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26/10/2018 Sofia Piccioni Biologia e Genetica I Salvatore Pansera Prof.ssa Catalanotto LIPIDI Nella cellula i lipidi presentano tre funzioni fondamentali: 1. St...

26/10/2018 Sofia Piccioni Biologia e Genetica I Salvatore Pansera Prof.ssa Catalanotto LIPIDI Nella cellula i lipidi presentano tre funzioni fondamentali: 1. Strutturale, perché sono i costituenti principali della membrana plasmatica e di tutte le membrane interne della cellula. 2. Energetica, perché vengono utilizzati come depositi energetici da cui attingere in mancanza di nutrimento. 3. Segnalazione, perché vengono utilizzati come trasduttori o messaggeri di informazioni tra molecole più o meno vicine. I lipidi sono costituiti da acidi grassi, ossia lunghe catene di carbonio terminanti con un gruppo carbossilico -COOH. Gli acidi grassi presentano una regione idrofobica (corrispondente alla catena carboniosa) ed una testa polare (in prossimità del gruppo carbossilico). La catena carboniosa può essere lineare qualora sia completamente saturata, ossia in assenza di doppi legami carbonio- carbonio e legata al numero più alto possibile di ioni idrogeno. Quando invece nella catena sono presenti dei doppi legami, la coda idrofobica si dice insatura e la sua struttura non è più lineare, ma distorta. Gli acidi grassi accostandosi gli uni agli altri mettono in atto le forze di Van der Waals, e la presenza di un determinato tipo di coda idrofobica influisce sulla possibilità di creare questo tipo di interazioni. Se le catene carboniose sono lineari sature, si hanno forti interazioni di Van der Waals, se invece la struttura risulta disordinata a causa della presenza di un doppio legame che la deforma, allora le forze saranno più deboli, determinando quindi un effetto sulla fluidità della membrana. Difatti membrane ricche di acidi grassi saturi risulteranno semi-solide o solide a temperatura ambiente, mentre membrane contenenti acidi grassi insaturi tenderanno ad essere maggiormente fluide a parità di temperatura. Per formare i lipidi, gli acidi grassi si legano al glicerolo, ossia un alcol a tre atomi di carbonio, mediante un legame chiamato di “esterificazione”, cioè una reazione di condensazione che consiste nell'eliminazione di una molecola d'acqua. Il glicerolo mediante una reazione di esterificazione forma un monogliceride. L'esterificazione di tutti e tre i gruppi OH del glicerolo con molecole di acidi grassi porta invece alla formazione dei trigliceridi, i depositari coinvolti più degli altri lipidi nello storaggio dell'energia all'interno della cellula. I componenti prevalenti della membrana plasmatica e delle membrane cellulari sono i lipidi complessi, tra cui i fosfolipidi o glicerofosfati. La molecola di glicerolo costituisce la base per la costruzione di queste macromolecole ed esterifica con due catene di acidi grassi. Infatti il terzo gruppo OH del glicerolo lega un gruppo fosfato PO4 , il quale a sua volta lega dei gruppi di atomi che, avendo caratteristiche polari, sono idrofili e in quanto tali costituiranno quella regione che nelle membrane è esposta agli ambienti acquosi, ossia la testa idrofila, mentre la coda idrofobica è costituita da glicerolo e acidi grassi. Molecole siffatte, costituite da una testa idrofila e da una coda idrofobica si dicono anfipatiche. A seconda della natura del gruppo polare si avranno diversi tipi di fosfolipidi e se fosse costituito da uno zucchero allora si parlerebbe di glicolipidi. I lipidi complessi non sono costituiti solamente da fosfolipidi, ma anche dagli sfingolipdi. Essi si strutturano a partire da una molecola di sfingosina, che presenta di per sé una coda apolare idrocarburica (quindi una catena di CH2), ed una testa polare in cui il carbonio è legato a due gruppi OH e al gruppo amminico. La sfingosina lega mediante condensazione il suo gruppo amminico ad un altro grasso, formandosi quella che viene definita cerammide, strutturalmente simile ai fosfolipidi a causa della presenza di due catene idrofobiche. Il gruppo OH della cerammide lega così nuovi gruppi polari differenti dando origine a diverse classi di sfingosine. Sfingolipidi e glicolipidi formano insieme la membrana plasmatica e tutte le membrane cellulari. In soluzione acquosa i fosfolipidi essendo anfipatici tendono a formare un doppio foglietto assimilabile ad un cilindro, in cui le teste si dispongono all'esterno a contatto con l'acqua e le code all'interno. Questa struttura dopo aver assunto una conformazione planare, riesce a ripiegarsi su sé stessa formando delle vescicole chiuse, per evitare che le code idrofobiche vengano a contatto con l'ambiente acquoso. La caratteristica anfipatica è propria anche degli acidi grassi, in quanto presentano una coda idrocarburica ed un gruppo carbossilico che per sua natura è idrofilo. Dunque in soluzione acquosa anche gli acidi grassi tendono ad assumere una conformazione stabile, organizzandosi in una struttura a micella assimilabile ad un cono. Nel singolo strato chiuso della micella le code apolari sono rivolte verso l'interno e le teste verso l'esterno in modo da nascondere la regione idrofobica all'ambiente acquoso. Nei saponi utilizzati gli acidi grassi al contatto con l'acqua formano questa struttura micellare all'interno della quale viene racchiuso lo sporco. Alla categoria degli sfingolipidi, ossia i lipidi che vengono utilizzati maggiormente dalla cellula per la trasduzione del segnale e per la comunicazione, appartiene anche il colesterolo, il componente essenziale della membrana plasmatica. Esso presenta quattro strutture circolari a carbonio che sono concatenate, quindi 4 concatenali (?) di carbonio che legano ad un carbonio un gruppo OH e dall'altra parte della molecola che viene detta aromatica (struttura ad anelli concatenati) c'è una piccola toga idrofobica. Anche il colesterolo dunque rappresenta una molecola anfipatica, essendo costituita da una testa polare OH ed un corpo apolare. Esso dunque tenderà ad orientarsi nel doppio strato fosfolipidico come gli altri componenti anfipatici, cioè rivolgendo la testa polare OH verso l'esterno e il resto della molecola all'interno del doppio strato. Dal colesterolo derivano il testosterone ed il progesterone, i principali ormoni coinvolti nel differenziamento sessuale. PROTEINE Il termine “proteina” deriva dal greco “proteios” e significa “che occupa il primo posto”. Difatti esse dopo l'acqua rappresentano le componenti più abbondanti nella cellula, controllandone tutte le trasformazioni biochimiche e tutte le attività. All'interno di una cellula animale ci sono dalle 50.000 alle 100.000 forme diverse di proteine di lunghezza variabile, pur essendo la maggior parte costituite dai 100 fino ai 600\700 amminoacidi. Le proteine svolgo diverse funzioni: Strutturale Segnalazione Trasporto all'interno della membrana Regolazione (ad esempio l'espressione genica) Enzimi Motori proteici Deposito di materiale Difesa contro i patogeni Le proteine presentano diversi livelli di organizzazione. La struttura primaria rappresenta la disposizione lineare ed ordinata degli amminoacidi lungo la catena polipeptidica. Gli amminoacidi sono legati tra loro mediante un legame peptidico e presentano tutti una struttura comune. Essi sono infatti costituiti da un atomo di carbonio chirale che coordina quattro gruppi funzionali R differenti: è associato infatti ad un gruppo carbossilico -COOH, ad un gruppo amminico NH2, ad un idrogeno e ad un gruppo laterale di lunghezza e composizione variabile che determina le caratteristiche chimico- fisiche dei vari amminoacidi. Gli amminoacidi, essendo costituiti da un atomo di carbonio chirale, presentano due stereoisomeri, ossia molecole con la stessa formula chimica ma con struttura speculare. Esistono difatti due diversi tipi di stereoisomeri, quelli della forma D ed L e nelle proteine prevalgono questi ultimi. Nella glicina il gruppo R è costituito da un idrogeno e di conseguenza non essendo chirale l'atomo di carbonio, non presenta stereoisomeri. Struttura base di un amminoacido Glicina Il legame peptidico che tiene uniti gli amminoacidi all'interno della catena polipeptidica si configura come una reazione di condensazione che avviene tra il gruppo carbossilico -COOH di un amminoacido e il gruppo amminico NH2 dell'amminoacido successivo. Il numero dell'azoto avendo una carica positiva alta tenderà ad attirare su di sé la nube elettronica presente tra il carbonio del gruppo carbossilico e l'ossigeno e questo fa sì che il legame peptidico che è di tipo covalente, presenti una parziale valenza di doppio legame a causa della sua forza che risulta maggiore rispetto ad un legame singolo. Questa proprietà del legame peptidico comporta delle conseguenze nella struttura delle proteine perché nel momento della formazione del legame esso assume una disposizione planare, ossia il gruppo carbossilico ed il gruppo amminico coinvolti in esso, risultano disposti sullo stesso piano e impossibilitati a compiere rotazione. Al livello dei carboni alfa invece la rotazione dei gruppi funzionali è resa possibile dalla natura singola dei legami e dunque avviene una rotazione approssimativamente di 180 gradi. Infine molto spesso al livello della formazione del legame peptidico le catene laterali sono disposte in trans, ossia una verso il basso e una verso l'alto. Le catene polipeptidiche presentano tutte una polarità, ossia un'estremità ammino-terminale ed un'altra carbossi-terminale, che rappresenta quella di allungamento. Difatti all'atto della formazione della catena, è sempre il gruppo carbossilico dell'ultimo amminoacido a raccogliere il gruppo amminico dell'amminoacido entrante. Le catene laterali conferiscono specificità agli amminoacidi e al variare di esse le proteine presenteranno proprietà differenti. Gli amminoacidi che coinvolti nella formazione delle proteine biologiche sono 20 e possono essere classificati in 4 gruppi: -Polari con carica -Polari senza carica -Non polari -Caratteristiche particolari Al gruppo degli amminoacidi polari con carica appartengono: Acido aspartico Acido glutammico Arginina Lisina Istidina I primi due a pH neutro manifestano una carica negativa, mentre i restanti una carica positiva. Gli amminoacidi appartenenti a questo gruppo solitamente si dispongono all'esterno delle proteine solubili in modo che le catene laterali di cui essi fanno parte vengano esposte nella struttura della proteina a contatto con il solvente a causa della loro polarità e della loro carica. Al gruppo degli amminoacidi polari senza carica appartengono: Asparagina Glutammina Serina Treonina Tirosina Gli amminoacidi appartenenti a questo gruppo possono anch'essi essere esposti all'esterno delle proteine solubili perché pur non essendo carichi presentano comunque una polarità e risultano ugualmente idrofilici. Al gruppo degli amminoacidi non polari appartengono: Alanina Valina Leucina Isoleucina Fenilanina Metionina Triptofano Cisteina Glicina Prolina Gli amminoacidi che appartengono a questo gruppo risultano invece idrofobici. Al gruppo degli amminoacidi con caratteristiche particolari appartengono: Cisteina Glicina Prolina Alcuni di questi in certe condizioni di pH possono essere ionizzati, in particolare la cisteina e la tirosina (che appartiene al secondo gruppo) possono subire una perdita protonica e quindi caricarsi negativamente. La glicina possiede la catena laterale più piccola di tutti gli amminoacidi, essendo costituita solamente da un idrogeno. Non è formata dunque da un carbonio chirale (come già affermato in precedenza) ed avendo una catena laterale così piccola si presta bene ad entrare a far parte sia di regioni idrofobiche sia di regioni idrofiliche della proteina. La glicina di trova spesso nelle porzioni delle proteine in cui avvengono le interazioni proteina-proteina. La cisteina contiene un gruppo -SH e questo amminoacido è l'unico che detiene la possibilità di creare legami covalenti tra le catene laterali. La catena polipeptidica è definita dal legame peptidico, che sarebbe l'unico legame covalente se non ci fosse la cisteina in grado di formare legami covalenti tra le catene laterali. Esso può instaurarsi sia tra cisteine all'interno dello stesso polipeptide (intramolecolare) ma anche nei punti d'interazione proteina-proteina (intermolecolare), può stabilizzando la proteina nel suo ripiegamento oppure agganciando una proteina all'altro polipeptide. La prolina possiede una catena laterale che non lega solo il carbonio alfa, ma che crea un legame covalente anche con l'azoto del gruppo amminico. La prolina dunque è caratterizzata dal possedere una catena laterale con una struttura circolare che insiste sul carbonio alfa e sull'azoto. Questo fa sì che introducendo la prolina all'interno di un polipeptide esso sia costretto ad introdurre un gomito e a girare perché sia la disposizione di un gruppo carbossilico che del gruppo amminico rispetto al carbonio alfa è angolare. Gli amminoacidi possono essere anche modificati covalentemente, aggiungendo gruppi funzionali che alterano le loro caratteristiche. Essi possono essere: -Acetilati -Fosforilati -Idrossilati -Metilati -Carbossilati Queste sono modifiche che gli amminoacidi subiscono in un secondo momento dopo essere entrati a far parte della catena polipeptidica e che determinano cambiamenti nella struttura e nella funzione delle proteine. Per poter parlare della funzione di una proteina è fondamentale comprendere la disposizione nello spazio della struttura primaria, perché per poter svolgere una determinata funzione le proteine devo ripiegarsi e formare una molecola con la corretta struttura tridimensionale. Ci sono diversi modelli che descrivono la struttura di una proteina: -Nel modello dell'ossatura viene descritta l'organizzazione generale della catena polipeptidica -Nel modello a nastro viene descritta la disposizione dello scheletro portante e dei legami specifici nello spazio. -Nel modello a filo ramificato viene riprodotto tutto l'amminoacido, lo scheletro carbonioso e la struttura precisa delle catene laterali. -Nel modello a spazio pieno vengono evidenziati i contorni della superficie proteica e la disposizione spaziale degli amminoacidi secondo carica. Nello svolgimento della loro funzione le proteine interagiscono con un'altra proteina e per farlo la loro interazione deve essere specifica. La specificità dell'interazione è fornita dall'instaurarsi dei legami deboli non covalenti che manifestano un elevato tasso di affinità. Quando la complementarietà non è sufficiente le due proteine o non interagiscono o lo fanno in modo molto debole. L’interazione, inoltre, non riguarda necessariamente una singola regione, ma coinvolge varie parti delle molecole proteiche. Per prevederne il comportamento esistono dei programmi informatici che riescono a valutare e a classificare non solo le proteine, ma anche le interazioni come certe, poco certe o ipotetiche. Il secondo livello di organizzazione è la struttura secondaria, ossia la disposizione che gli amminoacidi assumono nello spazio, riguardante un breve tratto del polipeptide e non l'intera sequenza. Esistono due strutture secondarie, l'alfa elica e il foglietto-beta. Il legame che determinano la disposizione spaziale degli amminoacidi nello spazio e dunque la struttura secondaria è il legame a idrogeno tra i gruppi amminici di alcuni amminoacidi e gruppi carbossilici di altri. La struttura ad alfa elica è assimilabile ad una scala a chiocciola costituita da amminoacidi, che non si destruttura grazie ai legami a idrogeno che si instaurano ogni quattro amminoacidi, quindi ad esempio tra il primo ed il quarto, tra il secondo ed il quinto, tra il terzo ed il sesto e così via. Le catene laterali non sono coinvolte nella formazione della struttura ad alfa elica perché vengono esposte all'esterno e non coinvolte nel legame a idrogeno. La struttura secondaria (come la primaria) è stabilizzata dalla catena carboniosa. Le alfa eliche vengono utilizzate ad esempio per attraversare il doppio strato fosfolipidico. Difatti le proteine transmembrana, ossia quella classe di proteine integrali che vengono a contatto sia con il citoplasma e sia con l'ambiente extracellulari e che passano tra le code idrofobiche, sono costituite da alfa eliche con aminoacidi idrofobici, che espongono all'esterno i loro gruppi R e che dunque risultano in grado di entrare a contatto con l'ambiente idrofobico. In alternativa si avrà una disposizione anfipatica all'interno dell'alfa elica, in cui gli amminoacidi idrofili sono disposti tutti da una parte e quelli idrofobici dall'altra. Le alfa eliche possono essere inoltre definite destrorse se il loro avvolgimento avviene in senso orario e sinistrorse se avviene in senso antiorario. L'altra struttura secondaria è il foglietto-beta, costituito da una struttura primaria lineare che costituisce il filamento beta in cui le catene laterali sono disposte in trans (ossia immaginando il piano del legame peptidico, una catena laterale è posta sopra ed una sotto ad esso). Quando due filamenti beta si costeggiano l'uno con l'altro si creano di nuovo legami a idrogeno tra il gruppo amminico e quello carbossilico dell'amminoacido affiancato e quindi due filamenti beta che si trovano adiacenti formano un foglietto in cui le catene laterali dei vari amminoacidi si alternano una volta sotto e una volta sopra il piano del foglietto beta. Il foglietto è una struttura molto stabile sia dentro che fuori la cellula. I foglietti beta possono essere paralleli, ossia le estremità carbossi- terminali e ammino-terminali dei due filamenti corrono nella stessa direzione, oppure antiparalleli, quando i due filamenti adiacenti hanno orientamento opposto. Il complesso maggiore di istocompatibilità viene utilizzato dall'organismo per riconoscere componenti nocive all'organismo stesso, per legarle e per farle fagocitare dai linfociti T. La struttura di questa grossa glicoproteina è caratterizzata dall'essere costituita da 2 alfa eliche e da 8 foglietti beta. La particolarità di questo complesso è che in alcuni punti delle alfa eliche e dei foglietti beta gli amminoacidi di cui è costituito cambiano, modificando la sua affinità per quello che andrà a legare perché la specificità e l'affinità dipendono dalla sequenza amminoacidica. La struttura dunque rimarrà la stessa, ma la specificità e l'attività variano. L'associazione tra alfa eliche e foglietti beta determinala formazione dei motivi proteici, ossia combinazioni regolari della struttura secondaria organizzate in caratteristiche strutture tridimensionali e che conferiscono un ruolo specifico a tutte quelle che lo possiedono. Molto spesso nelle proteine si trovano strutture a forcina che sono foglietto beta e foglietto beta antiparalleli collegati da un gomito poco strutturato, oppure alfa elica e alfa elica ripiegate su sé stesse. Vi è inoltre il motivo superavvolto in cui ci sono due alfa eliche anfipatiche che fanno sì che si instaurino le forze idrofobiche che mantengono stabile questo tipo di interazione. Esiste inoltre il motivo elica- ansa-elica in cui è presente un alfa elica che è collegata ad un'altra alfa elica da una struttura ripiegata ad ansa Un altro motivo utilizzato è quello a dito di zinco, in cui è presente un'alfa elica seguita da due foglietti beta e queste strutture secondarie vengono coordinate spazialmente da uno ione zinco. In particolare in essa vi sono due istidine dell'alfa elica e due cisteine dei foglietti beta che prendono contatto con lo ione zinco. Questa conformazione è presente nelle cheratine, ossia proteine costituite principalmente da strutture ad alfa eliche che si accoppiano l'una con l'altra utilizzando la porzione idrofobica della regione anfipatica, formano strutture filamentose molto resistenti. Un altro motivo è elica-ansa-elica ed è utilizzato nelle proteine che fungono da trasporto e da deposito dello ione calcio, uno ione molto importante nei processi di trasduzione del segnale. La sua concentrazione deve essere modulata e per assolvere tale dovere esistono delle proteine come calmodulina che ha la funzione di nascondere al citoplasma il calcio e di sottrarlo all'ambiente citoplasmatico quando non serve, mediante queste strutture elica-ansa-elica. Il motivo a dito di zinco Questo motivo viene utilizzato inoltre da quelle proteine che legano il DNA. In particolare, l'alfa elica del motivo a dito di zinco a seconda degli amminoacidi che espone al DNA, riconosce particolari sequenze nucleotidiche legandosi ad esse. Questa struttura a dito entra infatti nel solco maggiore del DNA e l'interazione specifica è dettata dalla distribuzione di carica tra le basi azotate del DNA e gli amminoacidi della struttura proteica. La struttura terziaria è invece la disposizione spaziale degli amminoacidi per tutta la lunghezza del polipeptide, a differenza della struttura secondaria nella quale ne veniva presa in considerazione solo una parte. La struttura terziaria è stabilizzata dal legame ionico, dalle forze di Van der Waals, dalle interazioni idrofobiche e dal legame covalente inteso come la formazione di ponti disolfuro. Esistono due diverse classi di proteine, cioè le fibrose e le globulari. Le proteine fibrose hanno un ruolo prevalentemente strutturale, sono costituite principalmente da alfa eliche, sono la gran parte delle proteine di origine animale e sono particolarmente (ma non tutte) insolubili in acqua. Di queste fanno parte per esempio le cheratine ed i collageni. Le proteine globulari sono invece prevalentemente solubili in acqua e svolgono nella cellula diversi compiti. Le modificazioni amminoacidiche (vedi elenco a pag. 7) quando vengono aggiunte hanno come effetto immediato il cambiamento della disposizione spaziale degli amminoacidi e dunque l'alterazione della struttura terziaria. Ogni modifica post traduzionale può modificare la conformazione, l'attività, la specificità e l'affinità con i substrati di una proteina. La capacità di un polipeptide di interagire con un'altra proteina o con un suo substrato è determinata dal tipo di amminoacidi che essa espone sulla sua superficie al substrato o alla proteina con cui deve interfacciarsi. Gran parte dei legami che le proteine utilizzano per interagire le une con le altre sono tanti legami deboli che sommati tra loro generano un legame forte e conferiscono al legame specificità e dinamismo, in quanto l'interazione potrebbe assumere una natura provvisoria grazie al basso apporto energetico necessario per scindere il legame stesso. In alcune proteine si possono riconoscere diversi domini, ossia parti di una catena polipeptidica che possono ripiegarsi autonomamente in una struttura stabile. All'interno della struttura terziaria sono presenti tanti motivi differenti ad esempio nella proteina chinasi sono presenti due domini regolativi e due catalitici, ossia due domini che fanno introdurre modificazioni biochimiche ai substrati e due domini che regolano questa attività. I domini si possono ritrovare in tante proteine diverse, ad esempio nelle fosfolipasi C di mammifero sono presenti contemporaneamente domini che si ritrovano singolarmente in proteine diverse e che svolgono ruoli differenti, quindi gli stessi domini possono assortirsi all'interno di un'unica proteina ed uno dei modi in cui questo accade è la ricombinazione dell'informazione genetica. Difatti normalmente i domini sono contenuti in sequenze codificanti del DNA, ossia gli esoni che nel corso dei processi di divisione cellulare possono cambiare la loro posizione iniziale a causa delle ricombinazioni all'interno del genoma. In questo esempio di aveva inizialmente un gene con tre esoni ed un altro gene due con tre esoni a,b,c. Tramite rimescolamento genico si costituisce un nuovo gene con due esoni di un tipo e con due esoni dell'altro e questo produrrà una proteina ibrida che avrà due domini provenienti dalla prima proteina e due domini dalla seconda. Attraverso lo studio delle sequenze amminoacidiche si può stabilire se proteine differenti originano da un'unica proteina che si è duplicata nel genoma e questo è il caso della famiglia delle emoglobine. (AUDIO INCOMPRENSIBILE) Si parla di struttura quaternaria quando a seguito del ripiegamento di tutta la struttura della proteina nello spazio essa interagisce stabilmente per svolgere le sue funzioni in associazione con altre proteine. L'emoglobina ad esempio possiede quattro polipeptidi uguali a due a due che possono svolgere le loro funzioni solo in associazione, come anche la miosina che possiede due polipeptidi stabilmente legati insieme per conferirle la funzionalità La struttura quaternaria è stabilizzata da tutti i legami che stabilizzano anche la struttura terziaria. 31/10/2018 Biologia e genetica Chiara Maddaloni Prof.ssa Catanalotto Stefano Pallante Folding delle proteine, lavoro ed energia, enzimi. Abbiamo visto che cosa vuol dire struttura primaria delle proteine, gli amminoacidi sono disposti secondo un ordine consequenziale esatto; il loro ripiegamento nello spazio in piccole regioni è la struttura secondaria che può essere ad alpha elica o Beta foglietto, la struttura terziaria è il ripiega- mento dell’intera proteina prima in domini e poi nel suo complesso; infine la struttura quaternaria che abbiamo visto non essere in tutte le proteine, ma soltanto in alcune proteine che vengono dette multimeriche. Possono essere o omomultimeriche, se costitute da polipeptidi uguali, oppure etero- multimeriche, se costituite da polipeptidi differenti. Oltre a funzionare come proteine multimeriche, la gran parte delle proteine della cellula funziona in associazioni macromolecolari, cioè, più protei- ne cooperano per il raggiungimento di una finalità all’interno della cellula come può essere la tra- scrizione genica, che non richiede soltanto l’RNA polimerasi, ma richiede una vasta gamma di pro- teine che appunto cooperano per la trascrizione; oppure all’interno dei ribosomi ci sono più di 100 proteine che collaborano con gli rRNA al fine di effettuare un efficiente traduzione. In che modo si arriva ad ottenere una struttura terziaria funzionale delle proteine, in che modo le proteine riescono a ripiegarsi in modo ripetitivo (il polipeptide ha sempre la stessa conformazione all’interno della cellula) in maniera efficiente? Quello che succede è che da una informazione lineare che è quella che si trova sul DNA e poi a li- vello della struttura primaria si passa ad un’informazione tridimensionale. Il percorso con cui questa informazione viene convertito è stato studiato in prima battuta da Anfinsen che si occupò della ri- bonucleasi-A, che è un enzima che taglia RNA a singolo filamento, e ne ha studiato le caratteristi- che di ripiegamento. In particolare ha preso questo proteina e l’ha posta in una soluzione contenente un Fluor di agente riducente ß-mercaptoetanolo e la sostanza denaturante in grado di andare ad in- terferire con le forze idrofobiche che tengono unito il ‘core’ della proteina. Quello che succede in queste condizioni denaturanti, è che la proteina perde la struttura, l’agente riducente rompe i ponti disolfuro che sono gli unici legami covalenti che stabilizzano la struttura terziaria delle proteine, e l’urea va ad interferire con forze più deboli come sono le forze idrofobiche. Quindi la struttura ter- ziaria della ribonucleasi-A in queste condizioni viene persa. Nel momento in cui la soluzione non è più riducente, e quindi l’urea e il ß-mercaptoetanolo vengo- no rimossi, la proteina si “ri-folda”, riacquisisce la sua struttura nativa; Anfinsen se ne acorge per- chè la proteina torna ad essere funzionale, ovvero torna a tagliare l’RNA a singolo filamento. Quin- di condizioni diverse foldano, ripiegano la proteina in modi diversi però quello che è importante è che la proteina trova da sé la sua struttura terziaria e quindi la conclusione di questo è che la struttu- ra primaria, cioè l’informazione lineare all’interno del polipeptide, contiene già al suo interno l’in- formazione terziaria, il ripiegmento della struttura terziaria. Come vi ho accennato un grande ruolo importante nel ripiegamento delle proteine lo rivestono le interazioni idrofobiche, perchè tendendo a compattarsi, tendendo ad escludere l’ambiente citoplasmatico dal loro contatto, creano questo “core” intorno al quale gli altri amminoacidi, quelli idrofili, troveranno collocazione esponendosi all’ambiente acquoso. Ora, questo ripiegamento abbiamo visto che Anfinsen lo identifica come una cosa spontanea, che un polipeptide lineare è in grado di fare agevolmente. In realtà non è proprio così è stato visto che una proteina costituita da 100 residui amminoacidi se andasse a provare tutte le possibile interazioni, e quindi, tutti i possibili folding che potrebbe assumere in un contesto non denaturante, riuscirebbe a trovare il suo folding corretto in un tempo incompatibile con quello della vita (ci metterebbe l’intera età dell’universo). Servirebbe ad una proteina sola, di 100 amminoacidi, come abbiamo visto le pro- teine sono comprese tra i 100 e gli 800/900 amminoacidi, una sola ci metterebbe l’età dell’universo per foldarsi in maniera corretta se intraprendesse la strada del tentativo: “le provo tutte finche non trovo la conformazione stabile”, la conformazione più stabile è quella a minor livello energetico in cui le interazioni tra gli amminoacidi creano dei legami trai gruppi funzionali che hanno basso livel- lo energetico. Evidentemente se una proteina riesce a trovare il suo folding non lo fa per tentativi ma percorre un’altra strada, non le prova tutte prima di trovare il modo giusto (quello che la rende funzionale, quello per cui è stata selezionata e che è funzionale alla vita della cellula) ma ha un per- corso stabilito; ci sono stati molti studi che hanno come focus capire come le proteine si piegano all’interno della cellula e si sono riconosciute delle fasi di folding. Quello che si è visto è che: 1) dopo circa 5 millisecondi la produzione del polipeptide inizia la formazione della struttura se- condaria, appena tradotto il polipeptide si organizza in alpha elica e/o foglietto Beta. 2) c’è il collasso idrofobico, il compattamento delle catene laterali idorfobiche, a formare questa struttura chiamata globulo fuso (molten globul) che è prevalentemente caratterizzata dalla presenza di strutture secondarie 3) si cominciano ad abbozzare i domini funzionali, quindi le varie strutture secondarie iniziano ad associarsi e a formare dei domini e quindi c’è un accenno di struttura terziaria 4) impacchettamento delle catene laterali, quindi la presa di posizione nello spazio della catena late- rale interna, la formazione del legame ad idrogeno, e la rimozione dal core idrofobico delle moleco- le d’acqua. Quindi la proteina non le prova tutte ma prima c’è un organizzazione della struttura secondaria, poi comincia formare i domini e poi si impacchetta. Il tutto per trovare la conformazione più stabile che si ha quando una struttura, una molecola o una macromolecola raggiunge il suo livello energetico più basso. Il profilo energetico del folding delle proteine ha questa struttura ad imbuto, che si chiama appunto ”imbuto di ripiegamento”. Le protei- ne nel ripiegarsi diminuiscono il loro livello energetico interno man mano che si ripiegano, il livello energetico diminuisce all’aumentare del numero di amminoacidi che si trovano nel corretto folding; quindi nessun amminoacido nel corretto folding ha un livello energetico alto, entropia (livello di disordine)molto elevata, man mano che gli amminoacidi trova- no la giusta collocazione si ha una diminuzione di energia fino ad arrivare alla posizione del molten globul. Queste sbavature all’interno dell’imbuto sono le conformazio- ni che una proteina acquisisce nel ripiegarsi ma che poi supera per trovare una stabilità maggiore, quindi sono degli intermedi di ripiegamento che non si ritroveranno poi nella conforma- zione nativa. Queste fenditure che si trovano a basso livello energetico pos- sono essere sia degli intermedi di folding, quindi degli step successivi che porteranno al ripiegamento corretto sia possono essere degli errori di folding, delle proteine “disfoldate”, la proteina si può appunto ripiegare in modo scorretto, eppure questo modo scorretto è stato energicamente favorito. [Il corpo umano ha sfruttato una serie di strategie per cui ha delle proteine che non sono funzionali ma che in quello stato sono stabili, e che vedono attivate aggiungendo energia, in mille modi. Una proteina che ha livello energetico alto, ovvero che cineticamente si muove tanto, nella cellula non c’è perchè la cellula trova il modo di silenziarla.] Le proteine si sono evolute in modo da possedere un ripiegamento che sia stabile nella forma nati- va, c’è stata una selezione per trovare questo equilibrio di proteine che siano a basso profilo energe- tico e che in questa conformazione sono stabili. Quindi è vero ciò che disse Anfinsen, però la stabilità della proteina non va per tentativi ma segue una strada maestra. Il limite dell’ esperimenti di laboratorio è che lui prendeva la proteina in solu- zione e aveva solo quella; ben diversa è la situazione nel citoplasma, dove abbiamo mille e mille proteine che contemporaneamente vengono prodotte e ripiegate, ci sarà interferenza; per cui se una regione idrofobica di una proteina non è ancora collassata ragionevolmente potrebbe collassare con la regione idrofobica di un altro, quindi la cellula si deve mettere al sicuro, e deve essere sicura che le sue singole proteine riescano a foldarsi nel modo corretto. Ha sviluppato per questo quelli che si chiamano gli Chaperone molecolari: delle proteine che aiu- tano altre proteine a ripiegarsi. Quindi all’interno della cellula il ripiegamento delle proteine è un ripiegamento assistito da delle proteine che si chiamano chaperone molecolari; questi chaperone molecolari appartengono a due categorie HSP70 che sono degli chaperone molecolari che agiscono co-traduzionalmente e le chaperonine HSP60, dove HSP sta per (heat-shock-protein) perchè sono delle proteine che sono molto abbondanti ad alte temperatura, perché ad alte temperature l’energia cinetica è maggiore quindi l’instabilità delle proteine è anche essa più elevata. Due categorie chaperone co-traduzionali (hsp70) e le chaperonine (hsp60), queste ultime si occupa- no in particolare di ripiegare proteine molto grandi opere proteine che sono state mal ripiegate. HSP70 lega le proteine in fase di traduzione (il polipeptide nascente) quello che fa è proprio legarsi prevalentemente alle regioni idrofobiche, consentendo di fatto la traduzione di tutti, li protegge, li scherma tutti, e solo quando la struttura primaria della proteina è integra, a quel punto avviene il ripiegamento. Quindi fa due cose in realtà: 1) mette in protezione la proteina da se stessa: ad esempio la prima regione idrofobica potrebbe collassare già sulla seconda regione idrofobica; invece nella struttura terziaria dovrebbe teoricamente collassare con l’ultima, ma non avendocela a disposizione prima potrebbe collassare ottenendo il ripiegamento sbagliato della proteina. Invece con la traduzione di tutta la proteina le regioni idrofobiche vengono protette dagli chaperone HSP70 e poi quando sono tutte a di- sposizione la proteina trova il giusto modo di assestarsi nello spazio. Fa- cendo un lavoro gli chaperone consu- mano energia e quindi necessitano di ATP. HSP70 ha un sito di legame per l’ATP, dal momento in cui lega una proteina in fase nascente, quello che suc- cede è che il legame con il polipeptide induce l’idrolisi di ATP. La rottura dei legami che stabilizzano l’ATP determinano un cambiamento conformazione in hsp70 che è quello che ripiega, protegge il polipep- tide nascente. Nel momento in cui hsp70 cambia il suo legame con il polipeptide nascente, perde affinità con l’ADP e quindi lo scarica lasciando il sito vuoto per essere ricaricato di ATP. Ma il le- game dell’ATP cambia la conformazione di Hsp70 e non le consente più di fare il legame con il po- lipeptide, quindi il polipeptide viene rilasciato ed Hsp70 è pronto per rientrare in circolo. C’è un continuo avvicendarsi di cambiamenti conformazionali indotti dal legame dell’ATP, dal polipeptide e dall’idrolisi dell’ATP che consentono ad Hsp70 di trovare di volta in volta il suo nuovo equilibrio termodinamico, la sua nuova stabilita, e che quindi coadiuvano in questo modo il ripiegamento del polipeptide nascente. Gli Hsp70 sono anche coinvolti nei processi di trasporto in particolare orga- nelli come per esempio i mitocondri; ci sono degli Hsp70 che accompagnano il polipeptide nascente all’interno delle membrane mitocondriali consentono il passaggio (vedremo poi) ed altre hsp70 al- l’interno del mitocondrio di fatto legano il polipeptide e gli consentono il ripiegamento nell’ambien- te mitocondriale. Quindi gli Hsp70 non solo hanno un effetto all’interno del citoplasma, regolano il ripiegamento del- le proteine nel citoplasma, ma sono coinvolti nel trasporto delle proteine in particolare organelli. Le chaperonine, invece, sono dei complessi multiproteici che hanno una struttura a “barile”, in cui c’è un cilindro superiore ed inferiore ciascuno costituito da 7 subunità di un peptide che nei batteri si chiama GROEL ma che è l’equivalente dell’hsp60 nelle cellule eucariotiche. Il modello di chape- ronina è appunto questo Groel ed è identico anche nelle cellule eucariotiche. Le chaperonine hanno questa struttura a barile che contiene da due camere una superiore ed una inferiore di fatto equiva- lenti. I monomeri che costituiscono il complesso della chaperonina hanno 3 domini: 1) Uno di legame all’ATP 2) Uno Coincide con le pareti del cilindro 3) Un dominio radicale Quando una proteina mal ripiegata entra in una delle due camere, succede che un’altra proteina che si chiama GROES chiude la camera. Quindi c’è una proteina che non è correttamente ripiegata, que- sta proteina non correttamente ripiegata entra nella camera superiore di GroEL e questo determina la chiusura ad opera di un’altra proteina che si chiama GroES. Il legame tra GroEL e GroES fa si che ci sia idrolisi di ATP e la camera, che contiene la proteina non corretta- mente foldata ,si allarga, si ingrandisce e di fatto stende la proteina non correttamente ripiegata che a questo punto si tro- va in un ambiente protet- to senza altri competitori proteici, quindi può, qui dentro, ripiegarsi corret- tamente. Le chaperonine interven- gono o quando le proteine sono troppo grandi o quando non sono correttamente piegate. Allora suc- cede che il polipeptide non correttamente ripiegato entra in una camera (GROEL) che viene chiusa da un’altra proteina (GROES) ed il peptide viene di fatto ‘stirato’ quindi di fatto saltano tutti i le- gami, quindi il peptide è in un ambiente protetto e può ripiegarsi nuovamente. C’è un timer all’in- terno di Groel e Groes ed al termine (10 secondi forse) Groel e Groes si separano e quindi il poli- peptide può uscire. Le due camere sono equivalenti, qualora il polipeptide non fosse correttamente ripiegato avrebbe la possibilità di rientrare nella camera e di subire un altro stretching e re-folding. La cel- lula si assicura che nel suo ambiente ad alta con- centrazione proteica tutti i suoi peptidi trovino la giusta conformazione. Qualora non succedesse e quindi la proteina: viene sintetizzata —>si piega con hsp70 —>se non si piega correttamente —> passa ad hsp60 per avere la possibilità di piegarsi correttamente —>se non funziona,la proteina continua ad esse- re mal ripiegata —>la proteina va buttata. Le chaperonine capiscono che una proteina deve essere buttata tramite i legami. Es: proteina con catene laterali idrofobiche nel citoplasma—> allarme, anomalia Ci saranno delle vie di degradazione che si occupano di ripulire la cellula dalle proteine che hanno ricevuto un missfolding/disfolding. La struttura che si occupa di questa struttura è il proteasoma. Si può individuare una camera interna e due cappucci regolativi. Il proteasoma identifica le proteine che devono essere degradate perchè sono marcate, gli è stata legata una piccola proteina costituita da 76 amminoacidi: l’ubiqui- tina. Quindi le proteine danneggiate vengono ubiquitina- te, gli viene aggiunta un’ubiquitina, poi un’altra, poi un’altra, è più giusto dire che vengono poliubiquitinate, cioè alla stessa proteina vengono legate tante ubiquitine; L’enzima ubiquitina-ligasi riconosce le proteine che devono essere degradate(ce ne sono diverse), una categoria come nelle chaperonine lega le regioni idrofobiche, altre riconosce dei domini fosforilati, cioè che presentano un gruppo fostato, ci sono tante ubiquitina-ligasi ognuna con il suo segnale riconosce una proteina che deve essere degradata (lo riprenderemo al secondo semestre con il ciclo cellulare). C’è un complesso di proteine che sono deputate ad aggiungere ubiquitine a proteine danneggiate o a proteine che non servono; le proteine così marcate vengono indirizzate al proteasoma che rompe il legame peptidico quindi degrada le proteine. [Ubiquitina = marker] Abbiamo detto che le proteine si foldano, che nella struttura primaria è contenuta l’informazione per la struttura terziaria, la struttura terziaria è un raggiungimento non casuale ma che segue step specifici e che, all’interno della cellula, questi step sono assistiti e che se la proteina è mal ripiegata non sarà un proteina funzionante e quindi la cellula se ne deve disfare. Questo è quello che avviene dalla sintesi proteica ad un polipep- tide. Dal momento in cui nessuno di questi livelli di controllo funziona nella cellula, ed io cellula ho pro- dotto una proteina mal funzionante ecco che ho l’insorgenza di una se- rie di patologie da missfolding:, le proteine mal ripiegate sono un pro- blema per la cellula e quindi sono un problema per l’organismo. In particolare le proteine che non rag- giungo un corretto folding formano degli aggregati che sono tossici per la cellula e per l’organismo. Questo è uno striscio di sangue in cui ci sono delle cellule ‘a falce’ ed è sangue di un individuo affetto da Anemia Falciforme, malattia eridita- ria recessiva che riguarda i globuli rossi, è particolare perchè è una ma- lattia monogenica, ovvero basta la mutazione di un gene per determina- re un fenotipo patologico. In partico- lare è dovuta ad una mutazione pun- tiforme cioè dovuta al cambiamento, all’interno del DNA, di un solo nu- cleotide, ma quel nucleotide verrà trascritto, porterà ad un RNA con una mutazione punti- forme, quel trascritto verrà tradotto e produrrà una pro- teina diversa da quella normale solo per un amminoaci- do. Questo cambiamento a carico dell’emoglobina determina il collasso del polipeptide emoglobina, organizzato in una struttura quaternaria, in strutture fibrillari. L’emoglobina, solubile nel citoplasma, diventa insolubile, e si pone a formare queste strutture aggregate che modi- ficano la forma del globulo rosso che quindi non fluirà normalmente nel vaso sanguigno, creando delle ostruzioni; queste ostruzioni impediscono il normale fluire del sangue ai diversi organi, con conseguenze infinite nell’organismo: problemi nello sviluppo, di stanchezza, ritardo mentale, a li- vello del cuore, dei polmoni o della milza. Tornando all’evoluzione, possiamo dire che l’evoluzione ha selezionato delle proteine in grado di ripiegarsi in modo univoco ed ha selezionato delle proteine resistenti all’aggregazione. Dopo avere selezionato delle proteine così fatte ha cercato di assicurarsi l’obiettivo introducendo gli chaperone. Tutto questo impatta con delle malattie post-evoluzione che sono dovute al nostro stile di vita: che sono dovute innanzitutto all’allungamento della vita media, al cambiamento alimentare per esempio o all’utilizzo di particolari farmaci. Quindi, nonostante lo sforzo evolutivo a generare proteine che si ripieghino in modo corretto oggi ci troviamo a parlare di una serie di patologie che dipendono dal folding incorretto delle proteine. La più semplice è l’anemia falciforme, ma anche l’Alzheimer, il Parkinson e quelle note come morbo di Creutzfeldt-Jakob, l’encefalopatia spongiforme trasmissibile che sono malattie da prioni. (Nota: le malattie da prioni sono rare patologie degenerative del cer- vello, letali ed attualmente incurabile, che derivano dalla trasformazione di una proteina in una for- ma anomala chiamata appunto Prione.) Queste malattie da missfolding sono caratterizzate dalla formazione di fibrille insolubili proprio perchè le proteine mal fondate si aggregano e creano queste strutture resistenti anche alla degrada- zione. Questi aggregati insolubili generalmente prendono il nome di placche amiloidi. Un classico esempio di patologia dovuta a missfolding proteico è la patologia indotta da prioni; in realtà presenta diverse varianti. Ripiegamento PrPc C’è nell’organismo umano una proteina chiamata Proteina cellulare prione relata PrPc, questa proteina è particolarmente abbondante nei tessuti ner- vosi e non si sa bene a che cosa serva. Nella sua struttura correttamente ripiegata è ricca di alpha elica ed è solubile, tuttavia ha una conformazione stabile (nell’imbuto energetico) pur essendo sbagliata, non più con una struttura ad alpha elica ma con una struttura prevalentemente a foglietti beta. Questa struttura crea gli aggregati. Perché la proteina PrPc, quella che abbiamo noi nell’organismo, si ripiega in questo modo e ci rimane? 1) O perchè è mutata: una mutazione nel DNA genera una mutazione nella proteina che si ripie- ga così 2) O perchè è venuta a contatto con un’analoga proteina chiamata PrPsc: cioè la “proteina da scrapie” che ha una sequenza primaria diversa dalla nostra e che quindi ripiega in questo modo. La Prpc, la proteina endogena, ripiega con abbondanza di alpha elica a meno che non sia mutata perché se è mutata si ripiega prevalentemente con foglietti Beta, se si ripiega così avremmo un’insorgenza della patolo- gia genetica perchè è la mia informazione genetica che determina la pato- logia. La cosa innovativa delle proteine prioniche è che queste possono istruire Ripiegamento PrPsc altre proteine ad assumere una conformazione sbagliata, e quindi se io, abitudini alimentari cambiate, ingerisco degli alimenti che esprimono la for- ma mutata della proteina, questa proteina è in grado di indurre le mie proteine ad alpha elica a ripiegarsi a foglietto beta. Gene —> proteina —> ripiegamento proteina Gene mutato —> proteina si ripiega male —> patologia —> ereditarietà genetica Ma può succedere che il mio gene è normale ed il mio organismo entra in contatto con una proteina mutata e la proteina mutata costringe le altre a ripiegarsi in modo scorretto (funzionano tipo chape- rone). Questo crea delle placche all’interno dell’organismo che portano alla malattia. Quindi può esserci un’eziologia genetica o un’eziologia “indotta”. Il dogma centrale DNA —> RNA —> proteine è vero dunque fino ad un certo punto; per cui non solo le proteine influenzano DNA ed RNA, non solo l’RNA può influenzare il DNA e le proteine, ma anche le proteine possono portare informazione alle proteine stesse; l’esempio sono i prioni dove una proteina disfoldata istruisce la proteina corretta nel ripiegamento portando un’informazio- ne. C’è un feedback positvo perchè appunto se c’è una proteina non funzionante questa induce un’altra a non funzionare; questi aggregati che si accumulano nel cervello conferiscono all’organo l’aspetto bucato; ecco perché il nome encefalopatia spongiforme: perchè il cervello assume l’aspetto di una spugna. L’Alzheimer è un morbo causato da missfolding proteico. Si osservano due tipi di precipitato: 1) un precipitato proteico extracellulare :le placche amiloidi 2) E un precipitato proteico intracellulare, fibrillare. Il 2) è dovuto da proteine del citoscheletro che vengono fosforilate dopo la traduzione, questa ag- giunta di fosfato permanente le rende indenni dalla degradazione, quindi si accumulano perché ven- gono tradotte ma il proteosoma non le degrada. Si accumulano all’interno della cellula. Viceversa, le placche ami- loidi, che sono quelle che nel corso del tempo hanno concentrato l’attenzione dei ricercatori, sono dovu- te alla presenza di una proteina trans-membrana, cioè che attraversa il dop- pio strato fosfolipidico della membrana cellulare, che si chiama APP, il cui ruolo fisiologico non è molto chiaro. Sta di fatto che normalmente APP viene indrolizzata, subisce cioè un taglio proteolitico, da un enzima che si chiama alpha-secretasi. Però è soggetta anche a un diverso tipo di proteolisi, un diverso tipo di taglio, ad opera di beta e gamma secretasi, questi enzi- mi rilasciano un frammento di 40-42 amminoacidi che si chiama frammento A-beta, è insolubile e aggrega formando questa struttura a placche. Tanti sforzi sono stati fatti per far in modo che A-beta non si aggregasse nel corso del tempo e qualche approccio è anche riuscito a ridurre la formazione di A-beta all’interno del cervello dei pazienti affetti da Alzheimer; ma quello che si è visto è che di fatto l’abbondanza degli aggregati di A-beta non correlava con la serietà della patologia; cioè non è che se i pazienti avevano più difficoltà allora avevano più A-beta, infatti anche quegli approcci che hanno permesso la rimozione di A-beta non hanno migliorato le condizioni dei pazienti, non li han- no fatto recuperare. Questo ha messo in crisi l’idea che gli aggregati extracellulari siano coinvolti nell’insorgenza della patologia e ha spostato un po’ l’attenzione sugli aggregati intracellulari. LAVORO ED ENERGIA In generale stavamo guardando le macromolecole biologiche ed alle proteine è stato dedicato parec- chio tempo perché le proteine controllano la gran parte delle trasformazioni chimiche, controllano di fatto, dal punto di vista pratico, la vita della cellula. Cellula che può essere vista da tanti punti di vista; dal punto di vista chimico può essere considerata come una fabbrica in cui entrano energia e materie prime per formare macromolecole biologiche. In particolare utilizza e forma enzimi che hanno la funzione di accelerare, di rendere possibili le varie reazioni all’interno della cellula. ***Ora la prof.ssa apre una parentesi che, a suo dire, non verrà chiesta all’esame.*** Dal punto di vista fisico, la cellula è un sistema aperto. I sistemi si dividono in: 1) sistemi isolati che non scambiano né materia né energia con l’ambiente; 2) sistemi chiusi che scambiano energia ma non materia con l’ambiente; 3) sistemi aperti (tra cui la cellula) scambiano sia energia che materia con l’ambiente. All’interno della cellula, vedendola come fabbrica chimica, avvengono tutte una serie di rezioni che ne costituiscono il metabolismo. Queste reazioni possono essere suddivise in vie cataboliche e vie anaboliche. Le vie cataboliche, proprio perché la cellula è un sistema aperto, sono quelle vie in cui la cellula prende nutrienti dall’esterno, li converte, rilasciando energia che può utilizzare, in elemen- ti costitutivi, che verrano utilizzati da una via rico- struttiva, la via anabolica, per poter costruire le ma- cromolecole di cui ha bisogno. La via catabolica fornisce alle nostre cellule energia, i mattoncini che poi verrano utilizzati dalla via anabolica per produrre le macromolecole. Sulla base di dove la cellula prende energia e materie prime possiamo classificare gli organismi in autotro- fi ed eterotrofi. Gli autotrofi “si nutrono” di anidride carbonica men- tre gli eterotrofi hanno come fonte di nutrimento le molecole organiche. Dal punto di vista energetico possiamo distinguere organismi fotototrofi che pren- dono energia dal sole e chemiotrofi che utilizzano l’energia dei legami chimici per fare lavoro, per il metabolismo. Quindi a seconda della fonte energetica e di nutrimento gli organismi saranno 1) Fotoautotrofi: sole e Co2 2) Chemioeterotrofi: zuccheri per tutto, sia come materiale per costruite le molecole sia come fon- te energetica *** chiusa parentesi sopra citata*** Di questo metabolismo, di tutti questi cambiamenti chimici la cellula si organizza in modo ordinato, gli esseri viventi sono esseri ordinati, sia all’interno le loro strutture sono uguali e ripetitive.Il grande lavoro della cellula è di mantenere sempre questo ordine all’interno di se stessa e dell’organismo.Un embrione al nono giorno è così e al diciottesimo è così. Ma è dettato dalle leggi della termodinamica che le reazioni spontanee sono quelle rea- zioni che tendono al disordine e che per mantenere una struttura ordinata è necessa- rio uno sforzo organizzativo ed un apporto energetico. La cellula sembra andare contro questo principio perchè abbiamo appena detto che è un ambiente ordinato ma che ciò che è spontaneo tende al disordine. Allora per mante- nere l’ordina la cellula deve compiere un lavoro. Il lavoro compiuto dalle cellule è di: Biosintesi delle macromolecole Meccanico di mobilità nello spazio Mantenere concentrazioni di certe sostanze differenti all’interno piuttosto che all’esterno Elettrico nella trasmissione del segnale nervoso Generando calore mantenendo l’omeostasi E certi organismi riescono anche a produrre luce Per compiere lavoro è necessaria l’energia, e secondo la termodinamica che si occupa dello studio dell’energia, l’energia è per definizione la capacità di compiere lavo- ro. L’energia può essere di vari tipi, tra cui i principali sono energia cinetica ed energia potenziale. Pallina nel punto più alto ha tanta energia potenziale ed energia cinetica nulla La pallina nel punto più basso ha tanta energia cinetica e scarsa energia potenziale. Le regole dell’energia sono le prime e la seconda legge della termodinamica. Per la prima legge della termodinamica l’energia non si crea ne si distrugge ma si trasforma. (la pallina in ogni suo punto ha un’energia uguale) Per la seconda legge della termodinamica dice che in seguito ad un lavoro compiuto c’è una parte di energia che non può essere più utilizzata. Quando mangiamo un piatto di pasta, introduciamo energia, soltanto il 20% dell’energia che intro- duciamo lo possiamo spendere come lavoro meccanico, l’80% viene disperso sotto forma di calore. La seconda legge è quella in realtà che ci dice in che direzione avvengono le reazioni. C’è da tenere presente che quando si parla di energia in biologia si parla di energia contenuta nei movimenti molecolari e che è contenta nei legami chimici; allora l’apparente contraddizione che la cellula ha nei confronti del secondo principio della termodinamica, cioè dell’aumento di entropia del sistema, è che a scapito di un’ordine che la cellula mantiene al suo interno, si acquista un disor- dine nell’ambiente circostante e questo disordine è giustificato dall’aumento dell’energia cinetica dell’ambiente circostante. Quindi c’è un ordine apparente all’interno della cellula, ma la cellula è un sistema aperto e quindi scambiando energia con l’ambiente circostante ecco che risponde alla se- conda legge della termodinamica perchè rilasciando calore aumenta l’energia del sistema, il disor- dine del sistema. Allora, nei sistemi biologici, quella che ci interessa è l’energia utilizzabile chiama- ta Energia Libera (ΔG) , e data una reazione chimica questa avviene spontaneamente soltanto se la sua variazione di energia libera è minore di zero. Ma questo non vuol dire che soltanto le reazioni con AG < 0 avvengono nella cellula, perché la cellula per far avvenire reazioni con AG positivo le accoppia con reazioni che avvengono spontaneamente; quindi le seconde fanno da motore per l’av- venimento delle prime. In particolare la reazione con AG negativo che le cellule utilizzano per mandare avanti i vari tipi di lavoro è l’idrolisi dell’ATP. L’ATP è un nucleotide, caratterizzato dal possedere un legame estere e due legami anidridici che legano il gruppo fossato. La rottura dei le- gami anidridici è una reazione a AG negativo e rilascia circa -7,3 Kcal/mole , mentre la rottura del legame estere è una reazioni che rilascia circa -14 kcal/mol. Ecco perchè l’idrolisi dell’ATP viene utilizzata tutte le volte che serve energia per compiere lavoro. Perché la cellula rompe questo lega- me anidridico tra il secondo e il terzo fosfato, oppure, per ottenere più energia rompe il legame tra il primo e il secondo fosfato (rilasciando 7,3 kcal/mol) e poi rompe, il legame anidridico tra il secon- do e il terzo fosfato (rilasciando 7,3 kcal/mol). Allora quello che fa la cellula è pren- dere la reazione che gli serve, esem- pio la produzione di glutammina dall’acido glutammico, che è una reazione a AG positivo, e la associa ad una reazione di idrolisi dell’ATP. La reazione totale sarà la somma dei due AG che avrà segno negativo e quindi la reazione nel suo complesso sarà spontanea. La cellula prende l’acido glutammico e lo lega in prima battuta all’ATP, formando un inter- medio ad alta energia, questo inter- medio ad alta energia contenente il gruppo fosfato, viene in secondo luo- go idrolizzato in presenza di ammoniaca e dà la formazione della glutammina. Una singola reazione che aveva di per se AG positivo, è stato scomposta in due reazioni che hanno entrambe AG negativo e quindi l’accoppiamento funzionale per la cellula si ha quando il AG di una reazione esoergoica è in grado di coprire, finanziare il AG positivo di una reazione endoergonica. GLI ENZIMI La pallina ha bisogno di una spinta, quindi di energia. Le reazioni che avvengono nella cellula è vero che sono alcune spontanee e cioè l’energia dei reagenti è superiore all’energia dei prodotti, però è anche vero che po- trebbe servire una spinta, anche in questo caso. Cioè questa è la rappresen- tazione di una reazione chimica. Dal punto di vista energeti- co i reagenti hanno più energia rispetto ai prodotti e quindi il AG è negativo per definizione, però per passa- re dai reagenti ai prodotti devo creare degli stati in- termedi in cui alcuni legami non si sono formati del tut- to, ma sono in via di forma- zione, ed altri legami non si sono rotti del tutto, ma sono in via di rottura, quindi devo passare in mezzo ad un intermedio di transizione che non è stabile, quindi ha una stabilità energetica precaria. È vero che questa reazione è spontanea perché i reagenti hanno più energia rispetto ai prodotti ma devo scavallare la richiesta energtica per poter far si di ottenere i prodotti. A questo servono gli en- zimi, a superare questa richiesta energetica in più, ad abbassare il dislivello che viene detto energia di attivazione. Io devo attivare i reagenti per ottenere i prodotti (i monomeri devono essere attivati per ottenere i polimeri). Gli enzimi hanno come funzione quello di abbassare l’energia di attivazio- ne cioè di rendere il più stabile possibile l’intermedio di transizione, che avendo energia superiore sia dei reagenti che dei prodotti, viene stabilizzato a partire dalla sua conformazione precaria pro- prio dagli enzimi. Esempio del glucosio convertito in glucosio 6 fosfato. La reazione avviene spontaneamente ma con un’energia di attivazione molto alta. I legami avvengono tramite urti; tanto più avrò degli urti potenti tanto più avrò delle molecole cini- camente attive tanto più l’urto sarà sufficiente a farmi superare questa energia di attivazione. La presenza di enzimi, di catalizzatori biologici, fa si che la potenza dell’urto possa essere ridotta e quindi la probabilità che avvenga una reazione è più alta. Se io avessi una popolazione di molecole che hanno un’energia cinetica media stabilita secondo una distribuzione Gaussiana, quindi la maggior parte delle molecole avranno la stessa energia salvo po- che molecole che avranno bassa energia ed altrettante che avranno tanta energia. Solo le molecole ad alta energia riuscirebbero a formare legami covalenti nuovi. Gli enzimi fanno si che l’energia cinetica richiesta per la formazione di nuovi legami sia inferiore di come sarebbe in loro assenza. Le palline sono sufficientemente in movimento perchè c’è tempe- sta ma non sono in grado di su- perare l’argine; dal momento in cui abbasso l’ergine con la pre- senza degli enzimi ecco che le molecole che già possedevano un’energia cinetica sono in grado di raggiungere i prodotti. Quindi: Enzimi —> abbassano energia di attivazione —> rendono più probabile la formazione di legame, quindi ne accelerano la formazione —> accelerano la velocità con cui le reazioni avvengono SEN- ZA alterare l’equilibrio della reazione. Se A si trasforma in B questo non viene alterato ma viene soltanto accelerato. L’enzima è un’efficiente catalizzato- re quanto più aumenta la velocità con cui vengono formati i prodotti a basse concentrazioni di substrato. Io ho una popolazione di molecole distribuite secondo una Gaussiana la probabilità di formazione di prodotti è poca e va aumentando con l’au- mentare della concentrazione del substrato. Con gli enzimi anche a basse con- centrazione di substrato io ho alte quantità di prodotti finali perché la velocità di reazione è stata accelerata. Gli enzimi catalizzano la conversione di un substrato in un prodotto e poi è pronto per essere riutilizzato per una nuova catalisi. Come dicevamo l’altra volta nel riconoscimento pro- teina-proteina anche gli enzimi hanno alta specificità ed affinità, cioè riescono a discriminare tra le diverse sostanze ed identificare il loro preciso substrato, legan- dolo anche quando è presente in basse concentrazioni. Questa specificità ed affinità avviene perchè nel sito di legame con il substrato che si chiama sito catalitico ci saranno delle catene laterali amminoacidiche disposte in modo congruo ad accettare una determina- ta molecola che ha delle specifiche caratteristiche chimico-fisiche. Esempio: Arginina e Lisina cariche positivamente creeranno legami con un gruppo fosfato carico negativamente. La specificità è data dal fatto che all’interno del sito catalitico c’è una distribuzione di cariche e di catene laterali che consente la formazione di tanti legami deboli. Se il sito catalitico muta, l’enzima non funziona perchè non riconosce più il suo substrato. Una pa- tologia in cui a mutare è il sito catalitico di un enzima è la Fenilchetonuria PKU, insorge in seguito alla mutazione dell’enzima fenilalaninaidrossilasi che prende la fenilanalina (aa) e lo converte in tirosina, se il sito catalitico dell’idrossilasi è mutato la fenilanalina non viene più legata e si accu- mula nelle cellule e il suo accumulo risulta tossico per le cellule, non solo, ma l’assenza di tirosina, crea a valle l’assenza di sostanze come le dopamine—> problemi neurologici, o di melanina —> problemi di sensibilità alle radiazioni solari. È mutato il sito catalitico di un enzima ed ha come conseguenza l’insorgenza di una patologia. La specificità degli enzimi può essere usata per mettere a punto farmaci specifici. Le ciclossigenasi sono degli enzimi che sono coinvolti in un processo in cui l’acido arachidonico, idrocarburo presente nelle membrane plasmatiche, viene convertito in prostaglandine da enzimi che si chiamano COX1 e COX2, le prostaglandine sono coinvolte in alcune cose tra cui l’aggregazione delle piastrine, la citoprotezione dello stomaco e dei reni ma anche nei problemi infiammatori e nel- l’insorgenza del dolore. Ora però ci sono due geni diversi per le prostaglandine, 1) COX1 è ubiquitario quindi espresso in tutte le cellule 2) COX2 è espresso prevalentemente dai macrofagi quindi maggiormente coinvolto nei processi infiammatori e dell’insorgenza del dolore. Quando insorge qualche dolore o infiammazioni di varia natura prendiamo un’aspirina che funzione da inibitore di questi COX ed agisce indiscriminatamente sia su quella dei macrofagi, quella che noi vogliamo scorpare, ma agirà anche sulla COX1 determinando problemi di coagulazione del sangue e/o di gastrite. Questi due geni differiscono, tra le altre cose, per un amminoacido presente nel sito catalitico (uno ha la valina l’altro la isoleucina), questa differenza è stata utilizzata per creare dei farmaci specifici, quindi che riconoscano soltanto la COX2 che è quella che vogliamo inibire e quindi consentano alla COX1 di fare il suo lavoro. Quindi si vanno a superare gli effetti collaterali dell’impiego dell’aspi- rina. Per il riconoscimento enzima-substrato il primo modello proposto è quello della chiave nella serra- tura, che non è del tutto sbagliato, cioè il sito catalitico idoneo ad accogliere in modo preciso in quanto specifico, il substrato del quale deve catalizzare la reazione chimica. La chiave entra perfet- tamente nel sito catalitico e non ne entra un’altra; (?)questo modello non giustifica però le analisi che sono state messe in atto grazie allo sviluppo delle Mnr(?). Questi studi hanno dimostrato che gli enzimi puri e gli enzimi associati con il loro substrato hanno forme differenti. Quindi pur rimanen- do nel modello chiave serratura è anche vero che nel momento in cui il sito catalitico riceve i suoi substrati, non solo modifica i substrati ma modifica se stesso. L’interazione cambia quindi il sub- strato e se stesso. Questo modello si chiama modello dell’adattamento indotto. Gli enzimi catalizzano le reazioni biologiche orien- tando, in prima battuta, le molecole del substrato nel modo corretto perchè la reazione chimica av- venga. Torniamo all’energia cinetica allo scontro tra molecole e formazione di un prodotto; lo scontro deve avere un’energia sufficiente da permettere che la reazione avvenga.. ma deve essere anche orientato sulle due molecole di reagenti. L’enzima orienta i reagenti in modo da facilitare la formazione del prodotto che si andrà a creare. Un altro modo che l’enzima ha di influenzare la formazione dei prodotti finale è creare un stato di tensione all’interno dei reagenti; rende quindi i legami tra i reagenti maggiormente esposti alla rot- tura e alla formazione di nuovi legami. Infine una terza modalità di azione è quella per cui l’interazione tra i reagenti e l’enzima redistribui- sce all’interno dei reagenti le cariche, motivo per cui i reagenti saranno chimicamente più reattivi. Per esempio, una molecola di glucosio che non ha particolare polarità di carica, messa in un conte- sto di un enzima gli verranno spostati gli elettroni di un ossigeno o ceduti i protoni su qualche sito quel che si ottiene nel complesso è una redistribuzione delle cariche che renderà le molecole di sub- strato più propense alla reattività. L’attività enzimatica è regolata da diversi fattori: 1) pH 2) Temperatura 3) Forza ionica Ogni enzima funziona in un particolare contesto cellulare. La Dna polimerasi umana funziona bene a 37°, mentre la polimerasi della “sulfolubus solfataricus” funziona bene a 200°. Gli enzimi hanno contesti in cui la loro funzionalità è massima che dipendo- no dalle 3 condizioni. Questi tre aspetti sono quelli che maggiormente influenzano il folding delle proteine che se sono mal foldate sono mal funzionanti. Quindi è necessario controllare le condizioni in cui questi enzimi posso agire per controllarne la funzionalità. Esempio: la pepsina e la tripsina sono entrambi enzimi che idrolizzano il legame peptidico soltanto che la pepsina nello stomaco con un pH di circa 2, mentre la tripsina nell’intestino con un pH mag- giore. Due enzimi che svolgono la stessa funzione la svolgono bene in condizioni di pH differenti. 02/11/18 MICELI ANNA MARIA BIOLOGIA E GENETICA I PROF.SSA CATERINA CATALANOTTO Enzimi Alcuni coenzimi come il FAD, l’ATP o il NAD o gruppi prostetici come il gruppo eme si trovano in soluzione con le proteine e la loro abbondanza o il loro stato di carica influenza l’attività delle proteine con cui essi sono associati. Le proteine e gli enzimi subiscono un processo di degradazione a carico del proteasoma, e quindi anche una bassa concentrazione degli enzimi all’interno della cellula è funzionale alla regolazione della loro attività: tanti più enzimi ci sono, tanto maggiore è l’attività enzimatica che essi svolgono. Inoltre la cellula è in grado di circoscrivere specifiche attività enzimatiche in specifici compartimenti cellulari, il fine della compartimentalizzazione infatti è quello di concentrare in un punto tutte queste attività enzimatiche per rendere efficienti i processi metabolici. La compartimentalizzazione può avvenire inglobando in vescicole la stessa catena metabolica o attraverso la formazione di complessi macromolecolari (regioni che fungono da basamento su cui gli enzimi si possono agganciare). Un’altra modalità di regolazione dell’attività enzimatica è il controllo allosterico. L’enzima non è sempre in grado di legare il substrato per trasformarlo in prodotto finale, ma può richiedere ulteriori modifiche conformazionali. Esistono piccole molecole, i cofattori, che funzionano da attivatori e che si legano all’enzima, ne modificano la conformazione (il sito catalitico) e rendono l’enzima capace di legare il substrato. In questo caso si parla di attivazione allosterica. Un esempio è la PKA, una protein-chinasi in grado di fosforilare coinvolta nella trasduzione del segnale, che è costituita da 4 subunità, 2 subunità regolative e 2 subunità catalitiche; in presenza di cAMP, che funziona da attivatore, le subunità catalitiche cambiano conformazione e si staccano da quelle regolative (che impedivano all’enzima di svolgere il lavoro) e sono così in grado di legare il substrato. L’enzima può anche essere funzionale, ma nel momento in cui si lega a piccole molecole, che funzionano da inibitori, cambia conformazione e non è più in grado di convertire il substrato in prodotto finale. In questo caso si parla di inibizione allosterica. Un modello di inibizione allosterica è il controllo a feedback negativo, richiesto in molti processi anabolici della cellula quando il prodotto è abbondante. Un esempio è la produzione di isoleucina a partire dalla treonina; nel momento in cui l’isoleucina è abbondante nella cellula, si comporta lei stessa da inibitore allosterico e va a legare il primo enzima coinvolto nella via biosintetica, bloccandolo. Un altro tipo di controllo è l’inibizione competitiva, in cui l’inibitore competitivo si lega direttamente al sito attivo dell’enzima, competendo con il substrato e impedendogli il legame. Inoltre esso non viene trasformato in prodotto finale. L’inibizione competitiva, quando reversibile, può essere rimossa aumentando la concentrazione del substrato. Un esempio è la succinato deidrogenasi, un enzima coinvolto nella fotosintesi, che ha come substrato il 02/11/18 MICELI ANNA MARIA BIOLOGIA E GENETICA I PROF.SSA CATERINA CATALANOTTO succinato e lo converte in fumarato; in presenza dell’ossalacetato, un composto a 4 atomi di carbonio che funge da inibitore competitivo del succinato, viene proibito all’enzima di legare il succinato. A volte l’inibizione competitiva è irreversibile, cioè l’inibitore competitivo si lega covalentemente al sito catalitico e non si stacca più, bloccando l’accesso del substrato. Un esempio è il DIPF, diisopropilfluorofosfato, un inibitore irreversibile dell’enzima acetilcolinesterasi (si trova nelle membrane post-sinaptiche) che si lega covalentemente alla serina del sito attivo. Esistono inibitori specifici per proteine il cui controllo del ciclo cellulare è stato perso, ad esempio nelle cellule tumorali. In particolare in alcune forme di leucemia, uno dei geni coinvolti nell’insorgenza della patologia è la presenza di una chinasi BCR-ABL, costitutivamente attiva che idrolizza l’ATP per fosforilare. Ma esiste un inibitore competitivo irreversibile, il gleevec, che si lega alla chinasi al posto dell’ATP; in questo modo la chinasi è inattiva e non c’è il segnale di continua proliferazione. Un’altra modalità utilizzata dalle cellule per regolare le attività enzimatiche sono le modificazioni covalenti irreversibili. Un esempio sono gli zimogeni, enzimi che la cellula produce sottoforma di pro-enzimi inattivi e che diventano funzionanti quando vengono rotti alcuni dei legami peptidici al loro interno (taglio proteolitico). Ad esempio in alcuni processi intestinali vi sono enterochinasi, proteine di membrana fisse nel lume intestinale, che sono costitutivamente attive sono in quella regione; sono inoltre proteasi che tagliano le proteine. Quando arrivano le proteine prodotte dal pancreas, proteasi digestive, esse vengono attivate attraverso una cascata di tagli ad opera delle enterochinasi. Un altro esempio che richiede l’attivazione degli zimogeni è la coagulazione del sangue ma anche l’apoptosi, la morte programmata delle cellule. Esistono anche modificazioni covalenti reversibili. Un esempio è la fosforilazione/defosforilazione delle proteine. L’ATP fosforila una proteina cedendo un gruppo fosfato attraverso enzimi chiamati chinasi; la proteina fosforilata cambia conformazione e attività, attivandosi o inibendosi. Il processo di fosforilazione è reversibile: ci sono enzimi, fosfatasi, che rimuovono il gruppo fosfato dalla proteina. La fosforilazione, ma anche altre modificazioni, è coinvolta in processi di trasduzione ed amplificazione del segnale (ad esempio una chinasi può attivare altre 100 chinasi e così via). Altre modificazioni reversibili sono l’aggiunta di gruppi funzionali come l’acetilazione, la metilazione, l’adenilazione e l’uridilazione. Alcuni enzimi sono capaci di legare nucleotidi trifosfato (ATP o GTP) e cambiare il proprio stato di attività e la propria conformazione. Un esempio sono le proteine G che passano da una forma inattiva alla forma attiva scambiando un GDP con un GTP. Questo processo è reversibile, perché il GTP viene idrolizzato in GDP. Si trattano quindi di “interruttori molecolari”. Un altro interruttore molecolare è la calmodulina, capace di legare piccoli ioni come il Ca++ ed attivarsi. 02/11/18 MICELI ANNA MARIA BIOLOGIA E GENETICA I PROF.SSA CATERINA CATALANOTTO Acidi nucleici Le funzioni degli acidi nucleici sono: - conservare, trasmettere e esprimere l’informazione genetica, come il DNA e l’RNA - trasportare energia, come l’ATP - componenti di cofattori enzimatici, come il NAD e il FAD - messaggeri chimici, come il cAMP Gli acidi nucleici sono polimeri di nuceotidi. Un nucleotide è formato da: una base azotata, un composto aromatico (struttura ad anello) eterociclico contenente azoto, che ha caratteristiche basiche e poco solubili in acqua a pH neutro come quello cellulare; uno zucchero pentoso legato a tre gruppi fosfato α,β,γ. Le basi azotate possono essere di due tipi: - pirimidiniche: a singolo anello eterociclico a 6 atomi, e sono la timina, la citosina e l’uracile. - puriniche: due anelli eterociclici condensati (a 6 e 5 atomi), e sono la guanina e l’adenina. Esse legano lo zucchero in corrispondenza di un atomo di azoto (N1 nelle pirimidine, N9 nelle purine). Lo zucchero pentoso, a 5 atomi di carbonio, può essere: - ribosio, nell’RNA. Il C2 lega un atomo di idrogeno e un gruppo ossidrile OH. - deossiribosio, nel DNA. Il C2 lega due atomi di idrogeno. I polimeri dei nucleotidi sono stabilizzati da un legame covalente che è il legame fosfodiesterico, in cui il 3’OH di un nucleotide lega il fosfato al 5’ di un altro nucleotide. Il polimero che ne deriva è quindi un polimero orientato, cioè avrà un’estremità 5’ (fosfato) e un’estremità 3’(OH). In condizioni basiche, il gruppo idrossido (2'OH) dell’RNA può essere deprotonato e agire come nucleofilo e quindi idrolizzare un legame fosfodiesterico. La scoperta del “principio trasformante” da parte di Frederick Griffith fu un primo passo per capire che il DNA era conservatore di informazione genetica. Egli iniziò facendo esperimenti su topi con due ceppi batterici di pneumococchi, un ceppo R di cellule rugose e avirulente e un ceppo S di cellule lisce e virulente. Prese le cellule S e le scaldò, uccidendo i batteri, e le introdusse nel topo, notando che stavolta le cellule non erano più virulente e il topo sopravviveva. Se a cellule del ceppo S uccise dal calore, venivano miscelate cellule del ceppo R vive, e somministrate al topo, esso moriva. Quindi esisteva un principio trasformante, cioè qualcosa proveniente dal ceppo S che aveva trasformato il ceppo R avirulento in virulento. Come capire quale macromolecola fosse responsabile di questa trasformazione? Avery, Mac Leod e Mc Carty identificano nel DNA il “Principio Trasformante”. Essi iniziarono frazionando le macromolecole, cioè presero il ceppo S virulento e degradarono tutto tranne le proteine, tutto tranne il DNA, tutto tranne l’RNA, e così via. Dopodiché li misero in contatto con un ceppo avirulento e li 02/11/18 MICELI ANNA MARIA BIOLOGIA E GENETICA I PROF.SSA CATERINA CATALANOTTO iniettarono nel topo. Videro che soltanto i ceppi avirulenti che erano stati in contatto con il DNA dei ceppi virulenti sono in grado di determinare la morte del topo. Quindi l’informazione (la virulenza) passa attraverso una molecola di DNA. Ulteriore prova è stato l’esperimento di Hershey-Chase svolto utilizzando il batteriofago T4 e isotopi come S35 e P32. Da una parte vengono prodotti fagi in un terreno che contiene zolfo pesante. Tutte le proteine facenti parte del fago, saranno marcate con zolfo pesante. Dall’altra parte vengono prodotti fagi in presenza di fosforo pesante. Il DNA presente nel fago sarà marcato col fosforo. Uniamo queste due colture fagiche con un’altra coltura batterica sana (priva di fagi). L’informazione che costringe la cellula batterica a produrre il fago viene immessa in essa tenendo fuori il capside (la componente proteica). Viene preso un frullatore per rompere l’informazione tra fago e batterio, e si mette il risultato in una provetta alla quale viene fatto un gradiente, cioè una stratificazione di densità, per cui avrò in basso la sostanza più pesante e in alto quella più leggera. Si mettono i fagi in presenza di questo gradiente. Nel caso dello zolfo, la radioattività stava in alto nella provetta e quindi le proteine rappresentavano la frazione leggera. Nel caso del fosforo, la radioattività stava nel fondo della provetta, dove si trovano le cellule batteriche che sono diventate radioattive. Vuol dire che il DNA, marcato col fosforo, è entrato nella cellula; mentre le proteine, marcate con lo zolfo sono rimaste fuori. Mancava da scoprire la struttura del DNA. Nel 1954 Watson e Crick presentano la struttura a doppia elica del DNA. In realtà la prima a fotografare il DNA attraverso la cristallografia fu una donna, Rosalind Franklin, grazie alla quale si riuscì a capire che c’erano ripetizioni ogni 0.34 nm, 3,4 nm, 2nm. Le molecole di DNA sono formate da due catene polinucleotidiche unite in un doppio filamento antiparallelo e avvolte a formare una doppia elica, dove 3.4 è il passo dell’elica (lo spazio necessario per fare un giro completo dell’elica); 2 nm è la distanza tra due scheletri carboniosi; 0,34 è la distanza tra un piolo della scala e un altro. Un piolo è costituito dalle basi azotate che tra loro formano legami idrogeno. Esse si appaiano sempre in modo complementare: la timina con l’adenina, formando due legami idrogeno, e la citosina con la guanina, formando tre legami idrogeno. Inoltre, secondo la regola di Chargaff, la quantità di purine (A+G) è sempre uguale a quella delle pirimidine (C+T). La struttura a doppia elica identifica due solchi, uno maggiore e uno minore. Le basi non sono ugualmente accessibili all’ambiente circostante, ci sono dei punti più accessibili e altri meno. Il solco maggiore, dove le basi azotate si vedono di più, è il punto in cui tutti gli enzimi e le proteine che legano DNA trovano i loro siti di riconoscimento. 02/11/18 MICELI ANNA MARIA BIOLOGIA E GENETICA I PROF.SSA CATERINA CATALANOTTO La replicazione del DNA avviene per graduale separazione dei due filamenti della doppia elica rompendo i legami idrogeno tra le basi, e ciascuno dei due filamenti funziona da stampo per la sintesi di un filamento complementare. Esistono tre possibili modelli di replicazione del DNA: - conservativa: i filamenti stampo tornano insieme; - semiconservativa: al termine della copiatura dei filamenti, un filamento nuovo è appaiato sempre con uno vecchio; - dispersiva: i due filamenti vecchi funzionano da stampo in maniera discontinua. Per capire quale dei tre modelli fosse quello corretto, venne fatta una centrifugazione in gradiente di densità. Viene preso il DNA e centrifugato in una soluzione di cloruro di cesio con etidio di bromuro cosicché sedimenta creando stratificazioni. L’etidio di bromuro si mette in mezzo le basi azotate, e quando viene illuminato con raggi ultravioletti, fa luce permettendo di identificare il DNA. Meselson e Stahl dimostrarono che la replicazione del DNA è semiconservativa. Presero una coltura batterica e l’hanno fatta crescere in presenza di azoto pesante che quindi entra nel DNA. Prelevarono una parte di questi batteri e li misero in un terreno con azoto leggero per il tempo di replicazione batterica (20 minuti). Dopo prelevarono di nuovo un’altra parte di questi batteri e dopo altri 20 minuti fecero un nuovo prelievo di batteri. Estrassero il DNA e lo inserirono in una soluzione di cloruro di cesio e lo centrifugarono per vedere la collocazione del DNA. Il DNA della coltura a tempo 0 si va a depositare in fondo la provetta, dopo 20 minuti il DNA sta un po’ più in alto e quindi è più leggero. Questo già dimostra che la replicazione del DNA non è conservativa. Il DNA della seconda generazione si colloca per metà come quello della prima generazione (ibrida) e per metà ancora più sopra e quindi leggera. Nella terza generazione, il 50 % sarà un 25 % intermedio e un 25% che si andrà a sommare a quello leggero. Alla quarta generazione, il 25 % sarà un 12% intermedio e il restante leggero. Questo ci dice che la replicazione è semiconservativa e non dispersiva perché la conservazione è sempre costante nel tempo. Cosa serve dentro la cellula per replicare il DNA? Sono necessarie delle origini di replicazione, cioè delle sequenze che definiscono il punto in cui il DNA deve cominciare ad essere copiato. Nel punto di origine di replicazione, il DNA deve essere denaturato cioè separare i due filamenti, formando la cosiddetta bolla di replicazione, in cui la duplicazione del DNA avviene agli estremi. All’interno della bolla esistono due forcelle di replicazione che vanno in direzioni opposte. Per denaturare il DNA vi è bisogno di proteine che si legano ad esso e lo distorcono in regioni vicine a sequenze AT, perché il legame idrogeno tra le due basi è un doppio legame, e non triplo, e quindi più facile da denaturare. Nel genoma batterico, che è circolare, c’è un’unica origine di replicazione. Negli eucarioti le origini di replicazione sono 30000, e alcune sono early o precoci, altre sono tardive. A tempi tardivi di replicazione, forcelle di replicazione adiacenti si fondono uno nell’altra. 05/11/2018 Denise Masella Biologia Prof.ssa Caterina CATALANOTTO LA REPLICAZIONE DEL DNA Una volta che il DNA è stato codificato come il principio trasformante e ne è stato compresa l’organizzazione, già Watson e Crick avevano ipotizzato che la struttura a doppia elica antiparallela avesse le caratteristiche per produrre due molecole figlie con le stesse informazioni genetiche, infatti la trasmissione dell’informazione ereditaria è alla base del concetto di vita. Se ne deduce che la molecola di DNA sia quella che si è maggiormente adattata a trasmettere l’informazione genetica alle cellule figlie. La replicazione origina in particolari zone del genoma detti genericamente ​origini di replicazione​, in particolare: nel DNA batterico (circolare a doppio filamento) vi è un unico punto di origine replicazione in cui delle proteine ​core ​destrutturano la doppia elica aprendola in una regione ricca di nucleotidi timina e adenina, permettendo così all’apparato di replicazione di iniziare il proprio lavoro; nelle cellule eucariotiche i siti di origine replicazione si formano in maniera identica a come avviene nelle cellule procariotiche. A differenza delle cellule procariotiche negli eucarioti sono presenti più punti di origine di replicazione in cui i complessi di replicazione si attivano più o meno contemporaneamente (si formano così dei segmenti tardivi ed altri precoci). Avere più origini di replicazione è finalizzato all’idea di duplicare velocemente il genoma. In particolare, sono stati studiati i siti di origine replicazione nel lievito che viene utilizzato come sistema modello per le cellule eucariotiche. I siti di origine replicazione (che anche nel lievito sono molteplici) assumono nel caso del lievito il nome di ​ARS (autonomously replicating sequence). ​Le ARS sono così ben caratterizzate che in lievito si possono introdurre dei cromosomi artificiali, quindi introducendo nel genoma artificiale delle ARS, il cromosoma nel lievito non solo si esprime, ma viene ereditato dalle cellule figlie. Il complesso che riconosce l’origine di replicazione si lega al DNA non appena quest’ultimo viene stato duplicato. Non appena il DNA viene duplicato, a livello del core che costituiscono il sito di origine replicazione si aggiungono sequenzialmente altre proteine, andando così a formare il ​complesso di pre-replicazione​. L’attività funzionale del complesso di pre-replicazione, cioè denaturare e poi replicare la molecola di DNA, dipende strettamente dal ciclo cellulare ed è da esso controllato. Con ciò si intende dire che per assicurarsi che il DNA sia stato duplicato e che sia stato replicato una sola volta, il ciclo cellulare utilizza gli enzimi ​cdk ​(chinasi ciclina dipendente) usati come regolatori del ciclo cellulare. Basse concentrazioni di cdk consentono la formazione dei siti di origine replicazione, ma non permettono che si assembli il complesso di pre-replicazione. Alte concentrazione di cdk impediscono la formazione di nuovi complessi di replicazione, ma quelli già presenti sono attivati. L’enzima coinvolto nella replicazione della doppia elica di DNA venne scoperto da Kornberg ed è stato chiama

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