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Linee guida TERAPIA DEL DOLORE IN ONCOLOGIA Edizione 2021 Aggiornamento ottobre 2021 In collaborazione con: SISTEMA NAZIONALE LINEE GUIDA DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ Linea guida pubblicata nel Sistema Nazionale Linee Guida Roma, 7 giugno 2022 Coordinatore Augusto Caraceni Specialista in cure p...
Linee guida TERAPIA DEL DOLORE IN ONCOLOGIA Edizione 2021 Aggiornamento ottobre 2021 In collaborazione con: SISTEMA NAZIONALE LINEE GUIDA DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ Linea guida pubblicata nel Sistema Nazionale Linee Guida Roma, 7 giugno 2022 Coordinatore Augusto Caraceni Specialista in cure palliative Segretario Emiliano Tamburini Oncologo Medico Cure Palliative, Terapia del Dolore e Riabilitazione - Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori - Milano Oncologia - Azienda Ospedaliera Cardinale G. Panico – Tricase (Le) Membri del panel di esperti Vittorina Zagonel Oncologo Medico Marco Maltoni Oncologo Medico Oncologia Medica 1 - I.O.V., IRCCS – Padova Oncologia, Azienda Ospedaliera Morgagni-Pierantoni Forli (FC) Alessandra Pigni Cure Palliative, Terapia del Dolore e Riabilitazione - Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori – Milano Davide Tassinari Oncologo Medico Cristina Chiuri Oncologo Medico Fabrizio Drudi Oncologo Medico Oncologia - Ospedale Degli Infermi – Rimini Oncologia - Azienda Ospedaliera Cardinale G. Panico – Tricase (Le) Oncologia - Ospedale Degli Infermi – Rimini Revisori Caterina Aurilio AIOM Terapia del Dolore, Tossicologia d'Urgenza e Anestesia - Seconda Università degli Studi di Napoli - Napoli Luigi Cavanna AIOM Medicina Oncologica-Ematologia - Az. Osped. Civile - Piacenza Marco Cascella Arturo Cuomo SIAARTI AIOM Anestesia e Rianimazione, Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale – Napoli Supporto ai Percorsi Oncologici Attività Clinica ed Area Critica, Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale – Napoli Vittorio Franciosi AIOM Oncologia Medica - A.O. Universitaria - Parma Pierangelo Lora Aprile Maria Caterina Pace Alessandro Valle Alessandro Vittori SIMG AISD SICP SIAARTI Responsabile Nazionale SIMG per Dolore e Medicina Palliativa Professore ordinario di Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e Terapia del Dolore – Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Caserta Responsabile sanitario Fondazione F.A.R.O. – Torino Staff Anesthesiologist, IRCCS Ospedale Pediatrico Franco Marinangeli SIAARTI Bambino Gesù, Roma Professore Ordinario di Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e del Dolore, Università degli Studi dell’Aquila Gruppo metodologico Michela Cinquini Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS- valutazione e sintesi delle prove Ivan Moschetti Antonino Carmelo Tralongo Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS- valutazione e sintesi delle prove Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS- valutazione e sintesi delle prove Veronica Andrea Fittipaldo Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS- ricerca bibliografica Come leggere le raccomandazioni * Le raccomandazioni cliniche fondamentali vengono presentate in tabelle e vengono corredate dalla qualità delle evidenze a supporto e dalla forza della raccomandazione. La riga d’intestazione della tabella è arancione, sia nel caso di applicazione dell’intero processo formale del metodo GRADE (v. capitolo specifico), sia nel caso in cui la sola valutazione della qualità delle evidenze sia stata prodotta secondo le dimensioni suggerite dal metodo GRADE. Qualità Globale delle evidenze (1) Raccomandazione (3) Forza della raccomandazione clinica (2) ALTA I pazienti con tumore pN+ oppure sottoposti a intervento resettivo senza adeguata linfoadenectomia (<D2) o anche R1 devono essere sottoposti a radiochemioterapia adiuvante (68,73) Forte a favore Qualità globale delle evidenze: PRECEDE LA RACCOMANDAZIONE Per raccomandazioni prodotte dal 2016, infatti, la tabella delle raccomandazioni si avvicina a quella derivante da tutto il processo formale GRADE (ALTA, MODERATA, BASSA, MOLTO BASSA). LA FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE CLINICA La forza della raccomandazione clinica viene graduata in base all’importanza clinica, su 4 livelli: Forza della raccomandazione clinica Terminologia Significato Forte a favore “Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx dovrebbe essere preso inconsiderazione come opzione terapeutica di prima intenzione” L’intervento in esame dovrebbe essere considerato come prima opzione terapeutica (evidenza che i benefici sono prevalenti sui danni) “Nei pazienti con (criteri di selezione) L’intervento in esame può essere considerato come Condizionata a favore l’intervento xxx può essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in opzione di prima intenzione, consapevoli dell’esistenza di alternative ugualmente proponibili (incertezza riguardo alla prevalenza dei benefici sui alternativa a yyy” danni) Condizionata a sfavore “Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx non dovrebbe essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in alternativa a yyy” L’intervento in esame non dovrebbe essere considerato come opzione di prima intenzione; esso potrebbe comunque essere suscettibile di impiego in casi altamente selezionati e previa completa condivisione con il paziente (incertezza riguardo alla prevalenza dei danni sui benefici) Forte a sfavore “Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx non deve essere preso inconsiderazione come opzione terapeutica di prima intenzione” L’intervento in esame non deve essere in alcun caso preso in considerazione (evidenza che i danni sono prevalenti sui benefici) LA RACCOMANDAZIONE CLINICA Deve esprimere l’importanza clinica di un intervento/procedura. Dovrebbe essere formulata sulla base del P.I.C.O.* del quesito (popolazione, intervento, confronto, outcome). In alcuni casi può contenere delle specifiche per i sottogruppi, indicate con il simbolo √. QUESITI AFFRONTATI CON APPROCCIO FORMALE GRADE Le raccomandazioni scaturite dall’applicazione di tutto il processo formale GRADE sono strutturate come nell’esempio sottostante. QUESITO xx: ………………. RACCOMANDAZIONE: Forza della raccomandazione: Motivazioni/Commenti al bilancio Beneficio/Danno: Sono state rilevate le seguenti limitazioni: Conclusioni per motivare il bilancio beneficio/danno: Implicazioni per le ricerche future: Certezza delle Prove La certezza delle prove è stata giudicata ……. per i seguenti motivi: Certezza globale delle prove: ……. CONFLITTO DI INTERESSE Certezza Globale delle prove Raccomandazione Forza della raccomandazione clinica MODERATA In pazienti con melanoma in stadio IIIA (con metastasi al linfonodo sentinella di almeno 1 mm), IIIB, IIIC o IIID con mutazione BRAF V600 una terapia adiuvante con dabrafenib + trametinib dovrebbe essere presa in considerazione come prima opzione terapeutica Forte a favore COI: Astenuti per possibili conflitti di interesse: Dr. XX, Dr. YY * La descrizione completa della metodologia applicata alle LG AIOM e la modalità di formulazione del quesito clinico sono reperibili sul sito www.aiom.it. GRADE= Grading of Recommendations Assessment, Development and Evaluation Le informazioni complete relative al processo GRADE (quando applicato) e le appendici con il flow della selezione dei lavori pertinenti sono riportate alla fine del documento. Scopo e obiettivi della Linea Guida Le finalità delle Linee Guida AIOM sono: Migliorare e standardizzare “la pratica clinica” Offrire al paziente sull’intero territorio nazionale la possibilità della “migliore cura” Garantire un riferimento basato sull’evidenza per le istituzioni nazionali e regionali, per gli organismi regolatori ed i “payers”. Attualmente le Linee Guida AIOM sono rivolte solo all’utilizzo medico, ma non ristretto al solo ambito oncologico. Sono disponibili da aprile 2015 nel sito di AIOM Fondazione opuscoli informativi per i pazienti, redatti dai singoli Gruppi di Lavoro delle Linee Guida, in attesa di produrre anche Linee Guida formali rivolte ai pazienti. All’interno del testo, nella sezione di appartenenza, vengono riportati i quesiti clinici, ai quali la Linea Guida intende rispondere, formulati secondo l’acronimo PICO. Per i quesiti NON sviluppati con l’intero processo GRADE, ma per i quali solo la certezza delle prove è stata valutata secondo metodo GRADE, la forza della raccomandazione si basa su un consenso informale tra i membri del panel. Le Linee Guida AIOM Terapia del Dolore in Oncologia hanno lo scopo di formulare le raccomandazioni per quanto riguarda: l’impatto dei FANS e del paracetamolo (cap 8); il ruolo degli oppioidi (cap 9); la gestione degli eventi avversi (cap 10); i farmaci adiuvanti (cap 11); il dolore episodico intenso (cap 13); gli interventi antalgici invasivi (cap 14); il dolore oncologico nel paziente anziano (cap 15); Le principali aree di incertezza vengono approfondite o valutate con metodologia GRADE. La popolazione cui si rivolge è rappresentata da soggetti con dolore secondario alla presenta di neoplasia. INDICE Figure 8 Introduzione 13 Epidemiologia del dolore da cancro 14 Dolore iatrogeno in oncologia 16 Valutazione, eziopatogenesi e diagnosi del dolore 23 Barriere ad un corretto trattamento del dolore 30 Ruolo palliativo ed antalgico delle terapie mediche antitumorali 35 Strategia di gestione del dolore 36 Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e paracetamolo 39 Ruolo degli oppioidi 44 Gestione degli effetti avversi degli oppioidi 58 Farmaci adiuvanti 68 Fattori predittivi di dolore difficile 79 Dolore episodico intenso 81 Interventi antalgici invasivi 87 Dolore oncologico nel paziente anziano 93 Bibliografia 102 Appendice 1: Tabelle GRADE: evidence profile e evidence to decision framework (solo per quesiti affrontati con l’approccio GRADE) Appendice 2: Strategia di ricerca e PRISMA Flow di selezione degli studi Appendice 3: Manuale metodologico AIOM: LINEE GUIDA AIOM 2021. Finalità e caratteristiche: Metodologia applicata alle linee guida AIOM. Appendice 4: Commenti revisori esterni Appendice 5: Conflitti di Interesse Figura 1: Inquadramento Figura 2: Eziopatogenesi -Dolore Somatico: componente nocicettiva somatica è evocata da stimoli quali pressione, trazione, sfregamento, variazioni termiche, variazioni del pH; la sede del dolore è superficiale e il paziente riesce a definirne la localizzazione; di tipo trafittivo, fulminante, puntorio -Dolore Misto: quando interessa sia strutture somatiche che viscerali: ad esempio l'estensione di un processo infiammatorio da un organo addominale al peritoneo parietale. Oppure quando interessa sia le strutture coinvolte nel dolore nocicettivo, che quelle coinvolte nel dolore neuropatico. Nel caso di una lesione vertebrale avanzata si ha la presenza sia del dolore osseo (componente nocicettiva somatica) che del dolore neuropatico (da compressione o infiltrazione della radice nervosa) Inquadrare il Dolore se Presente -Dolore viscerale: componente nocicettiva viscerale è evocata da stimoli quali distensione dei visceri, contrazioni, irritanti chimici, infiammazione; la sede è profonda e il paziente riesce difficilmente a darne una localizzazione precisa; di tipo ottuso, sordo, compressivo, di intensità variabile -Dolore neuropatico: un dolore che interessa le strutture nervose periferiche o centrali: le caratteristiche di questo dolore variano da paziente a paziente, ma in genere si hanno sensazioni di bruciore continuo o di scosse elettriche; sono spesso presenti parestesie, sensazioni anomale anche nelle zone circostanti la sede primaria del dolore. Tali sensazioni sono dette iperalgesia, quando una leggera stimolazione dolorifica crea invece un dolore molto spiccato, e allodinia quando una stimolazione non dolorifica, quali possono essere il semplice strisciamento della pelle o il peso del lenzuolo, viene avvertita come dolore. Figura 3: Terapia Figura 4: Dolore episodico intenso Secondario ad eventi scatenanti -“Prevenire” gli eventi scatenanti il dolore (secondari a movimento passivo, all’igiene, ecc) con una “rescue dose” -Cercare di limitare gli eventi scatenanti (esempio: controllare il sintomo tosse, anticipare i clisteri evacuativi) Se presente dolore episodico intenso -Nel caso di ricorso alla “rescue dose” superiore a 2 volte al die rivalutare il trattamento ad orari fissi Dolore spontaneo, di rapida insorgenza e di intensità elevata -Escludere emergenze oncologiche -Rivalutare terapia ad orari fissi -Impostare terapia al bisogno con Fentanyl transmucosale, e/o Morfina per os, e/o Morfina sc/ev (TABELLA DOLORE L) -“Titolare” il dosaggio del Fentanyl transmucosale -Utilizzare una dose di morfina pari ad 1/6 della dose utilizzata per la terapia a orari fissi (TABELLA DOLORE L) Figura 5: “Continuità di cura” Introduzione La produzione di linee-guida sul trattamento del “dolore oncologico” è giustificata se parte dalla convinzione che l’esperienza dolorosa umana racchiude in sé sia una componente totalmente soggettiva, unica e irripetibile, che deve essere affrontata in modo peculiare paziente per paziente, sia una componente “fisica” più sistematizzabile ed affrontabile con le metodiche della medicina basata sull’evidenza. Per affrontare il “dolore totale” provato dalla singola persona nel proprio contesto socio-culturale e familiare, il medico deve porre in atto quell’ approccio globale che tiene conto di tutti gli aspetti fisici, psicologici, sociali, relazionali e spirituali del dolore, e attivare le possibili risorse che da tali valutazioni possono emergere (valorizzazione di approcci sistemici, delle reti amicali e di sostegno, organizzazione delle più appropriate reti di cura) (1). Il secondo aspetto, costituito da un rigoroso approccio metodologico al “dolore di una popolazione di pazienti oncologici”, è quindi necessario, ma non sufficiente, se non inserito nello scenario sopra delineato. È però anche vero il contrario: che senza un’attenzione tecnico-professionale al dolore fisico, “l’approccio globale” rimane monco di una componente fondamentale. Non esiste quindi dualismo fra un approccio empatico/inclusivo, e un atteggiamento scientifico/competente: essi sono anzi necessariamente complementari e co-essenziali (2). Entrambe le componenti infatti contribuiscono a realizzare una vera presa in carico globale del malato oncologico, necessaria in ogni fase della sua malattia (3). Un’altra questione riguarda il fatto se il dolore da cancro abbia o no delle peculiarità rispetto al “dolore cronico” tout-court, che spesso viene chiamato “dolore-malattia” o, impropriamente, dolore cronico “benigno” in quanto non provocato da patologia oncologica. A questo riguardo vi sono visioni diverse. Da una parte vi è chi tende a sottolineare gli aspetti di sovrapposizione del dolore cronico da cancro e non da cancro. Paradigma di questa posizione è rappresentato dall’editoriale di Turk “Remember the distinction between malignant and benign pain? Well, forget it” (4). Il nostro punto di vista, da molti condiviso, è che il dolore da cancro possieda delle peculiarità tali da renderlo “diverso” rispetto al “dolore cronico” non da cancro (5). Tali peculiarità sono di seguito riportate: a) nel dolore oncologico il dolore non è l’unico sintomo, ma fa parte di un corteo sintomatologico complesso, talora aggregato in cluster, talora meno prevedibile, per cui il trattamento del dolore si è rivelato più efficace quando inserito in un trattamento palliativo di più ampio respiro (6); b)in questo senso, il dolore nel paziente oncologico assume solo in parte quelle caratteristiche di dolore “malattia”, in quanto diagnosi, eziopatogenesi, e fisiopatologia sono per la maggior parte note e collegate alla malattia oncologica di base, una adeguata conoscenza della quale è sicuramente molto utile per garantire un adeguato approccio terapeutico (7-8); c) il dolore da cancro, specie in fase avanzata, e quello cronico non oncologico, differiscono in modo significativo nelle due dimensioni fondamentali: intensità e interferenza (9); d) il dolore da cancro è nella maggior parte dei casi a fisiopatologia di tipo misto nocicettivo-neuropatico; e) nel dolore da cancro l’obiettivo del trattamento può essere, purtroppo, solo a volte il recupero di un’autosufficienza dalla disabilità; da un certo punto in poi (fase avanzatissima) l’obiettivo è la riduzione del sintomo per permettere la migliore qualità di vita possibile; f) nel dolore oncologico il tempo di trattamento è generalmente, purtroppo, di mesi o pochi anni, per cui gli allarmi (già poco motivati nel dolore cronico non oncologico), sulle conseguenze dell’uso degli oppioidi, devono trovare ancora meno spazio nel dolore cronico oncologico (10-11); g) inoltre la ricerca clinica e le strategie terapeutiche (in particolare, quella farmacologica che fa riferimento alla Scala Analgesica a tre gradini della World Health Organization [WHO]) sono nate e si sono sviluppate in gran parte nel dolore da cancro (12); h) le evidenze scientifiche e l’esperienza clinica sistematizzata che ne é mutuata, sono quindi al momento maggiori per la terapia del dolore cronico in oncologia, anche se vanno diffondendosi oramai anche al dolore cronico non oncologico. Riteniamo, infine, che il trattamento del dolore (sintomo così presente in tutti gli stadi della storia naturale della patologia oncologica) debba costituire bagaglio professionale e culturale di chi cura il malato oncologico. L’attenzione alla qualità della vita nella presa in carico del paziente, indipendentemente dal risultato che i trattamenti specifici ottengono sul tumore, deve costituire infatti un obiettivo prioritario dell’oncologo medico (13), il quale deve anche attivare contestuali percorsi specifici nelle situazioni in cui ciò sia appropriato e abbia dimostrato evidenze di efficacia, nel modello della “early palliative care” (14). Epidemiologia del dolore da cancro Il dolore da cancro rimane tuttora, nonostante la sempre maggiore consapevolezza degli operatori sanitari, i programmi educazionali e gli interventi di organizzazione sanitaria finalizzati a diffondere una cultura di attenzione a tale problematica, un sintomo diffuso e ad elevato impatto, sia sulle attività di vita quotidiana, sia a livello emozionale. Ciononostante, i lavori che hanno studiato la incidenza del dolore oncologico sono estremamente disomogenei per stadio di malattia, numero di pazienti, metodologia di studio, e anche le poche revisioni di letteratura effettuate negli anni passati, solo tre in un lasso di tempo di più di venti anni, presentavano limiti di tipo metodologico e di accuratezza delle stime di prevalenza (1-3). Per questi motivi la recente revisione sistematica di van den Beuken-van Everdingen e collaboratori (4) rappresenta un reale passo in avanti nella identificazione delle caratteristiche di prevalenza del dolore oncologico, in generale e nelle sottopopolazioni di pazienti in diversa fase di malattia. I criteri di qualità utilizzati per valutare gli studi di prevalenza erano rappresentati da: a) campione dello studio rappresentativo della popolazione oggetto del problema e del trattamento; b) criteri di qualità dei dati; c) definizione di prevalenza del dolore nella descrizione del metodo e dei risultati. Nella metanalisi sono stati utilizzati 52 studi. I tassi di prevalenza del dolore sono stati calcolati per quattro sottogruppi: 1) studi su pazienti dopo trattamento a scopo di guarigione: prevalenza = 33% (intervallo di confidenza [IC] 95%: 21%-46%); 2) studi su pazienti in trattamento antitumorale: prevalenza = 59% (IC 95%: 44%-73%; 3) studi su pazienti identificati come con malattia avanzata/metastatica/terminale: prevalenza = 64% (IC 95%: 58%-69%); 4) studi su pazienti in qualunque fase di malattia: prevalenza = 53% (IC 95%: 44%-73%) (Tabella 1). La prevalenza globale del dolore era maggiore del 50% in tutti i tipi di neoplasia; la prevalenza più elevata era presente nei pazienti con neoplasia del distretto cervico-faciale (70%; 95% IC: 51%-88%). Per definire il livello di severità del dolore veniva utilizzato l’unico studio (5) che metodologicamente ha appaiato i valori numerici con la severità e ne ha valutato l’appropriatezza, che quindi dovrebbe essere la più accurata possibile: dolore lieve, 1-4; moderato, 5-6; severo, 7-10. In realtà, nella pratica clinica i valori attribuiti ad ogni classe di severità del dolore sono vari, e non esiste, a tutt’oggi, un consenso unanime sui valori numerici da attribuire a ciascun livello di dolore. Sono stati identificati sette studi del primo tipo (726 pazienti), sette del secondo (1.408), 22 del terzo (9.763), e 16 del quarto (8.088). Come ci si poteva aspettare, la prevalenza del dolore nel primo gruppo era significativamente inferiore a quella degli altri tre. La severità del dolore era valutata solo in 17 studi su 52; la prevalenza del dolore moderato-severo variava da 31% a 45%, a seconda della popolazione di pazienti. La prevalenza complessiva del dolore nella malattia avanzata o metastatica (64%) era leggermente inferiore a quella riportata precedentemente, forse perché le revisioni più vecchie includevano anche rilevazioni operate da caregiver (familiari o altri). In passato non era stata identificata una categoria di pazienti “in trattamento antitumorale”, che peraltro non si differenzia molto, per prevalenza del dolore (59%), dal gruppo tre, relativo ai pazienti in fase avanzata. È verosimile che fra i due gruppi vi siano sovrapposizioni notevoli, per quanto riguarda le condizioni cliniche dei pazienti. Tabella 1: Prevalenza del dolore nei pazienti oncologici: revisione sistematica ultimi 40 anni STUDI PAZIENTI SETTING PREVALENZA DOLORE MODERATO SEVERO % (IC 95%) % 7 756 Trattamento curativo 33 (21-46) Non riportato 7 1408 Trattamento avanzato 59 (44-73) 36 22 9763 Fase avanzata/metastatica/terminale 64 (58-69) 45 16 8088 Popolazioni miste di tutte le precedenti 53 (43-63) 31 Da van den Beuken -van Everdingen MHJ et al. Prevalence of pain in patients with cancer: a systematic review of the past 40 years. (ref. 4) * IC = Intervallo di Confidenza Dolore iatrogeno in oncologia Numerose sono le condizioni cliniche in cui una componente iatrogena può essere ipotizzata nella genesi di sindromi dolorose complesse; tra queste possono essere identificati, con intenti didattici: Il dolore acuto e cronico post-chirurgico; Il dolore acuto e cronico post-radioterapia; Il dolore acuto e cronico post-chemioterapia; Il dolore acuto e cronico da trattamenti integrati (chemio-radioterapia palliativa, chemio-radioterapia adiuvante o neoadiuvante); Il dolore da trattamenti di supporto (iperalgesia da oppiacei, dolore da fattori di crescita ematopoietici, cefalea da anti-serotoninergici) (1). Il dolore iatrogeno è un dolore di per sé complesso, i cui meccanismi possono così essere schematizzati: Dolore da danno diretto a cute o mucose; Dolore da danno/irritazione a strutture nervose periferiche; Dolore da espansione di compartimenti ematopoietici; Dolore da squilibrio idro-elettrolitico o scompenso metabolico (1). Il dolore post-chirurgico. Il dolore post-chirurgico può essere distinto in dolore acuto (o dolore post-operatorio) e dolore cronico. Se le componenti del dolore acuto hanno un interesse minore per l’oncologo medico, in quanto di pertinenza strettamente chirurgico/anestesiologica, ben più importante per la pratica clinica dell’oncologo medico sono le sindromi dolorose croniche intese quale “esito” del trattamento chirurgico, potenzialmente presenti quale concausa di aggravamento della qualità della vita del paziente con tumore nel corso di tutta la storia naturale della malattia (2). I meccanismi attraverso cui si manifesta una sintomatologia dolorosa cronica post chirurgica possono così essere sintetizzati: Dolore da lesione nervosa periferica; Dolore da trazione di strutture anatomiche (in condizioni estreme di mancanza di tessuto o cicatrizzazioni detraenti); Dolore da intolleranza ad impianto protesico; Dolori da sindromi aderenziali addominali; Dolori da sacrificio di strutture anatomiche non necessariamente interessate dalla malattia tumorale. La prevalenza del dolore cronico post-operatorio è sottostimata nella pratica clinica, esistendo numerose segnalazioni relative alle problematiche connesse al dolore neuropatico periferico da lesione di strutture nervose (sindrome da organo fantasma, sindrome da lisi nervosa periferica), ma ben poco riguardo alle problematiche secondarie alla sindromi aderenziali post chirurgia addominale, alle intolleranza ad impianti protesici (chirurgia protesica della mammella, chirurgia protesica delle metastasi ossee…) o ai fenomeni di trazione su parenchimi e tessuti sani da fenomeni di cicatrizzazione detraente. Il dolore cronico post-chirurgico è in genere un dolore complesso, nel quale sono contemporaneamente presenti componenti di dolore somatico e dolore neuropatico, sul quale spesso si concentra la attenzione del paziente (che a quel dolore associa la preoccupazione per una recidiva locale della malattia) e la sottovalutazione del curante (che ritiene quel dolore inevitabilmente correlato ad una procedura terapeutica comunque indispensabile). Dolore acuto e cronico post-radioterapia. Il dolore da radioterapia può essere distinto in dolore acuto e dolore cronico a seconda dell’intervallo della sua insorgenza rispetto al tempo radioterapico: completamente diversi sono a questo proposito sia i meccanismi patogenetici, sia le implicazioni terapeutiche. Il dolore acuto da radioterapia. Le manifestazioni cliniche sono essenzialmente due: dolore secondario a fenomeni di irritazione cutanea o mucosa, dolore da esacerbazione dei fenomeni infiammatori nel trattamento palliativo delle lesioni ossee. In entrambe le manifestazioni cliniche del dolore il meccanismo patogenetico fondamentale è la attivazione di fenomeni flogistici acuti, in ogni caso attivati dall’effetto lesivo delle radiazioni ionizzanti a carico di strutture quali cute, mucose o osso (3-4). Il dolore cronico da radioterapia. I meccanismi che stanno alla base del dolore cronico da radioterapia sono legati essenzialmente ai processi di fibrosi o vasculite cronica post attinici. Due a questo proposito le manifestazioni cliniche del dolore cronico post-radioterapia: dolore da trazione secondaria a fenomeni di fibrosi post-attinica a carico di tessuti sani (trazione su cute e mucose, mancata elasticità di organi cavi, trazione/compressione su organi cavi o strutture nervose), dolore neuropatico da vasculite cronica a carico dei vasa-nervosum delle strutture nervose periferiche (1). Dolore acuto e cronico da chemioterapia. Rappresenta uno dei capitoli più complessi della gestione degli effetti collaterali in oncologia medica. Anche nel caso dei trattamenti medici una prima distinzione può essere fatta tra dolore acuto e dolore cronico. I farmaci più di frequente responsabili di una sindrome dolorosa acuta sono illustrati in tabella1; a questo proposito alcune considerazioni meritano comunque di essere fatte. Alcuni farmaci presentano peculiarità proprie della molecola (esempio del dolore neuropatico da oxaliplatino), ed altri presentano manifestazioni che sono comuni a più molecole anche molto diverse tra loro (danno da irritazione di parere venosa in corso di infusione); allo stesso modo, alcune strategie di trattamento presentano meccanismi di attivazione dei fenomeni dolorosi che possono essere comuni ad approcci terapeutici anche molto diversi tra loro (caso della mucosite che può essere osservata in corso di trattamento con sola chemioterapia, o con trattamenti chemio-radianti complementari). Un caso particolare è poi quello dei trattamenti chemioterapici a dosi sovramassimali, con sindromi dolorose correlate alla mucosite, a fenomeni di riespansione midollare o a tossicità specifiche osservate per singoli farmaci. Fondamentali a questo proposito sia l’impiego di tutti i trattamenti o le strategie finalizzate alla prevenzione o al contenimento del danno acuto da chemioterapia (norme igieniche, uso di chemioprotettori…) sia un adeguato monitoraggio e trattamento della sindrome dolorosa al momento della sua manifestazione clinica. Riguardo invece al dolore cronico da trattamenti medici antineoplastici, le manifestazioni cliniche prevalenti sono quelle di un dolore neuropatico periferico prevalentemente sensitivo. In tabella 2 sono riassunti i farmaci che più di frequente sono responsabili di un dolore cronico da terapie mediche antineoplastiche, distinguendo tra le molecole il cui danno prevalente è a carico delle strutture sensitive, e molecole il cui danno è a carico sia delle strutture sensitive che di quelle motorie. Due a questo proposito i meccanismi patogenetici alla base del dolore cronico neuropatico da farmaci antiblastici: Un danno citotossico diretto; Un danno a livello microtubulare dell’assone nervoso (5-6). Senza entrare nel merito delle componenti farmacodinamiche che determinano l’effetto a livello della cellula nervosa, significativi sono comunque alcuni aspetti che meritano di essere tenuti in considerazione nella pratica clinica: Per i farmaci a potenziale effetto neurotossico periferico esiste una correlazione diretta tra dose somministrata per singolo ciclo e danno neurologico; Il ritmo di somministrazione può influenzare direttamente la insorgenza dell’effetto (nello specifico dei taxani, il danno neurologico è maggiormente frequente nelle somministrazioni settimanali); Esiste una correlazione positiva tra effetto tossico e dose cumulativa del farmaco; La presenza di comorbidità quali il diabete, le vasculopatie croniche o l’età del paziente rappresentano fattori di rischio indipendenti per la comparsa di un dolore iatrogeno; I trattamenti di associazione (quali ad esempio una associazione cisplatino-taxano) rappresentano una condizione di rischio aggiuntivo con effetto tossico sinergico (1). Dolore iatrogeno in corso di trattamento con farmaci ormonali. Uno degli aspetti più rilevanti relativi al dolore cronico in corso di terapia medica antineoplastica è poi sicuramente quello del dolore osseo ed osteo-articolare in corso di ormonoterapia con farmaci inibitori dell’aromatasi quando utilizzati da soli, o eventualmente in associazione con i farmaci inibitori delle cicline. L’aspetto è sicuramente rilevante sia per lo spettro molto ampio della indicazione all’uso dei farmaci inibitori dell’aromatasi (dalla terapia ormonale adiuvante in donne in post-menopausa o in corso di terapia co LH-RH analoghi, alla terapia della malattia metastatica ormono-sensibile in monoterapia o in associazione con i farmaci inibitori delle cicline), sia per la durata dei trattamenti, in genere protratti anche per anni in corso di trattamento adiuvanti o in pazienti responders). Rilevanti a tal proposito, oltre ai trattamenti sintomatici con FANS o farmaci del II gradino della scala analgesica, tutti quegli interventi volti al mantenimento delle capacità funzionali quali una attività fisica continuativa eventualmente guidata da professionisti degli ambiti riabilitativi o delle scienze motorie. Dolore iatrogeno in corso di immunoterapia o farmaci a bersaglio molecolare. Poco studiato ad oggi il dolore in corso di immunoterapia o in corso di trattamento con farmaci a bersaglio molecolare. Si segnala a tal proposito la cefalea, descritta come evento frequente in corso di immunoterapia o chemio-immunoterapia, o le poliartralgie dolorose e con limitazione funzionale occasionalmente descritte in corso di immunoterapia. Anche in questo caso, come per il dolore osseo in corso di trattamento con farmaci inibitori dell’aromatasi, un trattamento sintomatico con farmaci del I o del II gradino, associato a terapie fisiche ed attività motoria rappresentavo l’approccio più di frequente raccomandato. Dolore iatrogeno in corso di trattamento con farmaci oppiacei. Un aspetto ancora controverso relativo al dolore iatrogeno è il fenomeno dell’iperalgesia osservata in corso di trattamento cronico con farmaci oppiacei; pur non essendo ancora noti i meccanismi che ne stanno alla base, il fenomeno sembrerebbe essere correlato ai fenomeni della tolleranza ai farmaci oppiacei somministrati in maniera cronica, attraverso lo stimolo dei recettori NMDA spinali, l’azione della dinorfina a livello spinale, alcune anomalie nei processi di regolazione centrale dei processi di trasmissione dello stimolo nervoso, una azione della colecistokinina a livello del sistema nervoso centrale (7-9). Tabella 2: Principali farmaci in uso nella terapia medica dei tumori e responsabili di dolore acuto o subacuto. Revisione sistematica ultimi 40 anni MOLECOLA Citosina Arabinoside Interleukina 2** Interferoni * G-CSF ♯ Topotecan Vinorelbina Vinblastina FluoroUracile Adriamicina Clorodesossiadenosina Dacarbazina MOLECOLA Actinomicina D Daunorubicina Docetaxel Paclitaxel Epirubicina Etoposide Idarubicina Mitomicina C Vincristina Letrozolo Anastrozolo Exemestane Pembrolizumab Atezolizumab Nivolumab Zoledronato * Pamidronato * Bacillo di Calmette – Guerin ** Oxaliplatino Eritropoietina ** Tabella 3: Farmaci responsabili di neuropatia periferica classificati in base al meccanismo patogenetico principale DANNO SENSORIALE DANNO SENSORIALE E MOTORIO Bortezomib Carboplatino Cisplatino Etoposide Gemcitabina Ifosfamide Interferon-a Oxaliplatino Talidomide Citosina Arabinoside Docetaxel Paclitaxel Epotiloni Vincristina Vinblastina Vinorebina Vindesina Il dolore iatrogeno rappresenta un capitolo estremamente eterogeneo nell’ambito delle sindromi dolorose nel paziente oncologico. Alcuni aspetti devono essere tenuti in considerazione nella pratica clinica: In presenza di una sintomatologia dolorosa complessa, spesso resistente ai comuni trattamenti antalgici, una componente iatrogena deve sempre essere presa in considerazione; In fase diagnostica e di inquadramento del paziente, una valutazione del danno iatrogeno acuto e cronico deve essere sempre tenuta in considerazione, per i potenziali risvolti assistenziali negativi che una sua non-considerazione può comportare; Il dolore iatrogeno deve, quanto più possibile, essere evitato attraverso l’uso di protocolli volti a prevenire condizioni quali le mucositi, o attraverso l’uso di farmaci chemioprotettori (10-11); Il dolore iatrogeno deve sempre essere trattato per i possibili effetti negativi che questa tipologia di clinica dolorosa può avere sul paziente. Valutazione, eziopatogenesi e diagnosi del dolore La classificazione del dolore da cancro solo recentemente ha avuto ad opera della IASP e della codifica ICD una identificazione ben precisa (ICD.11) che superasse il vecchio concetto di "dolore come malattia", assolutamente non adatto ad un dolore con una etioaptogenesi ben precisa, come quello da neoplasia (1). Recentemente una revisione delle calassificazioni e della valutazione del dolore ha puntualizzato tutti gli aspetti maggiori dell'approccio a un tema tanto complesso. (2) Il dolore da cancro può essere presente in varie fasi della malattia neoplastica quale fattore aggravante il quadro clinico del paziente con neoplasia. I contesti clinico/assistenziali possono essere diversi, e il dolore oncologico può rappresentare: La prima manifestazione di una neoplasia misconosciuta; L’espressione di una malattia neoplastica nota, di cui rappresenta un sintomo di ripresa/progressione; Il sintomo di accompagnamento di una malattia in fase avanzata; L’espressione di un danno iatrogeno (post-chirurgico, post-attinico, post-chemioterapico) (3). Due le manifestazioni cliniche della sintomatologia dolorosa: Dolore acuto (inteso nelle sue due manifestazioni cliniche di dolore acuto in senso stretto, ed esacerbazione acuta di sintomatologia dolorosa cronica in trattamento, o Dolore Episodico Intenso); Dolore cronico, quale espressione di malattia neoplastica in atto o esito di trattamento (mutilazione chirurgica, esito di trattamento chemio-radiante). Per un inquadramento dei processi che stanno alla base del dolore da cancro può essere utilizzata una suddivisione “didattica” in tre classi: Da effetto massa; Come sindrome paraneoplastica; Iatrogeno (4). Quadri clinici correlati ad una manifestazione clinica del dolore Il dolore da effetto massa Numerosi sono i contesti clinici in cui il dolore da cancro è correlato ad un effetto massa da parte della neoplasia: in queste situazioni l’insorgenza della sintomatologia è principalmente correlata ai fenomeni compressivi o irritativi che la neoplasia determina a carico dei tessuti viciniori e degli organi o apparati coinvolti dalla neoplasia. Alcune tra le sindromi dolorose più di frequente correlate ad un effetto massa della neoplasia sono le seguenti: Da metastasi ossee; Da infiltrazione di plessi o strutture nervose; Da ulcerazione di cute o mucose; Da infiltrazione di strutture anatomiche quali muscoli o parenchimi; Da ostacolo alla canalizzazione intestinale o urinaria; Da distensione di organi parenchimatosi (5). Il dolore come sindrome paraneoplastica Uno degli aspetti più interessanti della ricerca di base in cure palliative e terapia del dolore è quello relativo alle possibili interrelazioni tra la malattia neoplastica e le manifestazioni cliniche del dolore. In questo contesto, numerose segnalazioni di letteratura evidenziano come una interrelazione tra citochine prodotte dal tumore e citochine prodotte dall’ospite (in particolare dal sistema monocito-macrofagico) possa rappresentare un momento patogenetico importante nella manifestazione clinica della cachessia neoplastica o della fatigue, e come una modulazione di questo processo possa rappresentare un momento terapeutico importante (6). Anche per quanto riguarda alcune sindromi dolorose complesse è stato ipotizzato un possibile ruolo di citochine prodotte dal tumore o dal sistema monocito-macrofagico quali fattori responsabili dei fenomeni della resistenza ai farmaci analgesici o della iperalgesia osservata in particolari condizioni cliniche, in cui un effetto massa o un effetto iatrogeno possa essere escluso o comunque secondario (5). Il dolore iatrogeno Numerose sono le condizioni cliniche in cui una componente iatrogena può essere ipotizzata nella genesi di diverse tipologie di dolori, che possono essere categorizzati come di seguito: ·Acuto e cronico post-chirurgico; ·Acuto e cronico post-radioterapia; ·Acuto e cronico post-chemioterapia; ·Acuto e cronico da trattamenti integrati (chemio-radioterapia palliativa, chemio-radioterapia adiuvante o neoadiuvante); ·Da trattamenti di supporto (iperalgesia da oppiacei, dolore da fattori di crescita ematopoietici, cefalea da anti-serotoninergici) (6). Dolore da cancro: inquadramento patogenetico Se le condizioni che determinano la insorgenza ed il mantenimento della clinica dolorosa in corso di neoplasia possono essere ascritte o all’effetto massa, o alla interrelazione tumore/ospite, o ad un danno iatrogeno o, più di frequente, ad un effetto congiunto di tutti questi fattori, le modalità fisiopatologiche attraverso cui il dolore si manifesta sono state così riportate: ·Nocicettivo da invasione/ulcerazione di tessuti; ·Infiammatorio, attraverso la attivazione dei meccanismi propri della flogosi acuta; ·Da spasmo della muscolatura liscia (dolore tipo “colica”); ·Da tensione di capsule parenchimali o fasce muscolari; ·Da insufficienza d’organo; ·Neuropatico periferico; ·Neuropatico centrale (7-8). Se le componenti patogenetiche del dolore da cancro possono, almeno in linea generale, essere accomunate a quelle osservate in condizioni di dolore cronico non oncologico (cosiddetto “benigno”), ciò che caratterizza il quadro clinico delle sindromi dolorose in corso di neoplasia è la complessità legata alle interrelazioni tumore/ospite ed agli esiti di trattamenti sovente tossici o mutilanti. La contemporanea presenza di multipli meccanismi alla base della manifestazione clinica della sindrome dolorosa rende difficile discriminare le singole componenti strettamente correlate agli effetti della neoplasia e le componenti correlate ai trattamenti (7;9-10). Il dolore da cancro ed il concetto di dolore totale Il dolore del paziente con neoplasia è stato da più parti definito come “dolore totale”, inteso come sofferenza del paziente e della sua famiglia nel corso della malattia neoplastica (11). Nell’ambito di tale definizione intervengono sia componenti legate alla “fisicità” dei sintomi sia componenti psicologiche, sociali e spirituali (Fig. 1). Uno degli aspetti più complessi della valutazione di efficacia di un trattamento in cure palliative è rappresentato dal rapporto tra controllo del sintomo e qualità della vita del paziente. Senza entrare nel merito delle specifiche interrelazioni tra le due componenti, può comunque essere affermato come il controllo di un sintomo (nello specifico il controllo del dolore) possa essere inteso come una condizione necessaria ma non sufficiente per un miglioramento della qualità della vita del paziente, e come il controllo del dolore fisico, per quanto essenziale nella presa in carico dell’ammalato oncologico, non possa comunque essere assunto quale obiettivo unico della cura del paziente. Questa, invece, dovrebbe invece essere impostata su una rilevazione dei bisogni del paziente/famiglia dalla quale mettere a punto un programma interdisciplinare di assistenza, processo al quale dovrebbero contribuire in maniera integrata molteplici figure professionali e di supporto. Fra i vari domini individuati come importanti per la valutazione del dolore oncologico l’intensità del dolore, gli aspetti temporali (frequenza ed esacerbazioni) e gli effetti del trattamento (sollievo) sono da considerarsi quelli più comunemente accettati come essenziali e quelli più comunemente inclusi negli strumenti di valutazione esistenti (13). Sono state individuate poi molte altre caratteristiche del dolore utili nella diagnosi e cura del sintomo (aspetti qualitativi, interferenza con le comuni attività quotidiane, effetti collaterali dei trattamenti, componenti emotive, durata, attitudini e pregiudizi sui trattamenti, soddisfazione riguardo al trattamento) ma risulta necessario operare una scelta fra queste al fine di limitare al massimo il potenziale disagio del paziente derivante da una compilazione di questionari eccessivamente lunghi. Per quanto concerne il riferimento temporale e le cadenze della misurazione, dati disponibili mostrano che una valutazione del dolore da cancro su un periodo di tempo superiore alla settimana può minare la validità della misurazione stessa, mentre valutazioni giornaliere riferite alle 24 ore precedenti costituiscono misurazioni valide e affidabili. Per un’adeguata gestione del dolore da cancro si raccomanda la misurazione dell’intensità, delle eventuali esacerbazioni del dolore e del sollievo dato dalle terapie riferiti alle 24 ore precedenti; la valutazione di altri aspetti deve essere introdotta senza creare disagio al paziente. Esiste accordo in letteratura sulla sostanziale analogia riguardo alle proprietà psicometriche di validità ed affidabilità delle tre scale unidimensionali principalmente utilizzate per la misurazione dell’intensità deldolore: la scala analogica visiva (Visual Analogue Scale, VAS), la scala numerica (Numerical Rating Scale, NRS) e la scala verbale (Verbal Rating Scale, VRS). L’uso della NRS a 11 livelli (0= nessun dolore, 10 peggior dolore immaginabile) per la valutazione dell’intensità del dolore, può essere raccomandato sulla base delle seguenti considerazioni: È ben tollerata dai pazienti, è sensibile al cambiamento come la VAS (considerata la scala più potente per questo aspetto) (14). In pazienti con disfunzioni cognitive si consiglia l’uso di scale verbali con un limitato numero di livelli (Nessun dolore, dolore molto lieve, dolore lieve, dolore moderato, dolore forte, dolore molto forte). Nel dolore cronico da cancro l’aspetto temporale più rilevante risulta essere la presenza di episodi di dolore più intenso, il cosiddetto “Breakthrough pain” (BTCP) o dolore episodico intenso (15). Nonostante questo sia una peculiarità ampiamente riconosciuta del dolore da cancro, a tutt’oggi manca consenso non solo nella misurazione ma anche nella definizione del BTCP. Una consensus conference di esperti ha sottolineato come la standardizzazione nella terminologia/definizione del BTCP sia condizione necessaria per un adeguato trattamento del problema (16). Attualmente esistono due strumenti per la valutazione del BTCP: il Breakthrough Pain Questionnaire e l’Alberta Breakthrough Pain Assessment Tool, entrambi in lingua inglese e purtroppo non ancora validati nemmeno nella versione originale. Per la valutazione delle esacerbazioni si raccomanda di misurare la presenza di picchi di dolore più intenso nelle 24 ore precedenti la rilevazione. In caso di risposta affermativa, approfondire la valutazione al fine di arrivare a una diagnosi di presenza o assenza di dolore episodico intenso secondo una definizione prestabilita. È stato dimostrato che il sollievo dal dolore costituisce un aspetto distinto dalla differenza aritmetica fra le misurazioni di intensità pre e post trattamento. Riguardo alla scala di misura da utilizzare per il sollievo, non sono emerse differenze rilevanti riguardo alle proprietà psicometriche di scale analogiche visive, scale numeriche e scale verbali. Comunque considerazioni pratiche suggeriscono di utilizzare scale verbali (ad es. nessun sollievo, sollievo leggero, sollievo moderato, sollievo elevato, sollievo completo) al fine di limitare la possibilità che il paziente confonda il sollievo con l’intensità del dolore. Per la valutazione del sollievo dal dolore dato dai trattamenti si raccomanda l’uso di una scala specifica che rileva l’entità del sollievo nelle 24 ore precedenti la rilevazione; al fine di evitare confusione per il paziente, se l’intensità del dolore è stata rilevata con una scala numerica, per il sollievo si raccomanda di utilizzare una scala di valutazione verbale (nessun sollievo, sollievo leggero, sollievo moderato, sollievo elevato, sollievo completo). Un tema affascinante nella rilevazione dei Patient Reported Oucomes (PROMs), riguarda la modalità di rilevarli. Infatti, trattandosi spesso di sintomi, ovvero di elementi vissuti, percepiti e riportati dai pazienti, si è tentato in passato di dare loro una possibilità di rilevazione quanto più oggettivata possibile. Nel caso del dolore, sono stati utilizzati diversi tipi di scale, per esempio, come suggerito anche in queste linee-guida, le scale numeriche (Numerical Rating Scale). Alcuni Autori hanno però rilevato come una riduzione, si ponga il caso, di 2 in una NRS a 11 gradi, da 0 a 10, poteva essere molto significativo per un paziente e molto poco o per nulla per un altro. Sono stati riportati in letteratura indicatori quali Personalized Symptom Goal (PSG), Patient Global Impression (PGI), Minimal Cinically Important Difference (MCID) (17) Personalized Pain Intensity Goal (PPIG), Personalized Pain Goal Response (PPGR) (18). Tali indicatori sono tutti basati sulla soddisfazione del paziente per i risultati raggiunti in base a quelli che si era prefissato all'inizio e vengono poi incrociati con la entità di una riduzione nella scala NRS del dolore o del sintomo perché i pazienti considerino tale riduzione corrispondente a un miglioramemto significativo. Nella rilevazione dei PROMs si è quindi, per così dire, partiti dalla soggettività, passati attraverso una oggettività, e tornati ad una soggettività. Una tipologia particolare di persone che può essere affetta da dolore cronico è rappresentata dai "cancer- survivors". Infatti il dolore era presente tra i 12 indicatori base in una consensus sugli indicatori fondamentali per migliorare la consistenza e la qualità della ricerca in questa popolazione, insieme ad altri Patient Reported Oucome Measures (PROMs). (19) In un recente studio su 115.091 soggetti, la diagnosi di cancro (meno recente degli ultimi due anni) era associata ad un accrescituo AOR di dolore cronico rispetto alla popolazione di controllo (30.8% vs 15.7% AOR, 1.48; 95% confidence interval, 1.38-1.59). I "cancer survivors" avevano una elevata prevalenza di dolore cronico, associato con peggiori outcome mentali, funzionali, e di occupazione (20). Da tali dati esita la necessità di indicazioni specifiche per la gestione del dolore in questo subset di pazienti (21). Barriere ad un corretto trattamento del dolore Le barriere ad un corretto trattamento del dolore sono state identificate nel corso degli anni e la “Agency for Health Care Policy and Research”, nelle sue linee guida nazionali di pratica clinica per il trattamento del dolore da cancro, le ha classificate in tre categorie: barriere legate al sistema, barriere legate ai professionisti, e barriere legate ai pazienti e ai loro familiari (1). Fra le barriere di sistema si possono annoverare la bassa priorità data al trattamento del dolore da cancro e gli ostacoli normativi e regolatori all’utilizzo degli oppioidi per il dolore oncologico. Anche in Italia per lungo tempo si è assistito ad una confusione fra le normative atte a disincentivare l’utilizzo non terapeutico dei farmaci oppioidi e quelle deputate invece a regolamentarne l’acquisizione terapeutica. Gli stessi professionisti possono essere preoccupati e disincentivati nella prescrizione. Nel corso degli anni si è assistito comunque, nel nostro Paese, ad un progressivo percorso verso la facilitazione della prescrizione degli oppioidi (2-3). Le barriere di sistema sono state anche categorizzate come “interne”, rappresentate, per esempio, da tardivi o inadeguati programmi di interfaccia con le cure palliative, o “esterne”, costituite, come già detto, da eccessiva complicazione regolatoria. Nei paesi in via di sviluppo, le barriere di sistema possono essere relative anche agli elevati costi degli oppioidi e/o alle distanze geografiche tali da rendere difficoltosi la disponibilità e l’accesso ai trattamenti (4). Per quanto riguarda le barriere professionali, è stato riportato che esse consistono, da parte del medico, in un approccio di cura orientato esclusivamente alla malattia, anziché in un modello di intervento mirato (anche) ai sintomi presentati dal paziente. Vengono inoltre descritti: carenza di formazione sull’utilizzo degli oppioidi, assenza di conoscenza e di riferimento alle linee-guida esistenti, trattamento del dolore guidato dalla prognosi del paziente e non dall’intensità del dolore, scarsa attenzione alla valutazione del dolore e mancanza di attiva ricerca del sintomo, insufficiente esperienza nella gestione del dolore, scarsa conoscenza della farmacologia degli oppioidi, delle tabelle di conversione ed equianalgesia da usare principalmente nella cosiddetta rotazione degli oppioidi, dosi e conversioni nell’uso dei farmaci al bisogno), insufficiente conoscenza dell’uso appropriato dei farmaci adiuvanti, timore della comparsa e scarsa capacità nella gestione degli effetti collaterali, insufficienza nel documentare le informazioni sui farmaci utilizzati (orari, dosaggi, farmaci al bisogno, lassativi), scarsa dimestichezza con le appropriate indicazioni delle diverse vie di somministrazione (5). Per quanto riguarda gli atteggiamenti degli oncologi nei confronti delle cure palliative e della terapia del dolore da cancro, gli studi di Cherny 2003 (6) sugli oncologi europei hanno riportato una serie di limiti che emergevano da una loro autovalutazione sulla propria capacità di gestire i sintomi dei pazienti in fase avanzata, e di collaborare con altri professionisti della sanità. Solo il 33% dei questionari venne restituito, a dimostrazione di un interesse apparentemente non prioritario della maggior parte degli oncologi relativamente a questi aspetti. Solo il 43% degli oncologi rispondenti era coinvolto in modo continuativo nel trattamento dei pazienti in tutte le fasi di malattia, comprese le fasi terminali, solo il 39% conduceva incontri con le famiglie dei pazienti terminali, e solo l’11.8% si diceva in grado di gestire un sintomo frequente in fase avanzatissima di malattia, come il delirium. Osservazioni critiche emergevano sulla formazione conseguita in queste aree, e sulla stima relativa alla percentuali di colleghi oncologi esperti nelle cure palliative. Infine, anche i livelli di collaborazione con Servizi Specialistici di Cure Palliative erano piuttosto limitati (37.8%). Una "barriera professionale" che sta emergendo in questi ultimi anni è quella relativa al sottoutilizzo degli oppioidi per il loro effetto immunosoppressivo, sia sulla immunità endogena che sulle immunoterapia, e quindi a potenziale impatto negativo sull'andamento della patologia oncologica (7). Una dettagliata analisi della problematica è qui inappropriata. Basti ricordare che i dati riportati in letteratura sono diversi o contraddittori per i diversi oppioidi (alcuni a maggiore, altri a minore, altri ad assente impatto sulla modulazione immunitaria) (8). I setting sono troppo diversi (in assetto sperimentale, nell'uomo in volontari sani, nell'uomo in postoperatorio, nell'uomo nel dolore cronico oncologico), così come sono diversi gli outcome (fisiologici o clinici) (9) Inoltre gli outcome clinici sono pressochè impossibili da valutare nel loro risultato "netto", in quanto alcuni oppioidi riducono la proliferazione di linee cellulari tumorali in vitro. Infine, gli oppioidi vengono comunque somministrati in presenza di dolore moderato-severo, che è anch'esso immunosoppressivo, e quindi anche in questo caso appare difficile la valutazione "netta" tra lasciare il paziente con dolore severo e/o trattarlo con farmaci meno efficaci rispetto al trattamento con oppioidi. Lo stesso si potrebbe dire per i glicocrticoidi dati per la dispnea o la cachessia, situazioni "di per sé" a impatto sfavorevole sulla sopravvivenza, in quanto fattori prognostici negativi. Pertanto, è stato riportato un "rischio di raccomandazioni detrimentali nella gestione del dolore da cancro", di cui essere consapevoli ed accorti (10). Peraltro, dati contraddittori sono presenti anche sulla attività pro- o anti-angiogenica e a favore o contro la proliferazione in vitro di linee cellulari tumorali da parte di diversi oppioidi (11). Una ulteriore concausa di barriera professionale è stato il picco di overdose da oppioidi negli Stati Uniti. Nel 2016 la morte da overdose in USA era la causa prinicpale di morte “accidentale” con 65.000 morti all’anno. Nel 20-30% di pazienti che assumevano oppioidi l’uso era inappropriato, e dall’8 al 12% sviluppa un disordine severo. Anche se gli USA rappresentano circa il 5% della popolazione mondiale, utilizzano 80% dell’ossicodone mondiale e i 90% di idrocodone mondiale. Le prescrizioni di oppioidi hanno avuto il loro picco nel 2012, quando sono state effettuate 259 milioni di prescrizioni di oppioidi a uso terapeutico. Il numero di prescrizioni in quell’anno ha avuto il picco massimo, ma pur calando di circa il 20% da allora a oggi, le overdosi da oppioidi continuano a crescere, per l’aumento dell’utilizzo di oppioidi senza prescrizioni. Le overdosi da farmaci prescritti sono intorno al 30% del totale di tutti i casi di overdose. Di tutte le prescrizioni effettuate, solo l’1% era fatta da oncologi (12). Negli Stati Uniti, quindi, si è assistito a una evoluzione culturale di questo tipo. Inizialmente, le non prescrizioni di oppioidi terapeutici per i cosiddetti “ falsi miti” della morfina. Poi, una “denuncia” da parte dei terapisti del dolore e dei palliativisti di questi falsi miti e un invito all’utilizzo di oppioidi più largo possibile come segno di “civiltà” nell’affrontare il dolore. A questa inversione di rotta, ovviamente piena di ragioni, ma talora aspecifica ed aculturalizzata, si è purtroppo affiancata la inappropriata promozione pianificata e su larga scala di aziende farmaceutiche con toni e modi propri del business e non di una informazione corretta. A un certo punto, si è purtroppo assistito ad una retromarcia nella prescrizione degli oppioidi, per i dati sopra esposti, con una restrizione “di ritorno” della disponibilità di oppioidi, tanto da configurare un vero e proprio contingentamento degli oppioidi (“opioid shortage”), anche per i pazienti oncologici che ne necessitavano in modo basato sulla evidenza, con ricadute assolutamente negative sulla gestione del dolore cronico oncologico. Oggi è il momento di una nuova presa di coscienza da parte dei professionisti sui vantaggi degli oppioidi, sulla presenza di rischi nel loro utilizzo (in particolare nel trattamento del dolore cronico non oncologico), della differenza tra uso voluttuario, uso terapeutico, e uso che da terapeutico rischia di divenire voluttuario. È quindi richiesta una "giusta" riflessione. In questo senso, la cultura dei professionisti è assolutamente un fattore fondamentale. Gestire i pazienti con screening dedicati e con stratificazione per livelli di rischio di comportamenti di NMOU (Non Medical Opioide Use) e addirittura di SUD (Substance Use Disorders) da una parte, ma anche proseguimento del ruolo di “advocacy” dei pazienti oncologici perché, quando indicato ed appropiriato, possano fare uso degli oppioidi senza limitazioni inadeguate (13). Le barriere correlate ai pazienti (e alle loro famiglie) sono state identificate e descritte: − Riluttanza a riportare il dolore nel timore di “distrarre” l’attenzione dei curanti nell’affrontare il problema vissuto come prioritario, cioè la lotta contro la malattia neoplastica; − Dolore considerato come intrinsecamente correlato con il cancro e fatalisticamente accettato, nella convinzione che non possa essere eliminato; -percezione che l’ammissione di un più elevato livello di dolore corrisponda alla presa d’atto di una progressione della patologia oncologica, e conseguente atteggiamento di rimozione; − Timore di non essere considerato un “bravo” paziente; − Riluttanza ad assumere i farmaci antidolorifici (gli oppiacei, in particolare), in seguito ai ben noti “falsi miti” sugli oppiacei stessi: paura della dipendenza psicologica e/o timore di essere considerati dei tossicodipendenti, timore della tolleranza, della dipendenza fisica, e degli effetti collaterali. L’insieme di questi fattori può condizionare la scelta di sopportare il dolore il più possibile, di assumere il minor numero possibile di medicine prolungando la strategia di trattamento al bisogno e rifiutando quella ad orari fissi (4-5). Tutte queste barriere possono essere rilevate sistematicamente tramite strumenti ad hoc, quale il Barriers Questionnaire, basato sull’analisi di quattro fattori: effetti fisiologici, fatalismo, comunicazione, ed effetti collaterali (14). Dallo studio di Reid 2008 (15) emerge che spesso le paure, le convinzioni, e le attitudini del medico curante verso gli oppioidi influenzano grandemente l’atteggiamento dei pazienti e delle loro famiglie. Se il medico considera l’utilizzo di oppioidi un segno di morte imminente, relegandoli quindi alle fasi terminali di malattia, ritiene la morfina “l’ultima spiaggia terapeutica”, addirittura nella convinzione che il loro uso possa accelerare la morte (nonostante le schiaccianti evidenze di sicurezza degli oppioidi) tali errate convinzioni saranno trasmesse anche al paziente e ai familiari. Molti anni di educazione sanitaria hanno prodotto un risultato modesto perfino nella patria delle cure palliative, il Regno Unito. Rimane tuttora vivo il problema che un elevato numero di oncologi tende ancora oggi a riservare il trattamento con oppioidi alle fasi terminali di malattia. Una visione della gestione del dolore e delle cure palliative come opzione positiva da offrire in simultanea alle cure antineoplastiche, e non solamente collegata alle fasi terminali di malattia, necessita di essere ulteriormente promossa e diffusa (16-18). Altri due tipi di barriere ad una corretta gestione del dolore, oltre a quelle sopra delineate, sono state di recente individuate. In primo luogo, il meccanismo fisiopatologico. I dolori difficili, quali la componente neuropatica del dolore oncologico ed il dolore osseo da cancro (Cancer-Induced Bone Pain – CIBP) vengono trattati in altra parte delle linee-guida. In secondo luogo, è stato rilevato che le dosi di oppioidi necessarie ad alleviare il dolore sono largamente variabili da individuo a individuo, ed è stato suggerito che una predisposizione genetica del singolo individuo influenzi la risposta agli oppioidi (oltre che, come è stato dimostrato, la percezione del dolore). Vi è infatti una sia pure limitata evidenza di correlazione fra alcuni polimorfismi di geni umani e una variabilità nella analgesia e negli effetti collaterali da oppioidi per il trattamento del dolore moderato-severo. Gli studi hanno indagato l’effetto di polimorfismi singoli in geni candidati o associati in più di un gene, sia per l’analgesia che per altri effetti da oppioidi. I geni più indagati sono quelli che codificano per il recettore mu (OPRM1 o MOR-1), per le “glicoproteine trasportatrici di oppioidi” (MDR1), per i sistemi modulatori dell’analgesia oppiacea (COMT), e per gli enzimi epatici metabolizzatori dei farmaci, in particolare in relazione alla glucuronazione della morfina ad opera della UDP-glucuroniltransferasi (UGT)2B7. Finora, comunque, dagli studi preliminari effettuati, non emerge chiara evidenza che i markers genetici possano esser utilizzati per predire l’efficacia degli oppioidi o l’entità degli effetti collaterali. Per di più, essendo improbabile l’identificazione, in ogni paziente, di un solo step biologico alterato, è possibile che un’eventuale terapia individualizzata nel singolo paziente debba essere una “multitargeted therapy”, per quanto riguarda il bersaglio specifico da raggiungere a livello biomolecolare (19-20). I motivi di difficoltoso trattamento del dolore oncologico sono sintetizzati nella Tab. 4. Tabella 4: Possibili cause di risultati insoddisfacenti nella terapia del dolore oncologico Barriere: operatori, pazienti e familiari, istituzioni. Meccanismi fisiopatogenetici e modalità di comparsa: Componente neuropatica, Dolore osseo (cosiddetto Cancer – Induced Bone Pain: CIBP), Accessi dolorosi: dolore Episodico Intenso (DEI) (il “breakthrough cancer pain” degli anglosassoni). Variabili individuali: genetiche, ambientali. Ruolo palliativo ed antalgico delle terapie mediche antitumorali Lo sviluppo di nuove molecole dirette contro specifici target molecolari, e l’introduzione in clinica della immunoterapia, rendono oggi disponibili opzioni di cura anche per malati oncologici considerati fino a pochi anni fa non curabili. Un numero infatti sempre maggiore di pazienti in fase metastatica risulta oggi “potenzialmente” guaribile: a questi pazienti vanno pertanto offerte tutte le cure disponibili per perseguire una possibile guarigione, compreso l’arruolamento in trial clinico. Alla luce di ciò, il ruolo palliativo delle terapie mediche oncologiche deve essere riconsiderato. Sebbene infatti la pratica clinica registra un ruolo positivo della terapia antitumorale sul dolore causato dal tumore, non ci sono ad oggi studi controllati a conferma di questa suggestione. L’ESMO nel 2015 ha validato uno strumento per stratificare l’entità del beneficio clinico che emerge dagli studi registrativi con utilizzo di nuove molecole per la malattia metastatica (intento non guaritivo), inserendo tra i parametri di valutazione, anche le variazioni in qualità della vita (QoL), e la valutazione della tossicità dei farmaci utilizzati (1). Purtroppo però, meno del 10% degli studi registrativi riportano l’impatto sulla QoL dei nuovi farmaci, e la valutazione delle tossicità, o dei sintomi correlati al tumore, compreso il dolore, non sempre sono rilevati attraverso gli stumenti più idonei, i patient reported autcomes (PROMs) (2-3). Inoltre, anche qualora gli studi valutino, attraverso strumenti validati, anche le variazioni della QoL dei pazienti in corso di trattamento, il dolore viene rilevato come una delle variabili, ma non con l’utilizzo di scale ad hoc, validate. Non ci sono pertanto dati di letteratura a supporto di un beneficio sul dolore da cancro determinato dai trattamenti oncologici ai pazienti in fase metastatica. Ciò impone di valutare sempre, per ogni paziente, l’entità del dolore e trattarlo con adeguata terapia antalgica, indipendentemente dal trattamento oncologico scelto, e dalla linea di trattamento effettuato. E’ inoltre sempre indicato in pazienti in fase metastatica avanzata, un approccio di cure simultanee per garantire il controllo sistemico dei sintomi, dolore in particolare (4). È inoltre auspicabile che ogni nuovo studio condotto in pazienti in fase metastatica, con intento non guaritivo, utilizzi strumenti validati di misurazione delle variabili di QoL (es. EORTC- QoL-C30), le scale di valutazione del dolore, e i PROMs, al fine di meglio valutare l’entità complessiva del beneficio clinico dello studio rispetto alla terapia standard. Il beneficio in QoL, a parità di efficacia dei trattamenti, deve essere considerato nella scelta terapeutica (5). L’utilizzo sistematico di questi test permetterebbe di intercettare non solo l’entità del beneficio soggettivo su più parametri, dolore compreso, del paziente, ma anche, a parità di efficacia, di far emergere la eventuale preferenza del paziente per un trattamento rispetto ad un altro. Strategia di gestione del dolore La strategia terapeutica che rimane tuttora una pietra miliare nel trattamento del dolore da cancro è quella proposta nel 1986 dalla WHO, la cosiddetta Analgesic Ladder (1), e alla quale le altre linee-guida prodotte da varie Agenzie e Società Scientifiche fanno comunque riferimento (Fig. 1). Essa consiste nell’utilizzo di Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei (FANS) e Paracetamolo nel dolore lieve (farmaci del primo gradino), di “oppioidi per il dolore lieve-moderato” o “oppioidi deboli” per il dolore lieve-moderato (farmaci del secondo gradino), associati o meno a farmaci del primo, e “oppioidi per il dolore moderato-severo” o “oppioidi forti” per il dolore moderato-severo (farmaci del terzo gradino), associati o meno a farmaci del primo. Ciò che caratterizza gli oppioidi del secondo gradino (analogamente ai FANS e al paracetamolo), è la presenza dell’effetto-tetto, ossia di un dosaggio massimale di farmaco oltre il quale peggiora l’indice terapeutico in quanto, in assenza di effetto terapeutico aggiuntivo, aumentano, per contro, gli effetti collaterali. I farmaci vanno somministrati secondo alcune regole semplici e condivise: − Somministrazione a orari fissi, alla quale va necessariamente associata una previsione di necessità di somministrazione al bisogno; − Per bocca: questa seconda indicazione può essere intesa in senso letterale, o nella accezione “nella modalità meno invasiva e più accettabile per il paziente”; in questo senso troverebbero spazio le formulazioni transdermiche, che alla luce di una recente revisione di letteratura sarebbero vantaggiose rispetto alla via orale in termini di alcuni effetti collaterali e di preferenza per il paziente (2); − Individualizzata (mirare le dosi in base alle caratteristiche del paziente fino alla dose minima efficace); − Con attenzione ai dettagli (dettagliare dosi, orari, effetti collaterali). Nel corso degli anni sono state effettuate alcune osservazioni critiche alla Scala WHO, e la stessa WHO ha identificato del tutto recentemente aree passibili di ulteriore verifiche scientifiche (3). In primo luogo, se ne è stigmatizzato l’utilizzo schematicamente “progressivo”: secondo questa prospettiva critica, un paziente che si presenti con dolore severo, non necessariamente deve “passare” sequenzialmente attraverso tutti e tre gradini, ma è stato suggerito che possa assumere farmaci del secondo e terzo gradino fin dall’esordio, a dosaggi opportuni, in base all’intensità del dolore (4-5). Un attacco ancora più radicale portato alla strategia nel suo complesso è rappresentato dall’accusa di essere costruita solo in base all’intensità del dolore, e non ai meccanismi patogenetici dai quali è provocato (6). Bisogna affermare, però, che tale critica non appare del tutto fondata, in quanto la scala prevede, in ciascun gradino della stessa, il possibile utilizzo di farmaci adiuvanti, proprio in funzione del meccanismo doloroso sottostante. I farmaci adiuvanti sono definiti come “farmaci non specificamente analgesici ma che, nel contesto del dolore da cancro, possono contribuire all’ottenimento di una riduzione del dolore” (esempi: anticonvulsivanti, antidepressivi, corticosteroidi): essi possono essere associati ai farmaci di tutti e tre i gradini della scala analgesica. Oggi si tende a completare la scala con ulteriori due steps, quello relativo al cambio di oppioide e/o di via di somministrazione non invasiva (transdermica, sottocutanea, endovenosa) e quello, indicato in una percentuale che si aggira intorno al 2.7-5.4% di pazienti (7), relativo ad approcci antalgici invasivi, attraverso interventi di neurolesione o neuro modulazione (Fig. 2). Il cambio di via non-invasiva e/o di oppioide sono stati descritti come necessari in una maggioranza di pazienti, fino all’80% dei pazienti sottoposti a trattamento antidolorifico, fra cui la sottopolazione con dolore difficile che rappresenta il 10- 15% del totale, con un risultato positivo in più del 50% in una recente revisione di letteratura (8). Nel 2012 è stato pubblicato l’aggiornamento delle Linee-Guida EAPC sull’utilizzo degli oppioidi nel dolore da cancro. La strategia di base rimane quella relativa al WHO, ma con una serie di approfondimenti dettati dalle evidenze cliniche più recenti (9). Il dolore da cancro deve in ogni caso essere affrontato in modo multidisciplinare, sfruttando l’effetto antalgico di altri approcci, quali quello chemio-ormono-terapico rivolti contro la neoplasia di base, le potenzialità della radioterapia esterna e della radioterapia metabolica, le indicazioni ad un trattamento radiologico interventistico e chirurgico. Figura 1: La scala analgesica OMS a tre gradini nella sua formulazione originale Figura 2: Strategia terapeutica antalgica basata sulla scala analgesica a tre gradini dell’OMS Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e paracetamolo Quesito 1: Nel paziente oncologico in fase avanzata di malattia, con dolore di diversa etiologia sono raccomandati FANS e paracetamolo nel trattamento del dolore da cancro? È stata eseguita una ricerca bibliografica della letteratura sulle banche dati di Medline ed Embase. Dopo la rimozione dei duplicati e l’acquisizione dei full-text sono stati inclusi tre studi. (Vedi Appendice 2: Strategia di ricerca e PRISMA Flow di selezione degli studi). I FANS ed il paracetamolo (Tab. 5) sono considerati parte integrante della terapia del dolore da cancro (1-2). La revisione sistematica di Derry ha valutato l’efficacia analgesica dei FANS nel trattamento dei pazienti oncologici, con dolore da moderato ad intenso, includendo studi di associazione con oppioidi ed altri FANS in cieco (3). Lo studio, eseguito ad aprile 2017, è stato condotto su un campione di 949 pazienti osservati in undici studi (otto in doppio cieco, due in singolo cieco ed uno aperto) in cui è stato confrontato il solo FANS, somministrato per via orale, con placebo o altro analgesico (ad es paracetamolo, altro FANS, o un oppioide) oppure FANS somministrato per via orale associato ad un oppioide rispetto alla stessa dose di solo oppioide. Nessuno degli studi inclusi ha confrontato un FANS con placebo o FANS più oppioide con la stessa dose di solo oppioide. Ad eccezione di un unico studio che ha incluso esclusivamente pazienti con cancro osseo, tutti gli altri includevano pazienti con vari tipi di neoplasie, uno dei quali donne con cancro al seno. Laddove riportato, l'età media era dai 52 ai 70 anni (fascia di età da 30 a 89 anni). Sono stati considerati includibili tutti gli studi randomizzati condotti su pazienti maggiorenni (18 anni o più) con dolore cronico da cancro di qualsiasi intensità, di durata pari o superiore a cinque giorni, con un minimo di venticinque partecipanti per gruppo di trattamento. L’obiettivo della revisione di Derry era valutare l'efficacia dei FANS orali nel dolore cronico oncologico (non post-operatorio) negli adulti e gli eventi avversi riportati durante il loro utilizzo. Gli outcomes primari erano: numero di partecipanti con riduzione del dolore uguale o maggiore al 50%; uguale o maggiore al 30%; numero di partecipanti con dolore che non peggiora rispetto al lieve; numero di partecipanti con Patient Global Impression of Change (PGIC) di molto migliorato o molto molto migliorato (o formulazione equivalente; una riduzione del dolore con PGIC del 30% o superiore rispetto al basale). Gli outcomes secondari, rispetto a cui nessuno studio riporta vantaggi, consideravano la qualità della vita, l’uso di farmaci di salvataggio (BTCP), la soddisfazione o preferenza del paziente, eventi avversi comuni quali effetti del trattamento sulla sonnolenza, sull'appetito o sulla sete, il ritiro per mancanza di efficacia o per eventi avversi gravi (inclusa la morte). Dalla revisione emerge la variabilità della risposta dei pazienti alla somministrazione di FANS, (3% Minotti 1989; 26% Pannuti 1999, 52% Rodriguez 1994; 51% Rodriguez 2003), l’impossibilità di confrontare FANS versus FANS (bassa qualità di evidenza) ed un FANS con un oppioide (bassa qualità di evidenza). I principali eventi avversi evidenziati nei diversi studi erano sonnolenza (11%), perdita di appetito (14%), sete o secchezza delle fauci (15%) tra i FANS e sonnolenza (23%), anoressia (17%), secchezza delle fauci (17%) tra gli oppioidi (4). Limiti: durata limitata del trattamento (indirectness), non recente pubblicazione di molti articoli inclusi nella revisione (publication bias), eterogeneità del fenotipo del dolore (es dolore oncologico osseo, neuropatico e non neuropatico) e per l’alto rischio di bias presente negli studi analizzati spesso eseguiti in open-label e mono-cieco (non adeguata modalità di randomizzazione, dati sugli esiti talora incompleti). La revisione di Magee del 2019 (5), il cui obiettivo è quello di valutare l’efficacia dei FANS nella gestione del dolore oncologico (FANS vs placebo, FANS vs altri FANS, FANS vs oppioidi, FANS in associazione ad oppioidi), è stata condotta su un campione di 364 pazienti osservati in trenta studi randomizzati controllati (RCT) o controllati in doppio cieco che considerano il ruolo di FANS per la gestione del dolore correlato al cancro. Le pubblicazioni sottoposte a metanalisi sono state raggruppate in base alla classificazione dei farmaci del braccio di confronto degli studi (placebo, altri FANS, analgesici oppioidi) e confrontate per: disegno dello studio, durata del trattamento, durata del follow-up, regimi di dosaggio dei farmaci, vie di somministrazione, tipologia di cancro e fenotipi di dolore. I parametri più spesso utilizzati per l’analisi sono stati: differenza di intensità del dolore sommata media (SPID), sollievo totale dal dolore medio (TOPAR), percentuale dei partecipanti che riportano un sollievo dal dolore superiore al 50%. Tali lavori hanno mostrato risultati molto variabili. Sette studi, che includevano 509 pazienti, hanno analizzato l’efficacia dei FANS (aspirina o altri FANS tradizionali) vs placebo (nessuno studio è stato condotto con i COX2). Ognuna di tali pubblicazioni riportava dosi singole di agenti analgesici ed ha dimostrato la superiorità analgesica dei FANS rispetto al placebo (6-12), e l’equivalenza tra i diversi FANS (13-21). Nonostante nove pubblicazioni che coinvolgono 777 partecipanti, non ci sono sufficienti dati disponibili per suggerire che un FANS è superiore ad un altro (maggior parte dei risultati non ha riportato differenze significative tra i farmaci indagati). Nella valutazione dell’efficacia dei FANS rispetto agli oppioidi non è stato possibile porre considerazioni a causa dell’eterogeneità degli studi nel disegno, nella durata del follow-up e nella misurazione dei risultati. I risultati degli otto studi variano notevolmente (due studi hanno rilevato vantaggio degli oppioidi, tre studi hanno rilevato vantaggio dei FANS, i rimanenti tre non hanno rilevato significative differenze). Dei cinque studi che hanno valutato l’efficacia analgesica dei FANS vs FANS ed oppioidi, solo due hanno evidenziato che l’associazione FANS ed oppioide ha determinato un risultato superiore in efficacia analgesica o una riduzione del numero dei pazienti che escono dallo studio per analgesia inadeguata (di cui solo uno con risultati statisticamente significativi Moertel CG 1974), mentre i rimanenti tre studi non hanno mostrato alcuna differenza significativa tra i due gruppi. Limiti: imprecisione delle stime, lavori spesso datati (con più di venti anni dalla pubblicazione), eterogeneità della popolazione in studio, nella natura del dolore oncologico, nella durata variabile dell’intervento (es da singola dose vs tre settimane di studio) (indirectness). La Bayesian Network Meta-Analysis di Huang 2019, condotta su studi randomizzati controllati (RCT) che confrontano qualsiasi tipo di farmaco e/o loro combinazione nel trattamento del dolore oncologico cronico, ha analizzato un campione di 10.003 pazienti osservati in 81 RCT, per un totale di dieci classi di farmaci: placebo (23 RCT), oppioidi (classe O; 13 RCT) e le terapie combinate (classe M; 9 RCT) sono state le tre classi più comunemente indagate (22). Sono considerati includibili tutti i RCT condotti su pazienti con dolore da cancro con età maggiore o uguale a 18 anni e che confrontano qualsiasi strategia farmacologica sistemica (monoterapia e/o combinazione degli stessi, comprese vie di somministrazione orale, transdermica, endovenosa e sottocutanea). L'età dei pazienti inclusi variava da 25,0 a 71,5 anni, con un'età media di 58,4 anni, e la percentuale maschile dei partecipanti variava dal 17,1% all'86,0%, (media del 51,7%). La durata del follow-up variava da sei ore a ad un anno, con una durata media di quattordici giorni. L’outcome primario era l'efficacia globale riportata come odds ratio (OR). L'outcome secondario era il cambiamento nell'intensità del dolore riportata come differenza media standardizzata (SMD). La meta-analisi a coppie che confronta ciascuna classe di farmaci versus placebo ha rivelato che gli analgesici non oppioidi (classe A; OR, 0,23; 95% CI, da 0,08 a 0,56) erano significativamente superiore al placebo, tutte le altre classi invece erano statisticamente equivalenti. I valori OR della rete in pool indicano che analgesici non oppioidi (classe A; rete OR, 0,30; 95% CRI, da 0,13 a 0,67), FANS (classe N; rete OR, 0,44; 95% CRI, da 0,22 a 0,90) ed oppioidi (classe O; rete OR, 0,49; 95% CRI, da 0,27 a 0,86) hanno mostrato globalmente un’efficacia significativamente superiore rispetto al placebo. Dalla metanalisi è emerso come i FANS e gli oppioidi sono le classi di farmaci più efficaci per il controllo del dolore nel paziente oncologico. Tuttavia i risultati mostrano differenze significative nell’efficacia suggerendo come alcuni analgesici non oppioidi ed i FANS possono essere altrettanto efficaci come gli oppioidi nella gestione del dolore cronico da cancro. Limiti: Dalla Bayesian Network Meta-Analysis di Huang (22) è emerso come la maggioranza degli RCT inclusi aveva un basso rischio di bias (80,2% in possesso di una valutazione complessiva di 7/12 o superiore). La suddetta metanalisi presenta diversi limiti quali l’inclusione di studi non simili e l’eterogeneità non statistica (es: differenze nei farmaci all'interno delle classi di farmaci, le differenze nei contesti di studio) che sono difficili da quantificare. A tal motivo sono stati raggruppati attraverso valutazioni soggettive i RCTs nell’ipotesi che i farmaci entro ogni classe di farmaci fossero abbastanza simili da giustificare il raggruppamento senza considerare la possibile eterogeneità di classe. Lo studio rileva una significativa eterogeneità (t2.50%) con diverse classi di farmaci (efficacia globale: classi A e M; intensità del dolore: classi A, C, D, M, N, e O), non riscontrando alcuna eterogeneità significativa nelle singole meta-analisi di rete basate sul trattamento. Sebbene l’analisi del modificatore dell'effetto abbia rivelato che l'età e la durata del follow-up hanno contribuito all' eterogeneità osservata nell'analisi di efficacia globale, è possibile che l'eterogeneità intra-classe di farmaci possa avere contribuito alla eterogeneità globale osservata nell'analisi dell'intensità del dolore. Da rilevare inoltre come un solo studio ha analizzato i diversi confronti tra singoli farmaci inclusi nella meta-analisi di rete (o vs placebo o altro farmaco). Sebbene la valutazione del rischio di distorsione Cochrane ha mostrato che l'80,2% degli RCT inclusi hanno basso rischio di bias, le valutazioni basate sul GRADE hanno rivelato sospetta imprecisione in entrambe le meta-analisi di rete. Includendo molti studi di piccola dimensione, in tali metanalisi si rileva un possibile rischio di sovrastima dimensionale, perché è più probabile che le riviste pubblichino studi con effetti di grandi dimensioni. Pertanto, alla luce delle suddette considerazioni, l'efficacia di farmaci come lidocaina, pregabalin, ketorolac, trometamina, ketoprofene e di associazioni quali codeina più aspirina rispetto al placebo potrebbe essere stata sopravvalutata a causa dei bias. Bilancio beneficio/danno: Non c’è evidenza che supporti l’utilizzo dei FANS, da soli o in combinazione agli oppioidi, nei tre gradini della scala OMS del dolore; con prove di qualità molto bassa di un beneficio nel dolore oncologico moderato grave. Tuttavia, nonostante la bassa qualità dei dati il ruolo dei FANS va considerato nelle strategie per il controllo del dolore oncologico. In conclusione, si può affermare che l’utilizzo del FANS è potenzialmente efficace nel trattamento del dolore da cancro. Qualità globale delle prove Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione MOLTO BASSA Nel paziente oncologico in fase avanzata di malattia, con dolore di diversa etiologia, la somministrazione di FANS e paracetamolo può essere presa in considerazione per periodi limitati e con attenzione ai possibili effetti collaterali (3-5). Condizionata a favore COI: nessun conflitto dichiarato Ruolo degli oppioidi OPPIOIDI CLASSIFICATI AL II SCALINO Quesito 2: Il trattamento del dolore da cancro lieve/moderato deve essere effettuato con oppioidi classificati al II scalino delle linee guida del WHO come codeina o tramadolo? È stata eseguita una ricerca bibliografica della letteratura sulle banche dati di Medline ed Embase. Dopo la rimozione dei duplicati e l’acquisizione dei full-text sono stati inclusi due studi. (Vedi Appendice 2: Strategia di ricerca e PRISMA Flow di selezione degli studi) Gli oppioidi del II scalino sono tradizionalmente usati per il dolore moderato da cancro (1). Nella revisione sistematica Cochrane (2) di Straube pubblicata nel 2014 sulla codeina da sola o in combinazione con il paracetamolo sono stati inclusi 15 studi con una popolazione totale di 721 pazienti con dolore da cancro. Tre studi (3-5) investigavano l’associazione codeina-paracetamolo verso idrocodone+paracetamolo, tramadolo+paracetamolo e tramadolo da solo, mentre negli altri 12 studi la sola codeina era confrontata con antiinfiammatori (ketorolac, acido acetilsalicilico, ibuprofene), altri oppioidi (morfina, ossicodone) o tetraidrocannabinolo. La percentuale di pazienti in trattamento con codeina che riportavano almeno il 50% di riduzione del dolore rispetto al basale (outcome principale) variava dal 100% (6) al 23% (7). Nessuno di questi studi però prevedeva un braccio con la sola codeina impedendo di fatto di verificare se l’effetto analgesico della combinazione fosse più grande di quello della codeina usata come singolo agente. I dati disponibili indicano che la codeina è più efficace del placebo, ma con un aumento del rischio di nausea, vomito e stipsi. Incertezza rimane riguardo all’entità dell'effetto analgesico e alla sicurezza e tollerabilità a lungo termine (2). Limiti: rischio di distorsione (selection, performance, detection, attrition e selective reporting bias) e imprecisione (bassa numerosità campionaria). Nella revisione sistematica Cochrane (8) di Wiffen pubblicata nel 2017 sul tramadolo da solo o in combinazione con il paracetamolo sono stati inclusi 10 studi con una popolazione totale di 958 pazienti con dolore da cancro. In uno studio (9) il tramadolo veniva confrontato con il placebo, in Bono 1997 e Brema 1996 (10-11) con la buprenorfina, in Rodriguez 2007 (5) con codeina+paracetamolo, e in tre studi con la morfina orale (12-14). In questi ultimi studi la percentuale di pazienti in trattamento con tramadolo che riportavano almeno il 50% di riduzione del dolore rispetto al basale (outcome principale) era del 42% versus l’82% dei pazienti in terapia con morfina. Lo studio di Bandieri (14), incluso nella revisione, prevedeva il confronto tra basse dosi di morfina e oppioidi deboli (codeina+paracetamolo, tramadolo da solo, tramadolo+paracetamolo), ma dei 122 pazienti arruolati nel gruppo oppioidi deboli solo 23 pazienti ricevevano tramadolo (4 con paracetamolo, 19 da solo). In questo studio, il 47% pazienti nel gruppo oppioidi deboli aveva una riduzione del dolore di almeno il 30% rispetto al basale contro l’82% dei pazienti nel gruppo morfina a basse dosi. Solo un RCT ha fornito dati diretti sugli oppioidi del II scalino e non ha mostrato differenze in efficacia tra tramadolo, codeina più paracetamolo, e idrocodone più paracetamolo, sebbene il tramadolo fosse associato a più effetti collaterali (5). Limiti: rischio di distorsione (selection, performance, detection, attrition e selective reporting bias) e imprecisione (bassa numerosità campionaria). Bilancio beneficio/danno: le evidenze indicano che la codeina può ottenere buoni livelli di sollievo del dolore ed è più efficace del placebo nel trattamento del dolore da cancro, ma con maggiori effetti collaterali. Ci sono evidenze limitate e di qualità molto bassa che il tramadolo sia efficace sul sollievo del dolore in pazienti affetti da cancro. Qualità globale delle prove Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione MOLTO BASSA Per i pazienti con dolore lieve-moderato o per quelli il cui dolore non è adeguatamente controllato dal paracetamolo o dai FANS dati regolarmente per os, la somministrazione orale di un oppioide del II scalino (es. codeina, tramadolo) può essere presa in considerazione (2-3) Condizionata a favore COI: nessun conflitto dichiarato Quesito 3: Il trattamento del dolore da cancro lieve/moderato può essere effettuato con basse dosi di morfina o basse dosi di ossicodone? È stata eseguita una ricerca bibliografica della letteratura sulle banche dati di Medline ed Embase. Dopo la rimozione dei duplicati e l’acquisizione dei full-text sono stati inclusi quattro studi. (Vedi Appendice 2: Strategia di ricerca e PRISMA Flow di selezione degli studi) La scala analgesica dell’OMS prevede una sequenza a gradini in base all’intensità del dolore. Dolore lieve trattato con farmaci non oppioidi (FANS e paracetamolo) al I scalino, dolore lieve-moderato con oppioidi deboli (codeina e tramadolo) al II scalino e dolore moderato-severo con oppioidi forti al III scalino. Nonostante la diffusione e l’utilizzo capillare di questa scala, alcuni Autori hanno criticato questa sequenza e in particolare l’utilità del II scalino tant’è che in alcune linee guida internazionali (1) si apre alla possibilità di utilizzare morfina o ossicodone a basse dosi nel trattamento del dolore oncologico da lieve a moderato sebbene l’evidenza di tale raccomandazione sia debole. Nella pratica clinica, il II gradino della scala analgesica della WHO è spesso bypassato in favore di oppioidi forti, anche se la questa strategia non è supportata da una forte evidenza scientifica. Infatti sono pochi gli studi che hanno investigato questa modalità di approccio terapeutico e, in particolare, due studi randomizzati e controllati che hanno arruolato 92 e 54 pazienti (15-16) utilizzando i classici tre scalini della scala OMS versus un nuovo approccio terapeutico a due scalini (omettendo il secondo) e uno studio prospettico (17) su 110 pazienti trattati con morfina a basse dosi (10-15 mg/die). Nello studio di Marinangeli (15) i pazienti trattati con il nuovo schema avevano un sollievo del dolore significativamente migliore rispetto a quelli trattati con i classici 3 scalini (p=0.041) così come nello studio di Maltoni (16), la percentuale dei giorni con dolore peggiore ≥5 (22.8 vs 28.6%, p<0.001) era a favore del nuovo approccio terapeutico a due scalini. In generale questi studi hanno riportato una buona efficacia e tollerabilità anche se i risultati sono inficiati dalla scarsa numerosità campionaria, da un potere statistico insufficiente e anomalie nella selezione. Un più recente studio randomizzato pubblicato nel 2016 da Bandieri 2006 (14) su 240 pazienti con dolore moderato da cancro, ha dimostrato che basse dosi di morfina orali riducono significativamente il dolore rispetto agli oppioidi deboli con una simile tollerabilità e un effetto più precoce. L’obbiettivo principale era il numero di pazienti responder, definiti come pazienti con una riduzione del 20% dell’intensità del dolore rispetto al basale. L’88.2% dei pazienti nel gruppo morfina a basse dosi e il 57.7% dei pazienti nel gruppo oppioidi deboli sono stati definiti responder (odds risk, 6.18; 95% CI, 3.12 a 12.24; p<.001). Limiti: bassa numerosità campionaria (imprecisione), potere statistico insufficiente e selection bias. Bilancio beneficio/danno: L’evidenza emersa da questi studi dimostra che oppioidi forti a basse dosi possono essere utilizzati in pazienti con dolore da cancro opioid-naive e che in alcuni pazienti il sollievo dal dolore potrebbe essere migliore che in quelli che lo raggiungono con i farmaci del II scalino. Qualità globale delle prove Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione BASSA Per i pazienti con dolore da lieve a moderato o per quelli il cui dolore non è adeguatamente controllato dal paracetamolo o dai FANS dati regolarmente per os, l’utilizzo di morfina o ossicodone a basse dosi somministrati oralmente può essere preso in considerazione (4;6-8). Condizionata a favore COI: nessun conflitto dichiarato OSSICODONE IN ASSOCIAZIONE A PARACETAMOLO Tra i farmaci oppioidi che si possono utilizzare per il trattamento del dolore oncologico moderato-severo si registra la combinazione tra ossicodone e paracetamolo. In commercio si trovano compresse di ossicodone a immediato rilascio a un dosaggio di 5, 10 o 20 mg combinate a una dose fissa di paracetamolo (325 mg). Alcuni studi hanno indagato l’utilizzo di questa combinazione (1-3) dimostrandone un ottimo profilo in termini di efficacia e sicurezza. In particolare lo studio di De Santis 2021 (1) ha valutato l’efficacia nel trattamento del dolore moderato- severo della combinazione ossicodone-paracetamolo da sola (gruppo A) o insieme ad altri oppioidi forti (gruppo B). La media dell’intensità del dolore era 3.2 NRS (95% CI=3.0–3.3) nel gruppo A e 2.9 NRS (95% CI=2.7–3.2) (p=0.17); nessuna differenza statisticamente significativa per quanto riguarda gli effetti collaterali. TAPENTADOLO Il tapentadolo è un farmaco che ripropone la combinazione dell’effetto agonista oppioide con quello di inibizione del reuptake della noradrenalina. Per le caratteristiche di dosaggio si presta a coprire un range sovrapponibile a quello dei farmaci del II scalino e del III scalino fino a dosi moderate. Una revisione della Cochrane (1) pubblicata nel 2015 e una più recente pubblicata nel 2017 (2) hanno individuato 4 RCTs con 1029 pazienti. Tutti gli studi avevano lo stesso disegno a gruppi paralleli e prevedevano una fase iniziale di titolazione seguita da una di mantenimento. Le informazioni sull’efficacia e la tollerabilità del tapentadolo che si evincono da questi studi sono limitate e di bassa qualità. Le conclusioni degli autori sono simili in tutti i lavori, cioè è dimostrata la non inferiorità del tapentadolo rispetto al comparator con un miglior profilo gastroenterico, ma bisogna tener conto dei bias che potrebbero influenzare l’interpretazione dei risultati (disegno dello studio, drop out rate, limiti di inferiorità). OPPIOIDI CLASSIFICATI AL III SCALINO Quesito 4: Il trattamento del dolore da cancro da moderato a forte deve essere effettuato con oppioidi classificati al III scalino delle linee guida del WHO come morfina, fentanyl, buprenorfina, ossicodone, metadone ed idromorfone? È stata eseguita una ricerca bibliografica della letteratura sulle banche dati di Medline ed Embase. Dopo la rimozione dei duplicati e l’acquisizione dei full-text sono stati inclusi sei studi. (Vedi Appendice 2: Strategia di ricerca e PRISMA Flow di selezione degli studi). Tre revisioni sistematiche della letteratura, una sulla morfina, una sull’ossicodone e una sull’idromorfone supportano l’uso di questi oppioidi orali per il trattamento del dolore da cancro (1-3). La revisione Cochrane di Wiffen pubblicata nel 2016 (1) su un campione di 4241 pazienti osservati in 62 studi confrontava diverse formulazioni di morfina rispetto a placebo, formulazioni alternative di morfina o altri oppioidi del III scalino, avente come obiettivo la valutazione del sollievo del dolore e dei patient reported outcome. I risultati emersi in questa revisione dimostrano che la morfina orale funziona bene nel dolore da cancro, con oltre il 90% dei pazienti con un dolore non peggiore di quello lieve, dove questo è stato riportato. Limiti: rischio di distorsione (performance bias) e imprecisione delle stime per bassa numerosità campionaria. La meta-analisi di Schmidt-Hansen pubblicata nel 2018 (2) su un campione di 2648 pazienti osservati in 23 studi randomizzati ha mostrato una sostanziale sovrapponibilità tra ossicodone rispetto a morfina, fentanyl transdermico e idromorfone nella valutazione dell’intensità del dolore: ossicodone-morfina: Standardised mean difference (SMD) 0.14, 95%CI 0.01-0.27, I2=7%; ossicodone-fentanyl transdermico: SMD 0.02, 95%CI -0.19-0.24, I2=0%; ossicodone-idromorfone: SMD -0.13, 95%CI -0.63-0.37, I2=na Limiti: rischio di distorsione (selection, performance e detection bias), imprecisione delle stime. La revisione sistematica della Cochrane pubblicata nel 2016 (3) su un campione di 604 pazienti osservati in 4 RCTs avente come obiettivo la valutazione dell’efficacia e della sicurezza dell’idromorfone nel trattamento del dolore da cancro ha evidenziato un simile profilo tra idromorfone rispetto alla morfine e all’ossicodone. Intensità del dolore misurata con la VAS (media ± SD: idromorphone 28.86 ± 17.08; ossicodone 30.30 ± 25.33), e con BPI (media ± SD: idromorphone 3.5 ± 2.9; morfina 4.3 ± 3.0). Effetti collaterali: idromorfone-ossicodone: nausea (Risk Ratio -RR 0.94, 95% CI 0.67-1.32); stipsi (RR 0.94, 95% CI 0.67-1.32) vomito (RR 0.90, 95% CI 0.65-1.26); idromorfone-morfina: nausea (RR 0.94, 95% CI 0.66-1.34); vomito (RR 0.87, 95% CI 0.58-1.31); stipsi (RR 1.56, 95% CI 1.12 to 2.17). Limiti: rischio di distorsione (performance e detection bias), imprecisione delle stime per bassa numerosità campionaria e sponsor bias. La revisione sistematica pubblicata da Mercadante nel 2018 (4) su un campione di 762 pazienti osservati in 10 studi con una popolazione di pazienti opioid-naive o che richiedevano un oppioide del III scalino valutava l’efficacia del metadone in prima linea nel controllo del dolore da cancro. Nei 5 RCT selezionati il metadone era confrontato con la morfina orale o con il fentanyl transdermico mentre gli altri studi osservazionali non avevano un comparator. In due studi il metadone è stato somministrato inizialmente a basse dosi (≤10 mg/giorno). Questi studi hanno suggerito che il metadone era efficace nel fornire analgesia e ben tollerato come primo oppioide a diverse dosi iniziali e in diverse condizioni e impostazioni. Cinque ulteriori studi erano studi randomizzati controllati con morfina in pazienti che avevano ricevuto oppioidi per il dolore moderato. Il metadone, confrontato con la morfina orale, o con fentanyl transdermico, sia a basse dosi che a dosi relativamente più alte, ha fornito un'analgesia simile con un profilo di effetti avversi simile con un'escalation di dose limitata nel tempo. Limiti: rischio di distorsione (performance e detection bias), imprecisione delle stime per bassa numerosità campionaria, ed eterogeneità dei risultati dovuta alle diverse dosi iniziali somministrate di metadone. In una revisione della Cochrane sul fentanyl transdermico pubblicata nel 2013 (5) sono stati individuati nove studi con 1244 pazienti randomizzati, di cui 1.197 avevano dati valutabili. Nel complesso, 600 partecipanti sono stati trattati con cerotti transdermici di fentanyl, 382 con varie formulazioni di morfina, 36 con il metadone, e 221 con paracetamolo più codeina. I vari studi presentavano diversi potenziali bias, compresa la mancanza di cecità, una numerosità campionaria limitata e un modo poco coerente di riportare i dati. Non sono stati confrontati i dati in un'analisi significativa per quanto riguarda gli eventi avversi quali nausea, dolori addominali, sanguinamento gastrointestinale, e confusione perché possono essere attribuibili al processo di malattia di base. Gli autori concludono che la letteratura sui trials randomizzati per l'efficacia del fentanyl transdermico è limitata, ma che è un farmaco importante. La maggior parte degli studi ha arruolato meno di 100 partecipanti e non forniscono dati appropriati per una meta-analisi. Solo pochi riportarono quanti pazienti aveva un buon sollievo del dolore, ma, dove sono stati riportati i dati, la maggioranza non ha avuto un dolore peggiore di lieve entro un periodo di tempo ragionevolmente breve. I dati indicano una riduzione significativa della stitichezza per fentanyl transdermico rispetto a morfina. La meta-analisi pubblicata da Naing nel 2014 sulla buprenorfina (6), indipendentemente dalla modalità di somministrazione, si riferisce a un campione di 1329 pazienti osservati in 16 studi. Solo 8 studi investigavano la buprenorfina transdermica nei confronti di placebo, morfina, fentanyl TD o idromorfone. In due studi (7-8) la “global impression of change” era significativamente differente tra la buprenorfina TD e i comparators (placebo o morfina) con RR 1.35, 95% CI: 1.14-1.59, number-needed-to-treat (NNT) 4.9 (3.1- 10.9). Due studi (9-10) valutavano la percentuale di responders e l’efficacia era più evidente con la buprenorfina TD 52.5 µg/h (RR 1.83, 95% CI: 1.12-2.99), e 70 µg/h (RR 1.87, 95% CI: 1.17-3.0). L’incidenza della nausea è stata valutata in due studi (7;11) ed è risultata essere significativamente più bassa nei pazienti trattati con buprenorfina TD rispetto a quelli con morfina (RR 0.38, 95% CI: 0.2-0.71). Limiti: rischio di performance e detection bias e imprecisione delle stime per bassa numerosità campionaria Bilancio beneficio/danno: dalle evidenze emerge che la morfina abbia la stessa e