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Università degli Studi di Padova

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communication theory social media computer-mediated communication media studies

Summary

Questo documento analizza diversi modelli di comunicazione, concentrandosi sulla comunicazione mediata dal computer. Vengono discussi vari approcci teorici per comprendere come la comunicazione online influenzi le interazioni umane, includendo concetti come la 'povertà sociale' e i processi di iperpersonalizzazione. Il documento fornisce un'introduzione ai concetti di base relativi alla comunicazione online.

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Media digitali e società Modelli e teorie della comunicazione mediata. La CMC, ovvero la comunicazione mediata dal computer, ha permesso di sviluppare un nuovo modello comunicativo basato sul concetto di “interazione”. Se prima tutto ruotava attorno alla relazione “uomo-macchina” (nel web 1.0), ora...

Media digitali e società Modelli e teorie della comunicazione mediata. La CMC, ovvero la comunicazione mediata dal computer, ha permesso di sviluppare un nuovo modello comunicativo basato sul concetto di “interazione”. Se prima tutto ruotava attorno alla relazione “uomo-macchina” (nel web 1.0), ora gli utenti possono comunicare tra loro grazie alla mediazione del computer (scrivendo per esempio una mail) e questa ha ovviamente cambiato il modo di interagire tra le persone. La CMC può essere sincrona o asincrona. - Sincrona: permette agli utenti di comunicare nell’immediato attraverso le chat, le videoconferenze, i giochi di ruolo, ecc. - Asincrona: il processo di comunicazione differisce nei tempi di invio e risposta e può rivolgersi a un interlocutore alla volta oppure a una moltitudine. Questa avviene attraverso sistemi come la posta elettronica o i blog. Nel web 2.0, che unisce CMC sincrona e asincrona, ogni utente è un produttore (prosumer). I primi approcci al digital erano molto utopici: non essendoci il limite del corpo fisico, nel mondo digitale ognuno poteva essere chi voleva. System Rationalism. Negli anni ’70, in Inghilterra, invece avvengono le prime ricerche per capire come le nuove tecnologie potevano ridurre i costi della comunicazione nelle amministrazioni governative ed accademiche. In quest’ottica di efficienza organizzativa, queste ricerche avevano un approccio molto più razionale. Si parla di System Rationalism. Reduced Social Cue (RSC). Negli anni ’80, nasce invece il filone di studi denominato Reduced Social Cue (RSC). Questi studi ritengono che la CMC sia priva di indicatori sociali (come l’abbigliamento o l’arredo che aiutano a definire lo status o la gerarchia di una persona) e segnali paralinguistici tipici della comunicazione face to face (intonazione, gesti, mimica facciale, postura, ecc.). La comunicazione avviene quindi in una situazione di vuoto sociale in cui l’identità dei soggetti sfuma e scompare. Questa teoria trae due conclusioni: 1. Chi interagisce attraverso il computer tende maggiormente a violare le norme sociali in quanto è protetto dall’anonimato e dalla situazione di vuoto sociale. Si ha un effetto di deindividualizzazione. Problema: CMC inefficiente dal punto di vista organizzativo. 2. Tutti possono esprimere la propria opinione a prescindere dal potere e dallo status sociale, quindi, anche coloro che solitamente sarebbero emarginati o poco visibili, hanno questa opportunità. Si ha un effetto di uniformazione (equalization effect). Vantaggio: CMC ha potenzialità democratizzanti. Questo approccio ha ricevuto varie critiche in riferimento alla “povertà sociale” intrinseca della CMC, che rivela un atteggiamento deterministico. Secondo le critiche la CMC non può avvenire in un contesto di vuoto sociale. Social Identity Deindividuation Theory (SIDE). Nei primi anni ’90, quando l’home computing cominciava a diffondersi e il system rationalism andava riducendosi, la Social Identity Deindividuation Theory (SIDE) propose il superamento della teoria RSC. Basandosi sulla distinzione tra identità individuale e identità sociale, ovvero tra ciò che uno è nella sua unicità e individualità e tra le varie identità che uno assume nei diversi gruppi e contesti sociali, questa teoria afferma che nella CMC non ci sia una totale equalizzazione delle identità sociali. Quello che accade è che l’individuo si adatta di volta in volta alla situazione in cui interagisce a seconda degli elementi che ne traspaiono (può quindi esserci maggiore o minore adesione alle norme sociali a seconda dei casi). La situazione comunicativa è centrale. Social Information Processing Perspective (SIPP). Un altro approccio che tenta di superare la teoria RSC è il Social Information Processing Perspective (SIPP). Criticando gli esperimenti in laboratorio della RSC (che rendevano asettiche le interazioni sociali), questo approccio afferma che la CMC non sia meno efÏcace della comunicazione face to face, ma solo meno efÏciente perché più lenta. Inoltre supera l’idea della povertà comunicativa della CMC dei primi studi e formula il modello hyperpersonal, secondo il quale gli individui sono consapevoli delle caratteristiche del mezzo e si adeguano alle regole di questo specifico tipo di comunicazione (valido quanto la comunicazione faccia a faccia, non considerata una comunicazione meno valida). I meccanismi dell’interazione sono esasperati e si ha un’impressione idealizzata dell’interlocutore (iperpersonalizzazione). Howard Rheingold. Negli anni ’90, dopo che nel 1991 nasce il World Wide Web e nel 1993 si apre allo sfruttamento commerciale, nascono anche le prime ricerche etnografiche della rete. Le tecnologie iniziano ad essere più presenti nelle case e e l’online inizia ad essere visto come luogo di interazione e incontro. Questo attrae l’interesse degli studiosi sociali e Howard Rheingold inizia proprio i primi studi etnografici su questo nuovo “luogo” (parla di “comunità virtuale”, “frontiera elettronica”, “ciberspazio”). La CMC diventa quindi un’esperienza quotidiana. La ricerca non è più sugli effetti della CMC, ma sulle caratteristiche del nuovo ambiente di interazione. - In Italia le ricerche sono fatte da Luca Giuliano e Antonio Roversi: studiano la continuità online- offline e la consapevolezza dei giocatori di ruolo online nella gestione delle loro identità. Le ricerche etnografiche della rete permisero di approfondire la conoscenza degli aspetti della CMC e fornirono materiali per una comprensione ampia e con basi teoriche di ciò che stava accadendo. Sherry Turkle. Sempre negli anni ’90, Sherry Turkle, sociologa e psicoterapeuta statunitense, affronta il tema della costruzione dell’identità online. Partendo da ricerche sul campo (ricerche etnografiche), riflette sulla relazione tra individui e computer e sulle dinamiche di costruzione dell’identità. - Un macrotema affrontato dalla Turkle riguarda la cultura informatica (digitale). Questa cultura si impara fin da piccoli e fin da piccoli si sa riconoscere e distinguere una macchina da ciò che è vivo. Tuttavia, queste macchine cominciano a simulare azioni tipiche del mondo vivo (es. sedute psicologiche o interpretare personaggi in un gioco online) e si comincia quindi a parlare di macchine come agenti postmoderni con i quali interagiamo tutti i giorni. La cultura informatica accetta quindi il fatto che le macchine possano essere intelligenti, anche in modo simile a quello umano, ma riconoscendo la loro differenza biologica. - La Turkle utilizza poi i MUD (giochi online) per studiare come e perché gli individui costruiscono la propria identità online (esperienza quotidiana per moltissime persone). La comunicazione online è un’esperienza postmoderna in cui il sé non solo è decentrato, ma è estremamente moltiplicato. Online l’individuo si mette alla prova e testa nuove modalità identitarie senza preoccuparsi delle conseguenze sulla sua vita offline. Secondo la Turkle quindi la costruzione dell’identità è un lavoro faticoso e intenso, ma la CMC può facilitare (o mettere in dubbio) questo lavoro. *Turkle e Rheingold sono classificati come internet enthusiasts* Successivamente la Turkle, ridimensiona il suo iniziale ottimismo ed entusiasmo per la vita online e nel 2011 pubblica “Insieme ma soli” in cui esprime una preoccupazione rispetto ai cambiamenti imposti dalla tecnologia sugli individui. Le relazioni sono sì connesse (le nuove tecnologie connettono), ma non si presta più attenzione all’altro. Con la diffusione delle tecnologie portatili, l’interazione digitale è costante e questo limita le nostre capacità di riflessione su noi stessi. Si perde poi l’attenzione del nostro interlocutore nei nostri confronti e viceversa (infatti si può rispondere mentre si fa altro). La Turkle sostiene che bisognerebbe recuperare le abilità legate alla solitudine per reimparare a riflettere su sé stessi. Manuel Castells. Castells, con una visione più macrosociologica, si interessa dei processi di trasformazione sociale. Egli descrive lo sviluppo e le conseguenze di tre processi avvenuti tra gli anni ’60 e ’70: 1. La rivoluzione tecnologica. 2. La crisi del capitalismo e dello stalinismo. 3. La nascita di nuovi movimenti popolari come femminismo e ambientalismo (che non combattono più solo per la sopravvivenza, ma anche per ideali simbolici). La combinazione di questi tre processi ha generato una nuova struttura sociale (la società dell’informazione, in cui l’informazione diventa importante e centrale per avere il potere), una nuova cultura (quella della “virtualità reale”) e una nuova economia (l’economia informazionale globale). I tre processi sono uniti dalla logica della rete in cui il potere non è più concentrato nelle istituzioni, ma è diffuso in reti globali di informazioni. Nasce così la Network society che non ha più un’impostazione verticale, ma un’organizzazione a rete flessibile che sa adattarsi alle nuove circostanze. Per Castells, le reti costituiscono una nuova “morfologia sociale” delle nostre società (la Network Society appunto) in cui la contemporaneità è costruita attorno a flussi (di capitali, di informazioni, di immagini, ecc.) e ad un tempo senza tempo (CMC in tempo reale o asincrona). Alla base di questo mutamento ci sono le tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Infine, per Castell, internet è in genere un’opportunità positiva. Tuttavia ha un problema: l’esclusione dalla società in rete e le sue conseguenze (miseria, abbandono, insicurezza, violenza politica, criminalità, ecc.) => DIGITAL DIVIDE. Essendo queste connessioni fortemente legate alle identità, ci sono persone che non si sentono parte di questa rete e creano gruppi che si separano anche in modo estremo. - Mass self communication: comunicazione di massa, individuale, che si contrappone ai grandi network e dà la possibilità ai movimenti sociali di intervenire efficacemente nella comunicazione (ripresa del “user generated content”). Van Dijk. Anche Jan Van Dijk, sociologo olandese, ha contribuito alla riflessione sulla network society. Per lui il concetto di "network society" descrive una società che organizza sempre di più le sue relazioni attraverso reti di media, che si integrano gradualmente con le reti sociali tradizionali, come la comunicazione faccia a faccia. Tuttavia, anche se le reti sociali e mediali diventano centrali nell'organizzazione della società, non ne rappresentano tutta la sostanza. La società è ancora fatta da individui, corpi e organizzazioni e se tutto fosse mediato esclusivamente da reti sociali e media, le interazioni fisiche, mentali e le risorse di ogni tipo continuerebbero comunque ad avere un ruolo fondamentale. J. V. Dijk formula sette “leggi del web”: 1. Network articulation: c’è un’articolazione della rete che ci rende sempre più interconnessi e se siamo tutti collegati si annulla l’indipendenza. 2. Network externality: le reti producono degli effetti sulle persone e sulle cose che sono esterne alla rete. 3. Network extension: la rete è talmente ampia che per navigarla e accedere alle informazioni abbiamo bisogni di mediatori, come i motori di ricerca, che filtrano tutti i vari contenuti (i siti esisterebbero lo stesso, ma non li si potrebbe raggiungere dato che la rete è estesissima). Il potere è quindi di questi mediatori perché sono loro che decidono, scelgono e indirizzano verso determinate informazioni. 4. Small worlds: la rete rende tutto più vicino (tutti possono relazionarsi con tutti indipendentemente dal luogo e dal tempo) e instabile (amplifica le tensioni esistenti). 5. Limits to attention: nella rete si diffondono moltissime subculture (filtered bubbles ed echo chambers). 6. Power law: in rete c’è una forte concentrazione e disuguaglianza tra le fonti. Anche se sembrano abbastanza uguali, molte fonti non lo sono e chi ha il potere di creare pagine migliori è avvantaggiato (i ricchi diventeranno sempre più ricchi). 7. Trend amplifiers: le reti hanno una portata evolutiva e non rivoluzionaria, cioè intensificano le tendenze già presenti e rinforzano le relazioni sociali esistenti. Fungono appunto da “trend amplifiers”. Berry Wellman. Wellman fu uno dei primi ad occuparsi di Internet e del suo rapporto con la vita quotidiana. Wellman sottolinea che: - Lo scambio immediato di grosse quantità di dati è facilitato da una larghezza di banda sempre più ampia. - La connessione è potenzialmente continua. - L’interazione è più ricca rispetto a quella meramente testuale perché si ha una maggiore personalizzazione dei contenuti dei messaggi. - La comunicazione è sganciata dal luogo, grazie ai sistemi wireless. - La connettività è globalizzata a fronte di un digital divide che sta diminuendo. Wellman sviluppa il concetto di “networked individualism”, cioè in Internet gli individui possono fare parte di differenti network scegliendo autonomamente a quali di queste reti appartenere in base ai loro interessi. Quindi i cambiamenti tecnologici creano rapporti che si integrano con la vita quotidiana e non si pongono come alternativa ad essa e l’individuo, non essendo più legato allo spazio fisico, può appartenere a più cerchie contemporaneamente con facilità. Sonia Livingstone. Il gruppo di ricerca di Sonia Livingstone, accademica della London School of Economics, è considerato un punto di riferimento per gli studi su internet e minori, specialmente attraverso i progetti come “UK Children Go Online” e il network “EU Kids Online”. Livingstone adotta un approccio interdisciplinare per analizzare i nuovi media, evidenziandone caratteristiche come la “ricombinazione” di tecnologie e l’interattività. La sua ricerca esplora rischi e opportunità dell’uso digitale tra i giovani, sottolineando che i cosiddetti “nativi digitali” non sono automaticamente esperti: le competenze digitali richiedono pratica e supporto, non legate solo all’età. Livingstone critica l’idea che tutti i giovani siano digitalmente competenti per natura, e sostiene la necessità di politiche che supportino un’alfabetizzazione digitale consapevole. Inoltre, sottolinea che i minori affrontano difficoltà crescenti online, date le restrizioni e i rischi presenti in rete. Attraverso un’analisi empirica, Livingstone invita a un approccio equilibrato e non allarmistico verso la relazione tra rete e giovani, distante dalle posizioni estreme degli “internet ottimisti” e “pessimisti”. Geert Lovink. Lovink sviluppa il concetto di Net Criticism, concetto utile all’implementazione di forme antagoniste alle Corporation che sfruttano la credenza degli utenti sulla gratuità dei contenuti, impossessandosi dei loro dati. Si sofferma poi sull’uso irrazionale del web e sul concetto di saturazione delle informazioni: i motori di ricerca e i social media producono contenuti costantemente e altrettanto costantemente gli utenti aggiornano i loro profili e postano status e notizie su qualsiasi cosa. Lovink sviluppa così la teoria dell’information overload, secondo cui gli individui sono pressati affinchè pubblichino contenuti. Alcune possibilità per sottrarsi a questa condizione sono appunto quelle offerte dalle iniziative di free-software e di open source, che sfuggono al controllo delle grandi Corporation.

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