praticamente mai perché si tratterebbe di un cambiamento del genoma. Esistono condizioni patologiche che portano alla conversione delle fibre dovuta a problematiche di insufficienza cardiaca cronica o insufficienza respiratoria, per le quali i muscoli, per sopperire alla mancanza di ossigeno, trasformano fibre I in II, ciò porta però all’insorgenza di affaticamento nel brevissimo termine. Condizioni para-fisiologiche e patologiche: Atrofia: riduzione della massa muscolare → riduzione diametro e numero fibre muscolari: visibile in molte patologie e con l’invecchiamento. Si tratta di un meccanismo irreversibile spesso dato da una degenerazione dei motoneuroni spinali: tramite l’assone il motoneurone invia fattori di crescita, ma se esso degenera le fibre non ricevono più tale fattore e muoiono (atrofia irreversibile). Questo fenomeno presenta, però, un meccanismo di compenso: se il motoneurone muore le fibre da esso innervate diventano “orfane” e non muoiono, ma vengono re innervate da assoni vicini che germogliano nuove innervazioni (sprowting assonale) verso queste fibre, con la conseguente creazione di un’unità motoria gigante, quindi assenza di controllo fine. Per via di questo meccanismo gli anziani e i malati hanno contrazioni a scatti, non fluide e poco precise (esempio: condizioni post-ictus). N.B. In inglese non esiste distinzione tra atrofia e ipotrofia, si dice in entrambi i casi atrophy, bisogna dunque saperle contestualizzare. 18 Pseudo ipertrofia: condizione patologica presente nelle distrofie muscolari = mutazione del gene per la distrofina, che si trova nel sarcolemma e da resistenza alla membrana, necessaria in quanto i muscoli sono organi che subiscono forti contrazioni. I pazienti privi di distrofina presentano debolezza a livello del sarcolemma e quindi dei muscoli; le fibre si lesionano e nel tempo vengono perse e sostituite da tessuto cicatrizzante connettivale. Ciò si traduce in muscoli apparentemente più grossi, ma duri. Infatti, “pseudo” perché non si tratta di un aumento delle fibre, ma di un aumento della componente connettivale. Visibile verso i 6/7 anni quando i bambini iniziano a fare più attività fisica e quindi a lesionare maggiormente i muscoli. N.B. esiste uno studio che dice che dopo la settima volta che le cellule satelliti riparano il tessuto muscolare esauriscono il loro potenziale riparativo e infatti subentra questo meccanismo di compenso connettivale. 19 Materia: Neurofisiologia Docente: Massimiliano Gobbo Data: 15 dicembre 2023 Lezione: 4 Argomenti: regolazione forza, fatica, muscolo, unità muscolo-tendinea, tipi di contrazioni. SARCOPENIA = perdita di forza e massa muscolare dovuti a invecchiamento. Condizioni concomitanti: ipotrofia e atrofia. Si tratta di un adattamento dato da disuso (con l’invecchiamento diminuisce l’attività): ipotrofia data da circolo vizioso; è consigliata attività di potenziamento muscolare anche agli anziani per rallentare tale processo in quanto l’ipotrofia riguarda le fibre di tipo II adibite ad azioni di forza, le quali vanno facilmente incontro a disuso con l’invecchiamento. Nuovi studi stanno dimostrando come un’aumentata forza muscolare determini un aumento della mineralizzazione ossea (imp. per osteoporosi), ma anche come la massa muscolare contribuisca a limitare la diffusione di metastasi, inoltre il muscolo scheletrico funziona anche come muscolo endocrino per via delle miochine che svolgono funzione di difesa rispetto alla crescita tumorale. atrofia: con l’invecchiamento si perdono motoneuroni e quindi i fattori trofici che avrebbero dovuto inviare alle fibre muscolari innervate. Irreversibile e aspecifica (riguarda fibre I e II). Effetti non solo sulla forza, ma anche su velocità, quindi sulla potenza → es. necessità di poltrone automatiche per mancanza di potenza nel sollevarsi. REGOLAZIONE DELLA FORZA MUSCOLARE La graduazione della forza muscolare avviene attraverso 2 modalità governate dal SNC: 1) reclutamento/dereclutamento UM. 2) modulazione della frequenza di scarica delle UM attive (modulando frequenza d’arrivo dei PAz). 1. reclutamento/dereclutamento reclutamento: ↑UM attive, ↑forza prodotta (non arriviamo quasi mai al 100% delle UM attivate, solitamente intorno al 90%) dereclutamento: ↓UM attive, ↓forza prodotta Ciò segue il “principio delle dimensioni” di Henneman secondo il quale le UM sono selezionate con un determinato ordine in base alle dimensioni del corpo cellulare del motoneurone a cui fa capo (i motoneuroni hanno dimensioni diverse). Quando inizio a sviluppare forza ho iniziale reclutamento di motoneuroni piccoli che innervano UM di tipo S (fibre piccole), poi subentrano motoneuroni medi per UM tipo FR, e infine motoneuroni grandi che costituiscono UM di tipo FF. Quindi FF reclutate solo quando dobbiamo produrre grande intensità di F(massimali), S invece sempre reclutate (dette cinderelle unit perché come cenerentola lavorano sempre). In condizioni standard il reclutamento arriva al 90-95% nonostante lo sforzo sia molto elevato, ad eccezione di particolari condizioni quali pericolo o competizione (riserva funzionale) dove il reclutamento arriva al 100%. La quota di FF non attivate rappresenta una riserva funzionale utilizzata solamente in condizioni particolari. 20 Nelle competizioni, come nel pericolo, si ha un’attivazione cerebrale maggiore, cioè, aumento dell’AROUSAL; infatti, i record si fanno in gara. N.B. un bodybuilder potrebbe attivare sempre il 100% delle sue UM perché ha abituato suo SN. La prima cosa che cambia quando si inizia a fare esercizi di potenziamento muscolare non è un cambiamento nella massa muscolare, ma a livello del SN che reclutando più UM porta ad aumento della forza che quindi inizialmente non è dato dalla massa muscolare, ma dall’attività del SN, solo successivamente, tale aumento sarà dovuto anche alla sintesi di nuove proteine. 2. modulazione frequenza di scarica ↑frequenza di scarica ↑F prodotta. ↓frequenza di scarica ↓F prodotta. Se la frequenza di scarica è bassa abbiamo le “single twitch”, scosse isolate; man mano che la frequenza aumenta le scosse si fondono fino a tetano completo. La fusione deriva dalla sommazione del calcio ed è importante ricordare che i PAZ non si fondono mai. N.B. Quando attiviamo un’UM questa lavora a 5/6 Hz (impulsi/s), se vogliamo più F prima di reclutare una nuova UM la prima inizia ad aumentare la frequenza di scarica e quando raggiungeremo 30Hz per quell’UM allora potremo reclutarne una nuova, la quale partirà nuovamente da 5Hz e così via. Le UM hanno attività ASINCRONA: in massima contrazione volontaria non lavorano tutte le fibre, ma c’è alternanza tra di esse per evitare fenomeni di fatica; ciò non avviene se il reclutamento è al 100%. Infatti, la contrazione massimale dura poco, mentre l’attivazione sub massimale può essere mantenuta a lungo grazie a questo meccanismo di alternanza. Elettromiografia Permette di registrare l’attività elettrica del nervo e dei muscoli tramite elettrodi posti sul muscolo stesso. Esistono sia metodi invasivi (attraverso aghi che entrano nel muscolo/nervo) che non invasivi (in superficie). Attività elettrica dei muscoli = PAZ prodotti dall’UM durante una contrazione. Al soggetto viene chiesto di aumentare gradualmente la forza prodotta (vedi video slide) per vedere come il reclutamento graduale di UM va aumentando; quando la forza si avvicina al massimale il segnale diventa interferente e non si distinguono più le singole scariche. 21 FATICA MUSCOLARE Condizione in cui un muscolo non è più in grado di mantenere la forza attesa (definizione recentemente rivista: si sostituisce forza con dato che normalmente si ha diminuzione della velocità di contrazione e la forza rimane costante, altre volte anche la forza si riduce) → incapacità di compiere certo lavoro. fatica centrale: dovuta a fattori che hanno origine nel SNC (fatica mentale piuttosto che fisica). Questa condizione presenta, però, anche un aspetto organico: l’acido lattico che attraversa la barriera ematoencefalica viene captato dai neuroni che percepiscono un segnale di acidità aumentata e generano senso di stanchezza. In altri casi l’acido lattico non si forma ma siamo mentalmente stanchi (es. maratona). fatica periferica: fa riferimento a fattori che hanno origine a livello muscolare: Deplezione di glicogeno muscolare per cui possono essere attivate solo le fibre lente. Accumulo di acido lattico: diminuisce l’affinità della troponina per il calcio, riducendo la capacità contrattile muscolare. Aumento di fosfato inorganico: inibizione rilascio potassio e quindi creazione del ponte trasverso + accumulo H + = acidità che diminuisce affinità di troponina per Ca2+. La fatica serve per non esagerare con utilizzo dei muscoli al fine di non danneggiare altre strutture quali tendini, ossa, articolazioni, … Crampo muscolare È una contrazione muscolare involontaria che stira tutte le strutture che ci sono attorno creando dolore (tendini/fasce). I muscoli hanno poche terminazioni dolorifiche a differenza dell’epimisio che è molto innervato; quindi, se tirato eccessivamente produce sensazione di dolore. Nelle poche terminazioni muscolari, per via della forte contrazione e compressione, vengono comunque attivati gli stimoli dolorifici e possono quindi dare dolore anch’esse. Inoltre, con tale compressione forte vado ad aumentare la pressione intra muscolare e a spremere i capillari limitando l’afflusso di O 2 e dopo pochi secondi ha inizio una condizione di ischemia, la quale provoca dolore. Questa condizione è scatenata da molteplici fattori: Esagerata sollecitazione funzionale (affaticamento, scorretta esecuzione). Disturbi di irrorazione sanguigna muscolare (compressione vascolare). Vasospasmo da freddo (per riduzione irrorazione). Alterazioni funzionali della placca motrice. Riduzione di Sali (potassio, sodio) per eccesiva sudorazione, diete, diuretici. Cause patologiche (endocrine, neurologiche, vascolari). Cause ignote. Generalmente viene trattato attraverso manovre di detensione o applicazione di calore. MUSCOLO Origine: attacco muscolare prossimale, zona di ancoraggio sull’osso che resta fisso durante la contrazione. Inserzione: attacco distale, zona di ancoraggio sull’osso che viene spostato. Ventre: parte centrale del muscolo. 22 Orientamento delle fibre Fattore importante nel determinare forza e ampiezza del movimento. In base alla disposizione spaziale delle fibre si distinguono differenti tipologie di muscolo: Fusiformi = fibre lunghe disposte longitudinalmente, movimenti veloci e ampi. Pennati = fibre brevi e oblique rispetto all’asse longitudinale, scarsa ampiezza di movimento, ma grande produzione di forza. Determinanti della forza muscolare ↑volume ≠ ↑forza. Questo perché, se un muscolo aumenta di volume, vengono cambiati gli angoli di pennazione e maggiore è l’ampiezza di quest’angolo minore sarà la forza che quel muscolo potrà generare (es. bodybuilder). Le fibre longitudinali trasferiscono tutta la F prodotta; mentre le fibre oblique: F*cos angolo (se ho fibre con angolo di pennazione di 90 gradi, cos90=0 quindi F sviluppata = 0). Un muscolo può accorciarsi del 30-40% della sua lunghezza, esprimendo forze sino a 2-3 kg per cm2 di superficie. Generalmente più muscoli partecipano ad un singolo movimento (SINERGIA MUSCOLARE): muscoli agonisti: deputati a compiere lo stesso movimento. muscoli antagonisti che provvedono ad eseguire il movimento opposto. muscoli fissatori che fissano i capi articolari durante il movimento. muscoli flessori: i centri delle ossa si avvicinano durante la contrazione. muscoli estensori: le ossa si allontanano quando il muscolo si contrae. UNITÀ MUSCOLO TENDINEA Presenta parte attiva (muscolo) e una passiva (tendine, non contrattile, ma può essere stimolata). Tendine = struttura connettivale di tipo fibroso (fibre collagene ed elastiche) mediante la quale i muscoli si inseriscono sulle ossa. Fibre collagene: determinano la resistenza tensionale del tendine Fibre elastiche: conferiscono elasticità al tendine (ritorno a L iniziale) Sostanza di fondo (glicoproteine e proteoglicani): conferisce viscosità e forza tensionale Presenta forma ondulata a riposo perché deve poter essere stirato e allungato; infatti. è una struttura viscoelastica: viscoso perchè può cambiare la sua conformazione, elastico per la capacità di tornare alla condizione di riposo. Queste due caratteristiche si presentano in proporzioni variabili: nelle patologie cambia elasticità o viscosità andando ad influenzare il trasferimento della tensione prodotta. L’allungamento del tendine è intorno al 4-8% della sua lunghezza, se superato l’8% si ha stiramento e lesione tendinea. Se l’osso non segue lo stiramento del tendine questo può rompersi. Il carico necessario per provocare la rottura del tendine è chiamato carico di rottura; cresce con la sezione del tendine (tendine più resistente se ha diametro maggiore). Abitualmente il carico di rottura è di 5-10 kg/mm2 di sezione del tendine ed è massimo tra 25/35 anni. I muscoli hanno il picco di forza intorno ai 20 anni e per questo è importante che crescita muscolare e forza tendinea debbano andare di pari passo. I tendini sono inoltre poco vascolarizzati perciò ci mettono molto più tempo del muscolo ad adattarsi ad un aumento di massa muscolare. 23 Se ho un aumento rapido di massa muscolare (doping e anabolizzanti), senza avere un aumento contemporaneo del tendine, si crea uno squilibrio tale da comportare uno stiramento tendineo. Oppure di fronte a infortunio in ambito sportivo con lesione tendinea, l’atleta, prima di rientrare in campo post operazione e trattamento fisioterapico, deve porre attenzione sul fatto che durante la riabilitazione il miglioramento muscolare sia stato accompagnato anche dalla ripresa del tendine che deve aver raggiunto una struttura ideale per non incorrere in un re infortunio (N.B. il muscolo ha ripresa più rapida rispetto al tendine). → Instabilità funzionale tipica della caviglia colpisce gli atleti post infortunio perché il tendine cambia le sue caratteristiche dando sensazione di instabilità sull’articolazione (sensazione propriocettiva), ciò significa che bisogna riprendere la riabilitazione con esercizi propriocettivi. Classificazione dei tendini: tendini brevi. tendini lunghi. I tendini lunghi decorrono in canali osteofibrosi e sono rivestiti da una guaina sinoviale, una membrana sottile formata da due foglietti (viscerale e parietale), che ne favorisce lo scivolamento e se infiammata genera delle aderenze, che si traducono in movimenti a scatti (es. dito che si blocca e si apre a scatto). Funzione: trasferire alle ossa la tensione prodotta dai muscoli in MODO OTTIMALE, cioè con margine di sicurezza ma senza troppo ritardo. Con margine di sicurezza: le strutture elastiche in serie, quando il muscolo si contrae o viene stirato, smorzano gli effetti meccanici di un brusco stiramento o di una brusca contrazione proteggendo le fibre (delicate) e le ossa da intense sollecitazioni meccaniche. Le contrazio ni brusche non devono essere trasferite direttamente alle ossa, ma ammortizzate. Se ciò non avviene i tendini, che si inseriscono sulle ossa tramite le fibre di Sharpey, in seguito ad una brusca trazione senza ammortizzazione, potrebbero causare il distacco di un pezzo di osso che resterebbe attaccato all’inserzione tendinea (infrazioni). Senza troppo ritardo: le strutture elastiche in serie non sono troppo complianti/estensibili altrimenti l'azione muscolare arriverebbe in ritardo e sprecherei forza (↑complianza ↓ritorno elastico ↑dispendio energetico). Quando il muscolo inizia la contrazione, prima che le ossa si muovano, i due tendini alle estremità si allungano fino al 4-8%, dopodiché la forza prodotta è trasmessa alle ossa (fase iniziale che permette ammortizzazione), ma se il tendine fosse troppo viscoelastico le ossa non si muoverebbero più. L’eccessivo ritardo nella trasmissione della forza da una sensazione di instabilità citata precedentemente e un rendimento basso per spreco di forza. L’unico modo per capire se il tendine è diventato troppo rigido (allungamento 4-8%) sono le elastosonografie (ecografie particolari). Il ritorno elastico restituisce l’energia accumulata durante la distensione che può essere sfruttata successivamente (esempio: per eseguire salto verso l’alto, prima mi abbasso, stirando il tendine patellare, per poi avere un ritorno elastico con energia da sfruttare nel salto). Plasticità tendinea Il tendine può cambiare le sue proprietà meccaniche in condizioni diverse o con l’età: con l’immobilizzazione i tendini aumentano la complianza e diventano meno rigidi, quindi meno veloci nel trasferire lo stimolo. Ogni qualvolta ho l’immobilizzazione di una regione anatomica dell’apparato locomotore a livello tendineo, i tendini aumentano la loro complianza e quindi avrò un ritardo nell’azione stabilizzatrice del muscolo. (N.B. l’articolazione si irrigidisce, non il tendine, esso è più compliante, cioè meno rigido, si allunga di più). 24 Questa condizione è chiamata stifness del tendine e se non riesco a recuperare avrò instabilità funzionale e riduzione del ritorno elastico con un aumento del dispendio energetico e un affaticamento più rapido. L’allenamento mantiene la giusta rigidità e velocità nel trasmettere le forze muscolari; l’invecchiamento aumenta complianza e rigidità articolare, comportando una riduzione del ritorno elastico. TIPI DI CONTRAZIONE STATICA: l’angolo articolare non cambia = ISOMETRICA (unità muscolo tendinea rimane costante). I muscoli si contraggono (processi attivi), ma non varia la lunghezza dell’unità muscolo-tendinea: il muscolo si accorcia e il tendine si allunga un pochino senza che la lunghezza globale vari. Tipica dei muscoli antigravitazionali per il mantenimento della postura, che in condizioni di equilibrio generano una forza costante, che serve a vincere l’effetto della gravità sulla massa corporea, senza accorciarsi nel loro complesso (esempio: quando reggiamo peso in posizione fissa o cerchiamo di spostare un oggetto inamovibile). DINAMICO: l’angolo articolare varia − ISOTONICA: tensione costante per vincere la resistenza data dal peso (es. flessione del gomito e spostamento di un peso fisso verso le spalle) − ISOCINETICA: velocità di accorciamento costante, quindi velocità del movimento articolare costante. Non è possibile compiere questo tipo di movimento in natura, ma è ottenibile attraverso l’utilizzo di macchine denominate ergometri isocinetici: utilizzate in terapia riabilitativa per permettere al soggetto di svolgere un movimento con forza massimale e velocità controllata. Questo permette di rinforzare il muscolo senza stressare eccessivamente le strutture articolari. È utilizzata anche come esame clinico perché permette di valutare gli angoli in cui c’è un deficit maggiore di forza. La contrazione dinamica può essere: − CONCENTRICA: accorciamento del muscolo e riduzione dell’angolo articolare (flessione gomito con peso) − ECCENTRICA: il muscolo si contrae in allungamento con un aumento dell’angolo articolare (durante la deposizione a terra di un peso, corsa in discesa nella fase di accompagnamento del piede grazie all’attivazione del tibiale anteriore). I bracci di leva della miosina vengono stirati. Questa condizione crea molto stress al muscolo che causa indolenzimento postumo (DOMS), ciononostante, per via di questa tensione aumentata, la contrazione eccentrica viene utilizzata per aumentare la massa muscolare in tempi più brevi. Per creare uno stimolo di ipertrofia muscolare l’eccentrica ha un’efficacia superiore perché il tendine è più stirato: ogni volta che ho una tensione che supera un certo grado a livello dell’inserzione muscolo- tendinea, lo stress crea degli impulsi a creare nuova sintesi proteica nel muscolo. 25 Relazione forza-velocità La velocità di contrazione dipende dal carico che viene spostato oltre che dalla composizione in fibre del muscolo. se carico = 0 → la velocità di contrazione è massima. se aumento gradualmente carico si riduce la velocità di contrazione (↑carico ↓v contrazione) man mano fino ad arrivare a contrazione isometrica con forza massimale, ma v = 0. Ciò dipende anche dalla composizione muscolo: tante fibre lente → v accorciamento piuttosto bassa. fibre rapide → v elevata. A parità di carico sub-massimale, se aumento la massa muscolare (aumento anche la forza) aumenta la velocità con cui sposto il carico: più i muscoli sono sviluppati più la velocità aumenta. Es. se utilizzo peso sotto massimale ho la velocità di contrazione elevata (principio sfruttato oggi dai centometristi), ma a parità di peso, aumentando la massa muscolare è possibile muovere il proprio peso corporeo più velocemente. 26 Materia: Neurofisiologia Docente: Massimiliano Gobbo Data: 18/12/2023 Lezione:5 Argomenti: organizzazione anatomo- funzionale del SN, plasticità sinaptica. ORGANIZZAZIONE ANATOMO-FUNZIONALE DEL SN Quando parliamo di sensibilità intendiamo tutto ciò di afferente: segnali, stimoli che arrivano al sistema nervoso centrale da qualche struttura più periferica, riguarda quindi informazioni in entrata. Le informazioni che ogni minuto arrivano al sistema nervoso centrale sono milioni, tra queste alcune devono essere processate in un certo modo e essere considerate come importanti, altre vanno eliminate poiché considerate come poco importanti, il 99% delle informazioni che riceviamo non sono di primo livello e quindi vengono eliminate. Questi stimoli arrivano al sistema nervoso centrale, dove verranno elaborate, integrate e memorizzate al fine di dare risposte appropriate agli stimoli elaborati, queste risposte sono chiamate efferenze e possono essere di diversa natura: Motorie: movimento in risposta allo stimolo. Autonomiche: tutto ciò che riguarda il sistema nervoso autonomo. Il tutto determina quello che viene chiamato “comportamento” di un soggetto (il modo di muoversi, le espressioni facciali, le risposte autonomiche, ecc…). Gli stati emozionali influenzano il lavoro del sistema nervoso centrale caratterizzandone le risposte specifiche di ognuno di noi, in maniera positiva o negativa. Unità funzionale del SNC L’unità funzionale del sistema nervoso centrale è il NEURONE: una cellula specializzata per la ricezione e generazione dei segnali, è progettato pe ricevere stimoli (afferente) e dare delle risposte (efferenze). Abbiamo 4 domini funzionali specializzati dal punto di vista della funzione: Corpo cellulare o soma: è la sede dell’integrazione, tutto ciò che viene percepito a livello dendritico viene analizzato e integrato, alcuni potenziali avranno effetto inibitorio, altri effetto eccitatorio. Questi segnali vanno ad influenzare il raggiungimento del valore soglia al fine di generare un potenziale d’azione, se prevalgono quelli positivi mi troverò con un potenziale di membrana ipo-polarizzato (-60,-50…) se prevalgono gli stimoli negativi avrò un potenziale di membrana iper-polarizzato (-75,- 80…). Albero dendritico: è dato dalle ramificazioni possedenti spine dendritiche, strutture che faranno sinapsi con altri neuroni e che ricevono informazioni o stimoli provenienti da altri neuroni, sono tantissime a forma di funghetti, molto plastici. Assone: la parte iniziale allargata è chiamata monticolo. Terminale sinaptico: può essere in contatto con altri neuroni oppure può innervare direttamente un organo bersaglio. 27 Il neurone può aumentare o rallentare la sua frequenza di attivazione: Aumentando la frequenza si ha un effetto facilitatorio sul neurone bersaglio. Abbassando la frequenza si ha un effetto inibitorio sul neurone bersaglio. Possiamo quindi distinguere diversi stati funzionali dei neuroni in base alla tipologia di stimoli che arrivano: Stato di riposo: se non ci sono stimoli. Stato inibitorio: se c’è una prevalenza di impulsi negativi (iperpolarizzazione). Stato eccitatorio: se prevalgono gli impulsi positivi e supero la soglia (depolarizzazione). Stato facilitato: se c’è prevalenza di impulsi positivi senza però superare la soglia. Lo stato facilitato ha una ripercussione clinica applicativa: al giorno d’oggi esistono tecniche poco invasive che permettono di aumentare lo stato di eccitabilità del sistema nervoso, il paziente quindi si ritrova in una situazione facilitata in cui i neuroni lavorano meglio e di più, rinforzando di conseguenza le sinapsi e la memoria. Queste stimolazioni vengono utilizzate nei reparti neuro- riabilitativi in cui le persone riapprendono prima i movimenti che hanno perso in seguito a lesioni o ictus cerebrale. Ognuno di questi piccoli potenziali che arriva a livello dendritico può avere voltaggio da 0,5 a 1 mV, se contemporaneamente in punti diversi del neurone arrivano impulsi eccitatori io ho una cosiddetta sommazione che può essere spaziale o temporale: sommazione spaziale: se più neuroni agiscono su uno stesso neurone contemporaneamente questi stimoli si sommano e permettono la partenza di un P AZ che attiva il neurone stesso. La sommazione spaziale è un concetto che viene utilizzato molto in ambito clinico e riabilitativo perché la sommazione di stimoli diversi contemporaneamente facilità lo stimolo neuronale e la memoria, quindi anche il nuovo apprendimento motorio. sommazione temporale: sequenza di stimoli sottosoglia che possono sommarsi fino a creare un potenziale di azione, sono stimoli mantenuti anche più di 15 ms. Le tecniche di neurostimolazione possono modulare lo stato funzionale dei neuroni e mantenerli anche per diversi minuti fino a 2 ore, vuol dire che in questo frangente di tempo ho una finestra temporale in cui i circuiti imparano e rispondono meglio = riabilitazione più veloce e efficiente. Le più famose e utilizzate tecniche di neurostimolazione non invasive sono: 1. TMS (transcarnial magnetic stimulation): costituito da un dispositivo detto coil appoggiato su una area corticale nella quale arrivano impulsi magnetici che passano la teca cranica e fanno arrivare la zona corticale scelta ad uno stato facilitato. 2. TDCS (transcranial direct current stimulation): è dispositivo un po’ datato in cui si mettono dei caschetti wireless che prendono tutto l’encefalo e nei quali viene fatta passare una piccola quantità di corrente (0,5 mV) con l’obiettivo di arrivare ad uno stato facilitato. Negli Stati Uniti si trovano anche a 300$ (Neuro doping) utilizzato prima di gare, studio… il problema è che ad oggi non si conoscono ancora gli effetti collaterali ed esagerare con queste tecniche porta a meccanismi inibitori che durano però molto tempo. Lo stato inibitorio è utilizzato spesso per casi di emiparesi in cui viene inibito il lato sano per evitare che il paziente inizi ad utilizzare solo quello, facilitando il recupero della funzione persa del lato malato. 28 La scarica neuronale può avvenire in due modalità: Modalità on/off Modalità tono continuo DINAMICITA’ STRUTTURALE E FUNZIONALE Il sistema nervoso centrale è dinamico, questa sua caratteristica si chiama NEUROPLASTICITÀ. La neuroplasticità è la capacità del sistema nervoso di rimodellare la connettività tra i neuroni, modificando sia la funzionalità della rete di connessioni sinaptiche sia la sua struttura e la sua organizzazione morfologica. È alla base di: Apprendimento o riapprendimento. Memorizzazione. Dipendenza da farmaci/sostanze d’abuso. Disturbi psichiatrici e di personalità. Capacità di recupero funzionale dopo lesioni traumatiche, ictus, ischemie etc… La depressione è un’alterazione dell’umore, dopo una lesione post ictus è facile che il paziente sia anche depresso; la depressione crea una inibizione dei centri neuronali creando una maggiore difficoltà di riapprendimento. È quindi fondamentale in certi casi l’utilizzo di antidepressivi. Il concetto di NEUROPLASTICITÀ può essere classificato in due tipologie: Plasticità intrinseca: meno studiata, riguarda la modulazione del livello del potenziale di membrana e quindi lo stato funzionale dei neuroni (iperpolarizzazione o depolarizzazione). Plasticità sinaptica: fa riferimento alle modificazioni biochimiche e strutturali delle sinapsi, è alla base della memoria. La capacità di memorizzazione (o MEMORIA) va distinta a livello temporale: Breve termine: informazioni che mi servono solo in un determinato momento (memoria di lavoro). Lungo termine: informazioni che mi servono più volte durante la vita e durano per un tempo maggiore. I meccanismi che stanno alla base di queste memorie sono di tipo sinaptico ma con modificazione chimiche e strutturali diverse. Sinaptogenesi È il processo di creazione di nuove sinapsi, principalmente avviene durante l’età cognitiva. È infatti nei primi anni di vita che formiamo nuovi punti di connessione che poi potranno essere rinforzati o indeboliti (l’indebolimento può portare alla perdita degli stessi). Si parla di: “sprouting assonale” o “espansione sinaptica” quando aumenta il numero di sinapsi. “pruning” quando diminuisce il numero di sinapsi. In casi particolari si possono creare nuove sinapsi “anomale”. Queste connessioni anomale sono molto frequenti nei casi di emi-paresi facciale (sofferenza settimo nervo facciale) se chiediamo al paziente di fare grossi sforzi c’è il rischio di creare plasticità detta sincinesia (se chiedo grossi sforzi per chiudere un occhio che porta allo stesso tempo a muovere la faccia o il collo, c’è il rischio che il nostro corpo associ il movimento dell’occhio al movimento della faccia e collo) creando quindi sinapsi anomale. Quando c’è da recuperare una funzione è fondamentale quindi iniziare piano e isolare il movimento per non creare circuiti anomali. 29 Principi della plasticità sinaptica Il primo a parlare di questi principi che tutt’ora utilizziamo fu Konorski nel 1948 e nel 1949 Hebb formulò i principi di plasticità sinaptica. Quando iniziamo a ripetere un gesto, le spine sinaptiche cambiano: in base al numero di ripetizioni distinguiamo tre diversi tipi di cambiamenti: Short term potentation: è la memoria di lavoro, per esempio quando sentiamo un numero di telefono lo ripetiamo giusto un paio di volte in testa e lo scriviamo. Queste poche ripetizioni hanno un effetto sui recettori soltanto dal punto di vista biochimico e non strutturale, un certo numero di recettori verranno fosforilati, la fosforilazione migliora la ricezione del neurotrasmettitore e quindi arriverà più facilmente alla soglia di attivazione (in generale tutti i meccanismi di fosforilazione migliorano le funzioni della struttura per un tempo limitato). Long term potentation: se continuo a ripetere il numero di telefono passo ad un potenziamento a lungo termine a sua volta distinto in: 1. early LTP: consiste in un aumento del numero di recettori, facilitando la comunicazione tra i neuroni. Basta soltanto che arrivi un potenziale di azione che superi la soglia nel neurone presinaptico per cui questo si attiva e libera tanti neurotrasmettitori che insieme ai tanti recettori post-sinaptici creeranno una depolarizzazione maggiore a livello del neurone post sinaptico e il tutto crea una sinapsi più forte. 2. late LTP: se continuo a attivare il circuito dell’early LTP non soltanto avrò un aumento del numero dei recettori ma avrò un aumento delle dimensioni della spina dendritica che può mantenersi per mesi o anni. Long-term depression: processo opposto del long term potentation, può essere utilizzata per inibire delle funzioni (caso tipico del disuso, come un suonatore di chitarra che dopo 3 anni che non la usa si dimentica o comunque peggiora la manualità). Può essere utilizzato per l’apprendimento dal cervelletto dato che questo organo seleziona i movimenti fatti bene rispetto a quelli eseguiti in maniera non corretta, applica la long term depression per quelli sbagliati e mantiene quelli corretti. Il passaggio della memoria a breve termine a quella a lungo termine è chiamato consolidamento. Il sonno ha un ruolo fondamentale nel consolidamento perché filtra tutte le informazioni non rilevanti della giornata e contemporaneamente va a consolidare i concetti rilevanti; i disturbi del sonno sono spesso associati a disturbi dell’apprendimento o, in ambito clinico, del riapprendimento. Per passare dall’early al late c’è bisogno di una molecola presente nel sistema nervoso centrale che è il BDNF, un fattore neutrofico che viene prodotto a livello cerebrale e se è presente permette di arrivare alle modifiche strutturali delle sinapsi che si ingrandiscono e rafforzano. Siccome è prodotto anche dai muscoli scheletrici in tutti i programmi riabilitativi è presente dall’esercizio motorio a bassa intensità proprio per facilitare l’apprendimento. 30 Metaplasticità Alcuni la definiscono come la plasticità della plasticità, è una capacità che cambia da persona a persona ma cambia anche da momento a momento. Questa variazione del potenziale sinaptico ha portato al termine metaplasticità ovvero la variabilità della neuroplasticità. Il fatto che durante la giornata ho dei momenti in cui riesco ad apprendere meglio significa che ho delle finestre di opportunità (windows of opportunity) che possono essere sfruttate in ambito riabilitativo. Es: un paziente alle 10 è molto più facilitato rispetto alle 4 del pomeriggio, quindi sarà più ottimale svolgere dei lavori alle 10 rispetto alle 16. Esempi di metaplasticità: Pre-condizionamento: faccio qualcosa per facilitare l’apprendimento successivo. Es: tecniche neurostimolazione non invasive e subito dopo faccio fare al soggetto la parte riabilitativa. Post condizionamento: prima faccio la sessione di fisioterapia e poi vado a consolidare ciò che ho fatto. Es: il sonno è un esempio di post consolidamento. Plasticità circadiana: ci son momenti della giornata in cui è più facile memorizzare. Es: quando ci svegliamo il nostro flusso cerebrale non è al massimo ma ci vuole un po’ di tempo 1/2 ore, la parte riabilitativa è quindi importante farla dopo un paio di ore che il paziente si è svegliato. Plasticità omeostatica: esistono dei sistemi che vanno a regolare la plasticità, per cui a un certo punto quando una certa funzione/area celebrare inizia ad aumentare e ritrovare la capacità funzionale, aumenta fino ad un certo punto ma non può aumentare all’infinito. Quindi ci sono meccanismi che la bloccano perchè, se non si fermasse, andrebbe a “mangiare” altre aree e diventerebbe controproducente. I meccanismi inibiscono queste aree giganti. Es: A livello riabilitativo un soggetto avente avuto ictus che sta recuperando gesti, se esagero con gli esercizi, “bombardando” troppo il sistema, rischio di avere un crollo omeostatico che porta ad un grandissimo rallentamento che può durare settimane (le prime 6/8 settimane sono fondamentali quindi non bisogna perderle). 31 Materia: Neurofisiologia Docente: Massimiliano Gobbo Data: 22 dicembre 2023 Lezione: 6 Argomenti: eccitabilità neurale; organizzazione anatomo-funzionale del SNC; classificazione degli stimoli e dei recettori; codifica neurale FATICA SINAPTICA (o CENTRALE): fatica che riguarda il SNC (compresa la giunzione neuromuscolare) FATICA MUSCOLARE: dalla giunzione neuromuscolare in poi (sistema periferico). Qualsiasi tipo di sinapsi eccitata in maniera ripetitiva, dopo un certo punto, entra in uno stato di fatica, soprattutto per stimolazione ad alta frequenza: inizialmente io posso avere una risposta da parte delle sinapsi che mantiene questa frequenza elevata, dopodiché, nel corso di tempo, si abbassa la frequenza. Quindi la trasmissione sinaptica non riesce a seguire questo ritmo, ma la frequenza si abbassa progressivamente. Questo è uno dei meccanismi coinvolti nella plasticità omeostatica: se si affaticano le sinapsi, iniziano a scaricare i circuiti con delle frequenze più basse. CASI DI AUMENTO/RIDUZIONE ECCITABILITÁ NEURONALE Esistono delle condizioni particolari per cui possiamo avere un’aumentata o ridotta eccitabilità neuronale: ACIDOSI: l’acidosi riduce l’eccitabilità neuronale e può portare addirittura al coma. Sono condizioni che si possono registrare nel diabete scompensato che porta al coma diabetico oppure nelle condizioni di esaurimento energetico. Sono condizioni tipiche da terapia intensiva e l’organismo risponde a questo “shock” in maniera particolare: infatti vi è proprio una riduzione dell’eccitabilità del sistema nervoso fino a livello muscolare (riguarda, quindi, anche l’eccitabilità dei nervi periferici). Questi soggetti possono registrare per settimane questo esaurimento energetico, con conseguente riduzione dell’eccitabilità (a volte dura anche dei mesi; permane poi nel tempo questo stato di riduzione dell’eccitabilità). ALCALOSI: al contrario, l’alcalosi aumenta l’eccitabilità neuronale; quindi, qui il problema potrebbe essere l’insorgenza di crisi epilettiche. IPOSSIA: carenza di pressione parziale di ossigeno. Può avere: Una causa circolatoria, cioè l’ossigeno effettivamente arriva a livello alveolare, viene trasferito a livello dell’interfaccia dei capillari alveolari e poi viene rilasciato nel circolo sistemico. Quindi non c’è una carenza di ossigeno da questo punto di vista, ma se c’è un deficit del sistema cardio-circolatorio ovviamente avremo meno sangue che arriva in periferia e anche meno ossigeno. Tipico è l’esempio dell’insufficienza cardiaca cronica, in cui il cuore non pompa bene e nel tempo si crea un’ipossia a livello dei tessuti periferici. Una causa ventilatoria-respiratoria, cioè non arriva una sufficiente quantità di ossigeno a livello alveolare. Anche qui le cause possono essere molteplici: ci possono essere delle patologie a livello polmonare oppure è ridotto l’ossigeno nell’aria-ambiente (quando saliamo in alta quota tipicamente abbiamo una pressione parziale di ossigeno che scende). Diverse cause che alla fine vanno a determinarmi un’ineccitabilità neuronale, quindi una perdita di coscienza (svenimento del soggetto e, successivamente se non si interviene, decesso). EFFETTI DI SOSTANZE CHIMICHE 1. Caffeina: notoriamente la caffeina aumenta l’eccitabilità neuronale. Se superiamo un tot numero di tazzine di caffè, possiamo andare incontro ad una condotta dopante. 2. Teofillina: la teofillina la possiamo trovare nel thè, nella coca-cola, nel cacao. 32 Essa aumenta l’eccitabilità neuronale: infatti queste sostanze riducono la soglia di eccitabilità (abbassando la soglia di eccitabilità, sarà più facile che il potenziale di membrana a riposo raggiunga poi il livello soglia facendo partire dei potenziali d’azione). 3. Stricnina: è un veleno che va ad aumentare l’eccitabilità neuronale inibendo dei neurotrasmettitori inibitori. I motoneuroni alfa sono la via finale del sistema motorio, per cui da lì partono gli assoni che raggiungono i muscoli per essere attivati. Prima dei motoneuroni alfa abbiamo un mondo di complicazioni e afferenze a questi motoneuroni, per cui ci sono delle immagini di microscopia elettronica dove si vedono questi motoneuroni ricoperti da tantissimi assoni. Tra queste afferenze esistono anche delle afferenze inibitorie, ovvero un sacco di interneuroni che decidono se far scaricare oppure no il motoneurone prima di agire. Tra gli enzimi che vanno ad inibire il motoneurone ricordiamo i neurotrasmettitori della glicina. La stricnina (veleno) inibisce la glicina (neurotrasmettitore inibitorio). I muscoli, però, non sono inibiti e quindi vanno incontro a degli stati di contrazione prolungati nel tempo. Se questo stato di contrazione prolungata dove il muscolo non si rilassa più colpisce i muscoli respiratori, noi non riusciremo più a respirare. 4. Anestetici: riducono l’eccitabilità neuronale perché aumentano la soglia di eccitabilità. La aumentano in maniera così alta per cui il paziente non riuscirà a percepire nessun dolore. Ritardo sinaptico Tutto quello che abbiamo visto dal bottone presinaptico verso la membrana post-sinaptica non avviene in maniera immediata. Abbiamo il passaggio delle vescicole che devono arrivare fino alla membrana presinaptica, fondersi con questa, liberare attraverso questa i neurotrasmettitori per esocitosi e fare sì che questi neurotrasmettitori arrivino ai recettori postsinaptici. Tutto questo avviene in 0,5 ms. Questo è il motivo per cui anche se abbiamo una risposta riflessa molto rapida, un minimo di ritardo rispetto allo stimolo c’è. Più sono complesse queste vie, più la risposta arriverà in ritardo. Questi ritardi aumenteranno a causa di diverse situazioni: Invecchiamento: durante l’invecchiamento tutte le velocità di conduzione rallentano e anche a livello del passaggio sinaptico avremo un ritardo. Stanchezza e farmaci: vengono rallentati i riflessi perché abbiamo un ritardo sinaptico che aumenta. Alcuni farmaci non devono assolutamente essere presi se la persona deve lavorare in determinate situazioni o guidare. ORGANIZZAZIONE ANATOMO FUNZIONALE GENERALE DEL SNC All’interno del SNC possiamo visualizzare dei livelli funzionali diversi che hanno una gerarchia; quindi, partiremo da funzioni più elementari e semplici a funzioni con un grado di complessità maggiore. Cresce la complessità degli eventi e con questa anche la possibilità di regolazione degli eventi (stimoli e risposte). Dal punto di vista anatomico il midollo spinale sta sicuramente a livello più basso (al suo interno avremo dei circuiti molto semplici da descrivere); salendo arriveremo al livello sottocorticale, per poi arrivare alla corteccia. Zona corticale → questa zona ha un grado di complessità tale per cui noi oggi non abbiamo ancora assolutamente tutto chiaro; questa complessità è fondamentale per permettere l’esecuzione delle funzioni superiori. A livello corticale, tramite l’integrazione tra aree e cortecce diverse, noi abbiamo la possibilità di avere delle funzioni superiori. Queste funzioni superiori riguardano, ad esempio, le funzioni istintive, l’attenzione e l’integrazione di informazioni diverse di vario tipo per dare una determinata risposta. Ci sono aree corticali più specifiche come quelle motorie, sensoriali e alcune cortecce di passaggio dette associative; queste connettono anche aree molto distanti tra di loro. 33 L’auto-coscienza, ovvero la consapevolezza della nostra esistenza, è sicuramente una delle funzioni più alte in assoluto che caratterizza l’uomo rispetto ad altri esseri viventi e tutt’ora l’unica risposta che si dà all’esistenza della coscienza è il fatto che il nostro encefalo è molto complesso. Quindi tutti i cervelli che hanno un sistema più semplice, non riescono ad arrivare ad un livello di coscienza così elevato; quindi, la coscienza emerge grazie al grado di complessità che abbiamo. MIDOLLO SPINALE: va considerata come la via principale di combinazione bidirezionale tra l’encefalo (dove troviamo le funzioni più alte) e gli altri tessuti. Il midollo spinale è la sede di alcuni centri responsabili dei riflessi più semplici e anche della locomozione. Questo significa che, anche se noi non avessimo il controllo più alto (sottocorticale), un individuo potrebbe eseguire dei movimenti avendo degli stimoli che, ovviamente, fanno partire questa cosa a livello del midollo spinale. Inoltre, anche di fronte ad una lesione spinale per cui io non ho un controllo che arriva dall’encefalo verso la muscolatura, se noi riusciamo a stimolare in un certo modo questi centri a livello del midollo spinale, possono partire dei movimenti che fanno camminare la persona. LIVELLO SOTTOCORTICALE: diverse strutture sono coinvolte a livello sottocorticale e questo livello rappresenta la sede dell’attività sub-conscia automatica. Questo livello è fondamentale per il mantenimento omeostatico dell’organismo. Più specificatamente quando parliamo di omeostasi ricordiamo, ad esempio, la pressione arteriosa, la respirazione, il controllo dell’equilibrio, etc. A questo livello abbiamo anche l’integrazione degli stati emozionali: sono coinvolte strutture (come ipotalamo, sistema limbico) che associano a delle esperienze una sensazione spiacevole o gradita. LIVELLO CORTICALE: la corteccia fondamentalmente si è sviluppata in modo così preponderante nell’uomo proprio perché ad esso serviva un deposito di memoria. Riuscire a trattenere il più possibile informazioni delle nostre esperienze per essere sempre più preparati a contrastare le sfide future. L’uomo, inoltre, ha sviluppato una grande tecnica grazie anche allo sviluppo della mano con il pollice opponibile, andando così ad incrementare la manualità associata ad un incremento della corteccia. Il controllo esecutivo è a carico della corteccia: ci permette di pianificare tutto (già per preparare un piatto in cucina, implica che ci sia un controllo esecutivo che funzioni bene). Nelle demenze proclamate (come l’Alzheimer) il controllo esecutivo è un qualcosa che si viene a perdere; quindi, queste persone non sono più in grado di essere autonome nella vita quotidiana, non sanno più come fare le cose più semplici. La zona corticale non funziona mai da sola: c’è sempre bisogno, cioè, di uno stato di vigilanza e, questa vigilanza, arriva dal livello sottocorticale; il talamo in questo senso ricopre un ruolo fondamentale. Infatti, tutte le informazioni che arrivano a livello corticale passano dal talamo. Se il talamo si spegne, anche la corteccia si spegne. Per cui deve essere sempre presente uno stato di vigilanza garantito da strutture sottocorticali che migliorano le funzioni corticali; ad esempio, il cervelletto migliora il controllo motorio anche volontario. Quindi in presenza di un danno cerebellare, quando io voglio prendere un oggetto, io ho il sistema volontario ancora in grado di decidere di andarlo a prendere, ma lo farà sicuramente con meno forza, meno precisione (cioè, vado oltre l’oggetto) e con più lentezza. Il cervelletto, infatti, ci dà la spinta che è fondamentale. Quindi tutte le strutture sottocorticali mi permettono di avere un controllo motorio adeguato. FISIOLOGIA DEI SISTEMI SENSORIALI Gli stimoli sensoriali sono energie fisiche di diverso tipo che prendono contatto con il nostro organismo oppure si sviluppano all’interno di esso (ad esempio Il passaggio del sangue all’interno dei vasi a livello dell’aorta e delle carotidi è molto adatto per capire se la pressione è aumentata oppure no nell’organismo grazie alla presenza dei meccanocettori o barocettori che sono dei recettori di stimoli meccanici). I sistemi sensoriali vengono definiti come “la finestra” che abbiamo sul mondo: ci permettono, difatti, di capire quello che avviene intorno a noi. Queste forme di energia per essere percepibili dall’encefalo devono essere trasformate in segnali elettrici; il nostro sistema nervoso funziona solo con potenziali d’azione. Le risposte che avremo saranno comportamentali (quindi quando ci muoviamo, espressioni facciali), ma anche omeostatiche (quando riguardano l’interno dell’organismo; abbiamo anche dei riflessi di tipo omeostatico). 34 CLASSIFICAZIONE DEGLI STIMOLI PER L’UOMO Stimoli di tipo meccanico che poi possono essere a loro volta suddivisi in: tattili, propriocettivi (insieme delle informazioni sensoriali che permettono al corpo di riconoscere la posizione di sé, delle sue parti nello spazio in rapporto al mondo esterno e il loro movimento), acustici, vestibolari (equilibrio) e di pressione. Stimoli di tipo chimico: riguardano il gusto, l’osmolarità sanguigna, la concentrazione del sangue, il pH, pO2 (pressione parziale ossigeno) e la pCO2. In generale tutti quei parametri che utilizzano stimoli di tipo chimico. Stimoli dolorifici: non hanno una natura specifica. Possono derivare da un’esagerazi