Manuale di Psichiatria PDF

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2014

R. Quartesan, S. Elisei, L. Ferranti, P. Moretti, T. Sciarma

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psychiatry mental health psychology dsm5

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This document is a summary of the book "Manuale di Psichiatria. Nuova edizione aggiornata al DSM5." It aims to facilitate the study of the subject by providing a concise overview of key concepts. The summary covers semeiotics, psychopathology, and various psychiatric disorders.

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“Manualino di Psichiatria” Riassunto del libro: “Manuale di Psichiatria. Nuova edizione aggiornata al DSM5” di R. Quartesan, S. Elisei, L. Ferranti, P. Moretti, T. Sciarma. Morlacchi Editore. P...

“Manualino di Psichiatria” Riassunto del libro: “Manuale di Psichiatria. Nuova edizione aggiornata al DSM5” di R. Quartesan, S. Elisei, L. Ferranti, P. Moretti, T. Sciarma. Morlacchi Editore. Perugia. 2014. NOTA: questa dispensa contiene un riassunto del libro di testo sopracitato ed è volta a facilitare lo studio della materia. Conseguentemente, tutte le nozioni descritte fanno indirettamente riferimento alle fonti usate per la stesura del Manuale. “Manualino di Psichiatria” Indice Semeiotica e terminologia psicopatologica 1 Psichiatria e Neuroscienze 6 Disturbi neurocognitivi 16 Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction 21 Disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici 28 Disturbi depressivi 35 Disturbi bipolari e disturbi correlati 40 Disturbi d’ansia 45 Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi correlati 49 Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti 53 Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati 57 Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione 60 Disturbi di personalità 65 Fondamenti di psichiatria psicodinamica 72 Psicofarmacologia 79 Psicoterapie 94 Legislazione psichiatrica 96 SEMEIOTICA E TERMINOLOGIA PSICOPATOLOGICA 1. Introduzione È bene sapere che le “funzioni psichiche” sono intimamente correlate tra loro, pertanto isolare le singole funzioni serve solo ai fini della comunicazione didattica. 2. Disturbi della percezione La percezione è un processo mentale complesso che permette agli stimoli sensoriali, interni ed esterni, di essere portati a livello di coscienza, riconosciuti e confrontati con altri dati in memoria. Una prima selezione e organizzazione viene fatta dagli organi di senso; in seguito le informazioni vengono trasmesse alle vie nervose  talamo  aree sensoriali primarie  aree associative. I disturbi percettivi si distinguono in: distorsioni percettive, illusioni, allucinazioni. 1. Distorsioni percettive: quando il disturbo riguarda le caratteristiche sensoriali quantitative reali. Possono riguardare:  Intensità: (1) Iperestesia: amplificazione dell’intensità della percezione (es. suono o immagini); frequenti in attacchi di panico, stati confusionali, disturbi bipolari, psicosi acute; (2) Ipoestesia: diminuzione dell’intensità della percezione; frequente nei disturbi depressivi  Qualità: variazioni di colori e dimensioni; sono: (1) Discromatopsia: alterazioni dei colori, frequente a seguito di utilizzo di stati tossici da farmaci, sostanze d’abuso (LSD), epilessia, tumori parieto-occipitali; (2) Micropsia e macropsia: alterazioni delle dimensioni, frequenti in derealizzazione, depersonalizzazione, epilessia, tumori temporo-parietali 2. Illusioni: quanto si ha una percezione generata da un’alterata interpretazione di stimoli sensoriali reali; si può trovare sia in soggetti normali, che in condizioni patologiche (frequentemente associate ad allucinazioni). Se ne distinguono vari tipi:  Illusioni da completamento: compaiono quando il dato percettivo, in questo caso incompleto (es. frammenti di frasi udite o lette), viene completato in base ad aspettative dettate da memoria o fantasie; frequente in disattenzione e affaticamento  Illusioni affettive: compaiono quando i dati percettivi reali, in questi casi incompleti, sono influenzati da alterazioni dello stato affettivo del soggetto (es. percepire animali minacciosi in figure); frequente in disturbi d’ansia  Paraeidolie: sono il risultato dell’interpretazione fantastico-personale di stimoli sensoriali indefiniti o ambigui come macchie, nuvole, ombre (es. il Test di Rorschach) 3. Allucinazioni: quando il disturbo percettivo è rappresentato dalla creazione di percezioni senza adeguato stimolo esterno (Gilberti, Rossi, 2000), ovvero la cosiddetta “percezione senza oggetto”. Sono considerate non patologiche, in quanto transitorie e di breve durata, le allucinazioni che compaiono in corso di addormentamento o risveglio, in corso di stress, deprivazione di sonno REM o quelle che conseguono a lutti. È sempre importante considerare:  Strutturazione: vengono divise in semplici (rumori, fischi ecc.) o complesse (voci, scene ecc.)  Tematiche: minaccia, pericolo, colpa, grandezza ecc. espresse direttamente o con contenuti simbolici  Stato affettivo: le allucinazioni vengono vissute dal soggetto con intensa partecipazione emozionale di terrore, angoscia paura o, al contrario, esaltazione; possono essere congrue all’umore (es. voci di accusa nel disturbo depressivo) o incongrue all’umore (es. voci di rimprovero in soggetti in fase maniacale)  Pervasività comportamentale: comportamento del paziente dettato dal vissuto allucinatorio (es. lo schizofrenico obbedisce alle allucinazioni di comando)  Aspetti trasnosografici: le allucinazioni sono frequenti in schizofrenia (70-90% dei casi), disturbi di coscienza (delirium), epilessia, demenza, uso di sostanze, intossicazioni  Ambito sensoriale: importante individuarlo. Possono essere: (1) Allucinazioni uditive, sia semplici (suoni, rumori ecc.) che complesse (voci imperative, allusive, insultanti, minaccianti ecc.); frequenti in disturbi affettivi, dissociativi, schizofrenia; (2) Allucinazioni visive: meno frequenti, possono essere elementari (corpi luminosi ecc.) o complesse (figure, scene ecc.); frequenti in delirium tremens e astinenza da sostanze psicoattive (cocaina ecc.); (3) Allucinazioni olfattive e gustative: rare e perlopiù associate a schizofrenia e disturbi organici cerebrali; (4) Allucinazioni tattili e cenestesiche: false percezioni di tatto, caldo freddo, movimento di parti del corpo, false esperienze sessuali ecc; frequenti nella schizofrenia; (5) Allucinazioni riflesse: si verificano in concomitanza di percezioni corrette in altri ambiti sensoriali (es. vedere una fotografia e sentirne la voce); frequenti in abuso di LSD e mescalina; (6) Pseudoallucinazioni: percezioni avvertite come estranee e provenienti dalla mente (voci); (7) Allucinosi: percezioni allucinatorie poco strutturate, uditive e visive, di cui il soggetto riconosce la 1 natura patologica (capacità di critica); frequenti in epilessie, alcolismo, intossicazioni, traumi cranici, neoplasie del tronco encefalico 3. Disturbi del pensiero Il pensiero è un’attività mentale complessa che consente sia la conoscenza della realtà che la soluzione di problemi utilizzato le conoscenze acquisite: è quindi quel sistema per cui il soggetto identifica e diversifica da sé i soggetti e gli oggetti della realtà con cui si relaziona. Invece, l’ideazione è il processo mentale che conferisce ordine e forma al pensiero. 3.1 Disturbi della forma del pensiero  Disturbi intrinseci del pensiero: (1) Pensiero concreto: il soggetto non è in grado di liberarsi del significato letterario delle parole, con conseguente tendenza a selezionare la qualità fisica di un concetto a spese del significato globale; si riscontra in ritardo mentale, schizofrenia, disturbi cognitivi; (2) Pensiero iperinclusivo: aspetti falsi o irrilevanti si inseriscono in un concetto o in una categoria; presente nella schizofrenia e si associa spesso a pensiero concreto; (3) Pensiero illogico: il pensiero propone spiegazioni bizzarre, contrarie alla logica e l’eloquio è disorganizzato; frequente nella schizofrenia disorganizzata; (4) Pensiero magico: parole, azioni e pensieri sono dotati del potere di modificare la realtà e quindi di scatenare o evitare eventi  Disturbi del processo del pensiero  Con aspetti quantitativi: (1) Accelerazione ideatoria: le idee si susseguono l’una all’altra più rapidamente della norma, con nessi associativi allentati, poco logici e poco strutturati; presente in fase maniacale o in disturbi bipolari; (2) Rallentamento del pensiero: le idee si susseguono più lentamente, con attività di pensiero rallentata e impoverita ed eloquio mancante di spontaneità; caratteristico della depressione, ma anche di ipotiroidismo, quadri tossici ecc.  Con aspetti qualitativi: (1) Ruminazione: il soggetto insiste sullo stesso tema, senza mai giungere a una conclusione; (2) Condensazione o fusione: due o più idee si fondono in un’unica nuova idea bizzarra e incongrua; (3) Pensiero circostanziale: pensiero prolisso, ricco di dettagli inutili; si ha incapacità di distinguere il tema principale dagli elementi di fondo; (4) Ossessione: idea, pensiero, parola o ricordo che si intromette nella mente, da cui il soggetto non riesce ad allontanarsi; (5) Compulsione: comportamenti ripetitivi (es. lavare le mani, ordinare ecc.) o atteggiamenti mentali (es. pregare, contare, ripetere parole ecc.); (6) Tangenzialità: perdita della finalizzazione del pensiero; il soggetto non risponde alla domanda in maniera diretta o pertinente; (7) Deragliamento: passaggio improvviso dal tema di un pensiero a un altro; tipico dei disturbi schizofrenici; (8) Ideazione incoerente: frammentazione e sconnessione del pensiero, che rende il discorso incomprensibile; (9) Dissociazione: alterazione dei normali nessi associativi caratteristici del pensiero logico, per cui il pensiero diventa bizzarro e incomprensibile; (10) Neologismo: creazione di nuove parole priva di significato; (11) Risposte di traverso: risposte assurde e vaghe, in contrasto con la domanda; (12) Perseverazione: persistenza di un’idea anche quando dovrebbe essere sostituita da una più pertinente; (13) Diffusione: convinzione dell’immediata partecipazione degli altri ai propri contenuti di pensiero; (14) Eco del pensiero: il soggetto sente i propri pensieri ripetuti ad alta voce; (15) Furto del pensiero: i pensieri sono stati sottratti, per cui egli ne è completamente privo 3.2 Disturbi del contenuto del pensiero  Ideazione prevalente: idea o insieme di idee che dominano la vita del soggetto per un lungo periodo di tempo o indefinitamente; sono sostenute da un forte investimento emozionale e appaiono irragionevoli all’esterno. Si manifestano sottoforma di idee politiche o religiose sostenute con fanatica intensità. In primo stadio sono rappresentati da deliri lucidi (gelosie, erotomania ecc.) e spesso si associano a disturbi di personalità di tipo paranoide  Delirio: idea patologica falsa, non corrispondente alla realtà, non criticabile, sostenuta con straordinaria tenacia dal soggetto. I deliri si caratterizzano per: certezza soggettiva (sostenuti con insolita convinzione), incorreggibilità (non sono riconducibili alla logica), falsità del contenuto (assurdità del contenuto è palese alle altre persone). In riferimento alla modalità di insorgenza il delirio può essere: (1) Percezione delirante: attribuire un significato abnorme a una percezione reale, priva di comprensibilità; (2) Intuizione delirante: idea che, senza alcun rapporto con la realtà, insorge all’improvviso nella mente del soggetto e viene accettata come verità incontestabile. In riferimento al contenuto si distinguono: (1) Delirio di persecuzione: il paziente è convinto di essere vittima di qualcuno; (2) Delirio di veneficio: convincimento di essere avvelenati; (3) Delirio di riferimento: oggetti, persone e fatti che accadono nel quotidiano assumono un significato allusivo indirizzato alla propria persona con connotati ostili; (4) Delirio di controllo: congegni speciali, forze soprannaturali, meccanismi telepatici 2 sono in grado di controllare il pensiero del soggetto; (5) Delirio di colpa: pervaso senso di colpa; (6) Delirio nichilistico: negazione del proprio corpo o delle sue parti interne; (7) Delirio ipocondriaco: convinzione che ci sia qualcosa di disfunzionante nel proprio corpo; (8) Delirio di grandezza: convinzione di essere dotati di qualità speciali; (9) Delirio genealogico: essere convinti di non essere figli dei propri genitori; (10) Delirio erotomaniaco: convinzione di essere amati e corteggiati da persone, spesso importanti; (11) Delirio di gelosia: convinzione dell’infedeltà del partner; (12) Delirio mistico: convinzione di comunicare con una divinità; (13) Delirio di trasformazione corporea: convincimento che il corpo o parti di esso siano in trasformazione, perlopiù peggiorativa; (14) Delirio di querela: il paziente è convinto di aver subito gravi torti, per cui si rivolge spesso all’attività giudiziaria; (15) Delirio metempsicosico: convinzione di essere reincarnati 4. Disturbi della memoria La memoria consiste nella capacità di riprodurre un’esperienza passata, riconoscerla e localizzarla nel tempo e nello spazio. Questo processo è suddiviso in: (1) Fissazione (nuovo materiale viene aggiunto al bagaglio esistente); (2) Archiviazione (le informazioni vengono immagazzinate); (3) Rievocazione (richiamo volontario delle informazioni). Sulla base del tempo di conservazione, si distinguono:  Memoria immediata: l’informazione è mantenuta per meno di 1 secondo  Memoria a breve termine o memoria primaria: la traccia mnesica è conservata in un archivio momentaneo con possibilità di rievocarla per pochi minuti dopo il suo apprendimento  Memoria a lungo termine o memoria secondaria, divisa a sua volta in: (1) Memoria dichiarativa, sia episodica (storia individuale) che semantica (cultura individuale); (2) Memoria procedurale, legata alle abilità apprese (guidare l’auto ecc.) I disturbi della memoria possono essere: 1. Quantitativi: (1) Ipermenesia: aumento della capacità di memoria globale o di alcuni settori (musica ecc.); (2) Amnesia: incapacità a rievocare esperienze passate, che può essere globale o lacunare; (3) Amnesia retrogada: perdita di memoria per eventi antecedenti l’insorgenza della noxa causale; (4) Amnesia anteretrogada: perdita di memoria per eventi successivi alla noxa causale; (5) Amnesia psicogena: perdita di memoria transitoria e reversibile, conseguenza diretta di una patologia psichiatrica 2. Qualitativi: (1) Allomnesie o illusioni di memoria: ricordi falsati in funzione dello stato affettivo della persona; (2) Pseudo-amnesie: erroneo riconoscimento della situazione riconosciuta come già vista (déjà-vu) o già vissuta (déjà-vécu); (3) Confabulazioni: falsi ricordi atti a colmare i deficit mnesici esistenti; (4) Pseudologia fantastica: ricostruzione fantastica di eventi passati o attuali 5. Disturbi dell’affettività L’affettività è definita come capacità di rispondere, con modificazioni soggettive a aventi della realtà interna o esterna (quindi la capacità di provare piacere, dolore, simpatia, odio, amore ecc.). Si possono distinguere: (1) Emozione: stato affettivo intenso, di breve durata (rapida insorgenza e rapido declino); (2) Sentimento: stato affettivo stabile e duraturo; (3) Umore: stato affettivo basale, abituale, caratteristico e tipico di una persona. I principali disturbi dell’affettività sono:  Depressione: diminuzione del tono dell’umore con prevalenza di tristezza, dolore, pessimismo  Disforia: sentimento spiacevole a tonalità negativa, che si associa a irritabilità e spesso a iperattività motoria; è tipica dello stato misto in cui si verifica la contemporanea presenza delle opposte polarità depressiva e maniacale  Anedonia: perdita di interesse di capacità di provare piacere per eventi, attività ecc.  Ambivalenza affettiva: contemporanea di presenza di sentimenti antitetici (odio-amore, paura-desiderio…)  Dissociazione affettiva: risposta affettiva diametralmente opposta alla natura dello stimolo  Ansia: stato emotivo caratterizzato da senso di pericolo che insorge in assenza di stimoli adeguati. Si distinguono: (1) Ansia normale: risposta adeguata di fronte a situazioni oggettivamente traumatizzanti; (2) Ansia patologica: stato emotivo spiacevole che insorge in assenza di uno stimolo adeguato, accompagnato da sintomi somatici di vario genere (tachicardia, sudorazione ecc.); (3) Ansia libera: stato di preoccupazione generalizzato; (4) Ansia anticipatoria: stato di allarme che precede un determinato evento; (5) Ansia generalizzata: stato di ansia eccessivo e persistente nel tempo; (6) Attacco di panico: episodio di paura e terrore a sviluppo improvviso e durata limitata; si associa a tremori, sudorazione, palpitazioni; (7) Fobia: paura persistente immotivata ed esagerata per situazioni, oggetti, animali o persone  Ipocondria: timore esagerato e inadeguato di essere affetti da malattie in assenza di reperti osservabili. Si distinguono: (1) Ipocondria maior: convinzione irriducibile di essere affetti da una malattia insolita; (2) Ipocondria minor: caratterizzata da dubbi, preoccupazioni circa il proprio stato di salute 3  Mania o umore ipertimico: esaltazione del tono dell’umore di base con euforia, prevalenza di sensazioni piacevoli, accompagnato da agitazione, iperattività, ipersessualità, accelerazione ideica e del linguaggio 6. Disturbi della coscienza La coscienza è lo stato di consapevolezza di sé stessi, del proprio interno, del proprio corpo e dell’ambiente esterno; tutto questo garantisce di giudicare, discriminare, scegliere. Le sue dimensioni sono: (1) Vigilanza (veglia): facoltà di rimanere volontariamente svegli; (2) Lucidità: capacità di dirigere l’attenzione su determinati contenuti; (3) Coscienza di sé: capacità di avere esperienza e consapevolezza di sé stessi in maniera lucida. I disturbi della coscienza vengono divisi in: 1. Disturbi dello stato di coscienza: lo stato di coscienza rappresenta la somma degli effetti dei vari processi psichici vissuti dal soggetto in un determinato momento. I suoi disturbi possono essere: (1) Alterazioni quantitative, riguardanti lo stato di consapevolezza, fino al coma; (2) Ampliamento dello stato di coscienza: condizione di aumentata consapevolezza, di solito conseguente a eventi psicotraumatici o stati tossici da sostanze; (3) Obnubilamento della coscienza: scadimento della coscienza, con sonnolenza e deficit di concentrazione, di solito in corso di tumori, traumi cranici, aumento della P endocranica ecc.; (4) Alterazione ipnoide della coscienza o torpore: il soggetto mantiene distinzione tra realtà e fantasia e tra sé stesso e il mondo, ma è rallentato e impacciato nell’eloquio; fa seguito a intossicazioni, tumori, epilessia, infezioni ecc. ; (5) Coma: il soggetto non ha risposte verbali o reazioni a stimoli dolorosi; i riflessi sono ridotti e la respirazione è lenta e profonda; (6) Delirium o stato confusionale: ridotta capacità di focalizzare, mantenere e spostare l’attenzione; (7) Alterazione oniroide della coscienza: il soggetto perde la capacità di discriminare la realtà dalla fantasia; (8) Stato crepuscolare: interruzione della continuità della coscienza, con campo di coscienza ristretto e focalizzato su alcuni eventi, idee o temi affettivi 2. Disturbi della coscienza dell’Io, divisi a sua volta in: (1) Disturbi della consapevolezza dell’attività: la consapevolezza del movimento può essere alterata nelle esperienze passive (es. “la mia mano è mossa da qualcun altro”), indicative di uno stato psicotico (depressioni) o non psicotico (stato pre-lipotimico prima di un attacco di panico); (2) Disturbi della consapevolezza dell’unità-identità-confini: incapacità di discernere dove finisce l’Io e dove inizia il non-Io, con sensazione oggettiva di estraneità a sé stessi; si possono avere depersonalizzazione autopsichica (il sentimento di estraneità riguarda il mondo mentale), depersonalizzazione somatopsichica (il cambiamento riguarda il corpo), derealizzazione (sentimento di estraneità verso il mondo esterno); frequenti in schizofrenia, intossicazione la LSD e allucinogeni 7. Disturbi dell’attenzione L’attenzione è quell’attività mentale che rende l’individuo in grado di selezionare, tra diverse alternative, il compito che vuole eseguire; è indicata anche come la capacità di concentrazione, ovvero la focalizzazione della coscienza su un atto. Si possono distinguere: (1) Attenzione di base, propria dello stato di veglia; (2) Attenzione spontanea: tensione selettiva affettiva verso l’oggetto; (3) Attenzione volontaria (attiva): scelta di concentrarsi su un determinato oggetto; (4) Attenzione involontaria (passiva): dettata da impulsi connessi ai istinti di conservazione, riproduzione, socializzazione ecc. Le principali alterazioni dell’attenzione sono:  Aprosessia: incapacità di focalizzarsi su una parte o su un aspetto dell’ambiente esterno o interno  Ipoprosessia: diminuzione globale delle capacità attentive  Iperprosessia: aumentata attenzione in corso di stati tossici indotti da psicostimolanti (allucinogeni, mescalina, anfetamine ecc.)  Distraibilità: diminuita capacità di focalizzare l’attenzione in maniera stabile 8. Disturbi dell’intelligenza L’intelligenza è la capacità generica (attitudine) di utilizzare, in modo adeguato, tutti gli elementi del pensiero necessari a riconoscere e risolvere i problemi, ovvero la capacità di richiamare alla memoria apprendimenti precedenti quando si è davanti a nuove situazioni. Il quoziente intellettivo (QI) esprime il rapporto tra: (età mentale [valutata mediante test] / età cronologica) x 100. Di seguito si trattano le alterazioni dell’intelligenza da danno organico cerebrale:  Ritardo mentale: funzionamento intellettivo globale al di sotto della media (valutato mediante QI) che si manifesta precocemente nel bambino nel corso dello sviluppo; spesso si associa a patologie internistiche e neurologiche, nonché a manifestazioni psicopatologiche (aggressività, scarso controllo di impulsi ecc.). In base all’entità, esso può essere: (1) Lieve (85% dei ritardi mentali), con QI di 50-70; l’individuo è autosufficiente, necessitando solo di minimo sostegno sociale; (2) Moderato, con QI di 35-50; l’individuo può lavorare, ma ha necessita di ambiente protetto; (3) Grave, con QI di 20-35; l’individuo necessita di assistenza continuativa; (4) Gravissimo, con QI < 20; l’individuo presenta gravi patologie organiche 4  Demenza: compromissione di una o più funzioni cognitive precedentemente acquisite, tra cui la memoria; va distinta dall’invecchiamento e si associa frequentemente a disturbi dell’umore e dell’attenzione  Regressione mentale: arresto dello sviluppo intellettivo e perdita delle capacità acquisite in precedenza 9. Volontà e psicomotricità La volontà è la facoltà di decidere consapevolmente il proprio comportamento per raggiungere un fine. Le alterazioni della volontà sono:  Abulia: riduzione dei comportamenti motivati e diminuzione dell’impulso di pianificare l’azione  Apatia: riduzione o assenza di reazioni e di risposte agli stimoli esterni  Adinamia: perdita di energie, forze e spinta di agire La psicomotricità (il comportamento psicomotorio) è l’espressione (mimica, gestuale ecc.) della vita di relazione e del mondo affettivo-pulsionale dell’individuo; consiste in un’attività diretta a un fine o al soddisfacimento di un bisogno. 1. Alterazioni qualitative: (1) Impulso: atto incoercibile, verbale o fisico, non programmato e non finalizzato a un obiettivo; (2) Acting out: messa in atto impulsiva di desideri inconsci al fine di evitare affetti dolorosi; (3) Raptus: impulso improvviso che conduce il soggetto, non cosciente, a compiere azioni violente; (4) Eccitamento o agitazione psicomotoria: aumento dell’attività psicomotoria (irrequietezza motoria, attività fisica incoordinata, eccessiva produttività verbale ecc.); (5) Acinesia o rallentamento psicomotorio: diminuzione dell’attività motoria (lentezza delle azioni) e dell’attività cognitiva; è tipica della depressione grave; (6) Stupor o arresto psicomotorio: manifestazione più grave del rallentamento psicomotorio; consiste in uno stato di immobilità in cui il soggetto non risponde al stimoli, pur presentando stato di coscienza vigile; si associa a alterato controllo degli sfinteri e rifiuto del cibo (sitofobia); (7) Catatonia: arresto psicomotorio caratterizzato da aumento del tono muscolare a riposo (rigidità muscolare) e assunzione di atteggiamenti bizzarri (posture catatoniche); associata spesso a schizofrenia, disturbi bipolare, depressione; (8) Catalessia (flexibilitas cerea): stato di immobilità senza reazione a movimenti passivi, con conseguente mantenimento da parte del soggetto di posizioni corporee, anche scomode; presente nella schizofrenia; (9) Acatisia: sensazione oggettiva di irrequietezza motoria, che si verifica in disturbi ansiosi; (10) Tic: movimenti involontari bruschi, stereotipati e iterativi; (11) Balbuzie: disturbo dell’articolazione della parola dovuto a spasmo intermittente dell’apparato fonatorio; aumenta in condizioni di impegno emotivo (es. esami) e si attua in circostanze di linguaggio automatizzato (es. canto) 2. Alterazioni quantitative: (1) Negativismo: resistenza motoria e psichica a stimoli esterni (domande, richieste, consigli); si distingue in passivo (il soggetto si oppone all’esecuzione di qualsiasi movimento) e attivo o contrario (il soggetto attua un’azione contraria a quella chiesta); tipica della schizofrenia; (2) Automatismo: il soggetto esegue in modo acritico qualunque ordine o richiesta, senza considerarne il significato o le conseguenze; si possono avere ecoprassie (ripetizioni di movimenti di qualcuno), ecolalie (ripetizioni di parole e frasi); ecomimie (riproduzioni di gestualità); (3) Stereotipia: ripetizione continua di comportamenti motori, vocali, grafici, priva di significato; frequente in schizofrenie; (4) Manierismi: espressioni mimiche o gestuali compiute in modo goffo, artefatto, esasperato 10. Personalità, temperamento, carattere La personalità è l’organizzazione dinamica individuale di sistemi psicofisici, che determinano gli adattamenti all’ambiente; è quindi il realizzarsi del processo della vita in un individuo libero, socialmente integrato e psicologicamente consapevole. Il temperamento è la mescolanza degli aspetti innati della personalità; è una condizione ereditabile, interamente manifesto fin dalla nascita e stabile per tutta la durata della vita. Il carattere è quella componente della personalità definita come debolmente ereditabile e primariamente influenzata dall’apprendimento sociale, culturale e dagli eventi di vita. 5 PSICHATRIA E NEUROSCIENZE 1. Premesse Per l’intero corso della storia documentata, tutte le culture sono state capaci di riconoscere la sofferenza psichica e la malattia mentale. Il termine “mente” viene comunemente usato nel linguaggio quotidiano (tornare in mente, passare di mente, avere in mente, venire in mente ecc.); in generale, determinati comportamenti dell’essere umano vengono spiegati supponendo che siano possibili grazie all’esistenza della mente, che viene utilizzata per descrivere, interpretare e prevedere il comportamento. Non per nulla, si usa il termine “uscire di mente” per indicare “perdere la ragione”, ovvero per descrivere un comportamento inatteso e non conforme allo standard, ovvero per indicare una mente “malata”. Un problema è rappresentato dalla mancanza di un referente corporeo, quindi parlare di “malattia mentale” è contraddittorio, in quanto, in ambito medico, le malattie hanno una corrispondenza corporea precisa (cuore, fegato ecc.). Dall’altra parte, almeno nella cultura occidentale, è difficile sfuggire all’impressione di essere composti da due parti profondamente diverse, il corpo e la mente; si tratta di comprendere quale sia il rapporto tra queste due componenti. La definizione più chiara l’ha fornita Cartesio (1673), secondo il quale mente e corpo sono nettamente distinte; la mente, immateriale (“res cognitans”), la cui conoscenza non aveva bisogno di essere dimostrata e che si identificava con l’individuo (“cogito, ergo sum”); il corpo, costituito di materia (“res extensa”), puro meccanismo, macchina esecutrice e autonoma al servizio della mente. I critici del paradigma dualista hanno invece sostenuto l’esistenza di una sola entità a cui l’altra viene ricondotta. Nella storia del pensiero le due principali ipotesi, monista e dualista, si sono alternate ripetutamente; ovviamente le conseguenze pragmatiche delle due teorie sono profondamente differenti:  Il paradigma cartesiano giustifica lo sviluppo di due modalità di studio differenti, con distinzione fra interpretazioni del comportamento umano di tipo biologico e di tipo psicologico, così come in ambito clinico nella distinzione fra disturbi organici e disturbi funzionali  L’ipotesi monista (mente prodotto del corpo) ha condotto a trovare un’unica sede nel cervello, organo “egemone” secondo Ippocrate (V secolo a.C.) Le scoperte scientifiche recenti hanno rivoluzionato il modo di pensare alle relazioni tra mente, cervello e comportamento; infatti, il comportamento dell’essere umano non è mai solo il risultato dell’azione dei geni né mai solo di influenze ambientali. Il paragone più calzante è quello fra pilota e automobile: per vincere una gara sono necessari una buona macchina e un buon pilota; c’è chi attribuisce maggiore importanza al pilota e chi all’automobile. La realtà è che mente e cervello non sono entità separabili. 2. I disturbi del comportamento conseguenti ad una lesione cerebrale: la valutazione neuropsicologica La storia moderna delle relazioni tra mente, cervello e comportamento inizia con una famosa relazione tenuta a Parigi da Paul Broca (1861), nella quale un suo paziente aveva perso l’uso della parola a causa di una lesione nel lobo frontale (regione nota come “area di Broca”). Viene quindi introdotta la correlazione anatomo-clinica come mezzo attendibile di indagine del comportamento, viene contrapposta l’idea cartesiana che la mente “è una e indivisibile” e, dal punto di vista clinico, diviene possibile identificare un danno nel SNC associato alla comparsa di una disfunzione comportamentale specifica. La relazione di Broca è quindi considerata la data di nascita ufficiale nella neuropsicologia. Sulla scorta delle considerazioni di Lurija (1967), i processi mentali corrispondono a sistemi funzionali complessi e richiedono l’attività integrata di più strutture (“moduli”) che collaborano per svolgere un determinato ruolo; il sistema nervoso è quindi organizzato in sistemi funzionali che interagiscono come un tutto unico e inscindibile. Il comportamento è il risultato del confronto fra le operazioni che avvengono in numerosi moduli cerebrale in modo parallelo e distribuito (PDP, parallel distributed processing, secondo il modello proposto da Churchland nel 1998). L’elaborazione delle informazioni è il frutto di una reta neuronale complessa. 2.1 Semeiotica delle funzioni corticali L’esame neurologico standard esplora soltanto il funzionamento delle aree sensomotorie primarie, ma non delle restanti strutture corticali (che occupano i ¾ dell’intero encefalo). Con l’esame neuropsicologico è possibile correlare i disturbi delle funzioni corticali alle lesioni anatomiche corrispondenti; i disturbi più frequenti riguardano il linguaggio (afasie), il movimento (aprassie) e la percezione (agnosie). 2.1.1 Le afasie L’afasia è la perdita della capacità di utilizzare il linguaggio come sistema di comunicazione; questa condizione non è mai secondaria a: disfunzioni articolari, deterioramento intellettivo, malattie mentali e stato confusionale. La valutazione delle afasie, eseguita anche accanto al letto del paziente, si attua mediante prove che esplorano i seguenti elementi del linguaggio: (1) Espressione; (2) Comprensione; (3) Ripetizione. 6 La valutazione del linguaggio deve tener conto sia di parametri quantitativi che qualitativi:  L’aspetto quantitativo fa riferimento alla fluidità del linguaggio; le afasie vengono allora distinte in: (1) Fluenti, i discorsi fluiscono con scioltezza, anche se il contenuto non è corretto; (2) Non fluenti, se vi sono ridotta tendenza a parlare spontaneamente, sforzo evidente all’inizio dell’emissione verbale, produzioni di frase composte da numero limitato di parole  L’aspetto qualitativo fa riferimento all’efficacia comunicativa di quello che il soggetto dice e può essere alterato principalmente per la presenza di:  Anomie: impossibilità di evocare intenzionalmente un determinato vocabolo, mascherata spesso con l’uso di perifrasi, sostituzioni ecc.  Parafasie: distorsioni del linguaggio e sono suddivise in base al tipo di errore: (1) Parafasie fonemiche: le lettere (fonemi) all’interno della parola vengono omesse, aggiunte, spostare, sostituite (es. tabolo anziché tavolo); (2) Parafasie morfologiche: una parola viene usata al posto di un’altra che ha una forma simile (es. pino anziché vino); (3) Parafasie semantiche: una parola viene sostituita con un’altra a cui è legata da una relazione concettuale (es. forchetta anziché cucchiaio); (4) Parafasie verbali: sostituzione di una parola con una del tutto estranea (es. albero anziché lampada)  Neologismi: produzioni verbali che non appartengono al patrimonio linguistico del soggetto e non possono essere classificate come parafasie (es. ipaghedeli) Il tipo di errore permette di distinguere le afasie in:  Afasie fonemiche, di cui fanno parte le parafasie fonemiche e morfologiche, essendo espressione dell’uso errato dei fonemi  Afasie semantiche, di cui fanno parte le parafasie semantiche e verbali, essendo espressione di una difficoltà nell’uso dell’unità semantica del linguaggio Invece, anomie e neologismi si possono osservare sia in afasie semantiche che fonemiche. Un altro fenomeno delle afasie è la “dissociazione automatico-volontaria”, grazie a cui il paziente riesce a formulare un linguaggio automatizzato (es. dire i giorni della settimana), ad alta carica emotiva (es. imprecazioni) o legato al conteso (es. un saluto di buongiorno). Nell’esame è utile anche valutare la capacità di ripetizione del paziente. In definitiva, le afasie possono essere suddivise in fluenti e non fluenti, in relazione alla fluenza dell’eloquio, e in fonemiche e semantiche, in relazione al tipo di errori effettuati e all’abilità nella ripetizione. Di seguito viene indicato lo schema delle principali afasie, trattate successivamente. R I ESPRESSIONE P E Fonemica Non fluente Fluente T Broca Conduzione Wernicke I Semantica Transcorticale motoria Nominum Transcorticale sensoriale Z Normale Alterata I O COMPRENSIONE N E 1. Afasia non fluente fonemica: classica afasia di Broca per lesione dell’area 44 di Brodmann (piede del giro frontale inferiore). L’eloquio è ridotto e caratterizzato da errori fonemici, la ripetizione è alterata, la comprensione è invece conservata; sono presenti anche turbe articolatorie e disprosodia (perdita della melodia del linguaggio). Il paziente è consapevole della condizione e pertanto può disperarsi 2. Afasia non fluente semantica: afasia transcorticale motoria per lesione delle aree 45, 46 e zone limitrofe (giro frontale medioinferiore). L’eloquio spontaneo è ridotto (pseudomutismo) e si possono osservare alterazioni nella costruzione della frase (agrammatismo); ripetizione e comprensione sono invece indenni 3. Afasia fluente fonemica; se ne hanno due forme:  Afasia di Wernicke, per lesione dell’area 22 (giro temporale posterosuperiore); l’eloquio è fluido, tendenzialmente logorroico, ma poco o affatto comprensibile per la presenza di errori linguistici di ogni tipo, principalmente fonemici; la ripetizione è alterata, la comprensione è gravemente compromessa e il paziente, di solito, non è consapevole delle proprie difficoltà (anosognosia)  Afasia di conduzione, per lesione dell’area 40 (giro parietale posteroinferiore) e/o del fascicolo arcuato di collegamento tra le regioni temporali e quelle frontali. In questo caso la comprensione è conservata, la ripetizione alterata e l’eloquio fluente sebbene frammisto a errori fonemici che assumono l’aspetto di ripetuti tentativi di correggersi 7 4. Afasia fluente semantica; sono descritti due aspetti correlati a un danno di diversa gravità dell’area 39 (regione di congiunzione dei lobi parietale, temporale e occipitale):  Afasia amnesica o afasia nominum: l’unica difficoltà è rappresentata dalla presenza di anomie  Afasia transcorticale sensoriale: l’eloquio è scorrevole, la ripetizione è indenne, la comprensione è invece gravemente compromessa (il paziente ripete quello che gli viene detto, senza però comprenderne il significato) L’afasia ha grande valore localizzatorio, poiché la sua comparsa indica, nel 98% dei casi, una lesione dell’emisfero sinistro all’interno della cosiddetta area del linguaggio. Volendo riassumere: (1) Un eloquio fluente indica un danno delle regioni cerebrali situate posteriormente alla scissura di Rolando; (2) Un eloquio ridotto indica una lesione delle strutture anteriori; (3) Un deficit di ripetizione e la presenza di errori fonemici indirizza verso una lesione delle zone perisilviane, poste cioè intorno alla scissura di Silvio; (4) Se la ripetizione è conservata e non si hanno errori fonemici, la lesione riguarda verosimilmente le porzioni più marginali dell’area del linguaggio. 2.1.2 Le aprassie L’aprassia è un disturbo del gesto intenzionale, cioè dei movimenti finalizzati, diretti a uno scopo, in assenza di paralisi, atassia o deficit intellettivo. Si tratta di anomalie rilevabili mediante l’esecuzione di gesti per imitazione o dietro ordine verbale. La pratica clinica ha codificato varie forme di aprassia:  Aprassia ideativa: si manifesta nell’esecuzione di movimenti necessari per l’uso di oggetti; il paziente dà l’impressione di non sapere più a che cosa servono gli oggetti che manipola e sembra aver perso la nozione della sequenza temporale dei singoli movimenti necessari per eseguire un gesto  Aprassia ideomotoria: si manifesta nei movimenti che non richiedono l’uso di oggetti (es. segno della croce o saluto militare); la formulazione generale del movimento appare compromessa ed il gesto manca di tratti fondamentali. Le aprassie possono essere localizzate in un distretto specifico (ad es. aprassia buccofacciale, dello sguardo ecc.). Caratteristica è la dissociazione tra movimenti automatici e volontari (es. il paziente non riesce a farsi il segno della croce, ma può farlo correttamente se entra in chiesa). Tipicamente consegue ad una lesione emisferica sinistra; quando è coinvolto il lobo parietale, il disturbo è bilaterale; se invece la compromissione riguarda il lobo frontale (area premotoria), l’aprassia colpisce solo gli arti di sinistra (cioè omolaterale al danno) e tipicamente si ha associazione anche di afasia non fluente e aprassia buccofacciale; una lesione del corpo calloso e/o delle fibre colleganti l’emisfero sinistro con il destro provoca aprassia solo degli arti di sinistra senza afasia ne’ emiparesi  Aprassia costruttiva: incapacità di costruire nello spazio bi- o tri- dimensionale; viene valutata mediante prove di disegno. Può verificarsi a seguito di lesione parietali sia dell’emisfero destro (più frequentemente) che di quello sinistro. Si definisce “closing in” il comportamento di pazienti che riescono a ricopiare un disegno soltanto ricalcandone i contorni  Aprassia di abbigliamento: difficoltà nell’indossare gli indumenti, solitamente secondarie a diversi tipi di alterazioni cognitive (anomalie dello schema corporeo, gravi turbe aprassiche, deficit visuospaziali) 2.1.3 Le agnosie L’agnosia è un disturbo del riconoscimento attraverso un determinato canale sensoriale; essa non è secondaria a: compromissione della coscienza, deficit linguistico o intellettivo, turba sensoriale elementare. Classicamente vengono distinte le: (1) Agnosie di tipo appercetivo: il paziente non è in grado di discriminare le caratteristiche dello stimolo; (2) Agnosie di tipo associativo: il paziente, pur essendo in grado di descrivere le caratteristiche dello stimolo e confrontarlo, non è in grado di capirne il significato.  L’agnosia tattile o stereoagnosia indica l’incapacità di riconoscere gli oggetti col fatto a seguito di una lesione del lobo parietale controlaterale  L’agnosia uditiva indica l’incapacità di riconoscere suoni e rumori non verbali, a causa di una lesione del lobo temporale dell’emisfero destro  Le agnosie visive possono essere clinicamente diverse: (1) Nell’agnosia di oggetti o immagini (“cecità psichica”) il paziente vede ma non riconosce, a causa di una lesione delle regioni associative occipitali dell’emisfero sinistro; (2) Nell’agnosia per le fisionomie (prosopoagnosia), il paziente non è capace di riconoscere il volto di persone riconosciute, a causa di un danno delle regioni associative occipitali dell’emisfero destro; (3) L’agnosia per i colori consiste nell’impossibilità di evocare i colori specifici di alcuni soggetti (colore del sangue, del cielo ecc.), a causa di una duplice lesione nel lobo occipitale sinistro e dello splenio del corpo calloso (disconnessione fra i centri visivi e l’area del linguaggio)  Nella simultaneoagnosia non è possibile cogliere il significato di una scena o di un’immagine pur potendo identificare i singoli dettagli, a causa di una lesione bilaterale delle aree parieto-occipitali  Nell’agnosia spaziale si ha incapacità di analizzare e utilizzare i dati spaziali (es. localizzare oggetti rispetto al corpo), apprezzarne la lontananza, la direzione ecc. 8 Interessante è l’agnosia spaziale unilaterale (detta “negligenza per emispazio” o “neglect”) che consiste nell’indifferenza per gli stimoli provenienti da un lato dello spazio (di solito riguarda il sinistro), per cui, per esempio, il paziente disegna solo in una metà di un foglio; si ha a causa di una lesione delle regioni posteriori dell’emisfero controlaterale all’emispazio che viene ignorato dal paziente Le stomatoagnosie sono disturbi dello schema corporeo; a causa di lesione delle regioni posteriori dell’emisfero destro, il paziente, colpito da emiplegia sinistra, rifiuta di ammettere l’esistenza del deficit motorio e di riconoscere come proprio l’arto paralizzato (“neglect per l’emicolpo”).  L’agnosia digitale è l’impossibilità di indicare e denominare le dita delle mani, proprie e altrui; la S. di Gerstmann si caratterizza per un danno del giro angolare dell’emisfero sinistro, con conseguente: agnosia digitale, non distinzione tra destra-sinistra, acalculia, agrafia pura e spesso anche aprassia e afasia 2.1.4 La sindrome frontale I lobi frontali soprassiedono alla organizzazione generale del comportamento finalizzato, reattivo e coordinando tutte le modalità operative disponibili; infatti, quando le risposte abituali (automatiche o apprese) non sono sufficienti (novità) o non si sono rivelate efficaci (errori), diventa indispensabile un sistema decisionale che conduca ad una scelta fra più comportamenti possibili. Lo sviluppo dei lobi frontali consente quindi il prevalere dei comportamenti dettati dall’esperienza rispetto a quello precostituiti; il sistema nervoso senza i lobi prefrontali potrebbe quindi essere paragonato ad un’orchestra senza direttore: ogni strumento è perfettamente funzionante, ma il risultato dell’insieme non è quello desiderato. La lesione dei lobi frontali non dà origine a difetti strumentali, ma comporta la perdita delle strategie comportamentali e della capacità di adeguare il comportamento alle richieste ambientali. In assenza delle strategie comportamentali, il paziente mostra quindi una disorganizzazione globale del proprio comportamento, pur essendo in pieno possesso delle singole abilità cognitive. I pazienti possono manifestare in vari modi la loro incapacità di adattarsi con un comportamento finalizzato alle richieste dell’ambiente fisico e sociale in cui vivono: facile distraibilità, incapacità di staccarsi da essi e rivolgersi ad altri (perseverazione), di individuare gli elementi significativi di una situazione, di controllare lo svolgimento delle proprie azioni e di prevederne le conseguenze e così via. Così i famigliari descrivono il paziente come inaffidabile, imprevedibile, irresponsabile, incorreggibile, ostinato, ripetitivo (mancanza di flessibilità nel comportamento), superficiale, irriflessivo, infantile, impulsivo, volubile, bugiardo. La condizione clinica può assumere caratteristiche ingravescenti di un comportamento di imitazione (ecolalia, ecoprassia ecc.), di utilizzazione di ciò che si ha a disposizione, fino a una sindrome da dipendenza ambientale in cui il paziente perde completamente la sua autonomia e spontaneità comportamentale: il comportamento dipende unicamente dal contesto e dagli stimoli che il paziente riceve dall’ambiente.  Nelle lesioni estese e bilaterali dei lobi prefrontali la perdita delle strategie comportamentali si traduce in una marcata riduzione dell’attività motoria e linguistica: il soggetto non fa niente, non parla spontaneamente e risponde solo a domande poste con insistenza, senza compiere errori di tipo afasico, ma fornendo risposte molto concise e spesso costellate di perseverazione ed ecolalie (afasia dinamica)  Nelle lesioni meno vaste possono manifestarsi turbe profonde dell’affettività caratterizzate da indifferenza- apatia (soprattutto se il danno riguarda le regioni laterali), o da uno stato di euforia e giovialità ingiustificate (sindrome moriatica) o ancora da una perdita dell’autocontrollo con impulsività, irritabilità e possibile aggressività (prevalenti se il danno riguarda le regioni mediali e basali). La valutazione si avvale della prova WCST (Winsconsin Card Sorting Test): si presentano al soggetto quattro tipi di carte con disegni di figure geometriche che differiscono per colore (giallo, rosso, verde, blu), forma (triangoli, cerchi, stelle croci) e numero (uno, due, tre, quattro elementi); il soggetto deve disporre una ad una le carte selezionando uno dei criteri possibili; il compito consiste nello scoprire il criterio scelto dall’esaminatore che comunica volta per volta se la scelta è giusta o sbagliata. Per esempio, quando viene presentata la carta che contiene una stella blu, il soggetto può disporla sotto una delle quattro carte iniziali: un triangolo rosso (in base al numero), due stelle verdi (in base alla forma), quattro cerchi blu (in base al colore), tre croci gialle (scelta errata); se come criterio il soggetto sceglie il numero, ma quello dell’esaminatore è il colore, gli verrà detto che ha sbagliato. 3. I disturbi del comportamento conseguenti ad una disfunzione cerebrale: le indagini di neuroimaging funzionale Lo studio biologico della psichiatria ha spinto la ricerca dapprima verso la comprensione dei meccanismi neurochimici da cui è sorta la psicofarmacologia e poi verso l’individuazione degli aspetti anatomici differenziali mediante le indagini neuroradiologiche. Di seguito lo schema di riferimento delle attuali modalità d’indagine. Tipo di indagine Parametro misurato Strutturale Tomografia computerizzata (TC) Densità tissutale 9 Risonanza magnetica nucleare (RMN) Molte diverse proprietà in base alle diverse tecniche, ad esempio concentrazione dei metaboliti nella RM spettroscopica (RMS) Funzionale Tomografia a emissione di positroni (PET) Tracciante radioattivo nel sangue o nel tessuto Tomografia ad emissione di fotoni singoli (SPECT) Tracciante radioattivo nel sangue o nel tessuto Risonanza magnetica funzionale (RMf) Livello di deossiemoglobina nel sangue (effetto BOLO) Magnetoencefalografia (MEG) Campi magnetici indotti dall’attività neuronale Mentre gli studi di tipo strutturali non hanno fatto molto successo in psichiatria (con eccezione delle associazioni tra disturbi del comportamento e presenza di lesioni macroscopiche del SNC), le tecniche di neuroimaging funzionali hanno modificato significativamente la modalità d’indagine. In particolare la RMf (Risonanza magnetica funzionale), oltre a valutare in dettaglio le regioni cerebrali che si attivano durante l’esecuzione di qualsiasi attività, ha consentito di studiare un grande numero di pazienti; infatti, non si necessitano di mezzi di contrasto, è innocua e non presenta nessuna controindicazione. Quello che ci si aspetta di vedere su pazienti psichiatrici riguarda: (1) Confronti con il pattern di attivazione fisiologico osservato nei soggetti di controllo; (2) Immaginare di poter identificare un marker diagnostico specifico per ogni tipo di disturbo; (3) Comprensione dei meccanismi fisiopatologici implicati nella genesi dei disturbi psichiatrici. 3.1 Correlati anatomofunzionali del comportamento Di particolare interesse sono gli studi dei correlati anatomofunzionali della vita emotivo-affettiva. Il fulcro del cervello emotivo è rappresentato dall’amigdala (struttura sottocorticale situata nella profondità del lobo temporale anteriore), la cui stimolazione provoca un’intensa risposta che coinvolge tutto l’organismo; vengono infatti interessati l’ipotalamo laterale (sistema neurovegetativo), il nucleo paraventricolare ipotalamico (asse ipotalamo- ipofisi-surrene, quindi sistema endocrino), il locus coeruleus (sistema cardiovascolare), il nucleo parabrachiale (sistema respiratorio – sistema vestibolare), il grigio periacqueduttale. All’amigdala giungono le informazioni, provenienti da tutti gli organi sensoriali, giungono dai nuclei talamici; si costituisce quindi quello che viene definito il “cortocircuito emozionale”. Si tratta di un sistema d’emergenza: necessita quindi di un’analisi rapida (a costo di essere grossolana) e di una risposta altrettanto rapida (a costo di essere stereotipata); lo scopo è quello di produrre una risposta predisposta al minimo segnale di pericolo, al fine di garantire un monitoraggio ambientale e l’attribuzione del valore potenzialmente nocivo dello stimolo. Le stesse informazioni talamiche giungono anche alla corteccia dove l’elaborazione più dettagliata dell’informazione giunge viene restituita all’amigdala confermando o no la presenza del pericolo. Alla funzionalità della rete deputata alle emozioni partecipano altre regioni cerebrali e un ruolo significativo è attribuito all’ippocampo e alla corteccia frontale mediale, comprendente la corteccia orbitofrontale e in cingolo. L’ippocampo agisce in parallelo codificando lo stimolo della memoria dichiarativa autobiografica; infatti, bisogna distinguere: (1) Una memoria dichiarativa dipendente dall’ippocampo, per il ricordo delle caratteristiche spaziali, temporali e contestuali di un’emozione; (2) Una memoria procedurale dipendente dall’amigdala, che garantisce invece il ricordo emotivo, implicito e non legato al ricordo autobiografico. Normalmente questi due processi agiscono in parallelo e coordinati; tuttavia, talora si possono assistere a dissociazioni tra essi. Il ruolo della corteccia cingolata sembra quello di risoluzione di conflitti tra le informazioni contrastanti; un esempio è il test di Stroop, in cui il soggetto deve dare una risposta che contrasta con l’elaborazione automatica dell’informazione visiva (es. quando vede la parola rosso scritta in verde deve dire verde); l’esecuzione del test con la RMf ha evidenziato l’attivazione del cingolo anteriore. Un ruolo cruciale viene assegnato alla corteccia orbitofrontale; per esempio, se un soggetto, sempre sotto controllo della RMf, viene invitato a mangiare cioccolata, all’inizio la assume volentieri e con gratificazione (si attiva la porzione mediale) e successivamente, per non “stare male se ne mangia troppa”, segue il rifiuto (la porzione mediale viene sostituita con quella laterale). La corteccia orbitaria è quindi importante per il controllo dei comportamenti caratterizzati dall’acquisizione di rinforzi e gratificazioni (porzione mediale) e per la soppressione di una vecchia risposta comportamentale, prima seguita da rinforzo, per sostituirla con un’altra risposta (porzione laterale). In sintonia con il cervello emotivo operano ovviamente anche il sistema motivazionale e quello cognitivo; da tempo è noto che esistono nel sistema nervoso regioni cerebrali la cui stimolazione determina un incremento della risposta comportamentale (rinforzo positivo) ed altre associate invece ad un loro evitamento (rinforzo negativo). Il sistema motivazionale è rappresentato dal complesso dell’area tegmentale ventrale (VTA), nucleo accumbens e striato ventrale; ovviamente, il sistema emozionale è influenzato anche dal sistema cognitivo, in particolare le aree frontali dorsolaterali deputate alle funzioni cognitive. Inoltre, un dibattito aperto riguarda il differente ruolo dei due emisferi: (1) L’emisfero destro probabilmente raccoglie tutte le elaborazioni sullo stimolo emozionale e organizza la risposta appropriata; (2) L’emisfero sinistro probabilmente ha una funzione modulatoria sul comportamento che tiene conto delle richieste sociali; questo fa sì che l’individuo possa sopprimere temporaneamente la propria competenza emotiva 10 (utilizzata per il proprio vantaggio) per lasciare spazio alla competenza sociale (caratterizzata dalla considerazione del vantaggio comune, eventualmente anche in contrasto con il benessere individuale). Inoltre, ai lobi prefrontali viene attribuito anche il comportamento etico; infatti, quando ci si trova davanti a un dilemma, si attivano aree diverse in base alla scelta che si prende: (1) O le regioni dorsolaterali, per quanto riguarda le funzioni cognitive, quando si attua una valutazione di tipo cognitivo, in cui in modo impersonale prevale la considerazione su quale sia il vantaggio maggiore; (2) O le regioni mediali e orbitarie, per quanto riguarda le funzioni emotive, con conseguente elaborazione di tipo empatico ed implica un coinvolgimento emotivo-personale. 3.2 Correlati anatomofunzionali in psichiatria Lo studio dei meccanismi associati alle manifestazioni comportamentali della vita emotiva ha fornito importantissime informazioni sulle basi neurobiologiche dei disturbi psichiatrici. I parametri più interessanti sono rappresentati dal profilo di attivazione cerebrale, dal tipo di connettività fra le regioni cerebrali coinvolte e dalla misurazione quantitativa dell’attività delle singole strutture. Si analizzano di seguito i correlati anatomofunzionali dei principali disturbi psichiatrici. 3.2.1 Disturbi d’ansia I disturbi d’ansia possono essere interpretati come espressione di una risposta inappropriata di paura. Un modello interessante è il disturbo da stress post-traumatico (DSPT), che per definizione si sviluppa in conseguenza dell’esposizione a un evento emotivo; lo stesso sempre anche essere applicabile per altri disturbi d’ansia: attacco di panico, evitamento fobico ecc. Le strutture cerebrali della reazione al pericolo, come descritto prima, sono centrate sull’amigdala su cui convergono informazioni a corto circuito dal talamo (cosiddetta via bassa) e dalla corteccia cerebrale (cosiddetta via alta). Potenzialmente le risposte comportamentali, autonomiche e neuroendocrine tipiche della paura possono avere origine da una iperattivazione dell’amigdala. Una verifica di questa ipotesi può derivare dallo studio RMf di confronto tra soggetti che, pur avendo partecipato allo stesso evento traumatico, sviluppano DSPT oppure no. In queste indagini i pazienti DSPT mostrano, rispetto ai pazienti senza DSPT, un’iperattivazione dell’amigdala, una ipoattivazione della corteccia prefrontale mediale (comprendente la corteccia cingolata) e una ridotta attivazione delle regioni prefrontali dorsolaterali.  L’iperattivazione che si verifica per stimoli correlati all’evento traumatico subito potrebbe essere determinata da un eccesso di informazioni afferenti dalla via bassa attraverso un processo bottom-up; è verosimile pensare che l’iperattivazione dell’amigdala possa determinare (dopo una prima fase compensatoria) l’esaurimento funzionale della corteccia frontale mediale che poi a sua volta diviene causa di ulteriore iperattivazione dell’amigdala creando un circolo vizioso non più modificabile  Viceversa il momento iniziale del processo patologico potrebbe derivare dal deficitario funzionamento della corteccia mediale, attraverso un processo di top-down; i disturbi d’ansia potrebbe quindi insorgere in rapporto ad anomalie nelle relazioni fra strutture corticali e sottocorticali  Anche una disfunzione primitiva dell’ippocampo potrebbe essere all’origine del disturbo tramite un meccanismo di ipergeneralizzazione delle caratteristiche dello stimolo minaccioso e di misinterpretazione del contesto; in questo senso si possono usare indagini strutturali che si avvolgono di tecniche di RMN volumetrico e spettroscopica indicative di un’atrofia significativa (30% circa) a livello del cingolo anteriore e dell’ippocampo Un meccanismo patogenetico simile può essere ipotizzato per quanto riguarda l’attacco di panico, che è possibile interpretare come una risposta inappropriata del network della paura; sono stati suggeriti il ruolo di una suscettibilità genetica della risposta emotiva, di uno squilibrio omeostatico e di uno sbilanciamento neurotrasmettitoriale tra l’influenza inibitoria della serotonina e quella eccitatoria della noradrenalina, come anche della perdita precoce del legame di attaccamento: il disturbo è infatti riscontrato con maggior frequenza in relazione alla morte della madre (sette volte) o al divorzio dei genitori (quattro volte) prima dei dieci anni d’età oltre che nei casi di abuso fisico o sessuale. Inoltre, un meccanismo aspecifico di attivazione potrebbe essere dovuto al già discusso opposto effetto di un trauma psicofisico sulla funzionalità dell’ippocampo e dell’amigdala: il ricordo implicito emozionale di risposta ad uno stimolo può essere dissociato dal ricordo esplicito e provocare una reazione della cui origine non si è consapevoli; questo fenomeno potrebbe essere condiviso anche con il DSPT. Esistono almeno due sottotipi di attacchi di panico: (1) Uno semplice, associato a ipersensibilità del sistema di allarme per il soffocamento, che si attiverebbe a livello del troncoencefalo in seguito a segnali che indicano l’imminente scarsità di ossigeno; (2) Un altro, complicato da condotte di evitamento, sarebbe sotteso da un’iperattivazione del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene. Altrettanto aspecifico, ma in modo diverso, appare il meccanismo patogenetico del disturbo d’ansia generalizzato; questi soggetti mostrano, anche in condizioni di riposo, un incremento dell’attivazione che riguarda diffusamente le 11 regioni frontali, temporali e occipitali, così come il cervelletto e il talamo; inoltre compiti di mantenimento dell’attenzione determinano l’attivazione anche dei gangli della base. Per quanto invece riguarda le fobie, esse sono associate a un disequilibrio fra le strutture che costituiscono il cervello emotivo; un ruolo sembrano svolgere anche le aree temporali anteriori, verosimilmente in relazione ad un discontrollo dei meccanismi mnesici.  Ad esempio, nei soggetti aracnofobici, la visione dello stimolo fobico può essere associata a un’iperattivazione del giro paraippocampale  Nella fobia sociale, l’elemento differenziale è rappresentato dall’attivazione dell’amigdala in risposta all’osservazione di un volto; quindi, la patogenesi è differente rispetto a quella della fobia specifica Del tutto diverso è il meccanismo del disturbo ossessivo-compulsivo in cui numerose indagini confermano l’esistenza di una disfunzione del circuito frontostriatale. Un deficit primitivo dello striato modifica il filtro operato dal talamo sugli stimoli afferenti che così possono giungere alla corteccia indisturbati; il risultato è l’iperattivazione a riposo della corteccia orbitofrontale, che potrebbe essere all’origine delle ossessioni, e quella compensatoria dello striato, che potrebbe essere all’origine delle stereotipie e delle compulsioni. 3.2.2 Disturbi dell’umore Gli studi sui pazienti depressi sono stati effettuati dapprima mediante PET e poi gli studi con RMf hanno consentito di precisare ulteriormente i meccanismi disfunzionali del disturbo depressivo. Secondo i dati disponibili, nella genesi della condizione sono implicati due compartimenti cerebrali specifici:  Il compartimento dorsale media gli aspetti cognitivi: apatia, rallentamento psicomotorio, compromissione dell’attenzione e delle funzioni esecutive. Le regioni di questo compartimento sono: area prefrontale dorsolaterale (area di Brodmann, BA9/46), premotoria (BA6), parietale (BA40, insula posteriore) e dal cingolo anteriore dorsale (BA24)  Il compartimento ventrale media gli aspetti somatici, vegetativi e circadiani: sonno, appetito, disturbi endocrini e della sfera sessuale. Le regioni di questo compartimento sono: ipotalamo, ippocampo, paraippocampo mediale, insula anteriore, gangli della base, cingolata subgenuale (BA25) e posteriore (BA23/31)  La depressione, come la tristezza transitoria, sono associate a: riduzione della risposta nelle aree dorsali e incremento nelle aree ventrali. Un ruolo cruciale è assegnato al cingolo anteriore rostrale (BA24a) nel facilitare l’interazione fra i due compartimenti, sul cui funzionamento intervengono anche i nuclei del troncoencefalo mediante fibre lunghe di proiezione con significato modulatorio. Il contesto descritto include le strutture deputate all’elaborazione emozionale delle informazioni, in particolare:  L’amigdala: la tristezza aumento la risposta dell’amigdala ad uno stimolo emotivo rispetto a quando il soggetto non si sente triste  La corteccia orbitaria mediale risulta iperattiva in soggetti depressi non trattati, ma ipoattiva se la depressione è grave; è quindi probabile che la regione prefrontale mediale svolga un ruolo compensatorio che si esaurisce progressivamente con il persistere del disturbo  La corteccia frontale dorsolaterale appare costantemente ipoattiva  Un aspetto peculiare è l’atrofia ippocampale di questi soggetti, attribuita all’azione lesiva dell’eccesso di cortisolo, così come si verifica nei disturbi d’ansia  Grande interesse ha anche destato il coinvolgimento della corteccia prefrontale mediale subgenuale (BA25); in particolare, il riscontro di un’atrofia selettiva di queste regione nell’emisfero sinistro ha posto il problema dell’esistenza di un marker predittivo del disturbo o di una vulnerabilità individuale che potrebbe giustificare la depressione ricorrente. Un’iperattività dell’area 25 è stata riscontrata costantemente nella depressione resistente al trattamento farmacologico e una risposta eccessiva agli stimoli emozionali, presente nella fase iniziale della malattia, viene considerata un fattore prognostico negativo 3.2.3 Schizofrenia In questi casi, rispetto ai soggetti di controllo, sono state riscontrate modificazioni anatomiche nel sistema ventricolare e nel volume cerebrale totale:  Sono state riscontrate atrofie a livello di: giro temporale, ippocampo, amigdala, giro paraippocampale, talamo anteriore, corteccia cingolata  Sono state descritte relazioni tra le allucinazioni e il volume del giro temporale superiore  Sono state descritte relazioni tra la presenza di sintomi negativi e l’atrofia del giro frontale medio  Anomalie strutturali del cervelletto  La terapia neurolettica determina un aumento di dimensioni del caudato e del putamen 12  Anomalie microscopiche nel numero e nella grandezza delle cellule, così come nell’organizzazione neuronale, hanno fatto ipotizzare l’esistenza di un errore di sviluppo nel pattern di migrazione neuronale, con particolare riferimento alla corteccia prefrontale dorsolaterale e all’ippocampo  Un’interpretazione neurochimica richiama l’attenzione sui mediatori cerebrali ed in particolare sul ruolo della dopamina Studi di neuroimaging hanno documentato differenze funzionali nei differenti sottotipi di malattia: (1) I sintomi negativi correlano con l’ipometabolismo nelle regioni frontali e parietali sinistre; (2) Allucinazioni e deliri correlano con l’ipermetabolismo nel giro paraippocampale e nello striato ventrale di sinistra. 3.2.4 Disturbi del comportamento alimentare Il confronto fra stimoli riferiti al cibo (immagini o parole) e stimoli non correlati all’alimentazione, comporta l’attivazione dell’insula e della corteccia orbitofrontale.  L’insula, oltre a essere deputata alla rappresentazione del gusto, costituisce un’area dove si sovrappongono informazioni sensoriali, affettive e neurovegetative provenienti sia dall’interno del corpo che dall’ambiente; la sua attivazione si verifica anche, insieme a quella dei nuclei della base, nei confronti di stimoli disgustosi, e più in generale in ogni condizione di malessere fisico o psichico  L’amigdala è attivata in caso di fame  L’attivazione della corteccia orbitofrontale mediale è proporzionale alla fame percepita e, più in generale, il comportamento alimentare appare regolato dall’equilibrio funzionale tra la parte mediale e quella laterale della corteccia orbitaria Nei pazienti con disturbi del comportamento alimentare le indagini effettuate suggeriscono, sia a livello del cingolo anteriore che della corteccia prefrontale, un’ipoattività basale e una eccessiva reattività agli stimoli correlati al cibo; le alterazioni permangono anche dopo la remissione sintomatologica e ripropongono una loro interpretazione come possibili marker della patologia. Anche nell’obesità non associata a disturbi del comportamento alimentare si osserva a digiuno un’iperattività a livello di insula, ipotalamo, cingolo anteriore e corteccia orbitofrontale; viceversa l’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale emisferica sinistra appare ridotta in fase postprandiale. Il confronto fra anoressia e bulimia mostra in comune il coinvolgimento reattivo agli stimoli della corteccia orbitofrontale mediale e del cingolo anteriore, mentre differente in relazione al tipo di sintomatologia apparare il coinvolgimento delle strutture prefrontali anterolaterali che, rispetto ai soggetti di controllo nell’anoressia appaiono iperattive, nella bulimia ipoattive. 3.2.5 Effetti della psicoterapia Fra le potenziali applicazioni delle tecniche di neuroimaging, appare di peculiare interesse lo studio delle modificazioni cerebrali correlati all’effetto della terapia (sia farmacologica che psicoterapia): (1) Una prima osservazione, riferibile a studi sia sulla depressione che sui disturbi d’ansia, riguarda la documentazione di una correlazione fra l’effetto della terapia e le modificazioni riscontrabili a livello cerebrale; (2) Una seconda osservazione si riferisce al ripristino della funzionalità dei network compromessi dalla patologia nei pazienti che rispondono alla terapia rispetto ai non-responders; (3) Una terza osservazione è che il ripristino, in caso di efficacia, è equivalente, indipendentemente dal fatto che il paziente sia stato trattato con farmaci o con psicoterapia. Nello specifico:  Soggetti che soffrono di aracnofobia, alla vista di un ragno, presentano un pattern di attivazione che la psicoterapia cognitivo-comportamentale riporta alla norma  Per quanto riguarda il disturbo depressivo maggiore, le modificazioni indotte da farmaci coinvolgono inizialmente le strutture sottocorticali, mentre quelle indotte dalla psicoterapia si manifestano dapprima a livello delle strutture corticali. Quindi, meccanismi d’azione molto diversi (bottom-up nel primo caso, top- down nel secondo) conducono allo stesso effetto neurobiologico finale 4. Come la mente modifica il cervello Le conoscenze sul funzionamento del sistema nervoso sono mutate radicalmente nell’ultimo decennio: il dogma secondo cui il neurone è una cellula perenne è stato falsificato dalla scoperta della neurogenesi; il dogma secondo cui l’organizzazione cerebrale, superata la fase infantile, è immutabile è stato sostituito dalla nozione di neuroplasticità (che origina da stimoli che giungono sia dal mondo fisico che dall’ambiente sociale). 4.1 Effetto placebo È definito placebo qualunque sostanza che, pur essendo inerte dal punto di vista farmacologico, somministrata al paziente facendogli credere di star ricevendo un trattamento efficace, è in grado di ottenere un effetto benefico sul decorso di un disturbo clinicamente rilevante. Le neuroscienze negli ultimi anni hanno fornito un’interpretazione soddisfa ogni giusta esigenza di scientificità; 13 un paradigma convincente di questo effetto è rappresentato dal protocollo “open-hidden”: nella condizione “open” è il personale sanitario a somministrare la terapia, nella condizione “hidden” il farmaco viene fornito mediante un sistema computerizzato che stabilisce il momento e la durata della terapia. La differenza sostanziale tra le due condizioni è che nel primo caso il paziente sa che sta ricevendo la terapia mentre nel secondo non ne è consapevole. Va sottolineato che contrariamente alle sperimentazioni classiche il confronto non avviene tra un farmaco ed un placebo ma è lo stesso farmaco che viene somministrato secondo due modalità diverse. In questo modo la differenza di efficacia tra le due condizioni, valutata sia soggettivamente che in modo oggettivo (es. sulla base di analgesico richiesta dal paziente) fornisce una misura dell’effetto placebo. La terapia risulta essere sistematicamente più efficace nella condizione open: i dati derivanti dal paradigma open- hidden sono una documentazione inoppugnabile che ad innescare la risposta placebo non è la sostanza somministrata (per definizione inerte), ma la modalità di somministrazione (il contesto). La risposta è diversa in relazione alla condizione clinica; citando due esempi: (1) Nel caso dell’analgesia le regioni attivate dal placebo corrispondono a quelle che si attivano dopo somministrazioni di oppioidi; (2) Nella sindrome parkinsoniana l’effetto è legato ad un incremento dell’attività dopaminergica In altri termini, i meccanismi sottostanti all’azione del placebo mimano l’attività dei farmaci. 4.2 Effetto nocebo Mentre la comprensione dei meccanismi neuropsicologici dell’effetto placebo sono oggetto di studi dettagliati, quelli sull’effetto nocebo sono ancora agli albori. Nella risposta nocebo l’influenza del contesto terapeutico appare con evidenza ancora maggiore. Il contesto terapeutico è inteso nella sua accezione più ampia possibile (non solo farmaci ma anche luoghi, rituali, strumenti ecc.); tuttavia, il fattore contestuale più rilevante è comunque costituito dalle caratteristiche della relazione che si instaura tra paziente e operatore sanitario. Il significato che il soggetto attribuisce a quanto sta avvenendo può essere profondamente influenzato dalle modalità di somministrazione di comunicazione, verbale e non verbale: ciò che cambia sono le aspettative del paziente. Nella pratica clinica non va sottovalutato che un effetto nocebo può essere generato anche involontariamente in quanto l’interazione può essere fonte di suggestioni negative in modo implicito: formule non comprensibili, frasi ambigue (“proviamo questo farmaco, potrebbe farle bene”), che enfatizzano aspetti negativi (“lei è un paziente ad altro rischio”), che richiamano l’attenzione sulla comparsa di sintomi (“se ha mal di testa, mi avvisi”) ecc. In medicina le parole non sono mai neutre e bisogna essere consapevoli che il linguaggio è un’arma a doppio taglio. 4.3 Relazione terapeutica Il contesto terapeutico influenza profondamente l’esito clinico modificando il significato che i protagonisti dell’incontro clinico attribuiscono a quanto sta avvenendo. L’empatia fa riferimento a un processo intersoggettivo in cui le esperienze cognitive e emotive di un altro vengono ad essere condivise, senza perdere di vista a chi appartengono quelle esperienze; a questo livello di intersoggettività si giunge gradualmente attraverso tappe successive di modulazione dei processi emotivi che possono essere esemplificate in: a) Contagio emotivo: processo primordiale, automatico, che non richiede consapevolezza (es. quando un neonato piange, iniziano a piangere tutti gli altri) b) Empatia basata sul contesto: in questo caso il significato di ciò che sta accadendo viene compresa sulla base delle conoscenze generali (es. sapere che una caduta può essere dolorosa fa capire che un soggetto che cade potrebbe provare dolore) c) Empatia egocentrica: basata sull’esperienza personale; in questa fase la comprensione dello stato d’animo dell’altro dipende dal ricordo dello stato d’animo provato personalmente nella stessa situazione d) Empatia in senso proprio: a questo punto viene acquisita la consapevolezza che la mente è individuale e dipende dalle esperienze personali, per cui la reazione ad una determinata situazione non è identica in tutti gli individui e) Intelligenza emotiva: capacità di modulare il comportamento relazionale assumendo il punto di vista dell’altro f) Intelligenza sociale: capacità di utilizzare l’intelligenza emotiva al fine di aiutare l’altro nel modo migliore possibile; corrisponde al comportamento altruistico e alla solidarietà che consentono la formazione di gruppi sociali g) Intelligenza trascendente: la cura verso gli altri non si limita agli esseri umani ma si estende agli altri esseri viventi e al mondo nella sua totalità in base al sentimento di appartenenza e partecipazione ad un universo comune Bisogna tenere conto che l’atteggiamento empatico è fortemente soggetto alle influenze culturali. 14 Ad esempio, le strutture cerebrali deputate all’empatie vengono attivate maggiormente dall’osservare la reazione al dolore di soggetti contagiati da HIV in seguito a trasfusione con sangue infetto in confronto a soggetti contagiati perché facevano uso di droghe per via endovenosa. 5. Conclusioni La comprensione della mente umana rappresenta il progetto più ambizioso fra tutti i programmi di indagine scientifica; le neuroscienze stanno imponendo un nuovo paradigma culturale. Uno degli aspetti più sorprendenti connessi all’introduzione delle neuroimmagini funzionali e dei suoi ulteriori sviluppo tecnologici è la possibilità, immaginabile fino a pochi anni fa solo nella fantascienza, di vedere il cervello mentre agisce. Tali metodiche (al contrario di come molti psichiatri credono) rappresentano un’opportunità di accrescere il contributo della psichiatria alla pratica medica: le nuove discipline possono contribuisce in modo determinante ad avvinare varie discipline mediche alla metodologia psichiatrica, in accordo alla convinzione che “no health without mental health” (Prince, 2007). In definitiva le neuroscienze hanno provocato un ribaltamento delle idee sul funzionamento del sistema nervoso; contrariamente a quanto si credeva anni fa, il sistema nervoso è un sistema dinamico, plastico, su cui gli stimoli ambientali agiscono come un giardiniere che porta un cespuglio di rose: selezionando cioè fra tutte quelle possibili proprie le reti neuronali che risultano più appropriate a svolgere una determinata funzione. Nell’essere umano natura e cultura non sono in contrapposizione ma sono piuttosto meccanismi complementari: entrambi raggiungono i loro effetti incidendo sull’organizzazione sinaptica del cervello; la mente cambia il cervello e quindi il comportamento. Le implicazioni di un simile approccio per le scienze psichiatriche, non c’è dubbio, appaiono affascinanti. 15 DISTURBI NEUROCOGNITIVI (DNC) Questo capitolo comprende: delirium, disturbi neurocognitivi maggiori e lievi con relativi sottotipi eziologici: M. di Alzheimer, degenerazione frontotemporale, Malattia a corpi di Lewy, compromissione vascolare, trauma cranico, sostanze/farmaci, infezioni da HIV, malattie da prioni, M. di Parkinson, M. di Huntington. Il comune denominatore di queste malattie è la compromissione delle funzioni cognitive. 1. Delirium Condizione clinica caratterizzata da un’alterazione dell’attenzione o della consapevolezza che è accompagnata da un cambiamento della capacità cognitiva precedente, che non è spiegata da un disturbo neurocognitivo preesistente o in evoluzione. Epidemiologia: riguarda l’1-2% della popolazione generale, ma aumenta nei casi di ricovero ospedaliero e con l’aumentare dell’età (riguarda l’80% dei pazienti anziani nelle unità di terapia intensiva e può raggiungere il 70% nei pazienti operati). Etiopatogenesi: è eterogenea e i meccanismi sono poco chiari. Attuali evidenze suggeriscono il coinvolgimento di alterazioni neurotrasmettitoriali, dell’infiammazione e della risposta acuta allo stress, che determinano l’insorgenza di forme tossiche e metaboliche (ruolo dell’ACh e della dopamina) o aumento dell’attività adrenergica (da consumo di alcool). Il Delirium si associa a malattia intra e extracraniche:  Malattie intracraniche: meningiti, encefaliti, HIV, neoplasie, traumi cranici, ictus, epilessie, malattie degenerative, vasculiti  Malattie extracraniche: internistiche (infezioni sistemiche, neoplasie ecc.); cardio-polmonari (SC, IMA, aritmie, shock ipovolemico, IRe); disfunzioni endocrine (dell’ipofisi, pancreas, surrene, tiroide ecc.); encefalopatie metaboliche (squilibrio idro-elettrolitico o acido-base, ipossia, ipercapnia, disidratazione, deficit vitaminici, ipo/iperglicemia, anemia, uremia ecc.); farmacologiche (psicofarmaci, anticomiziali, antiparkinson, antipertensivi, steroidi ecc.); da uso di sostanze (astinenza, intossicazione); tossiche (CO2, metalli pesanti); altro (deprivazione neurosensoriale o di sonno) Quadro clinico: l’insorgenza è solitamente rapida (ore o giorni) e preceduta da sintomi prodromici: irrequietezza, sonnolenza o insonnia, difficoltà di concentrazione ecc. Diagnosi: si usa il Confusion Assessment Method (CAM), basato su un questionario e un algoritmo diagnostico di 4 criteri: (a) esordio acuto e andamento fluttuante; (b) deficit attentivi; (c) disorganizzazione del pensiero; (d) alterazione del livello di coscienza. La diagnosi richiede che siano soddisfatti i criteri “a” e “b” insieme a “c” o “d”. Delirium con altra specificazione e delirium senza specificazione: condizione con sintomi caratteristici del delirium, ma che non soddisfa pienamente i criteri per la diagnosi dello stesso. In caso di delirium “con altra specificazione” il medico sceglie di comunicare la ragione specifica per cui la manifestazione non soddisfa i criteri, mentre nel delirium “senza specificazione” il clinico non attua nessuna specificazione. Diagnosi differenziale: il delirium deve essere differenziato da altri DNC con alterazioni di coscienza: (1) Il delirium con allucinazioni e deliri entra in DD con disturbi psicotici (schizofrenia), disturbi bipolari e depressivi; (2) Il delirium con ansia e paura entra in DD col disturbo da stress acuto. Trattamento e prognosi: deve essere mirato alla rimozione delle cause. Per quanto riguarda il trattamento sintomatico, in caso di agitazione psicomotoria è possibile somministrare neurolettici (l’aloperidolo è il preferito), benzodiazepine (preferite per il delirium da alcool), antistaminici da soli o in associazione. La prognosi è correlata all’età del paziente, alla gravità e alla durata dell’episodio. Con la risoluzione della patologia di base, la prognosi è solitamente favorevole. Criteri diagnostici per il Delirium A. Alterazione dell’attenzione (ridotta capacità di focalizzare e mantenere l’attenzione) e della consapevolezza (ridotta capacità di orientamento nell’ambiente) B. L’alterazione si sviluppa in un periodo di tempo breve (generalmente ore o pochi giorni) e presenta fluttuazioni di gravità nel corso della giornata C. Un’ulteriore modificazione cognitiva (es. deficit della memoria, disorientamento, percezione ecc.) D. Le alterazioni A e C non sono spiegati da altro DNC preesistente o in evoluzione 16 E. Vi sono evidenze (anamnesi, EO, esami laboratoriali ecc.) che l’alterazione è conseguenza fisiologica diretta di un’altra condizione medica (vedi etiopatogenesi), di intossicazione da sostanze (sostanze d’abuso o farmaci) o di astinenza, o di esposizione a una tossina o dovuta a eziologie molteplici Specificare quale: (1) Delirium da intossicazione da sostanze: solo quando i sintomi del criterio A predominano; (2) delirium da astinenza da sostanze: quando i sintomi dei criteri A e C predominano; (3) Delirium indotto da farmaci: quando i sintomi dei criteri A e C sono un effetto collaterale del farmaco; (4) Delirium dovuto a un’altra condizione medica; (5) Delirium dovuto a eziologie molteplici: quando il delirium ha più di un’eziologia Specificare se: (1) Acuto: durata di poche ore o giorni; (2) Cronico: durata di settimane o mesi Specificare se: (1) Livello di attività iperattivo: agitazione, rifiuto di cure mediche ecc.; (2) Livello di attività ipoattivo: lentezza e letargia che si avvicina al torpore; (3) Livello di attività misto: l’attività psicomotoria è normale, ma l’attenzione e la consapevolezza sono disturbate 2. Disturbi neurocognitivi maggiori e lievi Epidemiologia: circa 36 milioni di persone nel mondo ne soffrono e l’incidenza aumenta con l’età. La prevalenza delle demenze in Europa oscilla tra il 5.4% e il 7.2%, con 7.5 nuovi casi l’anno ogni 1000 persone; in Italia la prevalenza per i soggetti di età superiore a 65 anni è del 6% (4.3% negli uomini e 7.5% nelle donne). Etiopatogenesi: per alcuni sottotipi la diagnosi è diretta conseguenza della malattia, mentre per altri ci si basa sui criteri specifici (M. di Alzheimer, degenerazione frontotemporale, M. a corpi di Lewy) Quadro clinico: si hanno sintomi cognitivi e non cognitivi:  Sintomi cognitivi. Le demenze con coinvolgimento di aree corticali si differenziano da quelle sottocorticali; delle prime ne è un esempio classico l’Alzheimer, in cui in fase iniziale è intaccata la memoria episodica (difficoltà a ricordare eventi recenti e disorientamento spazio-temporale)  i deficit si aggravano, coinvolgendo la memoria remota, episodica e autobiografica  deficit totale (incapacità di riconoscere anche i familiari), con comparsa anche di deficit delle funzioni esecutive. Le demenze sottocorticali (es. il Pakinson) sono invece caratterizzate da rallentamento psicomotorio, minor disturbo della memoria episodica, ma maggior compromissione delle funzioni esecutive. In generale, i sintomi cognitivi principali sono: (1) Deficit mnesici; (2) Disorientamento temporale e spaziale; (3) Aprassia (difficoltà all’uso di strumenti o nell’abbigliamento); (4) Afasia (eloquio fluente o non fluente con anomie e parole passe-partout), alessia, agrafia; (5) Deficit di ragionamento astratto, di logica e di giudizio; (6) Acalculia; (7) Agnosia (incapacità di riconoscere soggetti e immagini); (8) Deficit visuospaziali  Sintomi non cognitivi: (1) Alterazioni della personalità, con apatia (70%), agitazione (60%), irritabilità (40%), disinibizione (30%), indifferenza, ecc.; (2) Psicosi (30-60%): deliri paranoidei, strutturati, allucinazioni ecc.; (3) Alterazioni dell’umore: depressione nel 50%, labilità emotiva (40%), ma talora anche euforia (5-8%); (4) Disturbi d’ansia (50% dei casi), con ossessioni, compulsioni, ipocondria; (5) Sintomi neurovegetativi: alterazioni del ritmo sonno-veglia, dell’appetito ecc.; (6) Disturbi dell’attività psicomotoria, con vagabondaggio (40%), affaccendamento afinalistico ecc.; (7) Agitazione (verbale e/o fisica) Valutazione dei sintomi: i sintomi cognitivi, non cognitivi e dello stato funzionale, oltre che con il colloquio con il paziente e i familiari, vengono valutati mediante test neuropsicologici; ciò consente la conferma di dati soggettivi confrontandoli con i dati normativi. Tali test sono: (1) Test per le funzioni cognitive, sia di screening (Mini Mental State Examination o l’Alzheimer’s Disease Assessement Scale) che di valutazione neuropsicologica (Batteria per il Deterioramento Mentale); (2) Stadiazione clinica della demenza, mediante la Clinical Demential Rating Scale; (3) Valutazione della depressione, mediante la Geriatric Depression Scale; (4) Valutazione dei disturbi comportamentali, mediante la NeuroPsychiatric Inventory – NPI; (5) Valutazione funzionale, mediante la Bedford Alzheimer Assessment Nursing Scale (BAANs), la Basic Activity of Daily Living (BADL) o l’Instrumental Activity of Daily Living (IADL) Trattamento, che prevede più livelli di intervento: (1) Prevenire e controllare i fattori di rischio specifici; (2) Iniziare terapia psicologica supportiva basata sul sostegno emotivo per migliorare la propria immagine; (3) Affiancare un intervento di counseling per i familiari, per ottimizzare lo stato funzionale del paziente; (4) Approcciare il trattamento farmacologico; (5) Favorire l’inserimento dei pazienti in programmi fisici e riabilitativi Criteri diagnostici per il disturbo neurocognitivo maggiore A. Evidenza di un significativo declino cognitivo in uno o più domini cognitivi (attenzione, funzione esecutiva, 17 apprendimento e memoria, linguaggio, funzione percettivo-motoria, cognizione sociale), basato su: (1) Preoccupazione dell’individuo, di un informatore attendibile o del clinico che vi sia stato un significativo declino cognitivo; (2) Una significativa compromissione della performance cognitiva documentabile mediante test neuropsicologici standardizzati e un’accurata valutazione clinica B. I deficit cognitivi interferiscono con l’indipendenza nelle attività quotidiane (necessità di assistenza) C. I deficit cognitivi non si verificano esclusivamente in contesto di delirium D. I deficit cognitivi non sono meglio spiegati da altro disturbo mentale (es. schizofrenia) Specificare se dovuto a: M. di Alzherimer; Degenerazione frontotemporale; M. a corpi di Lewy; Malattia cardiovascolare; Trauma cranico; Uso di sostanze/farmaci; Infezione di HIV; Malattie da prioni; M. di Parkinson; M. di Huntington; Altra condizione medica; Eziologie molteplici; Senza specificazione Specificare se: (1) Senza alterazione comportamentale; (2) Con alterazione comportamentale (es. disturbi dell’umore) e, in caso, specificare l’alterazione specifica Specificare la gravità: (1) Lieve: difficoltà con attività strumentali quotidiane (es. lavori domestici); (2) Moderata: difficoltà con attività di base della vita quotidiana (es. alimentazione); (3) Grave: completamente dipendente Criteri diagnostici per il disturbo neurocognitivo lieve A. Evidenza di un modesto declino cognitivo in uno o più domini cognitivi (attenzione, funzione esecutiva, apprendimento e moria, linguaggio, funzione percettivo-motoria, cognizione sociale), basato su: (1) Preoccupazione dell’individuo, di un informatore attendibile o del clinico che vi sia stato un lieve declino cognitivo; (2) Una modesta compromissione della performance cognitiva documentabile mediante test neuropsicologici standardizzati e un’accurata valutazione clinica B. I deficit cognitivi non interferiscono con l’indipendenza nelle attività quotidiane C. I deficit cognitivi non si verificano esclusivamente in contesto di delirium D. I deficit cognitivi non sono meglio spiegati da altro disturbo mentale (es. schizofrenia) Specificare se dovuto a: M. di Alzherimer; Degenerazione frontotemporale; M. a corpi di Lewy; Malattia cardiovascolare; Trauma cranico; Uso di sostanze/farmaci; Infezione di HIV; Malattie da prioni; M. di Parkinson; M. di Huntington; Altra condizione medica; Eziologie molteplici; Senza specificazione Specificare se: (1) Senza alterazione comportamentale; (2) Con alterazione comportamentale (es. disturbi dell’umore) e, in caso, specificare l’alterazione specifica 2.1 Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a Malattia di Alzheimer La M. di Alzheimer-Perusini è il disturbo degenerativo più frequente, rappresentando il 60-80% di tutti i DNC. L’esordio può essere sia presenile (< 65 anni) che senile (> 65 anni) e risulta essere insodioso, graduale e con andamento progressivo; circa il 62% dei malati sono donne. La predisposizione alla malattia è in parte geneticamente determinata; la percentuale delle forme familiari è del 5- 10%. Nelle forme precoci, sono state individuate mutazioni a carico di 3 geni: APP (proteina percursore dell’amiloide, nel cr.21), PSEN 1 (presenilina 1, nel cr.14), PSEN 2 (presenilina 2, nel cr.1); nelle forme a esordio tardivo invece circa il 40-65% dei soggetti presenta almeno un allele E4 per ApoE mutato, condizione che aumenta marcatamente il rischio di sviluppare malattia. Nella maggior parte dei casi la malattia rimane comunque sporadica, nella quale i fattori ambientali hanno molta importanza: fattori tossici (inquinamento, alluminio), fattori infettivi (Herpes Virus), traumi cranici, carenze dietetiche o di sostanze neuroprotettive (es. omega 3). Da un punto di vista patogenetico si pensa che un’alterazione della β -amiloide sia responsabile della sua insorgenza, con formazione di delle tipiche placche senili (con nucleo centrale di β -amiloide circondate da cellule gliali reattive), degenerazione neurofibrillare e degenerazione vacuolare nella corteccia ippocampale. Si assiste quindi a una perdita di neuroni in specifiche aree: corteccia cerebrale, ippocampo, strutture sottocorticali come il nucleo basale di Meynert. Sono stati inoltre dimostrati alterazioni di sistemi neurotrasmettitoriali, in primis dell’attività colinergica, ma anche del sistema serotoninergici, noradrenergico, dopaminergico, vasopressina, CRF. Per quanto riguarda il trattamento, sono raccomandati i trattamenti non farmacologici come la stimolazione cognitiva; il trattamento farmacologico prevede invece l’uso di inibitori reversibili dell’acetilcolinesterasi e della memantina: donepezil, rivastigmina, galantamina, memantina. Criteri diagnostici per il DNC maggiore o lieve dovuto a M. di Alzheimer A. Sono soddisfatti i criteri per il disturbo neurocognitivo maggiore o lieve B. C’è un esordio insidioso e graduale progressione del danno di uno più domini cognitivi C. Sono soddisfatti i criteri per la M. di Alzheimer, come segue: 18 Per il DNC maggiore, per una probabile M. di Alzheimer bisogna venga soddisfatto uno dei seguenti criteri, altrimenti si parla di possibile M. di Alzheimer: 1. Evidente mutazione genetica dimostrata da anamnesi familiari o test genetici 2. Sono presenti tutti e 3 i seguenti: (a) Chiara evidenza di declino di memoria e apprendimento; (b) Declino progressivo e graduale nella cognizione, senza plateau estesi; (c) Nessuna evidenza di etiologia mista (cioè di altre malattie neurodegenerative) Per il DNC lieve: Una probabile M. di Alzheimer è diagnosticata se vi è evidenza di una mutazione genetica Una possibile M. di Alzheimer è diagnosticata se non è evidenza di mutazione genetica, ma sono presenti tutti e 3 i seguenti sintomi: (a) Chiara evidenza di declino di memoria e apprendimento; (b) Declino progressivo e graduale nella cognizione, senza plateau estesi; (c) Nessuna evidenza di etiologia mista (cioè di altre malattie neurodegenerative) D. L’alterazione non è meglio spiegata da malattie cerebrovascolari, degenerative, effetti di una sostanza o altro disturbo mentale, neurologico o sistemico 2.2 Disturbo neurocognitivo frontotemporale maggiore o lieve La demenza frontotemporale è la seconda causa di demenza a esordio precoce, riguardando 15-22 casi/100000/anno in individui di età compresa tra 45-65 anni. Una lieve dominanza delle forme di demenza frontotemporale è sporadica, mentre la maggioranza presenta familiarità positiva (mutazione del gene MAPT, che codifica per la proteina tau e del gene GRN, per la progranulina). Da un punto di vista antomo-patologico il paziente presenta una progressiva atrofia circoscritta dei lobi fronto- temporali, con inclusioni argentofile intraneuronali. Da un punto di vista clinico si hanno 4 varianti: (1) Comportamentale, con disturbi della personalità e del comportamento (apatia, disinibizione, ipocondria ecc.) che esordiscono prima di quelli cognitivi; (2) Afasia primaria semantica; (3) Afasia primaria non fluente/agrammatica; (4) Afasia primaria logopenica. Il trattamento prevede l’utilizzo di inibitori reversibili dell’acetilcolinesterasi e della memantina. Criteri diagnostici per DNC frontotemporale maggiore o lieve A. Sono soddisfatti i criteri per il disturbo neurocognitivo maggiore o lieve B. Il disturbo ha esordio insidioso e progressione graduale C. O (1) o (2) 1. Variante comportamentale: (a) Tre o più dei seguenti: disinibizione comportamentale; apatia o inerzia; perdita di simpatia o empatia; comportamento perseverante o compulsivo; iperoralità e cambiamenti nella dieta; (b) Declino prominente nella cognitività sociale e/o nelle abilità esecutive 2. Variante relativa al linguaggio: declino prominente della capacità di linguaggio, in forma di produzione di linguaggio, denominazione di oggetti, grammatica ecc. D. Difficoltà nell’apprendimento e della memoria e della funzione percettivo-motoria E. L’alterazione non è meglio spiegata da malattie cerebrovascolari, degenerative, effetti di una sosta

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