Biochimica della Fermentazione PDF
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Questo documento discute i processi biochimici della respirazione, della fermentazione e della fermentazione alcolica. Copre argomenti come la glicolisi, il ciclo di Krebs e la produzione di etanolo. Inoltre, analizza le diverse fasi della vinificazione, le tipologie di lieviti e batteri coinvolti, e la formazione di alcoli superiori.
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La respirazione prevede la presenza di catene respiratorie, che nel caso dei batteri si trovano sulla membrana citoplasmatica. La respirazione può essere: - aerobica: ha come accettore finale l'ossigeno ed è quella maggiormente favorita dal punto di vista energetico perché permette di ot...
La respirazione prevede la presenza di catene respiratorie, che nel caso dei batteri si trovano sulla membrana citoplasmatica. La respirazione può essere: - aerobica: ha come accettore finale l'ossigeno ed è quella maggiormente favorita dal punto di vista energetico perché permette di ottenere 38 moli di ATP; - anaerobica: ha come accettori finali dei composti ossidati che quindi si riducono e porta alla produzione di minor quantità di ATP (14-22 moli). Il metabolismo respiratorio è detto anche metabolismo ossidativo, poichè attraverso la respirazione la sostanza organica viene completamente ossidata in acqua e CO2. La fermentazione invece prevede una parziale ossidazione dei composti organici; infatti, al termine del processo si ottiene sempre sostanza organica, in particolare acidi e solventi. Tra i principali prodotti di fermentazione troviamo l'etanolo, l'acido lattico e l'acido propionico. La fermentazione ha una resa inferiore in ATP, solo 2 moli e viene principalmente ePettuata da batteri costruttori. Questi batteri sono: - non patogeni; - immortali in quanto producono spore che gli permettono di resistere a condizioni avverse; - simbionti come, ad esempio, i batteri lattici presenti nel nostro intestino; - mimetizzati come i mitocondri. La glicolisi prevede appunto la produzione di acido piruvico. Da 1 molecola di glucosio si ottengono 2 molecole di acido piruvico, 2 molecola di NADH e 2 molecole di ATP. 1° reazione: il glucosio viene fosforilato glucosio 6-fosfato dall'enzima esochinasi, con il consumo di 1 molecola di ATP; 2° reazione: il glucosio 6- fosfato viene isomerizzato a fruttosio 6- fosfato dall'enzima fosfoglucosio isomerasi; 3° reazione: il fruttosio 6- fosfato va incontro ad una fosforilazione si ottiene così il fruttosio 1,6-bifosfato, ad opera della fosfofruttochinasi, con il consumo di una molecola di ATP; 4° reazione: il fruttosio 1,6-bifosfato viene convertito in gliceraldeide 3-fosfato grazie all'enzima aldolasi; 5° reazione: la gliceraldeide 3- fosfato può essere convertita: - diidrossiacetone fosfato dall'enzima triosofosfato isomerasi; - 1,3-bifosfoglicerato dall'enzima gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi con la riduzione di 2 molecole di NAD in NADH. 6° reazione: l’1,3-bifosfoglicerato viene defosforilato in 3-fosfoglicerato ad opera dell'enzima fosfoglicerato chinasi con la produzione di 2 molecole di ATP; 7° reazione: 3-fosfoglicerato viene convertito in 2-fosfoglicerato dalla fosfoglicerato mutasi; 8° reazione: il 2-fosfoglicerato viene convertito in fosfoenolpiruvato dall’enolasi; 9° reazione: il fosfoenolpiruvato viene convertito in piruvato dalla piruvato chinasi con la produzione di 2 molecole di ATP. Il piruvato ottetto della glicolisi può: - essere decarbossilato ad acetil-CoA ed entrare nel ciclo di Krebs; - essere decarbossilato ad acetaldeide, con produzione di CO2 e successivamente ridotto ad etanolo con ossidazione del NAD - ePettuando così la fermentazione alcolica; - essere ridotto ad acido lattico mediante la fermentazione lattica; - essere convertito in ossalacetato, acido malico, succinico e acido propionico nella fermentazione propionico; - essere scisso dall'enzima piruvato formiato liasi in acido formico e acido acetico. Dalla fermentazione si genera solitamente del gas in particolare la CO2 o H2S o H2. La fermentazione alcolica viene utilizzata nella produzione di vino e birra e nella lievitazione del pane. Prevede l'utilizzo di: - lieviti quali Saccharomyces cerevisiae, è un fungo ascomicete unicellulare, ha una grande capacità fermentativa e un alto potere alcoligeno (16% v/V). - batteri del genere Zymomonas. Avviene in assenza di ossigeno ma nel caso dei lieviti si può verificare l'ePetto crab-Tree ovvero in presenza di una quantità di glucosio in eccesso, i carriers mitocondriali del piruvato sono saturi e quindi il piruvato va incontro a fermentazione. La fermentazione alcolica è divisa in due reazioni: 1° reazione è irreversibile e consiste nella decarbossilazione dell'acido piruvico in acetaldeide con la liberazione di una molecola di CO2. Questa reazione è catalizzata dalla piruvato decarbossilasi. 2° reazione è reversibile, interviene l'enzima alcol deidrogenasi che va a ridurre l'acetaldeide in piruvato, con l’ossidazione di NADH in NAD. L'enzima alcol deidrogenasi: - nei lieviti è un tetramero; - negli animali è un dimero; - nell’uomo questo enzima va a decarbossilare l'etanolo in acetaldeide, poi convertita in acido acetico che tramite l'acetil-CoA sintasi viene convertito in acetilCoA e va in lipogenesi per la sintesi dei lipidi. L'alcol deidrogenasi: - ha come cofattore lo zinco; - ha siti per il NAD ossidato (NAD) e il NADH ridotto (NADH); - ha una bassa specificità di substrato in quanto è in grado di riconoscere diversi alcol (aromatici, insaturi e alifatici). Le bevande alcoliche hanno un gusto diverso in base al: - substrato di partenza (cerali, canna da zucchero); - microrganismo utilizzato (batteri, lieviti o funghi); - condizioni di fermentazione quali tempo e temperatura. La vinificazione può essere: - spontanea viene ePettuata da lieviti autoctoni che si trovano naturalmente sulla buccia dell'uva. Questa fermentazione è utilizzata nelle regioni mediterranee e permette di ottenere vini che hanno gusti diversi in base alla zona di produzione, ai lieviti utilizzati e alla coltivazione delle viti; - controllata viene ePettuata inoculando i lieviti starters dopo la sterilizzazione dell'uva con SO2. Viene utilizzata principalmente in Australia e in California. Il vantaggio è che si inoculano dei lieviti di cui si conoscono le caratteristiche genetiche ma lo svantaggio è che questi vini hanno un sapore molto simile. UVA - sull’acino sano troviamo basidiomiceti non fermentanti come Cryptococcus e Rhodotorula o funghi simil-lieviti come Aureobasidium pullulans. - con la maturazione dell'acino, che inizia a rilasciare le sostanze nutritive, prevalgono ascomiceti a metabolismo ossidativo o debolmente fermentativo come Candida, Pichia, Metschinikowia e Hanseniaspora; - se gli acini sono molto maturi o danneggiati iniziano a prevalere lieviti fermentanti come Candida, Thorulaspora e Zygosaccharomices. Dalla spremitura dell’uva si ottiene il mosto, acido, contiene il 10-25% di zuccheri sotto forma di glucosio e fruttosio ed è bianco. Durante la fermentazione del mosto cambia la composizione della popolazione microbica: all'inizio della fermentazione prevalgono organismi osmotolleranti poichè è presente grande quantità di zucchero, man mano che la fermentazione procede e si iniziano a formare SO2 ed etanolo prevalgono organismi alcol tolleranti come Saccharomyces cerevisiae var ellipsoideus. A causa del cambiamento climatico, le piogge sono sempre di meno quindi l'acino è meno ricco di acqua e più ricco di zuccheri fermentabili come il saccarosio. Questo non è vantaggioso perché in presenza di grande quantità di zuccheri la pressione osmotica aumenta quindi i lieviti producono una molecola osmo protettiva, il glicerolo. Questo viene prodotto a partire dal diidrossiacetone fosfato con consumo di NADH. Questo ha 2 conseguenze: - i vini risultano meno alcolici perché il diidrossiacetone fosfato non viene convertito in gliceraldeide 3-fosfato quindi solo la gliceraldeide 3-fosfato viene convertita in piruvato e va in fermentazione alcolica; - per rigenerare il NADH molecola, una parte di etanolo verrà convertita in acetaldeide e successivamente in acido acetico, con la diminuzione della gradazione alcolica e l’aumento dell'acidità. La fermentazione solitamente avviene in pochi giorni e richiede di raPreddare la miscela per evitare la morte dei lieviti. Durante il processo vengono ePettuati anche frequenti travasi in modo che i lieviti morti non rilascino le componenti cellulari, rendendo il vino ospitale per batteri e lieviti inquinanti. Al termine della fermentazione il pH è di 2-3 e la concentrazione alcolica è tra gli 11-14 °. Durante la fermentazione si possono formare degli alcol superiori quali n-butanolo, isobutanolo. 1-propanolo, alcol isoamlico, 2-feniletiletanolo. Un eccesso di alcol superiori maggiore a 400 mg/l -> danneggia il gusto del vino perché dà un gusto molto amaro e può anche essere tossico. Concentrazioni di alcol superiori inferiori ai 300 mg/L contribuiscono all'aroma del vino. Per diminuire la quantità di alcol superiori si può: - mutare Saccharomyces cerevisiae utilizzando raggi UV o etilmetano sulfonato, inibendo la fermentazione alcolica; - ridurre la percentuale di azoto, - Manipolazione genetica del lievito in particolare gli alcoli superiori derivano da aminoacidi a catena ramificati e quindi regolando i geni che li producono si diminuisce la quantità di alcoli superiori; - utilizzare un pool di enzimi immobilizzati su alginato di sodio estratti dal Geothricum che migliora la stabilità enzimatica e riduce la produzione di alcoli superiori. Al termine della fermentazione il vino deve essere: - chiarificato; - stabilizzato; - invecchiato. Il profilo aromatico del vino dipende oltre che dagli 800 composti presenti all'interno anche dal legno della botte in cui viene conservato. Si consiglia di utilizzare il legno di quercia in quanto questo: - garantisce una buona ossigenazione che va a migliorare il gusto, il colore e l'aroma; - fornisce composti volatili come vanillina ed eugenolo. Al termine della fermentazione possono anche svilupparsi delle fermentazioni accessorie: - fermentazione di aminoacidi, sgradita perché porta alla formazione di composti tossici; - fermentazione malolattica viene ePettuata da batteri lattici quali lattobacilli, lattococchi, oenococchi e pediococchi. Questa fermentazione può essere: spontanea se i batteri lattici sono già presenti nel mosto; indotta se vengono inoculati dei batteri starters dopo la fermentazione per andare a ridurre l'acidità del vino e renderlo più frizzante. Il batterio starter per eccellenza e l’Oenococcus oeni che ha: § crescita veloce; § facilmente coltivabile a livello industriale; § non genera aromi indesiderati. La reazione può avvenire: in 1 sola tappa nel caso dei batteri lattici dove l'enzima malolattico catalizza la decarbossilazione dell’acido malico in acido L-lattico. L'enzima malolattico viene prodotto a partire dal gene mleA scoperto per la prima volta nell’Oenococcus oeni e nel Lactococcus lactis. in 3 tappe nel caso dei funghi come Schizosaccharomyces pombe in cui l'enzima malico catalizza: - l'ossidazione del malato in ossalacetato con riduzione del NAD (NADH); - ossalacetato viene decarbossilato in privato; - il privato viene ridotto in acido L-lattico. BIOOSSIDAZIONE ACETICA Dal vino è possibile ottenere l'aceto per ossidazione dell'etanolo in acido acetico da parte dei batteri Acetobacter. L'acido acetico è un prodotto molto interessante a livello alimentare in quanto è un antimicrobico che va ad inibire lo sviluppo di deterioranti negli alimenti. La tolleranza all'acido acetico è data da: - una maggiore espressione delle proteine coinvolte nella tolleranza all’acido acetico come Dna-K; - l'espulsione dell'acido acetico tramite i trasportatori ABC, coniugati ad un sistema di ePlusso dipendenti dal gradiente protonico grazie all'espressione di ADH/ADHL; - maggiore assimilazione dell’acido tramite l'espressione dell'acetil-CoA idrolasi e della fosfotransacetilasi che permettono un ulteriore ingresso di acetil-CoA nel ciclo di Krebs. BIRRIFICAZIONE Il cereale di partenza e l’orzo, tuttavia, spesso questo viene miscelato ad altri cereali quali mais, avena, segale, frumento e riso. Questi cereali hanno come zucchero l'amido. Poiché i lieviti non hanno le amilasi per scinderlo, è necessario convertire l'amido in maltosio. Questo viene fatto attraverso una serie di reazioni: 1. Le cariossidi vengono fatte germinare in acqua a 20 ° per 10 giorni. Quando il germoglio raggiunge i 2/3 della cariosside si è raggiunta la massima produzione di amilasi; 2. le cariossidi vengono fatte essiccare con trattamenti graduali dai 35 ai 45 °; 3. le cariossidi vengono tostate a 80 ° per 10 ore per le birre chiare e a 103° per 36 ore per le birre scure; 4. ammostatura serve a saccarificare l’amido. Può avvenire per: - infusione come in Francia, Inghilterra e Irlanda dove le cariossidi vengono messe vengono messe in acqua riscaldata a 65 °; - decozione come Germania, Austria, Belgio le cariossidi vengono prima messe nell'acqua fredda, quest'acqua viene poi fatta riscaldare fino a 35-45 °, una parte di quest'acqua viene fatta bollire dopodiché viene rimessa nel contenitore iniziale e ripetendo questo procedimento si ottiene un mosto molto più denso; 5. luppolizzazione consiste nel trattare il mosto con le infiorescenze femminili del luppolo, per questo motivo il luppolo ha un'azione estrogenizzante ed è infatti un interferente endocrino. La luppolizzazione serve a: - rendere più chiaro e limpido il mosto in quanto i tannini del luppolo coagulano e fanno precipitare le albuminoidi dell'orzo; - ha un'azione antisettica grazie al lupulene che facilita la conservazione della birra; - dà un gusto più amaro alla birra grazie alla presenza del linanolo. Ci sono diverse tipologie di luppolo: - luppolo amaro contiene alfa acidi che danno un gusto amaro. Vengono aggiunti durante l'ebollizione per massimizzare l'estrazione; - luppoli aromatici hanno un carattere aromatico che viene utilizzato a fine bollitura per non disperdere gli aromi volatili; - luppoli ambivalenti che hanno sia un carattere aromatico che degli alfa acidi e quindi contribuiscono a dare un aroma più amaro. 6. cottura del mosto a 100 ° per eliminare la presenza di eventuali contaminanti, eliminare le amilasi e far evaporare composti volatili sgraditi; 7. raNreddato: - per le birre alte (10°) a 10-20°; - per le birre basse (5°) tra 2-8°. La gradazione alcolica viene definita in base ai gradi saccarometrici ovvero la quantità di zuccheri fermentabili presenti in 100 ml di mosto. 1 ° alcolico corrisponde a 3 ° saccarometrici. Le birre di grado alcolico superiore derivano da mosti con più zuccheri fermentabili prodotti dall'azione delle beta-amilasi sono meno dolci. Le birre con gradi alcolici inferiori derivano da mosti più ricchi in destrine prodotte dalle alfa-amilasi e sono molto più dolci. 8. acidificazione del pH a 5, per permettere la colonizzazione dei batteri acidofili, utilizzando acido tartarico o Lactobacillus delbruekey. 9. fermentazione con i lieviti, fatti fermentare in aerobiosi per raggiungere la maggiore biomassa possibile. I lieviti si dividono in: - lieviti alti come il Saccharomyces cerevisiae, si trovano sulla superficie del mosto e lavorano tra i 12 e i 24 ° per circa 3-7 giorni. Permettono di ottenere le birre britanniche dette Ale, che sono birre più dolce con gusti speziati e fruttati; - lieviti bassi come Saccharomyces uvarum, carlbersgiensis e pastorianus si depositano sul fondo del fermentatore e producono birre lager, tedesche e austriache, birre con gusto più secco e amaro. Ci sono poi anche delle birre derivate da fermentazione spontanea prodotte dal Brettanomyces Bruxellensis come la birra lambic del Belgio meridionale. 10. maturazione: - 7 ° per 15 giorni per le birre alte; - 2 ° per 5 mesi per le birre basse. Durante la maturazione si possono sviluppare anche delle fermentazioni secondarie che danno origine, ad esempio, alle birre blanche sei la fermentazione alcolica è associata a quella lattica o le birre alte inglesi se la fermentazione alcolica è associata alla produzione di eteri. 11. pastorizzazione o aggiunta di zymocine, lieviti killer portatori di RNA virali che sintetizzano una tossina ad azione antibiotica che crea pori nella membrana di altri lieviti; 12. aggiunta dello 0,003% di acido ascorbico come antiossidante. FERMENTAZIONE LATTICA La fermentazione lattica permette di convertire gli zuccheri in acido lattico. Viene catalizzata dall’enzima lattico deidrogenasi che è un enzima stereospecifico con 2 isoforme in grado di sintetizzare l’acido L-lattico o D-lattico. I microrganismi solitamente posseggono entrambe le isoforme, tuttavia, il rapporto tra i due stereoisomeri dipende dalle caratteristiche genetiche del batterio e dall'abbondanza con cui questi geni sono espressi. Alcuni batteri producono anche il lattato racemasi che interconverte le due isoforme. La fermentazione lattica viene principalmente ePettuata dai batteri lattici (LAB): non sono in grado di sintetizzare autonomamente l’EME e non hanno catene respiratorie quindi le vie per degradare gli zuccheri sono: - la fermentazione del piruvato in lattato però ha una bassa resa energetica (2 moli di ATP); - ADI pathway o via dell'arginina deaminasi è utilizzata dai LAB per produrre ATP, combattere l'acidificazione intracellulare e produrre substrati per la biosintesi delle pirimidine. In questa via l’arginina viene deaminata a ornitina, producendo CO2, ammoniaca ed energia. A livello di sicurezza alimentare la presenza di batteri in grado di compiere questa via è un rischio perché viene prodotta l'ammoniaca. Quindi se presente in concentrazioni elevate può conferire un sapore amaro al vino. Dall'altro canto, la presenza di arginina può aumentare le proprietà organolettiche del vino perchè riduce l'acidità dovuta allo sviluppo di ammoniaca e l’ornitina ha un ePetto inibitorio sulla crescita di lieviti indesiderati. Tuttavia, l'arginina in concentrazioni elevate può conferire un sapore amaro al vino. - sistemi di simporto antiporto collegati ad acidi e aminoacidi: i batteri lattici possono andare a decarbossilare gli amminoacidi nelle rispettive amine grazie all’enzima decarbossilasi. Le amine biogene generate vengono successivamente estruse nel mezzo extracellulare consentendo un alcalinizzazione. L’antiporto amminoacido/amina e la decarbossilazione dell'amminoacido all'interno della cellula garantisce la generazione di una forza protonmotrice. I geni che codificano per l’antiporto e per la decarbossilasi si trovano sullo stesso operone, quindi vengono regolati assieme: quando c'è un'eccessiva acidità dell'ambiente causato da un accumulo di acido lattico, aumenta la trascrizione dell'operone con l'attivazione catalitica degli enzimi. Le amine biogene possono alterare le proprietà organolettiche degli alimenti e causare danni alla salute: § putrescina e cadaverina rovinano gusto e odore degli alimenti; § la tiramina causa vasocostrizione periferica e aumento della gittata cardiaca. La tiramina deriva dall'aminoacido tirosina, un aminoacido molto abbondante negli animali in quanto è un precursore delle catecolamine come adrenalina, dopamina e noradrenalina. Essendo che i formaggi sono alimenti di origine animali, sono ricchi di tirosina. Se la tirosina venne convertita in tiramina ci sono dei sistemi endogeni che le degradano, in particolare le mono amino ossigenasi vanno a degradare la tiramina in CO2 e acqua, causando dei danni minori come mal di testa. Nei pazienti che invece sono sotto cura di antidepressivi, essendo che questi tengono alti livelli di serotonina ma non sono specifici, tengono alte tutte le amine inibendo le mono amino ossigenasi e causando crisi ipertensive con emorragia cerebrale e morte (CHEESE REACTION). § la beta fenil-etilammina causa emicrania e aumento della pressione sanguigna; § l'istamina causa reazioni allergiche; § il GABA invece ha un ePetto positivo, diuretico, rilassante e tranquillizzante. Viene usato per combattere l'insonnia e la depressione. Tra i batteri lattici troviamo anche batteri patogeni come streptococchi, che producono emolisine, in grado di rompere i globuli rossi da cui sottraggono l’eme. I batteri lattici vengono usati: - come starter per la produzione di yogurt e formaggi; - come agenti di biocontrollo nella conservazione degli alimenti; - nella produzione di sostanze che contribuiscono a dare aroma ad alcuni alimenti. La fermentazione lattica può essere: - OMOLATTICA: ePettuata da streptococchi, lattobacilli e pediococchi. Si produce esclusivamente acido lattico L, D o una miscela. Da 1 mole di glucosio si ottengono 2 moli di acido piruvico e 2 moli di acido lattico. Se si parte dal lattosio si ottengono 4 moli di acido lattico. Questa è solo una resa teorica perché in realtà i batteri lattici possono convertire il diidrossiacetone fosfato in glicerolo se la pressione osmotica è elevata oppure possono indirizzare il fruttosio 6-fosfato nella produzione di esopolisaccaridi per proteggersi da stress. Questa fermentazione non produce gas ed è ePettuata dai batteri probiotici. - ETEROLATTICA: ePettuata da lattobacilli e oenococchi, batteri che non possiedono l'enzima aldolasi e quindi non possono proseguire con la glicolisi ma ePettuano il ciclo dei pentosi fosfati. A partire dal glucosio, questo viene ossidato viene ossidato in acido gluconico. Il carbonio 6 viene decarbossilasi in carbonio 5 che entra nella via fosfochetolasica dove viene scisso in gliceraldeide 3- fosfato (C3) e acetil fosfato (C2): la gliceraldeide 3- fosfato continua la glicolisi; l’acetil fosfato viene convertito in: - acetato se manca ATP; - etanolo se c’è bisogno di riossidare il NADH. Da questa via si ottiene quindi il 50% di acido lattico e il restante 50% è composto da etanolo e CO2. - ACIDO MISTA: è una variante della fermentazione omolattica dove il piruvato viene convertito in acetil fosfato tramite l'enzima piruvato ferredoxina ossidoreduttasi. L’acetil fosfato: § se manca ATP viene convertito defosforilato ad acetato; § se c'è tanto glucosio viene convertito in acetilCoA e successivamente decarbossilato in acetaldeide con l'ossidazione del NADH. - Se i batteri hanno l'enzima piruvato formiato liasi, il piruvato viene scisso in acido formico e acido acetico. L'acido formico può essere a sua volta convertito in H2 e CO2. Tuttavia, quest’enzima lavora solo in assenza di ossigeno, quindi se è presente l'ossigeno il piruvato viene ossidato dalla piruvato deidrogenasi in acetilCoA e CO2. TRASPORTO DEGLI ZUCCHERI Il glucosio può entrare nelle cellule attraverso: - sistema fosfotransferasico: l'enzima fosfoenolpiruvato fosforila il glucosio sul C6 e il glucosio 6-fosfato che entra in glicolisi. Tipico dei batteri omofermentanti; - sistema proteasico: il glucosio tramite un simporto con protoni sfruttando la forza del gradiente protonico. All'interno della cellula viene fosforilato in glucosio 6-fosfato e va in glicolisi. Tipica dei batteri eterofermentanti. Il lattosio è un disaccaride composto da glucosio e galattosio- Può essere scisso: - esternamente dalla beta galattosidasi extracellulare e quindi entrano successivamente glucosio e galattosio con i rispettivi trasportatori; - entra nella cellula con gli stessi trasportatori del glucosio e viene scisso all'interno della cellula dalla beta galattosidasi intracellulare. Il galattosio può entrare nella cellula attraverso: - il sistema fosfotransferasico e fa la via del tagatosio fosfato: tagatosio fosfato viene scisso in gliceraldeide 3-fosfato e diidrossiacetone fosfato, vanno in glicolisi e tramite la via fosfochetolasica viene prodotto acido lattico; - Importato da permeasi: il galattosio viene fosforilato sul C1; il galattosio 1-fosfato viene convertito in glucosio 1-P tramite la via di Leloir; viene poi isomerizzato in glucosio 6-fosfato ed entra così in glicolisi e tramite la via fosfochetolasica viene prodotto acido lattico; L'acido lattico viene successivamente rilasciato in ambiente da simporti sotto forma di lattato e 2 protoni, permettendo alla cellula di creare un gradiente protonico che compensa la scarsa ATP prodotta. FERMENTAZIONE PROPIONICA La fermentazione propionica è tipica dei Propionibacterium, batteri gram +, anaerobi, non sporigeni, non mobili presenti nel rumine degli erbivori o sull'epidermide umana. Questi batteri possono essere usati come cultura starter oppure sono delle popolazioni già presenti sul latte. La fermentazione propionica parte dal lattato prodotto dai LAB. Il lattato viene convertito in piruvato. Parte del piruvato viene convertito in acetilCoA, poi in acetil fosfato e infine in acetato. Un'altra parte segue il pathway del succinato-propionato dove il piruvato viene convertito ossalacetato poi malato poi in fumarato poi in succinato e infine in acido propionico. Il formiato è un accettore di elettroni grazie alla fumarato reduttasi legata alla membrana, e cede gli elettroni per la riossidazione del NADH. Il succinil CoA è il precursore di lisina, metionina e altre tetrapirroli. CASEIFICAZIONE Il latte contiene le particelle colloidali, dette anche micelle di caseina, formate dall'aggregazione di proteine (caseine alfas-1, alfas-2, beta- k) e fosfato di calcio. Queste micelle espongono verso l'esterno le K-caseine. Non tutti i latti possono essere caseificabili poiché devono contenere una quantità suPiciente di caseine. Ad esempio, il latte di asina, il latte di cavalla e il latte umano non sono caseificabili. La caseificazione è un processo che prevede la precipitazione delle caseine e di tutta la componente lipidica del latte. Può essere fatta: - aggiungendo il lactobacillus delbrukey che acidifica il pH; - utilizzando il caglio ovvero una serie di enzimi che fanno precipitare le caseine e la parte lipidica del latte, formando così i formaggi. Il surnatante invece è chiamato siero di latte e contiene lattosio, vitamine, sali minerali, proteine quali albumine, immunoglobuline. Per questi motivi, può essere utilizzato: - per la produzione di ricotta, riscaldandolo a 72 °; - per la produzione di integratori alimentari; - nelle fermentazioni industriali come substrato per i batteri e lieviti. Una volta che è stata ePettuata la caseificazione il formaggio risulta molto compatto, insapore e inodore. Deve quindi essere stagionato. La stagionatura viene ePettuata andando ad aggiungere una serie di microorganismi fermentanti tra cui i batteri lattici e prevede la fermentazione, proteolisi e lipolisi. La fermentazione può essere: - lattica, che converte il lattosio in lattato nel caso della fermentazione omolattica oppure il lattosio in lattato, etanolo e CO2 nel caso dell’eterolattica; - propionica ePettuata dai propionibacterium dove il piruvato viene convertito in propionato, acido acetico e CO2 che conferisce i buchi nel formaggio. La lipolisi serve per dare l'odore al formaggio. Viene ePettuata dalle lipasi microbiche, fungine o da quelle presenti nel caglio. Uno dei sistemi lipolitici più importanti è quello dei penicilli presenti ad esempio nel gorgonzola, nel roquefort, che servono a produrre appunto odori anche molto sgradevoli. Le lipasi vanno ad idrolizzare i trigliceridi in acidi grassi e glicerolo e gli acidi grassi a catena lunga in acidi grassi a catena più corta (C4-C10), quelli responsabili dell'aroma e del gusto del formaggio. In particolare, formaggi di capra e di pecora hanno un odore molto più intenso perché hanno una maggiore percentuale di acidi grassi a corta catena (C6 come caprico). La proteolisi conferisce la cremosità al formaggio, è attuata da batteri (LAB), lieviti e funghi. In particolare, i batteri lattici hanno un processo di proteolisi molto importante perché non essendo in grado di sintetizzare gli aminoacidi ovviano questo problema con delle proteasi extracellulare ancorate alla membrana dette CEPS, le quali scindono le proteine in oligopeptidi di 4-30 aminoacidi che vengono poi trasportati all'interno della cellula tramite trasportatori ABC specifici e idrolizzati in singoli aminoacidi da proteasi intracellulari. Le CEPs sono proteine multidominio con: - un dominio catalitico; - un dominio che favorire la secrezione; - un dominio che favorisce l’ancoraggio alla parete batterica; - altri domini che sembrano implicati nella determinazione della specificità di substrato. Gli ABC trasporters sono formati da una struttura quaternaria composta da: - OppA che lega gli oligopeptidi all’esterno della cellula; - OppB e OppC sono proteine integrali di mamebrana che formano il canale; - OppD e OppF che hanno attività ATPasica. Ci sono oltre anche trasportatori per tripeptidi (Dtp) o dipeptidi (Dpp) che usano come fonte di energia l’ATP o la forza protonmotrice. L'espressione dei geni codificanti tutte queste proteine è regolata: la presenza di aminoacidi ramificati, attraverso il regolatore CodY, inibisce la trascrizione di questi geni. Una volta che gli oligopeptidi sono stati trasportati all'interno della cellula vengono idrolizzati da un insieme di peptidasi con specificità parzialmente sovrapposte: le ammino peptidasi PepN, PepC e PepX. Metà delle peptidasi dei LAB sono metalloenzimi altri sono cisteina o serin proteasi. Anche le peptidasi intracellulari e sistemi proteolitici implicati nel controllo della qualità delle proteine neosintetizzate e nel turnover proteico come ClpP hanno un ruolo importante nel processo di maturazione dei formaggi perché vengono rilasciati nell'ambiente extracellulare in seguito alla morte delle cellule batteriche e possono agire su ccaseinee altre proteine della latte. La proteolisi permette anche di andare a liberare peptidi e aminoacidi che possono essere convertiti in varie molecole (alcol, acidi, aldeidi, esteri) e contribuiscono al gusto finale del formaggio. Alcune volte si può avere l'accumulo di sostanze sgradite come: - amine biogene (putrescina e cadaverina) che vanno guastano le proprietà organolettiche del formaggio e sono anche tossiche per la salute umana; - peptidi idrofobici conferiscono un gusto amaro al formaggio come il cheddar. Le proteasi batteriche sono importanti anche nella generazione di peptidi bioattivi che hanno diverse attività: - vanno a diminuire i livelli di colesterolo nel sangue; - hanno un ePetto antitrombotico perché competono con la catena gamma del fibrinogeno per i recettori delle piastrine; - hanno un ePetto immunomodulatorio perché aumentano la proliferazione e l’attività delle cellule del sistema immunitario; - hanno un ePetto chelante, quindi, aumentano la biodisponibilità dei metalli; - prevengono la perossidazione enzimatica; - hanno un ePetto antimicrobico (lisano la membrana dei procarioti); - hanno un ePetto oppioide perché si legano ai recettori degli oppioidi. NASCITA DELLE VITA SULLA TERRA Per comprendere come è nata la vita sulla terra nel 1955 Miller fece un esperimento: creò una miscela gassosa contenente CH4, NH3, H2 e H2O e inviò delle scariche elettriche in modo da simulare l'attività vulcanica e le radiazioni. Dopo 1 settimana, si osservavano 1 fasi: - fase gassosa conteneva le sostanze iniziali e dei composti di ossidazioni quali CO e CO2; - fase acquosa conteneva HCN, aldeidi e amminoacidi. Questo fa presupporre che le sostanze inorganiche possano evolvere in sostanze organiche, grazie a radiazione e attività vulcanica. Recentemente questo esperimento è stato ripetuto con tecniche più sofisticate e quello che si è visto è che aggiungendo alla miscela iniziale HCN, CO2 si formavano una serie di composti organici, che si pensa abbiano dato luogo alla transizione di molecole inorganiche a molecole organiche. Quindi si ipotizza che inizialmente sulla terra ci fosse un'atmosfera anossica, riducente con CH4, NH3, H2S e che le radiazioni e l’attività vulcanica abbiano prodotto il brodo primordiale con tutta una serie di molecole che si sono poi associate, generando proteine, membrane, acidi nucleici. Il primo evento cruciale è stato la formazione delle membrane biologiche. I lipidi in un ambiente acquoso danno origine a una micella, con le code idrofobiche verso l’interno e le teste polari rivolte verso l’ambiente acquoso. Tuttavia, le due catene di acidi grassi che formano le membrane sono troppo grosse per essere confinate all’interno della micella, quindi si dispongono in un doppio strato con le code idrofobiche verso l’interno e le teste idrofile dei fosfolipidi verso l'esterno. Questa disposizione è resa stabile da forze di Van der Waals tra le code idrofobe e dai legami idrogeno tra le teste idrofile. Queste forze contribuiscono a mantenere stabile la struttura del doppio strato e a separare l'ambiente interno della cellula da quello esterno, creando così una barriera semipermeabile. Le membrane biologiche sono impermeabili a ioni e a molecole polari ma hanno dei canali che permettono la comunicazione con l'esterno quali: - proteine integrali attraversano completamente la membrana e permettono il flusso di molecole attraverso la membrana in entrambi i sensi. Sono ancorate alla membrana con interazioni idrofobiche e per estrarre è necessario un trattamento con detergenti; - proteine periferiche invece sono legate alla superficie citoplasmatica o extracellulare delle proteine integrali, mediante legami idrogeno ed interazioni elettrostatiche. Per estrarle bisogna aumentare la forza ionica. La modalità di trasporto può essere: - trasporto passivo, nel caso delle molecole lipidiche che attraversano liberamente la membrana plasmatica in quanto sono compatibili con il doppio strato fosfolipidico. Lo stesso vale per l'acqua e i gas; - trasporto contro gradiente avviene appunto contro gradiente di membrana e quindi necessità di energia. Prevede quindi una proteina trasportatrice accoppiata ad una proteina che scinde l’ATP. Nei batteri non è necessaria la scissione dell’ATP per far funzionare il trasportatore in quanto essi sfruttano il gradiente protonico sulla membrana per generare energia; - trasporto facilitato prevede dei canali che presentano all'interno dei gruppi carichi positivamente o negativamente permettendo il passaggio di molecole polari. Funziona secondo gradiente, tuttavia è un sistema poco ePicace perché permette di recuperare solo poche molecole. Il secondo evento cruciale è stata capacità di riprodursi. L'elemento chiave è il DNA che può replicarsi a dare origine a nuove cellule. Tuttavia, il DNA non si può duplicare senza le proteine e le proteine non possono essere sintetizzate senza DNA. Questo faceva presupporre l'esistenza di una molecola intermedia tra le due, infatti, venne scoperto l’RNA, in particolare 2 forme diverse: l’mRNA che fungeva da stampo e altri RNA capaci di assemblare gli amminoacidi formando le proteine. Il terzo evento cruciale è stata la respirazione. Inizialmente, dato l'ambiente riducente, i microrganismi avevano un metabolismo fermentativo, che non generava molta energia (2 moli di ATP). Una tappa fondamentale è stata l’acquisizione della respirazione, dapprima anaerobia e in seguito aerobia, con la comparsa dei cianobatteri, in grado di ePettuare la fotosintesi e quindi di produrre ossigeno. La presenza di ossigeno ha costretto i batteri a passare ad un metabolismo aerobico, più vantaggioso dal punto di vista energetico. Margulis studiando i mitocondri e i batteri osservò delle analogie: - i batteri Gram - avevano la membrana esterna così come i mitocondri avevano la membrana mitocondriale esterna; - la respirazione dei batteri avveniva sulla membrana citoplasmatica e quella mitocondriale avveniva sulla membrana citoplasmatica; - gli antibiotici agivano oltre che sul batterio anche sui mitocondri. Quindi una delle ipotesi è che i batteri siano stati fagocitati da cellule ancestrali e siano poi diventati mitocondri. Sul perché il batterio sia stato fagocitato ma non degradato ci sono 2 teorie: secondo la prima teoria la cellula fagocitante era deficitaria delle capacità litiche mentre l'altra teoria sosteneva che la cellula fagocitata si trovava bene nell'ambiente protetto della cellula fagocitante quindi abbia generato delle sostanze che respingenti la degradazione. La cellula fagocitante forniva nutrienti alla cellula fagocitata la quale li convertiva in energia. Si era quindi instaurata una simbiosi. Quindi secondo questa teoria ci sono: - urcarioti: senza mitocondri, a metabolismo fermentativo; - procarioti; - eucarioti. Nell’ordine sono comparsi batteri, Archea e eucarioti. Gli Archea sono molto resistenti perché hanno delle membrane che non hanno lipidi come esteri del glicerolo ma hanno eteri, che sono diPicili da rompere. Archea sono termofili, alofili, acidofili. I VIRUS possono essere a DNA, a RNA, a singolo o doppio filamento, possono essere nudi o avere il pericapside che il protegge. I POX sono i più evoluti con DNA a doppio elica con il capside e il pericapside. Sulla nascita dei virus ci sono varie ipotesi: - virus si sono formati prima delle cellule e sono fossili viventi che hanno mantenuto vitalità; - involuzione dei batteri; - si generano dalla morte di altri organismi. I FAGI sono virus che infettano i batteri. Permettono gli scambi di materiale genetico. I PRIONI sono proteine anomale con una conformazione ripiegata in modo diverso, che le rende insolubili e resistenti alla degradazione. Quando una proteina prionica entra in contatto con una proteina normale, quest'ultima tende a cambiare la sua forma, trasformandosi a sua volta in una proteina prionica. Questo processo di "ripiegamento anomalo" si propaga come una reazione a catena, portando alla formazione di aggregati proteici tossici che danneggiano i tessuti, in particolare quelli cerebrali. Nella malattia della "mucca pazza", gli animali infetti sviluppano cambiamenti cerebrali che li portano a comportamenti strani, come tremori e diPicoltà motorie. RAPPORTI TRA I MICRORGANISMI I rapporti tra i microrganismi possono essere di: - antagonismo: c'è competizione tra i microrganismi per la colonizzazione di un sito; - indiNerenza: si tratta di due microrganismi che non si incontrano mai come batteri dell'intestino umano e batteri che vivono nei fondali marini; - cooperazione: i microrganismi possono cooperare tra di loro tramite diversi meccanismi. Per quanto riguarda la COOPERAZIONE abbiamo: - le CATENE SINTROFICHE: sono catene verticali in cui un primo microrganismo utilizza un substrato e scarta un prodotto che viene utilizzato come substrato da un secondo microrganismo e così via; - il BIOFILM: è una comunità batterica che ha colonizzato un sito e ha autoprodotto una matrice extracellulare composta per l’80% da esopolisaccaridi e poi da acidi nucleici, proteine e ioni. Quando un batterio singolo, detto cellula planctonica, trova una superficie, si attacca alla superficie, la colonizza, si riproduce e forma una colonia. Il batterio arriva e dà un'adesione reversibile mediata da forze deboli quali forze di Van der Waals o di coulomb. Dopodiché si instaura un'adesione irreversibile mediata da adesine specifiche o polisaccaridiche e infine si instaurano queste forze di congregazione e coesione per cui i batteri si attirano a vicenda. Il biofilm è formato da specie diPerenti e le cellule non si dispongono all'interno della struttura in maniera casuale ma seguono un ordine ben preciso: - verso l'esterno del biofilm troviamo i batteri aerobi, che sono i più evoluti e i più ePicienti in quanto hanno la catena respiratoria che genera 38 ATP. Questi batteri possiedono i flagelli quindi quando il biofilm diventerà vecchio e morirà, il batterio tramite questi flagelli si stacca, torna monocellulare e può colonizzare un altro sito; - nella parte più interna ci sono le sacrificial cells, batteri anaerobi che producono delle caspasi, enzimi che le indirizzano all'apoptosi. Quando queste muoiono lasciano il materiale biologico a disposizione della comunità; - le cellule persisters sono la popolazione intermedia, si tratta di batteri aerobi o anaerobi facoltativi che rimangono in un'eterna fase stazionaria e rigenereranno il biofilm. La formazione del biofilm è regolata dal QUORUM SENSING, un sistema complesso di comunicazione tra batteri attraverso dei segnali di trasduzione, dei sensori e delle molecole chimiche. In particolare, i batteri comunicano attraverso delle molecole che nei Gram + sono peptidi o aminoacidi e nei Gram - sono acil omoserina lattoni, derivati da acidi grassi. Questi batteri emettono queste molecole nell'ambiente esterno e quando la quantità di queste molecole supera una certa soglia detta quorum, interagiscono con il recettore specifico a posto a livello della membrana. Questo determina cambiamenti coordinati nell’espressione di geni specifici responsabili della produzione di biofilm, fattori di virulenza, antibiotici o trasferimento di materiale genetico nel processo di trasformazione o coniugazione. Un esempio di quorum sensing nei Gram - avviene tramite le acil omoserina lattoni, che quando raggiungono una certa soglia legano i recettori LuxI/R attivando o in reprimendo l'espressione di geni che controllano la produzione di tossine, antibiotici e pigmenti. Nei Gram + invece, quando i peptidi rilasciati superano una certa soglia vengono rilevati da recettori specifici che regolano l’espressione di geni coinvolti nella virulenza, nella produzione di biofilm e di batteriocine. Un meccanismo opposto è rappresentato dal quorum quenching che va ad interferire la comunicazione cellula-cellula tra batteri, ad esempio quando disinfettanti antibiotici risultano inePicaci a causa della resistenza batterica a tali agenti. - la RICOMBINAZIONE GENICA: La coniugazione è il meccanismo attraverso cui i batteri scambiano i plasmidi. I batteri Gram - producono il pilo F, attraverso cui questi plasmidi vengono scambiati. In particolare, il batterio donatore prima duplica il plasmide dopodiché tramite il pilo F lo trasferisce ad un batterio ricevente. Nei batteri Gram + invece non è necessario il pilo F ma essi producono dei ferormoni che le attraggono, le fanno avvicinare ed entrano in contatto. Questo meccanismo è coinvolto nel passaggio della resistenza agli antibiotici, ai metalli pesanti e ai disinfettanti. La trasduzione avviene quando un fago infetta un batterio e può seguire 2 vie: 1. ciclo litico: il fago entra nel batterio e usa i meccanismi del batterio per produrre le sue proteine, replicarsi e infine lisare la cellula e infettarne altre; 2. nel ciclo lisogenico invece il DNA del fago si integra nel DNA batterico quindi mentre la cellula si riproduce, duplica sia il suo DNA che quello fagico; quindi, quando poi entrerà nel ciclo litico, il fago trasporterà anche il DNA batterico e quindi quando andrà ad infettare un altro batterio, se è un gene integro, darà a questo batterio ricevente nuove capacità. vescicole: i batteri possono rilasciare delle vescicole che fungono da trasportatori per diverse molecole. Queste vescicole si fondono con un'altra cellula e le rilasciano ciò che hanno all'interno. Per quanto riguarda l’ANTAGONISMO abbiamo: - Esclusione: riguarda la competizione per lo spazio in quanto il primo batterio che arriva su un sito e lo colonizza impedisce agli altri batteri di colonizzare quella superficie; - Competizione: due specie batteriche raggiungono un sito che viene colonizzato dalla specie che si riproduce più velocemente; - Coaggregazione: alcuni batteri circondano i batteri patogeni impedendogli l'adesione o inattivandoli; - Spiazzamento: c'è già una popolazione residente in un sito ma arriva un'altra popolazione che la spiazza, ad esempio nel caso di infezione intestinale dove i probiotici spiazzano i patogeni; - Competizione nutrizionale: avviene tra specie che hanno le stesse esigenze nutrizionali, nella nicchia ecologica prenderà il sopravvento la specie che si riproduce più velocemente. Un'altra forma di antagonismo consiste nella produzione da parte di batteri di molecole difensive come: - enzimi litici come il lisozima che va a lisare la parete batterica di altri batteri; - esotossine; - antibiotici; - batteriocine; - metaboliti come l'etanolo che è tossico per alcuni batteri. METABOLISMO Le vie anaboliche sono vie di biosintesi: si parte da substrati semplici per ottenere molecole complesse quali enzimi, proteine, polisaccaridi, acidi nucleici, lipidi ma anche pigmenti, ad esempio, le Serratie producono la prodigiosina, un pigmento rosso, che agisce come antitumorale, Pseudomonas aeruginosa, produce la tiocianina e la fluorescina che hanno ePetti antimicrobici. L’energia del prodotto generato è maggiore rispetto all'energia dei substrati e il DELTAG è positivo. Queste vie richiedono energia. Le vie cataboliche partono da substrati complessi che vengono ossidati per produrre energia. L'energia del prodotto è minore dell'energia di substrati, il DELTAG è negativo. Si tratta di una reazione esoergonica perché libera energia. Queste reazioni sono convergenti perché si parte da molecole diversificate che convergono nella molecola carboniosa più piccola, l’acido acetico. Tramite queste vie cataboliche vengono ricavati gli elettroni che vengono caricati su molecole come NAD e FAD, che si riducono in NADH e FADH2 e tramite la catena respiratoria permettono di produrre energia. CLASSIFICAZIONE DEI BATTERI Classificazione in base al rapporto con l’ossigeno: Aerobi stretti: non possono vivere a lungo in assenza di ossigeno perché tutti i sistemi di respirazione cellulare hanno bisogno di ossigeno. Anaerobi stretti: si sono evoluti sulla terra prima della comparsa dell’ossigeno e non hanno i sistemi enzimatici per proteggersi dalla tossicità dell’ossigeno (la catalasi, la perossidasi e il superossido dismutasi). I batteri anaerobi sono estremamente sensibili alla presenza di ossigeno, se c’è hanno la perossidazione di membrana e muoiono. I più anaerobi sono i metanogeni che tollerano 0.00001 di ossigeno e muoiono. Anaerobi/aerobi facoltativi: possono vivere sia in presenza di ossigeno sia senza. Quando c’è l’ossigeno respirano; quando non c’è l’ossigeno o passano alla respirazione anaerobia (come fa lo Pseudomonas, che in caso può respirate con i nitrati) o fermentano. Possiedono gli enzimi superossido dismutasi e catalasi. Classificazione in base al rapporto con la temperatura: Mesofili: vivono tra i 20-38°C e sono la maggior parte dei batteri. Psicrofili o criofili: sono batteri che vivono a basse temperature +5/6°C. Gli psicrofili hanno acidi grassi insaturi perché la membrana a basse temperature tende a irrigidirsi e i doppi legami la rendono più fluida. Termofili: vivono ad alte temperature, dai 37°C in poi. Ci sono quelli moderatamente termofili, che vivono a 45°C (come i metanogeni), ma anche quelli che possono lavorare a 95/100°C (vivono in geyser o solfatare). I termofili hanno degli acidi grassi saturi nelle membrane per renderli resistenti al calore. Classificazione batteri e pH: Acidofili: Archea che vivono a pH 1.5. Alcalofili: sono molto rari, tra questi troviamo Vibrio cholerae e i metanogeni. Neutrofili: vivono a pH 7 e la maggior parte dei patogeni è in questa categoria. Classificazione batteri in base ai nutrienti: Autotrofi: come le piante, usano sia azoto sia carbonio inorganico. Possono essere: o Fototrofi: chi fa la fotosintesi, che a sua volta può essere clorofilliana (ciclica o lineare) e non clorofilliana (con la rodoxina). o Chemiolitotrofi: come, per esempio, i metanogeni che partono da CO2 e producono CH4 senza usare la luce. Eterotrofi: usano carbonio e azoto organico. Oltre a carbonio, ossigeno e idrogeno, gli eterotrofi hanno bisogno di altri microelementi fondamentali nella loro dieta, da introdurre nel mezzo di coltura quali zolfo, fosforo, ferro che è cruciale perché fa parte dell’eme, perché costituisce i citocromi per la respirazione, due metalli alcalino terrosi (magnesio e calcio) e i due metalli alcalini (sodio e fosforo). Prototrofi: usano carbonio organico e azoto inorganico. Mesotrofi: usano carbonio inorganico e azoto organico. Ipotrofi: non hanno nessun metabolismo (i virus). REGOLAZIONE La regolazione di tutte le reazioni che avvengono nei batteri può essere: - regolazione a lungo termine riguarda la biosintesi e può avvenire: o a livello di trascrizione andando ad inibire o sovra esprimere un gene. Nei batteri la maggior parte dei geni sono inducibili quindi vengono attivati solo quando è necessario e questo permette di risparmiare energia. Questo meccanismo di controllo della trascrizione prevede quindi un gene per la sintesi, un gene promotore a cui si lega la polimerasi e un gene repressore che va a produrre il repressore. Questo controllo è molto lento ma permette di risparmiare energia, proteine e mRNA. Ad esempio, esiste l’attivazione da prodotto come nel caso dei geni che codificano per la beta galattosidasi che normalmente sono inattivati poiché il repressore lega il promotore e quindi inibisce la trascrizione di questo gene. Tuttavia, in presenza di lattosio, questo lega il repressore che verrà staccato, staccandolo via dal promotore e il gene può essere trascritto. Dall'altra parte, esiste anche la repressione da prodotto, dove un gene che è normalmente attivo viene bloccato per evitare una sovrapproduzione di certi enzimi. Un esempio è la regolazione dell'enzima della glicolisi glucosio-1,6-bifosfato aldolasi, che se mantenuto attivo troppo a lungo può causare un eccesso di metaboliti. o a livello di traduzione quindi dell’RNA. La temperatura, la fase di crescita della cellula, la disponibilità di ossigeno e il rapporto carbonio-azoto influenzano quanto tempo un mRNA rimane stabile prima di essere degradato. La presenza di code di poli-A, che rende l'mRNA più suscettibile alla degradazione. Quando non è necessario continuare a produrre una proteina, l'mRNA che la codifica può essere degradato tramite endo o esonucleasi. Questo processo è rapido ma costoso in termini di energia, poiché richiede l'uso di risorse per produrre l'mRNA e poi eliminarlo. In alternativa, se la proteina è già stata prodotta, la sua distruzione avviene tramite proteasi. Se una proteina non viene smaltita abbastanza rapidamente, può accumularsi e influenzare negativamente la sintesi di altre proteine. Ad esempio, se l'enzima 1 produce un prodotto che non può essere eliminato velocemente abbastanza, l'enzima 2 può segnalare alla cellula di ridurre la produzione di enzima 1. Questo meccanismo di feedback negativo può agire sia sull'mRNA che sulla proteina stessa. ENicienza della traduzione: Non tutti gli mRNA sono tradotti con la stessa ePicienza. Alcuni messaggeri sono tradotti in poche proteine, mentre altri sono molto ePicienti. MicroRNA (miRNA) non codificanti possono regolare negativamente l'espressione genica, interferendo con la traduzione dell'mRNA o inducendo la sua degradazione. I codoni sull'mRNA determinano quale amminoacido verrà aggiunto alla catena proteica. La degenerazione dei codoni significa che uno stesso amminoacido può essere codificato da più codoni, ma ogni specie ha codoni specifici per determinati amminoacidi. Quando si trasferisce un gene da una specie a un'altra (ad esempio, da Escherichia coli a Clostridium), le diPerenze nei codoni usati per tradurre la stessa proteina possono rendere diPicile la traduzione corretta se i tRNA della nuova specie non sono compatibili. a livello della traduzione: la durata della vita della proteina è determinata dalla regola dell’N-terminale secondo cui le proteine che hanno un N-terminale che contiene: metionina, serina, alanina, treonina, valina e glicina hanno una vita media superiore alle 20 ore; fenilalanina, leucina, aspartato, lisina, arginina hanno una vita di 3 minuti; dominio PEST che contiene prolina, glutammato, serina e treonina sono degradate più velocemente dalle altre. Le proteine che devono essere degradate vengono fosforilate: zione: le chaperonine le riconoscono come vecchie e le degradano. Tuttavia, poichè il processo di degradazione delle proteine è svantaggioso energeticamente, si ePettua la delocalizzazione. le proteine con il dominio PEST vengono glicosilate: l’aggiunta del glucosio, che nei batteri è un segnale di esportazione, fa sì che la proteina venga trasportata all'esterno della cellula. Queste proteine traslocate all'esterno della cellula sono dette moonlight proteins e due esempi sono la piruvato chinasi e la gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi. Non possono rientrare. un altro modo per delocalizzare le proteine è mandarle verso la membrana: in questo caso la proteina viene liposilata, ovvero si aggiungono dei lipidi che rendono così compatibile con la membrana. Possono rientrare. - regolazione a breve termine riguarda la catalisi enzimatica. I metodi principali per regolare l'attività enzimatica includono: o Attivazione proteolitica: alcuni enzimi sono inizialmente inattivi e vengono attivati tramite proteolisi. Un esempio è l'enzima digestivo, che non deve essere sempre attivo ma solo quando necessario. o Subunità regolatorie: alcuni enzimi, come quelli coinvolti nella sintesi delle melanine, hanno subunità regolatorie che modulano la loro attività. Se la subunità regolatoria è presente, la catalisi è lenta, altrimenti l'attività aumenta. o ENetti isosterici e allosterici: la regolazione allosterica avviene quando l'enzima è inibito o attivato da diverse molecole. In questo caso bisogna valutare la cinetica enzimatica ovvero quella di Michaelis e Menten con una velocità massima che arriva ad avere una curva sigmoide parabolica. I parametri importanti per ogni enzima sono: § la costante di Michaelis Menten che ci dice l'aPinità dell'enzima per il substrato: se questa è bassa l'enzima si satura con poco substrato o viceversa; § la costante catalitica è la capacità di catalisi ovvero il numero massimo di molecole convertite nell'unità di tempo, è indirettamente correlata alla velocità di dissociazione; § la velocità massima; § la costante di inibizione. Esistono tre tipologie di inibizione: 1. competitiva: è quella più comune, l'enzima ha un solo sito catalitico e substrato e inibitore competono per il legame. Rappresentata come due rette che si incrociano nell'asse y; 2. non competitiva avviene quando l'enzima ha un sito catalitico e una parte adiacente in cui si può posizionare l'inibitore. Se l'inibitore si lega, la catalisi viene perturbata. Rappresentata come due rette che si incrociano nell'asse X; 3. acompetitiva: c'è un altro sito di legame dell'inibitore lontano dal sito catalitico. Quando l'inibitore si lega a questo sito di legame, induce un cambiamento conformazionale dell'enzima, il sito catalitico non riesce a far entrare il substrato. Rappresentata come due parallele che non si incontrano. CICLO DELLO ZOLFO OSSIDAZIONE Gli aminoacidi solforati come metionina e cisteina possono essere privati del gruppo solfidrilico. Quando questo gruppo viene distaccato dall’aminoacido diventa acido solfidrico (H2S) che è la forma più ridotta. I batteri possono utilizzarlo come forma energetica: lo ossidano a zolfo elementare, a solfito e solfato. Questo produce energia. RIDUZIONE I batteri anaerobi invece riducono il solfato in solfato e infine a zolfo elementare. VIA ASSIMILATIVA Non si tratta di una via respiratoria perché lo scopo è produrre il gruppo tiolico che verrà inserito nell’amminoacido. Parte dai solfati, l’ATP si divide in adenosil monofosfato e pirofosfato per formare adenilsolfato. Viene consumata altra ATP per fosforilarlo in 3- fosfoadenililsolfato. Si consuma NADPH per produrre solfito che consuma ancora 3 moli di NADPH per produrre all’acido solfidrico. VIA DISSIMILATIVA In un ambiente anaerobico, i batteri solfato-riduttori i riducono il solfato (SO₄²⁻) a solfuro (SO₂⁻) che può reagire con altre molecole, come il protone (H⁺), per formare acido solfidrico (H₂S). CICLO DEL FERRO Il ferro esiste in due forme: ossidato (Fe3+) e ridotta (Fe2+). In aerobiosi il ferro viene ossidato (da 2+ a 3+). In aerobiosi il ferro viene ridotto (da 3+ a 2+). SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE Le green technologies hanno come obiettivo quello di: - identificare le zone inquinate e rimuovere gli inquinanti quali i metalli pesanti, pesticidi e fenoli: metalli pesanti sono tossici per il nostro organismo e includono cadmio, cromo, arsenico piombo mercurio. In realtà ogni elemento chimico ha una sua tossicità che dipende dalla concentrazione, tuttavia, i metalli tossici lo sono a bassissime concentrazioni. Cadmio e cromo, in particolare, sono rilasciati abbondantemente in biosfera perché molto utilizzati nella verniciatura delle macchine; pesticidi sono sostanze aromatiche, utilizzate in agricoltura per aumentare le rese; tuttavia, sono molto persistenti e recalcitranti alla biodegradazione. Tra i pesticidi abbiamo i fungicidi, gli insetticidi e gli erbicidi. fenoli sono sostanze aromatiche e lo sono molti diserbanti e pesticidi (pentaclorofenoli o tetraclorofenoli) - biorisanamento ha come scopo principale quello di ripulire le zone inquinate dai metalli pesanti utilizzando microrganismi in grado di catturare questi metalli e trasformarli in sostanze non inquinanti; - bioconversioni si basano sempre sull'utilizzo di microrganismi in grado di convertire uno scarto in molecole a basso impatto tecnologico come bioenergie, bioplastiche, biotensioattivi, molecole farmacologicamente ecofriendly e bioispessenti. Per rilevare gli inquinanti si possono utilizzare i sistemi enzimatici, in particolare enzimi immobilizzati su supporti. In natura gli enzimi esistono in 2 stati: - in soluzione, come gli enzimi digestivi riversati nell'intestino; - enzimi immobilizzati come le ATPasi di membrana che sono immobilizzate sulle membrane biologiche. Gli enzimi in soluzione hanno lo svantaggio di poter essere denaturati a causa della luce o dello stress ossidativo; quindi, una soluzione può essere quella di immobilizzarli. Tuttavia, non è detto che mantengano le stesse caratteristiche fisiologiche presentate in soluzione. Per vedere se il sistema immobilizzato funziona bisogna calcolare: - la costante di Michaelis Menten la ovvero l'aPinità dell'enzima per il substrato; - la velocità massima di reazione; - il pH e la temperatura ottimale. Solitamente l'immobilizzazione migliora le prestazioni dell'enzima e porta diversi vantaggi: - possibilità di operare a pH diversi da quello ottimale; - facilità di separare il prodotto di reazione dall'enzima; - possibilità di riutilizzare l’enzima; - possibilità di utilizzare sistemi multienzimatici per catalizzare reazioni sequenziali; - ridotta inattivazione dovuta a cambiamenti conformazionali; - possibilità di avere Km più basse agendo facilmente sul microambiente della matrice. Tuttavia, è importante che l'immobilizzazione non sia troppa rigida altrimenti l'enzima non può più ePettuare la catalisi. Gli enzimi immobilizzati vengono usati principalmente in: - industria farmaceutica e cosmetica; - industria alimentare ad esempio per: o aumentare il valore nutrizionale degli alimenti; o produrre gli aromi; o diminuire il contenuto lipidico dei cibi. Poiché durante il processo di mobilizzazione il legame tra enzima e supporto può avvenire a livello del sito catalitico è importante proteggere questo sito catalitico aggiungendo: - analogo del substrato; - abbondanza del substrato naturale. Gli enzimi immobilizzati sono classificati in base al metodo di legame in: - enzimi adsorbiti; - enzimi legati covalentemente; - enzimi intrappolati. L'adsorbimento è il metodo più facile, veloce ed economico; tuttavia, c'è il rischio di eluire l'enzima poiché l'immobilizzazione avviene attraverso la formazione di interazioni deboli. Il supporto organico o inorganico viene incubato con l'enzima a pH, temperatura e forza ionica specifica, dopo essere stati lavati in un tampone e lasciati asciugare. In questo modo l'enzima viene assorbito, tuttavia, poiché il legame è debole si possono utilizzare: 1. metalli di transizione, che vengono interposti tra l'enzima e il supporto. Questi metalli di transizione agiscono da chelanti tra la proteina e il supporto. Hanno gli orbitali D vuoti che possono dare legami dativi, che sono più corti dei legami ionici; 2. se l’enzima è una glicoproteina, la parte glucidica della proteina si lega al supporto mediante le lectine adese al sefarosio. Le lectine sono proteine specifiche per determinati zuccheri, riconoscono i polisaccaridi presenti sulle membrane cellulari e danno un legame più forte rispetto a quello che avviene per semplice assorbimento; 3. se l'enzima è una lipoproteina si instaurano delle interazioni idrofobiche tra la parte lipidica dell'enzima e il dominio idrofobico del supporto, che contiene aminoacidi aromatici come tirosina, isoleucina e triptofano. Le lipoproteine si trovano in membrana, quindi, sono quelle più facili da immobilizzare e l'utilizzo dell'assorbimento mediato dalle interazioni idrofobiche dà: - rese alte: 30 milligrammi di enzima per mL di supporto; - stabilità di pH tra 4 e 11; - stabilità di concentrazione tra 5 mM e 2 M. Per separare l'enzima dal supporto si possono utilizzare di detergenti come l’SDS o il Triton; tuttavia, la concentrazione del detergente non deve essere eccessiva altrimenti si denatura la proteina; 4. utilizzo di reagenti bifunzionali come la glutaraldeide che va a legarsi covalentemente all'enzima sugli ammino gruppi e sulle ammine primarie del supporto (collagene e chitina). La scelta tra semplice assorbimento o interazione covalente mediata dipende dalla scelta dell'enzima: - se il processo industriale richiede di ripetere molte volte l'operazione si usa l'interazione covalente mediata; - se si tratta di un trattamento breve si usa il semplice ad adsorbimento. INTRAPPOLAMENTO L'immobilizzazione per intrappolamento consiste nell'immobilizzare l'enzima nelle maglie di un reticolo. La matrice è sempre organica ed è una rete tridimensionale. Per creare questa rete si utilizzano dei polimeri naturali come l'agar o l’alginato o polimeri sintetici come la poliacrilammide. Il limite di questa immobilizzazione sta nella corrispondenza non sempre perfetta tra le maglie del reticolo, l'enzima e il substrato. Quello che bisogna considerare è che: - l'enzima deve muoversi liberamente all'interno del reticolo; - le maglie devono essere suPicientemente grandi da permettere l'accessibilità al substrato e la sua diPusione; - maglie devono essere suPicientemente strette da non fare eluire l'enzima. Questa tecnica, quindi, va bene per quegli enzimi che hanno dei substrati piccoli. Un esempio di polimero naturale che può essere utilizzato per creare questo reticolo è l'alginato, che viene mescolato con l'enzima in un becher e si fa cadere questa soluzione in un tampone contenente ioni calcio. Questi ioni calcio si complessato con i gruppi carbossilici delle catene polisaccaridiche dell'alginato formando la rete. Tra i polimeri sintetici troviamo l'acrilamide, tuttavia questa è tossica per gli enzimi, quindi, viene polimerizzata a poliacrilamide, che però non permette l’ingresso dell’enzima nel reticolo. Quindi, si è osservato che bisogna inserire l'enzima durante la fase di prepolimerizzazione, in modo che si formino le catene di poliacrilammide ma queste non siano reticolate. A questo punto si aggiunge l'enzima e infine si ePettua la polimerizzazione con cross linking. In questo modo si ottiene questa rete con all'interno l’enzima. La copolimerizzazione è una variante dell'inclusione poco utilizzata, che prevede la formazione di legami covalenti. Si crea questa rete tridimensionale in cui l'enzima vi è legato mediante legami covalenti. Il vantaggio è la stabilità ad alte temperature e la conservabilità per tempi lunghi. Una variante dell'intrappolamento sono le micelle inverse. Quando un lipide viene inserito in un ambiente acquoso si formano le micelle con le code idrofobiche verso l'interno e le teste idrofiliche verso l'esterno, a contatto con l'ambiente acquoso. Tuttavia, quando ad esempio si deve degradare il petrolio, si devono utilizzare degli enzimi in grado di lavorare in ambiente idrofobico; quindi, si creano delle micelle inverse in cui le teste idrofiliche sono rivolte verso l'interno e le code idrofobiche sono all'esterno. In questo modo si garantisce l'accessibilità a substrati disciolti in solventi organici. I liposomi sono delle vere e proprie membrane biologiche artificiali costituite dall'aggregazione di fosfolipidi, organizzati in strutture concentriche chiuse. Questi liposomi si formano mescolando fosfatidilcolina, fosfatidilserina e altri fosfolipidi in fase organica, con una fase acquosa contenente l’enzima, in presenza di un detergente. EPettuando dei cicli di sonicazione, queste micelle diventano bilayer. Al termine del trattamento i liposomi possono essere: - monolamellari: hanno uno strato bimolecolare concentrico; - multi-lamellari hanno strati bimolecolari concentrici alternati con compartimenti acquosi; - vescicole hanno pochi strati bimolecolari. I liposomi possono essere distinti tra di loro in base alla carica e questo influenza la loro permeabilità. Sono permeabili a: - acqua; - ioni; - non elettroliti. Non sono permeabili ai cationi: per renderli permeabili ai cationi devono essere addizionati gli ionofori, trasportatori dei cationi, come valinomicina o nigerina. I liposomi vengono usati: - in cosmetica per veicolare acqua e collagene; - in farmacologia per veicolare molecole terapeutiche in quanto possono ospitare nella porzione acquosa il farmaco e fondendosi poi con la membrana citoplasmatica delle cellule, lo rilasciano al loro interno. Le microcapsule sono delle varianti di liposomi che possono essere iniettate nel corpo durante una terapia enzimatica. La sede di inserimento è sottocutanea o intraperitoneale dove rilasciano il principio attivo gradualmente. Gli enzimi possono essere anche incorporati in fibre, strutture compatte e stabili nel tempo, con alti livelli di attività e stabilità operativa: si emulsiona una fase acquosa contenente l'enzima con un solvente organico contenente il polimero (il triacetato di cellulosa) che formerà le fibre. Si fa passare questa emulsione all'interno di un foro di piccolo diametro in un precipitante liquido (il toluene) e si raccolgono le fibre formate. Il solvente organico si elimina sottovuoto e nelle fibre sarà immobilizzato l'enzima. L'immobilizzazione covalente è la più costosa ma la più ePicace. I legami covalenti possono avvenire su: - C-terminale ; - N-terminale; - glutammato, asparagina, lisina, istidina e cisteina esposti sulle catene laterali. I metodi più utilizzati dell'immobilizzazione covalente sono: 1. L'attivazione dell’agarosio mediante il bromuro di cianogeno. L’agarosio è un polisaccaride estratto dalle alghe ed è la componente principale dell'agar. Le catene sono avvolte a doppia elica e stabilizzate da ponti idrogeno. Per renderlo più reattivo verso i gruppi nucleofili dell'enzima può essere addizionato il bromuro di cianogeno che reagisce con i gruppi ossidrili dell’agarosio formando i cianuri, strutture molto reattive che interagiscono con gli ammino gruppi delle proteine formando un derivato dell’isourea. L’attivazione dell’agarosio avviene in presenza di una base forte come KOH o NaOH che aumenta la nucleofilia della resina ma il pH viene comunque mantenuto costante mediante o un mezzo tamponato o l'aggiunta di una base meno forte, il trietilenamina, per evitare la denaturazione della proteina. 2. L'attivazione dell’agarosio con acili e Carbodiimidi: all’agarosio vengono aggiunti dei bracci spaziatori (acili) che sono catene idrocarburiche come acidi grassi, 6- diaminoesano e acido aminocaproico, i quali fanno sì che la proteina immobilizzata non sia adesa al supporto ma abbia libertà di movimento. Per far sì che i gruppi carbossilici reattivi dei bracci spaziatori si leghino alla proteina da immobilizzare bisogna attivarli con la carbodiimmide. Il processo si può ePettuare su supporti naturali (agar) o su supporti sintetici (poliacrilici o polietilenici). i sono 2 metodoi: - il metodo sequenziale è il più utilizzato e prevede prima il trattamento con un acido forte e successivamente con una base forte; - nel metodo simultaneo, contemporaneamente supporto, enzima e carbodiimmide vengono messi insieme. A pH 4.8 avviene una reazione tra il carbodiimmide e il carbossile del braccio spaziatore. A questo punto si aggiunge la proteina che espone l'ammino gruppo e portando il pH a 7.4 per 16 ore il braccio spaziatore si lega alla proteina. Confrontando i vari metodi di immobilizzazione. - l'adsorbimento è la tecnica più facile, più economica, più veloce ma c'è il rischio di eluizione dell’enzima; - l'intrappolamento permette la massima flessibilità dell'enzima ma a c'è il rischio di eluizione, di diPusione del substrato e non può essere usato con enzimi che hanno dei substrati grandi; - l'immobilizzazione covalente è la più ePiciente ma è anche la più costosa e la più complicata da realizzare. Esempi di enzimi immobilizzati sono: - glucosio isomerasi e invertasi che sono in grado di interconvertire la forma D ed L degli aminoacidi. Vengono immobilizzati sulla chitina, derivata dell'esoscheletro dei crostacei, la quale appunto ha una struttura porosa e assorbe grande quantità di enzima: 1 gr di chietina +2 ml di soluzione acquosa contenente l'enzima vengono mescolati per 1 ora a 25 ° e poi per 12 ore a 4 °. Successivamente si lava e si ottiene così l'immobilizzazione; - pectinasi, usata per illimpidire i succhi di frutta liberandoli dalle pectine e l’inulinasi usata industrialmente per ricavare il fruttosio dall'inulina, sono immobilizzati su chitina mediante attivazione con glutaraldeide (interazione covalente mediata). BIOSENSORI I biosensori sono delle molecole utilizzate per rilevare la presenza di agenti inquinanti in acqua. Per depurare l’acqua, questa viene portata in un depuratore, che contiene fanghi attivi e batteri che ePettuano dei processi aerobici e convertono la sostanza organica in CO2 e acqua e il residuo viene messo a fermentare anaerobicamente per produrre ad esempio metano. Al termine di questo processo l’acqua viene considerata batteriologicamente abbastanza pura, viene rilasciata nel fiume, non ha più un grosso carico organico ma non è potabile. L’acqua per essere potabilizzata deve essere microbiologicamente sterile e deve subire trattamenti particolari. La potabilizzazione dell’acqua ha un costo elevato e ci sono diversi parametri che devono essere tenuti in considerazione: - Concentrazione di fenoli; - Solventi organici aromatici (toluene e benzene); - Ammine aromatiche; - Tensioattivi; - Pesticidi. BIOSENSORI PER RILEVARE I PESTICIDI I biosensori per rilevare i pesticidi sono una tecnica rapida e poco costosa, rispetto alle tecniche di HPLC, di gascromatografia e di spettrometria di massa che sono lente e costose. Per rilevare gli insetticidi si sfrutta il principio della Inibizione Enzimatica. Gli insetticidi inibiscono la crescita degli insetti, colpendo l’enzima dei muscoli acetilcolinaesterasi. Questo enzima viene inibito da pesticidi fosforici o carbamati. Graficamente si vede la caduta dell’attività (registrabile spettrofotometricamente) se l’acqua da analizzare è contaminata. Si utilizza invece il Complesso Proteico del Fotosistema II (PTS II) per rilevare erbicidi che inibiscono il processo di fotosintesi perché blocca il fotosistema delle piante. Il fotosistema II viene immobilizzato sul supporto, viene immerso nell’acqua da analizzare e il personale tecnico rileva spettrofotometricamente le variazioni di attività. Se è presente un inibitore del fotosistema, la sua attività decade. BIOSENSORI PER RILEVARE I METALLI PESANTI I metalli pesanti causano l’inibizione di enzimi che utilizzano metalli di transizione per la loro catalisi. I più tossici sono quelli assenti nei sistemi biologici, quali Hg – Cd – Cr – Ag – Pb – Al. Tuttavia, in realtà non esistono metalli tossici e non tossici ma tutto dipende dalla concentrazione. Nella nostra fisiologia, molti metalli sono cofattori di enzimi (Fe, Co, Mn, Cu) ma in alte concentrazioni diventano tossici. Per quantificare i metalli pesanti nelle acque vi sono due metodi che prevedono l’uso di metallo-enzimi, ovvero enzimi che contengono nel sito catalitico dei metalli per la loro catalisi: 1. Oloforme: gli enzimi integri vengono inibiti nella loro catalisi se nell’ambiente sono presenti altri metalli. Ad esempio, l’alcol deidrogenasi è un Zn-enzima, in presenza di Hg++ si ha forte inibizione evidenziabile con una caduta dell’attività enzimatica per via di una perturbazione dovuta dalla presenza di un metallo estraneo all’enzima. 2. Apoforme: gli enzimi privati del loro metallo prostetico si riattivano in presenza del loro e di altri metalli. Si possono ottenere apoforme di metallo-enzimi in due modi: - Chelazione del metallo: il metallo viene chelato con EDTA o altre sostanze che catturano il metallo; - Biocarenza in terreni metal-depleted: i lieviti o microrganismi vengono messi in una soluzione di terrendo di coltura senza il metallo catalitico e quindi l’enzima esce dal ribosoma incompleto e quando ci sarà il metallo nell’ambiente si riattiverà. Ad esempio, LDH si riattiva con Zn al 100%, Ni al 41%, Mn al 37%, Cu al 32%. BIOEFFETTORI I bioePettori sono enzimi immobilizzati che biotrasformano o sequestrano la sostanza tossica e la biotrasformano. Tra i principali bioePettori ci sono: 1. Alcol deidrogenasi (ADH) sono enzimi che catalizzano reazioni reversibili. L’ADH1 che è quella presente nei lieviti, che converte l'acetaldeide derivata da glicolisi del lattosio in etanolo. L’ADH2 è presente nell’uomo e converte l’etanolo in acido acetico. L’ADH2 immobilizzata in microemulsioni con detergenti cationici viene utilizzata per convertire l'etanolo in acetaldeide e alcoli superiori ramificati come l’alcol isoamilico, uno stabilizzante delle produzioni alimentari, alcol aromatici come l’alcol cinnamico, che dà sapore di cannella e alcol insaturi come l’alcol allilico, che dà il sapore di aglio. A partire dagli scarti caseari, l’ADH2 immobilizzata può essere usata per convertire il lattosio in etanolo: a partire lattosio, si ottiene glucosio + galattosio che vengono separate con la glicolisi e entrambi generano acido piruvico. Dall’acido piruvico, si può ottenere acido lattico oppure si può convertire il piruvato in acetaldeide e con l'ADH1 ottenere etanolo. 2. Tirosinasi è un enzima che immobilizzata su chitosani e converte la tirosina in DOPA; quindi, trasforma i fenoli in chinoni e polifenoli che poi precipitano e quindi sono più facili da rimuovere. Il chitosano è un polimero naturale di glucosamina ottenuto per N- deacetilazione della chitina: contiene gruppi amminici adatti ad immobilizzare enzimi. Il chitosano viene sciolto e lasciato in agitazione o/n. Per ottenere pellicole si stende la soluzione su lastre di vetro. Per ottenere granuli si fa cadere la soluzione goccia a goccia in NaOH 8%. Sul tutto si assorbe l’enzima. 3. Membrane per catturare i metalli pesanti tra cui: Vescicole monolamellari di fosfatidilcolina in cui è stato incorporato: o un chelante all’interno della vescicola (nitrilotriacetato); o uno ionoforo nel bilayer. Servono a catturare il Cd++ dall’acqua e recuperarlo. Sferette di agarosio su cui sono immobilizzate proteine atte a catturare metalli: o metallo tionine presenti nei mitili: sono proteine monotematiche, formate solo da cisteine, che possono essere usate per catturare il mercurio (Hg); o PBP (Phosphate Binding Protein) in E.coli: queste proteine catturano i fosfati (PO4--) utilizzati in tensioattivi per rendere meno calcaree le acque. Le sferette vengono impaccate su opportune colonne attraverso le quali viene fatta fluire l’acqua contaminata. Polisaccaridi esocellulari batterici (Arthrobacter, Pseudomonas, Rhizobium), presenti sulla superficie dei batteri, vengono purificati, liofilizzati, membranizzati su PoliVinilAcetato o PoliVinilAlcool per rimuovere Cu, Pb, Cr, che possono poi essere recuperati con EDTA. 4. Enzimi del catabolismo dei composti aromatici: si può ePettuare l’immobilizzazione sequenziale di PH e CAT 1,2-diossigenasi su sefarosio attivato con CNBr (immobilizzazione covalente). Questi enzimi trasformano i composti aromatici in composti non aromatici. ARSENICO L’arsenico esiste in 4 stati di ossidazione: 1. Arsina (-3 gas); 2. Arsenico elementare 0; 3. Arsenito +3; 4. Arsenato +5. La tossicità dell’arsenico può essere: - Sistemica: Intossicazione ACUTA à (0,50 g) vomito, diarrea, brividi, cianosi, crampi muscolari, disidratazione e morte; Intossicazione CRONICA: epatomegalia, ittero, anemie, polineurite, parestesie; Carcinogenesi (100 µg) a pelle, polmoni, fegato e pancreas. - Molecolare: ARSENIATO è un inibitore GADPH e blocco glicolisi; ARSENITO à si lega ai gruppi –SH delle proteine, tra cui PIRUVATO DEIDROGENASI e 2-oxo-glutarato deidrogenasi. Il 99% dell’arsenico si trova distribuito nelle rocce ignee e sedimentarie, sotto forma di arsenopirite (FeAsS). Durante le estrazioni minerarie di metalli preziosi, quindi oro, argento, rame, piombo, si può anche liberare arsenico accidentalmente. In più l'arsenico viene rilasciato da alcune attività industriali come le industrie di produzione e di conservanti per il legno, coloranti, materiali elettrici e pesticidi. Altre modalità di contaminazione sono: - prelevando il Fe viene rilasciato anche arsenico; - il dilavamento naturale delle rocce attraverso la pioggia, l'erosione, la disgregazione; - le zone in cui vengono usati molti pesticidi a base di arsenico hanno nelle falde contaminate. IL CASO BANGLADESH Negli anni 70 la popolazione del Bangladesh aveva l'abitudine di bere l'acqua delle pozzanghere e c’era un'alta mortalità per dissenteria, shigellosi, colera. Per evitare che la popolazione continuasse a bere l'acqua delle pozzanghere hanno costruito dei pozzi per prelevare l'acqua delle falde più profonde dell’Himalaya; tuttavia, quest’acqua conteneva una quantità di arsenico estremamente elevata, superiore a un mg/L. Quindi si sono ammalati di arsenicosi, in cui i palmi delle mani e le piante dei piedi erano rivestiti da una crosta desquamativa. ARSENICO E PROCARIOTI I procarioti hanno due vie metaboliche per smaltire l’As: - RIDUZIONE dell’Arsenato (V) ad Arsenito (III), mediante l’enzima arseniato reduttasi, enzima della catena respiratoria sulla membrana citoplasmatica. EPettuata dai batteri anaerobi. - OSSIDAZIONE dell’Arsenito (III) ad Arsenato(V) mediante l’enzima arsenito ossidasi, enzima presente nel periplasma. EPettuata dai batteri anaerobi che respirano nitrati e accoppiano l’ossidazione dell’Arsenito alla respirazione con la riduzione di nitrati a nitriti. La forma meno tossica è quella ossidata, pertanto, sono state creati degli impianti in queste falde in modo che l'acqua che arriva dall’Himalaya, che si deposita nella falda, attraverso un sistema di osmosi/osmosi inversa c’è una specie di filtro di batteri immobilizzati che attuano questa reazione e quindi l'acqua in uscita non ha più arsenito ma Arsenato. CROMO Il Cr è un metallo di transizione che si trova nelle rocce, nelle piante, nei suoli. Lo si può trovare in due forme: - Cr (III) è importante in alcune vie metaboliche, soprattutto nei vegetali per il metabolismo di carboidrati e proteine; - Cr (VI): ossidato, è il più tossico. La tossicità del Cr è legata al fatto che può entrare attraverso le membrane e andare a dare stress ossidativo sulle proteine libere del citosol, creando dei ponti disolfuro tra gruppi sulfidrilici delle proteine: le proteine rimangono rigide e non possono andare incontro a cambiamenti conformazionali. Però può anche entrare nel nucleo e dare problemi al DNA, agli istoni. Il Cr esavalente, ossidato, più tossico, è stato utilizzato molto per le cromature, per la produzione di leghe metalliche e quindi è un inquinante abbastanza diPuso nei suoli e nelle acque. È caratterizzato da una maggiore mobilità e solubilità rispetto al Cr (III), quindi oltre a essere più ossidante è anche più solubile e quindi più ubiquitario. METODI CONVENZIONALI PER LA RIMOZIONE DEL CROMO I metodi convenzionali per rimuovere il Cr sono metodi chimici: - colonne a scambio Ionico; - precipitazione: il Cr è carico positivamente, si fa precipitare con dei fosfati o dei solfati e si crea un segmento che può essere rimosso; - filtrazione; - evaporazione; - adsorbimento. Tutto questo prevede dei costi molto elevati, perché sono tutte delle tecniche molto sofisticate e il cromo raccolto sulle membrane o sulle colonne deve essere smaltito. BIORISANAMENTO CON BATTERI Si è passati quindi ad un approccio biotecnologico con batteri detossificanti, più economico, perché se si dà terreno di coltura giusto i batteri fanno la redox e trasformano la forma tossica in una meno tossica ed è anche più eco-sostenibile. La riduzione del Cr (VI) viene portata avanti da batteri che mettono in atto questa strategia come una forma di resistenza ai metalli. La riduzione può avvenire in due modi: - indiretto: batteri anaerobi ferro e solfato riduttori. I batteri solfato riduttori, ossidano il carbonio organico, vengono persi degli elettroni e mandati in catena respiratoria, i solfati vengono ridotti, ma può anche essere ridotto il Cr. I batteri ferro riduttori ossidano il carboidrato, NADH viene mandato in catena respiratoria, che trova il Fe che diventa Fe ridotto, perché cattura gli elettroni della catena respiratoria e il Cr viene ridotto. Se questi batteri vengono privati del solfato o del ferro in anaerobiosi, sono obbligati a respirare il metallo che c'è, quindi respireranno il Cr (VI) che diventa Cr (III). Questa conversione da forma tossica a meno tossica viene ePettuata da batteri anaerobi che usano il Cr come accettore finale di elettroni nelle catene respiratorie anaerobiche. - diretto: usa batteri aerobi cromo riduttori che sfruttano gli elettroni ricavati dalle ossidazioni a livello di substrato (quindi durante la glicolisi tutte le volte che si catturano gli elettori si caricano sul NAD e nella β-ossidazione, tutte le volte che si catturano gli elettroni si caricano sul FAD) per ridurre il Cr. In aerobiosi le reazioni sono catalizzate da enzimi solubili citoplasmatici quali: o ChrR, presente in Pseudomonas putida è una flavoproteina NADH dipendente che porta alla formazione di intermedi, redox per gradi: passa gli elettroni al Cr(VI) che diventa Cr(V) e Cr(IV), con successiva riduzione a Cr(III); o YieF presente in Escherichia coli è una flavoproteina che ePettua la riduzione diretta di Cr(VI) in Cr(III). In anaerobiosi il Cr(VI) può essere usato come accettore finale di elettroni nella catena respiratoria di membrana, può essere ridotto dal citocromo c3 o può essere ridotto da idrogenasi a livello dello spazio periplasmatico. PROCEDIMENTO PER LA RIMOZIONE DEL Cr - campionamento delle acque contaminate da Cr; - crescita in parallelo dei ceppi microbici facendoli arrivare in fase esponenziale; - analisi delle capacità di questi ceppi di ridurre il Cr; - caratterizzazione genetica delle sequenze. In un lavoro sono stati identificato 2 ceppi resistenti al Cr(VI): chr2 e chr3, Gram +,il primo ossidasi positivo, il secondo no, entrambi catalasi positivi. Tramite l’analisi genetica sull’rRNA 16S è stato osservato che il ceppo chr2 apparteneva al genere Cellulomonas e che il ceppo chr3 invece al genere Mycobacterium. Inoltre, si è osservato che: - Chr2 funziona molto bene a 28°C, dove si ha la massima riduzione del Cr(VI) con un 30% di Cr che non ha reagito. - chr3 ha un buon impatto sia a 28 che a 37°C ed è più efficiente, perché rimane un 5- 10% di Cr non ridotto. Quindi questo ceppo si è rivelato più promettente. La riduzione microbica del Cr (VI) a Cr (III) rappresenta una strategia ecosostenibile: può essere svolta in loco, direttamente sul suolo da decontaminare; agisce in modo selettivo: decontamina in modo selettivo il Cr, non va ad utilizzare altri metalli; ha dei costi bassi. Utilizzando primers specifici per il gene della resistenza è stato possibile stabilire che i due ceppi isolati possedevano plasmidi che conferivano la resistenza al Cr (VI), ciò significa che questa caratteristica possa essere trasmessa ad altri batteri. Questi plasmidi possono essere clonati, usati come sonde di DNA o usati per costruire biosensori. DEGRADAZIONE DEL PETROLIO E DEI COMPOSTI AROMATICI I batteri hanno la capacità di aprire l’anello aromatico, molto stabile perché ha gli elettroni delocalizzati. La molecola idrofobica in assoluto è il benzene, perché non ha sostituenti: meno sostituenti ci sono più la molecola è recalcitrante, perché è più stabile ed è idrofobica. 1. ogni anello benzenico per poter diventare degradabile deve essere ossidrilato; 2. gli ossidrili devono essere due in posizione orto, cioè adiacenti; 3. i composti aromatici, per poter essere degradati devono essere convertiti in una molecola chiave: il catecolo. L’aggiunta degli ossidrili avviene ad opera degli enzimi ossigenasi, una classe delle ossidoreduttasi che usano l'ossigeno molecolare come donatore. L’ossigenasi scinde l’O2, in 2 idrossiradicali: - se è una diossigenasi aggiungerà entrambi gli OH sull’anello (sul benzene bisogna aggiungere due ossidrili); - se è una monossigenasi, questa aggiungerà un solo OH sull’anello (fenolo). L’OH radicale che rimane si accoppia con H a dare H2O. I batteri sono diversi fra loro, alcuni hanno evoluto delle vie diossigenasiche, si nutrono di benzeni, altri hanno evoluto le vie monossigenasiche e si nutrono di fenoli. Queste capacità metaboliche possono essere sfruttate per il biorisanamento di acque, di suoli contaminati con composti aromatici o alifatici. FENOLO Il fenolo è una molecola abbastanza diPusa sia nelle acque reflue che nell’atmosfera. Arriva da: - Raffinerie di petrolio; - Produzione di vernici e resine fenoliche; - Fabbriche di produzione della carta; - Emissioni di scarico delle automobili; - Biodegradazione di pesticidi. Tossicità - Acuta: a carico del sistema nervoso centrale, delle mucose della pelle, polmoni; - Cronica: riguarda organi un po’ più complessi come fegato, reni, midollo osseo. La dose letale media è di 15 g. Procedimento per la rimozione del fenolo Si parte da batteri ambientali, comunità del suolo o di fanghi attivi (fanghi di depurazione). 1. Si fa un prelievo di suolo o fango attivo; 2. Test di resistenza al fenolo mediante crescita su LB + 100 mg/L di fenolo; 3. Incubazione delle piastre a diverse temperature (20-25-30°C per 24 e per 48 h). Questo test di resistenza al fenolo farà sì che tutti i batteri per cui il fenolo è tossico moriranno e rimarranno in vita solo quelli che sono in grado di sopravvivere alla tossicità del fenolo. 4. Identificazione dei ceppi fenolo-resistenti mediante test di metabolizzazione del fenolo: le cellule vengono trasferite in terreno privo di fonte di carbonio. Rimarranno in vita solo quelli che hanno gli enzimi per degradare il fenolo, perché non c'è altra fonte di carbonio. Su 15 specie diverse, probabilmente 5 erano resistenti al fenolo, ma di queste 5 resistenti al fenolo sono quelle che lo metabolizzano rimarranno vive nel secondo test. È stato isolato e selezionato un ceppo batterico, l’Acinetobacter radioresistens S13, con elevata ePicienza nella degradazione del fenolo è un Gram – aerobico, catalasi positivo, nitrati (NO3) e H2S negativo, immobile, non riconosce gli esosi come substrati, ma capace di crescere in presenza di piccoli acidi come acetato (C2), lattato e malonato (C3), caprato e adipato (C6). Analizzando i geni per la degradazione del fenolo, usando la sonda catA, è stato visto che quello che rompe l'anello del catecolo, non era un gene plasmidico, ma un gene del cromosoma batterico. Vie metaboliche per la conversione degli idrocarburi Ci sono 2 vie attraverso cui la conversione degli idrocarburi può avvenire: - via orto: via intradiolica, prevede la rottura del legame tra i due OH mediante l’enzima catecolo 1,2-diossigenasi. I prodotti sono succinato e acetato. - via meta o via extradiolica, apre l’anello tra uno dei due OH e il C adiacente mediante catecolo 2-3-diossigenasi. Si produce semialdeide 2-idrossimuconica fino ad arrivare ad acetaldeide e piruvato. Acinetobacter radioresistens usa una via orto, Pseudomonas usa la via meta. Acinetobacter radioresistens può partire da fenolo e acido benzoico. - Se usa come substrato di partenza il fenolo, lo converte in catecolo mediante fenoloidrossilasi o fenolo monossigenasi (PH). - Se parte da acido benzoico viene usata una benzoato diossigenasi (BD), che rilascia CO2 (il COOH che si stacca), inoltre è necessario un riassestamento dei doppi legami grazie alla diidrossibenzoato deidrogenasi (DHB DH). In entrambi i casi si arriva al catecolo e grazie alla catecolo 1,2 diossigenasi si avrà scissione intradiolica con produzione di acido cis, cis mucolico (che è aperto, non è più un anello). Da questo può essere generato l’acido β- ketoadipico, da cui deriva il nome della via orto come via del β-ketoadipato. Ossigenasi implicate nella biodegradazione di composti aromatici a) Enzimi che agiscono su catene alchiliche e anelli aromatici: 1. Idrossilasi agiscono su catene alchiliche; 2. Monossigenasi agiscono su anelli aromatici monoidrossilati, si dividono in: - monocomponenti: hanno una struttura semplice, non hanno metalli, hanno un sito per il NAD e un centro redox, il FAD. Le troviamo in Bacillus stearothermophylus e Pseudomonas pichietti; - multicomponenti: hanno una struttura complessa. Gli elettroni passano dal NAD al FAD, successivamente passano ad un centro Fe-S (ferridoxinico Fd) e da esso alla subunità catalitica dove c’è un centro a Fe binucleare (Fe-O-Fe) che cederà gli elettroni all’O2. Le troviamo in Pseudomonas sp. e Acinetobacter calcoaceticus; - toluene 4-monossigenasi: ha tre subunità catalitiche e una subunità regolatoria. Gli elettroni passano dal NAD al FAD, al centro Fe-S Fd, al centro Fe-S definito Rieske (R), che ha un potenziale redox più a destra, al centro Fe binucleare. I centri Fe-S contengono Fe e S. Il più semplice si chiama Fe-S ferridoxinico e contiene 2Fe-2S. Esiste la struttura complessa, cubica, in cui Fe e S occupano alternativamente i vertici. Questa struttura è detta 4Fe-4S. Poi ci sono delle anomalie, dove alle strutture manca un vertice dette 3Fe- 4S, 8Fe-7S. Nel momento in cui il Fe si lega all’enzima solitamente sceglie di legarsi alla cisteina. Il Fe può anche legare l'azoto e quindi si sono scoperti i centri Rieske, sistemi Fe-S in cui il ferro si lega all’istidina. Questo fa cambiare il potenziale redox: il centro Fe-S Fd ha un potenziale redox più spostato a sx, mentre quello Rieske è più spostato a dx. La struttura Rieske permette un livello di passaggio di elettroni in più e quindi una maggiore efficienza energetica. Nel caso del centro Fe-O-Fe, il Fe è coordinato a delle istidine e a dei glutammati e quindi i due atomi di Fe sono legati da un ponte, dato da H2O o da un OH, che va poi in catalisi e attiva gli idrossiradicali. 3. Diossigenasi agiscono su anelli aromatici idrossilati o non-idrossilati: hanno tutte la subunità catalitica che contiene ferro ridotto (2+) e un centro ferro zolfo Rieske. Ciò che le diPerenzia sono le altre parti che differiscono in base all’enzima e alla specie batterica che la produce: o Ftalato diossigenasi è la più semplice. Ha il flavin mononucleotide (FMN) e un centro Fe-S Fd; o Benzoato diossigenasi ha un FAD e Fe-S Fd; o Benzene diossigenasi ha un FAD e un centro Fe-S R su due subunità differenti; o Naftalene diossigenasi ha FAD e Fe-S Fd, su una subunità e un centro Fe-S R su un’altra. b) Diossigenasi che scindono l’anello aromatico: 1. Diossigenasi intradioliche: non hanno nessun cofattore (FAD, NAD) ma solo il metallo, il ferro. Queste rompono in orto, sono le più stabili perché contengono il ferro ossidato (3+) che non può ossidarsi ulteriormente. L’atomo di ferro è coordinato a 2 tirosine, a 2 istidine e ad un OH. 2. Diossigenasi extradioliche: non hanno nessun cofattore (FAD, NAD) ma solo il metallo, il ferro ridotto (2+), suscettibile all’ossidazione. L'economia tradizionale invece si basa sull'approccio from Cradle to grave ovvero dalla culla alla tomba. Si basa sulla logica del produci, utilizza e getta. È un approccio unidirezionale, basato sul profitto, sulla quantità, sull’esaurimento e sullo sfruttamento del territorio. L'economia circolare al contrario dell'economia tradizionale è un approccio etico, sistemico che punta non solo al profitto ma anche alla qualità del prodotto, non va a danneggiare la biosfera e gli ecosistemi, si basa sulla relazione e sull’interdisciplinarità e il suo scopo è quello di estendere la durata della vita di un prodotto mediante il riciclo, il recupero e il riuso. La green economy non inquina. La blue economy non inquina e valorizza il rifiuto. L'economia circolare è anche definita bioeconomia in quanto in molti processi intervengono diversi microrganismi, tra cui batteri, funghi, alghe e lieviti. Vengono particolarmente utilizzati i batteri cosiddetti costruttori in quanto sono in grado, a partire da scarti alimentari, agricoli e rifiuti a produrre nuovi materiali. Si parla di BIOCONVERSIONE. - produrre bioplastiche (PLA e PHA) a partire da siero di latte, cellulosa ecc.; - pro