Malattie Infettive - Endocarditi, Miocarditi, Pericarditi PDF

Summary

This document provides an overview of infectious diseases, focusing on endocarditis, myocarditis, and pericarditis. It details the pathogenesis, risk factors, and treatment of these conditions, including a discussion of the role of bacterial infection and anatomical factors. The document appears to be medical lecture notes or study material.

Full Transcript

Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 1 a 23 Malattie infettive Endocarditi, miocarditi, pericarditi Prof. Codazzi– data 24/05/2022– Autore: Fabio Toppola – Reviewer: Luigi D’Angelo Endocard...

Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 1 a 23 Malattie infettive Endocarditi, miocarditi, pericarditi Prof. Codazzi– data 24/05/2022– Autore: Fabio Toppola – Reviewer: Luigi D’Angelo Endocarditi Per endocardite si intende l’infiammazione della superficie endocardica del cuore, che coinvolge principalmente le valvole cardiache; si distinguono forme infettive e non infettive (ad esempio, forme paraneoplastiche, legate a problematiche trombotiche o a problematiche immunomediate, come nel caso del lupus eritematoso sistemico). Patogenesi Lo studio della patogenesi dell’endocardite è stato portato avanti soprattutto negli anni ’70 usando come modello animale il coniglio per ragioni anatomiche: per prima cosa si induce un’endocardite sterile, creando un danno meccanico con cateteri introdotti nella giugulare o nella carotide, per raggiungere rispettivamente le camere destre e sinistre del cuore, determinando in questo modo un danno a livello valvolare che origina un’endocardite sterile (perché abbiamo creato un danno e i meccanismi di riparazione hanno anche natura infiammatoria). Per ottenere l’endocardite infettiva, successivamente si infonde una certa quantità di colonia di vari microorganismi (principalmente Streptococchi viridanti). È stato dimostrato che, usando tale modello l’incidenza di endocardite infettiva dopo l’infusione di batteri è pari a quasi il 100%; se invece è effettuata l’infusione della stessa quantità di batteri in assenza di danno valvolare, l’endocardite non si sviluppa in nessuno dei modelli animali. Dunque, in caso di batteriemia, un endotelio normale è resistente alla colonizzazione batterica ed in assenza di fattori predisponenti a livello della superficie endocardica, l’endocardite infettiva non si genera. Riassumendo, se non c’è danno valvolare, pur avendo batteriemia, è difficile che i batteri aderiscano alle valvole dando endocardite batterica. Nell’uomo, il danno valvolare può essere dovuto a diverse condizioni: Flusso turbolento di sangue: tende a dare infiammazione valvolare e si può verificare in caso di danno valvolare primitivo, come la valvulopatia secondaria alla febbre reumatica da Streptococcus pyogenes; Presenza di cateteri: Danno meccanico creato soprattutto da elettrocateteri a livello cardiaco, come nel caso di pacemaker o defibrillatori; ma anche l’utilizzo di cateteri venosi centrali. Tossicodipendenza con uso di sostanze per via endovenosa: tali pazienti hanno un maggior rischio di sviluppare danni valvolari in quanto le procedure non sono sterili e anche a causa del fatto che le sostanze iniettate non sono pure ma contengono particelle solide microscopiche che possono creare un danno meccanico a livello della valvola. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 2 a 23 In seguito al danno endoteliale, si ha la formazione della cosiddetta “non-bacterial thrombotic endocarditis” (NBTE): la formazione di un aggregato di piastrine e fibrina al di sopra della valvola che, a sua volta, genera un substrato favorevole all’adesione batterica; infatti, normalmente i batteri non riuscirebbero a aderire alla superficie della valvola. Successivamente, la colonia batterica prolifera fino a dare origine alla vegetazione endocarditica che, raggiunta una certa grandezza, può distaccarsi e disseminare determinando fenomeni embolici legati all’endocardite. Le diagnosi spesso vengono fatte a causa dell’embolizzazione settica che si riscontra di conseguenza. Le lesioni endocarditiche si formano principalmente nelle zone in cui il flusso è più turbolento: le vegetazioni endocarditiche tipiche della valvola aortica e polmonare si trovano a livello della superficie ventricolare, le vegetazioni tipiche della valvola mitrale e tricuspide sono localizzate sul versante atriale. Un’altra zona a livello della quale possono verificarsi endocarditi è costituita dalle corde tendinee, che possono rompersi determinando insufficienza mitralica severa. Questo aspetto è utile da ricordare per la diagnosi differenziale; infatti, nelle endocarditi non infettive le vegetazioni non hanno queste localizzazioni tipiche, quindi si possono trovare anche sul versante aortico della valvola aortica o sul versante ventricolare della valvola mitrale. La batteriemia è una condizione necessaria per l’endocardite, ma non sufficiente. Nel caso delle PVE (prosthetic valve endocarditis), durante un intervento di sostituzione valvolare, è presente il rischio che ci possa essere una contaminazione diretta e lo sviluppo di endocardite infettiva senza una batteriemia. Le condizioni che possono determinare batteriemia sono varie: Batteriemie secondarie a soluzioni di continuo delle barriere anatomiche, legate anche a qualsiasi procedura medica che leda l’integrità di una barriera mucosa o cutanea, come il posizionamento dei cateteri venosi centrali; Procedure odontoiatriche (il cavo orale non è sterile ed una lesione a livello mucoso può determinare batteriemia); Quadri infettivi batteriemici (si ha un’infezione di un certo tipo per cui i batteri raggiungono il torrente circolatorio). Anche le attività che svolgiamo quotidianamente (masticare, lavarsi i denti, utilizzare il filo interdentale) sono procedure in grado di determinare batteriemia che, da un punto di vista cumulativo durante l’anno, è maggiore rispetto a ciò che avviene durante le procedure odontoiatriche. Traslocazione batterica a livello intestinale Dunque, ogni soggetto risulta essere sempre batteriemico a bassi livelli, tuttavia nella maggior parte dei casi l’endocardite non si sviluppa. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 3 a 23 È stato dimostrato che tali fattori di rischio hanno un ruolo anche nel modello animale e che il rischio di sviluppare endocardite è lo stesso sia che si faccia un bolo in breve tempo di batteri sia che si faccia un’infusione continua di basse dosi (come avviene nella vita reale): sono entrambi eventi a rischio che determinano una certa probabilità di sviluppare endocardite. Per lo sviluppo di endocardite è necessaria la batteriemia ed un danno che può essere di tipo: Meccanico: generando una risposta infiammatoria, proliferazione e deposito di cellule infiammatorie, fibrina, aggregati piastrinici e trombotici con successiva colonizzazione batterica; Infiammatorio: in cui si verifica sostanzialmente lo stesso tipo di processo. A livello della vegetazione endocarditica si forma il biofilm: una matrice di diverse componenti (detriti cellulari, fibrina, matrice extracellulare) in cui si annidano batteri in grado di resistere più facilmente alla terapia antibiotica. Ciò è dovuto principalmente a: 1. una ragione meccanica (gli antibiotici faticano ad entrare nel biofilm), 2. modifiche biologiche dei batteri che fanno sì che questi siano più resistenti: i batteri entrano in uno stato di più lenta proliferazione, o addirittura quiescenza, impedendo la funzione della maggior parte degli antibiotici che agisce su batteri in replicazione attiva. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 4 a 23 3. in una comunità densamente popolata di batteri, il trasferimento orizzontale di geni di resistenza ed i meccanismi di quorum sensing favoriscono la resistenza agli antibiotici, facendo sì che la lesione che si genera a livello della valvola sia difficile da trattare con la sola terapia antibiotica. Altro aspetto fondamentale è che l’endocardite è una patologia sistemica: il coinvolgimento non è esclusivamente a livello della valvola cardiaca, ma a livello sistemico poiché la vegetazione può determinare emboli che si disseminano attraverso il torrente circolatorio in qualsiasi sito del corpo; ad esempio, un’endocardite della valvola tricuspide determinerà emboli principalmente a livello polmonare. Possibili sedi di disseminazione degli emboli Cerebrale Oculare Polmonare Splenico Infarti periferici Dunque, si ha un interessamento cardiaco locale con danni valvolari che possono portare ad insufficienza o stenosi e delle localizzazioni sistemiche. Nel caso in cui la terapia antibiotica fa fatica a funzionare allora si deve intervenire chirurgicamente sostituendo la valvola. Epidemiologia L’endocardite è una patologia relativamente comune, in aumento dal punto di vista dell’incidenza poiché sono in aumento i fattori di rischio che predispongono i pazienti all’endocardite stessa: ad esempio, la degenerazione valvolare e l’aumento delle ospedalizzazioni legati all’età, e quindi all’aumento di comorbilità, o l’aumento del numero di pazienti con protesi valvolari (i batteri aderiscono maggiormente al materiale non nativo). Negli ultimi anni è aumentata l’età in cui è svolta la diagnosi: ciò è dovuto al fatto che, all’inizio del ventesimo secolo, il rischio era maggiore nei pazienti molto giovani a causa della maggior incidenza della valvulopatia reumatica, dovuta all’assenza di antibiotici; ad oggi il rischio è ridotto nei paesi sviluppati in cui è presente un maggior accesso agli antibiotici, mentre nei paesi in via di sviluppo in cui l’accesso è ridotto, l’incidenza di endocardite nei giovani è maggiore. L’incidenza di endocardite, nei paesi ad alto reddito, riguarda in più del 50% dei casi pazienti con più di 50 anni ed 1/3 dei pazienti ha più di 70 anni. Colpisce maggiormente i maschi che le femmine, tuttavia il motivo non è chiaro. È più frequente nei pazienti che fanno abuso di farmaci per via endovenosa. In America negli ultimi 10 anni c’è stato un incremento di 10 volte i casi di endocarditi che riconoscevano l’utilizzo di sostanze per via endovenosa come causa. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 5 a 23 Fattori di rischio I principali fattori di rischio per endocardite possono essere suddivisi in 3 categorie: 1. Patologie valvolari a livello delle valvole native: Prolasso valvola mitralica Patologia valvolare reumatica Precedenti episodi di endocardite infettiva Bicuspidia aortica, può essere sia congenita che acquisita, quest’ultima è detta funzionale, in quanto in una valvola aortica danneggiata 2 dei 3 lembi valvolari possono fondersi Problemi cardiaci congeniti 2. Dispositivi intravascolari valvole protesiche: 1/3 delle endocarditi è dovuto a questo fattore di rischio. Il rischio è maggiore nel primo anno successivo all’impianto della nuova valvola, in particolare nei primi 3 mesi, sia per la possibilità di infezione durante l’intervento sia perché il paziente rimane in ospedale ed è quindi esposto a infezioni di tipo nosocomiale. Le valvole protesiche sono di due tipi, meccaniche e biologiche; le prime durano tutta la vita e richiedono terapia anticoagulante, mentre le seconde vanno incontro a degenerazione (vanno cambiate in media dopo 10 anni) e non richiedono terapia anticoagulante. Nei giovani di solito si mette la meccanica perché dura di più, negli anziani invece la biologica. Non c’è una grossa differenza di rischio infettivo tra le due ma sembra esserci forse un rischio un po' maggiore nelle biologiche più si va avanti nel tempo perché queste tendono a degenerare, creando flusso turbolento e quindi creando un terreno favorevole all’annidamento di batteri. Pacemaker defibrillatore 3. Comorbilità che si associano a un maggior rischio infettivo, essere in dialisi, immunocompromissione, diabete, ipertensione o neoplasie. È importante distinguere i termini relapse e recurrence. Per relapse (recidiva) si intende un’endocardite causata dallo stesso microorganismo nei sei mesi successivi, significa che non siamo riusciti ad eradicare il batterio. Per recurrence (reinfezione) si intende invece un nuovo episodio di endocardite nell’arco di 6 mesi, non legato a una mancata eradicazione dell’infezione iniziale. I pazienti che hanno avuto un precedente episodio di endocardite hanno un rischio che arriva fino al 10% di avere un nuovo episodio. Se i pazienti presentano fattori di rischio (in particolare fattori ad alto rischio: precedente endocardite, paziente sottoposto a sostituzione valvolare, pazienti con patologie cardiache congenite oppure pazienti con LVAD impiantato) è indicato svolgere profilassi antibiotica in caso di procedure dentali per ridurre il rischio di batteriemia ed endocardite. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 6 a 23 Cause microbiologiche I microorganismi che più comunemente causano endocarditi sono i batteri Gram+, poiché presentano meccanismi di adesione maggiormente efficaci rispetto ai Gram -. La maggior parte delle endocarditi infettive sono legate ad infezioni streptococciche o stafilococciche, responsabili di circa l’80% dei casi. Lo Stafilococcus aureus è la causa più rilevante: può essere acquisito sia in comunità che in ospedale, poiché può essere parte della normale flora cutanea ma può anche far parte della popolazione microbiologica ospedaliera; la principale differenza è che, nella maggior parte dei casi, l’S. aureus acquisito in comunità è meticillino sensibile, quello acquisito in ospedale è meticillino resistente (MRSA). Solitamente rispetto agli altri patogeni dà quadri clinici più severi rapidamente. Gli Stafilococchi coagulasi-negativi (S. epidermidis, hominis, haemolyticus) possono causare endocardite in pazienti che hanno avuto esposizione a cure ospedaliere od ospedalizzati; sono biologicamente meno aggressivi e virulenti di S. aureus e hanno una minor capacità adesiva alle valvole native; infatti, le endocarditi dovute a tali microorganismi sono principalmente endocarditi protesiche. o A differenza di S. aureus, nonostante siano frequentemente parte della nostra flora cutanea, sono quasi sempre meticillino resistenti. Streptococchi viridanti (S. mitis/oralis, S. mutans, S. sanguinis, S. anginosus) che fanno parte della flora del cavo orale, sono generalmente acquisiti in comunità e negli ultimi anni si stanno riducendo grazie alla riduzione della patologia reumatica. Solitamente responsabili di endocarditi su valvole native. Enterococchi, soprattutto Enterococcus faecalis (terza causa di endocardite); tendenzialmente è acquisito in comunità in pazienti con complicanze gastrointestinali, ma può anche essere legato alle cure ospedaliere. Le endocarditi da Gram- e da funghi sono rare, difficili da trattare ed associate ad alta mortalità, soprattutto nosocomiali in pazienti con fattori di rischio o immunocompromessi. N.B. Maggiore resistenza agli antibiotici non corrisponde a maggiore aggressività del batterio La presenza di alcuni batteri può essere indice di comorbidità concomitanti all’endocardite: Streptococcus gallolyticus (bovis), associato a neoplasia colon-rettale concomitante nel più del 65% dei casi, non necessariamente carcinoma, anche presenza di polipi; Non è chiaro se abbia ruolo attivo sull’oncogenesi o se è secondario alla traslocazione batterica quando c’è una neoplasia, quindi secondario dell’ alterazione della mucosa intestinale. Enterococcus faecalis associato a patologie gastrointestinali nel 25% dei casi. Il modo migliore per studiare tali pazienti è la colonscopia. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 7 a 23 Un’altra classe di batteri responsabile di endocardite è rappresentata dagli HACEK (Haemophilus, Aggregantibacter, Cardiobacterium, Eikenella, Kingella): batteri Gram- poco frequenti e potenzialmente acquisiti in comunità, tipicamente sono gastrointestinali (fanno parte della flora gastrointestinale). Oggi sono identificabili attraverso le emocolture, anche se c’è la possibilità di avere dei risultati negativi alle emoculture in diversi casi: Cicli continui di antibiotici: i pazienti spesso sono ospedalizzati per lunghi periodi con frequenti e venti di febbre e quindi pazienti in cura continua con antibiotici che abbassano la carica batterica nel sangue negativizzando le emoculture. Organismi a lenta crescita: funghi, fastidious, Cutibacterium (Propionibacterium) acnes, Candida e HACEK che necessitano di condizioni particolari per la crescita. Organismi Intracellulari: Bartonella spp, Coxiella burnetii, Tropheryma spp(responsabile del morbo di Whipple). Cause non infettive: trombosi in pazienti con patologie trombofiliche, paraneoplastiche, autoimmuni, autoinfiammatorie. In questi casi la diagnosi si basa sulla sierologia, tecniche molecolari e anatomia patologica (serve fare una biopsia, ma raramente viene fatta). La tabella mette in evidenza le cause più frequenti di endocardite ad emocoltura negativa, che necessitano di altre metodiche diagnostiche come la sierologia, l’istologia... Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 8 a 23 Tali patologie, essendo più rare, presentano fattori di rischio non molto comuni (ad esempio, un fattore di rischio per Brucella è il consumo di latticini non pastorizzati). Le cause di endocardite dipendono anche dalla localizzazione geografica; nei paesi ad alto reddito, in cui l’uso di antibiotici è più diffuso, saranno più comuni le endocarditi associate alle cure sanitarie (stafilococciche, enterococciche) rispetto ai paesi a basso reddito, in cui le endocarditi streptococciche sono ancora predominanti. , Presentazione clinica La presentazione clinica è fortemente variabile. Possiamo distinguere diverse forme in base alla durata dei sintomi: Acute (pz con febbre, shock settico, ecc...): 6 settimane (pz con lieve febbre, perdita di peso, ecc…) Croniche: >3 mesi Pazienti anziani ed immunocompromessi possono avere presentazioni atipiche, ad esempio senza febbre. Sintomi: Febbre, molto comune ma non sempre presente (1 pz su 4 non ha febbre) Sintomi sistemici o Malessere o Affaticamento Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 9 a 23 o perdita di peso o Brividi Soffi cardiaci (di nuova insorgenza o peggioramento di soffi già presenti) Fenomeni immunologici legati alla risposta infiammatoria dell’ospite (es: la produzione di immunoglobuline che determina la formazione di immunocomplessi): il paziente infatti ha una risposta infiammatoria e immunitaria disregolata, in particolare in quei pazienti patologici da diverso tempo (spesso quindi non in pazienti con presentazione iperacuta), sono fenomeni che al giorno d’oggi sono più rari perché la diagnosi di endocardite è più facile da eseguire di un tempo. È importante però tenere conto dei seguenti segni clinici: - noduli di Osler (a sx): tipicamente dolenti, dolorabili, eritematose e con segni infiammatori, sono tumefazioni presenti principalmente a livello palmare e plantare dove vi è deposizione di immunocomplessi. - macchie di Roth (a dx): non diagnosticabili senza una visita oftalmologica, legati a fenomeni simil- vasculitici a livello della retina dove si creano emorragie secondarie a depositi di immunocomplessi - glomerulonefriti da immunocomplessi - fattore reumatoide positivo: non perché ci sia artrite reumatoide ma nell’ambito di una disregolazione del sistema immunitario. Fenomeni vascolari legati all’embolizzazione della vegetazione, sono molto frequenti e spesso permettono di fare diagnosi. A valle dell’embolo si sviluppa ischemia. embolismi arteriosi, per esempio a livello splenico (a sx) infarti polmonari embolizzazione cerebrale, che può sovra infettarsi portando ad ascessi cerebrali aneurismi micotici, non sono dovuti a funghi, ma sono legati a infezione e infiammazione dei vasa vasorum scompenso cardiaco emorragia congiuntivale lesioni di Janeway (a dx): appaiono come ecchimosi, principalmente a livello periferico, tipicamente non dolenti e non dolorabili, legate ai fenomeni vascolari embolici che si generano a livello sistemico. Entrano in diagnosi differenziale con i noduli di Osler. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 10 a 23 Alcuni sintomi sono particolarmente frequenti, come la febbre, mentre altri, come i noduli di Osler, sono presenti solo nel 3% dei casi pur essendo considerati una caratteristica tipica dell’endocardite. Diagnosi Ci sono dei criteri diagnostici, i cosiddetti criteri di Duke modificati, che si suddividono in criteri maggiori e criteri minori, grazie ai quali si può giungere ad una diagnosi definita o possibile. I criteri maggiori sono: - il criterio microbiologico, ovvero: o la presenza di emocolture positive per un patogeno tipico o più emocolture positive per un patogeno che non è tipico di endocardite. (es: pz che ha 300 emoculture positive per E.coli, nonostanze la terapia antibiotica di due settimane allora è giusto ipotizzare un’endocardite; nel caso di uno S. aureus bastano poche emocolture positive per pensare a un’endocardite) o un altro un criterio maggiore microbiologico è la sierologia per la Coxiella (di fatto ricordatevi l’emocoltura che è più importante!). - il criterio di imaging: (visualizzazione delle vegetazioni a livello della valvola cardiaca) o l’esame principale per vedere la vegetazione endocarditica è l'ecocardiogramma; o si possono utilizzare anche altre due metodiche che sono la TAC cuore (usata meno), che permette di vedere per esempio la presenza di ascessi perivalvolari, oppure la PET, che però è un esame che serve solamente per le endocarditi protesiche, perché per le infezioni a valvola nativa ha specificità e sensibilità più basse. - Il criterio chirurgico: analisi macroscopica della valvola da parte del chirurgo. - I criteri minori sono: o la presenza di fattori predisponenti; o la presenza di febbre (>38°); o la presenza di fenomeni vascolari o la presenza di fenomeni immunologici; o la presenza di evidenza microbiologica minore, ovvero emocolture positive ma senza soddisfare il criterio maggiore La diagnosi sarà definita se ci sono: - tutti e due i criteri maggiori - un criterio maggiore e tre criteri minori - tutti e cinque i criteri minori. La diagnosi sarà invece possibile se ci sono: - un criterio maggiore e un criterio minore - tre criteri minori. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 11 a 23 Quindi cosa succede quando abbiamo di fronte un paziente con l’endocardite? Bisogna valutare se l’endocardite è definita in base ai criteri e se lo è non servono ulteriori approfondimenti. Se si ha invece sospetto di un’endocardite possibile o addirittura poco verosimile, se rimane un dubbio elevato, ma non è ancora chiaro se c'è la diagnosi o no, a parte ripetere l'ecocardiogramma, quello che possiamo fare è accertare ulteriormente la diagnosi, andando a cercare, anche se il paziente non ha segni e sintomi, delle embolizzazioni. Ad esempio, se voi avete il dubbio che il paziente abbia un’endocardite ma fate una TAC e vedete un’embolizzazione splenica la diagnosi è fatta. Questo è il motivo per cui nella stadiazione del paziente con l'endocardite si cercano sempre gli emboli settici, anche se il paziente non ha segni o sintomi; quindi, tutti i pazienti con endocardite andranno a fare una stadiazione con una TAC encefalo, torace e addome per cercare embolizzazioni sistemiche. L'altra possibilità è fare la PET che si fa soprattutto per le infezioni protesiche. Dal punto di vista microbiologico l'esame cardine è l’emocoltura. Si effettuano 3 set di emocolture (6 flaconi,3 per gli aerobi e 3 per gli anaerobi). Inoltre, è molto importante che vengano fatte da punture venose diverse per escludere la Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 12 a 23 contaminazione. Questo perché è chiaro che se vengono fatti tre set in diversi punti, si può dire con una certa certezza che si tratta di un vero patogeno, se invece magari non si è disinfettato bene e vengono fatte le emocolture da un unico sito ed escono positive non si può dire se quello è un contaminante o no. Quindi vengono fatti almeno 3 set, a intervalli di 30 minuti (in realtà un po' dibattuto). La cosa più importante è farle da accessi diversi, ovviamente se si fanno a 30 minuti di distanza per definizione saranno accessi diversi. Ci sono potenziali cause di endocardite con emocolture negative, in quel caso quello che si può fare sono metodiche sierologiche o di biologia molecolare oppure l'immunoistologia, che si può fare ovviamente solamente se abbiamo la valvola espiantata del paziente. Per quanto riguarda l’imaging, quindi l'altro criterio maggiore, l'esame cardine è l'ecocardiogramma, sia come specificità che come sensibilità, in particolare quello transesofageo(TEE). Si può valutare anche di usare una multi-slice cardiac TAC, che ha una buona sensibilità e una discreta specificità. L'altro tipo di esame è la PET, un esame funzionale (rispetto alla TAC che è più morfologico, strutturale), che permette di verificare la captazione di glucosio (in particolare il marcatore fluoro- desossi-glucosio) da parte delle cellule, quindi, la PET è positiva in caso di infiammazione in senso lato e in caso di endocardite si avrà sicuramente infiammazione. Tuttavia, è stato visto che è utile soprattutto per i pazienti che sono portatori di protesi valvolare. Nei pazienti che hanno valvola nativa, la PET non ha una resa diagnostica elevata, utile per vedere i siti di embolizzazione. L'ecocardiogramma transesofageo, a differenza del transtoracico, si fa con una sonda ecografica che viene introdotta in esofago. L’ecocardiogramma transesofageo è più sensibile rispetto a quello transtoracico in quanto le valvole sono più vicine, perché in mezzo non ci sono tutta una serie di altre strutture, come lo sterno, i muscoli pettorali e la sovrapposizione polmonare; infatti, lo spazio compreso tra l'esofago e il cuore è minimo e quindi l’eco transesofageo è sicuramente più sensibile. Ricapitolando, quando un paziente ha endocardite su valvola nativa o protesica, si procede con le emoculture e l’eco transesofageo, per avere una diagnosi, per poi andare ad approfondire in un secondo momento, con le altre le tecniche di imaging, eventuali embolizzazioni o altri siti di infezione. Trattamento Il trattamento dell’endocardite si basa sulla terapia antibiotica ed eventualmente sulla chirurgia. Spesso la sola terapia antibiotica non è sufficiente per eradicare il biofilm batterico e spesso diventa necessario rimuoverlo meccanicamente con un intervento chirurgico di sostituzione valvolare. Quando si sceglie la terapia antibiotica bisogna optare per battericidi (che uccidono il batterio), in grado di penetrare il biofilm. La terapia impostata deve però essere di lunga durata in quanto l’infezione è sicuramente difficile da eradicare. La durata di terapia si conta dal primo giorno di emocolture negative (perché in quel caso si può dire di aver ridotto la carica batterica in maniera significativa) oppure dal giorno della chirurgia se il colturale della valvola (tolta e mandata in microbiologia) è positivo: vuol dire che in seguito all’intervento la carica batterica non è ancora stata ridotta di molto. Quindi se si inizia il trattamento di un paziente il 1 ottobre e le prime emocolture negative sono il 10 ottobre, si conterà il trattamento come efficace dal 10 ottobre, se io inizio il trattamento al paziente il 1 ottobre e fa l'intervento il 15 ottobre e la valvola espiantata ha colture ancora positive, conto dalla data dell'intervento, indipendentemente da quando le colture sono risultate negative. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 13 a 23 Vi sono una serie di difficoltà che sfavoriscono l’eradicazione dell’infezione: - la formazione di biofilm; - una densità batterica elevata; - i batteri crescono lentamente, quindi anche gli antibiotici sono meno efficaci, soprattutto quelli che sono attivi sulla replicazione cellulare; - l'attività metabolica è bassa, quindi anche gli antibiotici che sono attivi su altri pathway metabolici sono meno efficaci; - quando un paziente ha un’endocardite su materiale protesico, succede che il materiale protesico non è vascolarizzato e di conseguenza, l'antibiotico proprio come penetrazione farebbe fatica ad arrivarci. Pertanto, i principi da seguire per avere una buona probabilità di eradicare l’infezione sono: - prediligere antibiotici battericidi, cioè è essenziale che i batteri muoiano, non solo che non si replichino più. Se voi date gli antibiotici batteriostatici in batteri che già non si stanno replicando serve a poco. Quindi, meglio dare dei battericidi; - utilizzare antibiotici che abbiano una buona penetrazione a livello del biofilm; - soprattutto bisogna cercare di rimuovere il materiale protesico, perché se in quella sede l’antibiotico non ci arriva, è possibile che voi diate anche settimane di terapia senza raggiungere alcun risultato; - infine, la terapia deve essere di lunga durata proprio per tutti questi motivi, e quindi si parla tendenzialmente almeno di 4 settimane. La durata di terapia viene considerata dalla data delle prime emocolture negative oppure dalla data dell'intervento chirurgico (se c'è stato) nel caso in cui la coltura della valvola espiantata sia positiva. La durata della terapia è di: 4 settimane su valvola nativa senza complicanze 6 settimane su valvola protesica o su qualunque valvola ma con complicanze Trattamento Stafilococchi C’è una differenza nel trattamento degli Stafilococchi in base al fatto che si tratti di una valvola nativa o di una valvola protesica, e in base al fatto che il batterio sia sensibile o meno alla meticillina. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 14 a 23 Per quanto riguarda endocardite causata da stafilococco meticillino snesibile(MSSA): o Se su valvola nativa, si tratta con l’Oxacillina (che di fatto è la meticillina) oppure con altre penicilline anti-stafilococciche (meno usate) o cefazolina o Se su valvola protesica, si utilizza oxacillina o cefazolina, in associazione a rifampicina e gentamicina(quest’ultima solo per 2 settimane). Se, invece, lo stafilococco è meticillino resistente(MRSA): o Se su valvola nativa, si tratta con Vancomicina o Daptomicina o Se su valvola protesica, si tratta con vancomicina, in associazione a rifampicina e gentamicina Trattamento Streptococchi Per quanto riguarda gli Streptococchi, la stragrande maggioranza è sensibile alle penicilline. Quindi, si usa la penicillina (in Italia la penicillina non c'è più, non viene più prodotta). I farmaci più utilizzati sono l’Amoxicillina o l’Ampicillina, che sono delle aminopenicilline oppure le cefalosporine (Ceftriaxone). Si può eventualmente valutare, se il paziente sta bene, è giovane, non ha fattori di rischio e la valvola è nativa senza complicanze: questo è l'unico caso in cui si può fare un trattamento breve di sole due settimane, ma in combinazione con la Gentamicina (quindi amminoglicoside + beta-lattamico per due settimane). I rarissimi casi di Streptococchi resistenti alla penicillina possono giovarsi di solo una terapia di combinazione, sempre di durata complessiva di quattro/sei settimane, di un betalattamico+ l’amminoglicoside. Trattamento Enterococchi Per quanto riguarda gli Enterococchi, essi sono intrinsecamente resistenti al Ceftriaxone e alla maggior parte delle cefalosporine. Quando si imposta la terapia bisogna valutare se l’enterococco del caso è ampicillino-sensibile o ampicillino-resistente: di solito l’E. faecalis è ampicillino-sensibile mentre l’E. faecium sono ampicillino resistenti. - Per gli ampicillino- sensibili il trattamento di elezione è sempre un trattamento di combinazione e ce ne sono due che si usano: o Quello classico, che si è usato di più storicamente, è Amoxicillina (o Ampicillina, che è più frequente) in combinazione con Gentamicina. Questo perché i beta-lattamici sono sinergici con gli aminoglicosidi, perché vanno a distruggere la barriera microbica e fanno sì che l’aminoglicoside possa penetrare più facilmente a livello della cellula; da solo l’aminoglicoside non funziona, e quindi bisogna sempre darlo in sinergia con il beta- lattamico. Il problema è che la terapia ha un'elevata tossicità, in particolare tossicità renale. o Quello che sta venendo utilizzato effettivamente più frequentemente è la combinazione di Ampicillina con Ceftriaxone. Il Ceftriaxone da solo non funziona per gli Enterococchi; invece funziona in combinazione con l’Ampicillina. o per i microrganismi resistenti all’ampicillina bisogna dare vancomicina in combinazione con gentamicina - Per i gram negativi e per altri organismi ci sono delle terapie particolare che non sono necessarie da ricordare ma bisogna sapere che sono diverse da usare rispetto a quando l’agente eziologico è un gram positivo. Lo stesso vale per le endocarditi con emocolture negative, per le quali si utilizzano altri antibiotici quali doxiciclina, cotrimoxazolo ecc e soprattutto la durata della terapia è nettamente maggiore (tra i 6 e i 18 mesi). Trattamento empirico Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 15 a 23 Quando si è in attesa delle emocolture o non è ancora conosciuta la causa dell’endocardite è necessario impostare una terapia empirica. Le linee guida dicono che i pazienti che hanno una valvola nativa con un'infezione acquisita in comunità oppure che hanno un'infezione protesica tardiva (a più di un anno dall'intervento, quindi che si considerano come se non avessero più esposizione a fattori di rischio ospedalieri) vadano trattate cercando di coprire le possibili classi di batteri che colpiscono in comunità e che possono causare endocardite: Stafiloccocco aureus (che se è acquisito in comunità sarà meticillino sensibile), Streptococchi e Enterococchi. Le linee guida, quindi, consigliano ampicillina in combinazione con ceftriaxone, oxacillina in combinazione con la gentamicina. Nel caso di pazienti allergici si utilizza la vancomicina. Per i pazienti, invece, che hanno una infezione protesica precoce, quindi entro 12 mesi dall'intervento, oppure se hanno un'endocardite sia nativa che precoce associata a cure ospedaliere, il trattamento empirico si basa su antibiotici che agiscono su tutti gli Stafilococchi meticillino- resistenti. In questi casi non si dà l’oxacillina bensì la vancomicina (che copre anche Streptococchi ed Enterococchi e per i quali quindi non è necessaria l’ampicillina), con l’aggiunta anche di gentamicina oppure di rifampicina se c’è un’endocardite protesica. Per i pazienti, invece, che hanno una infezione protesica precoce, quindi entro 12 mesi dall'intervento, oppure se hanno un'endocardite sia nativa che precoce associata a cure ospedaliere, il trattamento empirico si basa su antibiotici che agiscono su tutti gli Stafilococchi meticillino- resistenti (sia Stafilococco aureo che Stafilococchi coagulasi-negativi). Al di là di quello che dicono linee guida, bisogna sempre valutare il trattamento in base a quello che verosimilmente ha il paziente. Trattamento chirurgico L'altro aspetto della terapia da considerare importante è la parte chirurgica. I pazienti che hanno endocarditi devono fare chirurgia tendenzialmente quando ci sono una serie di condizioni che si raggruppano in tre indicazioni, che sono: Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 16 a 23 - un'indicazione legata al quadro cardiaco emodinamico. Se il paziente ha una valvola insufficiente e va in insufficienza cardiaca, si deve cambiare la valvola e quindi agire chirurgicamente; - l'altra indicazione è l’infezione non controllata. Se il paziente nonostante l'antibiotico va peggio (continua ad embolizzare oppure ha degli ascessi perivalvolari) è necessaria la chirurgia perché devo cercare di eliminare la fonte dell'infezione; - l’ultima indicazione è la prevenzione dell'embolismo. Le embolizzazioni sono frequenti nei pazienti con endocardite e sono tanto più frequenti quanto sono più grosse le vegetazioni e ci sono vari cut- off dimensionali (vegetazioni > 3 cm oppure vegetazioni che continuano a embolizzare nonostante terapia antibiotica sono indicazioni alla chirurgia). Di fatto, il non fare la chirurgia in pazienti che avrebbero indicazione chirurgica, è associato ad aumentata mortalità. Miocardite Si tratta dell’infiammazione del miocardio. Nel miocardio ci sono tutta una serie di elementi cellulari che sono i miociti, gli elementi vascolari, il sistema di conduzione, la presenza di nervi autonomici e l’interstizio. L’infiammazione può coinvolgere tutte queste strutture. Per definizione, in base alla cronologia delle manifestazioni le miocarditi possono essere distinte in acute, subacute o croniche. Inoltre, in base all'estensione dell'interessamento, quindi, se per esempio interessa tutto il miocardio oppure solamente alcune zone del miocardio possono essere definite focali o diffuse. È frequente l’interessamento concomitante di miocardio e pericardio e quindi in quel caso si parla di una miopericardite. Incidenza L'incidenza di miocardite è molto verosimilmente sottostimata. È una patologia molto più comune di quanto venga diagnosticata. Questo perché: la diagnosi è abbastanza difficile e la biopsia endomiocardica non è una procedura che viene fatta frequentemente e quindi non permette di fare sempre diagnosi; inoltre, è una patologia che avviene molto frequentemente in maniera subclinica. Per esempio, i pazienti che hanno le virosi, anche magari paucisintomatiche, spesso hanno un interessamento miocardico che poi si auto-risolve. Di fatto, l'incidenza non è particolarmente alta, ma fino al 5% di tutti i pazienti con infezioni virali (1 paziente su 20) possono avere un qualche tipo di interessamento miocarditico. Nei pazienti con patologie cardiache specifiche, fino al 17% dei pazienti con cardiomiopatia a coronarie indenni (cioè un tipo di cardiomiopatia che non è spiegata da una patologia cardiologica e cardiovascolare specifica) e fino al 40% delle morti cardiache improvvise nei giovani sono verosimilmente legate ad un quadro miocarditico. Tra l'altro ci sono degli studi interessanti in pazienti che hanno fatto riscontro autoptico, e si è visto che nel 5% dei casi di morti per qualunque causa c'è comunque un quadro di miocardite. Quindi questo fa capire che la miocardite evidentemente dal punto di vista subclinico è un'evenienza comunque molto frequente. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 17 a 23 Patogenesi Per quanto riguarda la patogenesi della miocardite, ci troviamo davanti ad un quadro che non è “semplice” come l’endocardite, nel senso che spesso le patologie sono virali e spesso il danno può essere: - diretto da parte del virus a livello di tutti gli elementi, in particolare i miociti a livello cardiaco; - ma molto frequentemente c'è anche una componente infiammatoria-immunitaria legata alla nostra risposta immunitaria ed è questo che spesso porta alla cronicizzazione della miocardite. Infatti, quello che accade tendenzialmente nella gran parte delle miocarditi è che: - vi è una iniziale fase acuta in cui c'è il virus che replica; - si passa poi alla fase subacuta in cui vi è un’iniziale risposta immunitaria; - ed a un'eventuale fase cronica, che è legata poi alla risposta immunitaria e al danno che si è verificato a livello miocardico, fino ad arrivare alla fibrosi e alla dilatazione e disfunzione contrattile. Tant'è che spesso i pazienti che fanno la biopsia endomiocardica per un quadro di cardiomiopatia cronica non hanno più il virus dentro, perché ormai tutti gli eventi legati all'infezione sono terminati e il danno dipende soltanto dalla risposta infiammatoria successiva. Cause Oltre alle miocarditi infettive vi sono quelle immuno-mediate e quelle tossiche (da farmaci). Tra le cause infettive quelle più comuni sono quelle virali (più di quelle batteriche). àTra le infezioni virali le principali sono quelle causate da: - enterovirus e affini (coksakie, echovirus,) - Virus influenzali. La miocardite in corso di influenza è una patologia anche relativamente comune con un'elevata morbilità e mortalità. Quindi un paziente che si presenta con una influenza severa che ha un quadro anche cardiologico è possibile che abbia una miocardite. - Tra i virus a DNA vi sono: Adenovirus; Parvovirus B19, causa frequente di miocardite, soprattutto nel giovane; Human Herpes virus 6 (HHV-6), che invece è comune soprattutto nei pazienti immunocompromessi; citomegalovirus (CMV). - Sars-Cov2, che causa miocardite in corso di Covid- 19. àTra le infezioni batteriche le principali sono: - la difterite (Corynebacterium diphtheriae). Fortunatamente ormai non frequente, ma buona parte della mortalità Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 18 a 23 della difterite era legata ad una miocardite; - una patologia che sfortunatamente è sempre più comune, che è la malattia di Lyme, dovuta alla Borrelia Burgdoferi, che può dare interessamento miocarditico soprattutto per quanto riguarda il sistema di conduzione, infatti, sono soprattutto le alterazioni elettrofisiologiche quelle che si vedono nei pazienti con la miocardite causata da Borrelia. àTra le patologie un po’ più particolari, quindi protoazoarie e parassitarie c'è: - Tripanosoma cruzi, che è causa della malattia di Chagas (in Italia non è molto diffusa, ma è diffusa in particolare in Bolivia e in altre zone del Sud America); - Trichinella spiralis che causa la trichinellosi (o trichinosi), che non dà solamente un interessamento miocarditico ma può dare un interessamento muscolare in generale, quindi miositi; Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 19 a 23 Presentazione clinica Il motivo per cui la miocardite è difficile da diagnosticare è che ha una presentazione estremamente variabile e che spesso e volentieri mima quella che è una sindrome coronarica acuta, per cui il paziente si presenta come se avesse un infarto. La presentazione clinica può variare tra asintomatica e patologia fulminante, cioè il paziente muore di insufficienza cardiaca oppure muore di aritmia maligna legata ad alterazioni del sistema di conduzione. Spesso sono presenti sintomi non specifici o sintomi di infezione sistemica, come febbre e malessere e il decorso può essere acuto, subacuto o cronico. Le linee guida distinguono quattro quadri clinici principali: - Quello da sindrome coronarica acuta, quindi con un dolore toracico che sembra e potrebbe essere simile a quello che si ha durante la sindrome coronarica acuta con: alterazioni ECG del tratto ST; una possibile disfunzione ventricolare; un rialzo degli indici di necrosi cardiaca, come la troponina. Per fare diagnosi differenziale serve studiare le coronarie: se il paziente ha la miocardite queste saranno libere da ostruzioni significative. - Un'altra possibile presentazione, invece, è quella di un peggioramento della funzionalità cardiaca, quindi un'insufficienza cardiaca di nuova comparsa o in peggioramento, che si manifesta con i classici sintomi di uno scompenso cardiaco, quindi dispnea, edema periferico, disturbi toracici e affaticamento. - Altra possibilità invece è un quadro più cronico, cioè un paziente che ha un'insufficienza cardiaca cronica altrimenti non spiegata da altre cose. - Infine, ci sono quelle che sono le cosiddette Life-threatening condition, cioè tutte aritmie maligne quali fibrillazione ventricolari, tachicardie ventricolari, o addirittura shock cardiogeno. Diagnosi Per quanto riguarda la diagnosi, innanzitutto, bisogna avere un quadro clinico compatibile, quindi avere il dolore toracico, avere un peggioramento dei sintomi cardiaci che può essere nuovo oppure subacuto-cronico, shock cardiogeno oppure aritmie. Queste tipiche presentazioni cliniche devono essere associate ad: - Alterazioni elettrocardiografiche - Indici di necrosi cardiaca - alterazioni strutturali a livello ecocardiografico, per vedere la disfunzione ventricolare - diagnosi differenziale con la risonanza magnetica cardiaca, che descrive bene i tessuti e dà il quadro di infiammazione a livello miocardico. Le linee guida suggeriscono che in caso di miocardite il paziente deve essere ricoverato e, prima di tutto, bisogna escludere la patologia coronarica, che chiaramente è una delle cause più frequenti di tutte queste presentazioni citate, e una volta che si è esclusa la patologia coronarica, andrebbe fatta la biopsia endomiocardica. In realtà, la biopsia endomiocardica non viene fatta in tutti i pazienti, quindi questo è suggerito, ma può essere fatto soprattutto nei pazienti in cui c'è qualche dubbio di tipo diagnostico. Trattamento Purtroppo, il trattamento della miocardite è un trattamento delle conseguenze della miocardite stessa perché trattamenti eziologici ce ne sono ben pochi. Tendenzialmente i pazienti con la miocardite hanno un andamento che: Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 20 a 23 - nel 50% dei casi è di risoluzione spontanea, quindi si risolve, il paziente non ha più problemi; - per il restante 50% dei casi si ha: un 25% con una disfunzione cardiaca cronica persistente in seguito alla miocardite; un altro 25% che ha un andamento negativo tale da avere o un outcome fatale (morte) oppure ha bisogno del trapianto cardiaco perché si ha una disfunzione cardiaca importante. La possibilità, in attesa del trapianto cardiaco è utilizzare dei sistemi che si chiamano dispositivi di assistenza ventricolare LVAD, che permettono in qualche modo di ovviare alla disfunzione cardiaca in attesa del trapianto. Di solito questi sistemi vengono utilizzati come ponte al trapianto. Quindi si trattano le condizioni del paziente: àse il paziente è instabile si deve trattare o con questi dispositivi di assistenza oppure con il trapianto cardiaco; àse il paziente è emodinamicamente stabile, si monitora e, eventualmente si diuretizza, si danno farmaci inotropi che fanno sì che il paziente possa mantenere la funzione ventricolare adeguata. Molto importante è la gestione delle aritmie perché possono essere anche potenzialmente letali. Le aritmie si gestiscono con il pacemaker se il problema è di bradiaritmia, per cui bisogna avere uno stimolo continuo, oppure con i defibrillatori se i pazienti rischiano di avere aritmie maligne come la fibrillazione ventricolare. Evitare l'esercizio fisico è importante. Per quanto riguarda la terapia eziologica purtroppo non c’è granché. Si è provato ad utilizzare le immunoglobuline ad alte dosi, ma i risultati sono stati poco convincenti. Spesso i pazienti vengono immunosoppressi perché la causa principale della miocardite è la risposta infiammatoria esagerata. Una volta escluse fasi infettive attive, quindi di essere nella fase iperacuta dell’infezione, a quel punto si danno gli immunosoppressori. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 21 a 23 Pericardite La pericardite è una infiammazione del pericardio quindi lo strato esterno e rivestimento esterno al cuore. È la patologia più comune del pericardio. Non è così frequente come la miocardite o l’endocardite, si vede un po’ più raramente, anche se fra tutti i casi di dolore toracico un 5% è legato ad una pericardite. Ha una frequenza di recidive abbastanza alta. I soggetti più a rischio sono soprattutto i giovani adulti. È una patologia che ha un alto grado di recidiva, circa 1/3 di pazienti hanno un quadro concomitante di miopericardite. I quadri di pericardite si definiscono per tempistiche in diverse categorie: Acuta, se dura meno di 4/6 settimane; Incessante, se i sintomi vanno avanti per più di 4/6 settimane, ma meno di tre mesi, senza mai risolversi; Ricorrente, se vi è una risoluzione dei sintomi per alcuni periodi ma dopo vi è una nuova recidiva; Cronica, se invece i sintomi persistono per più di tre mesi. I sintomi sono: la presenza di dolore pericardico, la presenza di sfregamenti pericardici in auscultazione, elevazione del segmento ST in tutte le derivazioni e versamento pericardico più sintomi, segni di infiammazione di laboratorio e evidenza di infiammazione pericardica all'imaging. Patogenesi Le cause infettive possono essere virali, batteriche e tubercolari. →Le pericarditi virali sono sicuramente quelle più frequenti. Spesso vi è una diffusione ematogena, si ha infiammazione del pericardio poi un versamento che può portare fino al tamponamento e talvolta una concomitante miocardite. Quindi, si ha una disfunzione cardiaca legata al fatto che il cuore non riesce a contrarsi adeguatamente. →La pericardite batterica, invece, che è più rara ma è molto più grave, può essere legata principalmente a tre meccanismi fisiopatologici che sono: - Diffusione da un focus contiguo. Per esempio, vi è un empiema pleurico (versamento pleurico che si è infettato), quindi un’infezione a livello della pleura, che infiamma il pericardio. Quindi è possibile che per contiguità l'infezione si diffonda anche a livello del pericardio. - Diffusione ematogena, quindi vi è una batteriemia e l’infezione si localizza a livello del pericardio. Questo è più raro e avviene soprattutto con lo S.aureus; - Infezione diretta, ad esempio dopo un intervento chirurgico (pericardiotomia), il paziente per qualche motivo ha un'infezione a livello locale. →La pericardite tubercolare in realtà è tutta una patologia a sé. Si divide in vari stadi di infezione: c'è una fase acuta in cui ci sono i micobatteri e la formazione di granulomi, che sono quelli classici che si formano nella tubercolosi; successivamente si ha prima un iniziale versamento pericardico ma poi man mano si prosegue verso la fase cronica che è quella di una pericardite costrittiva- calcifica, dunque oltre al versamento, il pericardio si è calcificato ed è diventato rigido e quindi il cuore non può più contrarsi adeguatamente. In quel caso spesso la causa è la tubercolosi che dà proprio tipicamente questo quadro di pericardite costrittiva-calcifica. Questo avviene non subito, cioè non nell’infezione acuta da micobatterio tubercolare, ma tipicamente dopo un po’ di tempo. L’unico trattamento è la perdicardiectomia. Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 22 a 23 Eziologia La maggior parte delle cause infettive sono cause virali. In realtà la stragrande maggioranza delle cause di pericardite sono idiopatiche, vuol dire che non si arriva a una diagnosi (non che non abbia una causa). Ci sono anche pericarditi di origine autoimmune o neoplastica. L'eziologia varia a seconda delle casistiche: la pericardite tubercolare è molto più comune nei paesi a basso reddito, quindi in Africa; le pericarditi di altra causa o le pericarditi idiopatiche o immunologiche o le pericarditi paraneoplastiche sono molto più comuni nei paesi sviluppati. Presentazione clinica C'è un dolore toracico che è un po' diverso dal dolore, che si ha per esempio, nelle sindromi coronariche acute o nella miocardite. Infatti, è tipicamente un dolore di tipo pleuritico/parietale/viscerale un dolore ben localizzato dal paziente ed è migliorato dallo stare seduti, piegandosi in avanti; infatti in questo modo si fa sì che ci sia una compressione di quello che è il versamento e quindi si riduce tutta la parte infiammatoria alleviando po' i sintomi. All’auscultazione si possono sentire degli sfregamenti pericardici, quindi dei rumori tra un tono e l'altro, che sono legati allo sfregamento proprio dei foglietti pericardici infiammati. Inoltre, ci sono delle modificazioni elettrocardiografiche e tipicamente quel che si vede è un sopraslivellamento del tratto ST in tutte le derivazioni precordiali, cosa che di solito nei quadri di infarto non si ha perché solitamente il sopraslivellamento è legato alla zona di necrosi miocardica e poi si ha un sottoslivellamento reciproco, nella zona opposta. E’ anche frequente avere il versamento pericardico che è legato al fatto di avere l'infiammazione. Si può arrivare fino al tamponamento cardiaco, in cui c'è talmente tanto versamento che il cuore non riesce più a contrarsi. E dal punto di vista clinico si ha la triade di Beck, legata alla disfunzione cardiaca in cui si ha: 1. elevata pressione venosa giugulare; 2. presenza di toni cardiaci attutiti perché c'è talmente tanto versamento quindi non sentite bene i toni cardiaci 3. ipotensione, perché non si riesce ad alzare la pressione, nel senso che non contraendosi adeguatamente il ventricolo non avrete una pressione sistolica adeguata. Trattamento La pericardiocentesi, cioè la procedura di rimozione del liquido dal pericardio, di solito non è indicata di routine se non: in pazienti con tamponamento cardiaco (perché in questi pazienti è necessario togliere il liquido, in modo che il cuore ricominci a funzionare adeguatamente; se c'è troppo liquido dentro il cuore non si contrae e quindi non potete risolvere il problema se non svuotandolo); in pazienti che siano sintomatici e che non abbiano risposto a terapia medica conservativa, (antinfiammatori, diuretici ecc); nel caso si sospetti una eziologia batterica o neoplastica e in quel caso è a scopo diagnostico. Ad esempio, un paziente che ha avuto una batteremia da S.aureus sviluppa una pericardite, è possibile che sia una pericardite purulenta e per accertarlo è necessario fare una pericardiocentesi, oppure vi è un paziente che ha un tumore polmonare e ha un versamento pericardico è importante escludere un interessamento neoplastico o paraneoplastico. Anche per le pericarditi non vi è un trattamento eziologico, soprattutto per quanto riguarda le pericarditi virali. Quindi quello che si fa in tutti i pazienti è dare un anti-infiammatorio (tipicamente si danno dei Malattie infettive – endocarditi, miocarditi, pericarditi Pag. 23 a 23 FANS) e la colchicina, e si possono eventualmente dare corticosteroidi a basse dosi, questo soprattutto dopo aver escluso le cause infettive primarie. Se i pazienti, nonostante questo trattamento, hanno una recidiva, si può di nuovo riprovare con il trattamento iniziale che è stato fatto prima, altrimenti le linee successive sono fare le immunoglobuline endovena, l’Anakinra, farmaco anti-recettore di IL1 o l'azatioprina. Solo in ultima istanza c'è addirittura la possibilità di fare la pericardiectomia, cioè se il paziente ha una pericardite talmente costrittiva, che non permette di avere un'adeguata funzionalità cardiaca quello che si fa è togliere il pericardio, che è un intervento complesso ma togliendolo si è certi che non si possa più formare il versamento pericardico. Ovviamente il trattamento di quella batterica invece è con antibiotici e drenaggio. In tutti in quei casi in cui è presente materiale purulento il primo passo è sempre il drenaggio. Il trattamento di quella tubercolare con la terapia anti-micobatterica, quindi la classica terapia antimicobatterica di sei mesi in cui i primi due mesi sono con la quadruplice terapia, isoniazide, rifampicina, etambutolo e pirazinamide mentre i successivi quattro mesi di mantenimento sono solo con isoniazide e rifampicina. A questa si aggiungono l'utilizzo degli steroidi, che potrebbero prevenire la pericardite costrittiva, e la pericardiectomia, nel caso di pericardite costrittiva calcifica (fase finale della pericardite tubercolare).

Use Quizgecko on...
Browser
Browser