Teatro (PDF)
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Università Niccolò Cusano
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This document provides a historical overview of ancient Greek theatre, focusing on its development within Athenian society. It explores the connections between theatre and Athenian democracy, highlighting the roles of the chorus and actors. Key figures like Sophocles, Euripides, and Aristophanes are mentioned.
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Teatro Eschilo, Sofocle ed Euripide, i tre tragici, sono ateniesi, i due comici maggiori Aristofane e Menandro pure. Quindi il legame tra teatro e Atene è fattuale, si lega ad Atene in quanto polis democratica, dato che il teatro è un sistema di educazione ed istruzione, creazione di un contesto cul...
Teatro Eschilo, Sofocle ed Euripide, i tre tragici, sono ateniesi, i due comici maggiori Aristofane e Menandro pure. Quindi il legame tra teatro e Atene è fattuale, si lega ad Atene in quanto polis democratica, dato che il teatro è un sistema di educazione ed istruzione, creazione di un contesto culturale come propugnato dalle autorità democratiche, non si va a teatro per divertisti o piangere (commedia e tragedia), ma perchè attraverso il teatro la polis veicola un certo tipo di idee. Il teatro mette in scena elementi tratti dal mito, ma alcuni elementi della trama servono a veicolare messaggi politici, ad esempio nella trilogia dell’ Orestea, alla fine Oreste deve essere giudicato da un tribunale di dei che deve stabilire se dev’essere condannato per l’uccisione della madre o se debba essere assolto perché l’ha fatto per vendetta per la mort del padre. Questo tribunale si riunisce ad Atene, nel tribunale dell’areopago che viene creato per la prima volta in quell’occasione. Il mito di Oreste ha luogo ad Argo e Micene, il luogo del tribunale è Atene perchè è la città della giustizia e delle leggi, dove chiunque, anche stranieri, può trovare un giusto processo. Un altro esempio lo da Euripide nella Medea, una tragedia che ruota attorno alla vendetta nei confronti di Giasone. Alla fine della tragedia Medea viene portata in cielo e trova esilio ad Atene, perchè Atene è la città in cui chiunque può trovare protezione e accoglienza se si presenta come supplice, persino una donna che si è macchiata del reato peggiore come Medea. Si può quindi osservare che il messaggio teatrale è di formazione culturale, quindi il teatro è pubblico, coinvolge tutta la città, il che è dimostrato dal fatto che gli ateniesi incoraggiavano vivamente la partecipazione di tutti i cittadini alla rappresentazione teatrale, e lo Stato pagava il biglietto d’ingresso a coloro che non potevano permettercelo, perchè vuole che i messaggi siano trasmessi a tutti, così che certi tipi di idee si possano diffondere capillarmente, senza escludere nessuno. L’elemento discusso è se anche le donne potessero assistere, sembra di si, Aristofane in una delle sue commedie fa parlare uno dei suoi personaggi che dice di essere felice di poter vagare nella platea così può individuare sua moglie con l’amante, che fa pensare che le donne assistessero, ma non è molto chiaro. Anche gli schiavi e gli stranieri partecipano. Tuttavia gli spettacoli erano messi in scena in momenti particolari come le feste religiose, quelle principali erano le grandi Dionisie in primavera. Ne Esistevano altre come le piccole dionisie o le Enee. Queste sono invernali e, poiché in inverno tendenzialmente non si naviga, erano destinate ai soli ateniesi. Le Grandi Dionisie permettevano l’afflusso anche di cittadini stranieri, quindi il messaggio degli spettacoli andava anche agli stranieri. L’atene dell’era di Pericle è la città greca che è in assoluto maggior attrattore della Grecia, tutti i greci vorrebbero vivervi perché è una città ricca, monumentale e con alta qualità di vita, al punto tale che Pericle, pur essendo democratico, impone vincoli molto stretti per la cittadinanza. Basti pensare che basta avere un genitore non ateniese per non averla. Gli spettacoli teatrali avvengono in parte a spese della città, in parte a spese del cosiddetto corego, il regista, colui che fisicamente mette in scena la tragedia, paga i costumi, gli attori, le scenografie, è un cittadino ricco. Si sobbarca questo onere perchè ha un ritorno di immagine molto forte. Il corego, mettendo uno spettacolo molto bello e sfarzoso, guadagna fama, che ripaga le sue spese. L’altra parte delle spese è messa dallo Stato, quelle destinate ai biglietti x chi non può permetterseli, per l’organizzazione delle scene. I cittadini non spendono di tasca propria, il prezzo del biglietto è quasi simbolico. Il corego non sceglie lo spettacolo, sono scelti da una giuria; i vari attori presentano, prima delle feste, diversi spettacoli e la giuria vota, verranno messi in scena i tre spettacoli poi votati. Gli spettacoli che vengono votati non sono singoli ma a gruppi, le tragedie sono sempre proposte a gruppi di tre, trilogie, più un dramma satiresco. Quindi si scelgono tre autori che mettano in scena le loro tetralogie. Dopo la messa in scena, si votano le tragedie migliori e si fa una classifica. Il tragico che ottenne il maggior numero di vittorie fu Sofocle. Le tre tragedie di solito non erano legate tra di loro, a meno che non ci fosse un legame implicito che l’autore evidenziava, come la trilogia di Eschilo, l’Orestea, propone tre parti dello stesso dramma, ossia l’Agamennone, le Coefore e le Eumenidi, tre momenti dello stesso mito, il mito di Oreste, ma questa è un eccezione. Anche il dramma satiresco era totalmente slegato. L’autore poteva scegliere il testo da proporre, ma forse non poteva scegliere gli attori, che erano offerti dal corego. Gli attori hanno un ruolo marginale, mentre nelle opere di Plauto l’attore era molto abile e spesso prevaleva sull’autore, improvvisando, nella tragedia greca l’autore è secondario. L’attore inoltre è irriconoscibile perché si nasconde dietro una maschera e spesso interpreta più personaggi cambiando la maschera. Interpretano anche le parti femminili. Le maschere erano di due tipi e si distinguevano dal colore, per le figure maschili e femminili. Inoltre il testo stesso annuncia i personaggi, quindi il pubblico capisce il personaggio da quegli elementi della trama che esplicitano ciò che sta avvenendo in scena. Anche il costume aiutava, gli attori che interpretavano personaggi regali, per esempio, vestivano di rosso porpora. Più il corego dava l’idea di aver speso, più lo spettacolo era considerato pregevole, usando per esempio tessuti in porpora e non semplicemente tinti di rosso. La tragedia è un fenomeno abbastanza limitato nel tempo, che si estende per lo più lungo il quinto secolo. Tra le ori e opere di Eschilo e le ultime opere di Euripide passa meno di un secolo, quindi è un fenomeno estremamente limitato nel tempo. Eschilo è stato preceduto da altri autori di cui sappiamo poco, ma comunque il periodo più importante del teatro corrisponde a quello che conosciamo, e al trionfo della polis democratica. L’etimologia della parole “tragedia” (in greco tragodia), si separano “odia” cioè “ode”, canto, e “tragos”, la capra maschio. Cosa centrino le capre è un mistero, probabilmente il capro fa riferimento alla maschera, maschere che rappresentavano l’immagine di un caprone e probabilmente facevano parte di cortei in onore di Dioniso, che sono gli antecedenti diretti della tragedia. Delle persone mascherate da capra sfilavano per Dioniso, servivano per tenere lontano il male. Aristotele dice che la tragedia deriva dal ditilambo, un genere lirico che ha in comune con la tragedia il fatto di essere legati al culto di Dioniso. Quest’ultimo quindi aveva un ruolo importante nella tragedia, infatti in tutti i teatri, al centro della scena c’è un piccolo altare in onore di Dioniso. Tuttavia l’unico dramma conosciuto che ha Dioniso al centro sono le Pacanti di Euripide, non si sa perché Dioniso, nonostante sia elemento centrale della tragedia, non è mai elemento centrale delle trame. Quindi, l’origine della tragedia sicuramente è legata al culto di Dioniso, ma anche qualche testo cantato, in opposizione al recitato. Quindi, il teatro tragico veniva messo in scena in forma recitata o cantata? Mista, e lo sappiamo grazie alla metrica; alcune parti sono in metri lirici, tipici del canto, e sono le parti dei cori. Le parti dialogate, preponderanti, sono in trimetro giambico, metro tipico della lingua parlata. Quindi, nella tragedia sono rimaste le parti cantate del culto di Dioniso, ma si è passato ad una forma mista, alla fine diventerà preponderante la parte recitata. Il passaggio da lirica a tragedia era attribuito ad un personaggio semi mitico, il primo attore, Tespi, che avrebbe inserito parti dialogate in supporto alle parti cantate. Guardando i tre autori in ordine cronologico, si nota che le parti cantate diminuiscono quantitativamente, mentre le parti dialogate aumentano, il che significa che l’evoluzione della tragedia vede la crescita della parte dialogata. L’aspetto dello spettacolo quindi cambia, diventa uno spettacolo moderno come noi lo conosciamo. Della totalità della produzione greca abbiamo una minima parte, interamente solo alcune opere dei tre tragici del quinto secolo. Tuttavia possiamo dire che, nella tragedia, i filoni narrativi preponderanti siano due: uno legato al mito argivo, legato ad Agamennone, Tieste, Ifigenia ecc., figure della casata di Atreo, a prescindere dagli autori. Il secondo è il mito tebano, quello che gira intorno alla figura di Edipo e ai personaggi legati alla sua figura come i suoi figli. Quest8 due filoni sono quelli che permettono di esplorare le parti più profonde dell’inconscio, sono come esercizio psicanalitico, perchè analizza i principali drammi e dilemmi esistenziali dell’uomo, dell’inconscio e del subconscio. Il coro si distingue usando i metri lirici nelle parti cantate, caratteristica che risale al fatto che il coro è l’ultimo elemento che rimane nella tragedia della sua originaria derivazione dal ditirambo. Nel coro si vede il nucleo più antico della tragedia. Il coro si distingue dalle parti dialogate non solo per il metro ma anche per il dialetto, la tragedia è un fenomeno artistico attico, quindi la lingua è quella attica, ma tutti i cori sono in dialetto dorico, il che è un fenomeno illogico, non c’è motivo di fare questa variazione, ma lo utilizza perché il coro è come se fosse una composizione lirica, e la lirica mantiene sempre il suo dialetto originario. Il ditirambo nasce nel Peloponneso, quindi dal dialetto dorico, essendo il ditirambo origine della tragedia, il coro manterrà il dialetto originale. Il coro è un insieme di persone che interagiscono con i singoli attori, parla con una voce sola ma tante persone cantano all’unisono. Il coro interagisce con i personaggi attraverso il corifeo o corifea, cioè il portavoce del coro. Il coro tende ad evolversi nel tempo, il suo spazio diminuisce nel tempo e anche il suo rapporto con la tragedia, mentre con Eschilo il coro è un personaggio e interagisce ed esprime la sua opinione e ciò che dice è collegato alla trama, con Euripide i, coro si scinde completamente rispetto alla trama, diventa una riflessione di carattere esistenziale, scissa rispetto alla trama. Le tematiche possono essere indirettamente collegate alla tragedia, ma non sono strettamente collegate alle vicende dei personaggi. La tragedia inizia con la parodo, a cui segue il primo episodio, intervallato dal primo stasimo. Questo tipo di scansione può riprendersi a seconda del numero degli episodi, che possono essere più di uno. Dopo l’ultimo episodio c’è l’esodo. Parodo, stasimo ed esodo sono le parti in cui in scena c’è soltanto il coro. Gli episodi sono le parti in cui ci sono in scena gli attori che dialogano o tra di loro o con il coro. Parodo viene da para odos, cioè ingresso. Salvo casi meno frequenti in cui c’è un prologo, la tragedia inizia con l’ingresso del coro, cioè la parodo, e il coro fa un primo intervento in cui introduce l’azione scenica, ciò che verranno gli spettatori. Da quando entra in scena l’attore inizia l’episodio. Gli episodi sono paragonabili agli atti, il passaggio tra un episodio e l’altro è determinato dallo stasimo, cioè da un altro ingresso del coro. Quando finisce l’episodio gli attori escono, rientra il coro e si ha il primo stasimo, che di solito è organizzato in due parti separate che si chiamano strofe e antistrofe, perché il canto del coro è corresponsionale, in cui ci si divide in due gruppi, un gruppo canta dei versi e l’altra risponde con altri versi speculari. Il coro può dialogare con i personaggi, ma quando c’è in scena solo lui, canta. L’esodo, cioè uscirà, è il canto finale del coro, una sorta di riflessione finale. Originariamente la tragedia presentava solo due attori, protagonista e deuteragonista, secondo attore, l’antagonista da l’idea di una contrapposizione che tra gli attori delle tragedie non esiste. Nelle tragedie di Eschilo si trova quasi sempre solo la coppia, fu Sofocle ad introdurre il tritaagonista, ma siccome la prima parte della produzione teatrale di Sofocle si sovrappone all’ultima parte di quella di Eschilo, probabilmente per influenza di Sofocle nelle ultime opere di Eschilo si trova il terzo attore. Non si va mai oltre i tre attori, ossia tre personaggi contemporaneamente in scena, quindi possono esserci anche dieci personaggi ma non entreranno in scena contemporaneamente. Il dialogo comunque si tiene tra due, il terzo è un’aggiunta, la tragedia nasce soprattutto come forma diatribica, in cui due personaggi espongono idee contrapposte. Il coro interviene, commenta e esprime la sua opinione. Una questione è se la posizione che esprime il coro sia quella dell’autore o del popolo, in realtà in alcune ha una competenza superiore rispetto ai personaggi, avverte che andranno incontro ad un destino tragico, quindi agisce sulla base del buonsenso, in altri casi non conosce le vicende quindi non può avvisare i personaggi. Quindi non si può dare una definizione definitiva, a volte è la voce della ragione, altre è privo di strumenti che permettano di interpretare al meglio la realtà. Le rappresentazioni teatrali si svolgevano in un teatro all’aperto. La scena era composta da 🏢 una sorta di scenografia mobile che a volte poteva ruotare su se stessa e mostrare, per esempio, la facciata di un palazzo e, ruotando, l’interno dello stesso palazzo. Era possibile arricchire la scena di elementi che permettessero di capire dove ci si trovava, ad esempio nell’ Agamennone, Eschilo fece posizionare un tappeto rosso porpora su cui passava Agamennone per entrare nella reggia di Micene, e da quell’elemento si comprende la location. Non erano previsti grandi elementi realistici, infatti spesso i personaggi intervengono e indicano il luogo che potrebbe non essere riconoscibile. Il coro si trovava al centro della parte circolare chiamata orchestra, mentre nella scena, la parte soprelevata, si trovavano gli attori. Il verbo greco orcheomai significa danzare, il coro si trovava nell’ orchestra perchè originariamente danzava quando cantava. La scena aveva due uscite laterali. Più in alto si trova la skene, la scena, e il proscenio, la parte davanti dove si posizionava l’attore. La parte della scena comprendeva anche la scenografia mobile. Coro e attori non stavano mai sullo stesso palco, così che gli spettatori non percepissero il coro come un personaggio, perché non si vedeva nella scena, è come se fosse la voce della coscienza che parla e interagisce con i personaggi. I personaggi hanno le maschere, secondo alcuni le maschere avevano anche funzione di amplificazione, per udire meglio la voce, e anche la struttura del teatro rendeva un acustica ottimale, funziona come una cassa acustica e vi si crea un effetto di eco. Gli attori a volte indossavano un elemento tipico, ma non c’era niente che li caratterizzasse. Uno stesso attore poteva interpretare più personaggi, e anche per questo non potevano stare in scena più di tre contemporaneamente. Le trame erano collegate al mito, che ha un valore sacrale, nei miti i greci avevano strutturato tutte le spiegazioni possibili ai dubbi sull’esistenza umana, destino, fato, morte ecc. quindi venivano presi molto seriamente. Il fatto che il mito fosse al centro della narrazione spiega perché molto raramente il teatro si sia occupato di argomenti tratti dalla realtà, fatti storici. Uno dei casi di cui siamo a conoscenza è rappresentato da Eschilo, che mette in scena la sconfitta di Serse nella battaglia di Salamina, seconda guerra persiana. La mette in scena a dieci anni dalla fine di quella battaglia, quindi gli spettatori stessi hanno partecipato alla vicenda e questo li rendeva non distanti da ciò che vedevano, che è un elemento che da allora in poi si cercò sempre di evitare, non deve succedere che lo spettatore percepisca ciò che vedeva come un fatto reale, perché creava un impatto emotivo eccessivo. Un altro attore tragico minore, Frinico, aveva messo in scena la conquista di Mileto dai persiani, un fatto storico molto vicino cronologicamente alla messa in scena e molto doloroso. Questo creò una disperazione d8 massa perché costrinse le persone che assistevano a rivivere quel momento, reagirono quasi istericamente, si racconta che molte donne incinte abortirono per lo shock emotivo. Questo vuol dire che lo spettatore non andava a teatro per vedere cronaca e vicende reali, ma vicende mitiche collocate in un tempo indefinito che però permetteva di riflettere anche sulle sue vicende esistenziali, senza chiamarlo in causa direttamente. Da quel momento in poi si evitò di portare in scena fatti storici. Non mettendo in scena vicende che creano una separazione netta tra spettatore e scena, non avviene la catarsi, ossia uno degli obiettivi fondamentali della tragedia. La catarsi secondo Aristotele, nella tragedia, tramite paura e terrore, porta a compimento la purificazione delle passioni, la definizione di purificazione è catarsi, cioè il purificarsi dalle passioni. La catarsi si genera tramite paura e pietà, fobos ed ebos, lo spettatore entra a teatro con il suo vissuto e i suoi drammi esistenziali, attraverso ciò che vede in scena, la paura provata dai personaggi e la pietà che hai per le loro vicende, avviene una purificazione delle passioni, assumendo le passioni che vivono i personaggi sulla scena fai uscire le tue e ti purifichi delle tue sofferenze attraverso le sofferenze altrui. Le tue sofferenze ti sembreranno di poco conto assistendo alle profonde sofferenze dei personaggi tragici, male vicende che vivono hanno ,effetto di generare negli spettatori una sorta di esame di coscienza attraverso cui esci dal teatro più sereno e appacificato con il tuo vissuto personale, come se quella grande dose di dolore alleggerisca la percezione delle infelicità personali. Non devono esserci elementi di disturbo perché avvenga la catarsi, non può avverarsi se il drama che vedo mi tocca personalmente, come i fatti di cronaca. I tre tragici agiscono nel tempo di grandi guerre, ma l’attualità storica non entra mai in teatro, non si potrebbe stabilire la datazione di un opera di nessuno dei tragici sulla base di eventi desumibili dal testo, l’attualità non entra mai nel testo tragico. La catarsi deve essere un fenomeno collettivo, ognuno ha il suo vissuto, ma la catarsi deve operare su tutti, solo in quel modo lo spettacolo può definirsi ben riuscito. Come sappiamo fu Sofocle a vincere più volte, perchè probabilmente era più in linea con gli spettatori ateniesi, la morale sofoclea era più sovrapponibile a quella di un ateniese medio, mentre Euripide spesso propone una morale in contrapposizione con l’ateniese, lo sfidava e lo invitava a riflettere su tematiche scomode, quindi il pubblico non lo premiava. Sofocle riesce a ottenere il favore di tutti. Questo significa che il giudizio derivava da quanto piacesse un opera, da quanto il pubblico condividesse ciò che vedeva in scena, se il messaggio era disturbante o meno per lo spettatore. Se si sfidava lo spettatore, non venivi premiato. Possiamo dire che ciò che è stato conservato sono le opere più rilevanti, dopo Euripide il genere teatrale sparisce perchè dopo Euripide sparisce la tragedia, quello che c’è dopo è meno valido.